n.
50
novembre/dicembre 2017
Lucas Castro Chievo Verona
ANNO 9 - N. 50 - NOVEMBRE/DICEMBRE 2017 - Periodico Testata giornalistica registrata al Tribunale di Verona n. 1807/2008
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TUTTO LO SPORT DI VERONA A 360 GRADI
OLIMPIONICI Paola Fantato
FOCUS CALCIO Andrea D'Amico
IL PERSONAGGIO
Marino Bartoletti
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Tifano per lo sport sostenendo pratica Tifano perchi lolosport e chi lo racconta... sostenendo chi lo pratica e chi lo racconta...
45|2017 44|2016 Anno Anno98--Numero Numero4544 GENNAIO/FEBBRAIO 2017 2016 NOVEMBRE/DICEMBRE Testata registrata al al Testatagiornalistica giornalistica registrata Tribunale didiVerona Tribunale Verona Anno 9 - Numero 50 n. n.1807/2008 1807/2008
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NOVEMBRE/DICEMBRE 2017 Testata giornalistica registrata al DIRETTORE RESPONSABILE DIRETTORE RESPONSABILE Anno 9Alberto Cristani Anno 8--Numero Numero 44 Tribunale di45 Verona n. 1807/2008 Alberto Cristani GENNAIO/FEBBRAIO 2017 2016 a.cristani@sportdipiu.com NOVEMBRE/DICEMBRE a.cristani@sportdipiu.com Testata giornalistica registrata al al Testata giornalistica registrata Direttore responsabile Tribunale di VICE DIRETTORE Tribunale diVerona Verona DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA Alberto Cristani n. Giorgio Vincenzi n.1807/2008 1807/2008 Maurilio Boldrini m.boldrini@sportdipiu.com DIRETTORE RESPONSABILE CAPOREDATTORE DIRETTORE RESPONSABILE Direttore della fotografia Alberto Cristani Andrea Etrari Alberto Cristani Maurilio Boldrini a.cristani@sportdipiu.com g.vincenzi@sportdipiu.com a.cristani@sportdipiu.com Caporedattore VICE DIRETTORE DIRETTORE FOTOGRAFIA DIRETTORE DELLADELLA FOTOGRAFIA CAPOREDATTORE Giorgio Vincenzi Andrea Etrari Maurilio Boldrini Maurilio Boldrini Andrea Etrari m.boldrini@sportdipiu.com m.boldrini@sportdipiu.com CAPOREDATTORE IN REDAZIONE In Redazione AndreaDon Etrari Giacomelli, Damiano GiorgioAndrea Vincenzi, g.vincenzi@sportdipiu.com Tommasi, Cristiano Zanus Fortes, Damiano Tommasi, Alessia Bottone,
DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA IN REDAZIONE Cristiano Zanus Fortes, CAPOREDATTORE Bruno Mostaffi, Marina Soave, Maurilio Boldrini Don Andrea Giacomelli, Damiano Andrea Etrari Bruno Mostaffi, Marina Soave, Giorgio Vincenzi, Matteo Lerco, m.boldrini@sportdipiu.com Tommasi, Cristiano Zanus Fortes, Matteo Zanon Matteo Lerco, Paola Giberti Alessia Bottone, Bruno Mostaffi, IN REDAZIONE Foto di: Emanuele Pennacchio,Marina Soave, Lerco, Matteo Zanon Don Andrea Giacomelli, Damiano Mirko Matteo Barbieri, Simone Pizzini
COMUNE DI ALBAREDO D’ADIGE COMUNE DI ALBAREDO D’ADIGE
COMUNE DI ALBAREDO D’ADIGE
COMUNE DI CAVAION V.SE COMUNE DI CAVAION V.SE
COMUNE DI CAVAION V.SE
COMUNE DI MONTEFORTE COMUNE DI D’ALPONE MONTEFORTE D’ALPONE
COMUNE DI MONTEFORTE D’ALPONE
COMUNE DI SAN MARTINO COMUNE DIB/A SAN MARTINO B/A
COMUNE DI SAN MARTINO B/A
COMUNE DI COMUNEARCOLE DI ARCOLE
COMUNE DI ARCOLE
COMUNE DI BARDOLINO
COMUNE DI CEREA DI COMUNE CEREA
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COMUNE DI LEGNAGO COMUNE DI LEGNAGO
COMUNE DI LEGNAGO
CITTÀ DI OPPEANO CITTÀ DI OPPEANO
CITTÀ DI OPPEANO
COMUNE DI SONA DI COMUNE SONA
COMUNE DI SONA
COMUNE DI BOSCOCHIESANUOVA
COMUNE DI LAZISE DI COMUNE LAZISE
COMUNE DI LAZISE
COMUNE DI PESCHIERA COMUNE DI DEL GARDA PESCHIERA DEL GARDA
COMUNE DI PESCHIERA DEL GARDA
COMUNE DI SOAVE DI COMUNE SOAVE
COMUNE DI SOAVE
COMUNE DI COMUNE DI COMUNE DI COMUNE DI COMUNE DI COMUNE DI BARDOLINO COMUNE DI BOVOLONE COMUNE DIBOSCOCHIESANUOVA BUTTAPIETRA COMUNE DI BOSCOCHIESANUOVA BUTTAPIETRA BARDOLINO BONAVIGO BOVOLONE
COMUNE DI MARANO DI DI COMUNE VALPOLICELLA MARANO DI VALPOLICELLA
COMUNE DI COMUNE DI TREVENZUOLO DI COMUNE TORRI DELDI BENACO COMUNE TREVENZUOLO TORRI DEL BENACO
COMUNE DI TORRI DEL BENACO
COMUNE DI MINERBE
CITTÀ DI RONCOCITTÀ ALL’ADIGE DI RONCO ALL’ADIGE
CITTÀ DI RONCO ALL’ADIGE
COMUNE DI TREVENZUOLO
COMUNE DI CALDIERO
COMUNE DI MINERBE COMUNE DI MINERBE
COMUNE DI MARANO DI VALPOLICELLA
COMUNE DI POVEGLIANO COMUNEV.SE DI POVEGLIANO V.SE
COMUNE DI POVEGLIANO V.SE
COMUNE DI BUTTAPIETRA
COMUNE DI CALDIERO COMUNE DI CALDIERO
COMUNE DI ROVERCHIARA
COMUNE DI CASTEL D’AZZANO
COMUNE DI ISOLACOMUNE DELLA SCALA DI ISOLA DELLA SCALA
COMUNE DI ISOLA DELLA SCALA
COMUNE DI ROVERCHIARA COMUNE DI ROVERCHIARA
COMUNE DI S. BONIFACIO COMUNE DI SAN BONIFACIO
COMUNE DI S. BONIFACIO
COMUNE DI VILLAFRANCA
COMUNE DI CASTELNUOVO D/G
COMUNE DI ISOLA RIZZA DI COMUNE ISOLA RIZZA
COMUNE DI ISOLA RIZZA
COMUNE DI MONTECCHIA COMUNE DI DIMONTECCHIA CROSARA DI CROSARA
COMUNE DI MONTECCHIA DI CROSARA
COMUNE DI SANGUINETTO COMUNE DI SANGUINETTO
COMUNE DI SANGUINETTO
COMUNE DI COMUNE DI COMUNEVERONELLA DI COMUNE DIVILLAFRANCA COMUNE DI VERONELLA VIGASIO VILLAFRANCA
COMUNE DI VERONELLA
COMUNE DI CASTELNUOVO D/G COMUNE DI CASTELNUOVO D/G
COMUNE DI CASTEL D’AZZANO COMUNE DI CASTEL D’AZZANO
COMUNE DI S. COMUNE GIOVANNI DI LUPATOTO SAN GIOVANNI LUPATOTO
COMUNE DI S. GIOVANNI LUPATOTO
COMUNE DI ZEVIO COMUNE DI ZEVIO
COMUNE DI ZEVIO
COMUNE DI ZIMELLA COMUNE DI ZIMELLA
COMUNE DI ZIMELLA
Foto Cristiano Zanus Fortes, Tommasi, FOTO Maurilio Boldrini, Vania Albertini, Alessia Bottone, CONTATTI IN REDAZIONE Maurilio Boldrini, Vania Albertini, Paolo Bruno Mostaffi, Marina Soave, Paolo Schiesaro, Mirko Barbieri, redazione@sportdipiu.com Don Andrea Giacomelli, Damiano Schiesaro, Mirko Barbieri, Simone Pizzini Giorgio Vincenzi, Matteo Lerco, www.sportdipiu.com Simone Pizzini Tommasi, Cristiano Zanus Fortes, Matteo Zanon Alessia Bottone, Bruno Mostaffi, Marina CONTATTI Foto di: Emanuele Pennacchio, PROGETTO GRAFICO Soave, Matteo Lerco, Matteo Zanon redazione@sportdipiu.com Contatti Mirko Barbieri, Simone Pizzini Ewww.sportdipiu.com IMPAGINAZIONE redazione@sportdipiu.com PAST di Fausto Pastorino FOTO CONTATTI www.sportdipiu.com Strada delle Trincee, 13M Paolo Maurilio Boldrini, Vania Albertini, PROGETTO GRAFICO redazione@sportdipiu.com Verona Schiesaro, Mirko Barbieri, Simone Pizzini E37135 IMPAGINAZIONE www.sportdipiu.com www.pastweb.net Progetto grafico e impaginazione PAST di Fausto Pastorino CONTATTI Strada delle Trincee, 13M Francesca Finotti PROGETTO GRAFICO STAMPA redazione@sportdipiu.com 37135 Verona E IMPAGINAZIONE Mediaprint Srl www.sportdipiu.com www.pastweb.net PAST di Fausto Pastorino Stampa e distribuzione Sede operativa Strada Trincee, didelle San Giovanni Lupatoto Mediaprint Srl 13M PROGETTO GRAFICO STAMPA Verona Via Brenta,Srl 7 - 37057 Sede operativa di SanVerona Giovanni L. E37135 IMPAGINAZIONE Mediaprint www.pastweb.net Mobile: +39 345 566 5706 PAST Fausto Pastorino operativa ViadiSede Brenta, 7 37057 Verona redazione@sportdipiu.com Strada 13M San Trincee, Giovanni Lupatoto Tel.didelle 345 5665706 STAMPA 37135 Verona Via Brenta, 7 - 37057 Verona Mediaprint Srl redazione@sportdipiu.com PUBBLICITÀ SPEDIZIONI www.pastweb.net Mobile: +39E345 566 5706 Sede redazione@sportdipiu.com operativa Mediaprint Srl di San Giovanni Lupatoto Sede operativa STAMPA Pubblicità e spedizioni Via Brenta, 7Giovanni - 37057 Verona di SanSrl Lupatoto Mediaprint PUBBLICITÀ E SPEDIZIONI Mediaprint Mobile: +39 345 566 5706 Verona Via Brenta,Srl 7 - 37057 Sede operativa Mediaprint Srl Sede operativa di San5706 Giovanni L. redazione@sportdipiu.com Mobile: +39 345 566 di SanSede Giovanni Lupatoto operativa Brenta, 7 - Verona 37057 Verona info@sportdipiu.com ViaVia Brenta, - 37057 di San7Giovanni Lupatoto PUBBLICITÀ E345 SPEDIZIONI Tel.Via345 5665706 Mobile: +39 566 5706 Verona Brenta, 7 - 37057 Mediaprint Srl DISTRIBUZIONE redazione@sportdipiu.com Mobile: +39 345 566 5706 info@sportdipiu.com Sede info@sportdipiu.com operativa Rebecchi S.r.l. di SanVia Giovanni Lupatoto Edison Tommaso Alva, 47 PUBBLICITÀ E SPEDIZIONI Hanno per questo numero Via Brenta, 7 - 37057 Verona 37136collaborato Verona Mediaprint Srl DISTRIBUZIONE Mobile: +39 345 566 Mons. Giuseppe Zenti, Sede operativa Rebecchi S.r.l. 5706 info@sportdipiu.com HANNO COLLABORATO Cristiano Zanus Fortes, di San Giovanni Lupatoto Via Edison Tommaso Alva, 47 A QUESTO NUMERO ViaDamiano Brenta, 7Verona - 37057 Verona 37136 Tommasi, DISTRIBUZIONE Don Giacomelli, Damiano Mobile: +39Andrea 345 5706 Giorgio Michele De566 Martin, Vincenzi, Rebecchi S.r.l. Tommasi, Cristiano Zanus Fortes, info@sportdipiu.com HANNO COLLABORATO Soave, Bruno Mostaffi, ViaMarina Edison Tommaso Alva, 47 AMarina QUESTOSoave, NUMEROAlessia Bottone, 37136 Verona Matteo Zanon, Matteo Lerco, Giorgio Vincenzi, Alessandro DISTRIBUZIONE Don Andrea Giacomelli, Damiano Boggian, Andrea Etrari, Monica Rebecchi S.r.l. Tommasi, Cristiano ZanusDel Fortes, Marina Paola Gilberti, Arianna Sordo, HANNO COLLABORATO Candeloro, ViaAlberto Edison Tommaso Alva, 47 Giorgio Soave, Alessia Bottone, Braioni, Giuditta Casi,Vincenzi, A QUESTO NUMERO MatteoEtrari, Zanon, Matteo Lerco, 37136 Verona Andrea Monica Candeloro,Matteo Anna Rodighiero, Alessandro Boggian, Don Andrea Giacomelli, Michela Saggioro, Giovanna Tondini, Zanon, Matteo Lerco,Damiano Michela Saggioro, Michela Saggioro, Moreno Floriani, Tommasi, Cristiano Zanus Fortes, HANNOGiovanna COLLABORATO Andrea Scamperle, Annalisa Zanchi, Tondini, Andrea Scamperle, Soave, Bottone, Chiara Ferrante, Stefano AMarina QUESTO NUMERO Marisa Ruggeri, Giuditta Casi, Michele DeAlessia Martin, GiovanniFesta, Magrone, Giorgio Vincenzi, Alessandro Don Andrea Giacomelli, Damiano Michele De Martin, DavideConti. Valerio, Enrico Gastaldelli, Alessandro De Pietro, Umberto Rizzotti, Andrea Boggian, Andrea Etrari, Monica Tommasi, Cristiano Zanus Fortes, Marina EmaRoberto Frazioni, Enrico Veronese, Giovanni Magrone Candeloro, Soave,nuele Alessia Bottone, Giorgio Vincenzi, Pezzo, Massimiliano Maculan Foto Matteo Zanon, Matteo Lerco, Andrea Etrari, Monica Candeloro,Matteo FOTO Archivio SportDi+, Michela Saggioro, Giovanna Tondini, Zanon,FOTO Matteo Lerco, Michela Archivio SportDi+, BPESaggioro, agenzia Andrea Scamperle, Annalisa Zanchi, Giovanna Tondini, Andrea Scamperle, BPE agenzia fotografica, Archivio Archivio SportDi+, BPE agenzia foto- Uffici fotografica, Marisa Ruggeri, Giuditta Casi, Michele De Martin, Giovanni Magrone, grafica, Archivio Uffici stampa Comuni Archivio Uffici stampa Comuni stampa Comuni patrocinanti, Michele De Martin, Davide Valerio, Enrico Gastaldelli, Alessandro De Pietro, patrocinanti, Fotolia, Alpo Basket, patrocinanti, Fotolia, MSP Verona, Fotolia, Mastini Verona, Roberto Frazioni, Enrico Veronese, Giovanni Magrone Verona Strada Sicura, MastiniEmaVerona, Opes Verona, Alpo Facoltà di Scienze Motorie Verona, nuele Pezzo, Massimiliano Maculan Roberto Passerini, Giacomo Bellazzi, Basket Alpo Basket, King Rock, Francesca Soli, FOTO FOTO Archivio SportDi+, agenzia Verona Strada BPE Sicura, IN COPERTINA Archivio SportDi+, BPE– FOTO, agenzia fotoIN COPERTINA fotografica, Filippo Lanza Argento olimpico Rio ATL-eticamente grafica, Archivio Uffici Comuni Sergio Pellissier -stampa Attaccante ChievoArchivio Uffici stampa Comuni 2016 (Foto Maurilio Boldrini) Marino Bartoletti. patrocinanti, Alpo Basket, Verona Fotolia, patrocinanti, Fotolia, MSP Verona, Verona Strada Sicura, Mastini Verona, Maurilio Opes (Foto Verona, Alpo Boldrini) Maurilio Boldrini) Roberto Passerini, Giacomo Bellazzi, Basket(Foto Francesca Soli,
SOSTIENE E PROMUOVE L’ATTIVITÀ DELLA FONDAZIONE SAVE MORAS
IN COPERTINA
IN COPERTINA Filippo Lanza – Argento olimpico Rio Sergio Pellissier - Attaccante Chievo2016 (Foto Maurilio Boldrini) Verona (Foto Maurilio Boldrini) Stampata cartaecologica ecologica100% 100%riciclata riciclata Stampata susucarta coninchiostri inchiostriaabase basevegetale vegetaleprodotta prodotta con senzauso usodidicloro cloro senza
SOSTIENE E PROMUOVE L’ATTIVITÀ DELLA FONDAZIONE SAVE MORAS Stampatasusucarta cartaecologica ecologica100% 100%riciclata riciclata Stampata coninchiostri inchiostriaabase basevegetale vegetaleprodotta prodotta con senza uso di cloro senza uso di cloro
L'atleta vero è colui che tra le righe del suo impegno, della sua passione, del suo successo ha valori che fanno grande non solo un atleta, ma l'uomo stesso. (Giovanni Paolo II)
Buone feste dalla redazione di SportDi+ magazine 4
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SOMMARIO
n. 50 / 2017 In copertina: Lucas Castro - Foto: Maurilio Boldrini
7. Editoriale
44 sfumature di azzurro
Diocesi di Verona Andrea il Don che viveva di sport
Figure Mondiali
Cresciamo insieme
8.
10. Il corner di Tommasi
11. A canestro con Zanus
EVENTO 16. Coni Verona in festa - Benemerenze 2016 24. Mondiali Scherma 2018 70. Si può fare: perchè no?
INTERVISTA 18. Calcio - Lucas Castro 26. Calcio - Valentina Boni 34. Rugby - Raffaella Vittadello 38. Rugby - Giorgio Bonato e Massimo Forigo 42. Olimpionici - Paola Fantato 48. Calcio - Andrea D'Amico 53. Basket - Veronica Dell'Olio 56. Volley - Javad Manavi 60. Calcio - Andrea Brighenti 64. Il personaggio - Marino Bartoletti 78. Tennis - Marco Bortolotti 82. Atletica Leggera - Giovanni Galbieri
84. Pallamano - Alice Biondani e
BREAKING NEWS
SPORT LIFE
46. Ex Hellas in campo per i bambini prematuri 88. Saves Moras, Winter 60x60
Laura Guadagnini
32. Verona Touch Rugby 54. Mattia Udom 59. Verona Basket 72. Hockey Villafranca 76. Lorena Zocca 90. Camp estivo - arrampicata 92. Behave Crossfit
PASSIONE COMUNE 12. Oppeano 14. Legnago, Monteforte 15. Verona, Sanguinetto
FOCUS 41. Visual training 74. Football Americano - Mastini Verona 80. Scienze Motorie - Verona 94. Facciamo chiarezza sul doping 96. Opes Verona 98. HandBike
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L’EDITORIALE i d e r u t a m 44 sfu
Azzurro
di Alberto Cristani
mancaa inevitabile di una nz ue eg ns co o, ot m oprio terre l’obiettivo della centro di un vero e pr zurri non centravano az i gl ni an 60 L’Italia del calcio è al a (d ndiali di Russia 2018 ta qualificazione ai Mo o che del Mondo n.d.r) ura e Carlo Tavecchi finale di una Coppa nt se Ve fa o la er al pi ne am zio Gi ca su ifi qual do il dito ù cupi della stotutto e di più, puntan , uno dei momenti pi ne io st ge ta ra Si è detto e scritto di gu ia sc li annali, con la loro hanno consegnato ag r colpa del nale. ed esclusivamente pe zio lo Na so ra o st at m no ni lla no de ll’a ria ono o ne petente. Di fatto serv ro, non è sprofondat m ia co ch in sia te , en no m lia ice ita pl o m Il calci afede o è se mento una vilo afferma o è in mal che abbiano quanto e te en m ra ve o ‘fantastico duo’; chi an sc pi unque piuttote, che di calcio ne ca su un Tavecchio qual e ar nt pu ice pl m persone vere e ones se ta più ra 'gente di sport'. Ma è palese che risul e intelligente, con ve o at ul sione lungimirante. oc o od m in quente, si prefeondare e gestire un Paese dove, di fre di io ch ec sp lo sto che pianificare, rif è ly, Ita ti, di onesti a.cristani@sportdipiu.com tto lo sport Made in li più umili, e adegua el qu di o st to ut pi In generale, però, tu o tiv in st di l co ni i di spacco risce indossare i pann i delle Federazioni ’inchiesta sui bilanc un e br m ve lavoratori. no 13 so . Le peggiori a pubblicato lo scor 23 Federazioni su 44 n be o tiv ga ne Il Fatto Quotidiano h in . Tra le re se io a rotelle e triathlon lla quale risultano es gg da na tti ne pa lia i, Ita al e rn tiv ve in or t Sp amen, spor calcio, anche se sicur e ll, rugby, equitazione et ba sk se ba ba is, o, m nn lis te o, cic sono volley, nuot enzionate scherma, più virtuose vanno m con la Svezia. de carrozSportdipiuVr rro è malato, un gran ato dopo lo spareggio zu az t or sp lo tto tu : te qualcosa è cambi za chiaro diarie, viaggi, an e, st al ba on ab rs è pe h, di Be ? en ip to funzionamento (st Cosa significa ques della singola re fortune in spese di da pi la di a e le e nella promozione nd ni te va e gio t or zone ch sp llo ne stire, per esempio, affitti…) invece di inve uesto di Ventura al grido “Q lia ta ll’I de to a. en m lin lli ip fa sc di i dopo il si meglio. si è stracciato le vest e, cercare di informar da en m am Ecco quindi che chi re fa be ne e risorse (sponnel calcio” dovreb aticamente attenzio m to au e ch a poteva accadere solo er sp cle della FIGC, perché sdpverona Chi gioisce della débâ esto e, è un illuso. verso altre disciplin si vuole ‘sfruttare’ qu ne Se zio re di no bi m ca sor) per cogliemomento bisogna sa o intellire l'occasione in mod investendo gente e costruttivo, sione e in promozione, diffu così si lo settori giovanili. So e alternapossono creare valid @Sdpvr ne che, tive al gioco del pallo à er st re e a st comunque vada, re e diffuso lo sport più praticato in Italia. sopra riporAnche se, visti i dati rischia di ritati, il nostro Paese di (ta)vecchi! manere monopolio
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Andrea DIOCESI DI VERONA
di Mons. Giuseppe Zenti - Vescovo di Verona
il Don che viveva di sport
S
e n’è andato all’improvviso lo scorso 29 settembre lasciando un grande vuoto in tutti noi. Don Andrea Giacomelli parroco di Cisano e direttore dell’Ufficio pastorale turismo, tempo libero e sport della Diocesi di Verona, è stato per anni un riferimento per lo sport veronese e per tutti coloro che, nello sport appunto, vedevano un momento unico di crescita e divertimento, soprattutto per i più piccoli.
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Grande appassionato di calcio (e mezz’ala dai piedi vellutati…) il ‘don’ sapeva trasmettere serenità e allegria, grazie al suo sorriso e alla sua educata presenza. Ci mancherà tremendamente come amico, confidente, sostegno e collaboratore. Impossibile sostituire la sua presenza perché lui era unico, con i suoi (tanti) pro e i suoi (pochi) contro. La redazione di SportDi+, con la quale collaborava da molti anni, ha deciso che non ci sarà futuro per la sua rubrica perché aveva un senso proprio perchè gestita da lui. Abbiamo quindi deciso di ‘prestare’ il suo spazio, per la prima e ultima volta, a sua Eccellenza Mons. Giuseppe Zenti, Vescovo di Verona, il quale ha voluto ricordarlo con le parole che seguono. Il sottoscritto e la redazione di SportDi+, invece, ci limitiamo a salutarlo con un semplice e commosso "Ciao Don!". “Don Andrea Giacomelli è nato il 5 luglio 1962 a Verona, quart’ultimo di 5 figli maschi, di cui 3 divenuti sacerdoti. Apparteneva alla Parrocchia di San Massimo. E’ entrato nel Seminario Teologico di Verona nel 1985, concludendo contemporaneamente gli studi in Pedagogia con la Laurea. Ordinato il 18 maggio 1991, è stato dapprima nominato Vicario parrocchiale a San Giovanni Lupatoto, fino al 1996, poi a Desenzano-Duomo, fino al 2001. Ha, in questi anni, conseguito un master presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale (a Milano). In Germania (a Spira) ha compiuto poi un’esperienza pastorale tra gli immigrati e contemporaneamente approfondito lo studio della lingua tedesca. Rientrato
nel 2003 e divenuto Collaboratore a Colombare di Sirmione, è stato incaricato per la Pastorale del turismo del Lago. Dal 2010 era parroco di Cisano e Direttore dell’ufficio diocesano della pastorale del turismo, sport, tempo libero e Pellegrinaggi. Quando don Andrea ai primi di ottobre del 1985 è entrato in Teologia ci guardava probabilmente un po’ spaesato, e anche noi non sapevamo bene come collocarlo. Era entrato direttamente in Teologia senza passare dal Minore e nemmeno da Casa San Giovanni. Ancora concentrato sugli studi (di Pedagogia), sulle prime abbiamo fatto un po’ di fatica a sintonizzarci: noi abituati al ritmo della vita comune, lui ancora abituato a vivere e a organizzarsi la giornata in modo autonomo. Tuttavia la sintonia è giunta presto: proprio a motivo del suo precedente cammino, ne abbiamo apprezzato il nuovo punto di vista su cose che davamo per scontate e con esso la sua maturità di giudizio. Così abbiamo imparato a conoscerlo e a capirlo, e penso altrettanto lui a capire noi. La parrocchia di San Massimo lo aveva aperto al servizio diocesano dell’ACR e da qui era nato il desiderio di mettersi a completo servizio della Chiesa attraverso il ministero presbiterale… aveva davanti anche due fratelli che questa scelta l’avevano già fatta. Don Andrea non si è mai imposto, ma ha anche sempre condiviso le sue idee, il suo modo di vedere, il suo avere sempre in qualche modo una visione “altra” che non voleva mettere in discussione il già acquisito per il gusto della critica o della demolizione, ma per trovare strade nuove, percorsi diversi possibili, e più inclusivi. Non amava le folle o le iniziativa di massa. Amava piuttosto mettersi in gioco nelle relazioni condivise, ‘alla pari’, tessute grazie al tempo speso, alla parola scambiata. Come una rete
che si intesse piano piano, filo per filo, e di cui ci si accorge solo alla fine, o quando la si guarda dall’alto (come ora) della vastità dei quadri tracciati, dei nodi legati, degli snodi tracciati e della ricchezza contenuta. Non amava le grandi organizzazioni, preferiva la familiarità, anche indulgendo talvolta alla improvvisazione, in modo che le cose apparissero più ‘naturali’, ma non per questo smetteva di organizzare, o di pensare a iniziative nuove che permettessero di costruire qualcosa insieme con nuove persone nuovi gruppi o associazioni. La sua scomparsa improvvisa, la vostra presenza qui, ci mostra però quanto il suo lavoro ‘sotto traccia’ stesse portando frutti. Lui cercava sempre di ‘allargare’. Aveva certamente della Chiesa una visione ‘estroversa’. Probabilmente per questo aveva chiesto di fare un percorso diverso, approfondendo prima la lingua tedesca in Germania e poi, rientrato in Diocesi, dedicandosi a curare la pastorale dell’accoglienza dei turisti del lago di Garda. E così l’esperienza ecumenica, già iniziata in Germania e continuata con la partecipazione per alcuni anni alla relativa Commissione diocesana. Un po’ alla volta il suo è diventato un progetto sempre più concreto, anche con il segno della casa di Cisano, predisposta ad hoc per rendere possibile una ospitalità di persone che avevano bisogno di vivere qualche giorno di vacanza o riflessione, ma in modo diverso, per condividere la
fede, l’amicizia, o per poter offrire (in modo sostenibile) qualche giorno di distensione a qualche ragazzo diversamente abile. Ci sembrava proprio che don Andrea in questi anni avesse trovato una sua dimensione e un suo equilibrio, fatto di contatto con la gente in parrocchia e di parrocchia, ma insieme con una infinità di finestre aperte sul vari mondi: i turisti del lago di Garda, il caleidoscopio delle realtà e delle iniziative sportive, i pellegrinaggi, tutto ciò che permetteva di costruire ponti e relazioni tra le persone. E proprio in questo momento ci è stato chiesto di lasciarlo andare… per la sua strada, per gli spazi infiniti del cielo. Don Andrea non era il ‘tipico’ prete, è stato un prete per tanti aspetti ‘atipico’, ma del prete ha mostrato certamente il grande desiderio di vivere una fede gioiosa, quotidiana, discreta, dai tratti
‘laici’, ma animata dal desiderio che l’esperienza cristiana diventasse sale che da sapore alle più svariate realtà, e ponte che unisce le più svariate persone. Tra le tante osservazioni e commenti scritti dai giornali uno ci ha colpito, quello che lo ha definito un prete sempre ‘garbato’. Ed è infondo vero, lui si è sempre proposto in modo ‘garbato’, senza per questo celare le sue convinzioni e le sue idee. Credo la sua morte ci consegni una duplice sfida: vivere una fede capace di fare i conti con la quotidianità, con le piccole-grandi cose del vivere di ogni giorno; fare in modo che la nostra esperienza di uomini e di cristiani sia luogo per apprezzare il tanto bello e il tanto bene che già esiste attorno a noi, per conoscerlo, metterlo in relazione, costruendo ponti e promuovendo così la vita bella e buona del Vangelo”.
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IL CORNER DI TOMMASI di Damiano Tommasi
figure
mondiali I
talia-Svezia giocata a S.Siro non ha bisogno di commenti e si può riassumere nel pianto in diretta di Gianluigi Buffon alla sua ultima partita in maglia azzurra. Il dopo Italia-Svezia, invece, merita un commento e sollecita una riflessione profonda. Nel dopo partita della sconfitta (seppur senza subire gol) diventata storia per il calcio italiano si sono sentite le soli voci di calciatori ed allenatore, dei dirigenti nessuna traccia. Ecco, credo che sia questa la vera sconfitta del nostro movimento calcistico. In un momento di difficoltà massima, quando il gioco si fa duro direbbe qualcuno, nel momento della sconfitta il calcio italiano non è riuscito ad avere al suo vertice nessuno in grado di metterci la faccia. Presidente, due vice presidenti e direttore generale non hanno percepito che in quel momento si stava muovendo dentro
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il pubblico calcistico un sentimento misto di delusione, amarezza, rabbia e sconforto. C’era bisogno di speranza a S.Siro nel dopo partita, speranza e autocritica. Il primo passo che tutti si aspettavano non si è stati in grado di farlo, il primo passo indietro per aprire una discussione/riflessione che dovrà durare qualche anno. Niente di tutto ciò e ci sono voluti, oltre che i 7gg trascorsi, interventi autorevoli e pagine e pagine di critiche, commenti, appelli e polemiche. In quella settimana del dopo Svezia si è toccato con mano il livello della nostra dirigenza calcistica, e forse sportiva, con la corsa a salvare il salvabile. Nomi di allenatori lanciati nella mischia per “ripartire subito” sapendo benissimo che per ripartire bisogna pensare a medio-lungo termine. Nessun allenatore verrà contrattualizzato per più di 4 anni e il calcio italiano deve iniziare a pensare con orizzonte temporale decennale.
Sia ben chiaro che le soluzioni magiche non esistono ma una cosa per trovare eventuali possibili soluzioni è certa, dobbiamo prima riconoscere che c’è un problema! Non è certamente con le dimissioni o l’esonero di una o due persone che si risolvono i problemi perché se il calcio italiano negli ultimi anni è riuscito ad esprimere questo livello di rappresentanti un problema radicato c’è anche tra i rappresentati. Ora si è aperto un capitolo forse ancora più deludente con la doppia opzione commissario o nuove elezioni. Dico deludente perché avverto che la scelta dell’una o dell’altra procedura formale è solo, ed esclusivamente, dettata dalle probabilità che si hanno di tenere/conquistare la poltrona. Pochi pensano a quale sia l’opzione migliore per il calcio dei nostri figli.
A CANESTRO CON ZANUS di Cristiano Zanus Fortes
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arliamo di Scaligera Basket, realtà storica dello sport Veronese, una società che dopo il fallimento nel 2002, grazie alla passione di pochi affezionati, è riuscita a rinascere dalle proprie ceneri. Passati i fasti delle storiche coppa Italia e coppa Korac da ormai qualche anno sta tentando di risalire nel massimo campionato per poter finalmente riproporre alla platea veronese (di indubbio palato fine) la serie che si merita. Impresa che con l'attuale regolamento assomiglia vagamente ad una giocata al superenalotto del sabato pomeriggio per le probabilità di riuscita. Dopo la promozione sfiorata della stagione 2014 / 2015 la proprietà nella perona di Gianluigi Pedrollo e del figlio Giorgio sta cercando di capire come pianificare questa impresa Titanica. Da quest'anno, complice un accordo finalmente triennale con lo sposor storico Tezenis, il GM Daniele Dellafiori ed il Coach Luca Dalmonte stanno lavorando alacremente per creare una strategia che porti, in un'ottica di progressione, alla tanto agoniata promozione. Una pianificazione che va oltre la semplice costruzione di un roster competitivo, ma che mira far crescere e consolidare il settore giovanile vera linfa di una società, che vuole una rete sempre più allargata di aziende a sostegno del progetto e che vuole coinvolgere sempre più persone che alla domenica possano passare un momento piacevole a sostenere la squadra e a godersi del buon basket.
di Giorgio Vincenzi
Cresciamo insieme Le scelte tecniche in quest'ottica sono state ovviamente quelle di una squadra giovane e talentuosa con tanta voglia di lavorare e migliorarsi. Una squadra che ha bisogno del sostegno di tutto l'ambiente per trovare quella fiducia che, ne siamo certi, la porterà lontano.
A questo punto non resta altro che accorrere numerosi all'AGSM Forum pronti a tifare, a soffrire e ad emozionarsi tutti insieme tifando Scaligera. Buon basket a tutti.
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OPPEANO
Sportivamente...Sindaco! di Michela Saggioro Il Sindaco di Oppeano, Pietro Luigi Giaretta, ha mantenuto per sé la delega allo sport, oltre ad alcune altre. Scelta dettata dal fatto che segue da anni, con passione, lo sport sul territorio comunale e che, soprattutto, è a sua volta uno sportivo, iscritto all’Associazione Oppeano Bike di Oppeano. Su questo numero di SportDi+ magazine, l’ultimo del 2017, ci racconta la sua passione per lo sport e gli obiettivi per il nuovo anno ormai alle porte. Sindaco Giaretta, che anno è stato per il comune di Oppeano e in generale per lo sport, sia a livello di praticanti e società sia a livello di strutture e impianti? A ragione posso dire che è stato un anno impegnativo ma pieno di soddisfazioni, per i risultati di sportivi di valore, quali quelli del ciclista Elia Viviani, e in generale per le società del territorio che hanno proseguito le loro attività con buoni numeri di tesserati. Per prima cosa però vorrei chiarire cosa intendo quando parlo di sport: se per i bambini l’attività fisica è sinonimo di socialità ma anche di una crescita fisica, la fase successiva nell’età giovanile è quella di una scelta consapevole del “fare sport”. Molti ragazzi proseguono ad esempio nell’attività calcistica. Mentre altri cercano (anche grazie al supporto dei genitori, quanto mai necessario) discipline a loro più consone, che sul territorio comunale di Oppeano offre. Da lì in poi lo sport è amore per sé stessi, ma anche passione. E qualcuno, perché no, arriva al successo grazie alla passione: qualche giovane campione si distingue nella squadra ACD Oppeano oppure pensiamo al successo di Elia Viviani, grande sportivo e giovane di grande umanità, che con enormi sacrifici è arrivato prima alle Olimpiadi di Londra e poi l’anno scorso a vincere l’oro alle Olimpiadi di Rio de Janeiro. E nel 2017 ha vinto due tappe al Tour de Poitou Charentes di Francia e un secondo e terzo posto al Tour of Britain. Quante società sono presenti sul territorio e quanti i tesserati nelle varie discipline? Ben 15, e tutte molto attive. Si tratta di: ACD Oppeano, Gruppo Sportivo Sociale di Mazzantica, Junior Oppeanese, Amatori Oppeano, Rangers Vallese e Futsal Club Ca’ degli Oppi; Polisportiva, che segue varie discipline dal Basket alla pallavolo, dal minivolley allo yoga, dalla ginnastica adulti alla danza per le giovani; ginnastica artistica; Tennis Club con sede a Oppeano; Asd Aiki Team di arti marziali e difesa personale; C.S.S. La Fontana di Villafontana e GS Vallese podisti che orga-
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nizzano marcie podistiche e camminate; Infine tre società sportive di ciclismo: GS Luc di Bovolone, iscritta anche a Oppeano, Oppeano Bike, di recente nascita, ed Evolution Bike. Cosa ‘bolle in pentola’ per il 2018? Certamente continuare a garantire alla comunità la presenza di tali sport sul territorio, mantenendo buoni rapporti con le società sportive stesse; ad esempio l’Amministrazione comunale eroga alcuni contributi a sostegno di attività spor-
tive della Polisportiva, o del Circolo Tennis. Il Tennis nel 2017 ha organizzato vari tornei: in primavera un evento di quarta categoria maschile a cui hanno partecipato 132 tennisti, poi un torneo giovanile e, a inizio settembre, un torneo di quarta categoria femminile ed uno maschile. Il Comune ha anche partecipato con spese per l’acquisto di pulmini ad es. per il calcio e la Polisportiva. Un ruolo importante nel mondo sportivo lo rivestono i volontari...
Sono pienamente d’accordo e per questo come Amministrazione da anni manteniamo attive le convenzioni con le associazioni calcistiche per le manutenzioni degli impianti sportivi del capoluogo, di Vallese, di Mazzantica e Ca’ degli Oppi. I molti volontari del settore sportivo tengono vivo il tessuto e forniscono un importante servizio, per bambini, giovani e adulti. Inoltre i volontari garantiscono un controllo e un’adeguata gestione degli impianti sportivi, visto che li utilizzano settimanalmente se non quotidianamente. Altro ruolo fondamentale nella promozione dello sport lo ricopre il Coni Verona... Un enorme grazie va al Coni per il sostegno e la vicinanza che in questi anni ha dimostrato: grazie al presidente provinciale Coni Stefano Gnesato abbiamo organizzato serate informative dedicate allo sport, alla salute e all’alimentazione; ma anche eventi sportivi importanti come La festa intercomunale dello sport, che è una festa itinerante e coinvolge gli alunni della primaria. I bambini in questa occasione possono cimentarsi in nuove e sconosciute discipline. Oppeano è parte del Comitato Intercomunale dello Sport, sempre molto attivo e partecipe degli eventi, come il Natale intercomunale dello sport. Tra le iniziative più importanti La grande sfida che anche Oppeano ha ospitato a favore dei ragazzi disabili del nostro territorio. Il Coni dà un supporto importantissimo per la formazione degli allenatori, per la sicurezza sportiva e il primo soccorso, che non riguardano soltanto dirigenti e società ma anche i genitori. Essi debbono infatti essere i primi tifosi dei loro bambini ma proprio per questo coscienti dei problemi e dei limiti: lo sport è fatto in primis per divertirsi e crescere insieme. Un sogno nel cassetto come Sindaco ma sopratutto come sportivo di Oppeano? Il mio sogno è di vedere tutti i ragazzi impegnati nello sport, compatibilmente con le nostre strutture sportive. Già aver proposto lo sport all’interno delle scuole è motivo di avvicinamento all’attività motoria: la speranza è anche quella di ottenere maggiori finanziamenti ed avere fondi per le strutture sportive. A Oppeano sarebbe bello ad esempio poter realizzare una piscina, delle ciclabili che permettano ai ragazzi di andare in sicurezza, una pista di pattinaggio. Ovvero offrire loro qualcosa che li avvicini al mondo dello sport e delle passioni.
SportDi+ è una rivista di qualità, trasmette un buon messaggio a tutti gli sportivi e non solo, perché non è realizzato come il classico giornale sportivo. Si tratta invece di un sunto di tante iniziative della provincia di Verona, utili a dare spunto alle società sportive del territorio. Inoltre attraverso Sport di Più possiamo venire a conoscenza di tante sportive sconosciute, magari perché non svolte nel nostro Comune ma organizzate magari nel Comune limitrofo. Insomma la nostra è una collaborazione efficace per l’Amministrazione comunale e per le tante società e strutture sportive di Oppeano che attraverso di essa hanno al giusta visibilità nella Provincia. Un augurio ai suoi concittadini e a tutti gli sportivi veronesi in vista del 2018? Facile: restando nell’ambito dello sport mi auguro che tutti
possano continuare o iniziare a svolgere un’attività sportiva, al di là dell’età e certamente grazie a qualche piccolo sacrificio. Questo rende più sereni ci aiuta a scaricare la tensione quotidiana; se tutti facessero più sport sono certo diminuirebbero cattiveria ed arroganza. Lo sport insegna a stare assieme e a rispettare le regole, insegnamenti che possiamo poi mettere in pratica nella vita quotidiana.
La collaborazione con SportDi+ magazine è sempre più solida e consolidata…
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LEGNAGO
Professione sport Lavorare nel mondo nello sport è un sogno di molti, ma questo sogno può diventare realtà con la giusta dose di impegno, determinazione e forza di volontà. È questo il messaggio principale emerso dal convegno Professione sport. Lo sport come professione, tenutosi giovedì 9 novembre all'interno del Liceo Cotta di Legnago a cui, oltre agli studenti dell’indirizzo sportivo dello stesso, hanno partecipato anche gli alunni del Liceo Sportivo Galilei di Verona. Una mattinata che ha visto alternarsi testimonianze di chi ce l’ha fatta, grazie a passione, studio e sacrifici, ma anche grazie a opportunità che si sono presentate quasi per caso e che sono state prontamente colte. L’incontro è cominciato con i saluti del preside del Cotta Lauro Molinaroli, l’ex preside Silvio Gandini e l’assessore allo sport di Legnago Tommasi Casari; a seguire i primi due interventi in cui Luciano Bertinato, docente universitario di Scienze Motorie e Davide Ghidoni, personal trainer della palestra Virgin Active di Verona, raccontano le loro esperienze. Entrambi attivi sul campo, Elena Zarattin nel tennis e Matteo Bianchetti nel calcio, incitano gli studenti ad avere sempre un piano di riserva: «Mi sono iscritto da poco a Scienze Motorie perché so che a
un certo punto il mio fisico non reggerà gli stessi ritmi», afferma il giocatore dell’Hellas, «Con una certa istruzione potrò ritagliarmi un altro ruolo all’interno del mondo dello sport». Presente anche l’ex pallavolista Ferdinando De Giorgi, detto “l’eroe dei tre mondi” per le tre vittore consecutive ai mondiali (90-94-98) in tre diversi continenti (America, Europa, Asia): «Tutti mi dicevano che ero troppo basso per giocare a pallavolo, ma io ho dimostrato il contrario. Fatelo anche voi, dimostrate di poter superare gli ostacoli per raggiungere i vostri obiettivi». Prosegue Andrea Spiazzi, che spiega ai ragazzi la professione di Osteopata e Massofisioterapista, seguito da Donato Sarcinella, mental coach di grandi atleti. Concludono l’evento due professionisti del Chievo Verona: il dirigente sportivo Luca Faccioli che illustra il percorso che dal basket lo ha poi portato al mondo del
pallone e il preparatore atletico Luigi Posenato, che sottolinea l’importanza della preparazione universitaria in Scienze Motorie nel suo lavoro e, in generale, in qualunque professione sportiva.
MONTEFORTE
Viet vo dao a Monteforte A Brognoligo e Costalunga di Monteforte d’Alpone esiste una realtà sportiva che regala a bambini, ragazzi e adulti una fantastica opportunità per avvicinarsi al mondo delle arti marziali. Da più di 10 anni, infatti, nella piccola palestra del Palazzetto dello sport di Brognoligo si insegna e pratica Viet Vo Dao. Tutto è iniziato nel 2005 quando l’allora Cintura Nera 1° Dang e neoistruttore Gianluca Zoppi decise di aprire un centro per praticare questa attività sportiva. Il primo giorno gli alunni erano cinque, poi i numeri piano piano sono cresicuti e i corsi si divisero in Bambini, Ragazzi e Adulti. Nel 2008 Gianluca Zoppi sostenne l’esame per il conseguimento del 2° Dang e nel 2009 gli viene concesso dal Gran Maestro vietnamita Bao Lan il Vo Dahn (nome d’arte) Phong Ho, che significa “Tigre del Vento”. Poi cominciarono le prime soddisfazioni nelle varie gare annuali, regionali e nazionali; infine, nel 2015 conseguì il grado di 3° Dang. Nel corso degli anni attorno a Zoppi si è costruito un affiatato e solido gruppo di atleti. La palestra vanta quattro Cinture Nere 1° Dang (Pressi Leonardo, Ergazzori Alberto, Zoppi Francesca) e undici Cinture Nere (Zoppi Alessandra, Tamellin
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Luca, Leorato Edoardo, Checcozzo Luca, Nardi Michele). Il Viet Vo Dao, che è una delle discipline della polisportiva Asd Hellas Monteforte, a Monteforte continua a crescere e oggi conta più di 100 iscritti (nel 2016 era il centro più grande d’Italia). Tra questi, tanti bambini e una nutrita presenza femminile. Il termine “Viet Vo Dao” significa: “La via dell’arte marziale del popolo vietnamita”. Ciò sta a significare che non è un’invenzione di una sola persona, ma è l’opera di un popolo che, nel corso della sua storia, dovette lottare costantemente per sopravvivere. L’anima di questa disciplina
risiede profondamente nell’armonia tra mente e corpo, tra uomo e società, tra uomo e natura. L’addestramento del Viet Vo Dao si basa su tecniche di mani e di piedi, ma insiste molto anche sulle tecniche di acrobatica applicata alle cadute e alle prese al volo, di difesa personale e soprattutto di respirazione. Oltre alle tecniche di combattimento a mani nude, si impara ad usare armi come la spada, il bastone, la lancia e l’ascia. Ciò fa del Viet Vo Dao un’arte completa che mira principalmente alla cultura della salute del proprio corpo e all’autodifesa. Tutti gli allievi rispondono ad un unico motto, che è il motto ufficiale del Viet Vo Dao: ESSERE FORTI PER ESSERE UTILI MANO D’ACCIAIO BONTÀ DI CUORE. L’Assessore allo Sport di Monteforte d’Alpone Moreno Floriani
VERONA
Per un turismo accessibile Si è tenuto venerdì 27 ottobre all’interno della Gran Guardia di Verona il convegno Il Turismo Accessibile Veronese: modelli di sviluppo organizzato dalla Cooperativa sociale Yeah e patrocinato dal Comune di Verona e dalle principali associazioni del settore turistico. L’evento, giunto alla sua terza edizione, ha permesso il confronto tra i vari attori coinvolti sul tema della disabilità, sottolineando l’importanza di puntare sull’accessibilità per lo sviluppo economico e sociale. Nella prima parte del congresso, moderato dalla giornalista Valentina Bazzani e da Marco Andreoli, co-fondatore di Yeah, si è dato spazio agli interventi di istituzioni e operatori turistici, che assicurano il massimo impegno per una migliore accoglienza nei confronti di tutte le persone con esigenze specifiche. Si è poi passati alle testimonianze dirette di Vincenzo Zoccano, presidente del Forum italiano sulla disabilità, Consuelo Agnesi, architetto e consulente per la progettazione accessibile e Fabio Lotti, altro co-fondatore di Yeah. I tre hanno voluto evidenziare come, dalle azioni per migliorare la fruibilità turistica delle persone con disabilità, derivi un sostanziale beneficio per tutti, turisti e cittadini. Il momento conclusivo del convegno ha portato alla luce esempi virtuosi di accessibilità nel panorama turistico veronese, come Gardaland, che da un paio d’anni collabora con Yeah proprio su questo tema e che ha recentemente presentato il servizio Easy Rider, una guida specializzata che fa da cicerone per gli ospiti disabili all’interno del parco. Di particolare importanza anche l’esperienza di Radiotaxy Verona, i cui operatori hanno svolto un corso di formazione organizzato proprio da Yeah, per garantire un servizio davvero per tutti. SANGUINETTO
GAPS 30 Raduno Pierini della Bassa Anche quest'anno il gruppo Gruppo Amici Pescatori Sanguinetto (G.A.P.S.) ha organizzato il tradizionale Raduno di pesca riservato a tutti i ragazzi dai 6 ai 17 anni. Lo scorso 27 settembre si sono trovati a Sustinenza località Facciabella presso il fiume Cao per trascorrere un pomeriggio assieme ai ragazzi e ai loro accompagnatori (genitori e nonni). L'entusiasmo è stato alle stelle specialmente per i Pierini (i bambini più piccoli), dovuto anche al fatto della loro prima esperienza con una canna da pesca e un bigattino da attaccare all'amo per poter convincere il pesce ad abboccare all'esca, lo si sfama sino a fine gara in attesa che lo si possa pesare e poi viene rimesso nel suo habitat naturale (cioè in acqua). Nel frattempo gli organizzatori prepararono i panini, le bibite da distribuire ai giovani pescatori ed ai loro accompagnatori. Una mezza giornata che il tempo ci ha permesso di
dedicare al divertimento, all'amicizia e allo sport. Al termine della gara dopo aver fatto la pesatura dei pesci e le classifiche suddivise per fasce d'età, il presidente del G.A.P.S. Rossini Franco prima e l'assessore allo Sport Totti Guido hanno ringraziato i pescatori, gli accompagnatori e gli organizzatori per la loro partecipazione, l'impegno dimostrato, la sportività e la passione di vivere questo sport a stretto contatto con la natura e il paesaggio che ci circonda; rimarcato alcuni valori che nella società moderna a volte vengono tralasciati e a cui si da poco risalto. L'entusiasmo sale al massimo quando giunge il momento delle premiazioni di tutti i ragazzi (erano 53 i presenti) con
trofei, coppe, cappellini e oggetti vari offerti da numerosi sponsor che solo grazie a loro si può portare avanti questa tradizione. Ci mancava qualcuno ma siamo sicuri che da lassù ci ha osservato e condiviso il nostro lavoro: ciao Carlo! A nome di tutta l'Amministrazione Comunale - commenta l'assessore Totti - un sentito ringraziamento a tutti i volontari per ottima organizzazione e la passione che ci mettete nel portare avanti questa tradizione continuate così...
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EVENTO
di Giuditta Casi
Coni Verona in festa con le benemerenze 2016
A
nche quest’anno, come da consuetudine, si è svolta in Sala Arazzi del Comune di Verona, la cerimonia di consegna delle benemerenze del Coni Verona relative ai risultati conseguiti durante l’anno 2016. Lunedì 13 novembre, alla presenza di un numerossimo pubblico composto da dirigenti, autorità, giornalisti e sportivi in generale, il sindaco Federico Sboarina e l’assessore allo sport Filippo Rando hanno fatto gli onori di casa, sottolineando in più riprese come la sinergia tra Comune di Verona e Coni, sia un punto fermo per lo sport scaligero che, in futuro, porterà alla realizzazione di progetti e iniziative orientate alla promozione e diffusione della cultura dello sport e delle discipline meno conosciute. “Verona - ha esordito il presidente Coni Veneto Gianfranco Bardelle - è tra le città più attive nell’organizzazione di eventi e manifestazioni sportive nel Veneto, regione che a livello nazionale si piazza al secondo posto dietro la Lombardia - prima se si considera
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il numero di abitanti - come numero di tesserati, ben 460000 nelle varie federazioni. Un segnale quindi importante sul quale è riflettere e costruire un percorso che possa mettere in condizione i nostri giovani di praticare sport. Il tutto seguendo le regole e nel massimo rispetto dell’avversario. Un grazie va tutti i volontari (oltre 14000 per quanto riguarda il Coni nazionale) che garantiscono sempre un supporto fondamentale”. “È un’emozione essere qui stasera, a questa cerimonia, in veste da sindaco - ha evidenziato Federico Sboarina - visto in precedenza l’ho vissuta da assessore allo sport e da fiduciario Coni Verona, una città che è a livello nazionale non ha eguali per quanto riguarda eccellenze sportive. Ma non solo: il movimento dilettantistico e amatoriale è un impulso fondamentale per la crescita sportiva della nostra città e noi, come amministrazione comunale, faremo di tutto per supportare, nei limiti consentiti dal bilancio, chi ci chiederà sostegno”. “Lo sport - ha proseguito l’assessore allo
sport di Verona Filippo Rando - ha un ruolo importante nella vita e nella crescita di una comunità. Lo sport Veronese sta bene e noi siamo attenti affinchè possa continuare così anche in futuro. Le benemerenze sportive ce il Coni Verona assegna ogni anno sono il premio per le eccellenza ma sono un riconoscimento che idealmente va a premiare tutti gli sportivi”. “La cerimonia della consegna delle benemerenze - ha concluso il delegato provinciale Coni Verona Stefano Gnesato - è sempre una serata bella e importante per lo sport scaligero. Ogni anno è bello ritrovarsi e condividere questo momento con tante persone. Quest’anno a questa grande festa, purtroppo, mancavano due amici, due persone speciali che hanno lavorato tanto con noi e che purtroppo ci hanno lasciato, sto parlando di Don Andrea Giacomelli e Tiziano Cordioli. Anche per loro ci impegneremo ad essere sempre più presenti e attivi su territorio e a trasmettere i valoro nei quali loro credevano tanto.
Il 2018 per il Coni Verona sarà un anno importante, di grandi novità e nuovi progetti. C’è tanto da lavorare ma questo non ci spaventa, anzi: noi siamo qui per questo!”
I PREMIATI Medaglie al VALORE ATLETICO Bertolini Michele FICK Melotti Nicolò FICS Bissaro Vittorio FIV Moscon Matteo FIP-SAS Boffa Jonathan FIN Palazzo Xenia Francesca CIP Brunelli Carlotta FIPE Parpajola Alice FIBS Caldana Franco FICSF Perazzoli Francesco Tiro Dinamico Corrà Marco FITri Pizzini Luca FIN Cristofoli Roberto FCI Refrontolotto Sivia FIBS De Trombetti Elisa FIBS Rio Kevin FIV Ferrari Nicolò FICK Roncari Debora FISI Giarolo Christian ACI Scardoni Lucia FISI
Gorgoni Giulia FIBS Scartezzini Michele FCI Hooper Gloria FIDAL Zafkova Carlotta FIN Isalberti Flavio FIPT Ivaldi Zeno FICK Lombardo Jennifer FIBS Manassero Matteo FIG Stelle di Bronzo ai Dirigenti sportivi Cametti Silvio FIN Culicchi Roberto FIBS Fortini Rolando CIP Maccachero Giuseppe FCI Palma di Bronzo ai Tecnici sportivi Rigamonti Marcello
FIN
Stelle di Bronzo alle Società A.S.D.Pallavolo Antares FIPAV
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INTERVISTA
di Alberto Cristani (in collaborazione con Paola Gilberti) - Foto Simone Pizzini
El Pata
Rock 18 sportdipiu.com
È
indiscutibilmente uno dei pezzi pregiati della collezione 2017-2018 griffata ChievoVerona. Le sue percussioni, le sue giocate e il suo temperamento hanno fatto innamorare di lui non solo i tifosi della Diga ma anche molti estimatori in ogni parte del mondo. La scorsa estate non è passato giorno in cui il suo nome non venisse accostato a squadre come Torino, Genoa, Atalanta, Roma, giusto per citarne qualcuna. Alla fine però Lucas Castro è rimasto alla corte del presidente Luca Campedelli, per la gioia dei tifosi e del tecnico Maran. El Pata, che in argentino significa ‘piedone’, soprannome che lo accompagna fin da quando era bambino, è il classico giocatore che tutti gli allenatori vorrebbero avere in squadra, un 'cagnaccio' del centrocampo che non disdegna le giocate di fino impreziosite da gol d’autore (vedi doppietta contro la Fiorentina dello scorso 1 ottobre n.d.r.). Nato a La Plata, 9 aprile 1989, Lucas inizia la sua carriera da calciatore ‘vero’ nel 2003, quando viene acquistato dal Gimnasia De La Plata dove compie tutta la trafila delle formazioni giovanili fino al 2009, anno del suo debutto da professionista con la prima squadra. Nell’estate del 2012 inizia la sua avventura nel campionato italiano di serie A con la maglia del Catania, dove rimarrà fino al giugno del 2015 quando viene acquistato dal ChievoVerona. Il 19 gialloblu (suo numero sin da quando giocava in Argentina n.d.r.) si fa però apprezzare anche fuori dal campo. Infatti le sue attenzioni - quando non sono rivolte alla moglie Fernanda e ai figli Dante e Juana - si spostano decisamente verso la musica, una passione che lo accompagna da sempre. Andiamo però con ordine.
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Per prima cosa Lucas, raccontaci quando, dove e perché hai iniziato a giocare a calcio? Avevo 5 anni e giovavo nelle piccole squadre di Paese, a calcio a 7. Poi a 12 anni sono andato al Gimnasia De La Plata dove ho fatto tutta la trafila delle giovanili fino a debuttare in serie A. Il Gimnasia è la squadra della mia città, dove sono cresciuto come calciatore e che tifo. Come mai hai scelto proprio questo sport? In Argentina il calcio è importante: ci sono tanti campi, anche sulle strade, dove si può giocare e quindi è abbastanza normale che molti i bimbi scelgano il pallone. Proprio per questa ragione è molto difficile emergere e arrivare in alto. Io ce l’ho fatta e questo mi rende particolarmente orgoglioso. Ti sei ispirato a qualche giocatore in particolare? Da piccolo avevo un giocatore che mi piaceva molto, che adesso non gioca più: Juan Roman Riquelme. Aveva caratteristiche diverse dalle mie: lui era un ‘10’ e quindi molto tecnico, ma era il migliore della squadra, quello che tutti i bambini guardano. Io ho sempre cercato di avere un mio stile, prendendo il meglio dai compagni con i quali ho giocato. Maradona o Pelè? Maradona Cristiano Ronaldo o Messi? Messi Messi o Maradona? Maradona, senza dubbio (*) Quando hai capito che il calcio poteva diventare il tuo lavoro? Direi quando hanno iniziato a chiamarmi in prima squadra per fare qualche allenamento e, successivamente, mi hanno convocato sempre più spesso. In quel momento ho capito che potevo trasformare una passione in un lavoro e che questo era il mio percorso nella vita. Ti ricordi com’è arrivata l’opportunità di arrivare in Italia? Dopo aver giocato nel Gimnasia sono passato al Racing Club, una delle cinque squadre argentine più importanti. Lì ho fatto un anno buono. Il Catania mi ha notato e successivamente ha fatto un’offerta per tesserarmi. Appena mi hanno comunicato l’interesse del Catania ho subito accettato perchè volevo giocare in Europa. Inoltre lì c’erano già ben 10 argentini (Spollii, Bergessio e Izco per citarne alcuni n.d.r.) e quindi per me era l’ambiente ideale per inserirmi. A Catania tre anni importanti, poi è arrivato il Chievo Verona. Filo conduttore: Rolando Maran.
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Raccontaci un po’ il ‘tuo’ mister A lui devo tanto: tutto quello che ho imparato qui in Italia me lo ha insegnato lui. È l’allenatore che ho avuto per più tempo nella mia carriera e quindi lo ricorderò sempre. E inutile sottolineare quanto sia 'ed è tuttora' importante per me. Quando sono arrivato a Catania ero un po’ a disagio ma lui mi ha fatto giocare subito, dandomi fiducia dall’inizio. Abbiamo avuto subito un rapporto eccezionale e sono contento di averlo ancora vicino. Se la mia carriera prosegue bene lo devo anche ai suoi consigli: mi ha fatto crescere molto come calciatore e come uomo. Cosa ti piace di Verona come città? È ordinata, tranquilla, il che la rende diversa da tante altre città. È piacevole abitare qui, ambiente ideale anche per i bambini. E poi è una meta eccezionale per i turisti, il che la rende a tutti gli effetti una città internazionale. E i veronesi come sono? Beh, non sono così caldi come gli argentini, ma sono ugualmente sempre molto accoglienti e gentili. In questi anni ci sono stati anche molti tifosi dell’Hellas che mi hanno fermato per farmi i complimenti; questo significa che, al di la della rivalità, c’è comunque molto rispetto ed educazione. Ai fornelli come te la cavi? C’è qualcosa che ti piace cucinare in particolare? Adoro fare il barbecue! Purtroppo ora vivo in appartamento e quindi non lo posso fare...
Ti piacciono la cucina e i vini italiani? Sì, molto. C’è una varietà di prodotti e di cibo in Italia che è unica. Un piatto che mi piace in particolare è il risotto: davvero speciale! Una tua grande passione è la chitarra… Già, un amore che è sbocciato anche questo da piccolo. La mia città ha molte band e cantanti e questo mi ha senza dubbio influenzato. Come ho imparato? Semplicemente ascoltando chi già lo sapeva fare e poi suonando con i miei amici. Cos’è per te la musica? È in primis una passione ma anche un momento per staccare la spina da quello che mi circonda. Quando suono non penso a niente: la musica mi fa stare fuori da tutto e mi fa stare bene. Bene, allora vediamo di scoprire i tuoi gusti musicali. Carlos Santana, David Gilmour, Eric Clapton, Jimy Hendrix, Jimmy Page: chi è il più grande fra questi? Eh, è una bella lotta! Difficile fare una classifica. Questi sono tutti dei mostri sacri! Se però devo scegliere dico Eric Clapton. Prima di scendere in campo, per caricarti, cosa scegli fra Smoke on the water dei Deep Purple, Sweet Child O’ Mine dei Guns N’ Roses, Back in Black degli Ac/Dc oppure Money for nothing dei Dire Straits? Mi piacciono i Guns; suono molto le loro canzoni anche senza cantare perché non conosco bene l’inglese. Perciò scelgo Sweet Sweet Child O’ Mine.
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Un gol lo festeggi con Jonny be good di Chuck Berry, Born to run di Bruce Springsteen, Walk this way degli Aerosmith o Seven nation army dei White Stripes? Questa volta dico Aerosmith e quindi Walk this way.
te. Tu a fine carriera farai il chitarrista? Beh, pensare alla fine della carriera oggi come oggi è direi che è prematuro. Ci penserò tra qualche anno, anche se, non escludo, un post-calcio da chitarrista. Vedremo…
Qual'è la canzone che porti nel cuore e perché? In questo caso non scelgo una canzone famosa ma una che ho scritto io per mia moglie che si intitola Chica de la plata.
Blues, Rap, Reggae, Rock: il ChievoVerona è... Assolutamente rock, siamo una squadra tosta!
Che papà e marito è Lucas Castro? Eh, questo dobbiamo chiederlo ai miei figli e mia moglie (ride n.d.r.). Io con loro, è inutile dirlo, sto benissimo, sono il mio mondo, la mia dimensione ideale. Mi piace stare in famiglia. Ogni giorno cerco di fare il massimo per renderli felici e sereni, dandogli tanto calore e amore. Pablo Daniel Osvaldo a 30 anni ha appeso le scarpe al chiodo per diventare cantan-
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E Lucas Castro è? Direi sempre rock, adatto a qualsiasi pubblico!
(*) Lucas ha dedicato a Maradona una canzone, pubblicando un video sul suo profilo Instagram. Il ‘Pibe de oro’ ha apprezzato molto la performance di Lucas tant’è che, sempre con un social video, lo ha ringraziato con queste parole: "Ciao Lucas meravigliosa canzone, te lo dico sinceramente. Grazie per tanto amore, per tanto affetto. Grazie per aver fatto impazzire Dieguito e adesso speriamo di incontrarci presto. Mi auguro che tu possa avere una carriera spettacolare, la canzone è davvero fantastica. Ti mando un abbraccio enorme, ciao fratello” .
La domenica dopo l'intervista, in uno scontro di gioco avvenuto durante il primo tempo della partita Torino-ChievoVerona disputata ieri allo stadio Grande Torino, Castro ha riportato una lesione di grado elevato del legamento collaterale mediale del ginocchio destro. Operato martedì 21 novembre dal Professor Claudio Zorzi, Castro ha già iniziato la riabilitazione. La redazione di SportDi+ e tutti gli sportivi veronesi augurano a Lucas una pronta guarigione. Forza Pata!
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15/11/17 14:15
EVENTO
L’
di Chiara Ferrante - Foto di Mickael Chavet e Augusto Bizzi - Federazione Italiana Scherma
Italia ha il suo Mondiale e Verona sarà la capitale della scherma giovanile. “Pensare al presente, sognando al futuro” perché i Campionati Mondiali Cadetti e Giovani saranno a tutti gli effetti un’occasione per individuare i campioni di domani. Dall’1 al 9 aprile 2018, infatti, presso il Cattolica Center, quartier generale della società Cattolica situato nella zona industriale di Verona, non lontano dalla Fiera, si svolgeranno i Mondiali di Scherma Cadetti e Giovani. Dieci anni dopo Acireale 2008, a far da cornice ora, la città d’arte scaligera, Patrimonio Mondiale dell’Unesco dall’anno Duemila. La Manifestazione iridata, patrocinata dalla Regione Veneto e dal Comune di Verona, in collaborazione con Federazione Italiana Scherma, International Fencing Federation e Coni, vede il coinvolgimento della città in una serie di eventi collaterali, con l’obiettivo di promuovere i valori della scherma e dello sport mondiale attraverso i campioni di domani.
Road to Fencing
I NUMERI.
Dai 120 ai 130 i Paesi partecipanti, con oltre 1250 atleti, 2500 tra allenatori e accompagnatori e 90 ufficiali di gara. Quarantaquattro, invece, le pedane attive dove gli atleti disputeranno le gare ufficiali, disposte all’interno dei 25 mila metri quadrati di area evento. “I Campionati del Mondo Cadetti e Giovani” – commenta il Presidente della FIS, Giorgio Scarso – “sono una grande opportunità per la Federazione Italiana Scherma. È stato toccato con mano, poi, il coinvolgimento di tutta la città di Verona, una città dalla grande tradizione della scherma. E quando si parla di Verona nel mondo, si veicola non solo il nome della città e dell’Arena, ma dell’Italia e della sua cultura. Un evento, quindi, che metterà Verona, il Comitato Organizzatore, l’Italia, la scherma e lo sport italiano al cospetto di tante delegazioni e penso sia anche questo il modo di promuovere il nostro territorio e quelle che sono le capacità organizzative, culturali, storiche che poi Verona potrà offrire”
I TESTIMONIALS.
Volti ufficiali di Verona 2018, i campioni di scherma Valerio Aspromonte e Rossella Fiamingo, rispettivamente campione olimpico di fioretto a squadre alle Olimpiadi di Londra 2012 e argento olimpico nella spada femminile individuale Rio2016 e bicampionessa del mondo. I due sono i testimonials ufficiali dei Campionati del Mondo Cadetti e Giovani e rappresenteranno i modelli a cui si ispi-
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reranno gli atleti azzurri under17 ed under20 in pedana, essendo entrambi saliti sul gradino più alto del podio in queste categorie.
VERSO VERONA 2018.
Lo scorso ottobre, la FIE (Federazione Internazionale di Scherma) ha consegnato alla città e al Comitato organizzatore la bandiera celebrativa che attesta l’assegnazione della manifestazione iridata giovanile. Tra i presenti alla conferenza stampa in Sala Arazzi, il Sindaco di
Verona, Federico Sboarina, l’assessore comunale allo sport, Filippo Rando, il Presidente del Comitato Organizzatore, Luca Campedelli, il Presidente della FIS – Federazione Italiana Scherma, Giorgio Scarso, il Segretario Generale della FIE – International Fencing Federation, Emmanuel Katsiadakis, l’Assessore al territorio, cultura e sicurezza della Regione Veneto, Cristiano Corazzari, i testimonials e l’oro olimpico Sydney 2000, Alfredo Rota. All’interno di ‘Road to Verona 2018’, la marcia di avvicinamento ai Mondiali in
Verona 2018
continua evoluzione, tra gli eventi passati inseriti nell’ambito delle fondamentali attività di promozione si ricordano: i campionati assoluti Lipsia 2017, la Festa della Scherma a Firenze, il FencingMob in Piazza Brà, il workshop della Federazione presso il Circolo Ufficiali in Castelvecchio, la fiera Move a Vicenza.
LO SPORT PER VERONA 2018.
Non solo scherma. L’evento iridato vede il coinvolgimento di tutto lo sport italiano ed internazionale attraverso la campagna #Sport4Verona2018 e il lancio della frase “Tutti in pedana a Verona 2018”. Tra le voci finora raccolte: la Nazionale Italiana di Baseball, ChievoVerona International Academy, il Milan con il portiere Gigio Donnarumma, l’ex mezzofondista oro Los Angeles 1984, Gabriella Dorio, la biker bicampionessa olimpica (Atlanta 1996, Sydney 2000), Paola Pezzo, l’ex cestista Sandro Boni, e molti altri. Per info: www.fencingverona2018.com
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INTERVISTA
di Alberto Cristani - Foto Maurilio Boldrini
Sound ofsilence the
È
senza dubbi la più talentuosa e importante calciatrice veronese di sempre. Ma in questa intervista parleremo solo marginalmente di calcio perché di lei vogliamo raccontare, con une serie di domande apparentemente senza un filo logico, la parte intima, inedita, la sua quotidianità, quei lati privati che ai più sono sconosciuti. Non è stato facile ma alla fine ce l’abbiamo fatta, per nostra grande soddisfazione e, ci auguriamo, anche per quella di tutti coloro che vedono, nel numero 10 del Fimauto Valpolicella, prima di tutto una ragazza umile e dai grandi valori umani. Benvenuti, quindi, nel semplice, riservato - ma allo stesso tempo unico - mondo di Valentina Boni. Per prima cosa Valentina, partiamo dalla ‘fine’: quanto ti è costato rispondere a queste domande e aprirci le porte di casa tua? Parecchio. Così tanto che non sono ancora convinta di dare il via libera per la pubblicazione dell’intervista. Quasi quasi, una volta stampate, potrei sequestrare tutte le copie della rivista e distruggerle! (ride n.d.r.). A parte le battute, non è stato facile, ma ho deciso di farlo perché mi fido di SportDi+ e sono sicura non invaderà la mia privacy. Detto questo direi che possiamo iniziare…
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Qual è il tuo punto di forza? Sicuramente nella vita come in campo ciò che mi aiuta sono la tranquillità e la volontà. A dire il vero penso che anche la mia riservatezza, in parte, sia un punto di forza. E la tua debolezza? L’essere così riservata non ha solo aspetti positivi, infatti credo sia anche una mia debolezza. Le altre, tante, però meglio non svelarle… Piccole manie o scaramanzie... Soltanto una, ed è a livello calcistico: il giorno della partita esco per ultima dallo spogliatoio, come una mamma premurosa che controlla se è rimasto indietro qualcuno. In quel frangente mi ritaglio un istante di silenzio, un breve momento di riflessione prima di andare in campo a divertirmi. Stavi meglio senza... Senza questa intervista! (ride n.d.r.). Torno seria, dai. Ci sono tante cose che preferirei non aver vissuto, ci sono tante cicatrici nel corpo e nell’anima di cui farei volentieri a meno, ma ognuna di esse mi ha resa la persona che sono oggi. Le difficoltà, gli errori, i dolori, le delusioni sono tutti attimi che fanno parte della vita al pari delle gioie e delle emozioni positive. Quindi accetto tutto con un bel sorriso! Jovanotti canta: “…ogni cicatrice è un autografo di
Dio…nessuno potrà vivere la mia vita al posto mio”. La vita sarebbe più facile se... Se imparassimo ad apprezzare quello che abbiamo e viviamo ogni giorno. Se imparassimo a inseguire i nostri sogni senza lasciarci scoraggiare mai, se fossimo più folli, se non ci preoccupassimo di una società che impone modelli standardizzati, se coltivassimo tante passioni. Insomma, se riuscissimo a essere sempre noi stessi sarebbe tutto molto più bello. Quale complimento ti fanno più spesso? Non lo so, davvero. Credo sia una domanda che non devi fare a me! I complimenti mi imbarazzano e mi fanno chiudere in ‘modalità riccio’. Mi fanno piacere, sia chiaro, sarei bugiarda se dicessi il contrario. L’amore della tua vita? Domanda difficile ma allo stesso tempo di una semplicità disarmante. Esistono tanti tipi di amore: quello per i genitori, per i fratelli, per la persona con cui desideri passare il resto della vita, per i figli, per gli amici. Tutti amori grandi e sinceri. Poi però c’è un amore che forse non tutti hanno la fortuna di provare, un amore folle, che non ha inizio né fine, che nasce con te, ti appartiene come la vita stessa: non è in te... ma è te! Per me questo
amore è il pallone. Attenzione non ho detto il calcio, perché quest’ultimo implica tante cose e ha tante variabili. Parlo proprio dell’oggetto pallone: potrei anche ore a giocare da sola come facevo da piccola e la gioia sarebbe sempre indescrivibile. E’ come entrare in un’altra dimensione. Questo tipo di amore, ovviamente con le dovute proporzioni, ho scoperto di provarlo anche per i miei nipoti. Canzone preferita? Difficile sceglierne una. Ci sono tante canzoni, soprattutto italiane, che hanno qualcosa di me. Dovendo dire dei titoli opto per Vai Valentina di Ornella Vanoni e En el muelle de San Blás di Manà. Anche se più di tutto mi piace ascoltare la musica di Ludovico Einaudi. Gli uomini dovrebbero essere più... Sensibili Le donne dovrebbero essere più... Leggere A scuola: secchiona o casinista? Nessuna delle due. Anzi no, forse entrambe, dipendeva dalle materie e dai momenti. C’erano materie in cui eccellevo e, anche se non si direbbe, momenti in cui non ero propriamente calma e pacata! Avevo una media voti del 7 e, in generale, mi facevo molto spesso gli
affari miei insieme con pochi e fidati amici. Mangiare per te significa.... Vado a momenti sono parecchio lunatica, e anche nel mangiare vivo di alti e bassi. Ho però imparato a riconoscerli e ad accettarli. Mangiare di norma non fa parte delle mie priorità. Alcune volte però mi piace andare al ristorante e mangiare bene. La tua definizione di sport... Sport è correre, è libertà, divertimento, attimi dove il corpo è il motore principale L’amicizia è... Quando sai di poter contare sempre su una persona, non importa quanto vicino o distante sia. Amicizia è ridere insieme e capirsi con uno sguardo, essere sinceri nel bene e nel male, non dire quello che l’altro vorrebbe sentirsi dire ma quello che si pensa veramente, condividere le cose più assurde e quelle più semplici. Amicizia è stare a guardare il mare insieme, in silenzio e sentirsi vivi, è essere felice per le gioie dell’altro. Amicizia è avere ognuno i propri sogni ma
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sognare insieme. L’amicizia io la identifico in Giorgia Motta (anche lei calciatrice veronese, ha giocato con Valentina nel Bardolino Verona, ora in forza all’Atalanta Mozzanica n.d.r). Il tuo più grande rammarico? Aver ferito e deluso persone importanti, non essere riuscita a rimanere sempre fedele ai miei principi e ai miei valori, anche se non ho mai fatto nulla con cattiveria e con l’intenzione di ferire qualcuno. Famiglia, mamma, figli: è questo il tuo futuro? Sicuramente è un mio grande desiderio; credo che nell’essere mamma si provi l’amore di cui parlavo prima moltiplicato all’infinito. E’ un’emozione che fa parte di me e che vorrei vivere. Mi piacerebbe dare vita a una famiglia come quella dove sono cresciuta tra amore, gioia, passioni e divertimento, in una casa con un’atmosfera calda, colorata e sempre in movimento. Primavera, estate, autunno, inverno: Valentina Boni è... Un po’ primavera e un po’ autunno, dipende dalla giornata e se sono ‘incastrata’ o meno nei pensieri. La primavera è la stagione che preferisco, luminosa, da scoprire, che sboccia ma rimane sempre un po’ nascosta. In autunno invece inizia il letargo, ci si prepara all’inverno, è il momento in cui ci si chiude nella tana e non si ha voglia di stare fuori perché c’è freddo e poca luce… La felicità è... Guardare la luna e sentirsi bene, guardare un tramonto e vedere l’immensità dell’universo. Giocare con un pallone, vivere le cose con gli occhi e il cuore dei miei nipoti e sentirli ridere. Ma anche una ‘semplice’ giornata di sole oppure leggere un libro davanti al mare. La felicità è riuscire a cogliere i piccoli momenti della vita di ogni giorno e saperli apprezzare. Sei vendicativa o lasci che sia il tempo a mettere le cose a posto? Non porto rancore, non ne vedo il motivo; è uno spreco inutile di energie, si vive male e non porta a nulla. Perciò demando tutto al tempo, che è sempre galantuomo. Si stava meglio quando si stava peggio: è davvero così? No, non la penso così. Raramente ci rendiamo conto delle cose mentre le viviamo e purtroppo tendiamo spesso a vedere il bello dei momenti solo quando sono passati. Viviamo in un mondo che corre veloce e noi, da tonti, vogliamo mantenere il suo passo. Vivere così ci porta a perdere l’essenza delle cose e a non accorgerci che dobbiamo vivere qui, ora, adesso, non nel futuro e tanto
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..."Poi però c’è un amore che forse non tutti hanno la fortuna di provare, un amore folle, che non ha inizio né fine, che nasce con te, ti appartiene come la vita stessa: non è in te ma è te! Per me questo amore è il pallone.
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cammina con me, chi mi hanno fatto ridere, sorridere, essere felice, riflettere, pensare, cambiare idea e sbagliare. Dico anche grazie a quelle persone che mi hanno messo in difficoltà, che mi hanno ferito, che mi hanno tolto qualcosa perché, come ho già detto, tutto serve e tutto mi ha reso la persona che sono, sempre e comunque in eterna evoluzione. Cosa ti tocca il cuore in positivo e in negativo? I bambini mi toccano il cuore in positivo, con la loro dolcezza, semplicità e spontaneità. Mi fanno stare molto male, invece, la cattiveria, le ingiustizie e la violenza. meno nel passato. Ci saranno sempre momenti belli e meno belli: per me l’importante è comunque viverli ed essere presente. I giovani di oggi sono.... Spiace dirlo ma sono molto arroganti e maleducati! Come ti piacerebbe chiudere la tua carriera calcistica? Con il sorriso, dopo una stagione positiva per la squadra, raggiungendo la salvezza o magari ancora meglio vincendo qualcosa tipo un campionato o una coppa. Scontato dire che mi piacerebbe farlo in una squadra, in una società con un progetto in cui credo, in quella che considero la mia squadra, cioè nel Valpo. Il gol più bello che hai fatto e quello che sogni di fare... Quello più bello non lo so, e non è finta modestia. Ogni cosa che faccio in campo, soprattutto quando cerco la porta o l’ultimo passaggio, nascono da una parte inconscia di me. Per questo spesso non ricordo nemmeno come è stato un gol. Quello che sogno di fare? Eh, quello che sogna la maggior parte di chi ama il calcio: una super rovesciata spettacolare! Persone che hanno influenzato - positivamente - la tua vita? Matteo, Marco ed Emanuele ovvero i miei nipoti, anche se il più grande ha 5 anni e il più piccolino solo un mese! Non ho dubbi nel dire che l’indescrivibile che hanno portato loro nella mia vita non è paragonabile a niente e a nessuno. In generale però ogni persona positiva che ho incontrato mi ha lasciato qualcosa di suo e di unico. Se penso invece al calcio il nome che faccio è quello di Roberto Baggio. Lui ha sicuramente influenzato il mio modo di giocare: ho passato ore e ore, e lo faccio ancora adesso, a guardare le sue giocate, i suoi gol, le sue magie, cercando di carpire i suoi segreti e di imitarlo. Dici grazie a... Eh, se dovessi elencare tutti i nomi diventerebbe una lista lunghissima! In generale dico grazie a tutte le persone che in qualche modo hanno ‘attraversato’ la mia vita e anche a quelle che l’hanno solo sfiorata, a chi mi ha accompagnato per un bel pezzo e a chi ancora
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Secondo te il nostro destino è già scritto o lo scriviamo noi giorno dopo giorno? Bel dilemma! Mi capita, ma penso accada un po’ a tutti, che quando le cose non vanno come volevo di pensare che ‘era destino’. Lo dico per dare una spiegazione a qualcosa sembra non avere senso. Altre volte lo dico perché è più semplice, più comodo. Se però ci rifletto razionalmente credo che il nostro destino lo scriviamo giorno dopo giorno: ogni azione ha una sua conseguenza, nulla è già scritto. Siamo noi a decidere: le cose accadono ma noi decidiamo come affrontarle. Da cosa è stato influenzato il tuo carattere, sempre così pacato ed educato? Sicuramente dalla famiglia, dall’ambiente in cui sono cresciuta, dove ho sempre vissuto il rispetto per tutti e per tutto, ognuno con il suo modo di essere, dove l’educazione è alla base. L’essere pacata fa parte della mia indole, del mio carattere, del fatto che rifletto molto sulle cose. Cerco sempre di non farmi notare perché mi piace la calma, la tranquil-
lità, il silenzio. Mi viene naturale vivere così. Il buddismo in particolare cosa ha portato nella tua vita? La consapevolezza del cercare di vivere qui e ora e che ogni azione, ogni parola ha un effetto e una conseguenza. Protagonista o dietro alle quinte? Sicuramente dietro alle quinte! Nel calcio però mi piace essere un punto di riferimento per le mie compagne, se ne hanno bisogno. Mi gratifica essere una persona su cui lo spogliatoio può contare, sempre pronta ad ascoltare, a farsi sentire e a metterci la faccia per il bene della squadra o di qualsiasi compagna. Ma non mi interessa essere protagonista: ciò che conta è la sostanza. La casa è un rifugio, un nascondiglio o un nido? Tutto questo. Se il campo è la mia ‘isola che non c’è’, il mio posto ideale, dove sto senza alcun pensiero e dove sono quella che gli altri non vedono è la mia casa, la mia tana. “Un giorno senza sorriso è un giorno perso” è una delle frasi di Charlie Chaplin che si può leggere sulle pareti di casa tua. Quanto difficile è sorridere tutti i giorni? Molto se vediamo solo quello che non va come desideriamo. Ma ogni giorno ci sono sempre motivi per sorridere: bisogna solo essere attenti e saperli vedere. Non è semplice, sono la prima a non riuscirci, ma è tutta una questione di testa e di pensieri. C’è mai stato un momento in cui, per delusione , hai pensato di abbandonare il calcio? No, abbandonarlo no. Ci sono però stati mo-
menti in cui mi sono sentita ferita, scoraggiata, delusa, soprattutto per come ero stata trattata. Sono andata avanti lo stesso per la mia strada, a testa alta e senza rancore. So di non aver mai mancato di rispetto a nessuno e di aver sempre dato il massimo, nonostante tutto. Questo mi fa stare in pace con me stessa ed è la cosa più importante. Ti piacciono gli animali e quale ti rappresenta in particolare? Adoro i cuccioli, in generale. L’animale che
rappresenta il mio carattere è il lupo, molto solitario ma che sa fare branco. Mi piacciono anche la tigre bianca e l’orso polare. Mare o montagna, perché? Assolutamente mare, anche se mi piace anche la montagna. Il mare però è speciale: è infinito, non basterebbe una vita per descriverlo! E’ un continuo movimento che crea scombussolamento nei pensieri, nella vita e nell'anima: agita, calma, travolge, culla. Posso stare seduta nella sabbia, a piedi nudi, a guardarlo in silenzio: lui sa parlarmi per ore!
gini che vedi? Immagini astratte, con tante forme, come un quadro di Kandinsky o immagini colorate come i quadri di Miró. Immagini che nella loro apparente casualità nascondono pensieri e possibilità, ricordi e sogni. E domande, tante domande. Valentina, alzi gli occhi al cielo e vedi... Vedo semplicemente il cielo. Vedo il sole, la luna, le stelle. Le persone speciali, che non ci sono più, vivono dentro di me: per vederle non ho bisogno di alzare gli occhi al cielo.
Se chiudi gli occhi quali sono le prime imma-
I ‘best’ di Valentina Boni
Colore: Blu Città: Verona Luogo di Verona: ponte di Castelvecchio Monumento: Castel Sant’Angelo e piazza del popolo (Roma) Piatto: tortellini in brodo Vino: nessuno o se proprio Moscato d’Asti
Canzone: Vai Valentina Cantante: Fiorella Mannoia Film: L’attimo fuggente Attore: Robin Williams Calciatrice più forte di sempre: Mia Hamm Il calciatore più forte di sempre: Baggio Lo sportivo: Alex Zanardi Divisa calcio: Argentina Marca abbigliamento: Adidas Automobile: Maggiolino anni ‘70
SPORT LIFE
di Matteo Lerco
Appello al
divertimento I
l Verona Touch schiude le porte ad una nuova concezione di sport. Il touch nasce sette anni fa da una costola del rugby, differenziandosi in principio dallo stesso in quanto ne limita la fisicità, ma ne amplifica la velocità d’esecuzione ed in senso lato la componente tattica. Si pratica in sei giocatori per squadra e diversamente rispetto alla disciplina madre ne viene smussato uno dei suoi aspetti più aspri e caratteristici, in quanto il placcaggio è sostituito da un semplice tocco in qualsiasi zona del corpo. La componente più rivoluzionaria del movimento risiede nella grande uniformità di sesso e di età: il Verona Touch Rugby accoglie infatti giocatori di ambo i sessi, indipendentemente dall’età anagrafica. «L’universalità è del touch è una delle prerogative che rende il nostro sport così appassionante - spiega la presidentessa Claudia Giordano - la nostra società annovera giocatori e giocatrici nati dal 1995 fino al 1960, un vasto intervallo temporale che unisce più generazioni. Il touch si gioca sei conto sei, in generale la nostra rosa è composta da circa venti elementi, ma raramente riusciamo ad essere al completo, considerate per esempio le gravidanze che sistematicamente attraversano alcune giocatrici. Una degli elementi caratterizzanti il nostro sport è il fatto che le par-
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tite vengano raggruppate in vari tornei in giro per il nord Italia, una peculiarità che ci ha permesso di creare dei solidi legami con squadre di tutta la Penisola. Immancabile è poi il terzo tempo alla fine di ogni match: terminato l’incontro inizia sempre una festa che dissolve ogni tipo di rivalità». Si tratta dunque di emozioni itineranti. La presidentessa-giocatrice dell’associazione veronese spiga nel det-
taglio l’articolazione del campionato. «In vari tornei coprono essenzialmente tutto il nord Italia. Gran parte delle trasferte le affrontiamo nel nostro Veneto, in Lombardia, in Piemonte e in Emilia Romagna, ma capita di giocare anche a Roma, Benevento o L’Aquila. Noi ci alleniamo in un campo tra Palazzina e San Giovanni Lupatoto, condividendo gli impianti con il Lupos Rugby Club, una società rugbistica che al momento dedica i propri sforzi solamente alla crescita e alla formazione di ragazzini. Il nostro è uno sport completamente amatoriale: questo significa che tutte le spese di gestione sono sopportate dal nostro gruppo, un peso economico che viene però ripagato dalle enormi soddisfazioni che riceviamo sul rettangolo di gioco. A Verona oltre alla nostra è presente solo il Rugby Touch Club Dolcè, una ristrettezza numerica di squadre che mi auguro in futuro venga superata grazie ad una maggiore conoscenza di questo meraviglioso movimento. Invitiamo dunque chiunque fosse interessato a sperimentare le meraviglie del touch Rugby a contattarci tramite i seguenti recapiti: veronatouchrugby@gmail.com, oppure via telefono al numero 3285611192».
6 DICEMBRE 2017 ore 14:30 Ospedale Mater Salutis di Legnago (VR) Pediatria
13 DICEMBRE 2017
ore 11:30 Ospedale Borgo Trento di Verona Oncoematologia Pediatrica
Un progetto non profit patrocinato dalla FIR, CONI, ULSS9 Scaligera, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona, per portare la magia del Rugby tra i bambini nei reparti pediatrici degli ospedali di Verona. Il progetto prevede il coinvolgimento di alcuni atleti di rilievo nazionale e altri delle società della provincia di Verona. Scopo dell’iniziativa, oltre a portare un momento di gioia nei reparti degli ospedali, sarà quello di raccogliere fondi da destinare ad ABEO Associazione Bambino Emopatico Oncologico nel progetto Villa Fantelli.
DECATHLON Villafranca ci sostiene fornendoci i doni da portare ai piccoli pazienti
INTERVISTA
Lady R 34 sportdipiu.com
di Alberto Cristani - Foto di Maurilio Boldrini
Rugby C’
è chi lo sport lo intende come momento di divertimento, chi come momento di svago, chi come attimo di aggregazione. E poi c’è chi intende lo sport come un veicolo grazie al quale diffondere il proprio credo, le idee e lo stile di vita, con l’ambizioso obiettivo di far crescere un movimento intero. Non più bandiere, campanili o gelosie quindi ma un progetto condiviso che, partendo dall’attività giovanile, punta a formare giocatori dalla mentalità professionale/professionistica. Da qualche anno, a Verona, c’è chi si sta prodigando, e investendo importanti capitali, per far diventare la nostra provincia un nuovo punto di riferimento per uno degli sport più antichi e diffusi in tutto il pianeta, ovvero il rugby, disciplina che la leggenda attribuisce a William Webb Ellis, studente della città di Rugby, che lo inventò nel 1823. Stiamo parlando di Raffaella Vittadello, presidente del Verona Rugby, società che è subentrata al Cus Verona, acquisendo il titolo sportivo, ed attualmente primeggia nel campionato di serie A. Raffaella, imprenditrice nel settore del marmo (amministratore Delegato dell’azienda Payanini di Volargne di Dolcè n.d.r.), in questa intervista racconta ai lettori di SportDi+ il motivo della sua scelta di vita che va al di la di tutto, anche del fattore economico. Raffaella, com'è iniziata la tua passione per il rugby? È nata in giovane età. Io sono di Padova, città in cui il rugby è molto sentito e di tradizione. Mio cugino giocava e mi portava spesso ai campi dello stadio Tre Pini, dove si giocava non solo a rugby ma anche ad altri sport. In quelle occasioni si conoscevano altri bambini, si socializzava e ci si divertiva. Ecco, è lì che è nata la mia passione. Mio papà ci portava poi a vedere le partite di serie A ma prima andavamo a mangiare in varie trattorie; c’era il lato ludico gastronomico che a volta faceva passare in secondo piano l’aspetto sportivo.
Tutto nasce quindi dall’aspetto aggregativo? Assolutamente sì: con parenti, amici e conoscenti ci si trovava al campo per vedere la partita, era un momento di socializzazione molto importante. Per quanto riguarda la passione l'attività di campo, ovvero entrare a far parte di una società, quella è nata qualche anno fa: prima sono diventata sponsor e poi dirigente nel settore del minirugby. Lì ho effettivamente capito come veniva fatto il rugby a Verona. Così, grazie alla mia esperienza di Padova, mi sono decisa a fare qualcosa per cercare di migliorare la qualità. A Verona non c’era il concetto di agonismo, ma tutto veniva fatto a livello amatoriale. Il mio concetto di agonismo, sia chiaro, non è focalizzato solo sugli 80’ di partita ma è molto più ampio. Per agonismo intendo l’approccio allo sport totale: vado al campo non per passare il tempo ma perché ho preso un impegno con me stesso, con il Club, con l’allenatore e con la mia squadra. Perciò, salvo impedimenti tipo malattia, non salto gli allenamenti e quando ci vado sono concentrato al massimo perché mi voglio migliorare. La cosa che mi ha convinto a fare qualcosa di concreto è stato sentir dire ai ragazzi di 18 anni che avrebbero smesso di giocare perché, dopo le giovanili, non c’era continuità e c’erano due alternative: l’amatoriale o il professionismo lontano da Verona. Ho deciso così di investire tempo e passione (e denaro aggiungiamo noi n.d.r.) per cercare di far cambiare mentalità. Un anno fa quando c’è stato ufficialmente il passaggio del titolo sportivo dal Cus Verona al Verona Rugby ho potuto decidere che tipologia volevo diventare. Un concetto però lo avevo ben chiaro sin da subito: fare le cose in modo più professionale senza però tralasciare l’aspetto aggregativo e di socializzazione. Un input importante lo hai ricevuto da un'esperienza all'estero... Esatto. Sono andata in Nuova Zelanda per accompagnare mio figlio a uno stage di una setti-
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mana. Lì abbiamo abbiamo conosciuto un’accademia, con la quale abbiamo successivamente siglato un rapporto quinquennale, dove l’impostazione organizzativa mi ha subito colpito. Si facevano le cose come piace a me, con grande attenzione anche ai dettagli. In quell’occasione abbiamo preso parte a una riunione durante la quale un dirigente ci ha parlato per due ore, spiegando per filo e per segno l’organizzazione, i progetti, gli obiettivi e lo stile societario. E’ stato in quel momento che ho capito che avrei voluto impostare il mio rugby allo stesso modo. Essenzialmente c'è un'attenzione particolare per il singolo che consiste nell’impostare dei percorsi di crescita tecnica, tattica, fisica e mentale per ogni ragazzo, in base alle sue capacità e possibilità. Successivamente, mettendo insieme i singoli, si assembla la squadra con il suo personale piano di gioco. Attenzione quindi alla qualità della proposta sportiva e allo stesso tempo attenzione al concetto di inclusione che il rugby ha come caratteristica peculiare. A rugby infatti nella stessa squadra ragazzi forti, lenti, veloci, bassi, alti, magri, grassottelli e tutti hanno un ruolo fondamentale. Come sono stati accettati i tuoi cambiamenti, in particolare dal rugby veronese? E’ ancora un po’ presto per dirlo; abbiamo introdotto concetti che non tutti avevano ben chiari o, magari, non avevano mai considerato. In prima battuta non tutti hanno accolto questa ‘rivoluzione’. Col passare dei mesi però qualcuno è tornato sui suoi passi e ci ha chiesto di poter partecipare. Questo mi fa capire che siamo sulla giusta strada. Il nostro progetto è aperto a tutti, anche a chi prima se ne va e poi torna. Le persone che invece fanno parte della società Verona Rugby hanno
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sostenuto il mio progetto sin dall’inizio. Sto investendo in corsi, workshop e consulenze tenuti da allenatori di livello internazionale rivolti ai miei allenatori per farli crescere e migliorare; solo con tecnici capaci avremo giocatori capaci. E' chiaro che un progetto così necessita di una casa adeguata... All’atleta, allo staff ma anche alle famiglie, serve un posto dove vivere sentendosi a casa loro. Serve un ambiente moderno, ben strutturato, con campi, palestra e spogliatoi, sala conferenze per fare le lezioni. Servono luoghi di qualità. Da parte nostra c’è la volontà di creare una nostra location, dove di fatto potremo fare quello che più ci piace. E’ stato individuato un terreno in via San Marco, di fronte al Don Calabria, a pochi chilometri dallo stadio Bentegodi, dove verranno costruiti tre campi omologati, con un grosso edificio centrale con all’interno una palestra e una foresteria per gli atleti. L’inizio dei lavori è previsto prima di Natale e si spera di avere il tutto pronto entro settembre 2018, in occasione dell'inizio della nuova stagione. Creeremo un’accademia di secondo livello per poter dare un’occasione ai ragazzi che non sono entrati nelle accademie federali. Per la città sarà un bellissimo regalo perché in questa area si farà sport nel miglior modo possibile. Sarà un luogo molto curato e funzionale, aperto alle famiglie e a chiunque vorrà praticare attività fisica. L’idea è di avere una location dedicata al rugby ma aperta comunque a tutta la città. Se giocassi a rugby, quale sarebbe il tuo ruolo? Da piccola, quando giocavo per svago, in pratica facevo l’ala perché sono sempre stata veloce. Se giocassi oggi però sceglierei sicuramente un ruolo più strategico; sono
molto più saggia, più pacata, meno impulsiva. Se mi sento una leader? Si, ma solo con a fianco persone che mi aiutano e mi capiscono. Diciamo che mi sento un capitano. Qual è la situazione del movimento rugbistico veronese giovanile? Diciamo che a livello di praticanti e tesserati un equilibrio tra entrare e uscite. Qui a Verona altri sport ‘primari’ hanno il sopravvento. Non so a livello nazionale, ma sicuramente a livello veronese il rugby non si sta facendo ancora sentire. Noi abbiamo una bellissima sinergia da anni con il Valeggio e con i Lupos e da quest’anno anche con i Guardians. Questo perché credo che il rugby fino all’Under 12 debba essere ‘a km 0’, ovvero facile da praticare e da raggiungere, anche dai genitori. Per fare rugby di qualità a livello giovanile secondo me ci voglio investimenti a lungo
termine orientati verso allenatori, servizi e piani di crescita individuali per i giocatori e strutture. Questo implica una sinergia tra le varie società del territorio per non disperdere le risorse e per ottimizzare il rapporto investimento/ risultato. Per me sarebbe importante creare una franchigia a livello veronese, ma io non ho fretta. Per la nostra formazione femminile di serie A invece abbiamo sinergie già attive con il Lagaria Rovereto, Vicenza e Trento. Certe ragazze non avrebbero potuto giocare nella loro categoria se non ci fossimo uniti con queste società. Ricordo anche che i nostri stage i nostri workshop sono sempre aperti a tutti gli allenatori e giocatori delle società patners, anzi invitiamo ed esigiamo la presenza di allenatori altre società, perché dobbiamo parlare la stessa lingua e avere la stessa visione. Dobbiamo anche essere presenti nelle famiglie e segnalare eventuali problematiche del figlio; per l’adolescente è essenziale fare o sport o comunque avere un hobby che lo aiuti nella crescita, in modo da evitare di cadere in distrazioni pericolose. Il tuo sogno per il futuro? La nostra mission è ‘forgiare atleti, crescere uomini’, una frase che racchiude l’equilibrio che vorrei raggiungere nel costruire; sia rugbisti di alto livello sia uomini con le cosiddette ‘palle’. Attraverso la costruzione di un atleta vero, ci piacerebbe riuscire a crescere uomini forti, responsabili, organizzati e sicuri di loro stessi. Uomini che sapranno essere persone di riferimento per famiglie, figli, amici, in generale per la società. La strada sarà lunga e impegnativa ma questo, credetemi, non ci spaventa affatto!
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INTERVISTA
di Paola Gilberti
Giorgio e Massimo al comando dei Draghi
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assione, sacrificio e determinazione. Queste sono le caratteristiche che accomunano Giorgio Bonato e Massimo Forigo, rispettivamente capitani della squadra militante in C1 e C2 del West Verona Rugby Union. I due Draghi hanno percorso strade diverse per entrare a far parte della società di Sona, ma ora che sono giunti alla stessa destinazione continuano a lottare per dare sempre il massimo ed essere un vero punto di riferimento per tutti i compagni di squadra. Quando vi siete avvicinati al rugby? Come mai proprio questo sport? Giorgio: Sono da sempre un grande appassionato di rugby, ma l’ho sempre seguito da spettatore. Questo fino a nove anni fa, quando un amico mi ha proposto di cominciare a fare qualche allenamento proprio all'interno del West Verona. E da qui non me ne sono più andato.
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Massimo: Ho iniziato parecchio tempo fa, nel '92, anche se il rugby non è stato il mio primo sport. Come tanti altri ragazzi giocavo a pallone in una piccola squadra di Vigasio, nel ruolo di portiere. Finite le giovanili ho deciso di appendere le scarpe al chiodo e, grazie a un compagno di liceo, mi sono avvicinato al mondo della palla ovale, innamorandomene subito. Da lì non mi sono più fermato: ho giocato nel Cus Verona dalle giovanili fino alla serie A, categoria in cui però diventava difficile gestire i miei impegni lavorativi. In molti mi avevano già parlato bene del West, la cui sede si trova anche vicino a dove vivo, così all'inizio della stagione 2006/2007 mi sono trasferito qui. Sono quindi parecchi anni che fate parte di questo team. La stagione è cominciata però con molte novità, in seguito al progetto che ha visto unire le forze delle società West Verona Rugby e Ruby Club Valpolicella: una squadra neopromossa in C1,
nuovi compagni, nuovo allenatore… Come vi state trovando? G: Direi molto bene, siamo un bel gruppo affiatato e il nostro coach Francesco Brolis sta facendo un ottimo lavoro per aiutarci a migliorare sempre di più. Certo, inizialmente non è stato facile perché questi cambiamenti hanno comportato anche una notevole riorganizzazione in campo su cui per altro stiamo ancora lavorando, ma ritengo che troveremo presto la giusta strada. M: Concordo, la nostra squadra è un vero gruppo di amici, anche se per quanto riguarda il gioco ci sono ancora alcuni dettagli da sistemare. Mi piace l’approccio di coach Brolis, il suo modo di spiegare e insegnare. La direzione è quella giusta, dobbiamo solo crederci. Avete parlato di “dettagli da sistemare”. In effetti questo campionato è cominciato con qualche difficoltà per entrambe le squadre. Quali sono secondo voi le ragioni
e su cosa serve lavorare maggiormente? G: Questa è una nuova avventura per tutti, con un nuovo gruppo e, per molti, con un nuovo tipo di gioco. Credo che al momento ci manchi una effettiva consapevolezza dei nostri mezzi e una vera coesione in campo. Sarà proprio quest'ultimo punto quello su cui dovremo focalizzarci, dato che in questo inizio di stagione abbiamo faticato un po’. M: Il rugby è uno sport di squadra, in cui serve conoscere a fondo il compagno che si ha a al proprio fianco. Abbiamo riunito giocatori con diverse esperienze e diversi vissuti che vanno amalgamati insieme e forse è proprio questo lo scoglio più grande. Manca ancora una vera sinergia di gioco, ma è solo questione di tempo. Con Brolis ci stiamo concentrando proprio su questo perché come lui stesso afferma "Singolarmente siamo dei buoni musicisti che insieme suonano ancora in maniera disordinata”. Qual è stata per voi la partita più difficile finora? G: Per me sicuramente il derby, perché affrontare l'altra squadra di casa provoca sempre un pizzico di adrenalina e competitività in più. Comunque, proprio perché siamo un team neopromosso, devo dire che tutte sono state abbastanza impegnative, dato che ci siamo scontrati con club già relativamente strutturati e affiatati. M: Può sembrare scontato, ma per me la partita più dura è sempre la prossima. Ogni nuovo match è una nuova sfida, dove non sai cosa ti aspetta e cosa può capitare. È sempre un'incognita.
M: Come afferma Giorgio, il capitano rappresenta un esempio da seguire, è quello che non molla mai. Deve sempre essere presente per i compagni, usare le parole giuste per motivare la squadra quando il morale è basso o la tensione è forte. Non è sicuramente un ruolo semplice, ma vedere che il gruppo si affida a te è una grande soddisfazione. Ultima domanda: perché consigliereste ai giovani di avvicinarsi al mondo della palla ovale? G: Beh, prima di tutto perché è uno sport bellissimo! E poi è ci si sporca parecchio, quindi pensa per i bambini che divertimento riempirsi di fango senza essere sgridati (ride, ndr). Scherzi a parte, per me questo non è solo uno sport, è soprattutto uno stile di vita che insegna l’importanza del sacrifico, ricorda di guardarsi indietro prima di avanzare e di non abbandonare mai chi lotta insieme a te per lo stesso obiettivo. M: Il rugby ti chiede tanto, non puoi prenderlo alla leggera, ma sono convinto che umanamente poi ripaghi tutto, anche con
gli interessi. In questo mondo ho raggiunto tanti traguardi, come la serie A, ho visto nuovi posti, conosciuto tanta gente e stretto amicizie indelebili. Le emozioni che mi ha regalato sono tante, nel bene e nel male, per questo non ho mai mollato. Ho un figlio che gioca a rugby e alleno anche un gruppo di bambini e la passione che vedo nei loro occhi e nei loro sorrisi mi fa capire quanto questo sport possa ancora dare.
Cosa significa per voi essere capitano? G: Vuol dire essere un esempio, sia fuori sia dentro il campo, un modello di lealtà e correttezza per i propri compagni. È una grande responsabilità, ma è soprattutto un grande orgoglio.
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FOCUS
di Anna Rodighiero
Visual
training
Strumento utile a servizio dello sport
M
olte volte nello sport si sente parlare di talento come la qualità innata che ci permette di rendere meglio degli altri nella nostra disciplina. Non sempre è così! Il talento può essere coltivato e sviluppato. Ciascuno di noi esprime nelle attività quotidiane un rendimento al di sotto delle proprie capacità reali. Il nostro corpo cerca, cioè nelle sue azioni, di disperdere il minor numero di energie possibili. Nello sport questo non è consentito: per essere competitivo l’atleta deve svolgere la sua attività ad un livello il più vicino possibile al suo limite massimo. Tutte le sue attività vengono estremizzate nel gesto sportivo, dalle più basilari, alle più tecniche. Vedere è un’abilità così naturale e spontanea da risultare quasi scontata. Eppure, la vista, è importante e determinante per la nostra vita e quindi anche per lo sport, raffinata espressione del rendimento umano. Nell’atleta infatti il gesto sportivo rappresenta il prodotto finale di una catena incredibilmente complessa di fenomeni che iniziano con la percezione sensoriale degli stimoli e continua con l’azione attraverso un rapido e continuo susseguirsi di eventi. La visione in tutto questo ha un ruolo estremamente importante, in quanto è l’organizzatore privilegiato nella coordinazione del movimento finalizzato all’azione. La visione ci permette di collocare il nostro corpo nello spazio in relazione ad altri oggetti sia statici che in movimento. La corretta collocazione spaziale permette all’atleta di visualizzare, organizzare e quindi compiere l’azione in modo più efficace. Efficienza del sistema visivo Quando il sistema visivo risulta meno efficiente, il nostro corpo reagisce mandandoci dei segnali di affaticamento, come il bruciore agli occhi, di mal di testa frontale o tempiale, cervicalgia e ridotta capacità nel rimanere a lungo concentrati. L’atleta potrebbe accorgersi, per esempio, di compiere sistematicamente lo stesso errore durante una determinata azione, di intercettare la palla con difficoltà in
presenza di un avversario o accorgersi di avere un calo di performance sul lungo periodo. “Per stabilire se la causa di queste fragilità trova le sue origini nella visione” - ci spiega l’optometrista Fabio Peloso – “noi di Ipervista Vision Lab abbiamo sviluppato una completa ed esaustiva analisi delle abilità visive per lo sport”. Nella valutazione svolta in studio, il team di optometristi Ipervista Vision Lab traccia un profilo funzionale della visione attraverso l’indagine di cinque aspetti principali: - le esigenze visive individuali in funzione dello sport praticato e dell’età; - la valutazione delle abilità visive; - la valutazione degli aspetti visuo-percettivi: direzionalità, visualizzazione, previsione della traiettoria; - la valutazione degli aspetti visuo-motori: coordinazione occhio-mano; - la valutazione degli aspetti visivi con integrazione uditiva. “Le abilità visive” – conclude Fabio Peloso – “vengono valutate simulando le stesse condizioni nelle quali l’atleta si trova durante l’attività sportiva. A questo punto l’analisi prosegue con l’osservazione dell’atleta durante la sua attività da parte dell’optometrista. La professionalità del nostro team consente quindi di interpretare i dati ottenuti contestualizzando i risultati, al di là del loro valore numerico e concordare con l’atleta un percorso di Visual Training personalizzato e specifico volto a migliorare progressivamente le performance visive riducendo la suscettibilità allo stress”.
Obiettivi del Visual Training Lo scopo di Ipervista Vision Lab è quello di far apprendere nuovi meccanismi attraverso i quali l’atleta può sperimentare una visione più efficace ed efficiente. Una volta appresi, tali meccanismi vanno automatizzati. Per fare ciò il sistema visivo viene allenato con esercizi via via sempre più complicati, introducendo ad ogni esercizio dei fattori di stress che ne complicano l’esecuzione. Lo stress infatti, utilizzato come stimolo, è l’essenza per migliorarsi. Il nostro organismo, al giusto livello di stress, è in grado di rendere in modo ottimale. D’altro canto una quantità eccessiva di stress spinge l’organismo ad una reazione di difesa che ne compromette la performance. È compito del visual trainer assegnare di volta in volta esercizi adeguati, specificandone accuratamente le modalità d’esecuzione e la durata. Egli saprà, in base agli obiettivi prefissati, far integrare le nuove funzioni apprese con le altre informazioni sensoriali. Il percorso di visual training prevede una serie di esercizi svolti assieme al professionista e una serie di esercizi svolti a casa dall’atleta, su indicazione dell’optometrista. Con il visual training andiamo ad agire sui processi cerebrali implicati nella visione e non direttamente sui muscoli dell’occhio. L’apprendimento e l’automatizzazione di questi nuovi meccanismi sperimentati durante i vari esercizi permettono di ottenere risultati che permangono nel tempo. Visual Training e Tecnologie Costantemente informati sulle esigenze del mondo dello sport e aggiornati sul mondo scientifico e tecnologico, Ipervista Vision Lab si avvale di strumentazione analogica e di strumentazione digitale per le attività di visual training. In particolare, attraverso l’utilizzo di schermi digitali interattivi e pedane sincronizzate, pilotati da software specificatamente sviluppati che permettono di interagire con frequenza e numero di stimoli e compiti specifici, l’atleta integra ed automatizza le varie componenti sensoriali, migliorando la precisione e la velocità delle sue azioni durante l’attività agonistica.
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INTERVISTA
di Giorgio Vincenzi
Unica, inimitabile, incomparabile:
Fantato!
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U
na forza della natura con una grande volontà di arrivare. Così si può tratteggiare, molto in breve, la figura di Paola Fantato, 58 anni, veronese, che dal 1986 al 2004 ha fatto la storia del tiro con l’arco e ha dato un enorme impulso all’affermazione di questa disciplina in Italia. Non solo. Partecipando a ben cinque Paralimpiadi e a una Olimpiade ha dimostrato che si possono abbattere tutti i muri e che lo sport aiuta ad avere autostima in se stessi anche nei momenti di grande difficoltà. Paola da molto piccola deve fare i conti con la poliomielite che la colpisce agli arti inferiori rendendole difficoltoso muoversi. Tutto ciò però non le impedisce di vivere la vita a pieno, fino ad essere consacrata tra le 100 leggende dello sport italiano. Nel 1988 partecipa ai giochi paralimpici di Seul (Corea del Sud) vincendo la medaglia di bronzo individuale. Poi arriveranno le Paralimpiadi di Barcellona (Spagna) del 1992 con un oro individuale, di Atlanta (Stati Uniti) del 1996 con un bronzo individuale e un oro a squadre, di Sydney (Australia) del 2000 con un oro individuale e uno a squadre, di Atene (Grecia) del 2004 con un oro individuale e un argento a squadre. Inoltre nel 1999 ai campionati del mondo vince l’oro individuale e a squadre, in quelli del 2001 l’oro individuale, l’argento a squadre e in quelli del 2003 il bronzo individuale e l’argento a squadre. Ciò che però è considerato il suo capolavoro di tenacia è la partecipazione alle Olimpiadi di Atlanta del 1996. Anche per lei, come per tutti gli atleti, è arrivato qualche anno fa il fatidico - e un po' doloroso - momento di appendere
l’arco al chiodo. Nel 2004, infatti, dopo le Paralimpiadi di Atene decide di smettere l’attività agonistica per iniziare quella di dirigente in varie organizzazioni sportive. Per vederla nuovamente in un evento sportivo occorre attendere il 2006 quando nella cerimonia di apertura delle Paralimpiadi invernali di Torino scaglia una freccia per abbattere un muro, simbolo della diversità. Noi l’abbiamo incontrata. Ecco cosa ci ha raccontato. Paola, hai cominciato da ragazzina la tua attività sportiva con il nuoto, ma poi sei passata al tiro con l’arco. Una casualità o una scelta ben precisa? Quanti anni avevi? Come dici tu ho fatto per molto tempo nuoto, poi, a 25 anni, mi sono avvicinata casualmente al tiro con l’arco grazie alla società Arcieri Scaligeri di Verona che un
giorno mi ha fatto provare questo sport. È stato amore a prima vista. Il presidente di allora della società, Giorgio Turrina, grande campione di tiro con l’arco, intravide che in me c’era, diciamo così, del buono e da lì è partito tutto. La scelta di avvicinarmi al tiro con l’arco è stata dettata anche dal fatto che mi permetteva di confrontarmi con atlete disabili e no. Con questa disciplina sportiva ti sei presa delle belle soddisfazioni in quasi ventanni di carriera. Se dovessi fare una sintesi di questo periodo come lo definiresti? Innanzitutto sono stati anni fantastici nel senso che ho fatto una cosa che mi piaceva fare e che mi riusciva anche bene. Le soddisfazioni che ho raccolto sono state veramente tante. Ancora adesso quando ci ripenso mi batto la mano sul-
Paola Fantato
la guancia e mi dico “Brava Paola, brava”. Questo pensando in particolare al 1996, tempi diversi da oggi, quando un’atleta disabile come me riuscì a qualificarsi a una Olimpiade, non solo ad una Paralimpiade. Fu una cosa grandiosa: diventai così il secondo caso al mondo e prima in Italia oltre all'unico caso di doppia partecipazione (Olimpiadi e Paralimpiadi) nella stessa edizione. Quali sono i ricordi più vivi che hai delle tue partecipazioni alle Paralimpiadi? Ho dbellissimi ricordi di tutte le Paralimpiadi a cui ho partecipato. Della prima,
quella di Seul del 1988 dove ho vinto il bronzo, ricordo che quando ero sul podio che aspettavo che mi mettessero al collo la medaglia dicevo tra me e me che alla prossima edizione avrei dovuto vincere l’oro. Quattro anni dopo a Barcellona l’ho vinto. Naturalmente nei quattro anni che sono intercorsi tra le due edizioni ho lavorato duro affinché ciò potesse accadere. Nessuno ti regala niente. Il ricordo più bello che ho di questa mia carriera di atleta me lo porto da un campionato del mondo per disabili disputato a Madrid nel 2003. Ero con gli altri atleti italiani in un momento di pausa, quando vedo da lontano un signore che corre verso di me. Io subito non capisco. Avvicinatosi, mi spiega che era il padre di un’atleta americana di tiro con l’arco che per la prima volta partecipava a una gara internazionale. Mi dice che da tempo sperava di incontrarmi per ringraziarmi per quello che significavo per sua figlia. Mi raccontò che nel 1996 sua figlia vedendomi in televisione in occasione delle Olimpiadi di Atlanta (Stati Uniti) gli confessò un proposito: che se ce l’avevo fatta io poteva farcela anche lei a fare
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dello sport. Per lui fu come una liberazione in quanto temeva che la figlia si potesse chiudere in se stessa. Ora, invece, si allenava e partecipava a gare… insomma aveva una sua vita. Mi emoziono ancora quando racconto questa storia che per me vale più di una medaglia. Restiamo alle Olimpiadi di Atlanta del 1996 dove hai infranto il “muro” dell’handicap… Quell’anno lì mi è costato una grande fatica: prima le Olimpiadi e subito dopo le Paralimpiadi sempre ad Atlanta (e ride, n.d.r.). Tutto inizia dopo le Paralimpiadi di Barcellona del 1992 quando vengo convocata per la prima volta nella nazionale maggiore di tiro con l’arco. Per quattro anni ho fatto parte della squadra azzurra partecipando a varie gare che avevano lo scopo di scegliere gli atleti che dovevano andare alle Olimpiadi. A un certo momento il commissario tecnico mi convoca e mi dice che ci sono dei problemi per la mia eventuale partecipazione alle Olimpiadi di Atlanta a causa della carrozzina e dovuti ai regolamenti della Federazione Internazionale che
riguardavano, diciamo, la coreografia non la parte sostanziale della gara; quindi nonostante fossi tra le migliori atlete non era possibile portarmi negli Stati Uniti. A quel punto mi sono detta che l’unica cosa che potevo fare era di essere la migliore delle atlete italiane. Saranno poi loro che dovranno avere il coraggio di lasciarmi a casa. In tutte le gare di selezione per Atlanta io sono sempre stata la migliore. La Federazione internazionale vedendo che non mollavo e i risultati erano evidenti fu costretta a cambiare il regolamento della coreografia, che non incideva minimamente sulla gara: per esempio che si poteva appoggiare l’arco sulle ginocchia invece che spostarmi di 2 metri per uscire dalla linea di tiro. In altre parole hanno modificato il regolamento per permettere a chiunque, anche a una persona in carrozzina, di partecipare alle gare olimpiche. Non ho vinto nessuna medaglia, ma ho vinto il premio più importante: ho annullato l’handicap. E di questo sono orgogliosa. Quando si è sulla linea di tiro siamo tutti uguali, le mie avversarie avevano negli occhi la mia stessa paura di sbagliare e di essere eliminate e nessuno vedeva più la mia carrozzina. La stessa cosa, però, non l’ho riscontrata sulle tribune, specie da parte della stampa, perché continuavano a vedere l’handicap e non la prestazione sportiva. Più volte parlando di te hai detto: “Io credo di essere stata un’atleta molto severa con me stessa”. Perché dici questo? Non ho mai trovato scuse se qualcosa non andava: l’atleta spesso attribuisce la colpa all’attrezzo oppure al vento e così via. Anche quando vincevo delle gare ma
la prestazione non mi convinceva non ero contenta di me stessa. Questo è il mio carattere. Hai anche detto che fare sport nella fase adolescenziale ti era servito molto… Perché questo è il momento in cui nascono i problemi d’inserimento nella società. Viviamo in un mondo in cui se non sei perfetto sei visto come un diverso. Questo è un “vestito” che non poteva andarmi bene e quindi dovevo trovare il modo di dimostrare a me stessa, innanzitutto, e anche agli altri che io valevo. Avere autostima in se stessi è fondamentale. Vi è da dire che la mia famiglia mi ha sempre seguito e incoraggiato e non ho mai avuto problemi di inserimento: andavo anche in discoteca con gli amici e ascoltavo la musica. Insomma penso di avercela fatta. Quanti sono gli atleti che possono dire di aver partecipato a una Olimpiade? Pochissimi. Io ce l’ho fatta e ora non devo più dimostrare niente a me stessa e tantomeno agli altri. Di recente sei stata inserita fra le 100 leggende dello sport italiano. Il tuo nome appare al Foro Italico di Roma su una mattonella assieme agli altri grandi dello sport. Una bella soddisfazione! È un grande orgoglio essere accomunata a tanti altri personaggi famosi dello sport italiano: si parte da Gian Giorgio Trissino, sport equestri, per proseguire con Tazio Nuvolari e si arriva a Domenico Fioravanti.
Hai dedicato questo riconoscimento a qualcuno? In genere non dedicavo a nessuno una mia vittoria o un fatto come questo. Solo una volta mi è capitato di farlo. A Barcellona, nel 1992, quando ho ricevuto la mia prima medaglia d’oro a una Paralimpiade: sentendo l’inno nazionale ho pensato che non era solo per me, ma per tutti gli italiani. Dalla tua prima Paralimpiade del 1988 di Seul a oggi, cos’è cambiato dal punto di vista sportivo in questo tipo di evento? Sono cambiate tante cose. Seul è stata la prima volta in assoluto che i giochi Paralimpici si sono tenuti nello stesso luogo dove si tenevano le Olimpiadi. Prima erano in siti diversi. Ora non ti assegnano l’organizzazione delle Olimpiadi se subito dopo non fai anche le Paralimpiadi. Londra nel 2012, poi, ha segnato una ulteriore svolta. Nella capitale inglese c’è stata una grande presenza di pubblico, gli spalti erano sempre gremiti e le televisioni di tutto il mondo hanno dedicato ore e ore di diretta commentando le prestazioni degli atleti. Un grande cambiamento. L’Italia dello sport, a tuo avviso, è diventata un paese maturo difronte alla disabilità? Non c’è ancora la maturità totale, ma abbiamo fatto dei passi in avanti. Basti pensare che ora il Comitato Italiano Paralimpico, è diventato ente pubblico, come il Coni. A Roma è stato inaugurato da poco il “Tre Fontane” il centro di preparazione degli atleti paralimpici. Oggi, poi, non è così inconsueto trovare giornali o televisioni
che danno i risultati delle gare o parlano degli atleti, questo grazie anche a personaggi come Alex Zanardi o Bebe Vio. È vero che non ci sono solo loro e che il movimento è più ampio e ci sono grandi campioni che non sono saliti alla ribalta, come ricorda anche Bebe, ma tutto aiuta a far conoscere la realtà dello sport praticato da persone con disabilità. Pensa che prima della mia partecipazione alle Olimpiadi di Atlanta non si era mai parlato del tiro con l’arco in televisione. Alle successive Paralimpiadi, sempre ad Atlanta, la Rai per la prima volta, a seguito della mia presenza, ha trasmesso la manifestazione in diretta. Dunque ben venga tutto ciò che può aiutare a farci conoscere. Ora a che cosa ti stai dedicando? Dal 2001 sono nel Comitato Italiano Paralimpico, prima come consigliere e adesso come membro di giunta. Ho fondato e presieduto la Commissione Atleti. Ora sono presidente della Commissione Benemerenze. Alla fine di questa nostra chiacchierata, qual è il messaggio che vorresti lasciare ai lettori di SportDi+? Praticare lo sport è un diritto di tutti e quindi dobbiamo fare in modo che lo sia veramente.
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CALCIO
Ex campione dell’Hellas in campo per la Giornata mondiale della prematurità Venerdì 17 novembre 2017 si è celebrata in tutto il mondo la Giornata Mondiale della prematurità giunta alla sua VII edizione. Trattasi di una manifestazione – sostenuta dalla EFCNI European Foundation for the Care of Newborn Infants congiuntamente ad altre organizzazioni nazionali presenti in altri continenti – che interessa oltre 60 Paesi, con la finalità di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della prematurità, dando voce alle famiglie dei piccoli pazienti che, non di rado, hanno problematiche di salute oppure, nei casi più gravi, non sopravvivono. Ogni anno, a livello mondiale, un neonato su 10 nasce prematuro. Circa un milione di bambini non sopravvive (dati EFCNI): numeri che sottolineano l’urgenza di affrontare, senza riserve, il tema della prematurità e della malattia nei neonati. E proprio nell’ottica di promuovere e sensibilizzare l’opinione pubblica su questa tematica, sabato 18 novembre dalle ore 14.30 presso il Centro Polifunzionale “M. Fiorito” di Via Golino, 41 (Verona) si è giocata una partita di calcio tra la formazione TIN Verona (composta da medici e specializzandi del Reparto di terapia Intensiva Neonatale, patologia Neonatale, Assistenza Neonatale e Trasporto del Neonato Critico dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Verona) e gli Ex Calciatori dell’Hellas Verona. All’evento ha presenziato anche l’Assessore Regionale alla Sanità Luca Coletto. “In questa giornata del prematuro - ha spiegato il Dott. Paolo Biban direttore dell U.O. Pediatria ad indirizzo critico dell’Ospedale di Borgo Trento - celebriamo tutti i bambini e tutte le famiglie con le quali siamo stati fian-
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co a fianco in questi anni, ma anche i medici e gli infermieri che si dedicano a questo lavoro con tanta passione. Giornate come queste rinforzano il morale, ci fanno tenere duro anche di fronte alle difficoltà che abbiamo di risorse umane che sono sempre un pochino tirate, ci incoraggiano a studiare, a migliorare ad andare in giro per il mondo per portare a casa sempre più conoscenza per arrivare all’obiettivo di aiutare questi bambini nel miglior modo possibile” Durante il pomeriggio si sono
inoltre vissuti diversi momenti di intrattenimento per bambini e famiglie con merenda gratis e musica per tutti.
Sponsor ufficiale Pallamano Olimpica Dossobuono serie A femminile 2017-2018
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INTERVISTA
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di Alberto Cristani - Foto: Maurilio Boldrini
chi trova un
D'AMICO... A
ndrea D’Amico ci accoglie nella sua bellissima casa all'indomani della sciagurata partita Italia-Svezia, spareggio che ci è costato la qualificazione ai Mondiali di Russia 2018. “Mamma mia che figuraccia ieri sera!” esclama mentre ci accompagna in soggiorno, locale luminosissimo e accogliente, dal quale si possono ammirare un paesaggio mozzafiato caratterizzato dalle colline di Custoza. Dopo averci offerto un caffè e aver scambiato quattro opinioni a microfoni spenti ahimè non riportabili in questa intervista, ci accomodiamo e iniziamo la nostra piacevolissima chiacchierata.
Quanto è cambiato in questi anni il calcio mercato? Moltissimo, soprattutto in termini di ampiezza e diffusione. Il calcio è lo sport più diffuso e importante al mondo come giro d'affari, ha un valore sociale e politico molto importante. È una vera e propria azienda, in Italia è tra le prime cinque come fatturato. Lo sviluppo che ha avuto anche in Paesi che prima sembravano inaccessibili come la Cina dimostra la sua rilevanza.
Andrea, innanzitutto cosa significa per te la parola casa? Per me casa vuol dire tante cose. Casa è dove hai gli affetti, un ambiente dove posso tornare dagli impegni del lavoro, con i miei ricordi, i miei oggetti che hanno accompagnano la mia crescita, quella della mia famiglia. Casa è anche quel luogo dove ritrovo gli amici di una volta. Quello della casa è un valore che mi accompagna anche quando vado in giro per il mondo, so che ho un posto in cui posso sempre tornare. Io lavoro anche da casa, dove c'è il mio telefono posso lavorare ovunque. La tecnologia ci ha dato la possibilità di lavorare in ogni posto e senza limiti di orario, poi sta a noi decidere un limite in base alla nostra reperibilità. Per noi la reperibilità è quasi fondamentale, di 24 ore diciamo, soprattutto nei periodi in cui il mercato è aperto.
Quanto un procuratore sposta gli equilibri o quanto può incidere sul valore effettivo di un giocatore? Tanto, questo perché un procuratore deve avere anche intuizione, scovare l'affare dove ancora magari non c'è. Mi sento un po' come un pescatore che ogni giorno va a pesca di opportunità, io lo faccio con i miei giocatori, cercando di cogliere il meglio e di risolvere gli imprevisti che possono capitare, sia di natura personale che privata. In tanti anni ho avuto la fortuna, il talento e l'idea giusta, come con Cannavaro quando era senza contratto e l'ho portato a Dubai, con Porrini, Amoruso, Vanoli in Scozia, con Criscito e Bocchetti in Russia, con Bierhoff che poi è diventato un calciatore importante vincendo gli Europei con la sua Germania. È successo anche ultimamente con Giovinco, un giocatore che magari qui in Italia, nonostante il talento, non trovava il suo spazio nella Juventus e che l’ha trovato nel Toronto.
Il tuo è un lavoro frenetico, soprattutto in alcuni periodi dell'anno. In questa frenesia si riesce ancora a trovare il rapporto umano con le persone? Ognuno porta nel lavoro ciò che ha dentro. Se tu hai piacere di coltivare le relazioni umane, lo farai anche nel lavoro. L'investimento più grande che ho fatto è sulle persone, mantenere rapporti di qualità, siano essi professionali o di amicizia. Il mio lavoro mi ha dato l'opportunità di conoscere molte persone da cui ho imparato qualcosa e cerco di trasmettere questa fortuna e questa umanità anche agli altri.
Cosa ti piace fare nel tempo libero? Cerco di stare il più possibile con mio figlio, mi piace poi stare anche a contatto con la natura essendo cresciuto in campagna e mi piace molto anche sciare, perché lo sci è uno dei miei amori più grandi. Il vero lusso di oggi è poter avere il tempo di godere delle bellezze della natura che ci circonda. Ai miei giocatori e a mio figlio dico sempre di investire il tempo libero in attività che possano arricchire, come lo studio delle lingue, le relazioni sociali, che possono aiutare nell'acquisire un bagaglio importante di valori.
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gregazione. Gli sport di squadra hanno tante dinamiche, bisogna basarsi sulla fiducia reciproca. Devo dire che però mi affascinano molto anche gli sport individuali perché in questo caso tutto dipende dagli sforzi e dai sacrifici del singolo. Ho conosciuto tanti campioni, tutti unici nelle loro caratteristiche. Se devo fare un nome dico Max Girardelli, un amico e uno dei più grandi sciatori di tutti i tempi, che ha vinto 5 coppe del mondo.
Che musica ti piace ascoltare? Ultimamente ne ascolto poca, però la musica mi piace tutta, dalla lirica al pop, al jazz. Mi regala sempre delle grandi emozioni. Sono cresciuto con le canzoni di Battisti, delle vere poesie. Conosco bene Mogol, per cui ogni tanto gli chiedo se nascono prima le parole o la melodia. Lui mi ha detto che molte canzoni sono nate da viaggi in macchina con Battisti, che prima creava una melodia e lui gli creava sopra le parole. Forse la differenza con la musica di oggi è quelle canzoni ti entravano davvero nella pelle con le loro parole. Battisti ha accompagnato la mia adolescenza, ma anche i Beatles o altri. Qualsiasi cosa bella, nel senso più oggettivo del termine, mi affascina. Nel cinema la bellezza si manifesta a 360 gradi perché ci sono le immagini, la storia, la recitazione, la musica, la fotografia ecc. A mio avviso, un grande capolavoro è J.F.K. Un caso ancora aperto di Oliver Stone. Mi ha fatto riflettere molto. Un piatto tipico o un vino? Mi piacciono sia le cose semplici, tipo pane e olio, ma anche i piatti della tradizione, come baccalà e polenta, i bolliti con la pearà, i tortellini di Valeggio, i tortellini di zucca, come anche le cose più esotiche. Non sono un qualunquista, ma più vado avanti ed è come se i miei sensi fossero amplificati e riesco ad apprezzare più cose, magari capendo cosa c'è dietro anche nella realizzazione di una cosa che sembra semplice. Questo aiuta ad apprezzare tutte le situazioni della vita, anche quando incontri persone con cui non subito hai un'empatia, capendo cosa può esserci nel loro vissuto riesci a dimostrarti più tollerante. Per me davvero la vita è un miracolo, sono felice di alzarmi ogni mattina. I giocatori con i quali hai avuto i migliori rapporti professionali e umani? Difficile fare una graduatoria perché per me sono tutti importanti. Con ognuno di loro ho vissuto emozioni incredibili. Faccio solo un esempio: nel campionato mondiale vinto dall’Italia del 2006 in campo c’erano cinque giocatori con i quali avevo collaborato: Del Piero, Gattuso, Iaquinta, Zaccardo e Perrotta. E' stata una grande soddisfazione professionale ma altrettanto lo è stato a livello umano. Lo stes-
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so è stato con Lentini, giocatore che Van Basten ha più volte indicato tra i più forti con il quale abbia mai giocato. Gianluigi per me era il Cristiano Ronaldo dell'epoca e quando lo piazzammo al Milan era al top. Poi ebbe un incidente e da allora qualcosa in lui cambiò. Nonostante tutto tra noi il rapporto fu sempre lo stesso e ancora oggi, appena possibile, ci sentiamo telefonicamente o ci vediamo. Si parla tanto dei valori dello sport soprattutto in ambito giovanile; si sta davvero facendo qualcosa di concreto? Purtroppo lo sport viene ancora visto come qualcosa che porta via tempo allo studio e quindi i giovani devono decidere se studiare o fare sport. Io spero che si possa creare un percorso di studi per cui chi vuole fare sport ad alti livelli, non solo a livello scolastico ma anche a livello universitario. La percezione dell’importanza di una nazione dipende anche dai suoi successi sportivi. Ma anche chi magari non intraprenderà un percorso agonistico deve avere la possibilità di praticare una disciplina perché lo sport educa, insegna regole e disciplina e aita a essere una persona migliore nella vita di tutti i giorni. Al di la dell'aspetto lavorativo, qual è il tuo rapporto con il calcio e con lo sport in generale? Da giovane ho sempre giocato a calcio da dilettante e la mia famiglia ha sempre amato lo sport, perciò sono cresciuto con i valori che lo sport insegna, ovvero rispetto delle regole, divertimento e ag-
Quello che hai conquistato in questi anni ti rende felice? Devo essere sincero: sono sempre stato felice, anche da ragazzo, quando vivevo a Villafranca. Quindi la serenità è un ingrediente che ho dentro e porto con me da sempre. Forse allora ero anche più felice, mi mancano molto gli anziani del paese, le piccole cose. Una cosa è certa: non sono i successi professionali a riempirti la vita. Raccontaci di tuo figlio… Marco ha 16 anni ma si comporta come quando ne avevo 25 io. C'è poco da dire: i ragazzi di oggi hanno una marcia in più a livello mentale rispetto, per esempio, alla mia generazione. Con lui ho un rapporto vero, sincero. Io e mia moglie gli abbiamo fatto fare un corso di studi che lo aiutasse, sin dalle elementari, ad apprendere al meglio le lingue straniere, importantissime in ogni tipo di professione. Cosa gli auguro per il futuro? Di trovare il meglio e di scegliere con consapevolezza per non avere rimpianti Se poi volesse seguire le mie orme ne sarei felice e lo aiuterei. Ma se accadrà dovrà essere una scelta solo ed esclusivamente sua. Che rapporto con i giornalisti? Direi ottimo: io mi fido di loro e loro sanno che possono fidarsi di me. Entrambi abbiamo un dovere professionale nei confronti dell’altro e quindi c'è massimo rispetto. I giornalisti hanno un ruolo importante perchè influenzano la pubblica opinione. Sono fondamentali, molto più dei social.
perdiamo. Una soluzione? Che almeno 5-6 giocatori italiani facciano parte dell’undici iniziale. Tornando a Ventura, sebbene io lo conosca bene e lo rispetti, probabilmente alla guida dell’Italia serviva qualcuno più esperto, con un curriculum migliore e soprattutto che avesse vinto a livello internazionale. Ventura ha cercato di adattare i giocatori al suo sistema di gioco ma doveva fare il contrario. Contro la Svezia ho visto sin dall’inizio un atteggiamento remissivo, preoccupato; in questo caso sarebbe servito un allenatore carismatico in grado di sopportare e alleggerire questa enorme pressione.
E con i tuoi assistiti? Nel tempo, ovviamente, cambia a livello professionale ma non umanamente, prova ne è che, all’occorrenza, supporto anche con ex giocatori nel loro percorso post carriera. La P.D.P. (Pasqualin D'Amico Partners, la società che D'Amico ha fondato nel 1986 insieme all'avvocato Claudio Pasqualin n.d.r.) non abbandona mai i suoi giocatori perchè ci tiene ad ottimizzare ogni momento della loro carriera. Il calcio è anche femminile Assolutamente. E io credo molto nel calcio femminile. Un esempio? Sebbene un po’ casualmente fui io a portare a Verona una giocatrice svedese molto forte, che da noi si è imposta come ottima giocatrice e, tra le altre cose, ha conosciuto e sposato un veronese. Sto parlando del portiere
Stéphanie Öhrström, ora alla Fiorentina, con la quale ha vinto lo scorso anno lo scudetto. Devo dire che per me è stata una grande soddisfazione portarla in Italia. In questo caso però sono stato un po’ procuratore e un po’ Cupido…
Ventura ha convocato i giocatori migliori? Credo che l’allenatore della Nazionale, prima di diramare le convocazioni, dovrebbe visionare, o far visionare dal suo staff, tutti i bravi giocatori italiani che giocano all’estero. Questo Ventura non l’ha fatto. Trovo assurdo, per esempio, che non abbia mai visto Giovinco, giocatore sta facendo meraviglie in America e che abbia non abbia mai considerato seriamente Criscito, protagonista dal 2011 nel campionato russo.
Che ci dici della figuraccia rimediata dalla Nazionale italiana? Un vero disastro! La responsabilità non è però solo di Ventura ma di tutti coloro, in primis la Federazione, che hanno fatto in modo che il calcio italiano arrivasse a questo punto. È mancato un progetto vero e condiviso, che potesse valorizzare la nostra Nazionale. Anche i club hanno le loro responsabilità; le squadre sono ormai composte più da giocatori stranieri che da italiani. Bisognerebbe coltivare maggiormente i nostri talenti, che sono tanti. Bisognerebbe assicurare a questi giocatori uno sbocco professionistico una volta arrivati nelle formazioni Primavera altrimenti li
Cosa serve per rifondare il calcio Made in Italy? Occorrono persone competenti che sappiamo superare gli interessi personali e che si dedichino a costruire un nuovo sistema. Questo andrebbe indubbiamente ad influire positivamente anche sul livello del campionato che ad oggi, dopo l’esclusione dal Mondiale, ha perso molto appeal. Se vi ricordate dopo la vittoria del 1982 tutto il nostro Paese ha potuto godere di un slancio considerevole, oltre i confini del calcio. Lo stesso è successo nel 2006. Il successo è sempre foriero di guadagni mentre l'insuccesso, al contrario, lo è di perdite. A questo punto dobbiamo solo sperare che venga decisa, in tempi brevi, la strada da seguire per uscire da questo tunnel.
Chi è Mr. Football Per i pochi che non lo conoscessero, Andrea D’Amico è uno dei migliori procuratori calcistici a livello mondiale e ad oggi sono sotto la sua procura un centinaio di calciatori impegnati campionati di mezzo mondo. E’ stato l’agente di Gennaro Gattuso, ha affiancato Alessandro Del Piero e ha portato nel 2015 Sebastian Giovinco in Canada. Ha inoltre lavorato agli ingaggi di giocatori del calibro di Francesco Toldo, Dino Baggio, Salvatore Bocchetti, Domenico Criscito, Marco Donadel, Luca Rigoni, Marco Rigoni, Maxi Lopez, Luca Antonini, Ignazio Abate, Vincenzo Iaquinta, Alberto Aquilani, Ishak Belfodil, Fabio Cannavaro (a Dubai nel 2010), Marco Borriello e del veronese Riccardo Meggiorini.
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Andrea, per concludere, fai un bilancio di questi tuoi primi 30 anni di attività… Sono stata una persona molto fortuna, forse più fortunata che meritevole, o forse ho avuto il merito di saper cogliere questa fortuna. Posso inoltre contare sulla serenità, mia dote innata: quando sei sereno riesci a essere sicuro e carismatico nella
vita e anche sul lavoro. Certo, mi sono sicuramente impegnato moltissimo e più di così non avrei potuto fare, ho dato tutto. Il messaggio che cerco di trasmettere a mio figlio, ma anche ai miei giocatori, è che talento o non talento se ti applichi otterrai sicuramente dei risultati ma soprattutto diventi protagonista della tua vita. Quan-
do ho cominciato tutti mi scoraggiavano perché venivo da un paese e non ero figlio d’arte. Io però sentivo dentro di me la voglia e la sicurezza di rischiare. Ho creduto e puntato su di me e direi che, tutto sommato, ho avuto ragione…
I ‘best’ di Andrea D’Amico
Colore:
Acquamarina Città: Venezia Luogo di Verona: Piazza Brà Luogo della provincia di Verona: Lago di Garda Monumento: ‘Le mani’ a Ca’ Sagredo sul Canal Grande di Lorenzo Quinn Piatto: pesce crudo Vino: le bollicine di Custoza Canzoni: La luce dell’est (Battisti), Shine on you crazy Diamond (Pink Floyd)
Cantanti: Lucio Battisti, Luciano Pavarotti Film: Gesù di Zeffirelli Attore: Alberto Sordi
Automobile: Ferrari 250 Gt California
Il calciatore: Pelè
Imprenditore: Mark Zuckerberg
Lo sportivo: Michael Phelps e Alberto Tomba
Procuratore: omissis
Divisa calcio: Azzurra della Nazionale italiana Donna: Charlotte Casiraghi Marca abbigliamento: Alessandro Martorana
INTERVISTA
di Andrea Etrari
Dell’OLIO, che centro per l’Alpo!
È
riuscita nell’intento di non far rimpiangere Marina Dzinic, la lunga bosniaca che per due anni ha vestito la maglia dell’Alpo Basket: Veronica Dell’Olio, nuovo centro dell’Ecodent Point, non ci ha messo molto a far vedere di che pasta è fatta. Marchigiana di Senigallia, classe 1993, 190 cm di altezza, Dell’Olio è arrivata da Umbertide in A1 ed è un punto fermo della squadra di coach Nicola Soave. Veronica, che giocatrice sei? Mi piace essere una giocatrice utile: mi metto al servizio della squadra, in difesa ad esempio dove non serve il talento, ma gambe e testa. Per il resto mi piace tirare da tre ma anche giocare spalle a canestro o fare qualsiasi altra cosa che sia utile alla squadra. Quando e come hai iniziato a giocare? Mia mamma ha giocato, ma ho fatto nuoto fino a 11 anni. Poi ho iniziato col basket ma giocavo con ragazze molto più vecchie di me e ho passato tantissimi palloni al muro! Da Senigallia sono passata a Pesaro dove è iniziata la mia carriera che è proseguita nel College Italia, a Umbertide, Ancona, Cagliari, di nuovo ad Umbertide e infine qui ad Alpo. Veronica sei scesa in A2? Perché l’Alpo mi cercava da tempo e mi sono detta che prima o poi avrei dovuto venire qui. Il fatto di scendere di categoria non ha rappresentato un problema per me, sono contenta della mia scelta e mi piace questa squadra. Il vostro è un girone tosto e molto equilibrato… Sì, diciamo che non c’è niente di scontato, è un campionato molto competitivo, nel quale non c’è nessuna squadra materasso. Da parte nostra dobbiamo essere sempre concentrate, in quanto tutte le nostre avversarie hanno un proprio potenziale e possono giocarsela, pertanto non dobbiamo pensare di essere più forti sulla carta dell’antagonista di turno, ma dimostrarlo in campo. Dove potete arrivare quest’ano? Vogliamo arrivare il più in là possibile, il campionato è iniziato bene per noi con 5 vittorie nelle prime 7 giornate, senza contare che con Vicenza abbiamo perso di 2 punti ed eravamo senza Zampieri. Insomma, abbiamo tutte le carte in regola per fare un campionato importante.
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SPORT LIFE
di Gian Paolo Zaffani - foto Paolo Schisaro
D U In ! T S U R T E W
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attia Udom è uno dei volti nuovi della Tezenis Verona. E’ un lungo importantissimo nelle rotazioni di coach Dalmonte, uno di quelli che in campo si fa sentire sia in attacco che in difesa. In estate la Tezenis l’ha prelevato da Biella, mettendo a segno un vero colpo di mercato. Ora Mattia, in gialloblu, sta dando il meglio di se giorno dopo giorno, allenamento dopo allenamento. Alto 202 centimetri, Udom ha già un rap-
porto particolare con la città. “Abito vicino a Piazza Bra – ha commentato – e questo mi permette di fare spesso due passi in centro, in una città bellissima, davvero stupenda. Verona mi piace da morire e qui sto davvero benissimo”. Un ambientamento facilitato anche dall’ottimo rapporto con tutti i compagni di squadra: “Siamo un bel gruppo, che sta crescendo e molto unito. Il rapporto con i compagni è super e in palestra si lavora davvero bene. C’è tanta collaborazione, tanta voglia di mettersi a disposizione uno dell’altro e questo rende ancora migliore ogni singolo allenamento”. La Tezenis Verona è una delle squadre più giovani del campionato. Udom, classe ’93, è in perfetta media d’età con la
squadra: “La nostra è una squadra che deve lavorare tanto ma devo dire che si percepisce che c’è una gran voglia di allenarsi ogni giorno. Sicuramente manchiamo un po’ di esperienza, ma il lavoro pagherà. Tutti noi siamo a disposizione dell’allenatore. Dalmonte, il nostro coach, ha un gran curriculum, e ci guida dandoci una mano quotidianamente per crescere, per tutti gli aspetti del gioco. Sono sicuro che lui riuscirà a tirare fuori qualcosa di molto buono da questa squadra perché ci sono tutte le potenzialità per farlo”. Il suo rapporto con il basket è nato per caso: “E’ stato mio padre a portarmi la prima volta a giocare in un campetto vicino alla chiesa, a Firenze dove sono nato. Però fin dalla prima volta che ho giocato mi sono divertito moltissimo. Non pensavo potessi, all’inizio, diventare un giocatore professionista. Invece quando è arrivata la chiamata per il settore giovanile di Siena, allora ho realizzato che potevo diventarlo. Quello con il basket è stato un amore a prima vista; per me è il basket è tutto. Ho fatto sacrifici, non conosco un’altra vita se non quella collegata al basket”. Nato a Firenze, Udom ha madre francese e padre nigeriano. “Erano qui per studiare – ha concluso Udom – e si sono conosciuti in Italia. Ho un fratello e una sorella più piccoli; Liam, mio fratello, sta prendendo la stessa strada per il basket. Ha giocato nelle giovanili di Rimini, quest’anno è a Pistoia nell’Under 18”. Mattia, ora, guarda solo a Verona: “Vogliamo fare bene, cresce, migliorarci”. I tifosi ci credono, Mattia e i suoi compagni di squadra pure.
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Ehi, Man! INTERVISTA
di Andrea Etrari
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rriva dall’Iran Javad Manavinezhad, detto anche Manavi, il nuovo schiacciatore della Calzedonia BluVolley Verona. Manavi ha già conquistato importantissimi risultati, grazie al suo talento e alla sua determinazione, ma soprattutto grazie a un'umiltà e un'educazione spesso difficili da trovare in chi, come lui, a quasi 22 anni ha già un successo strepitoso. Partiamo dall'infanzia: a che età hai iniziato a giocare a pallavolo e perché hai scelto proprio questo sport? Ho iniziato a giocare a pallavolo a 12-13 anni, perché mio padre era un giocatore di pallavolo, quindi questa passione mi è stata trasmessa da lui. Mi sono innamorato di questo sport proprio vedendolo giocare.
Gran Champions Cup… Dove tra l’altro avete battuto l’Italia. Si, un bel risultato anche lì. Peccato per la partita con il Brasile. Ma sono comunque contento di com'è andata.
Nel Campionato Asiatico under 20 del 2014 hai ricevuto il titolo di miglior giocatore e l’anno successivo hai vinto il campionato con la tua squadra, il Paykan Tehran, hai vinto l’oro sempre con l’under 20 nel Campionato Asiatico e sei stato convocato nella nazionale maggiore. Moltissime soddisfazioni! Che ricordi hai? Beh, quando nel 2015 Slobodan Kovac mi ha convocato in Nazionale è stato davvero incredibile, ho dei bellissimi ricordi dell’esperienza e di tutto il gruppo. Tra l’altro la mia prima partita è stata quella contro gli Stati Uniti. Una partita difficile sotto ogni aspetto dato che abbiamo perso (ride). Comunque è stata una grande emozione giocare nella squadra maggiore per la prima volta, un'emozione che non scorderò mai. Sì direi, che il 2015 è stato un anno ricco di soddisfazioni.
Quest’anno sei arrivato a Verona. Sei il secondo pallavolista iraniano a trasferirsi in Italia per affrontare il campionato di Serie A dopo Behnam Mahmoudi, un dato importante Come ti stati trovando all’interno della squadra? Oltre all’offerta della Bluvolley ho avuto altre proposte anche dalla Polonia e dalla Turchia. Per me è stato un grande onore perché ho sempre sognato di avere l'opportunità di giocare in una grande squadra europea. Ma ho voluto scegliere Verona, prima di tutto perché ritendo Grbic uno dei migliori giocatori e allenatori al mondo e sono sicuro che saprò imparare molto da lui e migliorare sempre di più. La Bluvolley
E nel 2017 terzo posto con la nazionale nel
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è una grande squadre, con una società molto ben organizzata. Sono pienamente soddisfatto della mia scelta. Mi trovo benissimo anche in squadra, ho compagni che vengono da ogni parte del mondo: Canada, Stati Uniti, Slovenia, Bosnia Siamo davvero un bel gruppo, molto unito, un gruppo che collabora e che cerca sempre di aiutarsi l'un altro. Faremo senz'altro buone cose in campo quest'anno. Campionato: chi è favorito secondo te per lo scudetto? E dove può arrivare la Calzedonia? Bella domanda (ride). Difficile da dire, perché so che è un campionato molto combattuto, in cui ogni squadra darà il massimo. Ovviamente daremo il massimo anche noi. Siamo qui per giocare certo, ma soprattutto siamo qui per vincere. Non posso dire dove potremo arrivare, ma so che ce la metteremo tutta per raggiungere buoni risultati. Ovviamente penso che le squadre che hanno raggiunto le prime 3 posizioni in campionato (Lube Volley, Trentino Volley, Sir Safety Perugia) lo scorso anno saranno probabilmente le più difficili da affrontare e quelle con maggiore probabilità di successo. Ma non c'è nulla di certo. La Bluvolley è la prima squadra al mondo ad avere nelle proprie fila un giocatore statunitense e uno iraniano. È sicuramente un messaggio positivo in un periodo in cui a volte anche lo sport viene usato come strumento di protesta politica. Tu cosa ne pensi? Credi che invece lo sport sia in grado di avvicinare anche culture diverse?
due grandi potenze l'una contro l'altra. Comunque, invece parlando di Verona dire che sono rimasto subito colpito dalla bellezza di questa città. Piazza Bra con l'Arena è stata uno delle prime cose che ho visto, ma le cose da vedere di questa città sono infinite e piano piano cercherò di vederle tutte.
l'altro è proprio da piccoli che si hanno più possibilità di apprendere al meglio uno sport. E dato che ti piacerebbe insegnare ginnastica, quali altri tipi di sport ti piace seguire? Diciamo che amo un po' tutti gli sport in generale, anche se mi diverte molto praticare uno sport che in realtà non è particolarmente considerato: il ping pong. Non è così semplice come sembra, serve velocità e concentrazione.
Sicuramente, credo che il messaggio che ogni sport dovrebbe trasmettere sia proprio questo: cercare di abbattere ogni barriera culturale, religiosa, politica ed eliminare ogni pregiudizio sulla diversità. Thomas (Jaeschke) è diventato subito un mio grande amico, tra l'altro è anche mio vicino di appartamento qui a Verona (ride). Quello che accade al di fuori del nostro rapporto e al di fuori del campo non ci interessa. Siamo due amici e compagni di squadra che pensano solo a collaborare, giocare insieme e fare del nostro meglio per supportarci l'un l'altro. Questo è lo sport! C'è un giocatore a cui ti ispiri o al quale vorresti assomigliare? Si, il brasiliano Dante Amaral, che ritengo essere uno dei più forti e completi giocatori al mondo, un vero esempio per me. Se non avessi intrapreso la carriera di pallavolista ora saresti… Penso che mi sarebbe piaciuto fare l’insegnante di ginnastica, magari per una scuola elementare. Mi piacciono molto i bambini, giocare con loro, lavorare con loro… Tra
Cosa ne pensi della cucina italiana? Che differenza c'è con quella della tua terra? Beh, la cucina italiana è unica, famosa in tutta il mondo. La mia preferenza va sicuramente ai primi piatti di pasta, non saprei davvero però quale condimento scegliere perché ne avete così tanti che è davvero difficile (ride), però il bello è proprio la varietà di piatti che si può proporre. Forse dirò una cosa abbastanza impopolare, ma invece non sono un grande amante della pizza. Sì, ogni tanto la mangio ma sicuramente non è tra i miei piatti preferiti. Per quanto riguarda la cucina iraniana c'è una grande differenza nelle portate: in Italia avete primo e secondo piatto, mentre da noi si ha solo un unico piatto principale. E la nostra tradizione culinaria si basa su piatti di riso, accompagnato da varie salse. La carne che consumiamo di più è quella di pollo. E poi molta frutta e verdura. Anche da noi si mangia molto bene (ride). Com'è visto il nostro paese dalla tua gente? Che giudizio danno del popolo italiano? L'Italia è vista sicuramente come una nazione con una forte e importante storia alle spalle, un Paese ricco di arte e cultura, con molte cose da vedere e per questo siamo affascinati dal popolo italiano. La prima cosa a cui pensiamo quando parliamo dell'Italia è Roma, che con il suo grande impero aveva praticamente mezzo mondo in pugno. Anche il mio Paese ha una grande storia alle spalle, infatti l'impero persiano era spesso in guerra contro Roma, erano
Prima hai parlato di Roma. Sei mai stato nella Capitale? Purtroppo no, ma anche quello è un sogno che spero presto di realizzare. Amo visitare le città e prima o poi vedrò anche Roma con le sue meraviglie. Hai hobbies particolari? Cosa fai quando non giochi? Quando ero in Iran approfittavo del mio tempo libero per poter stare un po’ con la mia famiglia o con i miei amici, visto che ero spesso impegnato con gli allenamenti cercavo di ritagliarmi dei momenti per stare con le persone che amavo. Qui, come ti dicevo prima, quando sono libero vado alla scoperta delle meraviglie di Verona e in generale del Veneto. Per esempio la prossima settimana vedrò Venezia, una città che tutti mi han sempre detto essere meravigliosa. Mi piace molto anche guardare le serie tv, quando posso, il momento migliore è la sera prima di andare a letto, così mi rilasso un po'. Ci sono anche alcune serie iraniane buone, ma che immagino non siano conosciuto. Tra quelle internazionali mi piace molto Banshee, una serie tv americana. Cos’ha detto la tua famiglia quando hai deciso di fare il giocatore di pallavolo? E come ha commentato il tuo trasferimento in Italia? Mio padre era molto contento quando ho deciso di iniziare a pallavolo ed è sempre stato molto contento delle mie scelte. Quando gli ho detto che avevo deciso di trasferirmi a Verona mi ha sostenuto e mi ha detto che sarebbe stata un'esperienza che mi avrebbe fatto crescere ancora di più. Anche mia madre ovviamente mi sostiene, ma per una mamma è sempre dura vedere il figlio che se ne va da casa, ancora più dura vederlo andare in un altro Paese non troppo vicino. Ma capisce l'importanza che la pallavolo ha per me e sapevo quanto avessi lavorato sodo per essere qui, così mi ha detto "Se vuoi andare in Italia devi andare, è giusto". Lei è davvero molto felice di quello che ho raggiunto. Mi manca la mia famiglia, è dura stare lontani e vedersi poco, ma cercheremo di sfruttare ogni periodo di vacanza per ritrovarci.
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SPORT LIFE
di Andrea Etrari
Il Verona Basket ne fa… 31!
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opo la splendida stagione 2016/2017 (titolo provinciale Under 13, Under 15, secondo posto Under 16 e tutte le squadre del settore basket alle Final Four), Verona Basket ha iniziato la stagione nel migliore dei modi. Nel settore minibasket il numero di iscritti ha già raggiunto il numero dello scorso anno, 110, mentre nel Settore Basket è aumentato il numero dei ragazzi che dànno vita alle squadre che partecipano a tutti i campionati giovanili: i risultati sono già arrivati in questa prima fase di stagione come e più delle aspettative. “Nella prima fase provinciale Under 18, 15, 14 e 13 - afferma con soddisfazione il Presidente di Verona Basket Fabio Celebrano - tutte le squadre sono ai vertici delle classifiche nei rispettivi
gironi L’under 16 partecipa alla fase GOLD, ex Elite Regionale, ed è bello vedere che in questa prima fase regionale la squadra è competitiva, pur confrontandosi con avversarie molto qualificate”. Parliamo della squadra senior, che proprio senior non è: “La nostra squadra di Promozione non è altro che l’U18 con l’innesto di 6 senior. I risultati faticano ad arrivare, ma in ogni caso ottimo è il risultato dell’impiego a lungo e con tanta responsabilità della pattuglia degli 2000/2001. Proprio per questo, specie nelle prime partite di stagione, pur giocando alla grande contro tutte le squadre, nel momento “dell’esperienza” gli errori di gioventù degli Under consentono agli esperti avversari di approfittarne per fare il break che generalmente nell’ultima metà dell’ultimo quarto dà loro il vantaggio”. Questo percorso si chiama ‘esperienza’, la stagione darà ragione ai programmi predisposti per la maturazione degli under, trainati sempre da Capitan Andrea Guerra, il quarantenne che ha visto alternarsi in campo già varie generazioni di giovani gialloblù dalle belle speranze, il talentuoso tiratore Luca Bertoni, l’inossidabile ala Alessandro Tormene, il play Davide Palumbo e due ottimi innesti di esperienza che danno un po’ si sostegno fisico Marco Bincoletto e Andrea Franceschini. “Purtroppo - conclude con un pizzico di amarezza Fabio Celebrano - già alla seconda gara di campionato abbiamo perso il nostro pivot titolare Davide Ederle, che purtroppo in un’azione di gioco si è prodotto la rottura del crociato della gamba sinistra. Infortunio grave se si considera che è già stato operato due volte al crociato dell’altra gamba. Speriamo si rimetta al più presto: noi lo aspettiamo fiduciosi”.
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INTERVISTA
di Giorgio Vincenzi - Foto Ufficio stampa US Cremonese
Il tuttofare
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a Castelletto di Brenzone a Cremona scalando tutte le categorie calcistiche per debuttare quest’anno, a quasi 30 anni, in Serie B. Stiamo parlando di Andrea Brighenti che di ruolo fa il centravanti. Il fiuto innato per il gol lo ha portato nel campionato 2015/2016 di Lega Pro a vincere, con la maglia della Cremonese, la classifica cannonieri con 17 reti e l’anno successivo è arrivato a quota 16. Cresciuto calcisticamente negli allievi del Malcesine è poi passato al Sona e da lì alla primavera dell’Hellas Verona. Approdato successivamente in serie D con la Virtus, nel 2008 compie il balzo in Lega Pro nelle file prima del Pavia e quindi della Sambonifacese e Renate e dal luglio 2013 in quelle della Cremonese con la quale quest’anno ha conquistato la Serie B. Brighenti ha come sogno nel cassetto, come ci racconta in questa intervista, di giocare in Serie A con la sua Cremonese e con la fascia di capitano al braccio. Dodici anni fa giocavi in Promozione nel Sona e ora sei in Serie B con la Cremonese. Che cosa significa per te aver raggiunto a quasi 30 anni questa categoria? È una grande soddisfazione perché era un obiettivo che avevo in mente di raggiungere assieme alla Cremonese. Ci tenevo molto. L’anno scorso con la Cremonese hai vinto il campionato di Lega Pro, girone A, con al braccio la fascia di capitano e realizzando 16 gol. Che effetto ti fa essere il capitano e il bomber di questa squadra? Che sono qui questo mi fa molto piacere.
E per questo cerco sempre di migliorarmi per dare il mio contributo alla squadra come è successo l’anno scorso e come sta accadendo ora per rimanere in Serie B. L’anno scorso abbiamo vinto il campionato grazie a un grande gruppo che anche nei momenti più difficili ha saputo reagire. È stata una grande emozione. Con la maglia della Cremonese hai segnato 60 goal in Lega Pro e, fino ad oggi (14 novembre), 3 gol in Serie B diventando il secondo bomber più prolifico nella storia della squadra grigiorossa. Davanti hai solo Emiliano Mondonico: che effetto ti fa? Non sono il tipo che guarda a queste statistiche. È normale che se avrò la fortuna di rimanere alla Cremonese ancora per qualche anno proverò ad arrivare al record. Io però cerco di ragionare su obiettivi come il campionato o a raggiungere un determinato numero di gol in una stagione, ma soprattutto a breve termine dando il meglio di me stesso in ogni singola partita. A fronte dei tanti gol segnati non ti senti un centravanti dimenticato dalle grandi squadre? Hai qualche rimpianto? No (sorride n.d.r.), mi sento apprezzato qui dove sono. Ogni giocatore, poi, ha bisogno di tempo prima di raggiungere il suo apice. Non ho nessun rimpianto del passato. Sulla tua maglia c’è il 9, il numero dei grandi centravanti. Lo hai scelto per questo motivo? È un numero che mi piace e che ho da qualche anno. Non sono però uno scaramantico che deve averlo per forza.
Che tipo di centravanti sei? Sono un attaccante a cui piace fare gol, ma anche aiutare la squadra nella fase difensiva, nello sviluppo del gioco o nel farla risalire. Aspetti sempre più importanti nel calcio moderno. Tra i calciatori che hanno il tuo stesso ruolo, qual è quello a cui ti ispiri o che ti piace per come si muove sul campo? Ce ne sono tanti di bravi. Penso a Higuain che nel suo ruolo è il più forte in questo momento, il più completo e poi: mi piace come fa i gol e come si muove. C’è stato un allenatore che più di altri ha lasciato il segno nella tua carriera di calciatore? Senz’altro Marco Giampaolo (attualmente alla Sampdoria, n.d.r.) che ho avuto tre anni fa proprio qui a Cremona. È stato molto importante per me perché ti insegna a giocare a calcio. È l’allenatore che sicuramente mi ha lasciato qualcosa in più rispetto ad altri. Il 2 ottobre scorso nella trasferta a Frosinone hai incontrato Nicolò Brighenti, tuo cugino che abita a Cavaion. Che effetto ti ha fatto rivedervi su un campo di Serie B? È stato bello. Lui poi veniva da un grave infortunio ed era alla sua prima convocazione.Aspettiamo la partita di ritorno per essere tutti e due in campo. Mamma Anna è la tua prima tifosa e viene con assiduità a Cremona a vedere le partite. Cosa ti dice a fine gara? Ti critica? Lei viene spesso e non mi critica. È troppo buona.
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Vengono a vederti i tuoi tre figli? Sì, insieme a mia moglie soprattutto quando gioco in casa. Hanno tutti e tre la mia maglietta. Raggiunta la Serie B, quale obiettivo ti poni: la serie A con la maglia della Cremonese sempre con la fascia da capitano? Non ci penso, però è un sogno. Non bisogna sentirsi arrivati. Ho raggiunto con la squadra il traguardo della Serie B e ora bisogna conservare la categoria salvandoci. Certo che sarebbe bello andare in serie A, ma se non dovesse arrivare... pazienza! Con Tesser allenatore questo traguardo può essere possibile visto che c’è già riuscito con il Novara portandolo dalla Lega Pro alla Serie A. Che dici? Mai dire mai, però stiamo facendo un po’ di fantacalcio. Al momento siamo sesti (14 novembre, n.d.r.) e siamo una buona squadra: il resto si vedrà! Quando non giochi a calcio quale altro sport ti piace praticare? Gioco a golf. Un sogno nel cassetto? Sono partito dal basso e sono riuscito a fare gol in tutte le categorie in cui ho giocato. Mi manca la gioia di gonfiare la rete in A. Spero di riuscirci prima o poi... Un consiglio per i ragazzi che leggono SportDi+? Vivete il calcio, e lo sport in generale, come una passione e non ponetevi obiettivi; l’importante è credere in se stessi e in quello che si fa. Il resto, in qualunque caso, sarà una naturale conseguenza.
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INTERVISTA
di Alberto Cristani
Quello che lo sport... 64 sportdipiu.com
“Lui si chiama Marino ed è il proprietario del Bar Toletti. Lo riconoscerete dai baffi e dal sorriso. No, non conosco l’indirizzo preciso. Non è sul navigatore e neppure su Google Maps. Ci arrivi per caso, per sbaglio, perché qualcuno te ne ha parlato, per sentito dire, per affinità, per un ricordo. Non serve bussare. C’è un televisore acceso dove ognuno può scegliere contemporaneamente il proprio canale. Laggiù, con una mano appoggiata al bancone, c’è il padrone di questa locanda. Ha i baffi da anarchico romagnolo e lo sguardo dolce di chi accarezza la vita e il mondo, senza arrendersi e senza giudicare…”
L
o scrittore Vittorio Macioce, nella sua prefazione al libro Bar Toletti, ritrae in modo impeccabile Marino Bartoletti, icona del giornalismo ‘tradizionale’ italiano, che negli anni, nonostante i cambiamenti e le difficoltà, ha avuto la forza di rimanere sempre se stesso. Profondo e ironico, colto e sferzante: appassionato e sincero. Se una storia ha bisogno di un respiro non lo si nega: se un concetto può essere espresso in due righe (o in una foto) lo si fa. Le regole non esistono. Esiste la cultura del racconto. Marino Bartoletti è tutto questo e molto di più. Con questa esclusiva a SportDi+ magazine il ‘Marino nazionale’ si racconta e ci racconta la sua carriera ma, soprattutto, il suo modo di vivere, e raccontare, lo sport. Innanzitutto Marino, da dove nasce la sua ispirazione per il giornalismo? Ad essere sincero io ho sempre pensato di fare il giornalista. Per me è come se fosse davvero arrivata una specie di stella cometa, una vocazione. Al momento di iscrivermi all’Università ho scelto la facoltà che mi consentisse di fare quello che dentro di me avevo sempre sognato, cioè scrivere. Scelsi Giurisprudenza per avere il tempo di fare le altre cose che mi piacevano, quello che sognavo, come scrivere di sport. Ho cominciato bussando ad una porta,
nel vero senso della parola: mi presentai alla redazione di Forlì de Il resto del Carlino, l’unica nel raggio di 60 chilometri da dove vivevo. Ai tempi non c’erano molte opportunità. La mia insistenza è stata premiata: un po’ perché smettessi di rompere le scatole, un po’ perché volevano mettermi alla prova. Così ho cominciato. E direi che è andata bene… Com’è cambiato il mondo del giornalismo dai suoi esordi? Innanzitutto ho la sensazione che la mia generazione si sia sporcata le scarpe molto più di quanto non faccia quella attuale. Le notizie bisognava andarle a cercare veramente. Non esistevano Wikipedia o altre agenzie che potessero aiutarti. Era quasi un lavoro da detective. Temo che oggi questo spirito di sacrificio si sia un pochino annacquato, o forse semplicemente la mia generazione ha avuto maestri migliori di quanto non lo siamo noi, oggi, per i più giovani. A volte ho la sensazione che molti si credano giornalisti solo perché mettono il microfono sotto la bocca di un allenatore durante una conferenza stampa. Oggi non vedo più la stessa grinta che avevamo io e alcuni miei colleghi ai nostri inizi. Anche Facebook può essere la causa della nascita di tanti pseudo giornalisti? Molti usano Facebook per scrivere le loro opinioni, lo faccio anch’io. Facebook deve però essere l’elemento finale, non quello iniziale di una carriera giornalistica. Mi rendo contro che oggi non è facile trovare le strade giuste, ma anche quando ho iniziato io non era facile. Quando qualcuno arrivava a scrivere su un giornale, o si presentava alla radio o in tv, era segno che aveva già fatto un bel percorso di gavetta e di apprendistato. Adesso
forse si viene paracadutati in realtà delle quali non si conosce praticamente nulla e per le quali non si è ancora perfettamente alfabetizzati. C’è anche chi si approfitta dei giovani… Si, è vero, ed è per questo che non li invidio. I nostri ragazzi effettivamente devono confrontarsi con realtà complicate. Ma lo era, lo ribadisco, anche in passato; io mi son ‘fatto le ossa’ andando letteralmente a fare la fame a Milano per trovare la mia strada, anche se a casa non mi mancava nulla. Durante la sua gavetta ha incontrato moltissime icone del giornalismo italiano: ne ricorda qualcuno con particolare affetto? Sono due quelli che ho amato da lettore e che mai avrei pensato sarebbero diventati i miei padri putativi. Il primo è Aldo Giordani, il papà del giornalismo cestistico italiano, telecronista del basket in Rai e direttore del Guerin Sportivo: mi conobbe tramite un piccolo giornalino che facevo che si intitolava Pressing . Fu lui a dirmi di trasferirmi a Milano e lì, quando mi aprì la porta del Guerin Sportivo, mi trovai davanti Gianni Brera: potete immaginare l’emozione. Se qualcuno mi avesse detto che sarei diventato direttore al posto di Gianni Brera gli avrei dato del pazzo. Se il diavolo mi avesse chiesto l’anima l’avrei venduta per la centesima parte di quello che poi ho realizzato! Un ricordo particolare di quel periodo? I chili che perdevo, perché si faceva davvero la fame. Però si imparava tanto, facendo dal fattorino, al passacarte, fino ad arrivare, finalmente a firmare. Ricordo che la prima volta che venni mandato a San Siro per seguire Inter-Atalanta per
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il Guerin Sportivo mi misi a piangere: io San Siro non l’avevo mai visto… Per lei la carta stampata ha ancora valore? Credo che statisticamente parlando sia destinata a declinare se parliamo di quotidiani e periodici, perché purtroppo ormai c’è un’integrazione tale, e problemi economici, per cui non tutti tornano a casa con 10 giornali sottobraccio. Per me però continua ad avere un grande valore: io sulla carta fisso i miei pensieri. Il mio libro Bar Toletti è alla seconda tiratura, forse perchè alla gente piace (ride n.d.r.). Comunque alla base di tutto ci deve essere la qualità. C’è uno sportivo che le è rimasto nel cuore, anche a livello umano? Sono veramente tanti. Nel mondo del calcio per me sono stati importanti Gaetano Scirea e Giacinto Facchetti, grandi esempi di lealtà, bravura e talento, di comportamento impeccabile fuori e dentro il campo. Tra l’altro sono uniti da una storia che pochi conoscono: nei mondiali del 1978, quando Facchetti era capitano della Nazionale, il giovane Scirea era ormai diventato più bravo di lui. Fu lo stesso Facchetti a dire al CT a Bearzot di cedere il suo posto a Scirea, dimostrando di essere un vero capitano ma soprattutto un uomo dai grandi valori
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dimostrando di essere un vero capitano ma soprattutto un uomo dai grandi valori. Al di fuori del calcio, invece, ricordo con grandissima emozione quando strinsi la mano a Enzo Ferrari. Come scrivo nel mio libro, tutte le volte che lo incontravo mi tremavano le mani: lui era un mito, un’icona dello sport mondiale. Ci sono ancora figure carismatiche nello sport? Si, e una di queste è Alex Zanardi, un grandissimo pilota che ha sfidato la morte. È un esempio straordinario per tutti. Lui stesso dice che non pensavamo di avere questa forza dentro di sé. Che ricordi ha di Verona? Tanti ma uno su tutti: quando conducevo la Domenica Sportiva ospitai in studio l'Hellas campione d’Italia! Ho ancora chiara negli occhi la foto del Verona di Bagnoli. Erano i tempi in cui le squadre andavano alla Domenica Sportiva, e la sera della conquista matematica dello scudetto, i gialloblu vennero a festeggiare in studio da me. Con quel Verona, e con quel suo grande allenatore che fece davvero miracoli, ho un legame molto forte. Il Verona è uno rari casi, negli ultimi 40 anni, che ha vinto uno scudetto con la wild card. Per me è stato il riferimento di un miracolo e ora è la quinta città ad avere un derby… Appunto, a Verona c'è anche il Chievo... Sì, una bellissima favola dello sport ormai diventata realtà consolidata nel panorama del calcio nazionale. Sport e scuola: è ancora un binomio valido per i giovani? Quando la Moratti era ministro dell’Istruzione, facevo parte della Commissione interministeriale per lo sport nella scuola e non mi sono mai sentito così piccolo e impotente. Se non si parte dalle infrastrutture e dalla cultura dello sport, credo sarà sempre una situazione di re-
troguardia rispetto allo sport italiano. Bisognerebbe insegnare l’educazione sportiva, far capire cos’è lo sport. Bisognerebbe insegnare l’educazione sportiva, far capire cos’è lo sport, trasmettendo i suoi valori e quello che insegna. Almeno se qualcuno non diventa un campione, non va a lanciare i motorini dalla curva di uno stadio. Il giornalista deve sempre raccontare quello che vede? Deve filtrarlo attraverso la sua esperienza, ma un’esperienza che viene dai trascorsi, conoscenze, cultura. Io ai ragazzi dico sempre di studiare perché non basta guardare una partita, bisogna avere un hardware di conoscenze dentro di sé. Che sportivo le piacerebbe essere? Se dovessi essere un maestro direi Enzo Bearzot, un uomo che ha insegnato la vita oltre che lo sport. Se dovessi essere un campione vorrei essere la metà di Yuri Chechi, anche per quello che ricorda, una notte meravigliosa ad Atlanta. ero il direttore di Rai Sport, ero davanti a lui; lo raccontammo, lo vedemmo volare e dare un esempio purissimo di bellezza sportiva. Mi piacerebbe anche essere Ayrton Senna, un pilota pieno di voglia di volare che: ci ha trasmesso tantissime emozioni. Yuri Checi ci ha dimostrato che con lo sport si può volare e Senna di essere prima di tutto un grande uomo, un uomo che poi si piange quando non c’è più. Infine Marino una riflessione sulla Nazionale italiana esclusa clamorosamente dai prossimi Mondiali in Russia… Premessa: io non avrei mai scelto Ventura come Commissario Tecnico della Nazione. Lo so che è maramaldo dirlo adesso, dopo il naufragio svedese, ma lo dico proprio per tentare una non facile strada del perdono per i suoi peccati che sono stati tanti e sono stati disastrosi. Non
avrei mai scelto Ventura perché - e lo affermo da suo coetaneo - un uomo della nostra età deve sempre avere la lucidità di capire qual è un punto di partenza e qual è un punto d’arrivo della carriera e della vita. Lui non l’ha capito e ha dimostrato tutta la sua inadeguatezza al ruolo a cui era stato chiamato. C’è poi da riflettere sul ruolo della Federazione che a Ventura aveva affidato quell’incarico. Cosa ha fatto per la Nazionale l’uomo che aveva scelto Ventura e che nel frattempo alla presidenza federale aveva aggiunto anche il ruolo di commissario della Lega Calcio, diventando così il ‘capo di tutto’ e che ciononostante non era neanche stato in grado di convincere le ‘sue’ società a regalare una settimana in più al Commissario Tecnico per preparare al meglio la fase più delicata della stagione premondiale? In realtà Tavecchio e Ventura sono l’identica faccia della stessa meda-
glia: e cioè l’incapacità di un movimento che era stato trainante e vincente di allinearsi alla contemporaneità, cercando di crescere e di guardare al futuro. Il calcio italiano, per opportunismo, egoismi privati, pigrizia, spero non codardia ha scelto Tavecchio: e Tavecchio ha scelto Ventura. E la Nazionale è affondata. E qui nasce il sospetto: non sarà per caso quello che si voleva da parte di chi vede in quella obsoleta “cosa azzurra” un fastidioso ostacolo per la coltivazione e la realizzazione dei propri, personalissimi e ben più convenienti interessi? Non so che ne sarà della Nazionale, che di qui a giugno vivrà i mesi più malinconici della sua esistenza. So solo che fra una dimissione e l’altra qualcuno dovrà fare una telefonata a Carlo Ancelotti, curiosamente libero da impegni e dargli carta bianca: anzi, carta azzurra.
Marino Bartoletti (Forlì, 30 gennaio 1949) è laureato in giurisprudenza ed è uno dei più noti e apprezzati giornalisti sportivi italiani. Come giornalista sportivo ha seguito dieci campionati del mondo di calcio seguiti dal vivo, dieci Olimpiadi, centinaia di gran premi di auto e di moto, decine di Giri d’Italia; oltre a essere stato alla direzione del Guerin Sportivo, del Calcio 2000, alla direzione sia della Testata sportiva di Mediaset che di quella della Rai, alla direzione scientifica dell’Enciclopedia Treccani dello Sport, alla conduzione della ‘Domenica Sportiva’, del ‘Processo del Lunedì’, di ‘Pressing’, l’ideazione di ‘Quelli che il Calcio’. È forse il più apprezzato “storico” italiano di Sanremo (di cui è stato negli anni opinionista, giurato e persino selezionatore delle canzoni in gara). Per la sua capacità di tenere il palco su ogni argomento se lo sono contesi gli organizzatori delle più famose rassegne italiane di talk show (CortinaIncontra, La Versiliana, StintinoChiAma). Nel 2017 ha scritto e messo in scena due spettacoli teatrali. Ha una sua pagina facebook seguita da migliaia di lettori.
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EVENTO
di Enrico Corvaglia
It’s time to Dance ritorna in scena
Lo spettacolo benefico di danza, organizzato per il terzo anno consecutivo dal C.S.E.N Verona, ritorna al Teatro Astra.
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opo il successo delle prime due edizione, “It’s Time to Dance”, torna a far parlare di sé: sabato 20 gennaio 2018, il Teatro Astra di San Giovanni Lupatoto ospiterà per la terza volta la kermesse di danza e beneficenza che nelle prime due edizione ha ottenuto ottimi risultati in termini di spettacolo e raccolta fondi. Terza edizione però significa anche migliorare l’offerta di intrattenimento e per questa nuova edizione, le novità non mancano: aumenta il numero dei ballerini, che da 220 passa a circa 300 grazie all’adesione di quattro nuove A.S.D che fanno passare da dodici a sedici, il numero delle associazioni affiliate a C.S.E.N. Comitato Provinciale di Verona presenti. Cambia nuovamente la causa da sostenere con questa iniziativa, che quest’anno vede lo staff impegnato al sostegno di Dravet Italia Onlus, un’associazione benefica che raccoglie fondi per sostenere la ricerca scientifica sulla Sindrome di Dravet, rara forma di epilessia, resistente ai farmaci, accompagnata da disturbi dello sviluppo neurologico. “It’s Time to Dance 2018”, sarà nuovamente patrocinata dal Comune di San Giovanni Lupatoto, la patria dello sport, detenente il titolo di “European City of Sport”. In questa terza edizione la manifestazione, conserverà inoltre il patro-
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cinio di “CSEN Danza”, circuito nazionale danza CSEN, confermando il diritto a far parte delle attività più importanti del settore. Il costo del biglietto per assistere allo spettacolo è di 5,00 €, le prevendite saranno disponibili presso la sede del Comitato C.S.E.N. Verona (sito in Via Fleming 17) a partire da Lunedì 11 Dicembre, oppure il giorno dello spettacolo direttamente presso la biglietteria del Teatro Astra.
I presupposti dunque per vivere una fantastica serata all’insegna di sport e sociale ci sono tutti, non resta che segnare la data in agenda e godersi lo spettacolo. Info e tickets: 045.8621659 3341184603 csenverona@tiscali.it www.csenverona.it
FOCUS
di Paola Gilberti
Con il
sorriso tutto Si può fare
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e barriere più grandi da superare sono quelle che si innalzano nella mente degli esseri umani. E purtroppo sono anche le più difficili da demolire. È quello che ci racconta Niki Leonetti, venticinquenne di Cavaion Veronese, che da quattro anni cerca di abbattere questi muri con un progetto che parla di disabilità e inclusione e che sta avendo un successo strepitoso nel nostro Paese e non solo: Si può fare: perché no? «È un'iniziativa che prende spunto proprio dalla mia storia, che racconta anche parte della mia esperienza», spiega Niki, con una disabilità dalla nascita, «È cominciato tutto nel 2013, grazie al supporto dell’associazione culturale LiberaMente di Cavaion, con cui ho organizzato una serata di presentazione del progetto che ha ricevuto una grande accoglienza. Da lì è cominciato un bellissimo viaggio fatto di incontri nelle scuole della provincia di Verona, incontri in cui, grazie a video e storie di vita vera, si parla appunto di disabilità, ma sempre con il sorriso, con la gioia di vivere e di poter fare qualcosa di concreto. Con questo progetto voglio mostrare che, nonostante tutte le difficoltà e tutti gli ostacoli che la vita ci mette davanti, se ci rimbocchiamo le maniche possiamo farcela. Piangersi addosso è inutile, le opportunità non piovono dal cielo, a volte bisogna crearsele». Questi incontri hanno avuto un tale successo che Niki è stato invitato anche a Cracovia, in Polonia, in occasione del Treno della Memoria del 2015 e del 2016
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e successivamente in Trentino e in Piemonte. «Il percorso di Si può fare: perché no? sta proseguendo nel migliore nei modi e non posso che augurarmi che continui a crescere e ad affermarsi», continua Niki, «Vedere così tante persone interessate e partecipi mi fa ben sperare, vuol dire che il mio messaggio arriva davvero al cuore della gente, che l'iniziativa è in grado di emozionare e di far capire che la diversità non è un limite, ma una risorsa. L'errore più grande è pensare che in questo mondo siamo tutti uguali. Niente di più falso! Siamo tutti completamente ed estremamente diversi. Ma non dimentichiamo che tutti abbiamo gli stessi diritti, nonostante le nostre condizioni fisiche o psicologiche». E il più importante fra tutti i diritti è forse anche quello più scontato: essere liberi di vivere una vita ordinaria. «Io ho avuto la fortuna di avere una famiglia e degli amici sempre pronti a sostenermi, ma sono consapevole che non è così per tutti», afferma, «per questo ci tengo a sottolineare il
significato della parola inclusione, che non è volontariato, non è assistenza, ma è la volontà di condividere attimi, di viaggiare tutti sullo stesso binario». L'impegno sociale e culturale non è però l'unica attività a riempire le giornate di questo giovane veronese che, come ci dice ridendo, non riesce a stare con le mani in mano. Niki ha infatti una grande passione: lo sport. O meglio, il basket. «La pallacanestro è il mio sport preferito e per qualche anno ho anche giocato», racconta, «Ho iniziato in prima superiore un po' per gioco, ma poi non sono più riuscito a smettere e sono entrato ufficialmente nel Tobia Basket Cavaion. Nelle partite di campionato, date le mie difficoltà motorie, giocavo solo qualche minuto, ma per me era comunque bellissimo, tanto divertimento e tanta gioia. Crescendo anche l'intensità di gioco aumentava, così non sono più riuscito reggere il ritmo in campo, ma ho mantenuto il mio posto in squadra, restando sempre a fianco dei miei compagni, sia nelle vittorie che nelle sconfitte. E poi, proprio perché non riesco a stare fermo, ho iniziato a dare una mano nella preparazione dei piccoli
del minibasket e oggi sono uno degli allenatori ufficiali». E così oggi Niki lavora con i bambini dai 6 ai 10 anni, cercando di trasmettere tutto il suo entusiasmo e tutta la sua energia per spronarli a dare sempre il meglio e a non arrendersi. «I bambini sono eccezionali sotto ogni punto di vista», dice Niki ridendo, «Loro non vedono la disabilità come un tabù, ma sono curiosi, mi fanno le domande più strane perché vogliono davvero capire di più. E io sono contento di potergli insegnare qualcosa che sia utile anche fuori dal campo». Ma gli hobbies di Niki ancora non sono terminati, ne resta infatti ancora uno: lo scoutismo. «Amo stare immerso nel verde, all’aria aperta, sentire il contatto con la natura, così come amo stare in gruppo, essere parte attiva di una comunità. Quello degli scout è un movimento che insegna valori importanti ed è proprio la frase del fondatore che è per me una continua fonte di ispirazione: "Cercate di lasciare questo mondo un po’ migliore di quanto non l’avete trovato”. Ed è quello che, nel mio piccolo, mi auguro di fare».
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SPORT LIFE
di Matteo Zanon
Hockey Villafranca: una nuova stagione da protagonista
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a nuova stagione dell’Hockey Villafranca è iniziata e i ragazzi di Riccardo Biasetton hanno sin da subito fatto capire che il campionato lo vogliono vivere da protagonisti. Dopo sei giornate occupano il secondo posto con 15 punti, racimolati aggiudicandosi cinque partite su sei. L’unica sconfitta è arrivata contro Potenza nella seconda giornata di campionato. Nel girone del Villafranca sono inserite, in ordine di calendario, le squadre: Bondeno (Ferrara), Potenza Piceno, Torre Santa Susanna (Brindisi), San Vito Romano (Roma), Casale di Scodosia (Padova), Fincantieri (Trieste) e Cus Padova (Padova). Il presidente Denis Faccioli racconta quali sono gli obiettivi stagionali: “La società dopo il secondo posto della scorsa stagione vuole riconfermare l’ottimo risultato ottenuto e ha cercato di allestire una rosa completa e di un certo livello tecnico. Per questo – continua il presidente – è stato riconfermato l’allenatore Riccardo Biasetton (ex allenatore della nazionale) che continuerà il lavoro svolto nella scorsa stagione, che sappiamo darà garanzie assolute sul piano tecnico e tattico. Inoltre, la società ha riconfermato l’atleta italo argentino Franco Ferrante (buon giocatore e allenatore delle squadre under 8-10-12), i senatori Urli Luca, Andrea De Bortoli, Rossi Riccardo (portiere), Carlo Foroncelli, e Andrea Zerminiani promosso capitano della squadra. Abbiamo poi rinforzato la rosa con nuovi innesti: la punta argentina ma di passaporto spagnolo Iker Castillo, il trio olandese di primo livello, Marcel Balkestein, Jimmy Doomernik, Loren
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Gailliaert, tre giocatori che provengono dalla serie A olandese”. Prosegue: “Completano la rosa Matteo Lugo, Alessio Castelli, Floriano Mattioli e Daniele Berlanda”. La società ha un occhio di riguardo per i giovani. Infatti, precisa il presidente: “La società punta al definitivo salto di qualità dei giovani Matteo Melegatti, Matteo Franzoia, Simone Serpelloni-Cordioli, Andrea Murari (portiere), e Greco, attualmente fermo per problemi personali. Inoltre, aggrega i giovanissimi Pietro Pesce, Jacopo Baietta, Filippo Saviatesta. La società quindi consegna al mister una rosa omogenea nell’età e nelle qualità”. Ottimi risultati societari sono stati ottenuti da una squadra giovanile ed il presidente ci tiene a valorizzarlo: “Particolarmente orgoglio ci porta la squadra dei giovanissimi che ha partecipato alle finali del campionato nazionale Coni a Senigallia, dopo aver vinto
il titolo Regionale Veneto a giugno a Jesolo”. Sempre per quanto riguarda le attività giovanili, la società anche per questa nuova stagione porta avanti le attività intraprese per la promozione dell’Hockey: “Riprende l’ottimo lavoro giovanile dello scorso anno con progetti nelle scuole primarie e secondarie nel comune di Villafranca e nelle sue frazioni, oltre che a Mozzecane”. Un ringraziamento particolare Faccioli lo elargisce agli sponsor che, per la complessità e la caratura del campionato che la società svolge, svolgono un ruolo vitale. Sottolinea Faccioli: “Non si può nascondere che un campionato nazionale come questo è impegnativo dal punto di vista tecnico ma soprattutto gravoso dal punto di vista economico. Per questo ringrazio tutti gli sponsor, soprattutto i maggiori Long-Time calzaturificio, Tavares calzaturificio e Nicolis Project”.
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FOCUS
di Michele De Martin
È tempo di grandi manovre per i
MASTINI VERONA G li ultimi mesi dell’anno segnano il via della stagione per le squadre di football americano “made in Italy”. È quindi tempo di grandi manovre per i Mastini, fuori e dentro il campo. I cagnacci gialloblù del presidente Simone De Martin sono già al lavoro sul sintetico di Pescantina, per preparare al meglio una stagione sportiva, quella 2018, che vedrà i Mastini Verona tra le favorite alla vittoria finale. Nell’aria veleggia ancora la grande cavalcata dello scorso campionato, terminata con la sconfitta in semifinale contro i Blackbills Rivoli Torinese, poi vincitori del Silver Bowl 2017. Un terzo posto che rimane ad oggi il miglior risultato mai raggiunto dagli scaligeri. Un risultato che permette un balzo in avanti importante nel ranking calcolato dalla federazione italiana di football ameri-
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cano. Su 76 team italiani i gialloblù sono ora al 15° posto, alle spalle proprio dei team di I° divisione. Numeri importanti, che danno lustro al grande lavoro della dirigenza scaligera, alla ricerca dell’assetto migliore per il grande salto. Un lavoro importante quello dei gialloblu, che hanno saputo creare grande entusiasmo attorno ai propri colori, con un paese come Pescantina, sempre più vicino e appassionato alla squadra. Gli spalti sempre più gremiti del Velodromo San Lorenzo a fare da cornice ad ogni partita ne sono la conferma lampante, e il pubblico è in fermento per il via del prossimo campionato. Un lavoro che parte dalle fondamenta, costruite proprio nella scorsa stagione, che dovrebbe permettere una ulteriore crescita del team. A dar man forte al progetto di crescita anche il settore giovanile
e la scuola di football americano, denominata Mastini Academy. Coach Roccati e il suo staff stanno lavorando bene su un gruppo di giovani che saranno il futuro del team. Il secondo posto nel Verona Bowl di fine ottobre è un segnale importante per i giovani Mastini, che continuano a lavorare sul campo per poter completare la loro crescita. Tanti davvero i giovani talenti arrivati in questi ultimi mesi nell’Academy, per un progetto che piace molto anche ai genitori. Per quanto concerne il senior team è ancora coach Umberto Maggini il condottiero, confermato alla guida dei gialloblu dopo l’ottima stagione 2017. Sono freschi poi gli arrivi di tre nuovi assistenti che andranno a completare uno staff di assoluto livello. Da Bolzano arrivano con grande entusiasmo due pilastri del football altoatesino come Andrea Ventura e
Cristian Costanzo. Coach Ventura seguirà il reparto dei ricevitori gialloblù, affiancando proprio coach Maggini nella gestione della formazione offensiva, mentre Coach “Ciba” Costanzo si occuperà della crescita del reparto arretrato difensivo in collaborazione con il defensive coordinator Gianluca Ottenio. A completare il coaching staff dei cagnacci gialloblù arriva da Vicenza coach Damiano Gennaro, desideroso di ritornare a Verona sulle orme del fratello Diego, capitano dei Mastini e della Nazionale Italiana, nonché coach difensivo della Mastini Academy. Per Damiano l’incarico sarà quello di assistant coach per la linea d’attacco, reparto di assoluta importanza nel football americano. Tre pedine di assoluto valore che si aggiungono ad uno staff che ha saputo produrre grandi risultati nella scorsa stagione e che è già
sul campo per poter preparare al meglio la squadra. Sul fronte giocatori, la dirigenza scaligera sta lavorando per strutturare al meglio il roster. Nuovi inserimenti sono all’orizzonte, ma è ancora troppo presto per poter svelare eventuali nuovi colpi di mercato. Importanti invece i rientri di alcuni veterani, già al lavoro sul campo per riguadagnarsi attenzioni e spazio in un roster sempre più importante. L’entusiasmo della stagione 2017 ha riacceso davvero molte passioni, e rivederli in campo sarà davvero una grande emozione.
A suggellare il momento positivo in casa Mastini arrivano anche le convocazioni in azzurro. In vista dei campionati europei di luglio 2018, sono tre i tesserati gialloblù convocati dall’head coach della Nazionale Italiana Davide Giuliano per i vari raduni di preparazione. Oltre al capitano Diego Gennaro e ad Elia Viviani, in azzurro anche nella vittoriosa fase di qualificazioine, arriva la chiamata per Andrea Spadoni, in questi mesi in campo con i Bengals di Buffalo State, nel campionato universitario statunitense.
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SPORT LIFE
Lorena, di Stefano Festa - Foto Lorena Zocca
che numeri!
L’
indimenticabile stagione 2017 si è appena conclusa per Lorena Zocca, nome ormai noto nella mountain bike veronese che quest’anno ha superato ogni più rosea aspettativa andando a conquistare uno dopo l’altro una serie impressionante di titoli a livello nazionale ed internazionale. Per ben quattro volte l’atleta di Bussolengo ha regalato grande emozione facendo risuonare l’Inno di Mameli dall’alto del gradino più alto del podio: l’ultima in ordine di tempo in occasione del Campionato Europeo Master Marathon disputatosi il 13 Agosto a Svit, nella parte più orientale della Slovacchia. Al termine di una gara impegnativa corsa su un tracciato di 78 km e 2.400 metri di disli-
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vello, reso ancor più duro dalle avverse condizioni meteorologiche, Lorena si è aggiudicata il titolo continentale assegnato dalla UEC sulla lunga distanza per la categoria MW2. In precedenza, ritornando in ambito nazionale, nel mese di Luglio è riuscita a bissare l’impresa del 2015 centrando il Titolo Italiano FCI prima nella specialità Marathon categoria MW2 ed a soli 8 giorni di distanza anche nella specialità olimpica dell’XCO. Queste le parole di Lorena ancora emozionata nonostante si trattasse per lei della sesta maglia tricolore in carriera: “la collocazione dell’Italiano Marathon solo una settimana prima di quello XC mi ha impedito di preparare al meglio due specialità così diverse tra loro, ma ho voluto comunque presentarmi al via di entrambe le rassegne tricolori e la mia scelta è stata premiata alla grande!” Il Campionato Italiano Marathon si è corso in Val di Sole a Malè il 16 Luglio ed è stata una gara lunga ed impegnativa da gestire di 70 km e ben 2.900 metri di dislivello. Qui Lorena ha letteralmente volato in discesa stabilendo anche il terzo miglior tempo assoluto nella prova speciale cronometrata e con una buona gestione nel resto di gara e nelle lunghe salite è riuscita a primeggiare precedendo specialiste sulla long-distance provenienti da tutta Italia. Per l’Italiano XC corso la domenica successiva ci si è dovuti spostare in Liguria sui rilievi appena sopra la città di Genova. Qui sapendo di potersi giocare le carte migliori nella specialità a lei più congeniale Lorena ha corso una gara di testa dall’inizio alla fine imponendosi con autorevolezza e togliendosi la grande soddisfazione di tagliare il traguardo sventolando il tricolore ed indossando nel contempo la maglia iridata di campionessa del mondo. Infatti il primo titolo stagionale, sia in ordine temporale che per importanza, Lorena l’aveva già conquistato il 21 Giugno nel principato di Andorra, raggiungendo l’apice di una carriera costruita con anni di impegno, duro lavoro e costanza: la maglia iridata di Campionessa del Mondo Master da quella data è sulle sue spalle e già da ora Lorena promette battaglia alle avversarie che vorranno sfidarla nella prossima rassegna mondiale che si correrà nella medesima località dal 15 al 18 Luglio 2018.
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INTERVISTA
di Matteo Zanon
Bartolotti,
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l gioco del tennis è più complicato di quanto sembra. Infatti, il campione Rafael Nadal in poche righe racchiude la complessità di questo sport: “Sapere come si gioca non consiste solo nel colpire bene la palla, bensì nel fare la scelta giusta, nel sapere quando smorzarla o colpirla forte, alta, lunga, con backspin o topspin o piatta, e in che punto del campo indirizzarla”. Marco Bortolotti, classe ’91 di Reggiolo, in una tarda mattinata di fine ottobre dove il vento rende difficile trovare il tempo su ogni palla, dopo l’allenamento sul campo in cemento di Nogarole Rocca, racconta la sua storia fatta di alti e bassi, vittorie e sconfitte ma che, nonostante tutto, vuole ancora arricchire con nuove pagine sontuose. Una chiacchierata semplice offerta per gli amici di SportDi+ che in pochi minuti ripercorre dai primi passi ad oggi l’amore per questo sport dell’atleta di Reggiolo. Pronti? Partiamo. Marco, ci racconti quando e come è iniziata la tua avventura nel mondo del tennis? È una storia lunga (sorride). Ho iniziato a giocate a tennis a Reggiolo con il maestro
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Artioli. Fino agli undici anni ho giocato lì tra tennis e calcio. Dopo aver smesso con il calcio ho deciso di seguire il maestro a Correggio dove c’era un centro molto più attrezzato dove potevo allenarmi con altri ragazzi. A 13 anni mi hanno chiamato in federazione a Tirrenia dove mi sono allenato per un paio d’anni con Renzo Furlan – tennista che ha raggiunto il 19esimo posto della classifica Atp e che contribuì a portare la nazionale italiana in semifinale nelle edizioni 1996 e 1997 della Coppa Davis – poi ho continuato a rimanere al centro tecnico per altri due anni dove sono allenato con vari allenatori. Dai 16 ai 18 anni ho avuto un periodo poco produttivo e dopo esser uscito dalla federazione sono andato in Spagna ed ho vissuto un anno a Barcellona. Mi sono allenato all’Accademia di Sergi Bruguera. Nel frattempo ho conosciuto una ragazza di Verona e quando tornavo qui mi appoggiavo all’At Verona dove ho conosciuto Daniel Panajotti che dopo un po’ di tempo mi ha invitato a intraprendere un percorso con lui nella sua accademia. Con lui ho fatto un lavoro di due anni e mezzo. Dopo questa esperienza ho trascorso un anno di transizio-
prot ne a Padova, dove in quel periodo ho fatto il mio best ranking (391) e giocato la prima finale di un torneo Futures sotto la guida di Andrea Fava. A marzo dello stesso anno ho deciso di trasferirmi a Bassano dove mi sono allenato con i fratelli Morett. Ora, dopo aver finito il rapporto di lavoro con loro, ho deciso di riavvicinarmi a casa dove sono seguito da Davide Garzotti e Damin Di Noto, tra i circoli di Villafranca e l’At Verona. C’è un motivo particolare per cui hai deciso di essere seguito dal tandem Garzotti-Di Noto? Con Damian mi ero già allenato ai tempi in cui ero con Panajotti, dove lui era il suo vice e quindi lo conoscevo già molto bene. Davide è un amico e dopo alcuni mesi in cui non sapevo bene dove appoggiarmi per gli allenamenti, ho sentito loro ed erano molto motivati a seguirmi ed a portare avanti il mio progetto. Tennisticamente parlando, che anno è stato per te il 2017? Ho iniziato molto bene, la partenza migliore della mia carriera; ho raggiunto due finali Futures, in cui in una ho perso con un match
a Verona per tornare
tagonista point a favore e due semifinali nei primi due mesi. Poi sono tornato ed ho avuto qualche problema allergico, facevo fatica a respirare, poi qualche problema al polso che non mi permetteva di giocare bene il rovescio. Questo periodo l’ho pagato ed oltre ai guai fisici ho avuto problemi con gli allenatori. Per questo il 2017 non è andato benissimo anche se non ho perso molte posizioni nel ranking visto che sono ancora nei primi 500 del mondo (493). Quando ho iniziato ad intraprendere una strada ben chiara con Di Noto e Garzotti, hanno deciso di farmi fare un periodo di preparazione quindi adesso sono ancora motivato e carico per concludere la stagione nel migliore dei modi. Abbiamo ancora 5-6 tornei da qui a fine anno tra cui giocherò i quindicimila in Grecia e Tunisia. Rimanere ad alti livelli non è certamente facile e richiede una cura dettagliata di ogni minimo particolare. Qual è, dal tuo punto di vista, la difficoltà maggiore che hai riscontrato in questi anni? Noto che il livello medio si alza in continuazione. Le finali che ho fatto nel 2014 con quel
livello che stavo esprimendo in quel periodo, adesso non sarebbe sufficiente e giocando in quel modo ed a quel ritmo farei fatica a passare il secondo turno. Il livello si alza continuamente, dai primi del mondo sino ad arrivare al mille. Le differenze le fanno le piccole cose. Occorre essere preparati sotto tutti gli aspetti e soprattutto essere molto motivati ed aver costanza.
ne cose, che comunque ho già svolto tempo fa con Di Noto. Per quanto riguarda gli obiettivi quello principale rimane andare a giocare il tabellone dei tornei Challenger che è il primo gradino del mondo professionistico. Questo tipo di tornei sono molto ben organizzati ed uesiQuesanche per quanto riguarda l’aspetto economico ti concedono opportunità maggiori, permettendoti di svolgere l’attività con maggior tranquillità.
Senti il peso della pressione e della competizione? A me piace la pressione e la competizione, ma qui fai tutto per te stesso e non devi rendere conto a nessuno: la pressione te la puoi mettere solo tu. Le pressioni che puoi avere possono derivare dai soldi, visto che non è facile finanziarsi ad un certo livello e quindi se non gira bene devi cercare di andare a giocare tornei inferiori per mantenere l’attività e proseguire il cammino.
In conclusione, hai avuto od hai un tennista professionista a cui ti ispiri? Non faccio il tifo per un tennista particolare. Sono più attirato dal lato personale. Ammiro molto Paolo Lorenzi con cui ho avuto la fortuna di allenarmi e di giocare un doppio insieme e David Ferrer che ha fatto delle cose incredibili. È stato numero 3 per tanto tempo quando Nadal e Federer dominavano. Anche con lui ho avuto la fortuna di allenarmi lo scorso anno all’Atp di Bastad.
Per il 2018 ha qualche obiettivo particolare che ti piacerebbe raggiugere? Abbiamo le idee molto chiare sul percorso che dobbiamo fare, sia tecnico che tattico. Cambiando guida tecnica ci vuole un po’ di tempo per assimilare ed automatizzare alcu-
Tra Nadal e Federer chi scegli? Mi sento molto distante da loro. Preferisco guardare Schwarzmann e Nishikori. Certamente guardare le loro partite e soffermarsi sull’atteggiamento mentale e l’intensità di concentrazione che mettono è molto allenante.
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FOCUS
di Paola Gilberti in collaborazione con il dipartimento di Scienze Motorie Verona
&
Scienze motorie
SPORT
Cambia passo per la giusta frequenza
L
a corsa è uno sport alla portata di tutti: uomini, donne, giovani, meno giovani Pensare però che questa attività sia semplice e immediata è un grande e frequente sbaglio. Nei precedenti articoli abbiamo visto che ci sono vari aspetti su cui concentrarsi quando ci si addentra nel mondo del running e che è fondamentale impostare un buon piano di allenamento dove, a fianco delle solite sessioni su lunghe distanze a velocità costante siano presenti anche scatti, variazioni di pendenza ed esercizi in palestra per incrementare la forza muscolare. Facendo attenzione a questi accorgimenti si dovrebbe già notare un sensibile miglioramento nelle proprie performance, sia in termini di resistenza che di velocità; tuttavia, c'è un altro importante
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parametro da tenere in considerazione, che può garantire un notevole perfezionamento nella tecnica di corsa e, di conseguenza, nelle proprie prestazioni: la frequenza del passo. Questa non è altro che il numero di passi compiuti in una determinata unità di tempo, per esempio in un minuto. Viene però spontaneo chiedersi perché questo valore dovrebbe essere importante per chi pratica questo sport. Semplice, perché correndo alla frequenza ottimale, ossia con il giusto numero di passi al minuto, riusciremo a mantenere un più basso consumo di ossigeno, il che permette di conservare maggiore energia per portare a termine il nostro training o la nostra gara. La cadenza ottimale dovrebbe essere di circa 180 passi al minuto, ma la tendenza generale degli atleti non professionisti è di correre al di sotto di questo ritmo, con
appoggi a terra meno frequenti e quindi più lunghi, che però determinano un maggiore consumo energetico e precoce affaticamento. Lo studio Sono molte le ricerche condotte sull’importanza della giusta cadenza nel mondo del running, cominciate già a partire da prima degli anni '90. Oggi ci soffermiamo però su uno studio del 2013, dal titolo Stride frequency in relation to oxygen consumption in experienced and novice runners di Cornelis J. De Ruiter, Peter W. L. Verdijk, Wout Werker, Menno J. Zuidema e Arnold de Haan, pubblicato sull’European Journal of Sport Science. Per lo svolgimento del test sono stati selezionati due gruppi di uomini più o meno della stessa età, con una media di 24 anni: 10 runner allenati, ma non profes-
sionisti e 10 ragazzi con poca esperienza nella corsa. In due diverse giornate, ciascun atleta ha corso per alcuni minuti su un tapis roulant, sia con l’ausilio di un metronomo che scandiva diversi ritmi da seguire, sia in totale libertà, in modo che ciascuno seguisse la propria andatura abituale. Ognuno di essi era inoltre collegato a una macchina che monitorava il consumo di ossigeno attraverso la respirazione e il battito cardiaco. Grazie a queste misurazioni è stato possibile calcolare le varie frequenze ottimali dei podisti, ossia le andature in cui il consumo di ossigeno era al minimo. I risultati della ricerca hanno confermato che il ritmo ideale si aggira intorno ai 180 passi al minuto, con qualche variazione tra esperti e meno esperti; è stato
anche accertato che, come ci si aspettava, la maggior parte degli atleti analizzati ha un’andatura spontanea più bassa rispetto a quella effettivamente corretta e, di conseguenza, un maggiore dispendio energetico, specialmente per quanto riguarda il gruppo dei non allenati. Viene inoltre provato che mantenendo la frequenza di passo ideale i neo-runner hanno potuto ottenere dei miglioramenti in termini di consumo energetico del 3-5 %, mentre i podisti allenati dell’1%. Dalla teoria alla pratica Trovare la giusta frequenza di passo da soli non è una cosa semplice e immediata, anzi, può risultare particolarmente difficile nelle fasi iniziali, perché diventa una grande forzatura per il nostro corpo.
Ma questo non significa che non ci si possa comunque lavorare. Lo studio ha evidenziato lo stretto collegamento tra consumo di ossigeno e battito cardiaco, quindi munendosi di cardiofrequenzimetro è possibile tenere sotto controllo le proprie pulsazioni provando varie andature e ricercando quella corretta. È importante ricordare che non bisogna avere fretta di raggiungere subito i 180 passi al minuto, ma serve lavorare gradualmente con costanza e tanta pazienza, magari con l’aiuto di un bravo coach. Un aiutino in più può venire anche dalla musica: ascoltare canzoni a 180 bpm può sicuramente dare una mano a mantenere il rimo giusto e dare la giusta carica quando la stanchezza comincia a farsi sentire.
Dall'Università di Verona
Dal mondo accademico al mondo del pallone. Questo è il percorso di Samuele Melotto, venticinquenne di Nogarole Rocca laureatosi in Scienze dello sport e della prestazione fisica nell'ottobre 2016, che da quest'anno lavora all'interno della società calcistica della Sampdoria. «È cominciato tutto grazie all'università, quando ho deciso di seguire il corso opzionale di Metodologia dell’allenamento nel calcio tenuto dal professor Maurizio Franchini, preparatore in serie A al Sassuolo», racconta Samuele, «Lì ho conosciuto anche Stefano Rapetti, primo preparatore della Sampdoria; una volta concluso il percorso di studi e ottenuto il diploma di laurea, dopo varie collaborazioni in alcuni progetti universitari di ricerca legati al calcio, è arrivata proprio la sua chiamata» All’interno del club di Genova il giovane veronese si occupa principalmente di raccolta, analisi e archiviazione dei dati: «Il lavoro si divide tra l’analisi dei test funzionali che sottoponiamo periodicamente ai giocatori e il monitoraggio del carico di allenamento», spiega, «Inoltre, attraverso dei questionari personalizzati, indago la percezione di benessere dei vari atleti in risposta al carico somministrato». Samuele è riuscito a trovare la sua strada anche grazie a tanto impegno, tenacia e determinazione, per questo a tutti i giovani studenti dà un grande consiglio: «Lasciatevi guidare dalle vostre passioni, ma non dimenticatevi mai di studiare e di approfondire tutte le vostre curiosità. Non smettete mai di fare domande, chiedetevi e chiedete “Perché?' e soprattutto ascoltate con attenzione e umiltà i consigli di chi c'è l'ha fatta».
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INTERVISTA
di Matteo Lerco - Foto: ATL-eticamente FOTO
Il principe vuole diventare RE
G
iovanni Galbieri torna a casa. Il principe veronese dell’atletica leggera rientra nel suo castello: il velocista classe 1993, ha scelto la sua amata Bussolengo come trampolino di lancio per spiccare il volo verso sfide future. La carriera di Giovanni fino ad ora è stata un ascensore di emozioni. Dal terzo posto al Mondiale allievi del 2009, fino al trionfo agli Europei Under 23 di Tallin nel 2015, passando per una rottura del legamento crociato del ginocchio, la vita sportiva della promessa di San Vito al Mantico è stata scandita da indimenticabili successi, ma anche da momenti di sconforto. Dopo un quadriennio denso di esperienze con l’Atletica Riccardi a Torino, Giovanni ha scelto gli Impianti Sportivi di Bussolengo, insieme al nuovo allenatore Gianluca Zocca, come campo base per programmare l’ascesa in Italia, in Europa e nel Mondo. «Back to the origins», sì, ma con nuove consapevolezze: dal 6 giugno 2016, il velocista veronese è entrato nel Centro Sportivo dell’Aeronautica Militare, un gruppo sportivo che gli permette di concentrarsi totalmente sul raggiungimento di determinati risultati. Veloce come il vento. Galbieri si racconta. Giovanni, ritorni dove tutto è iniziato. Quali sono le sensazioni legate a questo rientro? Considero questo ritorno non come un passo indietro, bensì come una rinascita. Vengo da un quadriennio torinese molto formativo, quattro anni intensi nei quali sono cresciuto molto, raggiungendo tra l’altro il primo posto agli Europei under 23 di Tallin nel 2015, una soddisfazione indescrivibile che mi porterò dentro per tutta la vita. Non lo nego, successivamente a questa affermazione ho vissuto un biennio complicato e da qui l’esigenza di tornare a casa, per provare a diventare grande qui, nel luogo in cui sono cresciuto. Nella mia Bussolengo infatti ho mos-
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so i primi passi come atleta, gareggiando per la società sportiva New Foods: rispetto a quegli anni ritrovo un contesto migliorato sia per quanto concerne la mentalità sportiva, sia per quanto riguarda le strutture. Ritengo sia davvero questo l’ambiente giusto per rilanciarmi.
Da circa un anno e mezzo sei entrato nell’Aeronautica militare, una straordinaria opportunità formativa per ogni atleta. Quali sono i benefici più significativi legati a questa nuova avventura? Da giugno dello scorso anno, riesco a vivere l’atletica a 360°. Lo sport è final-
cui mi confronto, ma allo stesso tempo è in grado di distaccarsi, riuscendo a farmi focalizzare totalmente sul lavoro che devo compiere. In generale mi alleno tre o quattro ore al giorno, quelli di atletica leggera sono allenamenti «sui generis», in quanto per esempio si possono artico-
mente diventato il mio lavoro, una svolta soprattutto a livello economico, che mi permette di concentrarmi esclusivamente sulla gestione della mia giornata. Non tutti lo sanno, ma probabilmente se non fossi riuscito ad accedere a questo programma, avrei smesso: molti sport cosiddetti «minori» ruotano attorno a scarse disponibilità finanziarie, un fattore che inevitabilmente spinge gli atleti a trovarsi delle attività lavorative parallele, un’esigenza che per forza di cose penalizza quasi sempre i risultati in gara.
lare in cinque prove totali, dietro le quali si cela però un grande lavoro di preparazione. Il velocista è paragonabile ad un’autovettura da corsa: l’intensità richiesta è tanta, per questo i tempi di recupero ed in generale di decompressione devono essere significativi.
Il tuo nuovo allenatore è Gianluca Zocca, ex velocista come te: quali sono le motivazioni alla base di questa scelta? E in generale come si articola una tua giornata tipo? Conosco Gianluca da una vita e penso che sia il professionista adatto per stimolare la mia crescita. Essendo stato anche lui un atleta, sa perfettamente calarsi nella mia quotidianità, una sincronia operativa che indubbiamente contribuisce a potenziare la qualità dei miei allenamenti. Rispetto ad altri allenatori, riesce ad immedesimarsi nelle varie dinamiche con
Quali sono infine le sfide che ti proponi di vincere in futuro? L’obiettivo per il quadriennio è sicuramente quello di qualificarci con la staffetta per le Olimpiadi di Tokyo 2020, mentre se mi focalizzo più a breve termine vorrei ben figurare ai Campionati Europei Assoluti in programma quest’anno. L’atletica leggera è uno sport estremamente oggettivo: vince chi va più forte, il resto conta relativamente poco. Che sia a Central Park a Manhattan o in Kenya, chiunque può emergere, una obiettività di merito che rende la mia disciplina molto competitiva. Il mio scopo è quello di andare più veloce di tutti in gara: sarà come sempre la pista poi a definire il confine delle mie ambizioni.
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INTERVISTA
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di Alberto Braioni - Foto Maurilio Boldrini, Simone Pizzini
Attenti a q
ra le protagoniste della Venplast Olimpica Dossobuono, squadra di pallamano militante nella Serie A1 nazionale, ci sono senza dubbio le due ‘veterane’ Laura Guadagnini, (classe 1992) e Alice Biondani (1997), al secondo anno nelle vesti di capitano della squadra. Due grintose, temerarie e mai dome pedine che ottimamente si inseriscono in uno scacchiere magistralmente organizzato del tecnico spagnolo Roberto Escan-
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ciano Sanchez. Ma chi sono fuori dal campo Laura e Alice? Scopriamolo insieme con questa esclusiva e curiosa intervista doppia. Cosa fai nella vita? Alice: Sono una studentessa universitaria e frequento il secondo anno della facoltà di Economia Aziendale a Verona. Laura: Lavoro da due anni come impiegata presso la ditta Venplast, a Dossobuono, situata proprio vicino al palazzetto dove mi
reco per allenarmi non appena finisco le ore lavorative. Da quanto giochi a pallamano e dove l’hai scoperta? A: Questo è l’ottavo anno in cui mi cimento con questo sport. In seconda media ci fu una dimostrazione della pallamano a scuola e mi piacette fin da subito; la frequentava anche una mia amica e dunque decisi di cominciare anch’io.
uelle due! L: Ho cominciato a giocare a pallamano in terza elementare, dunque sono ormai diciotto anni che pratico questo sport. La passione è nata grazie alla mia sorella maggiore Elisa, della quale andavo a vedere le partite nei vari palazzetti. Qual è il tuo ruolo e quali le tue caratteristiche? A: Gioco come ala destra, ma posso anche spostarmi sul versante opposto a sinistra.
Penso che una delle mie caratteristiche possa essere la velocità, ma soprattutto la grinta che porto sul parquet ed in tutte le mie attività. Essendo capitano, cerco di coinvolgere il più possibile le mie compagne, ma questo è un tratto fondamentale del mio carattere. L: Per moltissimi anni ho giocato come ala destra; nel corso del tempo mi sono spostata verso l’interno del campo come terzino destro, che è tutt’ora il mio ruolo, ed anche
quello di centrale. Non ho nessun problema nello svariare in questi ruoli. Penso che la velocità possa essere uno dei miei punti di forza. Molto più importante però reputo la serietà con cui affronto questo sport e la mia propensione nell’aiutare le mie compagne. Cosa ti questo sport? A: La pallamano è capace di trasmettermi gioie e dolori. È uno sport di sacrificio, con
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allenamenti quotidiani e week-end spesso lontano da casa. Siamo ragazze giovani, che quindi potrebbero spendere il proprio tempo libero in mille altre modi. La mia squadra posso considerarla come una famiglia e siamo consapevoli che, remando tutte dalla stessa parte, i sacrifici delle settimane vengono ripagati con gli interessi in campo durante le partite. L: Per me la pallamano è un mix di emozioni, perchè mi basta scendere sul parquet con un pallone cosparso di pece tra le mani e tutte le negatività si fanno da parte. È la passione di una vita ed ogni sabato scendo in campo con l’emozione genuina di chi gioca la prima partita della sua carriera. Qual è il tuo ricordo più bello legato alla pallamano? A: Più di uno sicuramente; nelle giovanili il terzo posto alle fasi nazionali con l’Under 14 al mio primo anno di attività e due anni dopo, il primo con mister Escanciano Sanchez, siamo arrivate seconde alle finali nazionali Under 16. Ero molto giovane e sono esperienze che mi hanno segnato positivamente. Non posso dimenticare anche le due recenti promozioni in Serie A1, con il blocco di compagne con cui gioco attualmente. L: Indubbiamente i quattro scudetti vinti nelle giovanili con la maglia del Dossobuono. Ma nella mia mente è ancora vivo il ricordo della mia primissima chiamata in nazionale: una convocazione del tutto inaspettata. Ricordo ancora mia madre che mi diede la notizia al mio rientro a casa, e fu un’emozione indescrivibile. Cosa dovrebbe cambiare nella pallamano di oggi? A: Rispetto a quando ho cominciato a giocare, il tasso di conoscenza di questo sport è sicuramente più elevato. I giovani però la conoscono ancora troppo poco e da loro si dovrebbe cominciare; alcuni non ne conoscono nemmeno l’esistenza. Non potrà mai diventare uno sport come il calcio, ma attualmente è ancora troppo uno sport di nicchia. In Europa non è così. L: Per avvicinarsi agli standard europei bisognerebbe puntare sui giovani, offrendo loro delle basi solide a livello tecnico. Ad oggi ci sono troppi giovani che giocano a pallamano ma che non eseguono correttamente dei
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semplici gesti tecnici che secondo me stanno alla base di tutto. Che rapporto hai con mister Roberto Escanciano Sanchez? A: E’ il mio allenatore da molti anni e per me è come un terzo genitore. Lo conobbi che ero una ragazzina ed in quell’età avevo bisogno di una guida come lui. Ha cambiato una parte del mio carattere ed a lui devo tantissimo. A livello sportivo penso che in circolazione ci sia poco di meglio, ed umanamente è una persona eccezionale con cui posso parlare di qualunque argomento. Negli anni ha sempre difeso in pubblico noi ragazze a spada tratta in ogni circostanza. Ovviamente non sono mancati i litigi ma la pace si raggiungeva praticamente subito. L: In campo è il mio allenatore ma fuori dal palazzetto è come un amico. È sempre disponibile per qualsiasi dialogo e confronto. Mi ha cambiato caratterialmente, curando molte delle mie debolezze, ma anche tecnicamente. Anni fa praticamente non sapevo difendere, ma ora grazie a lui posso dire che la fase difensiva sia la parte più bella di una partita di pallamano. I momenti no ci sono stati, ma come tutti i rapporti più sinceri si risolvevano in fretta. Quali sono i tuoi hobby? A: Sono un’amante della neve e della montagna, dunque appena ho la possibilità mi piace moltissimo sciare e praticare lo snowboard. L: Il lavoro e la pallamano occupano gran parte della mia giornata. Per rilassarmi
ascolto musica o guardo dei film. Mi piace moltissimo però viaggiare e dunque, appena ne ho l’occasione, faccio la valigia e parto. Quali altri sport ti piace seguire? A: Adoro tutti gli sport. Se sono davanti alla televisione e vedo uno sport lo guardo con interesse. Da piccola ne ho provati tanti e per questo devo ringraziare i miei genitori che mi hanno permesso tutto questo. L: Sono una sportiva al 100% ma, tra tutti gli sport, oltre a quelli di squadra, mi piace molto il nuoto e soprattutto i tuffi. Inoltre seguo con molto interesse anche la ginnastica artistica. Ultima domanda: cosa pensi della tua compagna di squadra? A: Laura è una giocatrice veramente forte, con tanta voglia di dimostrare il proprio valore. Nelle giornate storte a volte si demoralizza, ma abbiamo la giusta confidenza per confrontarci su ogni problematica. Anche in campo, quando non riesce a trovare la via del gol, può sempre essere d’aiuto alla squadra perchè è una figura importante all’interno dello spogliatoio. L: Se ripenso ai primi tempi che conobbi Alice, ora posso dire che è migliorata tantissimo. È il capitano della squadra, ha una maggiore responsabilità, ma ricopre questo ruolo nel migliore dei modi. In campo da la carica giusta ed il sostegno a tutte noi ragazze. È una ragazza estroversa e devo ammettere che senza di lei non ci sarebbero tutte le risate che caratterizzano le nostre giornate ed i nostri allenamenti.
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SOLIDARIETÀ
Save Moras protagonista al Revival Rally 2017 Una serata speciale all’insegna della solidarietà nella lotta alla leucemia. Tanti i presenti alla serata di giovedì 9 novembre all’inaugurazione del 15° Revival Rally Club Valpantena, presso la ditta Alberti Lamiere di Lugo di Grezzana, che si è rivelata essere un’occasione particolare per diffondere e sostenere il messaggio di donazione del midollo osseo promosso dall’Associazione Save Moras Italia. Presente all’evento, oltre al team manager del Verona Sandro Mazzola, il centrocampista gialloblù Mattia Valoti, queste le sue dichiarazioni: «Siamo qui stasera per dare una mano alla bellissima associazione che ha creato ‘Lele’, un ex compagno di squadra ma anche un amico. Il suo messaggio è importantissimo: donare, perché possiamo e dobbiamo salvare più vite possibile». Anche l’ex difensore gialloblù e fondatore dell’Associazione Evangelos Moras ha parlato così a hellasverona.it: «La cosa più importante per me è far conoscere, tramite lo sport, l’importanza della lotta contro la leucemia e la promozione della donazione di midollo osseo. Basta un piccolo gesto per salvare una vita, ringrazio ancora una volta il Verona perché anche in questa occasione ha confermato la propria vicinanza».
COMITATO PROVINCIALE F.I.S.I. - VERONA
Con Winter 60X60 si impara a sciare… gratis!
E’ stata presentata ufficialmente lo scorso 17 novembre la Winter 60X60, un’iniziativa promossa dal Comitato Provinciale F.I.S.I. di Verona, che si propone di promuovere la montagna attraverso la pratica dello sci alpino, con lo scopo di imparare a sciare vivendo, apprezzando e conoscendo l’ambiente mon-
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tano. Il progetto permetterà nell’arco di 6 anni a 60 ragazzi di partecipare gratuitamente a 60 ore totali di corso di sci appositamente studiate dal responsabile del progetto Gianni Bonetti, maestro di sci e Allenatore Federale di 3 livello. ufficiali F.I.S.I. nella passata stagione 2016/2017 e in possesso del certificato medico sportivo
non agonistico. “La Winter 60X60 – ha affermato il Presidente FISI Verona Marco Castioni – da la possibilità a ragazzi meritevoli, ma che non hanno mai gareggiato, di imparare la tecnica e magari in futuro di sviluppare capacità agonistiche o di insegnamento. Fisi Verona vuole emergere a
livello nazionale come Comitato Provinciale che attua politiche e idee innovative per l’incremento degli sport invernali. Vogliamo che venga diffuso quanto più possibile questo messaggio, perché anche solo parlarne dà la possibilità di incrementare le attività degli sci club veronesi”. “Siamo molto contenti – ha aggiunto il Responsabile Tecnico Gianni Bonetti – perchè è un progetto ambizioso che punta a sfondare anche a livello nazionale. Si tratta di un’opportunità unica perché riteniamo che la proposta sia molto valida e che verrà apprezzata: 60 ore a costo zero con finalità che vanno dall’educazione alla convivenza e allo spirito di gruppo, all’amare e conoscere la montagna, al far migliorare tecnicamente i ragazzi e, non ultimo, al dare possibilità a chi ha proprie doti naturali di emergere a livello agonistico”. Il form per l’iscrizione si trova sul sito www. winter60x60.it e possono iscriversi tutti i ragazzi e le ragazze residenti nella provincia di Verona nati dal 01/01/2007 al 31/12/2009 non inseriti in classifiche.
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SPORT LIFE
di Arianna Del Sordo
Camp estivo Dolomiti esperienza indimenticabile! Un meritato premio per la promozione, un’occasione per sfogarsi all’aperto, un’opportunità di socializzare, un modo per abituarli fin da subito a “cavarsela da soli”, un’esperienza fuori dalla comfort zone della famiglia… mettetela come vi pare. Ma di sicuro, passare un’intera settimana in Dolomiti, per un bambino o un ragazzo è un’esperienza irripetibile, per un sacco di motivi. Primo tra tutti l’incredibile scenario che si ritrovano davanti agli occhi: Selva di Cadore, un angolo di paradiso in Val Fiorentina nell’alto Agordino, tra pascoli verdissimi e con una vista mozzafiato sul Monte Pelmo e Monte Crot. In secondo luogo, il posto suggestivo dove i bambini e i ragazzi hanno alloggiato: un caratteristico tabià di 4 piani, completamente ristrutturato. Questa tipica costruzione locale ha catturato subito la loro attenzione, catapultandoli in una dimensione lontana da quella a cui sono abituati, ma allo stesso tempo piena di fascino. Anticamente costruito per gli animali, il tabià è fatto interamente in legno: niente ferro, neanche per la costruzione del tetto. Il basamento in pietra un tempo era adibito a stalla e intorno a questa costruzione si svolgeva l’intera vita della comunità. La sua ristrutturazione non ne ha compromesso la natura originale: tutto è stato perfettamente conservato, con l’intento di salvaguardarne la vera origine e permettere ai visitatori di godere di un suggestivo tuffo nel passato. E così è stato! I bambini hanno assaporato la vita del rifugio, in un contesto raccolto ed avvolgente, dormendo tutti insieme in un’unica stanza con letti a castello, per un totale di 15 posti. Nell’organizzazione delle faccende domesti-
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che, i piccoli hanno superato ogni aspettativa: hanno dato una mano, hanno dimostrato autonomia e volontà nella gestione della casa, hanno imparato tante cose nuove. Ma soprattutto, hanno vissuto in compagnia gli uni degli altri con grande entusiasmo, manifestando una grande voglia di stare insieme. La prima settimana dal 25 al 31 agosto ha visto coinvolti i ragazzi dell’under 16, 18 e 20, accompagnati dall’allenatore Roberto Franzoni e dalle guide alpine Tommaso Dusi e Nicola Sartori. L’obiettivo è stato principalmente arrampicare in falesia su tiri sempre nuovi per stimolare e migliorare la lettura. I ragazzi hanno avuto modo di apprendere anche alcune tecniche di manovra. Complice il bel tempo, hanno scalato tantissimo e con grande motivazione e grinta. Roberto e Nicola hanno voluto che visitassero falesie diverse, proprio per indurli a confrontarsi con tiri sempre nuovi. Così, hanno conosciuto alcune tra le più belle falesie della zona: Laste, Salares, Malga Ciapela, Castello di Andraz (Mass de Beita) e una falesia nelle vicinanze di Alleghe. Nella seconda settimana dal 1 al 7 settembre, allenatore, istruttori e guide si sono lasciati letteralmente travolgere dall’energia dei più piccoli! 12 bambini tra 8 e 12 anni hanno avuto l’occasione di trascorrere questa settimana all’insegna della vita in montagna. Gestirli tutti è stato molto meno impegnativo di quello che si pensava: in casa hanno dato un contributo preziosissimo, si sono mostrati tutti obbedienti e pienamente a loro agio… tranne di notte!, quando qualcuno inventava improbabili storie di fantasmi e non lasciava dormire nessuno.
I bambini hanno scalato al castello di Andraz, a passo Falzarego, a Cencenighe (la palestra di Mezzocanale). Alcuni di loro hanno percorso, sempre accompagnati dalle guide e dagli istruttori, il sentiero Kaiserjager, attrezzato dai militari austriaci ai tempi della Grande Guerra. I bambini sono stati bravissimi: hanno camminato diligentemente lungo il sentiero, percorso le gallerie e gestito alla grande quel poco di timore che avevano, dovuto al buio delle grotte. “Ogni volta che organizziamo un’esperienza fuori ci domandiamo sempre quale sia l’età più giusta per far fare una vacanza di una settimana lontano da casa, poiché il carattere e il diverso attaccamento ai genitori può compromettere la buona riuscita dell’esperienza. Ma anche questo camp ci ha fatto rendere conto che i bambini beneficiano tantissimo della vita all’aperto insieme agli altri, anche quelli più timidi e attaccati a casa: si ambientano subito nei nuovi spazi, stringono amicizie con i loro coetanei, si confrontano su ciò che hanno in comune: l’arrampicata, in questo caso. Tutto questo li fa crescere, li stimola a contare sempre di più su se stessi, ad avere fiducia nelle loro capacità, a diventare coraggiosi e determinati, a credere in quello che fanno, a sbagliare ed essere pronti a riprovarci, fino a quando non fanno bene. Insomma, ogni volta partono ‘bimbi’ e tornano piccoli ometti! Quindi, cari genitori, lasciate pure che i vostri piccoli si godano una bella esperienza nel cuore delle Dolomiti: loro ve ne saranno grati e non sentiranno molto la vostra mancanza! Piuttosto, saranno loro a mancarvi tanto” Roberto Franzoni.
SPORT LIFE
di Paola Gilberti
CROSSFIT, PAROLA DI ESPERTO La sua fama ha ormai raggiunto anche il nostro Paese. Per chi ancora non avesse le idee chiare, il crossfit è una preparazione fisica che comprende esercizi della pesistica e del powerlifting, movimenti della ginnastica e una parte aerobica. Tutto ciò viene unito in un circuito costantemente variato e ad alta intensità. L'obiettivo è terminare nel minor tempo possibile, tempo che può fornire un'idea della capacità di workout di ogni atleta. Sempre più persone si stanno avvicinando a questa "nuova" disciplina, persone di età diverse e con differenti gradi di preparazione e, di conseguenza, sono sempre più numerose le palestre, o meglio, i box, in cui poterla praticare. Uno di questi è il Behave Crossfit di Settimo di Pescantina (Vr), aperto nel 2014 grazie alla passione e determinazione di Davide Marchione che ha scoperto questo sport all’estero, durante gli anni universitari a Scienze Motorie: «Mi trovavo in Erasmus a Valencia la prima volta che l’ho provato e mi ha entusiasmato subito. Diciamo che il metodo di allenamento a circuito non mi era nuovo dato che veniva utilizzato anche nell’atletica, sport che praticavo da tempo». Rientrato in Italia, dopo essersi laureato, Davide continua a esercitarsi in un box nel veronese; si iscrive poi al corso per istruttori crossfit conquistando il Level one, primo step per avviare la sua attività. «Il corso ha una durata molto breve, quindi non bisogna accontentarsi di averlo superato perché non dà la garanzia di essere dei bravi insegnanti», afferma Davide, «Nel crossfit ci sono un'infinità di movimenti e se non si ha ben chiaro come eseguirli sarà difficile poterlo spiegare agli allievi. Bisogna provare, fare tanto esercizio da soli in modo da eseguire alla perfezione ogni gesto». Viene però spontaneo chiedersi se questo tipo di allenamento sia davvero adatto a tutti. Davide annuisce, ma precisa che, come ogni attività fisica, va praticata con serietà e con l'aiuto di professionisti qualificati: «Esistono molti pregiudizi sul crossfit: fa male, non è salutare, logora le articolazioni. Può essere vero se i movimenti non vengono eseguiti nel modo giusto e se gli errori non vengono prontamente corretti, ma questo accade in ogni sport che richieda una base tecnica. Provate a pensare a un atleta che si allena nel salto in alto nel modo sbagliato… Sicuramente la laurea in Scienze Motorie mi ha fornito le conoscenze e gli strumenti necessari per avvicinarmi a questa disciplina con un approccio multidisciplinare. Ho capito che può anche essere usato come preparazione fisica per alti sport, in particolare il rugby e le arti marziali, ma anche il triathlon. Inoltre, tutti gli studi fatti sull’allenamento ad alta intensità mostrano effetti benefici su cuore e circolazione, un rafforzamento della muscolatura e delle articolazioni».
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E N O I Z I o R m T a i c NFatUcegrhaiazreizozan!e in c FOCUS
di Umberto Rizzotti
G N I P O D O
ccasionale, amatoriale o professionistico, lo sport è un gioco che coinvolge le abilità fisiche dove ci si confronta con se stessi o con gli altri all’interno di regole costitutive ben definite. Gioco di squadra o individuale che sia, l’obiettivo fondamentale è la ricerca ed il superamento del proprio limite, con la conseguente sensazione di appagamento o gratificazione. Lo sport favorisce la crescita (o quanto meno il miglioramento) come persona di chi prende parte alla competizione sportiva. Ciò è tanto più evidente quando si osserva il percorso dei bambini in età scolare. Considerazioni quasi scontate quelle descritte sopra, ma presupposti che fanno di questo “gioco agonistico” una parte integrante della nostra quotidianità, che coinvolge aspetti quali competizione, rispetto, ma anche alimentazione, benessere psicofisico e senso del limite. Proprio in questo panorama si inserisce la macroarea che dall’alimentazione quotidiana arriva fino all’integrazione. La differenziata offerta degli integratori alimentari, unitamente a quella degli energy drinks, stimola infatti l’appetito degli sportivi in cerca di un “supporto” alle loro prestazioni. Sicuramente una buona reidratazione gluco-salina o un uso corretto di aminoacidi ramificati sono certamente utili ad un buon recupero dopo una intensa attività fisica. Tuttavia osservare come molti integratori alimentari siano assunti con modalità o finalità scorrette pone legittimi quesiti sulla loro reale utilità, specialmente in atleti giovanissimi o amatoriali. Ciò va di pari passo con alcuni comportamenti scorretti (per non dire incoerenti) della nostra quotidianità: correttamente molti genitori non concedono ai figli una tazza di caffè per merenda, tuttavia spesso dimenticano
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(o piu semplicemente ignorano) che il quantitativo di caffeina presente in uno dei più comuni energy drinks è paragonabile a due tazzine e mezza di caffè. Forse a questo punto è utile ricordare che gli integratori sono prodotti alimentari destinati ad integrare (ed è sempre bene ricordare “non a sostituire”) la comune dieta e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico. Sono quindi prodotti utili ed efficaci se utilizzati per le opportune finalità. A volte si eccede (e sempre con un tam tam mediatico notevole) il concetto di integrazione, in una interpretazione completamente distorta del significato di sport come “confronto con il proprio limite”. Osservare come un professionista seduto alla sua scrivania tutta la settimana, la domenica mattina inforchi la bicicletta per affrontare le ripide salite dello Zoncolan pone legittimi dubbi. Esiste qualche differenza tra doparsi e copiare in compito in classe di matematica? Qual è il valore educativo di questa tipologia di sport? È davvero il nostro limite
quello che abbiamo superato? È corretto denunciare il proprio compagno di squadra? Giusto per chiarirne il significato, “costituiscono doping l´assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l´adozione di pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche e idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell´organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti.” Chiarito questo, se lo sport è un gioco costitutivo ed educativo della nostra quotidianità evidentemente è opportuno approcciarlo anche mediante un corretto stile di vita, una dieta varia e completa, un uso corretto e consapevole degli integratori alimentari e soprattutto un comportamento che non mini il valore stesso del “gioco sport”. Da oggi iniziamo quindi, dalle pagine di SportDi+ magazine, un percorso nel mondo dell’integrazione alimentare e non solo, di cui quelle riportate sopra sono solo le prime riflessioni, utile a dissipare alcuni dubbi e condividere alcuni suggerimenti per vivere ad ogni età lo sport nel migliore dei modi.
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FOCUS
di Alessandro Boggian
a Scuola di Kart
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l Karting, inteso sia come pratica sportiva sia come attività ludicoamatoriale, può diventare un valido supporto per l’educazione alla civile convivenza dei giovani – e adulti – utenti della strada, mediante lo sviluppo dell’autonoma capacità di giudizio e l’esercizio della responsabilità personale e sociale. Il Karting, quindi, come “veicolo” ideale per raggiungere tale scopo e con una “marcia in più” rispetto ad altre pratiche educative, mediante l’affiancamento della parte pratica a quella teorica, attraverso cui trasmettere le conoscenze di base sulla segnaletica stradale e tutte le nozioni necessarie. Oltre a rappresentare un bacino da cui attingere per disporre di piloti di automobilismo, ha tutti i benefici degli altri sport e permette ai bambini e ai ragazzi di: • conoscere i propri limiti e capacità come pilota/guidatore, anche con una giusta autocritica; • gestire l’ansia, soprattutto in corsa; • stimolare la concentrazione; • apprendere i limiti e le potenzialità del mezzo che utilizzano (dinamiche, tenuta di strada sull’asciutto e sul bagnato, strada sporca, …); • essere consapevoli del fatto che guidano un mezzo meccanico che può dimostrarsi pericoloso (per sé e per gli altri) e, quindi,
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ne sono responsabili; • sensibilizzarli sull’importanza che per guidare al meglio bisogna essere in ottime condizioni fisiche (gestione della propria aggressività facendo uso dell’autocontrollo, lucidità mentale, durante il tempo di qualifica e la gara e il corretto uso dell’istintività, …); • comprendere la necessità di osservare le norme di sicurezza per tutelarsi durante la guida (casco, tuta, cintura di sicurezza, …); • responsabilizzarli nel controllare che il mezzo sia sempre tenuto in ottimo stato; • renderli consapevoli che in pista, anche a livello amatoriale, come sulla strada, è necessario rispettare delle regole precise per evitare incidenti o comunque di essere fuori gioco. Vicenza Kart Indoor, che collabora da anni con il Comitato Provinciale OPES di Verona, da sempre entrambi sensibili al tema sulla sicurezza stradale, offre la possibilità di partecipare al programma Kid’s School: A CHI È RIVOLTO: ai più giovani (7-14 anni), che si stanno avvicinando al mondo del Karting, per introdurli a questo sport nel modo migliore ed in piena sicurezza. L’obiettivo è preparare i futuri piloti sia dal punto di vista sportivo che psicologico, oltre che pratico. A tutti i partecipanti vie-
ne rilasciato un diploma attestante la frequenza; DOVE E QUANDO: il sabato dalle 14:00 alle 17:00 e la domenica dalle 11:00 alle 17:00 presso il kartodromo* sito in via Verona n. 74, Altavilla Vicentina (VI). Per qualsiasi informazione gli amici del Vicenza Kart Indoor possono essere contattati allo 0444/371351 - vki@vki.it - www.vki. it - Facebook: www.facebook.com/vkikart. * Un kartodromo è un impianto sportivo dove si tengono competizioni motoristiche con i kart. Si tratta di impianti che propongono percorsi di diversa difficoltà per mettere alla prova le capacità di guida dei piloti e le caratteristiche costruttive dei veicoli che vi corrono. Esso può essere costruito all’esterno (kartodromo outdoor) o all’interno di capannoni industriali, tensostrutture o simili (kartodromo indoor). La lunghezza di un kartodromo solitamente va da un minimo di 400 metri fino ad un massimo di 1700 metri, mentre la larghezza della carreggiata parte da un minimo di 6 metri fino ad un massimo di 11 metri. Il paddock ha solitamente una superficie minima di 2500 m², anche se negli impianti che ospitano gare internazionali supera i 20.000 m² (Fonte: Wikipedia).
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FOCUS
di Andrea Conti (*)
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omenica 8 ottobre, di buon mattino, nella magnifica cornice di piazza Bra, molti turisti e veronesi hanno assistito con simpatica curiosità all’incessante “manalare” degli atleti disabili che sfrecciavano rasoterra a bordo delle loro handbike su un circuito cittadino incorniciato a ridosso dell’anfiteatro areniano. E’ stato sorprendente assistere alla grinta con cui questi atleti, tra cui moltissimi vittime di incidenti stradali, salivano sulle “tre ruote” sfoderando energia ed entusiasmo e contagiando così spettatori e nugoli di passanti. L’atmosfera di festosa competizione ha poi trovato un “must” nella staffetta dei motociclisti della Polizia Stradale seguiti dalla Lamborghini Huracan, a sottolineare l’importante sinergia che la Polizia di Stato ed il mondo della disabilità hanno messo ormai da anni in campo sia in tema di educazione alla sicurezza stradale con il progetto Icaro, sia sul delicato rapporto con le vittime degli incidenti stradali e ferroviari del progetto Chirone. Importante poi la presenza della campionessa paraolimpica Francesca Porcellato che ha trattenuto i fans accorsi per acclamarla tra innumerevoli richieste di selfie. La premiazione dei vincitori delle varie categorie – fissate in base al grado di disabilità personale – ha visto sul palco la cantante Alexia fianco a fianco degli agenti della Stradale e di altre prestigiose autorità civili e sportive. Insomma una bella domenica di sport e disabilità che ha lasciato il segno in tutta la città e allora eccone il resoconto sportivo del socio ed atleta Andrea Conti. “A Verona si è disputata l’ottava e ultima tappa del Giro d’Italia handbike 2017 e l’associazione Verona Strada Sicura assie-
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me al GSC Giambenini sono stati i fautori di questo prestigioso evento che ha coinvolto nell’organizzazione almeno un centinaio di persone. L’appuntamento per gli 80 volontari accorsi era alle 07.15 per poi dislocarsi lungo il percorso che copriva corso Porta Nuova, passando poi per Via Cesare Battisti, circonvallazione Raggio Di Sole, via Bertone e via Pallone, terminando dinnanzi al palazzo della Gran Guardia. 3 km da percorrere per un’ora più un giro. 90 gli atleti in gara con la presenza del campione olimpico di Rhio e recentemente campione del mondo Paolo Cecchetto e come ospite d’onore la pluricampionessa Francesca Porcellato. Per l’evento Verona Strada Sicura mantenendo fede ai propri principi di prevenzione degli incidenti stradali e trovando il giusto connubio con atleti disabili, che per la maggior parte è costretta a vivere la propria menomazione per cause legate alla strada, ha organizzato un info point in piazza Brà attorno Lamborghini Huracan con la livrea azzurra della Polizia Stradale. La gara, iniziata alle 10.10, non ha avuto intoppi e i tutti pretendenti alla vittoria hanno dato il massimo per raggiungere l’obbiettivo tanto sospirato inseguito per più di 6 mesi dalla prima tappa di Magenta del 26 marzo all’ultima qui di Verona. Questa tappa era la più importante in
quanto proclamava i vincitori finali per il 2017 delle 10 categorie in gara, 5 maschili e 5 femminili, che da marzo a ottobre hanno girato da nord a centro Italia per conquistare l’ambita maglia rosa. A detta dei presenti, la tappa veronese è stata tra le migliori peraltro con uno sfondo come l’Arena incorniciato tra le vie di uno dei più bei centri storici d’Italia. I nostri amici del GSC Giambenini che ci accompagnano con le loro testimonianze nelle scuole superiori, che per l’anno scolastico 2017-2018 saranno ben 23, hanno ottenuto il premio come miglior squadra del giro conquistando 2 maglie rosa con Roberto Brigo e Omar Rizzato e 3 secondi posti con Andrea Conti, Ivano Da Canal, Sara Valenti e il miglior atleta del giro ancora con Omar Rizzato.” (*) Atleta del GSC Giambenini Consigliere VSS