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Foto: Poccobelli

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Marco e Flavio Poccobelli

ALBERTO CRISTANI MATTEO ZANON

Una famiglia, uno sport, uno stile di vita. Flavio e Marco Poccobelli, padre e figlio, da anni coltivano una grande passione che si chiama judo. Un percorso iniziato per caso a metà anni Ottanta da Flavio (Maestro Benemerito VI Dan e istruttore di MGA Metodo Globale di autodifesa), seguito da Marco (allenatore V Dan anche lui istruttore MGA) e che ha trovato continuità con Giulia e Michele (figli di Marco), con la prima già protagonista a livello europeo. Una storia nata per caso che con gli anni (quasi quarant’anni…) è diventata un punto fermo nella vita della famiglia Poccobelli tra sacrificio, regole e tante soddisfazioni. “Il mio approccio con il judo” – ci spiega il capostipite Flavio – “si può dire che è iniziato per caso. Avevo ventisei anni e giocavo a calcio, come la maggior parte dei miei coetanei. Poi ho deciso di accantonare lo sport per dedicarmi allo studio. Diventando sedentario automaticamente mi è cresciuta la pancetta e sono ingrassato. Così decisi di iscrivermi alla Fondazione Bentegodi e fare un po’ di pesistica. Poi la svolta. Un mio collega di lavoro mi chiese se volevo andare con lui a provare una nuova disciplina, la lotta giapponese (così veniva chiamato, impropriamente, il judo in quel periodo n.d.r.). La proposta mi incuriosì e così ci recammo al Judo Club Verona. Era la fine degli anni Sessanta. Il mio collega durò sei mesi mentre io ho continuato. Sono rimasto al Judo Club Verona fino al febbraio del 1984 quando decisi di aprire la mia società. Una decisione che trovò appoggio anche delle altre società veronesi che vedevano in me non un avversario ma un alleato per diffondere questa nobile disciplina”. Nasce così la Judo Libertas Verona che, negli anni, si è ‘trasformata’ nell’ attuale è Judo Kodokan Verona. Trentasei anni di attività e di passione, segnati da tanti ri-

Da sinistra Flavio, Giulia, Michele e Marco Poccobelli

cordi e tanti aneddoti. Ora però si guarda al futuro, con tanti nuovi progetti da sviluppare, compatibilmente con il periodo poco felice condizionato dal Covid. “Quello che mi ha fatto rimanere per così tanto tempo in questo ambiente” – prosegue Poccobelli Senior – “non è il gesto sportivo in sé, che è sicuramente affascinante, ma il progetto educativo che contraddistingue questa disciplina. Infatti il judo non nasce come uno sport ma come una proposta educativa per i giovani giapponesi al fine di migliorare la società nipponica. Seguendo regole fondamentali come ‘non io contro di te ma insieme a te’, per fare, per imparare e per migliorare; così può realizzarsi l’idea di far nascere una società migliore. Il progetto un po’ utopistico del fondatore Jigorō Kanō era quello di cambiare il mondo. Per far conoscere il judo a livello mondiale Jigorō Kanō ha dovuto mediare e rivedere il suo progetto educativo inserendolo in una disciplina sportiva. L’approdo del judo alle olimpiadi (Giochi di Tokyo 1964 n.d.r.) fu la definitiva consacrazione”. Judo sport quindi sdoganato e fruibile da chiunque voglia avvicinarsi al tatami, a prescindere da età e struttura fisica. “I nostri tesserati” – evidenzia Flavio – “hanno un’età variabile. Teniamo corsi per piccoli, per esperti ma anche per chi vuole semplicemente provare. La cosa bella è che gli esperti e i neofiti possono esercitarsi insieme: così tutti possono insegnare a tutti. Il numero dei tesserati vari a seconda del periodo. Attualmente sono una sessantina. Abbiamo avuto periodi in cui avevamo anche 120-150 persone nei vari corsi”. Marco di anni ne ha 47 ed è titolare di un’importante azienda di arredamento veronese. Una vita frenetica e impegnativa che però trova il giusto equilibrio anche grazie al judo. “Ho iniziato a 6 anni” – spiega Poccobelli junior – “un po’ controvoglia: dovevo fare sport perché per la mia conformazione fisica lo richiedeva. Il calcio non faceva per me, l’atletica nemmeno. Mi dicevano: ‘Vai in palestra con tuo papà’. Lui mi invitava a provare. Così ho accettato. Inizialmente ci andavo solo per fare sport, per muovermi e per non stare davanti alla tv. Poi anno dopo anno ho preso fiducia nei miei mezzi e mi sono appassionato, fino a partecipare ad alcune gare agonistiche. Mi sono tolto delle belle soddisfazioni: ho partecipato anche ai Campionati Italiani, alla Coppa Italia e al Trofeo delle Regioni, a Roma, gareggiando per la squadra di Verona e del Veneto”. “Mi sono sposato giovane” – racconta Marco – “e da quel momento ho lasciato da parte l’agonismo iniziando la carriera di allenatore, frequentando la scuola e affiancando papà. Per me il judo è uno stile di vita e mi serve tutt’oggi, anche per superare i momenti difficili conseguenza della situazione che stiamo affrontando. Lo sportivo affronta le difficoltà con una mentalità differente rispetto a chi non pratica sport. Nel judo in più si lavora anche mentalmente, nel rispetto del compagno, delle regole”. “Se si inizia a fare judo da piccoli” – prosegue Marco – “comportarsi da judoka anche nella vita di tutti i giorni diventa normale e automatico. Tutto ciò serve anche nel momento che stiamo affrontando perché la mente in questo modo è abituata ad affrontare i problemi diversamente. Nel judo si forma la persona a 360° perché viene usato tutto il corpo, a differenza di altri sport. Il bambino introverso impara ad aprirsi e a prendere autostima. Il bambino esuberante o un pochino aggressivo impara a gestirsi. Vanno aiutati entrambi a crescere”. Il judo è uno sport situazionale che richiede un’attenzione e un controllo motorio maniacale.

“Una gara dura quattro minuti” – interviene Flavio – “esci che sei stremano e in quei pochi minuti ti giochi tutto l’allenamento di un anno. In una frazione di secondo i movimenti cambiano e l’attenzione deve essere massima. E comunque ogni volta che l’avversario mi batte non ho perso ma sto imparando qualcosa di nuovo. Faccio mente locale su quanto ho fatto e elaboro quello che deve essere cambiato o modificato”. Infine padre e figlio Poccobelli ci raccontano i loro magic moments vissuti sul tatami. “Il mio momento più bello ed emozionante” – esordisce Flavio – “è stato quando nel settembre del 1976 a Recanati ho fatto l’esame a livello nazionale per diventare cintura nera. In questo grande albergo ho fatto l’esame alle dieci di sera e appena terminato sono tornato in camera e mi sono scritto tutto quello che avevano chiesto e come avevo risposto. E mi sono dato il mio giudizio personale”. “Io di ricordi particolarmente belli ne ho due” – conclude Marco – “Il primo legato alla mia convocazione al torneo delle Regioni nel 1989-90. L’altro, più recente, è dell’anno scorso, quando mia figlia Giulia (18 anni) è stata convocata nella nazionale italiana di katar per partecipare ai Campionati Europei. Da allenatore ma soprattutto da papà è stato un traguardo importante ricco di emozioni che io personalmente non ho mai raggiunto”. Ieri, oggi, domani. Flavio, Marco, Giulia, Michele. Il judo, in casa Poccobelli, è proprio un affare di famiglia.

PILLOLE DI JUDO

Il judo (via della cedevolezza) è un’arte marziale, uno sport da combattimento e un metodo di difesa personale giapponese formalmente nato in Giappone con la fondazione del Kōdōkan da parte del professor Jigorō Kanō, nel 1882. I praticanti di tale disciplina sono denominati judoisti o più comunemente judoka. Il judo è in seguito divenuto ufficialmente disciplina olimpica a Tokyo 1964 e ha rappresentato ai Giochi di Atene 2004 il terzo sport più universale con atleti da 98 diversi Paesi, mentre a Londra 2012 hanno partecipato 387 atleti da 135 diversi Paesi. Jigorō Kanō definiva così la disciplina da lui fondata: “Il judo è la via più efficace per utilizzare la forza fisica e mentale. Allenarsi nella disciplina del judo significa raggiungere la perfetta conoscenza dello spirito attraverso l’addestramento attacco-difesa e l’assiduo sforzo per ottenere un miglioramento fisico-spirituale. Il perfezionamento dell’io così ottenuto dovrà essere indirizzato al servizio sociale, che costituisce l’obiettivo ultimo del judo”. Il judogi è l’abbigliamento dei judoka (e non il kimono come spesso, erroneamente, si indica). Consiste in pantaloni di cotone molto ampi e robusti e una giacca di cotone, priva di bottoni o parti metalliche, a maniche lunghe con baveri da incrociare e legare con la cintura. La giacca è stretta in vita da una cintura, denominata obi, legata in modo particolare, che può essere di colore diverso a seconda del grado dell’atleta. Il colore del judogi è in genere il bianco, il colore blu è stato introdotto recentemente nel judo olimpico per differenziare maggiormente gli atleti a livello visivo. Nel judo tradizionale si continua ad utilizzare solo il colore bianco. I colori della cintura sono bianca, gialla, arancio, verde, blu, marrone, nera, bianco alternato al rosso, rossa e infine bianca ma più larga e sottile. Il pantalone ha una chiusura con elastico per i prodotti per principianti, mentre i judogi più evoluti presentano il classico laccio in vita.

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