SportdiPiù magazine Veneto 70_2021

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Testata giornalistica registrata al Tribunale di Verona n. 1807/2008

ANNO 13 - N. 70 - NOVEMBRE 2021 / GENNAIO 2022

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- Periodico

I LUCA PANCALLI

I RAPHAEL VIEIRA DE OLIVEIRA

I ARIANNA POMPOSELLI www.sportdipiu.net

# 70

E 7,00

magazine

Stefano Giulia

Dopo i successi a Tokyo 2020, Giulia Terzi e Stefano Raimondi puntano decisi verso Parigi 2024, paralimpiade che potrebbe scrivere nuovi emozionanti capitoli della loro storia di sport e d'amore

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I


Un’esplosione di novità


www.sportdipiu.net

di Alberto Cristani instagram alberto.cristani70 TWITTER AlbertoCristani

# 61

CORTINA 2020

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L'editoriale E 3,00

I

magazine

CONI VERONA

Il valore del …diPiù

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C'era una volta iBarcoder Trial

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SPORLO PIÙ SPORT iBarcoder Trial

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il significato del nostro diPiù che si orienta verso lo sport paralimpico, un mondo tanto affascinante quanto impegnativo, una realtà che può darci quel diPiù di cui sentiamo il bisogno e di cui vogliamo rendere partecipi i nostri fedeli (e nuovi) lettori. Il progetto editoriale cambia quindi direzione ma non obiettivi, anzi; per parlare del mondo della disabilità (altro termine odioso che ci impegnamo ad usare il meno possibile…) avremo bisogno di tutti, anche di quegli atleti ‘normali’ che abbiamo conosciuto negli anni. Sarà un’esperienza nuova, stimolante, totale e per tutti. Lo abbiamo sempre detto: SportdiPiù è uno ‘strumento’ che può e deve essere usato da chi ne ha necessità. Il nostro compito è, e sarà, sempre quello di farci trovare pronti e attenti alle esigenze dello sport veneto. Concludo augurando un Buon Natale e buon 2022 a tutti voi e a tutta la redazione di SportdiPiù magazine. Ce lo meritiamo. Perché siamo sportivi, perché crediamo nei valori dello sport, perché non ci accontentiamo mai e perché vogliamo sempre… diPiù. Auguri!

Buone Feste da tutta la redazione

magazine

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Testata giornalistica registrata al Tribunale di Verona n. 1807/2008 iBarcoder Trial

ANNO 11 - N. 61 - NOVEMBRE 2019 / GENNAIO 2020

- Periodico

I

SPECIALE HELLAS VERONA

portdiPiù magazine dal 2008 si pone un unico obiettivo quello di dare voce a discipline, società e atleti che non trovano visibilità e attenzione sui media locali ‘tradizionali’. All’inizio della nostra avventura editoriale, un collega mi disse: “Questo progetto durerà al massimo un paio d’anni”. Di anni però ne sono passati un po' diPiù, per la precisione tredici. Come vola il tempo… Nel frattempo l’attenzione sugli sport cosiddetti ‘minori’ (aggettivo odioso che, fortunatamente, viene utilizzato sempre meno…), è aumentata in modo esponenziale tant'è che ora, grazie anche all'imperversare dei social, quasi più nessuno si sente dimenticato. In questi tredici anni abbiamo conosciuto ed intervistato centinaia di atleti raccontando, con il nostro stile semplice e diretto, storie di uomini e donne di sport. Siamo però giunti ad un punto che non ci basta più raccontare storie di atleti ‘normali’ o, per meglio dire, non ci accontentiamo più di raccontare storie ‘facili’ di atleti ‘facili’. Cambia quindi

Tdi magazine

È lo storyteller italiano per eccellenza. Ogni suo racconto di sport è un viaggio unico tra aneddoti, curiosità e cultura. Benvenuti nel mondo di Federico Buffa. SdP /

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Sommario

# 70 - NOVEMBRE 2021 / GENNAIO 2022 30

COVER STO RY

Giulia Terzi e Stefano Raimondi

3

Editoriale

24

Intervista

36

Sport Life

6

Bar Toletti light

28

Sport Life

38

Sport Life

30

Cover story

42

Evento

Compagni di squadra

46

Intervista

Genitorinrete

50

Sport Life

52

Intervista

7 9 10 11

Il valore del …diPiù

L’ultimo degli italiani

Uscita Verona Sud

Ma tu pagheresti 30 euro per vedere Insubria-Tridentina? I Rugbisti del suono

Ricominciamo dai genitori

Evento

Natale dello sportivo 2021: auguri e grazie Mons. Zenti!

Luca Pancalli (Comitato Italiano Paralimpico)

Amicizia Olimpica

Giulia Terzi e Stefano Raimondi (nuoto)

Quanto sei Grant!

Be Buster

Vent’anni a ritmo di Samba

Nicola Casale (calcio)

VB return

Raphael Vieira de Oliveira (pallavolo)

14

Evento

56

Intervista

16

Sport e dintorni

60

Sport Life

18

Intervista

62

Sport Life

20

Intervista

64

Intervista

Sport veronese in festa con i Cangrande

Sportivamente Nina

Stefano Casali (Presidente AGSM AIM)

Manuel Frigo (nuoto)

Emil Hallfreðsson

2021 ‘ok’ per la Fondazione Sport City

L’esordio di Arnold

Davide Biondani (MTB)


66

#Roadto2026

Fulvio Valbusa (sci fondo)

94

Sport Life

96

Intervista

98

Intervista

100

Intervista

104

Intervista

Come viaggia Dossobuono!

Massimo Castellani (tuffi)

Alice Bianchini (calcio)

Michele Mortali (rugby)

Arianna Pomposelli (calcio a 5)

Tdi SPORmagazinePIÙ Anno 13 - Numero 70

NOVEMBRE 2021 / GENNAIO 2022

Testata giornalistica registrata al Tribunale di Verona n. 1807/2008 Direttore Responsabile Alberto Cristani Vice Direttore Daniela Scalia Caporedattore Matteo Lerco

68

Intervista

70

Intervista

74

Stare bene

76

Intervista

Direttore della fotografia Maurilio Boldrini

Luca Rigoldi (pugilato)

In Redazione Alberto Braioni, Andrea Etrari, Andrea Luzi, Bruno Mostaffi, Daniela Scalia, Giorgio Vincenzi, Marina Soave, Matteo Lerco, Matteo Zanon, Jacopo Pellegrini

Andrea Cucchi (windsurf)

Posture da gelo

108

Fabrizio Nonis (beckèr)

Sportiva-Mente

Psicologia dello sport e disabilità: incontro di sogni ed emozioni

110

Sport Life

112

Sport Books

114

Intervista

116

Passo di Resia: benvenuto inverno!

Davide Laurano (MMA)

Consigli in… Corso

La sfida climatica nell’evoluzione dell’economia globale

80

Intervista

118

Pantere da record

82

Intervista

120

Intervista

122

Evento

88

Intervista

124

Evento

90

Intervista

126

Sport Life

128

Breaking News

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Sport Life

132

Breaking News

86

Andrea Bonomini (tennis)

Sofia Bonetti (tiro a segno)

Sport Life

Ippocampo APS ‘sottorete’ per sostenere l’autismo Matteo Manassero (golf)

Roberta Bianconi (pallanuoto)

con il patrocinio di Comitato Regionale Veneto

Comitato Regionale Verona

Gianni Bellini (collezionismo)

Bentornata Christmas Run!

Verona... che forza!

BE A PRO la app che ‘ama’ il calcio

Casa ABEO, un 'nido' sempre più accogliente

Foto SportdiPiù magazine Veneto Maurilio Boldrini, Mirko Barbieri, Paolo Schiesaro, Simone Pizzini Contatti redazione@sportdipiu.com a.cristani@sportdipiu.com www.sportdipiu.com Progetto grafico e impaginazione Francesca Finotti Stampa e distribuzione Mediaprint Srl Sede operativa di San Giovanni L. Via Brenta, 7 - 37057 Verona Cell. 345.5665706 Pubblicità marketing@sportdipiu.com Cell. 348.4425256 Abbonamenti abbonamenti@sportdipiu.com Cell. 345.5665706 Hanno collaborato Alberto Braioni, Andrea Etrari, Andrea Luzi, Bruno Mostaffi, Cesare Monetti, Daniela Scalia, Daniele Corso, Don Gabriele Vrech, Emanuele Pezzo, Gian Paolo Zaffani, Giorgio Vincenzi, Giulio Giacomelli, Jacopo Pellegrini, Luca Tramontin, Marina Soave, Marino Bartoletti, Matteo Lerco, Matteo Viscione, Matteo Zanon, Michela Toninel, Paoloma Donadi, Silvia Scapol, Tommaso Franzoso Foto Archivio SportdiPiù magazine Veneto, BPE agenzia fotografica, Fotolia, crediti singoli articoli. Foto copertina Giulia Terzi e Stefano Raimondi – Foto Stefano Raimondi

www.sportdipiu.net Facebook-Square Sportdipiù Magazine Instagram sdpmagazine Linkedin SportdiPiù magazine Veneto Youtube-square SportdiPiù Magazine

Stampato su carta ECF, 100% riciclabile con inchiostri vegetali

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STO RI ES

Bar Toletti light

di Marino Bartoletti instagram marinobartoletti Facebook-Square Marino Bartoletti

L’ultimo degli italiani

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ra buono Michele Alboreto. Buono e gentile. Ma in pista non faceva sconti: lo sapeva anche Ayrton che in un paio di occasioni dovette sperimentare la sua grinta. Lui che, di certo, non era un agnello. È stato l’ultimo pilota italiano (per giunta sulla Ferrari) a sfiorare il titolo mondiale. Ma, in quel maledetto 1985, la fortuna non girò davvero dalla sua parte: cinque ritiri nelle ultime cinque gare, quando sembrava che avesse già la vittoria in pugno, avendo tenuto a bada Alain Prost fino a Monza. Enzo Ferrari, un uomo che non faceva sconti a nessuno, men che meno ai suoi piloti mi disse (e non eravamo soli): “A quel ragazzo io debbo un Mondiale”. E lui sapeva perché. Si erano conosciuti per lettera, lui e Michele. Una lettera che il giovane pilota aveva scritto a mano, di getto. Il Vecchio aveva giurato che nessun italiano avrebbe più guidato una sua vettura (troppo dolore, troppa ingratitudine). Ma le parole di quel ragazzo che candidamente gli svelava

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/ SdP

i suoi sogni lo intenerirono. E appena si presentò l’occasione lo chiamò con sé. Alboreto, una volta a Maranello (dove arrivò avendo già comunque vinto due Gran Premi con la Tyrrell), scoprì che non erano tutte rose e fiori. Il momento più bello, quello della fine degli anni ’70 e degli inizi degli ’80, se n’era andato con Gilles. Eppure ci credette: strinse i denti. Era un collaudatore straordinario: proprio come piaceva a Ferrari, che in lui vedeva un altro Alberto Ascari (e non solo per la milanesità). Ed era anche un ragazzo leale, al punto da respingere il corteggiamento di un team che poi si sarebbe rivelato vincente. Purtroppo il Grande Vecchio – suo protettore – stava cominciando a ripiegare pian piano le ali: e non aveva più la percezione perfetta di quello che accadeva nella sua Scuderia. Se ne andò prima del Gran Premio di Monza dell’88. Michele sognava di ringraziarlo con una vittoria: ma arrivò secondo dietro a Berger in un giorno in cui, quasi miracolosamente, sulle Rosse arrivò l’inatteso raggio di sole della fortuna. A fine stagione le strade di Michele e di

Maranello si separarono. Cercò di vivere con dignità la sua delusione: continuò a correre in Formula Uno, ma la stagione dei grandi sogni ormai era alle spalle. Nella sua maturità di pilota si regalò una bellissima vittoria nella 24 ore di Le Mans. E fu proprio collaudando una vettura (un’Audi) per quella corsa affascinante che perse la vita, in circostanze mai ben chiarite, il 25 aprile di vent’anni fa nel maledettissimo autodromo tedesco di Lausitzring: lo stesso dove cinque mesi dopo si sarebbe schiantato Alex Zanardi. Aveva 45 anni. L’ho conosciuto bene (abbiamo persino disputato una gara in coppia a Monza, dove ebbi ancora una volta la prova della sua gentilezza e della sua modestia). Era innamorato della sua Nadia (conosciuta adolescente), delle sue bambine (anche se diceva che “un pilota forse non dovrebbe mai fare figli”), della sua mai tradita normalità. Lo chiamavi al telefono: ti rispondeva. Provate adesso! È stato l’ultimo pilota italiano ad aver vinto su una Ferrari: sono passati 36 anni…


L'O PI N I O N E

Uscita Verona Sud di Daniela Scalia instagram dani_seamer TWITTER @DanielaScalia

Ma tu pagheresti 30 euro per vedere Insubria-Tridentina?

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er parlare seriamente di franchigie bisogna parlare seriamente di nomi e di identità locale. E anche (mi approprio di un pezzo di conferenza di Luca Tramontin al LAC di Lugano) di identità onomastica. Parole grosse ma concetti molto semplici che fanno la differenza pratica. Insubria-Tridentina... io guarderei bene chi gioca, a che ora, e che tempo fa. L’identità è una cosa pratica, non teorica. Non ho tempo/spazio per fare tutti gli esempi logici e comici che ho sentito nel super-tempio di Lugano, ma so che derby in NHL significa sfida tra squadre fondatrici, le Original Six. Se lo misuri a campanile vicino come da noi, sbagli. E cosa significa “sbagli”? Che fai fuori i soldi degli sponsor, che le giovanili restano senza fondi, che non hai da rimborsare gli arbitri e gli allenatori bravi ma che perdono lavoro, quindi ti trovi ad accettare quelli benestanti che bravi non

sono. È una catena. Nelle proposte dei super-manager (ironico) leggo delle idee ben peggiori di Insubria-Tridentina. Il grave è che si fanno pagare anche per proporre: si chiama project expense o qualcosa del genere. Alla scusa storica del calcio (sempre colpa sua) si è aggiunto un reale ma comodo Covid (“Comovid” ha detto il nostro ribelle in conferenza), quindi ogni fiasco si giustifica senza autocritica. Se facessi finta di essere da Verona Nord forse potrei fregare qualcuno, ma nemmeno tutti, così, quando i nostri sport cercano di costruirsi o ricostruirsi nel dopo-pandemia dovrebbero (come si fa nello sport) prima ripassare i fondamentali, poi arrivare al resto. Non sto dicendo di appendersi staticamente alla tradizione,

anzi, dico il contrario. Guarda cosa stanno facendo i Catalan Dragons di Rugby League nel campionato inglese, in uno sport che è addirittura “nordinglese”, o il Giappone in vari sport, o altri ancora. Ma attenzione, si appendono, agganciano alla tradizione, innestano il nuovo in un antico consolidato. Io preferisco Verona-Bergamo a Insubria-Tridentina, poi immagina tu per chi tifo.

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L'O PI N I O N E

Compagni di squadra di Luca Tramontin

I Rugbisti del suono

I

l telaio della squadra seria è il telaio dell’azienda seria. C’è una spiegazione storica che tutti saltano come fosse fastidiosa o fantasiosa. Semplicemente: in età industriale gli inglesi nobili devono inventarsi un senso del lavoro che non hanno mai avuto (vivevano di rendita fino all’arrivo della rivoluzione industriale) quindi strutturano il lavoro imitando l’unica cosa collettiva faticosa che conoscevano: il football (su acqua, su fango o col bastone, quello con le regole di Rugby o di Oxford, uguale). Poi il mondo anglosassone domina e invade il mondo (ho le prove) e imposta indirettamente o direttamente le nostre aziende. Questo significa che la squadra che funziona e l’azienda che funziona sono parenti sani. La squadra che litiga e l’azienda che stenta sono parenti storpi, meglio fare le analisi prima di fare figli. Quando entri al Digital Lake Studio di Verbania trovi due fratelli, bravissimi a jouer/play (le lingue nordiche hanno lo stesso verbo per suonare e giocare, da noi invece sono ben separati, purtroppo). Diversissimi tra loro come un pilone e un mediano, con il compito comune di far giocare bene quello che arriva dalle giovanili. Metafora anti-anagrafe perché sono più vecchio, ma musicalmente sono più giovane. E qui non si va a calendario ma a esperienza specifica di campo. Il senso di squadra ti segue, ti avvolge, quando manca (se sei viziato come me) ti segnala la sua assenza e ti fa dire brutte parolacce. La mischia è la base ritmica, il resto sono mediana e tre/quarti. Questa fattela spiegare da un amico rugbista che suona, ce ne sono molti per fortuna. Ale e Alb prendono le mie imprecisioni, la mia mancanza totale di rapporto con il pentagramma, il mio fare le cose per sbaglio. Invece che buttarle via, esattamente come si fa con i palloni di

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/ SdP

Alberto Gallo al mixer

recupero infangati, le trasformano in proiettili per fare punti. Poi senza gelosie, senza competizione (esattamente come fanno i capitani con gli allenatori), si passano le informazioni preziose e «mandano» o «mi mandano» da Marco Paolini, l’altro mediano, il sound engineer che mixa con il resto dell’episodio e trasforma in quel capolavoro (anche) audio che sono gli episodi – tutti - di Sport Crime e il collegato disco con la colonna sonora della prima stagione. “Meglio che lo faccia lui”. Ti viene in mente una frase che sia più sportiva, umile o collettiva? “Lascio la chitarra che hai suonato tu, è imprecisa ma ha un suo calore”. Dai, questo è hockey, rugby, roba di casta alta indipendentemente dal censo. Il ‘miserozzo’ che ha paura di perdere

il posto ragiona e parla così. Jonny Wilkinson parla così. Il finto rugbista che arriva in Svizzera per scroccare sussidi non ragiona così. Così si ragiona ai London Wasps, a Casale sul Sile, ad Alleghe o a Viadana. Così parlano quelli che suonano chitarre e pianoforti per i grandi della musica, non per i bellunesi da riformatorio. Se vinci scudetti (far suonare colonne sonore a me è una Stanley Cup, una AlpenLiga 1992) con giocatori impediti vuol dire che giochi/play/joue a rugby o sport derivato.

Da sx Alberto e Alessandro Gallo



FO CUS GENITORINRETE

Ricominciamo dai genitori

PALOMA DONADI Gli ultimi due anni hanno segnato un cambiamento irreversibile in tutti noi e nella società. Abbiamo visto modificarsi ogni aspetto delle nostre vite: dal lavoro alla scuola, dalla vita sociale a quella privata. È aumentato per tutti, e in particolar modo per i bambini, il tempo trascorso in rete. Facciamo il punto della situazione tra il ‘prima’ e il ‘dopo’ la pandemia.

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Cos’è cambiato Iniziamo le nostre riflessioni sulla base di una recente indagine di Educazione Digitale e Kaspersky. Condotta tra maggio e ottobre 2021, ha coinvolto un campione di bambini italiani dai 5 ai 10 anni, la cosiddetta generazione Alpha, ovvero coloro che non hanno mai conosciuto il mondo senza internet. L’obiettivo dell’indagine era conoscere le loro abitudini riguardo le tecnologie digitali e internet, e quanto

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Il nuovo punto di riferimento per Genitorinrete è il Gruppo Facebook GenitorinRete Verona

questa generazione sia consapevole dei potenziali rischi della rete. I risultati fanno riflettere. Il 40% dei bambini intervistati ha affermato di non avere nessun problema nel condividere informazioni personali (come l’indirizzo di casa) con “amici” virtuali, la cui reale identità è ignota. Timori fondati, dato che il 36% ha ammesso di aver ricevuto proposte online da sconosciuti per partecipare a giochi o challenge pericolose. Eppure, gli stessi


bambini hanno ammesso di essere stati precedentemente informati, sia a casa che a scuola, circa i pericoli di internet. Bambini quindi preparati e informati, ma assolutamente inconsapevoli che tali rischi siano reali e molto, molto vicini. Informare non è abbastanza: serve una vigilanza più ravvicinata. I nostri sono bambini apparentemente abili con le tecnologie, ma in realtà impreparati a capire e ad affrontare i rischi che potrebbero incontrare in internet. Secondo l’Osservatorio Nazionale Adolescenza, il 30% dei bambini di 9-10 anni ha un profilo su Tik Tok, e il 10% su Instagram (l’età minima per legge è di 13 anni) o addirittura un suo canale YouTube. Il 20% di loro fa amicizia in rete o interagisce con sconosciuti, ovvero potenziali adescatori. Viene da chiedersi: i genitori sono consapevoli di ciò? Dovremmo riconsiderare l’idea di ‘pericolo’ come qualcosa che può varcare la soglia di casa nostra, attraverso i dispositivi digitali.

con grandi benefici per le comunità di riferimento. La pandemia ci ha impedito di proseguire con gli incontri dal vivo, ma il nostro “Manuale di istruzioni al digitale” ha continuato a esistere attraverso incontri online e con questa rubrica sulla rivista SportdiPiù Magazine Veneto. Abbiamo deciso di dismettere il nostro sito web e spostare il centro delle attività su Facebook per essere ancora più vicini ai genitori e rendere la comunicazione più snella. Il nostro punto di riferimento ora è il Gruppo Facebook GenitorinRete Verona, nel quale vi invitiamo a iscrivervi.

Il gruppo vuole essere un contenitore di tutte le buone prassi di Educazione Digitale, con lo scopo di unire Genitori ed Educatori in un confronto sereno e costruttivo. Per richieste, serate o incontri online, è attiva la mail genitorinretevr@gmail.com Ringraziamo tutte le persone che in questi anni hanno creduto in noi e ci hanno incoraggiati in questa attività impegnativa ma tanto necessaria, ancor più in tempo di pandemia. Come sempre, invitiamo TUTTI VOI a diventare parte attiva del cambiamento, che deve avvenire a partire dalla consapevolezza.

Come è possibile difendere i nostri figli? Stando loro vicini, spendendo del tempo per creare un legame vero e sincero. Ma anche usando i Parental Control, come Google Family Link. Inoltre, limitiamo il tempo concesso davanti a smartphone, tablet e pc. Troppe ore possono indurre alla dipendenza, e aumentano le possibilità di incontrare le persone sbagliate. Permettiamo loro di usare i dispositivi solo nella zona centrale della casa, sotto gli occhi di persone adulte. Sediamoci al loro fianco e giochiamo assieme; sarà un’occasione per osservarli da vicino e verificare il loro grado di maturità. Cos’abbiamo fatto noi di GenitorinRete Dal 2018 abbiamo tenuto numerosi incontri gratuiti di divulgazione in asili, scuole, circoscrizioni e parrocchie,

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Foto: Maurilio Boldrini

EVENTO

Natale dello sportivo 2021: auguri e grazie Mons. Zenti! abissi o attraversare gli oceani sono “tentativi per ricercare una dimensione diversa, più alta, meno abituale”; - Sport e dialogo: al di là di ogni barriera di lingua, di razza, di cultura. Lo sport può, infatti, portare un valido apporto alla pacifica intesa fra i popoli e contribuire all’affermarsi nel mondo della nuova civiltà dell’amore.

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DON GABRIELE VRECH

atale dello sportivo, una gioia e un’attesa per questo grande evento che si svolgerà il 14 dicembre presso l'AGSM Forum di Verona. Con l'occasione vogliamo salutare e ringraziare il nostro Vescovo per averaccompagnato con entusiasmo - dal 2007 - tutto il mondo dello sport veronese il 7 marzo 2022, al compimento del settantacinquesimo anno di età, consegnerà nelle mani di Papa Francesco il suo mandato in attesa della nomina del nuovo vescovo. In questi anni Monsignor Zenti ci ha accompagnato in diverse occasioni, partecipando a diverse iniziative legate allo sport ma in particolare ogni anno all’appuntamento del Natale dello Sportivo nel quale ha sempre avuto una parola e un piccolo segno per ogni sportivo presente. Se dovessimo fare una sintesi dei suoi messaggi riportiamo qui alcuni punti di non ritorno dei suoi richiami paterni nel solco di Papa Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco: - Sport e lealtà: la Chiesa, che ha la missione di accogliere ed elevare tutto ciò che nella natura umana vi è di bello, armonioso, equilibrato e forte, non può che approvare lo sport, tanto

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più se l’impiego delle forze fisiche si accompagna all’impiego delle energie morali, che possono fare di esso una magnifica palestra di lealtà, di rispetto della persona altrui, e di spirito di amicizia e di fraterna solidarietà. Sport e impegno: è ciò che aiuta a far fruttare i talenti di ognuno, ben sapendo che “Gesù è un allenatore esigente”. Lo sport, praticato con passione e vigile senso etico, specialmente per la gioventù, diventa palestra di sano agonismo e di perfezionamento fisico, scuola di formazione ai valori umani e spirituali, mezzo privilegiato di crescita personale e di contatto con la società. Sport e sacrificio: il termine viene dal latino sacrum facere, letteralmente “fare qualcosa di sacro”, “santificare ciò che si fa”, è ciò che aiuta a vedere al di là della fatica. Ognuno mostri a quali traguardi può condurre la vitalità della giovinezza, quando non si rifiuta la fatica di duri allenamenti e si accettano volentieri non pochi sacrifici e privazioni. Sport e spirito di gruppo accomuna molte discipline sportive e l’esperienza religiosa, perché “nessuno si salva da solo”; Sport e ricerca dell’Assoluto: scalare una montagna, immergersi negli


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Foto: Mattia Cristani

EVENTO

Sport veronese in festa con i Cangrande

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MATTEO VISCIONE

ono stati consegnati nel pomeriggio di mercoledì 10 novembre in Gran Guardia a Verona i Premi Cangrande, i riconoscimenti riservati agli atleti e agli sportivi che nel 2020, o nel corso della loro carriera, hanno conseguito prestigiosi risultati. A vincere il Premio Cangrande d’Oro 2021 è stato l’Hellas Verona, squadra che rappresenta la città in serie A e che, durante l’anno caratterizzato dalla pandemia, si è contraddistinta per i successi raggiunti. Gli altri Premi Cangrande sono stati assegnati a Misha Palazzo, Giada Pozzato, Vittorio Bissaro, Alessio Corradini e Nicolò Casale, all’Ufficio Scolastico provinciale Educazione Fisica (Premio Cangrande Scuola), all’Associazione “Tennis per tutti” Valentina Tezza e Associazione Buster Basket (Premio Cangrande Sociale nello Sport), Luigi

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Fresco (Premio Cangrande Allenatore Sportivo), Adriano Baso, Tiziano Begal, Gaetano Dalla Pria, Andrea Bonomini e Alfonso Sonato (Premio Cangrande Dirigente Sportivo), SSD Audace Calcio a 5 e AC Hellas Verona 1903 calcio a 5 (Premio Cangrande Squadra), Pastificio Avesani (Premio Cangrande Sponsor), Andrea Nocini (Premio Cangrande Giornalista Sportivo) e Giuseppe Zanoncelli (Premio Cangrande Carriera Sportiva). Prima della cerimonia è stato consegnato un riconoscimento ai partecipanti a Tokyo 2020, gli atleti paralimpici Federico Falco, Stefano Raimondi, Xenia e Misha Palazzo, i tecnici Marcello Rigamonti, Mattia Cambi, Luca Zenti e gli atleti olimpici Clara Guerra, Chiara Consolini e Giacomo Fantoni. All’evento sono intervenuti il sindaco Federico Sboarina, l’assessore allo Sport Filippo Rando, l’assessore al Decentramento Marco Padovani e l’assessore ai Servizi Demografici Stefano

Bianchini più altri rappresentanti del mondo sportivo scaligero. “È stato un momento sicuramente particolare” – ha affermato il sindaco Sboarina – “perché abbiamo consegnato un riconoscimento allo sport in un anno durante il quale fondamentalmente non c’è stato. Abbiamo voluto farlo lo stesso perché lo sport è comunque sempre stato nel nostro cuore e perché la voglia di tornare a praticarlo è sempre stata forte. Questo evento è dunque un passaggio simbolico, il simbolo di più riconoscimenti che la città di Verona dà al mondo dello sport per sottolineare che il Covid è stata una parentesi che ci ha sospeso, ma mai fermato”. “Devo ringraziare tutto il mondo sportivo” – ha detto l’assessore Rando – “che con la consegna dei Cangrande 2020 tornare a festeggiare. Il 2020 è stato un anno difficile e Verona oggi è sportivamente un po’ più povera perché abbiamo perso il Chievoverona, realtà che ci ha regalato tante soddisfazioni”.


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L'O PI N I O N E

Sport dintorni

Sportivamente

di Matteo Lerco

Nina

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e il male è una scorciatoia, il bene è un percorso. Virginia Tortella, icona dello sport veronese, ha scelto nuovamente di intraprendere la strada della solidarietà. Il progetto promosso dalla mitica Rana del Garda è una carezza sul volto di tanti piccoli coraggiosi eroi.

Virginia, come nasce Il Guscio di Nina? «A Peschiera da ventitré ha luogo un triathlon a respiro nazionale. Mi chiamò Maurizio Zurma, presidente del triathlon di Peschiera, esternandomi il desiderio di conferire alla manifestazione una connotazione benefica. Mi chiese di fare da madrina all’evento e, all’interno dello stesso, di cimentarmi in uno sprint, ovviamente a rana. Il giorno dopo mi contattò anche il sindaco di Peschiera Maria Orietta Gaiulli, che conosco da una vita, e, tramite il suo aggancio, mi avvicinai a Francesca Frezza, mamma della povera Nina, la cui prematura scomparsa ha sconvolto l’intera città…». E poi? «Francesca mi disse che aveva intenzione di dar vita ad una realtà inedita per il territorio, ricreando anche a Verona quello stesso movimento che aveva accompagnato sua figlia Nina negli ultimi momenti. La fondazione madre si chiama Maruzza - Cure Palliative Pediatriche, ma, all’epoca, non era presente un dipartimento veneto. Mi chiese di dar voce al progetto, utilizzando il triathlon come diffusore dello stesso. Queste sono le origini dell’avventura che, oltre ha me, ha coinvolto Francesca, il sindaco Gaiulli ed il vicesindaco Elisa Ciminelli». Come si è svolto l’avvicinamento alla manifestazione? «Siamo state seguite in ogni nostro passo

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da due guru della disciplina come Laura Pederzoli e Alessandra Collalto, tostissime iron woman. Ci hanno preso per mano, spingendoci a superare i nostri limiti: la preparazione è stata durissima, in quanto per tutte noi era il primo approccio al mondo del triathlon, ma alla fine la gratificazione è stata infinita. La partecipazione all’evento è stata infatti nutritissima e si è recuperato un importante quantitativo di fondi per sostenere la causa. Solamente a ripensarci, mi si riempie il cuore di gioia».

La fondazione Maruzza in concreto di cosa si occupa? «È un’organizzazione che si propone di accompagnare i bambini malati nella fase terminale del loro percorso, insieme, ovviamente, oltre alle loro famiglie. Il pensiero che muove gli sforzi dell’ente è davvero molto nobile». Il bene genera sempre bene, sbaglio? «È una grande verità. Ti faccio un esempio: le biciclette che abbiamo utilizzato per l’impresa ci sono state noleggiate da

Emanuele Bellinazzi di Garda Gravel senza la richiesta di alcun corrispettivo. Alcuni gesti fanno davvero la differenza».


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Foto: Manuel Frigo

I NTERVISTA rigo Manuel F

Campione di

È

SILVIA SCAPOL

entrato nella storia dello sport azzurro con la medaglia d’argento nella 4x100 stile libero, la prima di sempre, alle Olimpiadi di Tokyo 2020. Nato il 18 febbraio 1997 a Cittadella, in Provincia di Padova, Manuel Frigo è il classico esempio di caparbietà e volontà, sebbene il nuoto non sia stata da subito la sua prima scelta. Manuel inizia a nuotare, per volere della mamma, all’età di otto anni e, dopo aver superato diversi momenti ‘complicati, inizia la sua scalata

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mamma

nel mondo del nuoto. Nel 2019 arriva la prima svolta della sua carriera con la partecipazione ai Mondiali di Gwangju. La conferma arriva con la storica medaglia Olimpica conquistata con Alessandro Miressi, Thomas Ceccon e Lorenzo Zazzeri. In questa intervista esclusiva a SportdiPiù Magazine, Manuel si racconta a 360 gradi tra sport, vita privata e obiettivi futuri. Manuel, l’Olimpiade è il sogno di ogni atleta, ma il percorso per realizzarlo ha radici molto lontane. Raccontaci il tuo… «Ho cominciato a nuotare verso gli otto

anni per volere di mia mamma, come probabilmente accade a molti atleti. Io avrei voluto giocare a calcio, come facevano tutti i miei compagni di scuola. Ma mia mamma è stata irremovibile: prima dovevo imparare a nuotare e poi potevo fare altro. Quindi non avevo alternative. Dopo poco che avevo iniziato i corsi, la società sportiva mi fece recapitare una lettera in cui mi proponeva di entrare a far parte della pre-agonistica. E così mi sono fregato! Da lì è iniziato tutto». Ti sei distinto da subito? «Non sono mai stato un fenomeno, anzi.


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Avrei voluto giocare a calcio, come facevano tutti i miei compagni di scuola. Ma mia mamma è stata irremovibile: prima dovevo imparare a nuotare e poi potevo fare altro.

coetanei e anche quelli più piccoli che andavano più forte di me. Nella stagione 2017-2018, che è coincisa con la fine della scuola, io e il mio allenatore, Claudio Priamo, ci siamo parlati e abbiamo pianificato il percorso da fare, ma soprattutto lo spirito con cui affrontarlo. Facevo i doppi, alternavo gli allenamenti in vasca lunga e in corta. Quell’anno riuscii a scendere sotto i 50”, nuotai i 100 stile in 49”8 e questa è stata la cosa che mentalmente mi ha sbloccato. Da quel momento in poi, sono decollato e ho iniziato ad abbassare i miei tempi. Da lì è iniziato il percorso come atleta d’élite: le convocazioni in Nazionale, i collegiali con i velocisti, fino al mio trasferimento a Roma, per allenarmi con Claudio Rossetto, il tecnico federale responsabile dei velocisti della Nazionale Assoluta. Sono stati anni impegnativi, di grandi sacrifici, perché le spese erano praticamente tutte a carico mio e della mia famiglia. Il Centro Nuoto Rosà, l’impianto dove sono cresciuto e che sempre ringrazierò per il suo sostegno, mi dava un contributo economico, ma ovviamente non era sufficiente. Però ci credevo, e quindi ho stretto i denti e sono andato avanti a testa bassa. E ne è valsa la pena». Come hai vissuto lo spostamento di un anno dei Giochi Olimpici? «Per certi versi è stata molto dura, ma credo di averne beneficiato perché con un anno in più a disposizione sono riuscito a migliorarmi ancora. Dopo i buoni risultati che avevo ottenuto al mondiale

del 2019, avevo ripreso la stagione con un po’ troppa leggerezza. Non mi stavo impegnando a sufficienza. Il fatto che siano traslate di un anno mi ha dato l’opportunità di rimettermi in gioco e impegnarmi come dovevo. Anche se gli assoluti invernali erano andati male: parlando con il mio allenatore ci siamo detti in che modo andavano affrontate le cose, e la strategia da seguire per poter portare a casa un sogno: partecipare ai Giochi Olimpici. Sono stati due anni davvero lunghi e la pressione per la qualifica olimpica è qualcosa che è difficile da spiegare: ti logora se non riesci a gestirla. Un’Olimpiade è qualcosa di veramente grande e qualsiasi descrizione risulterebbe riduttiva. Da piccolo dicevo sempre che volevo andare alle Olimpiadi, ma non ci credevo veramente, mi sembrava potesse essere solo un sogno. Se non fossi riuscito a gestire mentalmente questa pressione, Tokyo sarebbe rimasto solo un sogno. E sono felice di essere riuscito a godermela tutta». Il Team Veneto è la famiglia del nuoto che ti ha cresciuto e per la quale sei ancora tesserato. Cosa ci puoi dire di questa realtà? «Per me è una famiglia. Quando ero piccolino pensavo al Team Veneto sognando: tutti noi atleti sapevamo essere una delle migliori realtà in Italia, e non era così semplice entrare a farne parte. Perciò diventava l’ambizione di ognuno di noi, l’obiettivo da centrare, il sogno da realizzare. Ed era una cosa che ti spin-

Da piccolo facevo anche fatica a fare i tempi per qualificarmi per i regionali, a differenza di altri miei compagni che invece erano molto forti. Ho iniziato come dorsista e qualche risultato confortante ho cominciato ad averlo intorno ai quindici anni. Anche se ogni gara andata bene per me non era mai un punto di arrivo, bensì un punto di partenza per preparare quella successiva. Non mi sentivo mai arrivato: per me fare una buona gara con conseguente buon risultato era semplicemente raccogliere i frutti di tanti allenamenti. La mia gara, i 100 stile, li ho nuotati quasi per caso. Ma i risultati sono arrivati subito. E così ho cominciato a focalizzarmi sulle distanze veloci». Successo che è arrivato attraversando anche momenti non semplici… «Si, è vero. Il 2016 e il 2017 sono stati gli anni più difficili: mi vedevo sempre fermo allo stesso livello, facevo fatica a migliorarmi. Inoltre, vedevo i miei

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geva ad impegnarti sempre di più, a fare sempre meglio e dare il massimo in ogni occasione. Quando sono riuscito a farne parte anch’io ero felicissimo e orgoglioso di me stesso». Gianni Gross è il fondatore del Team Veneto e tu hai avuto l’opportunità di conoscerlo: che ricordo hai di lui? «Ricordo le feste che si organizzavano all’inizio di ogni stagione agonistica, momenti di ritrovo per darci la carica su ciò che andavamo a fare. Gianni ovviamente era sempre presente, era in mezzo a noi. Noi andavamo a presentarci e salutarlo e lui aveva sempre una parola buona, una nota positiva per ognuno di noi. La cosa che non potrò mai dimenticare è stato quando, in una stagione in cui nuotavo con un compagno di squadra che è sempre stato molto più forte di me, Gianluca Gazzola, e che io pensavo di non riuscire a battere mai, Gianni mi disse: “Tu riuscirai a mettergli la mano davanti”. E dopo poco accadde veramente. Gianni ha sempre creduto molto in me e me lo ha sempre dimostrato. Per me è stato importantissimo ed è il ricordo più bello che ho». Come atleta d’élite fai parte delle Fiamme Oro, un gruppo sportivo che brilla nel nuoto ma anche in molte altre discipline. Ce ne vuoi parlare? «Per me è un onore fare parte delle Fiamme Oro, sono felice e orgoglioso di aver meritato di farne parte. Ci sono entrato da poco, ma quello che ho vissuto fino

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a ora mi ha dato la conferma di ciò che pensavo: un gruppo sportivo che supporta i suoi atleti al cento per cento. Qualsiasi problema non viene trascurato, ogni difficoltà viene analizzata e affrontata insieme, con il supporto della dirigenza. I risultati sportivi di cui può fregiarsi ne sono la testimonianza. Supportano l’atleta, economicamente e come struttura organizzativa e non è una cosa da poco. Ti consentono di allenarti e concentrarti sui tuoi risultati sportivi. Diversamente un atleta farebbe davvero fatica a portare avanti una carriera sportiva a livello internazionale». La tua famiglia: mamma, papà, tuo fratello e tua sorella sono i tuoi primi tifosi. Qual è stato il loro ruolo nel tuo percorso di atleta? «I sacrifici li ho fatti io, ma anche loro ne hanno fatti tantissimi. Quando sono andato a Roma, per inseguire un sogno, di fatto ero a carico loro. Gli allenamenti non mi consentivano di lavorare, se non fosse stato per il loro supporto non ce l’avrei fatta. Di fatto ero un peso, una spesa importante a fronte di nessuna entrata: i miei genitori sono due lavoratori normalissimi, non siamo ricchi. Inoltre, ho una sorella e un fratello, quindi una famiglia di cinque persone di spese ne ha parecchie. C’è stato un momento in cui entrambi cercavano di farmi ragionare sull’ipotesi di smettere. Senza alcuna cattiveria, ma proprio perché le spese erano tante. Loro hanno sempre creduto in me, ma non era una situazione facile

da sostenere. Però, quando abbiamo avuto l’opportunità di valutare di andare a Roma, nessuno dei due è stato contrario, anzi. Mi hanno sostenuto!». La tua fidanzata Giorgia come vive il tuo status di atleta? È un impegno che non lascia molto spazio. «Giorgia è di Roma, nuota anche lei e questo aiuta. Una persona che ti sta vicino fa fatica a capire in che modo vive un atleta se non è nell’ambiente. Mi è di supporto e capisce perfettamente i miei impegni». Vivi a Roma, lontano da casa. Come ti sei adattato e quanto ti pesa o ti piace? «Da qualche mese mi sono spostato al Centro Federale di Ostia e vivo lì. A Roma ho vissuto per tre anni e mi sono trovato sempre bene. Lo stare lontano da casa non mi è mai pesato. Vivevo con un altro nuotatore, Ivano Vendrame, e sono stati anni divertenti. Anche perché facendo lo stesso “mestiere” i ritmi erano i medesimi e quindi le esigenze simili. Ostia, essendo una località di mare, nella stagione meno turistica non è proprio bellissima. Preferivo Roma. Ma avendo la fidanzata che vive lì ho modo di tornarci spesso». Come ti trovi con il tuo nuovo allenatore, Claudio Rossetto? «Ci siamo intesi fin da subito, da quando sono arrivato a Roma. Claudio è un allenatore di grande spessore, ha allenato atleti importanti: Filippo Magnini, Luca


questo tuo percorso di atleta? «Non ho dubbi in merito: Claudio Priamo. Il mio primo allenatore. È stata la persona che mi ha guidato, che mi ha cresciuto. Anche lui ha fatto molti sacrifici per me e se sono l’atleta che sono, lo devo a lui. Lui si è battuto tanto per me, ha sempre creduto in me e vedeva quel qualcosa che ad altri sfuggiva. Se non fosse per lui, non sarei qui ora». Hai un compagno di allenamento ideale? «Onestamente non saprei, mi sono sempre trovato bene con tutti. Sia quando nuotavo al Centro Nuoto Rosà che quando mi sono trasferito a Roma. Cerco sempre di trovare il meglio delle situazioni e delle persone. Fortunatamente non ho bisogno di qualcuno di particolare con cui allenarmi. Ci sono state anche occasioni in cui, per vari motivi, mi dovevo allenare anche da solo».

Dotto, la stessa Federica Pellegrini per un periodo. È molto in gamba nel suo lavoro, ma con noi atleti si pone sempre con fare costruttivo, mai supponente. E non è una cosa scontata quando comunque segui atleti di alto livello e i risultati danno prova della qualità del tuo lavoro». La persona che ha significato di più in

Qual è l’allenamento che proprio non sopporti e quello che preferisci? «È una domanda difficile (ride n.d.r.)! Credo che la differenza non stia tanto nel tipo di allenamento che devo svolgere, bensì nel come mi sento. Se sto bene, mi diverto a fare qualsiasi cosa: aerobia, velocità, di tutto. Ma se non sono in forma, mi pesa tutto». Si è chiusa una parentesi sportiva con questa Olimpiade, ma praticamente se

ne è aperta subito un’altra, quella che culminerà con l’edizione dei Giochi di Parigi 2024. Quali sono i tuoi progetti per il futuro? «Sono abituato a pensare un anno alla volta: non è così scontato qualificarsi ogni anno agli appuntamenti importanti previsti in una determinata stagione. Perciò non faccio programmi a lungo termine. Prima di Parigi 2024 ci sono i Mondiali a maggio 2022 e poi abbiamo gli Europei a Roma ad agosto 2022. Quindi vorrei riuscire a prepararmi bene per qualificarmi a queste due manifestazioni. Ogni stagione ha i suoi obiettivi, ovviamente quello principale sarà l’Olimpiade del 2024, ma voglio procedere step by step». Manuel come atleta è sotto gli occhi di tutti, ma come sei fuori dalla vasca? Quali sono i tuoi hobby? «Mi definirei un ragazzo tranquillo, anche perché la vita dello sportivo non ti da tante alternative. Durante il giorno mi alleno e magari la sera approfitto per vedere qualche amico. Non sono uno che si tira indietro quando c’è da fare festa. Mi piace molto leggere, e ogni tanto mi diverto a fare qualche esperimento in cucina. Guardo anche gli altri sport: il calcio, sono tifoso della Juventus. Credo non ci siano sport che mi annoiano e quando ci sono delle manifestazioni importanti mi diverto a seguirle, e ovviamente a tifare Italia, di qualunque sport si tratti».

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Foto: Comitato Italiano Paralimpico

I NTERVISTA calli n a P a c u L

Questo sport…

CIPiace!

E

GIORGIO VINCENZI

scludendo la prima edizione delle Paralimpiadi svoltasi a Roma nel 1960, la recente edizione di Tokyo è stata per il nostro Paese il più grande successo sportivo di tutti i tempi grazie alle 69 medaglie vinte, di cui 14 d’oro,

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e a un più che positivo nono posto nel medagliere generale. A farla da padrona, in termini di podi conquistati, è stato il nuoto con ben 39 medaglie, ma un altro dato importante che emerge dai Giochi che si sono svolti in Giappone è quello relativo alle discipline che hanno vinto delle medaglie, ben undici: tiro con l’arco, canoa, ciclismo, equitazione,

judo, tiro a segno, tennistavolo, triathlon, scherma, nuoto, atletica. Altro fiore all’occhiello che l’Italia può vantare è il primato, anche se condiviso con la Cina, di un podio interamente azzurro, quello dei 100 metri T63 femminili. Una soddisfazione per gli Azzurri che Luca Pancalli, 57 anni, presidente del Cip (Comitato Italiano Paralimpico, ente che


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Quando iniziai la mia carriera agonistica paralimpica, si parlava di Olimpiadi del Cuore e del Coraggio e si utilizzavano aggettivi che rendevano evidente il sostanziale disinteresse verso lo sport praticato da persone con disabilità.

promuove, disciplina, regola e gestisce le attività sportive agonistiche ed amatoriali per persone disabili sul territorio nazionale n.d.r.) all’indomani della chiusura dei Giochi in Giappone aveva così commentato: “Dopo questi risultati magnifici si riparte come abbiamo sempre fatto, non addormentandoci sugli allori ma sapendo che stiamo giocando una partita

molto lunga e che il risultato deve ancora arrivare, partendo però da più avanti rispetto al passato. Ho ricevuto messaggi da persone che non conosco; siamo contagiosi e questo contagio positivo mi auguro non si spenga dopo lo spegnimento della fiaccola. Su questa fiaccola bisogna costruire un’Italia migliore. Nel nostro Paese ci sono tre milioni di disabili, togliendo gli anziani abbiamo più di un milione di ragazzi da intercettare. Tutto quello che abbiamo fatto a Tokyo mi auguro aiuti a tenere alti i riflettori sui percorsi di politica sportiva e sociale necessari per fare in modo che tra alcuni anni la nostra delegazione non sarà di 115 atleti, ma magari di 300 o 350”. Luca Pancali non è solo l’attuale presidente del Cip, ma è anche un ex atleta paralimpico avendo partecipato a quattro Paralimpiadi (New York 1984, Seul 1988, Barcellona 1992, e Atlanta 1996) vincendo nel nuoto otto medaglie d’oro, sei d’argento e una di bronzo. A queste si devono aggiungere altre otto medaglie d’oro e due d’argento in vari campionati mondiali. È stato inoltre insignito di quattro medaglie d’oro al valore atletico (19851989-1991-1995) di una Stella d’oro e di un Collare d’oro al merito sportivo. Nel maggio 2015, una targa a lui dedicata è stata inserita a Roma nella Walk of Fame dello sport italiano, riservata agli ex-atleti italiani che si sono distinti in campo internazionale. Il 10 dicembre 2011 è stato insignito del Paralympic Order, il più alto

riconoscimento attribuito dall’Ipc (International Paralympic Committee) alle persone che, per la loro opera e il loro lavoro, si sono distinte nel mondo dello sport paralimpico. SportdiPiù magazine lo ha intervistato in esclusiva. Presidente Pancalli, qual è il segreto del successo dello sport paralimpico italiano a Tokyo 2020? «I segreti, se così possiamo definirli, che stanno dietro ad ogni successo – compreso quello in ambito sportivo – a mio avviso sono sempre il lavoro e la programmazione. Il merito di questo risultato va in primo luogo alle associazioni e alle società sportive, alle Federazioni, ai tecnici, ai volontari e a tutti coloro che quotidianamente si sono impegnati per rendere possibile il sogno di tante ragazze e tanti ragazzi. Siamo tutti parte di una grande famiglia che ha l’obiettivo di diffondere lo sport fra le persone disabili e di mettere ciascun individuo nelle condizioni di potersi esprimere al meglio. Una famiglia ricca di passione e competenze, ingredienti che hanno aiutato tanti atleti a raggiungere risultati impensabili fino a qualche anno fa». Due atleti – italiano e straniero – che l’hanno particolarmente emozionato alle Paralimpiadi? «Fare un nome fra i nostri 115 atleti sarebbe un’ingiustizia. Una menzione

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speciale, però, la merita Francesca Porcellato che a Tokyo ha partecipato alla sua undicesima Paralimpiade, vincendo anche uno splendido argento. Con Francesca ho condiviso, da atleta, l’esperienza dei Giochi di Seul del 1988. Era la mia seconda Paralimpiade, la prima per lei. Oggi io ho alle spalle 20 anni di attività di dirigente sportivo, lei è ancora un’atleta formidabile. Anche questa è una bellissima dimostrazione della capacità di resilienza del mondo paralimpico. Per quanto riguarda gli atleti stranieri dico Markus Rehm perché con i suoi formidabili risultati nel salto in lungo ha offerto interessanti spunti di riflessione nell’opinione pubblica su alcuni aspetti tecnici riguardanti le prestazioni sportive degli atleti paralimpici. D’altronde le Paralimpiadi, a mio avviso, non devono solo regalare emozioni ma anche far riflettere». Dal suo mandato di presidente del Cip na-

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zionale quale risultato ambizioso spera di portare a casa? «Sono tanti gli obiettivi che vorrei raggiungere, a partire dal pieno riconoscimento della dignità di un movimento che in questi anni ha contribuito a cambiare la percezione della disabilità nel nostro Paese. Il mio desiderio, inoltre, è che attraverso lo sport si possano sempre più sensibilizzare le istituzioni pubbliche sul riconoscimento del pieno diritto di cittadinanza delle persone con disabilità del nostro Paese. Siamo consapevoli di essere solo una parte del vasto e complesso mondo che si occupa delle disabilità, ma vogliamo dare il nostro piccolo contributo per la crescita civile della società nella quale viviamo». Con tutte le vittorie che lei ha conseguito da atleta - tra campionati europei e mondiali e Paralimpiadi - è stato un simbolo per i giovani mostrando che dalle

difficoltà si può uscire e diventare degli sportivi e poi degli atleti. Dove sta la ricetta per non chiudersi in casa? «Ciascuno di noi può essere fonte d’ispirazione per qualcun altro, a partire dalle azioni che compiamo nella vita di tutti i giorni. Il nostro movimento è pieno di storie di persone che hanno tratto nuove motivazioni da un amico, un conoscente o osservando le gesta di un atleta, in tv o in un campo di gara. La storia delle tre ragazze che hanno tinto d’azzurro il podio dei 100 metri T63, alle Paralimpiadi di Tokyo – Ambra Sabatini, Martina Caironi e Monica Contrafatto – da questo punto di vista è esemplare. Ciascuna di loro ha preso ispirazione dall’altra, in un circolo virtuoso che le ha fatte crescere non solo sportivamente, ma anche umanamente. Lo sport d’altronde è anche questo. È socialità, voglia di condividere un percorso, un’esperienza». Bebe Vio e Alex Zanardi sono i due testimonial in Italia e all’estero del movimento; perché hanno avuto così tanto successo? «Perché con il loro esempio sono riusciti a dare forza e coraggio a tante persone, non solo disabili. La loro energia è contagiosa, le loro parole sono fonte di riflessione soprattutto per tante ragazze e ragazzi alla ricerca di modelli positivi da seguire. Il loro modo di comunicare, poi, ha abbattuto barriere e aperto nuove strade al movimento paralimpico coinvolgendo settori di popolazione che non si erano mai avvicinati al nostro movimento. Oggi sono due icone mondiali non solo paralimpiche, ma dello sport, senza aggettivi». Lo sport paralimpico italiano non è solo Vio e Zanardi… «Alex e Bebe sono la punta dell’iceberg di


un movimento che è fatto di migliaia di ragazze e ragazzi che vivono lo sport con passione e dedizione. L’obiettivo è far sì che le gesta dei grandi campioni possano favorire l’ampliamento della base, ossia della platea di persone che pratica sport. La nostra mission, d’altronde, è diffondere lo sport come straordinario strumento di cultura, di inclusione, benessere e integrazione».

in funzione di una maggiore tutela degli atleti che praticano sport nelle strade pubbliche. Andrea Conti era un grande sportivo, un uomo che come molti di noi, ha vissuto lo sport con passione e generosità. La sua scomparsa lascia un vuoto enorme per il movimento e per il territorio, dove era molto attivo, a partire dalle scuole nelle quali spesso andava per parlare di sport e sicurezza stradale».

Il nuoto è lo sport paralimpico ‘top’ in Italia: quali altre discipline possono ancora crescere e puntare in alto? «Il nostro movimento può contare su tante discipline di successo e in continua crescita. Penso anche alla scherma, al ciclismo, all’atletica leggera, al tiro con l’arco, il basket in carrozzina, il triathlon, il tennistavolo, la canoa, il canottaggio. L’elenco potrebbe continuare ancora a lungo. Ci sono federazioni olimpiche, ad esempio, come la Federvolley, che in poco tempo sono riuscite a creare squadre forti e competitive investendo energie e risorse. Tutte le discipline possono puntare in alto. Il movimento sta vivendo una crescita incredibile in questi ultimi anni. Oggi ci sono le condizioni per fare bene e sempre meglio. Ora puntiamo, con Parigi 2024, ad aprire un nuovo ciclo vincente dopo la Paralimpiade di Tokyo 2020 che ha rappresentato il punto più alto di un percorso cominciato all’inizio degli anni 2000».

Com’è cambiato lo sport paralimpico da quando lei era un atleta? «Completamente. Come nel passaggio dalla tv in bianco e nero a quella a colori. Oggi le atlete e gli atleti possono beneficiare di riflettori e opportunità che un tempo sarebbe stato impossibile anche solo immaginare. Quando iniziai la mia carriera agonistica paralimpica, si parlava di Olimpiadi del Cuore e del Coraggio e si utilizzavano aggettivi che rendevano evidente il sostanziale disinteresse verso lo sport praticato da persone con disabilità. Oggi, grazie anche allo sport e al supporto del mondo dell’informazione, è stata compiuta una vera e propria rivoluzione culturale».

Recentemente a Verona ci ha lasciati a soli 51 anni, a causa di un incidente stradale, Andrea Conti, campione di handbike più volte vincitore del Giro d’Italia. Un suo ricordo di Andrea… «È stato uno shock. Ho sentito il dovere, dopo aver appreso la notizia, di fare un appello pubblico per avviare una riflessione sul tema della sicurezza stradale

La disabilità non è una caratteristica della persona ma è l’ambiente che, con le barriere architettoniche, può rendere tutti disabili: è d’accordo con questa affermazione? «È una delle tante definizioni possibili. Ma penso che le barriere non siano solo quelle fisiche ma anche culturali. Anzi, spesso sono proprio queste ultime a incidere maggiormente sulla vita delle persone disabili. Le barriere architettoniche esistono perché quegli spazi non sono stati pensati a partire dalle necessità delle persone più bisognose. Serve un vero e proprio cambio di paradigma. Non esistono diritti particolari per per-

sone particolari. Solo in questo modo può essere riconosciuto il pieno diritto di cittadinanza per tutti». A tal proposito a che punto siamo in Italia per quanto riguarda barriere architettoniche e accessibilità a impianti e strutture sportive? «Alcuni passi avanti sono stati fatti, ma la strada da compiere è ancora molto lunga». Cosa devono fare le istituzioni per far crescere questo movimento? «Garantire a tutti le stesse opportunità e il riconoscimento di uguali diritti per tutti gli sportivi». C’è ancora tanta differenza tra atleti paralimpici e olimpici? Cosa si può fare per ridurre ulteriormente il gap a livello mediatico e, perché no, economico? «Non credo sia giusto fare continui raffronti fra il movimento olimpico e quello paralimpico che ha i suoi obiettivi, le sue esigenze e la sua autonomia è una componente essenziale della sua dignità. Il Cip sta lavorando per garantire a tutti gli sportivi le condizioni per poter superare gli ostacoli di carattere sociale ed economico che talvolta non consentono loro di raggiungere gli obiettivi sperati. In questa direzione, ad esempio, va quella parte di Riforma dello sport che dal prossimo gennaio consentirà a tanti atleti e atlete di poter accedere ai Gruppi Sportivi dei Corpi Militari e Civili dello Stato, così come avviene a livello olimpico. Un provvedimento epocale che fa parte di quel pacchetto di interventi che abbiamo messo in campo negli ultimi anni per far crescere il movimento e per continuare anche nel prossimo futuro a rappresentare un’eccellenza sportiva a livello internazionale».

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Foto: Vanessa Leonardi

SPO RT LI FE

Amicizia Olimpica Verona Swimmnig Team. I due nuotatori hanno raggiunto dei risultati di assoluto rilievo ai giochi olimpici disputati a Tokyo. Stefano Raimondi, classe 1998, ha conquistato 7 medaglie alle Paralimpiadi, un oro, quattro argenti e due bronzi, risultando l’azzurro più vincente. Thomas Ceccon invece, classe 200, alle Olimpiadi ha conquistato un argento nella 4x100m stile libero e un bronzo nella 4x100m misti. Il docufilm verrà messo in onda su più canali, sarà proiettato a festival ed eventi specifici, con l’obiettivo di raccogliere fondi e aiutare le strutture sportive penalizzate dall’anno e mezzo di chiusura per pandemia. Alla presentazione avvenuta il 27 ottobre in Sala Arazzi del Comune di Verona

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MATTEO VISCIONE

na storia di amicizia, sogni, sacrificio, sport di due ragazzi saliti sul podio dei giochi olimpici a Tokyo. Di questo e molto altro si parla nel docufilm dal titolo 1Storia, 2 Olimpiadi Stefano Raimondi - Thomas Ceccon una strada per due sogni. Ideato da Alessandro Amato e realizzato dal regista Antonio Covato, in 35 minuti di durata il docufilm racconta la storia dei due nuotatori Thomas Ceccon e Stefano Raimondi e del percorso che hanno condiviso per la preparazione delle Olimpiadi (Ceccon) e Paralimpiadi (Raimondi). Stefano e Thomas sono stati seguiti durante il loro giorno-tipo in allenamento, in acqua e fuori, ascoltando anche il racconto della quotidianità di entrambi, uno storytelling riguardante i loro ricordi iniziali, di quando hanno iniziato a nuotare e in che modo si sono avvicinati al mondo dell’acqua, fino a raccontare quali fossero le aspettative di risultato alle Olimpiadi. L’acqua dunque ha abbattuto tutte le barriere, grazie ai due giovani nuotatori

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allenati dai tecnici Alberto Burlina per Ceccon, e Marcello Rigamonti per Raimondi, per un progetto che in tre anni di allenamento ha unito un azzurro normodotato e uno paralimpico nelle corsie del centro federale di Verona intitolato ad Alberto Castagnetti, struttura che ospitato gli allenamenti degli atleti delle società Leosport e

sono intervenuti il sindaco Federico Sboarina, l’assessore allo Sport Filippo Rando, la Delegata FINP Veneto Federazione Italiana Nuoto Paralimpico Sandra Benet, il consigliere di Agsm Aim Francesca Vanzo, gli allenatori Riccardo Venter e Marcello Rigamonti, i nuotatori Stefano Raimondi e Thomas Ceccon, il regista Antonio Covato e l’ideatore del


docufilm Alessandro Amato. “In questo docufilm” – ha affermato il sindaco di Verona Sboarina – “si intrecciano diverse storie: quella personale e sportiva dei due atleti, quella dello sport che ritorna protagonista nella vita di tutti noi, e quella che Verona è chiamata a vivere come città olimpia a tutti gli effetti. Nel 2026, infatti, il nostro anfiteatro non solo ospiterà la cerimonia conclusiva delle Olimpiadi Invernali, ma anche quella di apertura delle Paralimpiadi. Un orgoglio per la nostra città, ma soprattutto un’importante occasione per mettere i due eventi nello stesso piano e dare uguale dignità e prestigio a tutti gli atleti. C’è un filo che accomuna tutti gli atleti, di ogni livello e condizione fisica, è il desiderio e la voglia di superare sè stessi e i propri limiti, come dimostra perfettamente la storia raccontata nel docufilm”. “Presentare un docufilm come questo” – spiega l’assessore allo sport Rando – “non può che far bene al mondo dello sport, per il risultato raggiunto da Stefano e Thomas per Verona e l’Italia, ma soprattutto per i valori che vanno al di là della prestazione sportiva, non solo per l’inclusività ma anche per le possibilità che dà lo sport di superare i propri limiti. Un esempio per i ragazzi e per tante persone che magari in questo momento sono in difficoltà, queste storie sono la dimostrazione che tutti possono farcela”. “Questa storia” – racconta l’ideatore Amato – “è nata circa tre anni fa senza calcoli e in modo naturale. Le necessità dello sport hanno unito le storie dei ragazzi, senza differenze di categorie. Non è stato immaginato dunque un progetto, ma naturalmente l’esigenza di fare un percorso insieme. In un periodo nel quale le piscine erano in difficoltà senza sapere quando riaprire, con pochi sponsor e assistenza, abbiamo deciso di raccontare questa storia con il regista Covato, per mostrare come lo sport possa accomunare tutti, a prescindere dalle categorie e dalle condizioni”.

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Foto: Stefano Raimondi, Giulia Sterzi

COVER STO RY fano Raimondi zi e Ste r e T a li iu G

Acqua,

amore

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e fantasia


siamo al di fuori della piscina. Anche in piscina siamo una coppia ma nell’ambito lavorativo rimaniamo concentrati esclusivamente su quello che dobbiamo fare». Il vostro abbraccio a Tokyo è stato molto bello e spontaneo... Stefano: «Ad essere sinceri ci hanno ripreso un po’ alle spalle: io ero dietro le telecamere che stavo aspettando Giulia perché avevo appena finito. Quell’abbraccio non c’è stato solo quel giorno ma tutti i giorni. Noi ci siamo sempre comportati spontaneamente e non siamo mai andati a cercare le telecamere…». Giulia: «Io quel giorno ho vinto l’oro, poi toccava a lui. L’abbraccio è nato spontaneo. Poi casualmente ci siamo trovati davanti alle telecamere e le immagini sono andate in giro per il mondo…».

ALBERTO CRISTANI E MATTEO ZANON

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ono indiscutibilmente la coppia più vincente delle Paralimpiadi di Tokyo: lui di medaglie ne ha portate a casa 7 (un oro, quattro argenti e due bronzi) mentre lei si è ‘fermata’ a 5 (2 ori, 2 argenti e un bronzo). Due atleti uniti nello sport, ma anche in amore. Giulia Terzi e Stefano Raimondi stanno vivendo il loro magic moment fatto di notorietà, successi, medaglie ma soprattutto di un legame speciale. Un percorso di crescita che ha come obiettivo le Paralimpiadi di Parigi 2024 al termine della quali la loro storia potrebbe arricchirsi di nuovi, importanti capitoli, sportivi e non. Come vi siete conosciuti? Giulia: «Ci siamo conosciuti nel 2019 a un collegiale con la squadra nazionale. In quell’occasione l’obiettivo era prepararsi

per il mondiale. Pian pianino al di fuori dell’ambiente piscina abbiamo cominciato a conoscerci e frequentarci». Vi siete subito visto con occhi diversi? Stefano: «Io l’ho notata subito, Giulia è una ragazza che si nota. Piano, piano ci siamo conosciuti al di fuori dell’ambito sportivo. C’è voluto un po’ di tempo perché non abitavamo vicini quindi tra allenamenti e altro ci vedevamo poco. Poi abbiamo deciso… di metterci insieme!». Giulia: «Qualche mese prima di un campionato italiano, dopo avermi visto in vasca, andò da alcuni miei compagni a chiedere informazioni. Una ragazza venne a riferirmi che Stefano Raimondi aveva chiesto informazioni su di me. Io risposi: “Chi è Stefano Raimondi” (ride n.d.r.)»? Chi ha fatto il primo passo? Stefano: «È stata una cosa reciproca. Ci siamo conosciuti e abbiamo capito come

La notorietà che vi è arrivata dopo Tokyo vi ha cambiato la vita? Giulia: «Assolutamente no, sono la stessa persona di prima! Tokyo mi ha arricchito dal punto di vista dell’esperienza e della consapevolezza in gara. Per il resto non mi è cambiato assolutamente niente. Invece mi auguro che questa attenzione nei nostri confronti possa possa portare tanti bambini, e non solo loro, a conoscere questo fantastico mondo paralimpico. Nella vita di tutti i giorni continuiamo a rimanere concentrati sugli studi, sugli allenamenti. C’è ancora tanto da dare. Vogliamo rimanere concentrati sui nostri obiettivi». Stefano: «Confermo, siamo le stesse persone di sempre. Ci chiedono solamente di scattare qualche foto in più, e questo ci fa piacere. Cerchiamo di essere dei simboli per le nuove generazioni e non personaggi. Sperando che ci ‘usino’ per trovare stimolo e arrivare ai loro obiettivi». Stefano, sei una persona di poche parole: questa storia con Giulia ti ha cambiato? «Si, il suo arrivo mi ha aiutato ad aprirmi e ad esternare le mie emozioni. Sono felice di aver conosciuto Giulia: c’è voluto un po’ di tempo, ma alla fine ho trovato la persona giusta...». Giulia è stato complicato ‘entrare’ nel mondo di Stefano? «Sì, parecchio, proprio per come è fatto lui caratterialmente: alle volte è molto chiuso. Sembra un musone, arrabbiato con il mondo, ma in realtà è una persona chiusa che va solo conosciuta. All’inizio non mi dava tante possibilità di ‘sintonizzarmi’ sulle sue frequenze, ma quando me l’ha permesso ho capito che dietro a questi comportamenti ci sono dietro tante cose.

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Dovrei essere molto più espansivo anche per far capire il mio stato d’animo. Ci sto lavorando e grazie a Giulia ci sto anche riuscendo

Stefano Raimondi

L'abbraccio tra Giulia Terzi e il fidanzato Stefano Raimondi a bordo vasca a Tokyo.

Stefano è nato a Soave (VR) il 1º gennaio 1998). Da sempre grande appassionato di sport, a soli quindici anni, dopo i primi successi nel mondo del nuoto, ha subito un brutto incidente con lo scooter che ha compromesso irrimediabilmente la sua gamba sinistra. Ciononostante non si è perso d'animo ed è ritornato in vasca, grazie anche ai consigli del suo allenatore Marcello Rigamonti. Tesserato per Fiamme Oro e per il Verona Swimming Team, partecipa alla sua prima paralimpiade Tokyo 2020, vincendo la medaglia d'oro nei 100 m rana categoria SB9, argento nella 4x100 m 34 punti stile libero, nei 100 m farfalla S10, nei 100 m dorso S10, nei 200 m misti SM10, bronzo nei 100 m stile libero maschile S10 e nella staffetta 4x100 m misti. Chiude la sua prima paralimpiade con un bottino di sette medaglie totali.

Presidenza della Repubblica

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Stefano mi ha aiutato a capire l’importanza del tempo; saper attendere può essere utile e può rendere più forti

Stefano cosa ti ha colpito di Giulia? «Il suo sorriso e il fatto che riesce sempre a capire e a farsi. Quello che un po’ manca a me. In generale dovrei essere molto più espansivo anche per far capire il mio stato d’animo. Ma ci sto lavorando e grazie a Giulia ci sto anche riuscendo…». Giulia, in cosa ti ha aiutato Stefano? «Stefano è una persona che mi ha aiutato a capire l’importanza del tempo. Io sono fondamentalmente una persona molto istintiva: se decido di fare una cosa voglio farla subito. In realtà non tutto si può fare velocemente perché ci sono situazioni che si devono ponderare e preparare: saper attendere può essere utile e può rende più forti». Negli ultimi anni c’è stata una crescita importante dello sportivo paralimpico anche grazie ad atleti sempre più performanti. Le Olimpiadi di Tokyo sono state la consacrazione o ci sono ancora margini di crescita in questo movimento? Giulia: «Credo ci sia ancora da crescere e da lavorare, non solo per quanto riguarda lo sport paralimpico ma anche negli sport ‘minori’ dei normodotati. Tokyo sicuramente per il riscontro che ha avuto dal punto di vista mediatico e comunicativo è stato un grosso amplificatore per il nostro movimento. Da Tokyo non me ne rendevo conto ma quando sono tornata in Italia me ne sono accorta. Questa cosa è fondamentale non tanto per noi

ma per le generazioni che verranno. Mi auguro che questo riscontro mediatico diventi fondamentale per i bambini e per le famiglie che devono gestire situazioni di disabilità: lo sport deve diventare un momento di riscattato e di inclusione vera e totale». Stefano: «La sensibilizzazione e la promozione della cultura sportiva, compresa quella paralimpica, deve partire dalle scuole primarie. In questo modo si offre un ventaglio di possibilità a tutti i bambini e ragazzi, facendo conoscere e provare varie discipline e non solo quelle classiche. Purtroppo, la scuola dovrebbe dedicare più ore allo sport: con un’ora a settimana si fa davvero poca strada…». Giulia: «Anche le strutture e gli impianti dovrebbero essere attrezzati a questo scopo; ci sono realtà – e non sono poche – che avrebbero le potenzialità per promuovere una vera cultura sportiva ma non hanno strutture adeguate. Stefano: «Purtroppo mancano i fondi e sostegno anche per gli atleti: se uno vuole continuare a nuotare e a fare sport ad alto livello dovrebbe riuscire a mantenersi senza aver bisogno della famiglia. Purtroppo, questo nel mondo paralimpico, non è ancora possibile. Speriamo che con la riforma che entrerà in vigore a gennaio questo possa succedere: o lo sport diventa un lavoro oppure sarà un passatempo. Nel secondo caso però non si può pensare di vincere. Se vuoi vincere ti devi allenare. E noi lo facciamo due, a

volte tre, volte al giorno». Giulia: Sono d’accordo, anche se, nel mio caso il discorso è un po’ diverso visto che sto già lavorando, un lavoro abbastanza flessibile che mi permette di conciliare i miei allenamenti. Ma non tutti possono avere la mia fortuna. Ecco perché, come ha detto Stefano, qualcosa deve cambiare». I tecnici che allenano ragazzi con disabilità devono avere una formazione più completa? Stefano: «In primis devono aver voglia di imparare sul campo e non sui libri. Soprattutto devono prestare molta attenzione alle varie disabilità e ai problemi ad esse legati. Ogni sfaccettatura, oltre a vanificare il risultato sportivo, può creare importanti problemi a livello fisico. Ecco perché un allenatore di atleti paralimpici deve avere maggiore sensibilità e una preparazione più specifica». Giulia: «Purtroppo ho vissuto direttamente sulla mia pelle quello che ha detto Stefano. Adesso ho un allenatore che, oltre a partecipare ai corsi organizzati dalla Federazione, mette in atto quello che ha imparato con passione. Il migliore allenatore paralimpico è quello che riesce ad adattare la tecnica in base alla disabilità dell’atleta. Nella mia squadra ognuno ha la propria disabilità e la propria tecnica: questo ci permette di rendere tutti al meglio».

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La passione dei vostri allenatori è uno stimolo per fare meglio? Giulia: «Assolutamente sì: allenatori e società hanno creduto in me ancora prima che lo facessi io. Un esempio: nella società dove ero prima mi dicevano che, a causa della mia disabilità (Giulia ha placche di titanio in tre quarti della colonna vertebrale n.d.r.) non avrei mai potuto nuotare a delfino. Io volevo provare ma loro non me l’hanno permesso. Nel 2019, quando sono passata nella nuova società, abbiamo iniziato a sperimentare; l’alta preparazione dei miei tecnici, unita al mio impegno, hanno permesso di adattare il mio corpo anche al delfino. E, visti i risultati (bronzo a Tokyo 2020 n.d.r.), direi che abbiamo fatto bene ad insistere…». Stefano: «Devo molto mio allenatore Marcello Rigamonti. È stato lui a notarmi durante un collegiale a Verona. Lui è lungimirante e ha la capacità di vedere il futuro degli atleti. Mi ha sempre aiutato e sostenuto: quello che sono riuscito a fare finora è anche merito suo». Quando smetterete di nuotare vi piacerebbe rimanere in questo mondo, magari con ruoli da tecnici o dirigenziali? Stefano: «Assolutamente sì, soprattutto per aiutare altri ragazzi con difficoltà: se rimani nello sport puoi continuare a dare il tuo contributo mentre se rimani fuori è un po’ più difficile».

Giulia Terzi

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Giulia: «Anche a me piacerebbe continuare a rimanere all’interno dell’ambito sportivo. Lo sport ha sempre fatto parte della mia quotidianità. Ho già provato l’ebrezza di allenare le bimbe a ginnastica artistica ed è bellissimo: vorrei che lo sport rimanesse una costante nella mia vita».

Che futuro vedete insieme? Giulia: «Eh… queste cose non le dico, sono private (ride n.d.r.)! Intanto pensiamo a Parigi e… poi vedremo!» Stefano: «Un futuro insieme sicuramente si. Sul ‘come’ concordo con Giulia: ne parleremo dopo Parigi…».

Giulia è nata a Milano il 14 agosto 1995). La scogliosi congenita rara con coinvolgimento midollare e deficit di forza alle gambe, soprattutto, e alle braccia, non ha impedito a Giulia di affrontare una carriera agonistica nel nuoto. In vasca entra all’età di 5 mesi, ma la sua passione è la ginnastica artistica. Nel 2018 su consiglio del medico e dopo l’ultimo di 3 interventi chirurgici, torna in acqua definitivamente perché non può più alzare pesi. Il suo impegno viene ripagato con 3 medaglie ai Mondiali di Londra 2019 nei quali esordisce nella nazionale di nuoto paralimpica. Tesserata con la Polha Varese e il GS Fiamme Azzurre, ha una laurea in Scienze Politiche indirizzo amministrazione e gestione d’impresa ed è iscritta a Giurisprudenza come seconda laurea. Alle paralimpiadi di Tokyo 2020 Giulia ha vinto oro nei 100 m stile libero S7 e nella Staffetta 4x100m stile libero, argento nei 400 m stile libero S7 e nella Staffetta mista 4x50 m stile libero, bronzo nei 50 m farfalla S7. Chiude la sua prima paralimpiade con un bottino di cinque medaglie totali.


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Foto: Scaligera Basket

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Quanto sei

Grant! T

GIAN PAOLO ZAFFANI appe bruciate, una carriera in rampa di lancio. Ha solo 19 anni ma nel suo bagaglio non mancano esperienze sportive di gran livello. Stiamo parlando di Sasha Mattias Grant, ala della Tezenis Verona; quest’estate, nell’ambiente, di questo colpo di mercato ne parlavano tutti. Sì perché Sasha, a Verona, è arrivato direttamente dal Bayern Monaco. Prima qualche campionato nelle giovanili, poi il passaggio in prima squadra fino all’esordio in Bundesliga e poi in Eurolega, anche da titolare. Ora il presente si chiama Verona. Un nuovo capitolo della giovane carriera, un nuovo presente per crescere e spiccare il volo. Nato in Sardegna, a Dolianova, da mamma sarda e papà anglo-giamaicano, conosce subito il mondo con il trasferimento prima in Svizzera e poi in Inghilterra assieme alla sua famiglia. La Sardegna rappresenta un punto fermo nella sua vita anche perché, all’isola, è particolarmente legato: lì iniziò a giocare a pallacanestro, dopo aver provato il calcio, il rugby, l’hockey. A 12 anni la prima esperienza sul campo da basket; un amore che nasce subito, un amore che diventa viscerale e

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in due anni ecco il primo volo. A notare Sasha Grant ci pensa Reggio Emilia, squadra di Serie A italiana; è il primo salto, il passaggio in un settore giovanile strutturato che può essere una vetrina speciale. A 15 anni arriva una chiamata ancora più importante, quella del Bayern Monaco. “Ho giocato principalmente due anni con il settore giovanile e altrettanti in prima squadra” – continua Sasha – “ho avuto l’occasione di dedicarmi al 100% alla pallacanestro con un anno di anticipo rispetto al programma, avendo finito un anno prima il percorso scolastico”. Racconta la sua esperienza, l’esordio in Eurolega, ma non dimentica da dove è partito: “Il basket mi piace perché è dinamico, perfetto per la mia struttura fisica e per questo mi ha appassionato subito. Le amicizie, le persone che mi sono vicine, mi hanno coinvolto e se sono qui è merito anche loro. Fin dal primo anno mi sono messo in testa di diventare un giocatore professionista. Quando mi chiamò Reggio Emilia, avevo capito che avevo in mano una grande opportunità, avevo davanti a me il primo passo”. L’esperienza in Germania, a Monaco, è stata unica: “Giocare al Bayern Monaco è stato qualcosa di incredibile, un’esperienza che tanti ragazzi sognano di fare”. Tanto lavoro, tante ore in palestra e tanto sacrificio fino a due momenti che Sasha ricorda con grande piacere.


“Il mio debutto in Bundesliga è stato strano. A causa di qualche infortunio mi hanno chiamato in prima squadra, quindi la mattina stessa avevo preso l’aereo per raggiungere la squadra. Proprio quella partita giocai gli ultimi minuti, un’emozione incredibile. Speciale quella in Eurolega. Voglio ricordare il debutto in quintetto contro la Stella Rossa, dopo qualche minuto giocato contro il Khimki Mosca. Sapevo da inizio settimana che dovevo giocare, era come avere un segreto con coach Trinchieri. È stata un’emozione incredibile, da tutta la settimana aspettavo quel momento, non lo dimenticherò mai”. Il passato è archiviato, ora la testa è sul presente e sull’avventura con la Tezenis Verona. Dall’Eurolega alla Serie A2 con un obiettivo ben preciso per un giovane di 19 anni. “A Verona sono venuto per l’ambiente e per coach Ramagli” – ha continuato Grant – “e ho deciso di accettare questa nuova sfida dopo aver parlato con lui, sicuramente mi ha trasmesso tanta fiducia e sincerità. Io apprezzo molto queste cose e lui mi ha detto le cose che gli piacciono del mio gioco e quelle che devo migliorare. Sono venuto a Verona per il percorso di crescita che devo avere e per avere un impatto speciale”. Ora la parola è passata al campo ma Verona ha già trovato un posto speciale nel cuore di Grant: “E’ una città bellissima, è la città dell’amore. Ci sono angoli bellissimi, la parte storica è

davvero incredibile”. Infine, fuori dal campo, Sasha si racconta così: “Fuori dal campo mi piace stare in chill; con amici e compagni di squadra, oppure anche da solo, sto a casa ad imparare a cucinare qualcosa di nuovo. Cucinare un bel piatto mentre ascolti la musica mi piace tanto. Ascolto tanto R&B e musica old school. Ovviamente anche il rap americano, italiano e un po’ di reggaeton. Ho due piatti preferiti: le linguine allo scoglio con i frutti di mare e bottarga oppure le lasagne che fa mia nonna. Devo menzionare anche la bistecca di cavallo alla brace e la curry goat, piatto tradizionale giamaicano. In sintesi sono… un buon gustaio!”

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Foto: Buster Basket

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ANDREA ETRARI

inquantadue anni di storia, 21 squadre iscritte ai vari campionati, 650 praticanti: sono i numeri di Buster Basket, storica società veronese che è ripartita dopo un anno e mezzo di ‘quasi stop’ a causa della pandemia. Presentare Buster Basket significa partire dal 1969 quando è nata la Polisportiva Bruno Gaiga di Santa Lucia, diventata poi Adige 80 all’inizio degli anni ottanta e infine Buster Basket negli anni novanta. Buster Basket ASD non è altro che l’unione di più società: Adige 80, Povegliano Basket, Atletico Borgo Venezia, Basket 88 Castel d’Azzano e EffeBasket femminile Villafranca. “Unire le forze” - racconta il dirigente responsabile di Buster Group Gabriele

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e uster

Zuccher - “voleva dire essere più competitivi non solo tecnicamente ma dare forza ad uno sport di nicchia come il basket. Siamo stati bravi ad abbattere i campanili e devo dare atto al compianto Luciano Bonetti, cui a breve intitoleremo la palestra di Santa Lucia, di essere stato uno dei precursori di questa unione”. Una società molto radicata nel territorio che da qualche hanno è diretta da Nicoletta Caselin, ex giocatrice di serie A (15 campionati nel Famila Schio e 151 presenze Nazionale). “Il basket mi ha dato tante soddisfazion” – spiega Nicoletta – “ho forse più perso che vinto, ma è stata un’esperienza e un privilegio che sto cercando nel mio piccolo di restituire allo sport. La visione dello sport del Buster era molto vicino alla mia, pertanto non è stato difficile accordarmi con la società, anche se all’inizio mi ritenevo non pronta a questo incarico e

avevo deciso di dire no. Sono partita in punta di piedi 5 anni fa ed eccoci qui: i valori sono quelli che ogni volta che un bambino entra in palestra non deve più uscire. Dare al ragazzo la possibilità di fare attività sportiva in un giusto contesto, con l’allenatore giusto, con la squadra giusta, per noi è una bella sfida”. Tra le sfide vinte dalla società è la creazione di Buster Ability, una ‘costola’ di Buster Basket e presiduta da Sandro Bordato che così la presenta: “Buster Ability nasce qualche anno fa quando ero presidente di Buster Basket e volevo far conoscere ai nostri ragazzi il basket in carrozzina. Da lì siamo partiti proponendo la pallacanestro agli “specialmente” abili e quindi oltre al basket in carrozzina abbiamo lavorato con ragazzi con problematiche cognitive ed è stato bello perché nella stessa palestra possono giocare ragazzi


Momenti della presentazione stagione Buster Basket 2021/2022

normodotati e no. Un’esperienza più ai ragazzi normali che agli altri, uno sport inclusivo a 360° e il Buster diventa così uno strumento per fa crescere le persone”. La prima squadra di Buster Basket milita in serie D ed è composta, ovviamente, da cestisti tutti cresciuti nel settore giovanile biancoblù. “La nostra squadra di serie D” – spiega Zuccher – “ci piace chiamarla l’ultima giovanile. Però se all’età di 15-16 anni individuiamo qualcuno che può fare strada in questo sport, lo indirizziamo in società più attrezzate di noi o che fanno della pallacanestro la loro unica attività. Abbiamo così mandato nostri ragazzi a Treviso, a Cremona, in serie A sia maschile che femminile. Inutile tenere un ragazzo per vincere una partita

o un campionato in più, ma preferiamo fargli fare un percorso formativo: siamo i loro primi tifosi e la domenica facciamo chilometri e chilometri per poterli seguire. Ricordo inoltre che, seppure a livello più basso, molte squadre veronesi di C/Silver e D sono infarcite di giocatori usciti dalle nostre giovanili”. La struttura societaria ha raggiunto una dimensione tale che si è dovuto procedere ad un frazionamento, come evudenzia Zuccheri: “Abbiamo dovuto, per opportunità, costituire altre società. Oggi Buster Group ha 5 società, cioè 5 ragioni sociali, 5 direttivi per un totale di 26-27 soggetti che sono coinvolti in prima persona. Buona partecipazione, buona condivisione di responsabilità e obiettivi. Non una struttura che fa capo a una persona: Nicoletta è il volano di

questa struttura e ne siamo orgogliosi”. Il Buster Basket conta un importante settore giovanile. Nicoletta Caselin spiega come sono suddivise le squadre: “Partiamo dai nostri 6 centri minibasket che sono la base della nostra piramide e sono la parte dove dedichiamo la nostra maggiore attenzione. Il nostro settore giovanile comprende 17-18 squadre tra FIP, agonistico, e CSI, settore più amatoriale. Nel femminile continua la nostra evoluzione, mentre per quanto riguarda le squadre senior, oltre alla serie D, abbiamo la prima divisione maschile e la promozione femminile che sono quella continuità che vogliamo dare alle nostre giovanili”. La pandemia ha rallentato giocoforza il reclutamento di nuovi atleti. Ora però si torna a guardare al futuro con ottimismo e con progetti mirati e articolati. ”Entrando nella scuole” – prosegue Caselin – “non soltanto facciamo reclutamento e promozione della nostra attività sportiva ma parliamo anche di alimentazione, di raccolta differenziata e riutilizzo dei materiali, un progetto che abbiamo realizzato in collaborazione con AMIA. Tocchiamo dei temi facendo giocare i bambini con quell’argomento”. Per concludere, capitolo sponsor per il quale Nicoletta Caselin ha le idee chiare: “Oggi le aziende e le istituzioni vogliono qualcosa in più e di diverso. Dobbiamo essere bravi a farlo capire, dobbiamo migliorare e portare avanti i nostri progetti: se Rama, Melegatti o Fondazione Cattolica si fermano davanti a un progetto come il nostro, questo ci dà grande energia e grande forza per idearne altri, come “canestro sospeso”. Siamo riusciti a portare in palestra ragazzi seguiti dai servizi sociali, magari non faremo grandi numeri, ma sono importanti: prima del Covid ne avevamo inseriti una quarantina nelle nostre squadre”.

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Va a Canestro Sospeso il Cangrande 2020

“Siamo più che onorati di aver ricevuto il prestigioso premio Cangrande per il progetto Canestro Sospeso, un traguardo che ci rende orgogliosi e che ci spinge a continuare a lavorare per coinvolgere all’interno di questo progetto ancora più ragazzi!”. Con questo messaggio sulla sua pagina Facebook, il Buster Basket ha condiviso il momento di grande gioia in occasione della consegna del Premio Cangrande 2020, il premio più importante in ambito sportivo che l’amministrazione comunale di Verona consegna all’atleta, al dirigente o alla società che per impegno e risultati si sono distinti nella stagione precedente. Buster Basket è stato premiato per il sociale nello sport e nello specifico per il progetto Canestro Sospeso, programma realizzato in collaborazione con l’Assessorato ai Servizi sociali del Comune di Verona che permette a diversi ragazzi di poter scendere sul parquet assieme ai loro coetanei superando le barriere economiche e sociali. Un progetto di successo che coinvolge privati, fondazioni e imprese.

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BASKET VERONA

Main sponsor:


EVENTO

Foto: Maurilio Boldrini

Vent’anni a ritmo di SAMBA

“L’ MARINA SOAVE

avventura del San Martino Basket inizia - come spesso accade - in maniera del tutto casuale: al termine dell’anno scolastico 2000-2001 viene organizzata la pizza delle classi quinte elementari della scuola Salvo d’Acquisto alla pizzeria Moulin Rouge (di San Michele Extra). Ogni anno la famosa/famigerata pizza di classe suscita sentimenti diversi: per taluni è momento di entusiasmo con partecipazione ‘totale’ di tutta la famiglia (fratellini compresi). Per altri invece (soprattutto per le famiglie numerose) è momento di ‘sconforto’ e di scelte, dove i genitori si giocano a sorte la partecipazione. Nel caso specifico però l’unione ha fatto la forza; infatti alcuni valorosi papà hanno deciso di partecipare e di (provare) a godersi la serata. Tra di loro c’erano gli attuali Presidente e Vicepresidente del San Martino Basket. Al tavolo, con altri amici, tra una chiacchiera e l’altra, si scopre che c’è una passione in comune: la pallacanestro. Molti papà infatti, da giovani, hanno giocato con alterne fortune nei campionati minori.

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I commensali, tra un ricordo e l’altro, convengono che in un paese come San Martino Buon Albergo manca proprio una squadra di basket. La cosa ‘non va bene’ e così viene lanciata l’idea di fondare una società. Uno dei presenti invita al tavolo l’allora Assessore allo sport Umberto Toffalini (anche lui padre di una ragazzina di quinta) il quale assicura un minimo di spazi palestra e aiuto per le pratiche burocratiche. Nell’estate del 2001 viene depositato lo statuto e nasce ufficialmente il San Martino Basket. Si parte quindi! Beh, a dire il vero mancano ‘solamente’ atleti, allenatori, canestri, palloni ecc. Ma la passione è tanta e - passo dopo passo - arriva la prima stagione ufficiale…”.

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Con questa introduzione si apre il libro San Martino Basket Story 20012021 i primi vent’anni del Samba un viaggio nella storia dell’unica società di pallacanestro sanmartinese che lo scorso 8 novembre si è ritrovata al teatro Peroni per festeggiare e rivivere alcuni dei momenti più importanti di questo entusiasmante cammino. A fare gli onori di casa il presidente Roberto Zago che, insieme al direttore di SportdiPiù Magazine Alberto Cristani, ha raccontato con passione ed emozione il ‘suo’ Samba. Una serata che ha riscosso il consenso della numerosa platea presente che ha più volte applaudito gli interventi degli ospiti e i video proiettati. Tra i momenti più emozionanti da citare il ricordo di Ilario Ceschi, uno degli storici fondatori del San Martino Basket scomparso prematuramente, e la storia del piccolo Orlando (nato con una malattia che lo ha portato a trascorrere lunghi periodi in ospedale) che grazie al San Martino Basket e a Roberto Brunamonti (ex play della Virtus Bologna e della Nazionale, il Baggio della pallacanestro italiana n.d.r.) è riuscito a coronare il sogno di giocare a pallacanestro e di farlo insieme ai campioni Azzurri. Durante la serata si è parlato di passato, di presente ma anche di futuro; l’Amministrazione Comunale di San Martino Buon Albergo, per voce del sindaco De Santi, ha confermato la volontà di iniziare i lavori di ampliamento della palestra Pozzan, rendendola più consona e funzionale non solo all’attività della pallacanestro ma anche a quella della pallavolo. Presenti in sala anche il Delegato Coni

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Verona Stefano Gnesato, che ha portato i saluti del Presidente Regionale Dino Ponchio, i vertici della FIP Verona e Veneto, Emanuela Biondani presidente Young Sport & Cultura Community oltre a sponsor, atleti, genitori e ‘semplici’ simpatizzanti. Una serata che ha ulteriormente rafforzato l’unità all’interno di una

società come il San Martino Basket, da vent’anni esempio di passione, appartenenza e sensibilità alle dinamiche sociali del territorio. Un gruppo di amici che, capitanati dal vulcanico presidente Zago, si appresta ad iniziare un 2022 con la freschezza e il dinamismo degli albori, per un futuro sempre… a ritmo di SAMBA!

Per ricevere gratuitamente una copia del libro San Martino Basket Story 2001-2021: I primi vent'anni del SAMBA visitare il sito www.sanmartinobasket.com


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Foto: Maurilio Boldrini BPE - Francesco Grigolini Fotoexpress

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Nicolò Casale premiato dal Comune di Verona con il Cangrande 2021

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ALBERTO CRISTANI

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Da veronese sento una bella responsabilità. ogni volta che scendo in campo con questa maglia, mi mette i brividi e mi spinge a dare ancora di più.

uova stagione per l’Hellas Verona e nuovo prodotto del vivaio gialloblu che si sta mettendo in mostra sull’ambito palcoscenico della serie A. Una costante, ormai, degli ultimi campionati a dimostrazione che anche il settore giovanile è un bacino fondamentale dal quale attingere per portare sempre più in alto la prima squadra. Ventiquattro anni il prossimo San Valentino, Nicolò Casale si sta confermando titolare inamovibile nello scacchiere di mister Tudor. Un meritato premio raggiunto dopo anni di esperienza sui campi di LegaPro e Serie B a (parziale) chiusura di un percorso iniziato nella formazione Under17 dell’Hellas. Con l’impressione che per Nicolò, fresco di rinnovo in gialloblu fino al 2026, il bello debba ancora venire. Nicolò, iniziamo dal 21 agosto, prima di campionato e tuo esordio in serie A con la maglia dell’Hellas: ti aspettavi di iniziare da titolare? Che emozioni hai provato? «Sinceramente no, non me lo aspettavo, ma avevo lavorato duramente per essere pronto per quel momento se si fosse presentata l’occasione». Un esordio figlio di una gavetta iniziata nel 2017 a Perugia e terminata lo scorso anno a Empoli... «Quattro anni lontano da Verona, ma ogni destinazione è stata parte del mio percorso di crescita, in piena sintonia con il DS D’Amico e il Club che per 15 anni di Settore Giovanile è stato la mia casa. Di prestito in prestito il Verona ha

sempre dimostrato di credere in me, prolungandomi il contratto. Il mio obiettivo era tornare all’Hellas una volta raggiunta una certa maturità calcistica per farlo da protagonista, è stato un percorso graduale, ma penso che sia stata la scelta migliore per me, culminato con la promozione in A con l’Empoli della scorsa stagione». Cos’è l’Hellas per te, oltre alla squadra per cui giochi e con la quale hai prolungato il contratto sino al 2026? «Tantissime cose, tantissime persone. Ero sugli spalti da ragazzo, a guardare le partite del Verona al Bentegodi. E oggi sono in campo con la mia squadra del cuore. Da veronese sento una bella responsabilità ogni volta che scendo in campo con questa maglia, mi mette i brividi e mi spinge a dare ancora di più». Che difensore è Nicolò Casale? «Cerco di essere sempre umile e concentrato, partendo dall’applicazione negli allenamenti. Ho voglia di crescere e migliorarmi anno per anno, anzi giorno per giorno. Come caratteristiche, credo di avere una struttura fisica funzionale al calcio muscolare di oggi. Ho imparato a giocare sia in una difesa a tre che in una a quattro. Ma penso di avere ancora margini di crescita, e quindi non mi voglio accontentare». La famiglia quanto ti ha aiutato nella tua crescita professionale? «Moltissimo. L’ultimo anno in Primavera facevo spesso allenamenti doppi, al mattino con la Prima Squadra e al pomeriggio con i miei compagni, e in quella stagione non sono riuscito a concludere le scuole superiori, cosa cui tenevo mol-

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Sei nato a Negrar, in Valpolicella: quanto sei legato al tuo territorio? «Sono nato all’ospedale di Negrar, ma sono originario di Balconi di Pescantina, un vero e proprio feudo del tifo gialloblu e comunque sempre in zona Valpolicella. È uno dei paesi della Provincia che più è legato a questi colori, quindi non posso che esserlo anche io». Valpolicella, terra di grandi vini: che vino è l’Hellas? «Direi un Amarone: 118 anni di storia, ma un fascino e un piacere senza età». E Nicolò Casale? «Un Custoza, ancora giovane e fresco. Con tanta voglia di crescere ancora». Hai un sogno - o più d’uno - nel cassetto? «Il mio più grande sogno era giocare col Verona in Serie A, e l’ho realizzato. Per i prossimi sogni c’è tempo, perché adesso arriva il difficile, e cioè confermarmi a questi livelli».

to. I miei genitori mi hanno capito e supportato, e se oggi sono dove sono lo devo a loro, e so che mi staranno vicino anche quando, prossimamente, porterò a termine gli studi. Mi hanno dato tanta fiducia, e io mi sono sempre promesso di ripagarla. Mio papà, poi, avendo anche giocato a calcio, ha sempre capito i miei sforzi, così come anche mia mamma». C’è un giocatore a cui ti ispiri? «Cerco di imparare e ‘rubare’ qualcosa dai più bravi». Con Tudor l’Hellas è tornato ad impressionare e ad entusiasmare: cosa ha cambiato il nuovo tecnico? «Ci ha trasmesso entusiasmo, fiducia, consapevolezza nei nostri mezzi, autostima, ma ci ha anche sollecitato ad essere agonisticamente più ‘cattivi’ e concreti negli allenamenti e nelle gare. Concetti che ci hanno aiutato molto, al pari di una idea di calcio – quella del mister – che bene si addice alle caratteristiche della squadra e che lui ci ha trasmesso bene». Quest’anno finalmente lo stadio è tornato ad essere... stadio! Quanto vi aiuta la presenza dei tifosi? «Da veronese so bene cosa può dare il Bentegodi alla sua squadra, è stato un fattore in tutte le gare fin qui disputate.

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Mi ha colpito anche il modo in cui i nostri tifosi ci fanno sentire la loro vicinanza fuori casa, è bellissimo giocare con il loro supporto». Quali sono i tuoi hobbies e come impieghi il tuo tempo libero? «Mi piace tenermi occupato. In particolare, in questo periodo, ho chiesto alla mia ragazza – che è laureata in lingue – di darmi una mano con l’inglese. Voglio migliorarmi e fare lezione con lei mi sembra il modo migliore per farlo».

Che anno è stato il 2021 per te? «Umanamente e sportivamente fantastico, uno dei migliori della mia vita. Prima una promozione in Serie A con l’Empoli tanto inaspettata quanto bella, poi questo splendido avvio di stagione con l’Hellas. Non potrei chiedere di più». Un saluto e un augurio agli sportivi veronesi e ai tifosi dell’Hellas in vista del Natale e del nuovo anno... «Spero che ciascun tifoso gialloblu possa passare un periodo di Feste sereno e vicino alle persone che ama. E ovviamente forza Hellas!».



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opo una stagione interrotta ed una stagione mai iniziata, dal 20 ottobre 2021 per Verona Basket sono iniziati i vari campionati: mesi e mesi di solo allenamento, hanno consentito ai ragazzi di mantenere viva la passione, lo spirito di squadra, l’attaccamento alla maglia, ma nulla può essere emozionante e motivante come la partita. Staff e atleti sono stati caparbi, in questi mesi di restrizioni e rigidi protocolli da seguire, nel proseguire attività all’aperto, anche periodi di totale chiusura. Dal termine della precedente stagione, in Verona Basket sono cambiati i componenti lo Staff Tecnico e sono stati inseriti volti noti a tutto il basket veronese. Istruttori esperti, di riconosciute capacità umane e tecniche: Paolo Garnero (Campionato Promozione), Stefano Lunghi (Under 19) e Francesco Benedetti (Under 17) sono i volti nuovi che affiancheranno i riconfermati Marcello Ruffo ed Andrea Vantini, che da più anni seguono il percorso di crescita dei più giovani. Mentre il Settore Basket ha mantenuto il ‘filo’ che unisce tutti i componenti delle squadre (l’attività si è anche svolta all’aperto), il minibasket è quello che ha risentito maggiormente dello stop delle attività che è stato, per loro, molto più lungo causa le restrizioni imposte dalle

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Foto: Verona Basket

VB return

problematiche sanitarie. Verona Basket ha però posto ancor maggior attenzione a questa fondamentale attività di avviamento al gioco-sport ed ora, le tre palestre ove si svolgono i Corsi Minibasket, sono finalmente piene dell’entusiasmante vociare dei giovanissimi, nel frastuono dei palloni che rimbalzano. Gli istruttori stanno cercando di ricreare entusiasmo, gioia di giocare con vecchi e nuovi compagni e, dal mese di novembre, è ripreso il percorso di insegnamento per prepararsi ai primi emozionanti confronti nelle mini partite dei vari

Trofei Minibasket, che avranno inizio nel nuovo anno. Anche nel Settore Minibasket, VB ha inserito nuovi istruttori: Elisa Casagrande e Alberto D’Amelio. Confermati gli istruttori Alessandro Demas, Pietro Vella e Davide Olivieri, a cui si affiancano anche giovani Under, protagonisti delle squadre giovanili, che continuano così la “filiera”: giocatore cresciuto in Verona Basket, istruttore dei più giovani. Il tutto è coordinato dall’indispensabile Segreteria della Responsabile Minibasket, Roberta Vesentin. “Un grazie” – sottolinea il presidente di VB Fabio Celebrano – “va anche all’inesauribile Staff Organizzativo guidato dal Responsabile Dirigenti Luigi Lorenzetti, dal Responsabile Segreteria Francesco Puliero, dai Dirigenti di Squadra Roberto Ceriani ed Enrico Passarini, oltre ad altre importanti persone che ci sostengono con la loro disponibilità. Ringrazio in particolare tutti gli appassionati Sponsor e Partners che, con il loro impegno sostengono, a diverso modo, l’attività di Verona Basket, per poter continuare a dare ai giovani e giovanissimi la possibilità di trovare nella pallacanestro, un gioco, una passione, un impegno per la loro crescita”.


#JUMPINGHIGHERDREAMINGSTRONGER


I NTERVISTA eira v li O e d a ir ie V Raphael

Foto: Foto Raphael Vieira de Oliveira, Verona Volley

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Fondamentale è partecipare e lottare. Ma vincere è ciò a cui tutti puntiamo. È la gratificazione che ci motiva sin da quando abbiamo iniziato a giocare.

O sete das maravilhas 52 / SdP


questo clima. Essere il primo capitano di questa squadra e di questa nuova società è un onore e una felicità molto grande. Spero di aver iniziato una storia bellissima nella pallavolo». Verona ti è anche stata ‘suggerita’ da un tuo quasi omonimo… «Si, è vero! L’ex portiere dell’Hellas Rafael è un mio amico e quando gli ho detto che avevo un’offerta da Verona mi ha detto di accettare subito. Mi ha parlato bene della città e dei veronesi; insomma mi ha detto che non potevo rifiutare!».

ALBERTO CRISTANI E MATTEO ZANON

I

l sorriso gentile e contagioso è il suo biglietto da visita. Poco importa se ha un curriculum ‘da paura’ (per chi non lo conoscesse consigliamo una sbirciata a Wikipedia…) e ha vinto praticamente tutto, ovunque. Raphael Vieira de Oliveira, per tutti semplicemente Rapahel (o Rapha), è uno sportivo che – pur non ‘di primo pelo’ – dimostra che la passione non ha età. Si può amare un pallone da pallavolo come quando si era bambini? È possibile esaltarsi ogni volta che il compagno mette giù una tua alzata? È normale emozionarsi la sera prima della partita? La risposta è sempre e solo ‘si’. Il primo capitano di Verona Volley è lui. E da lui la pallavolo veronese di serie A riparte, con una gran voglia di lottare, stupire, vincere ma soprattutto divertire. Perché Rapha è qui per questo.

Come è nata la possibilità di venire a giocare nel Verona volley? «Ero tornato in Brasile, dopo tanti anni in Italia, per tornare a vivere con la mia famiglia. L’Italia però mi mancava e in fondo al mio cuore speravo di poter ritornare a giocare nel campionato italiano, il più bello e difficile del mondo. Quando sono stato contattato da Verona ho pensato che era la possibilità più bella che mi poteva capitare e quindi ho accettato immediatamente. Conosco Rado Stoytchev, allenatore con cui ho vinto tanto, e altri giocatori quindi sono contento e sicuro di aver fatto la scelta giusta. Quello che mi ha colpito positivamente sin da subito è che nel Verona Volley non solo i giocatori lavorano intensamente ma anche tutti quelli che ci sono dietro le quinte.. Tutti lavorano insieme, tutti soffrono quando perdiamo, sono felici quando vinciamo ed è veramente bello respirare

Per Verona questo campionato non sarà facile, i risultati purtroppo lo dimostrano. Però la squadra c’è, combatte e non molla mai... «Siamo molto dispiaciuti per i risultati non positivi perché scendiamo in campo sempre e solo per vincere però. Stiamo ancora mettendo a punto i meccanismi giusti. Abbiamo una squadra giovane, stiamo imparando a vivere i momenti di pressione che questo campionato ti presenta ogni domenica. La cosa più importante è che la squadra, dopo ogni sconfitta, si mette subito a lavorare con grande determinazione per reagire. Questo è un bel segnale: significa che non ci piace perdere e, soprattutto, sappiamo che solo continuando a lavorare arriveranno anche per noi i momenti belli». E il pubblico, che finalmente è tornato all’AGSM Forum, lo ha capito… «Credo proprio di si. A Verona ci sono venuto spesso da avversario e ho sempre apprezzato la tifoseria gialloblu, molto calda e rumorosa. Per noi è importantissimo avere nuovamente vicino i nostri tifosi: per noi è come giocare in uno in più».

Rapha sei arrivato da pochi mesi a Verona: come ti trovi nella nostra città? «Benissimo! Verona è una città spettacolare. La conoscevo perché quando ero a Trento ci venivo spesso con la famiglia, per fare una passeggiata e per prendere un caffè in centro. Conoscevo piazza Bra e l’Arena, ma adesso che la vivo ogni giorno ho conosciuto posti bellissimi. Verona è una città molto organizzata, sempre pulita. Mi piace lo stile di vita dei veronesi. Poter fare una passeggiata tranquilla con la famiglia, vedere ogni giorno cose belle e storiche mi piace molto. In Brasile ho studiato tanto queste cose e ora vederle e viverle dal vivo è stupendo. Cosa posso dire di più? Io e la mia famiglia ci siamo letteralmente innamorati di Verona».

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tri: lui lavora molto su questo aspetto. È l’allenatore ideale per una squadra giovane che ha ancora tanto da imparare». E la squadra come sta assimilando le sue indicazioni? «Alcuni lo conoscevano già e quindi lo capiscono, altri non conoscendolo fanno un po’ fatica. Il mio ruolo di capitano mi consente di parlare e spiegare alla squadra cosa vuole il mister. Questo per me è molto bello. E comunque Rado sa semprecome farsi capire, con le buone o con le ‘cattive’…».

Raphael con la moglie Ana Paula e i figli Arthur, Vitor e Igor

Rado Stojcev è il comandante di questa squadra e il palazzetto è la sua casa. Tu che lo conosci bene, spiegaci che allenatore è… «È unico. Ho avuto la fortuna di poter lavorare con lui per tanti anni e di aver vinto tanto insieme. Mentre mi preparavo per venire a Verona pensavo che forse l’avrei trovato cambiato rispetto agli anni di Trento, magari più tranquillo, più ‘appagato’. E invece l’ho trovato… peggiorato (ride n.d.r.)! Spinge ancora di più per avere una squadra vincente. Per vincere dobbiamo fare qualcosa di più degli al-

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A 42 anni sei ancora anagraficamente giovane mentre, come atleta, fai parte della categoria ‘vecchietti’; cosa ti spinge ad andare ancora in campo? «Direi soprattutto la passione. Amo la pallavolo, sport che mi ha dato tanto nella vita. Sono fortunato perché non mi sono mai infortunato gravemente e questo mi aiuta. Nel mio ruolo di palleggiatore non ho bisogno di tanta forza ma conta soprattutto l’esperienza. Quello che ora mi motiva di più è la possibilità di insegnare qualcosa ai giovani. Sto capendo qual è il mio ruolo all’interno della squadra, completamente diverso a quello di dieci anni fa. L’età conta ma comunque c’è sempre da imparare». Quanto è cambiata la pallavolo da quando hai iniziato? «Tantissimo. Oggi è uno sport più veloce e con giocatori potenti. Prima era uno sport molto tecnico; ora c’è un po’ meno tecnica ma molta più forza. Avendo fatto parte di questo passaggio di gene-


di diverso per questo sport. Smettere di giocare e non pensare più alla pallavolo per me è inconcepibile. Spero che i miei figli possano giocare a pallavolo in modo da poter rivivere certe emozioni però con loro in campo». Che 2021 è stato per te? «Un 2021 da dimenticare per quanto riguarda la situazione legata al Covid. Nella parte sportiva e della famiglia, un vero e proprio sogno. Non immaginavo di poter tornare in Italia, di poter ancora cercare di costruire una bella storia nella pallavolo, nel campionato più bello del mondo, in una città dove si sta bene. A parte il Covid, per me è stato un anno speciale».

Raphael con la maglia della Nazionale Verdeoro

razione, riesco a vedere questi aspetti. Oltre a questo, c’è maggior differenza nell’uso della tecnologia, strumento che ci permette di avere tempi di recupero più brevi e di allungare, quindi, la nostra carriera». Hai vinto tantissimo e il tuo palmares è pazzesco: vincere nello sport è fondamentale? «Per me lo è. Ovvio che è fondamentale partecipare e lottare, però vincere è quello a cui tutti puntiamo. È la gratificazione che ci motiva sin da quando abbiamo iniziato a giocare. Io penso sempre a vincere: faccio un bagher, un palleggio, un recupero con la mente sempre rivolta a quell’ unico obiettivo». La sconfitta però fa parte del gioco… «Sicuramente. Chi vince ci riesce soprattutto perché ha imparato dalle sconfitte. Una squadra che perde e non si arrabbia non è una buona squadra. Al contrario una squadra che perde, si arrabbia e soprattutto si fa tante domande per capire dove ha sbagliato è sulla strada giusta. Soffrire e imparare dalle sconfitte è la cosa più importante». Cambiamo discorso. Il Brasile è la patria del fútbol bailado: tu per quale squadra tifi? «Flamengo, la squadra con la tifoseria più numerosa e importante del Brasile, formazione dove ha giocato il grande Zico, la nostra bandiera. In Italia tifo Hellas anche se, a dire la verità, ho tifato anche il Milan ma solo perché ha gli stessi colori del Flamengo (ride n.d.r.). Sono andato a vedere la partita Verona-Inter e mi sono divertito e innamorato di Veloso e compagni. Mi piacerebbe tornare al

Bentegodi prima o poi…». Curiosità: perché hai sulle spalle il numero 7? «Avevo 12 anni e in Brasile facevo vari sport come calcio, basket, pallavolo. In quell’anno il Brasile aveva vinto il titolo Olimpico nella pallavolo. Mi sono innamorato di questo sport tant’è che come regalo di Natale ho chiesto ai miei genitori di portarmi a fare un provino di pallavolo a San Paolo. Eravamo in cinquemila e ne passavano solo cinque. Io sono passato e in quell’occasione mi hanno dato il 7, numero che mi ha portato fortuna e dal quale non mi sono mai più separato».

Se fosse possibile, cosa chiederesti al 2022? «Prego ogni giorno che Dio ci dia la salute: con quella possiamo quello che vogliamo. Per quanto riguarda invece l’ambito sportivo-lavorativo vorrei veramente scrivere una bella storia a Verona insieme ad una società dove tutti si impegnano e lavorano con entusiasmo. Sarebbe davvero un bellissimo regalo». Rapha con l'amico Osmany Juantorena

Cosa ti piace fare nel tempo libero? «Stare con la mia famiglia, il centro della mia vita. Quando non mi alleno ne approfitto anche per passeggiare per Verona e stare con i bambini, con i quali mi piace giocare e guardare film. Stare con loro e con mia moglie è la gioia più grande». C’è la possibilità che tu rimanga a vivere a Verona? «Con mia moglie e i miei tre figli (italiani n.d.r.) stiamo pensano seriamente di rimanere a vivere a Verona. Spero di prendere la cittadinanza tra qualche anno e di riuscire a portare in Italia qualche familiare dal Brasile: sarebbe ancora più bello restare qui». Cosa farai quando smetterai di giocare? «Mi piacerebbe rimanere nel mondo della pallavolo. Fare l’allenatore? No, non fa per me. Però un ruolo dirigenziale credo potrebbe starci. È da trent’anni anni che mi sveglio ogni giorno pensando di migliorare, di vincere e di fare qualcosa

Rapha con l'indimenticato campione brasiliano Zico

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I NTERVISTA reðsson f ll a H il m E

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ALBERTO CRISTANI

l soprannome Ghiaccio Bollente affibbiatogli dai tifosi dell’Hellas Verona è la migliore esemplificazione del suo valore, non solo per quanto riguarda le sue performance in campo. Emil Hallfreðsson, islandese doc – ma

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Foto: Virtus Verona, Maurilio Boldrini, SportdiPiù Magazine

veronese di adozione – è quel tipo di giocatore che ogni allenatore vorrebbe allenare, ogni giocatore vorrebbe al suo fianco e ogni tifoso vorrebbe avere nella sua squadra del cuore. Con la maglia gialloblu è passato dall’inferno della serie C al paradiso delle serie A, al termine di una cavalcata entusiasmante. Dopo sei stagioni e 175 presenze

(impreziosite da 7 gol) Hallfreðsson si trasferisce all’Udinese dove, anche causa infortuni, non riesce ad esprimersi al meglio. Terminata la parentesi friulana (inframezzata da un mordi-e-fuggi a Frosinone), Emil torna in Veneto e precisamente a Padova dove ritrova il suo allenatore ‘del cuore’ Andrea Mandorlini. La mancata, e sotto alcuni


Ghiaccio Bollente per Fresco ❛❛

A fine carriera potrei anche fare l’allenatore; mi piace stare con i giovani, dargli una mano, un consiglio. Adesso però sono concentrato solo sul giocare.

versi clamorosa, promozione in serie B ha spinto la dirigenza patavina ad attuare una mezza rivoluzione con relativa rivisitazione del progetto sportivo. Progetto nel quale l’ex nazionale islandese, non ha trovato più spazio. E così, dopo un periodo di ‘limbo’ e di allenamenti in solitaria, arriva la proposta della Virtus di Gigi Fresco. Emil accetta. Il resto è storia recente. Emil, alla fine, gira e rigira, sei ritornato a Verona… «A dire il vero ci ero già tornato lo scorso anno; giocavo a Padova ma avevo deciso di vivere qui. Sinceramente non pensavo di tornare A Verona per giocare. Ero convinto di rimanere a Padova: lo scorso anno abbiamo fatto bene e pensavo di essere confermato. Però hanno avuto altre idee ma non c’è problema. Io ho dato il massimo per loro, ho fatto così per qualsiasi squadra con cui ho giocato. Quest’estate con la mia famiglia abbiamo deciso di rimanere in città per un altro anno anche perché qui, i nostri bambini

vanno a scuola. Così mi tenevo in forma con il Sant’Ambrogio in attesa di capire cosa potesse succedere. Poi un giorno mi ha chiamato Gigi, chiedendomi se potevo dare una mano alla Virtus. Avevo altre richieste ma non volevo più spostarmi da qui; avrei cambiato squadra solamente per un progetto di un certo tipo». Come stai? «Fisicamente sto bene, mi diverto ancora a giocare. Quando sono arrivato alla Virtus erano quattro mesi che non facevo una partita ufficiale. Dopo pochi allenamenti ne ho fatte tre in una settimana! Giocare aiuta a trovare la forma miglioree quindi posso solo migliorare. La testa e la voglia ci sono ancora e questo è la cosa più importante». Cosa sapevi della Virtus e del presidentemister Fresco? «Ad essere sincero non conoscevo molto la Virtus: avevo sentito parlare di Gigi Fresco, una persona che all’interno della società fa praticamente tutto. Ad una persona che ha portato una squadra di quartiere fino alla serie C non puoi dire no. Mi sono subito integrato nella squadra. I ragazzi sono tutti bravi, giovani e tutto lo staff è preparato. Qui è come essere in famiglia: è una realtà diversa rispetto a quelle che ho vissuto precedentemente. Qui sto bene». Che squadra è la Virtus 2021/2022 e quali obiettivi può raggiungere? «Senza dubbio l’obiettivo di quest’anno sarà ancora arrivare ai playoff. Per quanto riguarda la squadra devo dire che ho trovato molti giovani bravi, forti. Io posso dare una mano a tutti questi ragazzi ed aiutarli a crescere. Posso dare equilibrio in campo e nello spogliatoio.

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Fresco però vuole andare in B entro cinque anni… «Perché no? Si può fare. Io ne avrò 42 anni: va bene! (ride n.d.r)» Nel frattempo il ‘tuo’ Hellas sta volando… «È vero. Sebbene abbia avuto un inizio difficile, con l’arrivo di Tudor hanno trovato la quadratura e ora sta andando benissimo. Sono contento per la società, per la squadra e per i tifosi. Speriamo davvero che continuino così. Con l’Hellas sono stato promosso dalla serie C alla serie A. Abbiamo fatto una grande impresa…». Poi però sei andato ad Udine… «A Verona avevo fatto bene, addirittura concluso una stagione con 14-15 assist. Quando l’Udinese si è fatta sotto ho deciso con la mia famiglia di provare un’altra esperienza. Ho pensato fosse la cosa migliore per me e anche per l’Hellas. Sei anni con l’Hellas non si dimenticano, eravamo tutti d’accordo: io, il direttore e la società. A Udine ho trovato una società organizzatissima. Lì sono rimasto 3 anni e mezzo. Il mio unico sbaglio è stato quello di andare al Frosinone: avevo ancora due anni di

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contratto ad Udine, potevo restare. A Frosinone non mi sono trovato bene, non era il mio ambiente. Inoltre mi sono fatto male al ginocchio. Così ho rescisso il contratto a gennaio 2019. È stato allora che l’Udinese, dopo l’operazione, mi ha richiamato, offrendomi assistenza e supporto nella rieducazione. Un gesto non dovuto, bellissimo. Da veri signori. Sono guarito e a fine stagione riuscii anche a giocare le ultime tre partite di campionato, segnando pure un gol. Con loro ho ancora un bellissimo rapporto, a loro dirò per sempre grazie». L’Udinese però a fine campionato 2018-2019 non ti ha riconfermato. Ed è così che ti sei ritrovato a Padova con Mandorlini… «Mandorlini è l’allenatore con il quale ho legato di più, con lui ho trascorso tanti anni. Abbiamo vinto tante partite insieme, sono stati anni importanti con lui ho sempre giocato mezz’ala. A Verona abitava nell’appartamento sopra di me. Quando si perdeva, aspettavo sempre ad andare al campo per non incrociarlo sulle scale (ride n.d.r.). Con il mister ho sempre avuto un ottimo rapporto. A Padova siamo stati davvero vicini a

vincere ancora qualcosa di importante. Avevamo un bel vantaggio in classifica ma il calcio dimostra che può sempre succedere di tutto. Avevamo fatto 79 punti, avevamo fatto più gol di tutti e presi meno di tutti. Ma non è bastato. Siamo andati ai playoff, siamo arrivati alla finale e, sebbene avessimo dominato nei tempi regolamentari, l’abbiamo persa ai rigori. Si vede che doveva andare così. Fa parte di quelle strane regole non scritte del calcio. Pazienza». Hai già in mente cosa farai quando smetterai di giocare? «No, ora come ora non so proprio dirti cosa farò; dipende da quello che succederà. Certo, le opportunità non arrivano per caso, le devi cercare. E così farò. Mi piacerebbe rimanere nel mondo del calcio anche se con mia moglie abbiamo un’azienda che fa import-export di prodotti italiani in Islanda e, devo dire, sta andando molto bene. Quello sta diventando un lavoro, anche se attualmente lo gestisce totalmente mia moglie. Potrei anche fare l’allenatore; mi piace stare con i giovani, dargli una mano, un consiglio. Adesso però sono concentrato sul giocare. Se poi riuscirò


Hai amici nel mondo del calcio? «Instaurare rapporti di amicizia veri nel mondo del calcio non è semplice perché c’è tanta competizione. Io però tre amici veri li ho conosciuti; sono Juanito Gomez, Vangelis Moras e Jorginho. Con loro ho condiviso tanto in campo e altrettanto fuori dal campo. Ci sentiamo spesso e appena possibile ci si incontra con le famiglie». Gli avversari che ti hanno fatto più ‘penare’? «Quando con l’Hellas giocavamo contro la Juventus mi impressionava Pogba, giocatore davvero fortissimo. E poi c’è l’extraterrestre Messi: ci ho giocato contro con la Nazionale ai Mondiali del 2018. Pareggiammo 1-1 e, nonostante non avesse disputato una delle sue migliori partite, fu quasi immarcabile. Ricorderò sempre quella gara». Messi o Ronaldo? «Sono due fenomeni ma personalmente preferisco Messi». I giocatori più forti con cui hai giocato a Verona? «Toni e Jorginho sono due giocatori che mi hanno lasciato il segno: il primo segnò tantissimo nonostante fosse a fine carriera, il secondo, sebbene ancora giovane, si intuiva sarebbe diventato un campione. Ah, per me Jorginho è da pallone d’oro: ha vinto tutto. Se lo merita».

Emil insieme alla moglie Ása María e ai piccoli Emanuel e Andrea Alexa

a trovare un’opportunità interessante a Verona deciderò insieme alla mia famiglia con la quale condivido sempre ogni cosa». L’Italia ti ha stregato, ma l’Islanda è la tua terra: cosa porteresti dell’una nell’altra e viceversa? «Dall’Italia porterei in Islanda il tempo, le temperature, il sole e il buon cibo. Ma anche la qualità della vita: qui è più easy, si vive più tranquilli. In Islanda sono tutti in competizione. Ogni tanto dico ai miei amici islandesi: “State tranquilli, dovete godervi la vita”. Ma non mi ascoltano. Dall’Islanda invece porterei in Italia l’acqua calda e pulita. E un po’ di natura». Cosa fai nel tempo libero? «Nel tempo libero dedico tanto tempo alla mia attività di import-export

insieme a mia moglie. È un passatempolavoro piacevole. Poi mi piace molto stare con i bambini: mio figlio gioca nella la scuola calcio dell’Hellas. Mi piace portarlo all’allenamento e rimanere a guardarlo mentre gioca. Tempo libero per me significa stare con la famiglia». Hai parlato prima di cibo: c’è un piatto veronese che ti piace in particolare? «Adoro il risotto all’amarone: è fantastico!». Vino o birra? «Io bevo sempre un buon bicchiere, mi piace in particolare il vino rosso. La birra non mi fa impazzire, ma non ditelo in Islanda...».

Che 2022 sarà per Emil Hallfreðsson? Sportivamente mi immagino un 2022 con la Virtus ai playoff. Fuori dal campo spero che la mia famiglia continui a stare bene qui a Verona. E che la salute non ci manchi mai. Per quanto riguarda il mio futuro professionale non so cosa dire… Ti vedi ancora con la maglia della Virtus? Intanto vediamo come finirà questo campionato e poi deciderò. E comunque: perché no?

Emil insieme al 'suo' allenatore Andrea Mandorlini

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Foto: Fondazione Sport City

SPO RT LI FE

media partner ufficiale

magazine

2021 ‘ok’ per la Fondazione Sport City

È

ALBERTO CRISTANI

stato un 2021 di crescita esponenziale e di importanti iniziative quello che la Fondazione Sport City sta per archiviare con grande soddisfazione. La Fondazione, presieduta da Fabio Pagliara, nata nel 2020 in periodo post lockdown Covid, si propone come risposta civica all’urgente necessità di studiare percorsi sportivi e culturali in grado di impattare sul benessere delle città e sulla qualità di vita dei cittadini, nonché di progettare interventi di rigenerazione urbana a carattere sportivo, capaci di valorizzare elementi quali tecnologia e sostenibilità, i due grandi alleati dello sport di domani. Fondazione SportCity vuole promuovere lo sport come volano per lo

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sviluppo delle città, favorendo la realizzazione di politiche pubbliche inclusive, sostenibili, eque. Fondazione SportCity sostiene la valorizzazione dei luoghi sportivi nelle città, operando anche per la riqualificazione degli spazi urbani e mettendo a disposizione le proprie competenze e relazioni per favorire uno sviluppo del territorio a 360 gradi attraverso lo sport. Tra le iniziative più importanti del 2021 c’è SportCity Day, laboratorio indipendente di idee e progetti per lo sport nelle città, svoltosi lo scorso 19 settembre in 18 città italiane, dal nord al sud. L’evento – svoltosi con il, patrocinio di CONI, CIP, Sport e Salute, Istituto per il Credito Sportivo, Rai per il Sociale, e la media partnership di Rai Sport, Corriere dello Sport, Il Foglio Sportivo, Sport di Più Magazine, l’Atleta e Sport & Impianti – ha

fatto registrare grande interesse e diffusione mediatica. “L’idea di SportCity Day nasce dalla volontà e l’esigenza di festeggiare una rivoluzione dolce che sta migliorando il nostro Paese, rendendo più felici i cittadini” – spiega il presidente Pagliara – individuando l’obiettivo concreto di promuovere iniziative per trasformare le Città attraverso la pratica sportiva. E per questo serve una collaborazione totale con i decisori politici. Praticare sport nelle città italiane, recuperando l’incredibile bellezza dei luoghi, è una delle più grandi sfide e delle più belle opportunità da cogliere in questo momento per migliorare le condizioni di vita dei cittadini. I numeri di SportCity Day 2021 sono un’importante punto di partenza in vista delle prossime edizioni“.


SPORTdiPIÙ magazine

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Foto: Traorè Beh Alassane

SPO RT LI FE Arnold sul ring durante il match con il bosniaco Dragan Dragujevic, seguito all'angolo dal maestro Cristian Castellacci

L’esordio di

Arnold

E

LUCA TRAMONTIN sordio da professionista di:

· · · ·

un immigrato; un atleta della Pugilistica Rodigina; una persona corretta sul ring e fuori; uno che potrebbe lamentarsi dalla mattina alla sera e non lo fa mai; · un attore/atleta di SPORT CRIME stagione 1; · un attore/atleta di SPORT CRIME stagione 2; · un tizio che adesso tutti applaudono ma all’inizio hanno allenato in pochi; · un musulmano osservante e rispettoso degli altri al punto di scherzare sul salame E ha anche vinto. In pratica Arnold (ovviamente un soprannome, il suo nome vero è Traoré Beh Alassane n.d.r.) ha negato ogni possibilità

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di trovare un difetto alla giornata del 31 ottobre al Salone del grano di Rovigo. Sarebbe troppo facile salire in barca (come ha fatto lui per lasciarsi alle spalle la guerra civile in Costa d’Avorio), urlare a favore di un tipo di integrazione, dei nostri sport e del nostro Veneto, meglio ‘fare un giro’ virtuale e sottolineare quello che non è stato palese e trionfante in uno scenario atletico, umano e di fair play da portare a eterno vanto. Parlerei anche di un fight team bosniaco che ha portato atleti fortissimi, colore, agonismo e disponibilità a fare gli straordinari, mi riferisco a varie parti di fiction che (visto che non c’era niente da fare...) sono state richieste ed eseguite con un senso di squadra e di sport che insegna. Corretto, dicevamo: pronto a scusarsi sinceramente e non solo tatticamente quando ha colpito basso, umile nella strategia di attesa e attacco e soprattutto tifoso dei suoi compagni di team quando sul ring c’erano gli altri. Netta abolizione delle origini, dei livelli, di tutto quello che divide. Mi sbilancio a favore di una specie di

razzismo contributivo: credo sia da discriminare chi scrocca, chi approfitta, chi potrebbe contribuire e non lo fa. So a cosa vado incontro. La vittoria di Arnold ha e avrà un ricasco locale, lavora, paga le tasse, se guadagnerà abbastanza da vivere di boxe restituirà al suo club. Per il momento paga tasse, aiuta, contribuisce. Al suo esordio a bordo ring c’era anche un regista di documentari e fiction, che ha investito soldi e tempo appena saputa (solo qualche giorno prima, al bar) la storia di Arnold. Cristiano Castellacci, Enrico Pizzardo e Carlo Brancalion, da maestri attenti ai loro atleti, ma anche all’atmosfera circostante e a tutto quello che può portare visibilità sana alla società, hanno spiegato ai loro ragazzi che stava lavorando anche lui (si chiama Andrea Sartori) e che quindi avrebbe fatto parte della squadra quotidiana. Sartori ha chiuso la sua prima giornata di boxe sudato e stremato, lo «mandavamo» dalle fasciature ai giudici, dall’incontro


Chi è Arnold?

vero alla fiction. E alla fine, quando aveva tutto il diritto di volare via (come fa il 99% degli operatori tele-cinema), ha voluto fermarsi per assorbire meglio l’esperienza. Ovviamente a cena c’erano anche gli avversari, e – stravaccati nella storica

palestra di Viale Trieste 143 della Pugilistica Rodigina - anche atleti che si erano presi a legnate poche ore prima. A noi sembra naturale, pensa se tutto il mondo sapesse confinare le ostilità in quel modo. Un fisico e un viso da cinema – come del

resto Efe Osamwonyi, l’altro afrorovigoto che Arnold e tutto il team ha tifato – spiegando quanto la boxe sia uno sport di squadra che ne manda in campo solo uno alla volta. Eppure quando gli chiedi di rifare una scena ringrazia, con l’accento afro-veneto.

Nome: Traoré Beh Alassane Data di nascita: 13 agosto 1992 Luogo di nascita: Abidjan (Costa d’Avorio) Altezza: 182 cm Peso: 79 kg Hassan è il quarto fratello di sei: 5 maschi e una femmina. A 23 anni decide di venire in Italia per cercare una nuova strada e aiutare la famiglia (la mamma Djara e il papà Chiaka, oltre ai fratelli). Quando arriva a Rovigo trova subito un lavoro: partecipa alla raccolta di pere, mele, aglio... Si ricorda bene la fatica di intere giornate fuori nei campi dalle sei del mattino alle sei di sera raggiungendo in bici il posto di lavoro. Hassan non ha la macchina: si sposta sempre in bici, qualsiasi sia il meteo e qualsiasi sia la distanza da percorrere. Appena arrivato a Rovigo trascorre due anni in Cooperativa: prima in Galleria Balotti e poi sul Corso del Popolo fino al 2019. La vita in cooperativa non è facile. Si deve adattare a tante regole e a spazi personali ristretti: condivide la casa con tanti ragazzi provenienti dai vari stati dell’Africa come Nigeria e Gambia. All’inizio Hassan non conosce l’italiano: frequenta la scuola serale CPIA per imparare la lingua e potersi integrare al meglio. Conosce la Pugilistica Rodigina per caso, grazie a un ragazzo della cooperativa che lo porta a provare. Arnold si interessava già alla boxe, seguiva gli incontri del suo pugile preferito Mike Tyson ma ha sempre giocato a calcio, come i suoi fratelli. L’amore per la boxe è cresciuto piano piano, allenamento dopo allenamento, fino a portarlo dove è ora. La palestra di Viale Trieste 143 è diventata per lui una seconda casa. I maestri sono riusciti, grazie ai loro valori e ai valori della Noble Art, a creare un clima di aiuto e sostegno reciproco, dove tutti sono accolti e accettati. Hassan riesce a costruire rapporti importanti che coltiva anche al di fuori della palestra, sia con gli atleti che con i maestri. Grazie a Cristiano Castellacci trova anche lavoro e ora fa l’elettricista in un’impresa edile. Hassan è accolto da tutti come parte della famiglia, non solo della grande famiglia che è la Pugilistica ma anche le singole famiglie fuori dalle 16 corde.

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Foto: Lessinia Legend

I NTERVISTA ndani io B e id v a D

San Martino entra nella Legend

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JACOPO PELLEGRINI

avide Biondani, sportivo, triatleta e presidente della XC Verona è l’organizzatore della 23^ edizione della Lessinia Legend, storica manifestazione di Mountain Bike che, il 14 maggio 2021 partirà dalla nuova location a San Martino Buon Albergo. Con Davide abbiamo parlato di questo evento molto conosciuto e atteso a livello nazionale (e non solo) da tutti i bikers, focalizzandoci sulle novità che ci riserverà l’edizione 2022. Davide, innanzitutto raccontaci cos’è la Lessinia Legend? «La Lessinia Legend è una manifestazione di Mountain Bike nata nel 1999 ed è particolare perché è un marathon, ovvero una manifestazione sportiva fuori strada che supera i 60 km. È sicuramente un punto di riferimento sia per la MTB

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veronese che a livello nazionale visto i numeri che ha fatto nel passato; è stata infatti la gara più lunga d’Italia per parecchi anni. Poi ha avuto un momento di ‘calo’ ma sono convinto che tornerà ai vecchi fasti: di marathon che superano i 90 chilometri in Italia ce ne sono veramente poche. Anzi, pensandoci bene, credo non ce ne sia nessuna tranne la Legend...». L’edizione 2022 partirà da San Martino Buon Albergo: perché questo cambio di location? «La Lessinia Legend è sempre stata un po’ itinerante: è partita da Verona, poi per necessità organizzative si è spostata prima a Velo Veronese, dove si è svolta per 4 anni, e poi a Bosco Chiesanuova. Diciamo che la prossima edizione torna un po’ alle origini partendo nelle vicinanze di Verona. Un motivo particolare

per questo ‘ritorno’ non c’è. San Martino offre molti servizi e soprattutto una comodità a livello logistico. Sia chiaro i servizi venivano forniti anche a Bosco Chiesanuova, ma mancava una location come il centro sportivo che può vantare San Martino. Inoltre il vantaggio della vicinanza al casello autostradale di Verona Est è senz’altro un plus notevole.”


Avete già una stima approssimativa del numero di iscritti che parteciperanno alla Lessinia Legend? «Le iscrizioni saranno aperte fino al raggiungimento dei 1200 atleti. Noi puntiamo alle 1000 presenze, anche se causa Covid e i due anni di stop della manifestazione non ci agevoleranno. Tuttavia sappiamo che si tratta di un evento molto seguito e stiamo lavorando per valorizzarlo sia a Verona ma soprattutto fuori provincia e Regione».

certezze al momento non ne abbiamo da questo punto di vista. Stiamo inoltre cercando, insieme alla Federazione Ciclistica Italiana e il Comitato Regionale, di portare la Nazionale Italiana; se dovesse andare in porto questa operazione sarebbe una cosa bellissima e un valore aggiunto. Sapremo qualcosa con più certezza verso gennaio o febbraio. Altre novità sono in cantiere ma è prematuro anticiparle».

Dove si possono trovare aggiornamenti per le iscrizioni e info utili? «Le iscrizioni, aperte dall’ 1 dicembre, si possono effettuare collegandosi al nostro sito www.lessinialegendbike.it Sul sito si possono trovare inoltre tutte le indicazioni e le informazioni per conoscere i dettagli della gara. Inoltre abbiamo la pagina Facebook @lessinialegend sulla quale pubblicheremo foto, video e curiosità per un evento che, lo ricordo, è stata definita tra le dieci più belle e caratteristiche granfondo a livello mondiale. Importante infine ricordare il supporto organizzativo che ci verrà fornito dalla Young Sport & Cultura Community di San Martino Buon Albergo, consorzio di società sportive del territorio samartinese presieduta da Emanuela Biondani».

Per info e iscrizioni: www.lessinialegendbike.it oppure www.youngsportculturacommunity.it

Qualche anticipazione sui percorsi? «I percorsi che offriamo sono due: l’Extreme di oltre 90 chilometri e il Classic, una granfondo classica di circa 43 km. I percorsi sono già tracciati anche se non ancora definiti, ma in linea di massima ci siamo. L’Extreme arriva ad un’altitudine massima di 1570 metri e sfiorando i 3300 metri di dislivello positivo. Il Classic, come dislivello, si ferma a ‘solo’ con 1300 metri». Novità rispetto agli eventi passati? «In primis il percorso sarà praticamente nuovo visto che toccheremo, forse, solo il 20% dei percorsi vecchi. C’è l’idea di portare qualche bel nome a correre a Verona e ci stiamo muovendo per questo, ma di

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Foto: Fulvio Valbusa

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Il lupo è il lupo e non è mai cambiato per piacere agli altri o alla società da protagonista a ben cinque Giochi Olimpici Invernali come fondista. In questa intervista Fulvio Bubo Valbusa ci spiega perché il lupo sia il suo alter ego. E viceversa.

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JACOPO PELLEGRINI

n lupo che ama sciare non s’era mai visto. Eppure c’è sempre una prima volta. Come il lupo, anche Fulvio Valbusa è cresciuto nel bosco, anzi a Bosco. Il lupo e Fulvio hanno molto in comune: come il lupo che segue la preda anche Fulvio ha sempre inseguito i propri obiettivi che lo hanno portato a partecipare

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Fulvio, come e quando è nata la tua passione per lo sci di fondo? «È nata a Bosco Chiesanuova, dove la tradizione dello sci di fondo è sempre stata molto alta. A scuola i compagni mi indirizzarono verso questa disciplina perché sport di fatica, da veri ‘duri’. Così è nata la passione della mia vita, un lungo ed entusiasmante cammino che ho percorso fino a 37 anni». Nel 1992, a soli 23 anni, hai partecipato ai tuoi primi Giochi Olimpici Invernali…

«Credo che per ogni atleta già arrivare ad un’Olimpiade sia un sogno e un traguardo. Per me a 23 anni è stata un’emozione immensa: erano i tempi di De Zolt, Vanzetta e Albarello. Trovarmi a partecipare ad un’Olimpiade al fianco di questi grandissimi fondisti italiani, che fino a qualche mese prima erano stati degli idoli, è stato sicuramente un traguardo importantissimo». Delle tue cinque presenze ai Giochi Olimpici Invernali quale ricordi con più piacere? «Sono state tutte bellissime, ogni Olimpiade mi ha lasciato qualcosa, non potrei dimenticarne una. L’Olimpiade di Albertville nel 1992 è stata la prima e quindi impossibile da dimenticare. La seconda Lillehammer in Norvegia, nel 1994, andammo a battere i padroni


di casa nella staffetta. La staffetta era la gara per antonomasia per i norvegesi. Il Birkebeineren Stadium era full in ogni ordine di posto. Loro erano i favoriti, dovevano vincere. E invece li abbiamo battuti! Nonostante la sconfitta migliaia di tifosi norvegesi, tornando dallo stadio verso la città, si inchinavano di fronte al campeggio dei tifosi italiani e applaudivano. A Nagano nel 1998 è stata l’Olimpiade dove sono stato più competitivo; avevo 30 anni ed ero all’apice della mia condizione fisica. Quell’anno raccolsi un argento nella staffetta e tre quinti posti in gare individuali. A Salt Lake City nel 2002 è stata forse la mia Olimpiade più opaca: corsi con delle piastre nella tibia e perone che mi ruppi l’estate prima. Un’Olimpiade di transizione. L’ultima è stata quella di Torino nel 2006: volevamo fare bella figura e i norvegesi volevano renderci il ‘favore’ di Lillehammer. Avevamo una squadra forte, fuori dal normale. Il secondo posto sarebbe stata una sconfitta. Dovevamo dimostrare a noi e agli italiani che quella gara sarebbe stata nostra. E così fu: portammo a casa un oro bellissimo!». Come vedi il presente e il futuro dello sci di fondo in Italia? «Sono sempre stato sincero a riguardo: purtroppo l’atleta moderno in Italia vuole guadagno e notorietà in poco tempo. Nello sci di fondo questo non c’è. Come tanti altri sport devi farti un mazzo così e lavorare tantissimo. La notorietà arriva solo ad altissimi livelli. Di conseguenza il presente dello sci di fondo italiano lo abbiamo solo con due atleti: Pellegrino e De Fabiani. Per

il futuro siamo molto lontani: stiamo vivendo un periodo veramente opaco. Quello che forse più di tutto manca è la squadra. I due ragazzi citati prima hanno deciso di allenarsi con la Russia in vista delle Olimpiadi, con l’approvazione della nostra Federazione. Per me si tratta di una scelta inconcepibile. Bisognerebbe farsi un esame di coscienza. Io auguro tanto bene al movimento, ma qualcosa deve cambiare». Lo scorso 30 settembre è uscito il tuo primo libro dal titolo Randagio, realizzato in collaborazione con la scrittrice Serena Marchi: cosa ci puoi raccontare a riguardo? «In Randagio è scritta la mia storia a 360 gradi: dura, cruda e vera. Questa biografia è nata per liberarmi da tanti pesi e, visto il risultato, penso di esserci riuscito. Il libro è stato scritto

in simbiosi con Serena Marchi la quale è dovuta ‘entrare in Fulvio, scrivendo con le sue mani ma ragionando come se fosse me. Non è stato per nulla semplice per Serena ma alla fine ha messo giù 250 pagine incredibili. È un libro che racconta la storia di uno sportivo, ma di cronaca sportiva c’è poco, non più di 40-50 pagine. Poi si parla della mia passione per il lupo, animale straordinario e molto discusso. Il lupo si comporta così da quando è nato. Lui non cambia. È la razza umana che cambia ed è cambiata nei secoli, adattandosi ad ambiente e società. Per questo motivo il lupo mi ha affascinato e mi ha portato a seguirlo, viverlo e respirarlo. Il lupo è il lupo: non è mai cambiato per piacere agli altri o alla società; dovremmo tenerlo a mente quando parliamo di lui e, spesso, lo condanniamo…».

La staffetta italiana di fondo oro a Torino 2006

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Foto: Luca Rigoli

I NTERVISTA ldi Luca Rigo

Luca Bum-Bum

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ANDEA LUZI

l Veneto si conferma una regione che sforna talenti sportivi sempre più ad alto livello e con Luca Rigoldi ci sono tutti i presupposti per leggere l’ennesimo post del governatore Zaia intitolato ‘Orgoglio veneto’. Vicentino classe 1993, debutta nel 2015 nella categoria professionisti dopo essere diventato campione regionale e conquistato più titoli sul ring.

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Siamo riusciti ad incontrare Luca prima dei prossimi impegni autunnali in vista dell’incontro per il titolo europeo. Una semplice chiacchierata che ci ha permesso di entrare nella mentalità di un pugile professionista, aiutandoci a rapportare soft skills allo stile di vita quotidiano. Luca, a che età hai iniziato a boxare e cosa ti ha spinto ad entrare in questo mondo? «È stata una casualità, quando avevo a 14 anni. Prima di allora ho avuto

modo di provare anche altri sport come atletica, karate e come gran parte dei ragazzini anche il calcio dove tra l’altro sono riuscito ad avere dei buoni risultati. Ma nello sport – e a quel tempo anche a scuola – tendevo ad essere un leader, forse perché nel mio subconscio sentivo il bisogno di dimostrare qualcosa. Mi sono quindi avvicinato alla boxe, uno sport affascinante ed allo stesso tempo una prova importante che mi ha permesso di capire quanto fisico e testa riescano a reggere a determinate tensioni».


Per un genitore non deve essere stato facile accettare questa scelta. «Subito non l’hanno presa benissimo. Mio papà che sperava in un futuro da calciatore alla fine ha però capito che potevo comunque avere delle opportunità per emergere. Pensa che oggi lavora con mansioni di segreteria all’interno della palestra. Con mia mamma invece è stata fatta una promessa mai mantenuta, quella di non combattere almeno fino ai 18 anni. Anche lei alla fine ha ceduto prendendo atto che la cosa poteva essere una valvola di sfogo per il mio temperamento». Quando sali sul ring non hai paura di farti male? «Secondo me il rischio di farsi realmente male nella boxe è minore rispetto ad altri sport. Pensa ad esempio al calcio. Un infortunio sul campo può portarti a diversi mesi di stop con uno strappo al polpaccio o magari un tendine rotto… Sul ring gli infortuni sono meno seri, per quanto sai già che la prima cosa che ti si rompe è il naso (sorride n.d.r.)». Che obiettivi ti sei dati per i prossimi anni? «La boxe è uno sport dove non si matura mai troppo presto. L’apice lo raggiungi tra i 30 e 35 anni, sia a livello fisico che mentale. Per ora l’unico obiettivo è riprendermi il titolo europeo. Rappresenta un passaggio fondamentale e voglio dimostrare che non sono finito con ancora tanti successi da raggiungere. Poi vedremo, ho altre cose in cantiere come attività legate al sociale e formazione a livello aziendale (Luca - per quanto professionista collabora – collabora come trainer e formatore in

diverse aziende sfruttando l’intersezione tra sport e business. Alcune metodologie sono ad esempio una corretta lettura delle situazioni lavorative rapportate ai propri atteggiamenti ed obiettivi e la continua ricerca di stimoli n.d.r.)». Cosa diresti ad un giovane per convincerlo ad entrare in questo mondo? «È uno sport che consiglio a tutti, anche se prevede un percorso lungo. Non è semplicemente un colpire un sacco o mettere ko un avversario. Oggi vogliamo tutto subito, ma fare uno sport del genere non è come fare un ordine su Amazon. Serve tempo e costanza con risultati che arrivano solo se rimani sempre sul pezzo. È uno dei concetti che propongo alle aziende quando lavoro con le soft skills. Anzi, ne approfitto per dare un consiglio alle mamme. Tolta la leva, il pugilato potrebbe essere un ottimo strumento per responsabilizzare e formare un giovane.

Ogni volta che sali sul ring sai che in quel momento non dimostri solo agli altri cosa sai fare ma in primis a te stesso. Per non parlare dei timidi o di chi ha un problema relazionale. Con la boxe queste persone riescono a far emergere il proprio carattere e diventare più sicuri». Negli ultimi anni si è affermato molto il Krav Maga e Muai Thai, forse seguendo anche la moda del momento. Cosa risponderesti a chi dice che la boxe è un old style? «Il pugilato è uno sport olimpico che ancora fa girare parecchi milioni in giro per il mondo. Certo le cifre non saranno come quelle del calcio ma fare un paragone con altri sport da combattimento sarebbe come confrontare calcio e calcetto, simili tra loro ma ognuno con le proprie caratteristiche». Sul ring sei un leone: ti è mai capitato di trovarti in situazioni difficili o particolari con il rischio di dover usare le mani? «Ci sono state occasioni, non lo nego ma è uno sport che ti insegna ad essere riflessivo. Impari a gestire emozioni, situazioni ed azioni; Se devi dimostrare qualcosa, la dimostri sul ring, in contesti importanti e differenti». Luca si è dimostrato un professionista dentro e fuori il ring. Dovremmo un po’ tutti guardare a questo sport come una disciplina in grado di insegnare concetti di vita quotidiana come il rispetto delle regole, il coraggio di affrontare determinate situazioni e la determinazione nel raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati.

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I NTERVISTA ucchi C a e r d n A

The boss of Point-7

“G ANDREA LUZI

li avvocati non fanno surf” si citava nel film Point Break, eppure basta frequentare qualche spot dell’alto Garda per rendersi conto che tra gli amanti del vento ci sono medici, impiegati, commessi, operai, ragazzini, pensionati e, perché no, anche avvocati. Ognuno con la propria identità e storia personale ma tutti legati da una passione comune, il windsurf. Provate a chiedere ad un surfista cosa lo spinga ad alzarsi alle 4.00 del mattino per entrare in acqua alle prime luci dell’alba, surfare qualche ora per poi tornare di corsa al lavoro o in famiglia. La risposta vi sorprenderebbe e solo chi è rimasto ‘vittima’ di questa passione sa che basta un’uscita sulla propria tavola per aver stampato il sorriso sul volto tutto il giorno. Il windsurf ha da sempre suscitato un

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grande fascino e basta percorrere la gardesana in una qualsiasi giornata ventosa per poter ammirare centinaia di vele colorate che solcano le fredde acque lacustri. Ma un occhio più attento non può non aver notato la presenza di vele scure, nere come la pece. Sono quelle di Point-7, azienda italiana fondata e gestita da Andrea Cucchi, atleta di fama internazionale. Nato a Milano, vissuto in Malesia dai 9 ai 14 anni e tornato in Italia è un figlio d’arte. Padre surfista, fin dall’età di 6 anni trascorre le sue vacanze estive sul lago di Garda, location che lo vedrà lavorare anni dopo all’interno di un negozio sportivo a Malcesine per poter surfare nella pausa pranzo. Arrivato secondo nel campionato italiano juniores viene preso dal centro sportivo della Marina Militare, trampolino di lancio per primi sponsor e gare internazionali. Consolidata la presenza nei circuiti

mondiali, dopo 17 anni di gare, 11 coppe del mondo, 13 titoli italiani e 2 mondiali, nel 2005 fonda Point-7 con l’idea di rilanciare sul mercato un concetto nuovo di windsurf, un nuovo brand e contendente in grado di competere con i leader di mercato e le prime classifiche del PWA. Presenza stabile negli spot dell’alto Garda, siamo riusciti a scambiare due parole con Andrea prima del Defi Wind. Andrea, per non cadere nelle solite domande di come è nato il brand o il perché del colore nero, andiamo più sul concreto. A differenza di altri player, Poin-7 oggi non presenta a catalogo una propria linea di tavole. Scelta strategica o magari in un futuro possiamo aspettarci anche questo tipo di business? «Molti marchi hanno pensato di fare un marchio di tavole per offrire un pacchetto completo ai clienti. Il cliente sceglie il marchio perchè gli piace e non perchè è un pacchetto. Quindi non


Foto: Andrea Cucchi

abbiamo mai sentito la necessità di dover forzare nell’offrire anche le tavole per vendere le vele. Inoltre, credo che ognuno abbia il suo lavoro, ed il nostro è di essere specializzati esclusivamente nel rig. Molti pensano che se sviluppi una tavola ed una vela insieme funzionano poi meglio, ma non è così. Una buona vela o una buona tavola funziona su qualsiasi tavola o vela. È solo questione di posizionare il piedino nel punto giusto. Dal 2022 abbiamo invece iniziato a collaborare con Aurelio Verdi che è stato shaper storico di tavole per marchi leader nel settore, e grazie alla sua esperienza da pochi anni ha creato un suo marchio, AV-Boards. Con AVBoards partecipiamo alla distribuzione e sviluppo». Qualche anteprima e indiscrezione per la prossima stagione? «Quest’anno siamo usciti con una gamma di foil, i Black Bullet. Ci siamo affidati all’esperienza dei designer di F4,

leader nel mondo foil, per garantire ai nostri clienti il massimo delle prestazioni e ultimissime tecnologie. Sono tra i migliori al mondo e con loro abbiamo fatto il nostro marchio. Con il nostro Point-7 Black Team facciamo lo sviluppo in acqua e F4 ci garantisce le modifiche e produzione. Da quest’anno saranno prodotti in Europa. Usciremo anche con l’ala per lo sport del Wing, leggermente in ritardo rispetto ad altri marchi, ma la ragione è stata semplice: saranno anche questi prodotti in Europa. Stiamo sempre di più cercando di produrre vicino casa per avere il massimo controllo, qualità e velocità di consegna. Non per niente anche i nostri alberi e piedini sono fatti in Italia. Per i Wing abbiamo formato una squadra dedicata al progetto. Saranno brandizzati sempre Black Bullet per rimanere sulla linea foil. Spesso si vuole fare tutto e alla fine ci si perde, o non si riesce a stare al passo con l’ultima tecnologia con tutti i prodotti; per evitare questo, per ogni prodotto ci siamo organizzati con collaboratori e squadre di specialisti per assicurare prodotti esclusivi ed unici ogni anno. Ci sono tantissimi piccoli progetti per il 2022 sia a livello di dettagli sul prodotto che di linee nuove. Questo mese stiamo presentando la nuova linea AC-1 Speed, che è la vela che userà Twan Verseput, anzi che sta usando proprio in questi giorni, per battere il record di velocità nel canale di Luderiz in Namibia. Vediamo se riesce a toccare i 54 nodi, o superare i 100 all’ora». Tuo papà Roberto è la figura che ti ha aperto le porte a questo mondo supportando anche la nascita di Point-7: che rapporto hai con lui e che ruolo ha oggi all’interno dell’azienda? «Mio papà è un appassionato di Windsurf. Venivamo al Garda da

Milano, e poi anche dalla Malesia quando i miei si sono trasferiti per lavoro. Aveva una bella compagnia di amici tutti surfisti e passavamo dei bei fine settimana sul lago. Io ho iniziato a 14 anni, ed all’inizio non mi piaceva perchè preferivo andare in bici con gli amici, ma poi fare windsurf è diventato la mia vita e la bici un hobby sotto i 5 nodi. I miei mi hanno supportato all’inizio nelle prime regate, lasciandomi la libertà e possibilità di poter scegliere di fare il professionista, e poi quando sentivo la possibilità di poter fare un marchio di windsurf diverso da quelli esistenti, mi hanno nuovamente dato un supporto enorme sia a livello economico che lavorativo nello stabilizzare l’azienda e marchio. Mio padre in Point-7 ha sempre gestito la parte finanziaria e non solo, e non si è tirato indietro nello scaricare container e fare spedizioni all’inizio, quando in pochi dovevamo fare tutto. Ad oggi è stata una bella avventura piena di duro lavoro, grandi sacrifici ma soprattutto soddisfazioni. Mia sorella tre anni fa ha preso in mano la parte che gestiva mio padre, e grazie anche tutta la nostra splendida squadra che lavora dietro alle quinte di Point-7 abbiamo 40 distributori in giro per il mondo, ed abbiamo vinto mondiali in tutte le discipline. Ora mio padre è il vero presidente di Point-7 ed è sempre pronto a consigliarci». Prossimi impegni? «Fine mese abbiamo l’evento Defi Wind. È una regata dove normalmente 1500 persone partecipano ad una gara di Long distance di 4 giorni. Si fanno 4 bordi da 13km partendo tutti insieme, ed il primo vince. Si fanno anche tre prove al giorno e si sommano i punteggi di tutte le gare. Nel 2014 l’ho vinta e più volte ho fatto secondo e top 5. Quest’edizione

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è speciale, infatti la chiamano Defi Wind Super Star, perchè 100 sono già qualificati alle finali, e altri 200 dovranno qualificarsi. Le finali saranno molto radicali, e non si tratta di 50km a gara, ma saranno anche molti di più con percorsi più estremi. Tutto sempre a Gruissan in Francia dove la tramontana spinge anche fino a 60 nodi. È un evento che si potrebbe portare a Malcesine, con incluso una bella fiera di Windsurf, magari fuori stagione, ma anche qui mi piacerebbe avere Malcesine con energia nel volerla organizzarla perchè crede in un ritorno d’immagine, in un ritorno economico, e non perchè sono l’unico a spingere per avere un evento del genere. A metà novembre, ci sarà la tappa di PWA, coppa del mondo, a Marsiglia ma non parteciperò, ma andrò a dare supporto alla squadra: poi vediamo quando sono lì!». Gardesano ormai a tutti gli effetti sei una presenza stabile a Malcesine. Qualche suggerimento per una miglior gestione del comprensorio gardesano nei confronti di chi pratica il windsurf? L’impressione è che ancora si veda il surfista come quello che toglie parcheggio, non consuma, dorme in auto… «Sicuramente c’è anche quello che dorme in auto perchè lo spirito libero ha sempre circondato il lifestyle del nostro sport, ma è anche vero che dormono dentro a camper e furgoni che costano come miniappartamenti. Quest’anno il parcheggio dove si esce in windsurf al dire il vero, era più pieno di gente che non faceva windsurf ma approfittava coi camper gli spazi non riservati a loro, per risparmiare la vacanza in campeggio più cara. Infatti, qualche scena di guerra tra questi e surfisti che cercavano disperatamente un posto per entrare in acqua con i camperisti c’è stato la mattina. Poi se vogliamo vedere, un surfista spende dai 2mila ai 10 mila euro in attrezzatura all’anno. Veste l’uniforme da surfista, spende ogni fine settimana per recarsi sullo spot, come dicevo prima con un mezzo spesso grande per portarsi dietro l’attrezzatura, e spesso viaggia più volte all’anno in luoghi esotici per seguire il sogno della surfata perfetta. Tutto questo con spesso dietro la famiglia. Se fate la somma, la maggior parte dei surfisti è gente con un bel potere economico perchè solo per fare windsurf spende 20mila euro l’anno. Dorme in macchina e non consuma? Sono persone anche abituate ad un certo tipo di comodità e servizi. Se i servizi non gli vengono dati o non esistono, il

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posto può essere ventoso quanto volete, ma non si presentano e vanno dove servizi gli vengono dati. Girando il mondo vedo certe strutture per surfisti che sono cinque stelle. Abituato a quello, difficile pensare di fare una surfata in un parcheggio che non ha neanche un cestino per buttare una carta. La lista di cose da fare sono molte, e quando qualcuno del comune vorrà parlarne sarò sempre disponibile, ma se devo essere io ad andarlo a cercare vuol dire che per primi non hanno interesse. Sono stati presentati progetti, ci abbiamo provato in passato e capendo come funziona abbiamo capito che c’è un muro. Malcesine ha abbastanza benessere così, quindi non sentono il bisogno di fare di più. È un peccato che le manifestazioni del paese più note sono le sagre e fuochi d’artificio, quando si potrebbero fare degli eventi sportivi importanti che non sarebbero spese, ma porterebbero guadagni. La Fraglia Vela Malcesine, fa un ottimo lavoro per la vela e per la squadra agonistica della classe windsurf tecno, dove si portano a casa tantissimi titoli. Bravi». Il mondo del windsurf sta cambiando. Siamo passati dai primi tavoloni a tavole sempre più corte per arrivare a foil e Wing. Necessità o moda? «Un mix di entrambi. Necessità di planare e praticare lo sport in pochissimo vento grazie al foil, e praticità nel trasporto grazie a prodotti più compatti. L’importante è offrire più prodotti per tutti per facilitare il divertimento in acqua. Personalmente guardo meno la praticità del trasporto, e uso ciò che mi fa divertire di più in acqua, altrimenti si gode a metà. Il windsurf è bello perchè

è vario, e rispetto ai surrogati rimane quello più tecnico e che non si smette mai di imparare. Un’eterna sfida». Com’è la convivenza tra tutte queste discipline sul Garda? «Tra Windsurf e Wing non vedo problemi, il Kite in acqua è più ingombrante da avere in torno per via dei cavi lunghi e se ce ne sono troppi, bisogna stare con le antenne alzate perché non tutti conoscono le regole e spesso fanno manovre senza guardarsi intorno atterrando addosso ad altri. Comunque, il Garda è grande abbastanza e basta che ognuno impari le regole ed abbia rispetto per gli altri e problemi non ce ne sono. Le spiagge e regole gardesane danno limiti naturali che rende tutto più semplice». Possibile che ti vedremo tra qualche anno con un Kite o Wing? «Personalmente no. Mi piace troppo fare windsurf, ma soprattutto ho troppo materiale da sviluppare già per questo sport col fatto che si può praticare dai 5 ai 50nodi, e questo non dà spazio né tempo per poter fare uno sport alternativo nel vento. Se si vuole essere vincenti bisogna concentrarsi su una cosa. È già molto difficile solo fare windsurf col fatto che offre tantissime discipline tra wave, freestyle, slalom, foil. Sviluppiamo in totale 14 linee di vele con più di 5 misure di vela per linea, oltre ai vari componenti. Non per niente come dicevo prima, ci siamo concentrati sul rig, e per fare le tavole, foil e adesso il Wing, abbiamo creato in Point-7 dei team e collaborazioni di professionisti che si dedicano al 100% sul design e test di queste discipline per poter offrire prodotti unici ed esclusivi».


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Posture da gelo

I

GIULIO GIACOMELLI

nverno, stagione molto dibattuta per le sue caratteristiche giornate di gelo grazie alle quali però si posso praticare innumerevoli attività sportive. Molte persone per effetto del freddo sviluppano un istinto rettiliano che le porta ad assumere delle posture di difesa e protezione che possono portare facilmente a tensioni muscolari ed articolari che vedremo in seguito. L’evoluzione tecnologica che stiamo vivendo è molto più veloce di quella del genere umano. Se ci vogliono solo sei mesi per essere “giurassici” sorpassati nel mondo dell’informatica ci vogliono milioni di anni per osservare

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una evoluzione significativa nell’essere umano. Capite bene come sia difficile per il nostro corpo adattarsi così velocemente ai cambiamenti. Il cervello umano è suddiviso in rettiliano, limbico e neocervello. Il rettiliano è il più antico e deputato agli istinti, alle pulsioni ed all’aggressività. Il libico che ha un ruolo fondamentale per le reazioni emotive ed i processi di memoria. Il neocervello è il più giovane e creativo per la ricerca di idee nuove e creatività. Quindi, dopo questa breve filogenesi, possiamo capire come il nostro corpo si atteggi ancora come facevano i primitivi quando sentivano freddo. La classica postura a spalle alte e chiusura in avanti per proteggersi da vento

e basse temperatura poteva essere utile quando ancora non esistevano gli indumenti attuali. Oggi possiamo contare su materiali e tessuti che combinati fra loro ci proteggono come una seconda pelle senza farci percepire minimamente l’umidità o le basse temperature. In ogni caso ci basta solo sentire la punta del naso congelata o le mani fredde per metterci nella posizione “anti congelamento”. La contrazione muscolare di muscoli fasici (muscoli strutturati per il movimento a differenza dei muscoli tonici addetti alla statica) porta a contratture e blocchi articolari se mantenuta a lungo nel tempo. Trapezio, scaleni, deltoidi, pettorali e tutti i muscoli del collo e della bocca si contraggono mantenendo


quella posizione per lungo tempo ma ingiustificatamente. Il perpetuarsi di queste posture accentua tutte le problematiche già esistenti in ognuno di noi, basti pensare a stress, inibizioni lavorative o familiari o sociali ed alla difficoltà nella respirazione. Già la consapevolezza del fatto che si possa sopperire alla mancanza di una pelliccia naturale come quella degli altri animali senza dover alzare le spalle si riesce a diminuire notevolmente l’instaurarsi di tensioni e problematiche come torcicollo, cefalee miotensive, formicolio alle braccia/mani e perché no anche d’effetto cardiaco e respiratorio. Controllare quindi la postura delle spalle, soprattutto in questo periodo dell’anno, è molto importante visto che il freddo

associato alla risposta istintiva del nostro cervello rettiliano tende a creare un atteggiamento ormai sorpassato grazie alla tecnologia degli indumenti. Augurandovi una buona stagione invernale ricca di soddisfazioni sportive vi lascio con un piccolo accorgimento che vi può aiutare ogni giorno a combattere contro questo istinto: “Dove sono le mie spalle?” Fatevi questa domanda più volte al giorno e vedrete che la maggior parte delle volte la risposta sarà: “Attaccate alle orecchie!” Se così fosse non dovete far altro che prenderne atto ed abbassarle consapevolmente rilassando la muscolatura. Meno tensioni più soddisfazioni! Buona vita a tutti.

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I NTERVISTA onis Fabrizio N

❛❛

Sportivamente

Bekér

ALBERTO CRISTANI E MATTEO ZANON

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he la carne sia la sua grande passione non è un segreto. Ma Fabrizio Nonis non è semplicemente ‘ciccia e barbecue’; la sua abilità nella scelta e nella cottura dei diversi e particolari tagli deriva da una conoscenza e da una cultura sviluppata negli anni. Figlio d’arte, padre macellaio, nonno pizzicagnolo, Fabrizio, dopo gli studi superiori in Italia, ritorna in Canada (Paese dove è nato il 9 maggio 1963 n.d.r.) per un master in pubbliche relazioni aziendali. Dopo qualche anno di esperienza come manager in aziende, Fabrizio, alla fine degli anni Ottanta, ritorna alla sua grande passione che sin da piccolo lo ha sempre accompagnato: il lavoro in macelleria. Da quel momento grazie a studio, ricerca e innovazione – senza mai tralasciare la tradizione – Fabrizio ha ‘mixato’ l’arte della macelleria alla comunicazione al fine di abbinare e valorizzare al meglio cotture e materie prime. Il resto è storia recente: studi (è docente presso l’Università dei Sapori di Perugia n.d.r.) trasmissioni, eventi, manifestazioni lo hanno fatto entrare di diritto nel gotha degli ambasciatori del gusto Made in Italy. In questa intervista a SportdiPiù Magazine Fabrizio ci racconta come è diventato il Becher più famoso d’Italia tra aneddoti, ricordi e sport, l’altra sua grande passione.

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Fabrizio, la tua passione per la carne nasce nella macelleria di tuo papà che tu, ad un certo punto, hai ‘rivoluzionato’ grazie anche al viaggio andata e ritorno Canada-Veneto… «Sicuramente il fatto di essere nato ma soprattutto di essere tornato a studiare in una nazione come il Canada, nota per essere multiglobal e multivision, mi ha aperto la visione su quello che era il futuro nel mondo della macelleria. Le prime macellerie e gastronomie veramente d’avanguardia le ho viste nei grandi megastore di Toronto. Si parla degli anni 1986 e 1987 quando in Italia non c’era ancora questa mentalità. Loro erano avanti un 10-15 anni. Il Canada ha una popolazione multietnica e presentava un’offerta gastronomica legata soprattutto alla carne che andava in direzione multiculturale e multireligiosa. Questo mi ha permesso di arricchire il mio bagaglio culturare e di tornare in Italia con idee innovative». Nelle tue trasmissioni, nei tuoi libri e durante le tue iniziative non insegni solamente a scegliere e a cucinare la carne ma consigli e proponi un consumo consapevole e attento… «Sì, cerco di dare delle indicazioni per un consumo consapevole perché ho grande senso di rispetto per la mia professione e soprattutto per il sacrificio degli animali affinché risulti valorizzato al massimo. Questo è l’unico modo per guardare in maniera ecosostenibile e reale, senza fantasticare, su quello che sarà il futuro.

Invece di mangiare le ‘solite’ bistecche mangiamo anche altri tagli; in questo modo possiamo ridurre il numero di capi macellati e apprezzare di più la carne

Un bene come la carne sarà sempre consumato e bisogna fare in modo che diventi un bene a basso impatto ecologico». Meglio una bistecca in meno ma di qualità: ci sta come affermazione? «Direi meglio un buon pezzo di carne in meno ma di qualità. Invece di mangiare le ‘solite’ bistecche mangiamo anche altri tagli come muscolo, guancia, tasto, spalla anteriore. In questo modo possiamo ridurre il numero di capi macellati e apprezzare di più la carne, soprattutto se è di qualità».


Foto: Fabrizio Nonis

Cosa significa essere bekèr? (bekèr in dialetto veneto e in lingua friulana significa macellaio n.d.r.) «Significa avere la passione innata per la macellazione. Si nasce bekèr, si nasce macellai. Si tratta di un lavoro che deve essere amato fino in fondo. Solo così si può farlo bene». Il Veneto è una terra speciale: lo è anche per la carne? «Il Veneto è una regione speciale, come lo è il Friuli. Sono le ‘mie’ due regioni; sono felice di essere Veneto-Friulano perché in queste zone c’è una grande

origine contadina e di allevamenti, con un legame diretto tra terra e animali e, di conseguenza, con il prodotto finale. Le carni che vengono prodotte in questo territorio sono eccellenze straordinarie in tutti i comparti agricoli». Esistono i campionati di barbecue: ci hai mai partecipato? «Si mi hanno invitato e ho partecipato. Mi piace la competizione soprattutto se è sana, dove non si mette in dubbio il fatto che tutti possono cimentarsi con il barbecue. Grigliare significa poter vivere convivialmente la cottura di un pezzo

di carne – di verdura – senza sentirsi inferiori o superiori: in caso contrario si perderebbe la mission del grigliare. L’ambizione c’è sempre e ben venga ma ricordiamoci che stiamo cucinando, situazione alla portata di tutti, conviviale e non concorrenziale». Restando in ambito competizioni, c’è uno sport che ti piace particolarmente? «Amo il calcio, come la maggioranza degli italiani, ma lo sport che adoro è il tennis; ci ho sempre giocato e mi piace perché si può giocare da soli o in coppa. Ciò significa che è uno sport dove si

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prete” o sul girello di spalla. Due tagli dell’anteriore che spesso non vengono nobilitati, duttili che implicano una cottura prolungata e che secondo me sono eccellenti».

compete da soli, contro l’avversario e sé stessi, oppure, in caso di doppio, diventa uno sport di squadra, dove si condividono strategia, gioco, sacrifici e grandi colpi. Il mio sportivo preferito in assoluto è Roger Federer, un ‘mostro’. Inarrivabile!». Facciamo un gioco: abbina tagli di carne a grandi sportivi e motiva la scelta… «Allora, siccome sono tifoso dell’Inter, abbinerei a Lautaro Martinez una bella porthouse dal gusto ‘incontenibile’ (taglio con l’osso della vertebra lombare, dalla caratteristica forma di una “T” rovesciata, ancora attaccato, che presenta un filetto grande e controfiletto appena più stretto n.d.r.). Handanovic invece lo vedo come una guancetta di manzo, taglio di carne con il quale ci vuole pazienza e attenzione, che non deve essere dimenticata sul fuoco – un po’ come accade con il portiere che spesso viene ‘dimenticato’ dalla squadra – ma deve essere girata, ci si deve aggiungere vino rosso, controllare la corretta bollitura… Insomma si devono rispettare e seguire una serie di procedure. Se però dovessi abbinare la carne ad una disciplina in generale sceglierei il decathlon o il triathlon, discipline poco diffuse ma dove c’è il valore vero di chi ama lo sport in maniera imponente e importante, di qualità e di grande sforzo fisico». Hai qualche suggerimento per preparare una grigliata top? «Non è possibile dare un consiglio. L’unica cosa che posso dire è che chiunque può essere bravo in griglia se ci mette passione. La passione è sempre il valore aggiunto, come nel lavoro, nello sport, nella cultura. Se ci metti la passione e il cuore dai un plus ineguagliabile a tutto quello che fai». Qual è il taglio che preferisci? «In assoluto il taglio reale, ovvero

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la costata di anteriore di scottona prussiana». Ci stiamo avvicinando alle feste di Natale: che taglio consiglieresti per un cenone o un pranzo? «Qui si va a nozze. Si va sul “capel del

Fabrizio che anno è stato per te il 2021? e per il 2022 che progetti hai? «Il 2021 è stato un anno della ripartenza. Si usciva da un tunnel buio e man mano che si usciva si vedeva un po’ di luce. La luce si allargava e cominciavano delle visioni nuove sulle dinamiche del mondo della televisione e dei grandi eventi. Si è riaccesa la volontà e l’adrenalina per ritornare in pista e riaffrontare questo mondo della gastronomia nel dovuto modo. Spero che il 2022 sia l’anno delle sorprese e delle grandi riscosse». Un sogno nel cassetto non per forza legato alla carne? «Il mio sogno nel cassetto è di grigliare in un’isola con una palma esclusivamente per me e un’altra persona».


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Foto: Circolo Tennis Scaligero

I NTERVISTA onomini B a e r d n A

(Can)grande stagione per il CT Scaligero

A

MATTEO ZANON

ndrea Bonomini, presidente del Circolo Tennis Scaligero fresco di riconferma, presenta e racconta in esclusiva per SportdiPiù Magazine le attività e i risultati del circolo scaligero che nel 2020 per l’attività agonistica si è classificato al primo posto tra i circoli veronesi e del Veneto. Presidente ci presenta il circolo e le sue attività? «Il Circolo Tennis Scaligero, fondato nel 1949, ha vissuto in prima linea tutta la storia del tennis italiano moderno contribuendo in maniera determinante alla promozione della pratica sportiva tennistica, sia amatoriale che agonistica e alla diffusione di questo sport nella realtà

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veronese, veneta e nazionale dal dopoguerra ad oggi. La struttura è composta da otto campi da tennis (7 in terra battuta, 1 in play-it di ultima generazione, uguale a quello che troviamo agli US Open americani), un campo di beach-volley, piscina, palestra, ristorante e bar. Sono circa 300 i Soci iscritti. La scuola tennis del circolo è la prima nel triveneto per numero di iscritti (340), da alcuni anni abbiamo inserito il “numero chiuso” per avere una gestione corretta e adeguata all’insegnamento del tennis ai ragazzi, che siano principianti o agonisti. L’agonistica presenta 40 ragazzi tutti under 18. Siamo l’unico Circolo di Verona ad avere iscritta una squadra al campionato nazionale di serie B1 maschile, con grande risalto sulla stampa locale e di settore. La scuola è affidata al direttore tecnico federale Juri Margotto, già n. 350 al mondo».

In questa stagione ci sono stati risultati delle squadre o dei singoli atleti degni di nota? «Desidero sottolineare un risultato di assoluto rilievo per lo Scaligero che probabilmente viene poco evidenziato: la FIT ha certificato che la nostra scuola tennis (agonistica), nel 2020, si è classificata I° a Verona, I° nel Veneto e XII assoluta in Italia per i risultati raggiunti dai propri atleti under nei tornei individuali e a squadra. Attendiamo la classifica relativa al 2021 per vedere se verranno confermati questi ottimi risultati. Per quanto riguarda i principali risultati nel corso di quest’anno delle varie squadre, partendo dalla serie B, i ragazzi capitanati dal maestro Bussola hanno perso al primo turno playoff per la promozione in serie A. Un risultato, è doveroso dirlo, che ci lascia insoddisfatti per la caratura della squadra. La serie C femminile è arrivata prima nel girone regionale e terza classificata per la scalata in serie B (veniva promossa solo la prima squadra). Un risultato molto positivo tenuto conto che è una delle formazioni più giovani del panorama italiano ed è composta quasi esclusivamente da giocatrici del nostro vivaio. L’Under 16 femminile si è classificata al secondo posto regionale e al quinto posto macroarea. L’Under 16 maschile ha ottenuto lo stesso risultato della squadra femminile nella fase regionale, ha chiuso al primo posto il macroarea e al sesto posto i nazionali. Con un pochino di determinazione in più potevamo fare ancora meglio, ma c’è tanta soddisfazione». E per quanto riguarda i singoli? Per quanto riguarda i singoli atleti, Sveva Zerpelloni e Samuele Seghetti sono stati semifinalisti al torneo internazionale Tennis Europe Under 16 di San Marino.


Andrea Bonimini riceve il Cangrande dal Sindaco Sboarina e dall'Assessore Rando

Federico Caruso ha vinto ben 5 titoli nei tornei nazionali di terza categoria, Giorgia Bonanni ha vinto tre tornei nazionali di terza categoria, Muzzolon Martina e Franchini Tommaso hanno vinto due tornei nazionali a testa, lei di seconda categoria, lui di terza categoria e infine Leonardo Veronese ha vinto un torneo nazionale di terza categoria. Infine, due nostri giovanissimi atleti (under 8) sono stati convocati nella rappresentativa di Verona nella Coppa delle Provincie: Emilie Marchi e Giovanni Falsirolli. Mancano all’appello due atlete che quest’anno hanno reso meno delle aspettative per alcuni problemi di natura fisica: Carlotta Bonomini e Melissa Marocchio. Posso affermare di essere un Presidente molto soddisfatto dei risultati raggiunti dai nostri atleti. Vorrei, anzi desidero, ringraziare tutti i maestri e il Direttore della Scuola Juri Margotto, nonché tutti i preparatori atletici e il loro responsabile Andrea Bertelli». Si può già fare un bilancio dell’annata 20/21? «Il 2021 è stata un’annata molto buona, direi quasi ottima, per il settore giovanile e la serie C femminile, è mancata la serie B maschile. Su questo abbiamo fatto ovviamente le nostre riflessioni per non ripetere eventuali errori nel 2022. Abbiamo continuato a lavorare molto e con soddisfazione sul nostro meraviglio bacino di piccoli atleti che rappresenteranno il nostro futuro (prossimo). Dobbiamo e vogliamo sempre migliorarci per fornire tutti gli strumenti tecnico- tattico-fisici ai nostri atleti che siano parte della scuola addestramento o che siano già agonisti, perché possano divertirsi ed emergere nel panorama tennistico veronese, nazionale e magari anche internazionale. Siamo strutturati per farlo. Aggiungo che i nostri maestri accompagnano i giocatori ai più importanti tornei nazionali e internazionali

facendosi il Circolo carico di gran parte dei costi e questo non è cosa comune». Recentemente è stato riconfermato presidente: che novità avete in serbo per il prossimo triennio? «Come è noto ad ottobre si sono svolte le elezioni per il rinnovo delle cariche Sociali. Fortunatamente si sono presentate due liste, con programmi molto diversi tra loro. Dico fortunatamente per due motivi: il primo per la pluralità di idee che è sempre una bella cosa e il secondo perché così viene, con il voto dei Soci (ha votato l’80% degli aventi diritto, per un’affluenza quasi da record n.d.r.) sancito, legittimato e certificato il programma elettorale della lista che ha vinto. I Soci hanno deciso di premiere il nostro programma, oserei dire in maniera quasi bulgara (80 a 20). Dunque avanti tutta con il nostro progetto forti dell’appoggio della quasi totalità dei Soci. Il che si traduce nell’ulteriore miglioramento delle strutture, nella realizzazione degli investimenti importanti, già delibe-

rati dal precedente Direttivo, nella gestione manageriale del Circolo, no a direttivi a carattere familiare o amicale, attenzione ai costi, tracciabilità di tutti i movimenti contabili, scelta di ditte primarie e certificate per la manutenzione. I Soci vogliono un Direttivo con lo sguardo rivolto al futuro e non al passato, persone nuove con idee nuove da dire e da fare. Seguiremo il nostro programma elettorale che, sottolineo nuovamente, ha ricevuto il placet dall’80% dei Soci. Si tratta di un gran bel Direttivo, un mix di giovani e meno giovani, abbiamo una presenza femminile che è molto importante, abbiamo idee e progetti comuni e condivisi. Questo è un Direttivo che sento mio e che ho l’onere e l’onore di presiedere». Anche il Comune di Verona ha premiato la sua passione e competenza... «Sì, e questo mi ha molto gratificato ed emozionato. Il 10 novembre ho ricevuto dall’Assessore allo Sport del Comune di Verona, Filippo Rando, un importantissimo riconoscimento che mai il Circolo Scaligero ha ricevuto: il Premio Cangrande Dirigente Sportivo “per i brillanti risultati conseguiti nel corso dell’attività”. Questo è un premio che ho ritirato in quanto Presidente del Circolo, ma è un riconoscimento che va a tutto lo Scaligero: ai Soci, ai maestri, ai preparatori, ai dipendenti e ovviamente ai nostri meravigliosi atleti. Viene data così massima soddisfazione dal nostro Assessore a tutti gli sforzi che abbiamo profuso in questi tre anni, alla nostra organizzazione, alla nostra pianificazione, agli investimenti a soprattutto all’idea di Circolo che noi abbiamo. Forse, anzi sicuramente, questo Premio sintetizza al meglio il lavoro svolto».

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Foto: Sofia Benetti

I NTERVISTA etti Sofia Bon

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ALBERTO CRISTANI

l 21 maggio del 2021 è una data che per Sofia Benetti può essere l’ennesima slidnig door di una giovane ma importantissima carriera sportiva. Infatti agli Europei 2021 di tiro a segno svoltisi a Osijek in Croazia – insieme alle compagne Virginia Lepri e Paola Paravati – Sofia ha conquistato la medaglia d’oro juniores femminile di carabina 3 posizioni dalla distanza dei 50

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metri. Un successo ottenuto con merito, frutto di un percorso di crescita che vede l’atleta veronese in rampa di lancio verso nuovi prestigiosi obiettivi. Vent’anni il prossimo 22 febbraio, Sofia vive a Verona con la mamma e la sorella Camilla, insieme ai cani Margot e Lupin rispettivamente un whippet e un volpino di Pomerania. Diplomata al liceo scientifico sportivo Seghetti di Verona, ha però svolto il terzo e il quarto anno di superiori presso il li-

ceo scientifico Toniolo di Bozano; questo le ha permesso di frequentare l’accademia di tiro a Bolzano e di allenarsi con gli allenatori della nazionale. Un periodo che le ha permesso di migliorare le sue prestazioni e di ottenere risultati che, se fosse rimasta a Verona, difficilmente avrebbe ottenuto. In attesa di decidere il suo futuro universitario, tra un allenamento e l’altro, Sofia si racconta ai lettori di SportdiPiù Magazine.


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L’aspetto mentale in questo sport gioca un ruolo fondamentale, non tanto nell’allenamento quanto in gara

Sofia, che mira! a segno con la pistola. Successivamente mi sono spostata definitivamente sulla carabina».

Sofia, iniziamo con la domanda più ovvia e banale – che in molti ti avranno già fatto – ovvero: perchè hai scelto il tiro a segno? «Quando avevo dieci anni praticavo atletica e nuoto agonistico ma, non contenta, dopo aver sparato a dei barattoli ad una sagra di paese, ho detto ai miei genitori che volevo sparare ancora! Sono venuta così a conoscenza del poligono di Verona ed è stato lì che, dal 2013, ho iniziato a praticare il tiro

Come si svolge il tuo allenamento tipo? «Mi alleno presso i poligoni di Verona e di Vicenza in base anche alle necessità. La frequenza di allenamento varia in base alle gare e ai raduni della Nazionale ma normalmente sono cinque sessioni alla settimana. L’allenamento consiste in una seduta in pedana di circa due ore e, quotidianamente, la preparazione fisica varia tra corsa e palestra». Alleni anche la mente? «Certo, l’aspetto mentale in questo sport gioca un ruolo fondamentale, non tanto

nell’allenamento quanto in gara; in Nazionale c’è uno psicologo che ci prepara proprio sotto questo aspetto. Nel tiro a segno, rispetto ad altri sport di forza e aerobici, bisogna saper tenere sotto controllo il battito cardiaco; non riuscirci potrebbe influire negativamente sull’esito della gara». Quando hai capito che eri brava? «Senza falsa modestia già dal primo anno, quando sparavo di pistola: ho conquistato il secondo posto ai campionati italiani. Essermi spostata a carabina non ha influito sui risultati che sono addirittura migliorati: sono entrata in Nazionale due anni dopo». Ci puoi spiegare le differenze e le varie specialità di questa disciplina? «Il tiro a segno si distingue in pistola e carabina, ovvero quella che pratico io. La carabina può essere a 10 (dove viene utilizzata l’aria compressa calibro 4,5 n.d.r.) o 50 metri (dove viene utilizzata la carabina a fuoco calibro 22 n.d.r.). A 10 metri la disciplina individuale consiste in 60 colpi di gara più eventuale finale nei primi 8; è stata introdotta anche la gara di mixed team che consiste in una coppia mista (maschio e femmina), durante la quale ci sono due fasi di qualificazione più eventuale finale. A 50 metri invece le discipline individuali sono due ovvero Carabina Sportiva 3 Posizioni (CS3P), che prevede 120 colpi di gara (40 colpi per posizione in ordine tra ginocchio, terra e in piedi n.d.r.) e Carabina Sportiva a Terra (CST) con 60 colpi di gara nella posizione a terra. La finale in questo caso viene disputata solo per la CS3P, mentre la CST ha classifica diretta.

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Europeo è stato il mio successo più importante. Per quanto riguarda le cose negative direi che il mio unico rimpianto è l’errore commesso agli Europei ai 10 metri, un tiro che mi ha fatto segnare uno zero al posto di un colpo, ovvero dieci punti in meno nella classifica finale. Un errore pesante, che mi è costato la finale: basti pensare che solitamente la classifica viene decisa dai decimali! Nel 2022 spero – come faccio tutti gli anni – di migliorare, specialmente nella carabina a fuoco. Mi auguro di non ripetere errori già commessi ma solamente di tenerli a mente perché, in passato, mi sono sempre serviti di lezione e mi hanno fatto crescere sia come sportiva che come donna».

E tu in quale sei più forte? «É abbastanza difficile dire in quale sia più forte, sicuramente in base alle gare e premi vinti nei 10 metri ho raggiunto molti più traguardi, tra cui l’oro di mixed team ai mondiali in corea 2018 e le olimpiadi giovanili del 2018. Riguardo la disciplina a fuoco ho sicuramente meno esperienza e molta più strada da fare ma già quest’anno con il primo posto di squadra agli europei cominciano a vedersi i miglioramenti».

C’è invece una gara che ‘non ti va giù’ e che, se potessi, vorresti rifare? «Sicuramente se potessi rifarne una, rifarei la finale delle Olimpiadi giovanili: sapevo che avrei potuto dare di più e forse è anche stata quella sicurezza ad ingannarmi».

Ci spieghi un po’ le tue armi? «Uso per i 10 metri una carabina della Pardini che tira pallini di piombo calibro 4,5. Per i 50 metri invece utilizzo una Walther KK500 che tira invece cartucce calibro 22.

Quali altri sport hai praticato? «Prima di arrivare al tiro a segno, ho praticato per quasi 10 anni nuoto a livello agonistico, per un paio d’anni quotazione, lo stesso per scherma e tennis. Prima di concludere definitivamente con nuoto sono passata nel mentre all’atletica e tiro a segno insieme. Quando sono diventati insostenibili ho mollato nuoto e sporadicamente andavo ad atletica. Non volendo poi fare le gare di atletica, ma solo quelle di tiro a segno, ho iniziato ad andare in palestra in modo da tenermi sempre attiva. Oggi oltre al tiro a segno vado a correre e ogni tanto gioco a tennis».

A maggio un grande successo, l’oro nella gara a squadre di carabina 3 posizioni femminile juniores: è stata la tua prestazione migliore? «Sicuramente quello di quest’anno è stato un grande risultato per quanto riguarda la carabina a fuoco CS3P. Già nel 2018 avevo ottenuto un ottimo terzo posto nella disciplina di CST alla coppa del Mondo a Suhl. Per quanto riguarda l’aria mi sono classificata settima nella finale delle Olimpiadi giovanili e l’oro di mixed team ai mondiali 2018».

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Cosa fai nel tuo tempo libero? «Nel tempo libero mi piace fare passeggiate con i miei cani, uscire con i miei amici e sicuramente fare shopping».

Che anno è stato per te il 2021 e cosa ti aspetti per il 2022? «Il 2021 è stato un anno normale. L’oro

Sofia insieme alla sorella Camilla


brandnamic.com | Foto: Hannes Niederkofler, Manuel Pazeller, IDM Alto Adige (Benjamin Pfitscher, Frieder Blickle)

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Ippocampo APS ‘sottorete’ per sostenere l’autismo I Disturbi dello Spettro Autistico (ASD -Autism Spectrum Disorders) sono un ampio gruppo di disturbi del neurosviluppo tra loro eterogenei, caratterizzati sul piano sintomatologico da anomalie dell’interazione sociale e della comunicazione - sia verbale che non-verbale - e da pattern di interessi e comportamenti ripetitivi e ristretti. Il disturbo può inoltre accompagnarsi a gradi variabili di impaccio fine e grosso motorio. Esistono numerosi lavori scientifici che riportano l’utilità e il beneficio dell’attività sportiva nei Disturbi dello Spettro Autistico. Lo sport infatti, nelle sue molteplici forme, contribuisce a ridurre le stereotipie, a stimolare la funzionalità motoria, a migliorare le funzioni esecutive e le abilità comunicative e di relazione con i pari. Oltre al benessere fisico, quindi, l’attività sportiva favorisce anche un miglioramento globale della qualità di vita della persona con ASD. Spiega Alice Lonardi, presidente dell’Associazione Ippocampo APS: “I vantaggi che uno sport come il tennis può portare a una persona con Disturbo dello Spettro Autistico sono molteplici.

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L’impatto “emozionale” dell’attività è mediato dalla peculiarità del campo da gioco, dove il contesto è chiaro e lineare. Inoltre, la relativa distanza tra i due giocatori può favorire l’approccio all’attività sportiva, dal momento che le persone con ASD spesso non tollerano il contatto fisico. Avere di fronte a sé l’avversario può rappresentare per la persona un modello di apprendimento. La pallina, infatti, diventa il legante tra i due giocatori: tramite lo scambio dei colpi è necessario che la persona esegua la propria attività tenendo in considerazione l’attività dell’altro, determinando una sincronizzazione con l’avversario che risulta poi importante nello sviluppo delle competenze necessarie alla sincronizzazione del soggetto nel tessuto sociale”. IL PROGETTO L’Associazione Ippocampo APS di Verona si pone come obiettivo la realizzazione di questo progetto grazie ad un ciclo di lezioni di avvicinamento al tennis, a frequenza settimanale, rivolte a un gruppo di bambini/adolescenti con Disturbo dello Spettro Autistico, da tenersi in orario pomeridiano o nel fine settimana.

Alle lezioni, accanto al personale qualificato nell’insegnamento della disciplina, saranno presenti professionisti psicologi ed educatori che, oltre a formare il personale tecnico sulle caratteristiche del Disturbo, monitoreranno l’andamento del progetto ed eseguiranno una lettura neurofunzionale iniziale e finale di ciascun partecipante, per poter rilevare e quantificare gli eventuali benefici dell’attività sportiva. I risultati emersi verranno inoltre raccolti nell’ottica di produrre lavori scientifici che documentino l’efficacia del tennis nei Disturbi dello Spettro Autistico. “VK Events” - spiega il responsabile Carlo Piccoli - “nasce sia per organizzare eventi sportivi sia per contribuire a sviluppare una cultura di sport e tennis più ampia ed inclusiva dei bisogni dei giovani agonisti. Il progetto dell’Associazione Ippocampo APS ne è un esempio perfetto, siamo entusiasti di poterne far parte nel nostro specifico lavoro, pertanto già nel prossimo torneo saremo attivi per reperire i fondi necessari alla partenza del progetto, così come nell’individuare il Circolo ospitante il test e i Maestri ritenuti più idonei al delicato compito”.



I NTERVISTA o r e s s a n a M o e t Mat

Foto: Dravet Italia Onlus

Manassero va… ...In Buca Per Un Sorriso aderito al nostro invito e ci hanno aiutati nell’organizzazione e nella promozione dell’iniziativa. Ringrazio Matteo Manassero che ci segue fin dall›inizio della nostra avventura, il Brianza Golf con Roberto Zappa e tutti i volontari e amici che ci hanno aiutato. Ringrazio anche tutti i professionisti, amici che non hanno potuto essere presenti che non hanno mancato di dimostrarci il loro affetto con telefonate o messaggi di vicinanza, questa è stata per me una grande dimostrazione di essere insieme una grande famiglia”. E proprio a Matteo Manassero, golfista professionista veronese, che da dieci anni segue e si fa portavoce di questo importante evento, abbiamo posto alcune domande al termine dell’evento. ALBERTO CRISTANI

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ieci anni di successi per In Buca Per Un Sorriso, l’evento benefico promosso e organizzato dall’associazione Dravet Italia Onlus, da sempre in prima fila per cercare una cura per chi soffre di questa malattia rara, ovvero la sindrome di Dravret, forma di epilessia che colpisce i neonati e che per ora è farmaco-resistente. Durante l’edizione 2021, svoltasi venerdì 8 ottobre al Golf Brianza di Usmate Velate (Mb) sono stati raccolti ben 32.500 euro che saranno saran-

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no destinati all’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona e in particolare al team guidato dalla professoressa Darra e dal professor Dalla Bernardina che da anni lavorano a fianco dell’associazione per aiutare i bambini e i ragazzi con la sindrome di Dravet. “Sono molto contenta della riuscita dell’evento” – ha commentato Isabella Brambilla, presidente Dravet Italia Onlus – “edizione quest’anno speciale, il decimo anniversario di In Buca Per Un Sorriso e undicesimo dalla fondazione dell’associazione. Nonostante i tempi stretti, tanti amici, aziende e professionisti hanno

Matteo, il golf è entrato nella tua vita praticamente nel momento in cui hai iniziato a camminare: cosa ha significato per te, al netto dell’aspetto sportivo? «Il golf è la passione con cui sono nato, non ho mai forzato nulla. Da sempre ho voluto fare questa vita e ora ho la fortuna di farlo anche come lavoro. Non potevo chiedere di più». Dal 2010 sei professionista: com’è cambiata la tua vita dopo questa ‘promozione’? «In realtà il cambio grande è stato vivere della mia passione; il golf non è mai cambiato, il gioco è sempre quello. Certo che trovarmi a sfidare


Per noi sportivi questo è un modo per restituire, a chi è meno fortunato, un po’ di quanto abbiamo ricevuto». Quale sentimento prevale in te quando scendi sul green insieme ai bambini? «Sono felice di vedere bambini che si approcciano al golf e che si entusiasmano nel praticare uno sport che non ha mai goduto di grande popolarità tra i giovani. È una bella speranza per il futuro del golf». i miei grandi idoli, campioni che vedevo in televisione, e riuscire ad ottenere ottimi risultati è stata una soddisfazione. Una gioia che auguro a tutti i ragazzi che sognano e lavorano per fare del golf la loro professione». Il golf per te significa anche solidarietà e aiuto nei confronti di chi è meno fortunato. Da anni sei testimonial di Dravet Italia Onlus: come hai conosciuto questa realtà? «Ho conosciuto Dravet Italia Onlus parecchi anni fa per amicizia e dopo aver incontrato la presidente Isabella Brambilla abbiamo iniziato ad organizzare In Buca Per Un Sorriso, evento che è diventato sempre più grande ed è diventato ormai un appuntamento fisso. Questa unione ha creato una grande famiglia che aiuta la ricerca. Stiamo ottenendo grandi risultati e questo mi rende felice e orgoglioso. Mi piace poter aiutare quando non sono impegnato con gare e preparazione: dalla posizione di atleti siamo privilegiati e questo tipo di iniziative sono quelle in cui possiamo renderci utile».

Lo sport è ancora un veicolo vero e utile per affrontare e portare all’attenzione dell’opinione pubblica problematiche di carattere sociale? «Credo sia il miglior veicolo: lo sport è passione e gioia. È inoltre il mezzo più è esposto a livello mediatico e quindi credo che gli sportivi possano essere a loro volta testimonial per far conoscere problemi più grandi di cui la gente magari non è a conoscenza.

Sei ancora giovane e hai ancora tanta strada da fare, ma quando avrai finito di giocare ad alti livelli, cosa ti piacerebbe fare? «Non saprei ancora: per ora mi vedo giocare e sono concertato solo su quello. Una volta ‘appesa la mazza al chiodo’ probabilmente cercherò di rimanere nel mondo del golf, magari per allenare. Per ora sono solo supposizioni visto che di strada ne devo ancora fare molta…».

Isabella Brambilla è la presidente di Dravet Italia Onlus, un esempio da seguire e imitare: raccontaci un po’ di lei e di come ti ha convinto a collaborare con lei… «Isabella lavora 24 ore su 24 per l’associazione, è un grande esempio per chiunque vuole fare beneficenza: quello che fa lei non è facile: si da parecchio da fare. Se Dravet Italia Onlus sta ottenendo questi splendidi risultati è grazie a Isabella e tutto il team che ha creato».

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Foto: CSS Verona, Paul Take

I NTERVISTA ianconi B a t r e b o R

L’

EMANUELE PEZZO

Bomber acqua

età conta, eccome se conta, nella carriera di uno sportivo. Di fronte a migliaia e migliaia di atleti che, accumulato un tot di primavere, abbandonano l’agonismo per il divertimento, c’è chi mostra la sua vera forza: trasformare l’età da zavorra a nuova sfida da intraprendere. Di Roberta Bianconi, capitano della VetroCar Css Verona dal grande palmarès, facente parte del gruppo sportivo delle Fiamme Oro, si sa già molto in virtù della sua lunga carriera. Ha indos-

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sato le gloriose calottine del Setterosa, dell’Orizzonte Catania, del Pro Recco e pure dell’Olympiacos, vincendo a livello nazionale e internazionale. Roberta, quali sono i tuoi nuovi obiettivi a questo punto della tua carriera?

«Fa ancora male la mancata qualificazione a Tokyo con la nazionale. Però ho deciso di riprovarci: Parigi 2024 non è così lontana e, anche se fa effetto pensare di arrivarci a 35 anni, posso giocarmi le mie chance per un posto in azzurro».


Mister Zizza a Verona ti vede come una chiocchia per aiutare la crescita delle giovani, cosa ne pensi? «Quest’anno sono anche capitano: so bene di essere sotto osservazione, ma credo che il modo migliore di dare l’esempio sia pensare di non esserlo. Essere me stessa può portare chi sa osservare a capire, molto più di tante parole». Cosa deve sapere una giovanissima che inizia con la pallanuoto? «Troverà la fatica, il bisogno di sacrificio, ma anche il divertimento e l'appoggio di una squadra. Il suo errore conterà, com’è giusto che sia. Ma avrà sempre qualcuno pronto a riportarla sulla barca». In che modo hai conosciuto la pallanuoto? «A Recco facevo sincronizzato e questo mi ha fornito alcune basi di nuoto. Quando ho capito che non avrei avuto possibilità di entrare in nazionale e in difficoltà nel conciliare sport e studio, ho deciso di seguire alcune amicizie. Ho così provato la pallanuoto a Camogli. Avevo 15 anni, tardissimo per cominciare, ma le cose mi venivano semplici e ho trovato la mia passione». A che punto è la tua esperienza in VetroCar Css? «È il mio secondo anno, ma lo definisco il primo perché lo sto vivendo finalmente sia dentro che fuori dalla piscina. Sto iniziando a conoscere Verona, sono appassionata di dolci anche se finora di tipico ho provato solo il risotto all'Amarone».

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Questo sport mi ha insegnato ad affrontare tutto con coraggio, mi ha portato ad essere la donna forte che credo di essere

Come vedi la squadra di questa stagione? «È costruita per crescere. Non siamo esperte come in passato, ma la giovane età porta imprevedibilità. Sono la più grande e mi piace stare in mezzo alle giovani perché trasmettono freschezza. Siamo impron-tate al futuro, ma vogliamo mostrarci nel presente e dare fastidio alle corazzate Padova, Catania e Roma». C’è chi sostiene che la pallanuoto maschile e quella femminile siano due sport diversi: cosa ne pensi? «Da noi c’è meno potenza, forse meno qualità. Non significa meno spettacolo. La donna è passionale ed emotiva: sa dare tutto ed è disposta a buttarsi nel fuoco pur di raggiungere la propria meta». Sul fronte Covid, com’è la situazione nel vostro sport? «Sembra che stia tornando la normalità, ma non lo dico troppo forte. In due anni ci siamo rintanati, abbiamo avuto meno occasioni di giocare e stare insieme. La preparazione di agosto è stata mentalmente difficile: mettere la testa nella fatica non è semplice, ma anche tornare a nuotare i chilometri non è una passeggiata». Cosa ti spaventa, nella tua vita in acqua? «A breve potrei accorgermi di non potere più andare avanti a questi livelli. La mia paura è di non trovare qualcosa, dopo la pallanuoto, che possa darmi le stesse cose».

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Quale sarà il tuo futuro, una volta appesa la calottina al chiodo? «Non mi piace fare programmi a lungo termine perché non si può mai sapere. Fino a poco tempo fa ero convinta di non rimanere nell’ambiente. In estate invece ho avuto un’esperienza come allenatrice di nuoto con un amico e ammetto che mi è piaciuta parecchio».

Cos’è per te la pallanuoto? «Metà sono Roberta, metà sono pallanuoto. Questo sport mi ha insegnato ad affrontare tutto con coraggio, mi ha migliorato come persona nei successi e nelle sconfitte. Mi ha portato ad essere la donna forte che credo di essere».


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Foto: Maurilio Boldrini

SPO RT LI FE

Come ‘viaggia’ Dossobuono!

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ALBERTO BRAIONI

n avvio scoppiettante, forse anche oltre le aspettative. La Venplast Dossobuono è partita con il turbo sia al maschile che al femminile, raccogliendo solamente gioie nelle prime uscite stagionali. C’era grande attesa per vedere all’opera i nuovi innesti su entrambi i fronti, sia dal punto di vista dei singoli che nell’inserimento nei meccanismi di gioco e di squadra. Probabilmente è sotto questi ultimi due aspetti che la Venplast Dossobuono ha fatto passi in avanti in entrambe le

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categorie; i valori tecnici dei nuovi arrivi, infatti, non sono mai stati in dubbio ed erano ben conosciuti agli occhi dei tecnici Elena Barani e Carlo Nordera. Due gruppi forti ed affiatati, come quelli costruiti negli ultimi anni, hanno accolto nel migliore dei modi le novità, che fin dal primo giorno hanno apportato il proprio contributo alla causa. Nel femminile subito protagoniste Giulia Coppola, Federica Ingrassia e Maddalena Cabrini, tre giocatrici che hanno recentemente vestito la maglia della Nazionale nelle categorie giovanili e che hanno risposto presente subito, fin dalle prime battute. Un calendario per la Serie A2F che ha distribuito le avversarie

probabilmente in ordine crescente dal punto di vista del livello di difficoltà degli incontri. Una Venplast Dossobuono che dunque ha portato a casa solo vittorie in avvio di campionato, dimostrando un’ottima difesa, mai sopra le 18 reti subito nelle prime quattro gare stagionali, e un attacco spesso sopra le 40 reti. Ora però gli avversari iniziano a diventare più importanti, ma la dose di fiducia della squadra non può che conferire i giusti presupposti in vista degli impegni più complicati. Una Venplast rinvigorita non solo dai nuovi arrivi, ma anche dalle conferme delle giocatrici appartenenti al gruppo consolidato degli ultimi anni: una su


tutte il capitano, Martina Mazzieri, che a 27 anni sembra aver raggiunto uno stato di forma ed una padronanza dei propri mezzi mai vista da quando è approdata a Dossobuono sei anni fa, il tutto unito alle doti carismatiche e di leadership che hanno da sempre caratterizzato il terzino di origine toscana. Una Venplast che fin qui ha divertito e si è divertita, in attesa degli impegni più proibitivi. Discorso simile per la Serie B maschile, che ha vinto nelle prime tre uscite e ha convinto soprattutto. Prestazioni da collettivo, da gruppo che con il passare degli anni continua a maturare; prestazioni di chi vuole rifarsi dal senso di ingiustizia vissuto lo scorso giugno negli ultimi atti prima della promozione nella categoria superiore e che quest’anno è partito subito con la marcia giusta. Una vittoria a Torri di Quartesolo all’esordio che ha subito agitato le acque, perchè giunta in maniera netta, limpida, in una delle migliori prestazioni mai viste da questa squadra; se si pensa che nello scorso campionato a Torri di Quartesolo la Venplast uscì sconfitta da quel palazzetto, il 27-18 dell’esordio di quest’anno rende l’idea. Anche qui difesa vincente, grazie anche all’innesto di Zouhair Eddarkoui, portiere di grande esperienza e di categoria superiore, giunto a Dossobuono con il preciso compito di dare il proprio contributo ma soprattutto di far crescere gli estremi difensori giallo-rossi. Positivi inoltre i rinforzi di Kamal Ramadane e di Luca Quiri, anche loro già inseriti nelle rotazioni di Nordera ed in una squadra che vuole continuare a crescere.

N.B. Le squadre senior stanno procedendo su un ottimo percorso senza i propri granatieri al tiro: Laura Zanette da una parte, Samuele Rizzi dall’altra. Entrambi caratterizzati dallo stesso destino, infortunati al

crociato al termine della scorsa stagione, in fase di recupero ed in grado di portare gol e qualità in fase offensiva. La società, i tifosi e gli appassionati di pallamano li attendono per tornare a dare spettacolo sul 40x20.

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I NTERVISTA ni a ll e t s a C o im s Mas

Foto: Massimo Castellani

Vita al Massimo

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JACOPO PELLEGRINI

a vita di Massimo Castellani è stata senza dubbio cadenzata e ‘condizionata’ da tre grandi passioni: sport, lavoro e studi. Con i tuffi ha infatti vinto 23 titoli di Campione Italiano Assoluto dal trampolino, una medaglia d’oro ai Giochi del Mediterraneo del 1983 a Casablanca e ha partecipato a 5 Campionati Europei, 2 Campionati del Mondo e l’Olimpiade di Seul nel 1988. Lavorando nella Polizia di Stato è stato per 15 anni membro del NOCS (Nucleo Operativo Centrale di Sicurezza). Studiando Giurisprudenza alla Sapienza di Roma ha imparato il Diritto in ogni sua sfaccettatura. Da qualche anno però un’altra passione l’ha travolto (o meglio ri-travolto): grazie alla letteratura infatti, dal 2019 ad oggi, ha pubblicato due libri molto particolari e profondi. Che si tratti dell’inizio di una nuova carriera? Massimo, tuffi, Polizia e Giurisprudenza sembrano tre aspetti slegati. In realtà però ci sono dei collegamenti molto forti tra loro: ce ne può parlare? «Hai ragione, sono tre componenti della mia vita strettamente collegate tra di loro: si sono intersecate in una successione temporale abbastanza dipendente da una fase all’altra della mia vita. Inizio

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con l’attività sportiva fin da giovanissimo. Grazie ai miei risultati sia a livello Juniores che in campo assoluto vengo reclutato da quella che al tempo era ancora il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza. Così inizia la mia avventura nell’ambito della Polizia di Stato e nelle Fiamme Oro. Quindi mi trasferisco a Roma e continuo la mia attività sportiva. Contestualmente, però, porto anche avanti i miei studi universitari: mi iscrivo a Giurisprudenza alla Sapienza. Qualche tempo dopo, nell’ambito della Polizia di Stato, esce il concorso per diventare commissario di Polizia, qualifica per la quale era necessaria la laurea in Giurisprudenza». Come nasce la sua voglia di cimentarti in uno sport come i tuffi? «Casualmente una giornata di agosto mia madre mi porta alla piscina comunale di Verona e vediamo allenarsi i ragazzi dei tuffi. Lì rimaniamo colpiti dalle evoluzioni dei ragazzi e mia madre mi spinge

a provare. Mia madre mi lasciò lì per un paio d’ore e, dopo avermi fatto fare un tuffo “a pennello”, alla fine della mattinata il maestro disse a mia madre di riportarmi anche il giorno successivo. Mi piace pensare che già lì abbia intravisto qualche potenzialità in me». Trenta medaglie nel palmares e nel 1988 stabilisci il record italiano con 650.52 punti al Grand Prix di Mosca. Oltre a questo, qual è il ricordo più bello della sua carriera sportiva? «Sicuramente la medaglia d’oro ai Giochi del Mediterraneo, a Casablanca nel 1983: è stato un momento importante perché ha confermato il livello internazionale che avevo raggiunto. Raccogliere l’eredità di Dibiasi e Cagnotto all’età di 17 anni è stata una responsabilità grandissima, soprattutto perché al Coni erano abituati che le medaglie nei tuffi fossero delle sicurezze sulle quali contare nelle varie competizioni».


Seoul 1988 con il portabandiera azzurro Pietro Mennea

Una bella vittoria

Negli ultimi anni ti sei dedicato alla scrittura pubblicando due libri: In Polizia per Sport (2019) e Nel nume del padre (2021). Cosa può dirci di questi due lavori? «Ho sentito il desiderio e la necessità di fissare su carta emozioni e sensazioni che avevo vissuto nella mia vita. Da qui sono usciti questi due libri. Il primo è un libro a carattere autobiografico dove ripercorro un po’ tutti i passaggi della mia vita. Il secondo, invece, proseguo questa mia spinta narrativa nella nuova veste di genitore, confrontandomi con mio figlio. Discutiamo individuando diversi modi di intendere la vita partendo sempre da ipotesi estreme. Alcuni titoli dei capitoli ne sono l’esemplificazione: Piattaforma o trampolino, due discipline sempre dei

tuffi ma agli antipodi; Guardie e ladri, entrando sotto l’aspetto professionale; Scarponi o infradito e Mutande o perizoma. Estremizzando le immagini del dibattito cerchiamo di capire che tipi siamo». Stai pensando ad un terzo libro? «In realtà in collaborazione con mio figlio stiamo cercando di dare una veste teatrale a questo secondo libro. Cerchiamo una trasposizione che possa reggere un palcoscenico. La letteratura comunque è una cosa che non voglio abbandonare perché mi sono riappassionato. Ho in mente un personaggio femminile che vorrei vedere se può avere uno sviluppo: una detective americana con chiare origini italiane. Questa può essere un’idea per un futuro lavoro».

Tuffo rovesciato

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Foto: Chievo Women

I NTERVISTA chini n ia B e c li A

Nuovo look per il Chievo Women (e non solo)

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ANDREA LUZI

alter ego ‘al maschile’ è stata una delle squadre più chiacchierate negli ultimi mesi ma fortunatamente il Chievo Women è ancora una certezza tra i professionisti del panorama calcistico femminile scaligero. Tra le prime in classifica davanti a squadre più blasonate come Roma, Cittadella e Brescia, la società gialloblu si presenta per questa stagione con tantissime novità a partire dal nuovo logo e nuove alleanze nel settore giovanile. In occasione della presentazione della nuova squadra lo scorso 23 ottobre, siamo riusciti a fare due parole con Alice Bianchini, Presidente del Chievo Women.

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Alice quest’anno la squadra è tra i primi in classifica: che aspettative avete per questa stagione? «Penso che essere ai primi posti della classifica sia solo frutto dell’impegno delle ragazze e dello staff. La nostra priorità è sempre quella di raggiungere il prima possibile la salvezza, ma sognare non costa nulla». Quest’anno molte conferme e nuovi importanti innesti come Jelena Marenic; com’è l’affiatamento del gruppo? «Si quest’anno con l’aiuto importante di Massimiliano Rossi e Simone Lelli, abbiamo inserito qualche nuovo innesto, in posizioni che per noi mancavano rispetto alla stagione scorsa. Abbiamo

voluto tenere buona parte delle giocatrici, perchè per noi il gruppo è fondamentale e queste ragazze hanno fatto grandi cose insieme l’anno scorso. Devo dire che quest’anno il clima è molto diverso e non possiamo essere che felici per questo. Le ragazze nuove si sono ambientate


Mister Venturini

molto bene con le veterane. Vediamo queste ragazze sempre molto concentrate durante la settimana e l’impegno non manca mai». Novità anche sul fronte societario, mi riferisco al nuovo logo e al taglio che avete dato al club in occasione della presentazione dello scorso 23 ottobre; qual è il messaggio che volete dare a tifosi, pubblico e in generale ad addetti ai lavori? «Creare il nuovo logo è stata solo la ciliegina sulla torta del percorso lungo e difficile che abbiamo dovuto affrontare dopo la vicenda Chievo. Pur avendo avuto, nella stagione scorsa un’affiliazione con loro, siamo sempre stati autonomi dal punto di vista societario e con la creazione del nuovo logo lo abbiamo

voluto rendere ben visibile agli occhi di tutti. Siamo contenti del lavoro svolto finora e non ci vogliamo fermare qui. Abbiamo più volte espresso vicinanza e solidarietà al Chievo Verona e ci auguriamo che il nome della società ritorni prima o poi laddove merita stare». Cosa ne pensi della Clievense, il nuovo Club di Sergio Pellissier? Pensi che un domani potremmo assistere ad una fusione tra i due club? «Osserviamo con interesse l’iniziativa di Sergio Pellissier, che con questa sua nuova società sta cercando di tenere alto il nome della città; non so se mai ci potrà essere una fusione tra il Chievo Verona e la Clivense. Ad oggi noi pensiamo al nostro percorso con molta serenità e convinzione».

Come l’Hellas Verona, anche voi da sempre investite e puntate sul giovanile, la collaborazione con il Cittadella va in quella direzione. Ne vuoi parlare un po’ più nel dettaglio? «Il settore giovanile è il motore della nostra macchina. Abbiamo un bacino molto ampio fuori dalla città di Verona e siamo molto orgogliosi che tante società vogliano abbracciare il nostro progetto di crescita e sviluppo del calcio femminile creando delle affiliazioni; tuttavia ci piacerebbe un domani riuscire a creare una piccola colonia Chievo Women FM anche a Verona, per permettere alle piccole calciatrici veronesi di vestire la nostra maglia, e stiamo lavorando proprio per questo».

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Foto: Maurilio Boldrini

I NTERVISTA ortali M le e h ic M

Capitan Antracite ALBERTO CRISTANI E MATTEO ZANON

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l ruolo di capitano, in ambito sportivo, è senza dubbio una gratificazione ma anche una responsabilità. Ci sono diversi modi di interpretare questo ruolo. Michele Mortali ha deciso di farlo in modo totale, ancor prima di ricevere ‘i gradi’ per la stagione 2020/2021 in First XV. Michele, a Verona dall’estate del 2018, si è calato sin da subito – anima e core – nel progetto Verona Rugby. Nonostante il Covid abbia scombussolato un po’ i piani, Michele non si è perso

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d’animo e, da buon capitano, si è rimboccato le maniche diventando un così un punto riferimento non solo per i compagni di squadra ma per tutto il mondo Antracite. Michele, il Payanini Center è ormai casa tua… «Sì, praticamente vivo qui! Essendo il team manager della Verona Rugby Accademy, quando non mi alleno, sono in ufficio oppure in giro per la struttura a dedicarmi ai quasi sessanta ragazzi che frequentano la nostra accademia. Un bell’impegno ma anche tante soddisfazioni».

Sei arrivato a Verona nel 2018 e com’è stata la tua crescita sportiva e come esperienza lavorativa? «Sono arrivato a Verona come giocatore professionista perché stimolato dal progetto. Dopo un campionato Top 10 travagliato, conclusosi con la retrocessione (dopo la spareggio contro la Lazio n.d.r.), in serie A; ciononostante la società ha mantenuto una struttura ad alti livelli, con giocatori forti, ideali per tentare la risalita. Mi venne inoltre proposto di fare il team manager dell’accademia: inizialmente part time e poi, dopo i primi dieci mesi, a tempo pieno. E per me è stato un ulteriore step di crescita umana e professionale».


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Veder crescere i ragazzi dell'Accademy sotto tutti i punti di vista, è una soddisfazione che ti ripaga ampiamente i sacrifici e l'impegno

Lavorare con i giovani, sfida stimolante e allo stesso tempo impegnativa… «Senza dubbio è un bell’impegno che però ti regala tante soddisfazioni: vedi ragazzi dai 14 ai 18 anni che arrivano con tante difficoltà – anche su cose basilari – e dopo due anni maturano e diventano uomini. A volte è difficile, non lo nascondo, ma vederli crescere sotto tutti i punti di vista, grazie al lavoro che facciamo come staff, è una soddisfazione che ti ripaga ampiamente». Nell’Accademy non si insegna solo a giocare a rugby… «No, il nostro obiettivo è di ‘gestire’ l’individuo a 360 gradi. Una grande parte riguarda il campo mentre l’altra dall’altra riguarda la parte olistica, scolastica, mentale e nutrizionale. Abbiamo uno staff molto completo e cerchiamo dare loro più strumenti possibili per crescere, bene, come uomini». Riprendere dopo le limitazioni dovute al Covid è stato difficile? «La presidente Raffaella Vittadello ha voluto fortemente continuare l’attività sempre e comunque. È vero, ci siamo dovuti adattare alla situazione, ma di fatto non ci siamo mai fermati. Abbiamo recuperato il tempo perso lavorando anche d’estate e questo ha fatto la differenza».

La tua carriera di rugbista come nasce? «Di fatto sono un calciatore mancato! La svolta è avvenuta all’età di 15 anni quando mi proposero di provare un allenamento di rugby nell’Amatori Parma: da quel momento non ho più smesso! Ho fatto due anni nel Gran Parma in Top 10 e un anno nel Gran Ducato. Dopodiché ho deciso di seguire mio fratello a Piacenza in serie A dove sono rimasto quattro anni vincendo il campionato e andando in Top 10. Sono poi andato al San Donà, tornato a Piacenza e passato al Calvisano, dove ho rescisso

il contratto e deciso di venire a Verona. Il resto è storia recente…». A Verona ti sei rimesso in gioco… «Si, avevo bisogno di nuovi stimoli anche fuori dal campo. Ho incontrato la presidente Raffaella Vittadello che mi ha spiegato il progetto Verona e non ho avuto dubbi: ho firmato per due anni, cosa che ho fatto raramente». Cosa mi dici di Verona città? «Mi piace molto e mi trovo molto

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bene. Qui ho anche conosciuto la mia compagna. Mi sento davvero a casa e non vedo un futuro lontano da qui». Con la tua ragazza stai intraprendendo un percorso di crescita sia coppia ma anche personale… «Si, sostanzialmente ci piace lavorare su noi stessi, conoscere come funzioniamo, quelle che sono le nostre caratteristiche, i nostri blocchi e come riuscire a scioglierli. Tutto ciò per essere più felici e per rendere meglio nella vita. Un giorno ci piacerebbe condividere questa esperienza di evoluzione personale con altre persone, magari dando loro dei consigli». Questo tuo percorso ti aiuta anche con i giovani dell’Accademy? «Si. Vedo tanti ragazzi che hanno caratteristiche fisiche e mentali importanti ma a volte si fa fatica a farle emergere. Hanno bisogno di tempo per crescere ma sono convinto che, una volta trovata la chiave giusta per entrare in sintonia con loro, si possono avere miglioramenti rapidi». E Michele Mortali quanto può crescere ancora come giocatore? «Nella mia carriera credo di non essermi mai espresso al 100%. In questo momento faccio con semplicità cose che in precedenza non facevo. Qui a Verona ho trovato uno staff che non ho trovato da nessuna parte e questo è un grosso valore aggiunto. Non so quanti anni giocherò ancora ma posso ancora migliorare. E molto». A novembre la Nazionale di rugby si è allenata al Payanini; ci pensi alla maglia Azzurra? «Senza sminuire i ragazzi che attualmente vestono la maglia dell’Italia, credo di non avere niente in meno di loro. In passato la Nazionale per me è stata un tabù a causa della mia insicurezza: pensavo che non ci sarei mai potuto arrivare perchè non ero all’altezza. In questo momento, invece sono convinto che ci potrei stare…». Quindi punti ad una convocazione? «Non, non più. Ora il mio unico obiettivo è fare bene per il Verona rugby e vincere in campionato. Abbiamo le potenzialità per farlo». Cosa ci dici della presidente Vittadello? «È un vulcano, una potenza, una che non si ferma mai. Anche nei momenti difficili, quando sarebbe stato più facile chiudere tutto e mandare a casa i ragazzi, lei non ha mollato. È un esempio e mi sta insegnando un sacco di cose. Le sono

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grato e la ringrazio per tutto quello che fa per Verona e per il rugby italiano. Ce ne dovrebbero essere di più come lei…». Come sta rispondendo la città al progetto Verona Volley? «Verona c’è voglia di rugby. Il pubblico viene a vedere le nostre partite e non solo perché il biglietto è gratuito. Ci piacerebbe poter avere ancora più seguito e per questo motivo faremo il possibile, come squadra, di essere il magnete per avvicinare la città al nostro sport e al Payanini Center». Anche la comunicazione, in tal senso, è fondamentale… «Certo, su questo dobbiamo lavorare molto. La società si è mossa bene anche in questo senso e ora possiamo avvalerci

di un professionista come Dino Guerrini, ex ufficio stampa del ChievoVerona ma prima ancora ufficio stampa del Cus Verona Rugby. Una figura di grande esperienza e competenza che farà crescere ulteriormente la nostra realtà». Quest’anno avete iniziato il campionato in modo convincente: dove potete arrivare? «Quest’anno nonostante la giovane età di molti ragazzi dell’Accademy che sono in prima squadra, si sta creando un gruppo molto unito, una famiglia. C’è da lavorare ma c’è la sensazione di far parte di gruppo unito, in cui si sta bene e si lavora bene. La società inoltre ci appoggia in tutto. Ci sono quindi tutti i presupposti per fare bene. Dove possiamo arrivare? Di sicuro in alto, molto in alto…».


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I NTERVISTA elli s o p m o P a n n Aria

Foto: Audace Verona C5

Quelle (Be)brave ragazze

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Bisogna lavorare soprattutto sull’informazione e la comunicazione. Dobbiamo far arrivare il calcio a 5 nelle case della gente e far appassionare le persone a questo sport.

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JACOPO PELLEGRINI

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rianna Pomposelli fin da piccola ha sempre amato uno sport: il calcio. Da allora le tappe nella sua carriera sono state tante

e ognuna importante per la sua crescita personale e professionale. Cresce a Roma in una squadra di calcio a 5 maschile, ma trova con la Virtus Roma Ciampino la prima realtà femminile. Nel 2015 la prima convocazione in Nazionale Italiana che coincide con la

nascita della Nazionale stessa, che prima non esisteva. Da quest’estate fa parte della rosa di Mister Carlos Giorgio Bruno all’Audace, fresca di promozione in Serie A. Quattro anni fa Arianna decide di prendersi in mano la responsabilità di un compito importantissimo: combattere la


piccola sognavo di fare il calciatore, non la calciatrice. Pensavo non esistesse il calcio femminile perchè c’era tantissima disinformazione. Dobbiamo lavorare soprattutto sull’informazione e la comunicazione in modo da far arrivare il calcio a 5 femminile». Quando e come è nata la tua passione per il calcio? «Ho iniziato a giocare a calcio a 5 a 4 anni perché mio papà è un allenatore ed ex giocatore (anche della Nazionale) di calcio a 5. Mi sono approcciata a questo sport e l’ho scelto fin da subito perché mi è sempre piaciuto per una serie di motivi: c’è rapidità di pensiero, velocità in spazi ridotti e soprattutto tocchi il pallone un milione di volte».

disinformazione e le disparità di genere nello sport, soprattutto nel suo calcio a 5 con il progetto Be Brave. “Bisogna ribaltare lo stereotipo del calcio come sport prevalentemente maschile” – esordisce Arianna – “per dare alle bambine più esempi possibili. Io da

Perché hai scelto Verona e l’Audace? «Quest’estate mi sono arrivate tantissime proposte per andare a giocare praticamente in tutta Italia, però sono una persona che segue molto le sensazioni e la verità è che l’Audace mi ha fatto subito una buonissima impressione: mi piaceva il progetto e ho pensato che fosse veramente un posto in cui mi sarei potuta trovare bene. L’altro motivo è Verona: una bellissima città. Io sono romana, quindi sono abituata alle grandi città. Verona mi ha dato immediatamente l’impressione di essere accogliente, piena di storia e non c’è una persona che me ne abbia parlato male».

Come ti sei trovata quando sei arrivata in questa nuova realtà? «All’Audace mi hanno accolto tutti benissimo, infatti ho fatto i complimenti al Presidente e a tutte le figure che ho conosciuto perché per essere una società neo-promossa penso sia migliore di molte società che militano in Serie A da tanti anni. Ho apprezzato moltissimo l’organico che ho trovato, pieno di figure competenti. Si respira aria di famiglia e mi sono travata benissimo fin dal primo momento». Parlando della squadra: cosa puoi dirci sulle tue compagne e l’allenatore? «La squadra per me era quasi tutta nuova tranne 2-3 ragazze che già conoscevo. Anche qui apprezzo il fatto che siano tutte ragazze determinate e che abbiano tanta voglia di lavorare, impegnarsi ed imparare. Per quanto riguarda l’allenatore sono contentissima: è molto preparato, ha giocato a calcio a 5 per tantissimi anni ad altissimi livelli, anche in Argentina. Abbiamo trovato subito una linea comune e mi trovo molto bene con lui: possiamo fare un grosso salto di qualità». Quali saranno, invece, gli obiettivi per il vostro e il tuo futuro? «Per quanto riguarda la squadra la base è rimanere in questa categoria. Però questo non toglie che con il lavoro si possano raggiungere anche obiettivi più

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avviato circa quattro anni fa il progetto Be Brave proprio per lo sviluppo del calcio femminile. Già mi ero mossa prima del Mondiale per sviluppare di più il calcio a 5 femminile e proporlo alle bambine. Spesso il problema principale è che non viene proprio proposto perché considerato uno sport, erroneamente, prettamente maschile. Su questo dobbiamo lavorare molto anche se, devo essere sincera, le cose stanno cambiando in modo evidente, segnale che ci fa guardare al futuro con ottimismo». alti. Secondo me è un campionato molto equilibrato e ce la potremo giocare con tutti. L’obiettivo primario, che è anche il mio personale, è quello di crescere e migliorarsi. Siccome ci sono tutti gli ingredienti per farlo sono convinta che potremo far bene». Come vedi il futuro del calcio a 5 e del calcio femminile in Italia? «Negli ultimi anni penso ci sia stata una grandissima evoluzione, anche grazie al boom del Mondiale di calcio a 11 femminile: penso che lì si sia segnato un momento di passaggio e un grosso cambiamento. Però siamo ancora distanti da quella che è la parità di genere in ambito sportivo. Comunque ci sono stati dei grossi passi in avanti e questo bisogna riconoscerlo. Personalmente ho

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Psicologia sportiva

Dr. Tommaso Franzoso Psicologo dello Sport - Sport Mental Trainer Venezia Soccer Academy e Venezia FC

Psicologia dello sport e disabilità: incontro di sogni ed emozioni

L’

articolo che mi accingo a scrivere, vuole essere un passo verso una riflessione per parlare di sport, disabilità e

psicologia. Lo sport come contesto educativo e di crescita anche nella disabilità permette di conoscersi e riconoscersi come atleti ma soprattutto come persone. Questo fa attivare uno spazio di condivisione e di esperienze uniche, ricche di sogni ed emozioni. Il tutto mette in gioco sia l’aspetto delle competenze tecniche ma anche quelle psicologiche. Il cercare di potenziare le proprie capacità fa si che si possa raggiungere gli obiettivi di migliorare sé stessi e la propria consapevolezza in ambito sia sportiva ma anche e soprattutto personale. Ecco perché il binomio psicologia dello sport e disabilità è un incontro della normalità fatto di emozioni e di sogni che solo se condivisi con l’ambiente circostante, diventano importanti per l’atleta. In linea generale, una pratica sportiva può aiutare sensibilmente qualsiasi essere umano sotto vari aspetti, da quello fisico a quello psicologico, per arrivare a quello socio-relazionale. Infatti, fare sport è un’opportunità di rendersi protagonisti e andare oltre i propri limiti. Cercare di far sì che ci sia una continuità della prestazione, una capacità di riprendersi dalle sconfitte per rendersi consapevoli di ciò che si vuole e si deve migliorare ed infine entrare in

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un’ottica di fiducia sia verso sé stessi e di chi circonda l’atleta. Queste variabili qui sopra riportate, ci introducono e ci danno il termometro di quanto sia importante la relazione e il pensiero sulla tematica della psicologia dello sport e

disabilità. Nelle persone con disabilità ma, non solo, i benefici dello sport risultano ancora più importanti in quanto permettono all’individuo di uscire da schemi e muri mentali, di diminuire le


emozioni negative (come ansia, stress e depressione) e di migliorare le capacità di risposta agli stimoli. Insomma, la pratica sportiva permette di conoscere meglio se stessi e il proprio corpo, anche in rapporto al mondo circostante, tanto da far emergere e affinare le proprie risorse, potenzialità ed emozioni, così come i propri limiti. Inoltre, aiuta la persona a gestire al meglio le situazioni di crisi. Tutto ciò accade perché la pratica sportiva è in grado di dare degli strumenti adeguati per sperimentare sé stessi in contesti del tutto nuovi e inaspettati. Oltretutto, fare sport permette di migliorare la concentrazione e la creatività, acquisendo così una maggiore consapevolezza di sé e di ciò che siamo in grado di fare, limiti compresi. Alla base di tutto ciò c’è l’impegno a crearsi degli obiettivi per poterli raggiungere con le proprie forze e, nel caso di insuccesso, saper accettare la sconfitta e andare avanti, proseguendo lungo il proprio percorso senza arrendersi alle prime difficoltà. Praticare uno sport aiuta la persona sia normodotata che con disabilità a mettersi in gioco in contesti sociali veramente importanti, fatto di relazioni, socialità e ‘gerarchie’. Sul lato sportivo, ad esempio, l’individuo comincia a comprendere l’importanza di far parte di un team, di ascoltare i consigli di

necessarie, partendo dalle più semplici per poi aumentarne la complessità. Al contempo, è fondamentale che il tecnico sappia riadattare la propria programmazione per rispettare le possibilità, le capacità e i tempi di apprendimento del soggetto. Proprio per tutto quello che si è scritto in precedenza la psicologia dello sport si integra con la disabilità come negli atleti normodotati. L’approccio si differenzia nell’utilizzo delle tecniche a seconda della persona, dell’atleta e della squadra ma, lo sviluppo e la dimensione sul campo sono le stesse. Ogni atleta con la propria dimensione nella disabilità può esprimere e realizzare sogni ed emozioni, sviluppare intelligenza sportiva per riuscire in ciò che spesso sembra irrealizzabile (vedi ultime paraolimpiadi…), alzando l’asticella fino a farla sfociare nel toccare il cielo con un dito, raggiungendo qualcosa che alla fine risulta possibile. Infatti, il riconoscimento di noi stessi passa anche nel rispecchiamento verso queste persone, senza timore e sapendo che la normalità sta nella disabilità come la disabilità sta nella normalità e che se lo sappiamo allora il tutto diventa unico e speciale. E allora la domanda è cosa aspettiamo a farne la quotidianità? … l’ardua sentenza ai posteri …

un allenatore, di consapevolizzare l’importanza di rispettare le regole e di cogliere il valore della disciplina. Sul lato puramente umano, invece, la persona si mette in gioco nella costruzione di nuovi rapporti sociali, che lo aiuteranno anche Un ringraziamento speciale all’Avvocato nella co – costruzione di una sua identità Tania Busetto e ad Alberto Cristani per personale. la collaborazione. Un grazie speciale a La dimensione tecnica e psicosociale si Christian Leon per condiviso con noi il intrecceranno costantemente durante suo tempo speciale e il suo contagioso l’attività sportiva e saranno fenomeni sorriso. che l’atleta, il tecnico e la squadra (nel caso di attività di gruppo) affronteranno insieme. In queste relazioni, infatti, si concretizzeranno sia l’apprendimento del gesto atletico, sia la possibilità per il disabile di sperimentare maggior confidenza nelle proprie capacità e la possibilità di interagire con altre persone. In questa prospettiva, quindi, è necessario che atleta e tecnicosquadra costruiscano un clima di lavoro positivo, improntato alla collaborazione reciproca e alla conoscenza delle caratteristiche individuali di ogni persona coinvolta. L’apprendimento del gesto atletico è un processo graduale ed è necessario che l’allenatore prepari la propria attività pensando di sostenere la persona a fare progressivamente proprie tutte le competenze Christian Leon insieme alla mamma Tania

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Foto: Benjamin Pfitscher, Oskar Verant, Alex Filz, Frieder Blickle

Passo di Resia: benvenuto inverno! 110 / SdP


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A CURA DELLA REDAZIONE

a Val Venosta si prepara a vivere un inverno da protagonista indiscussa, con particolare riferimento al mondo dello sci di fondo e delle altre discipline tipiche della stagione più fredda dell’anno. Gerald Burger, direttore dell’associazione turistica Passo di Resia, ci spiega come procedono i preparativi per poter accogliere turisti e appassionati sulle piste, una stagione che segna, di fatto, la ripresa pressochè totale dell’attività sciistica dopo gli stop imposti dall’emergenza Covid. “Ci siamo preparati in maniera adeguata” – spiega Burger – “ed ora siamo pronti ad affrontare l’inverno 2021/2022. Ad inizio novembre è scesa la prima neve di stagione, con 50 centimetri accumulati. Siamo famosi per essere la valle delle mele, per la presenza del passo dello Stelvio e per il campanile che fuoriesce dal lago di Resia, ma abbiamo anche numerose risorse per gli sportivi, a cominciare dalle piste destinate alla pratica dello sci di fondo con 7 tracciati in totale, che si snodano anche oltre il confine con Austria e Svizzera, per un totale di quasi novanta chilometri di superficie sciabile”.
Non è tutto: in val Martello sorge anche un centro di biathlon celebre e attrezzato, ma non viene trascurata neppure l’opportunità di consentire a chiunque la pratica dello scialpinismo o di prendere parte a suggestive ciaspolate immersi nella natura incontaminata.
Suggestiva, poi, la possibilità

di pattinare sul lago ghiacciato, senza ovviamente dimenticare gli impianti di risalita per gli amanti dello sci alpino e dello snowboard.
 “Il nostro è un territorio interessante anche per le famiglie” – prosegue Burger – “in quanto non è tra i più affollati a livello turistico e quindi incarna il giusto mix per chi è alla ricerca del luogo ideale in cui trascorrere qualche giornata in serenità. Abbiamo un ventaglio di offerte turistiche e sportive per tutti i gusti, con strutture ricettive di alto livello e che puntano molto sul wellness”. La Val Venosta ospita spesso atleti famosi, che frequentano i circuiti più prestigiosi delle competizioni invernali. “Molti fondisti e professionisti del biathlon” – ha precisato Burger – “transitano nei nostri centri ad alta quota. Questo accade anche d’estate, in quanto da noi si può girare in mountain bike o correre tra le vette. Abbiamo una meravigliosa pista ciclabile asfaltata, che va da Merano sino al Passo Resia. Siamo proprio al centro del triangolo immaginario tra Austria, Italia e Svizzera, dunque raccogliamo sportivi di nazionalità diverse”. Intanto, il 15-16 gennaio 2022 tornerà l’appuntamento con una nuova edizione de La Venosta, gara di sci di fondo inserita nel circuito Visma Ski Classic e capace ogni anno di raccogliere centinaia di adesioni. L’inverno in Val Venosta, insomma, è già iniziato.

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S SPO RT BO O K

Il ritorno degli dei

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opo il successo de La cena degli dei, Marino Bartoletti presenta questo nuovo romanzo con protagonisti altri campioni sportivi. Ormai si era sparsa la voce: nel Luogo, a casa del Grande Vecchio, c’era la possibilità di fare incontri sbalorditivi, rivivere emozioni indimenticate, provare sentimenti autentici. E seppure Francangelo, il suo assistente, faceva buona guardia, il senso dell’amicizia e il desiderio di calore umano alla fine avevano avuto il sopravvento. Ed ecco allora varcare quell’uscio personaggi spesso “distanti” fra loro, a volte persino con fama di “peccatori”. Tutti egualmente

di Marino Bartoletti

grandi, e accomunati, forse, dalla mancanza di un’ultima carezza non ricevuta: il fuoriclasse che se n’era andato in una disperata solitudine, il campione garbato che aveva riunito un Paese nella gioia, la sublime cantante piegata dalle calunnie, il maledetto poeta della musica, la biondissima star dalla micidiale simpatia adorata in due continenti... Per qualcuno di loro c’era anche in serbo un’opportunità non solo assolutamente inattesa, ma quasi miracolosa! A

Pablito sarebbe stato concesso di tornare sulla Terra per contribuire.

DETTAGLI Prezzo: Euro 16,50 Editore: Gallucci Data pubblicazione: 18.11.2021 Pagine: 370

Girlz vs Boyz di Eliselle

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uello scritto da Eliselle è un romanzo per ragazzi, avvincente ed educativo, che tratta il tema della parità di genere nello sport e più in particolare nel calcio. La storia è centrata su una ragazza, Stella, che sfida gli stereotipi e decide di gareggiare contro il fratello, Frances, nello stesso sport che appassiona entrambi sin da quando erano

piccoli: il calcio. Come spesso accade, il padre dei due ragazzi ha sempre incoraggiato Frances, il più grande ed esuberante, a giocare a calcio e ha sempre pensato che quella di Stella, più timida e chiusa, fosse una «passione riflessa» dovuta all’ammirazione per il fratello. Eppure, Stella non ha mai smesso di allenarsi e di giocare in una squadra femminile della sua città, diventando la migliore bomber in circolazione. Arrivata, però, a una svolta importante per la sua carriera, Stella si ritrova ostacolata dal fratello, che cerca di sminuire i suoi risultati davanti a tutti,

compreso il ragazzo di cui è innamorata. Lei non ci pensa due volte e lo sfida a giocare una partita di calcio tra le proprie squadre, femmine contro maschi: chi vincerà? DETTAGLI Genere: libro per ragazzi (+11) Editore: Einaudi Ragazzi editore (www. edizioniel.com) Pagine: 288 Data pubblicazione: 2020 Prezzo: 10,00 Euro

Valentino Rossi. La biografia di Stuart Barker

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alentino Rossi è un'icona: il motociclista di maggior successo, più famoso e più amato di tutti i tempi, che ha eccelso nella MotoGP diventandone il volto e l'emblema, grazie al suo coraggio, alla sua audacia, alla sua simpatia. Non c'è mai stato un motociclista come lui prima d'ora. Dopo aver

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corso per ventisei anni, fatto senza precedenti in questo sport, Valentino ha annunciato il suo ritiro. Nonostante sia di gran lunga il pilota più popolare in uno sport che è seguito da 230 milioni di persone in tutto il mondo, gran parte della carriera di Rossi non è mai stata raccontata in un libro completo. Stuart Barker documenta tutta la storia sportiva di Valentino corsa dopo corsa, attraverso decine di interviste esclusive con le persone che hanno fatto parte della sua vita, dall'inizio alla fine: il primo compagno di squadra nel campionato

italiano, Andrea Ballerini, il feroce rivale, Sete Gibernau, il compagno di squadra Yamaha, Colin Edwards, il fidato caposquadra, Jerry Burgess, e molti, molti altri... DETTAGLI Collana: varia Prezzo: 19 euro Editore: Giunti Editore Data pubblicazione: 06.10.2021 Pagine: 368



Foto: MMA Fighters Legnago

I NTERVISTA urano a L e id v a D

MMA Fighters Legnago, fucina di talenti e di benessere Parlaci un po’ della MMA Fighters Legnago… «Siamo affiliati ad una grande scuola, l’Italian Defence Academy di Mantova; io sono uno dei due istruttori insieme a Roberto Mammina. Abbiamo circa una cinquantina di iscritti e facciamo corsi sia per bambini che per adulti. Come discipline MMA si convogliano dalla lotta a terra Brasilian Jiu Jitsu alle tecniche di Box con le braccia, dalle tecniche di Muay Thai con i gomiti fino a quelle di Kick Box con i calci». Quali saranno i prossimi appuntamenti dei suoi fighters? «A dicembre combattono due miei ragazzi all’Apocalypse di Mantova: uno a contatto pieno (21 anni) e uno a contatto leggero (16 anni). Per noi si è appena riaperto il calendario sportivo quindi siamo in attesa di altre date. Dal punto di vista del Bodybuilding abbiamo per questa primavera 2/3 ragazzi nella categoria Bikini e un ragazzo che parteciperà alla Notte dei Campioni a Verona a metà novembre».

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JACOPO PELLEGRINI

avide Laurano ha una passione da quasi 30 anni e, dopo così tanto tempo, conosce molto bene il modo delle Arti di Combattimento e del bodybuilding. Una quindicina di anni fa nasce la sua Associazione Sportiva, la MMA Fighters Legnago, e da allora porta avanti con dedizione l’istruzione dei suoi allievi sia per quello che concerne il combattimento che per quello che fa parte del comportamento che un atleta deve avere sia dentro che, soprattutto, fuori dalla palestra. Il suo motto d’altronde parla chiaro: “Nella mia scuola

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ci tengo sempre a precisare la Disciplina e il rispetto delle Regole”. Davide, quando nasce la sua passione per il mondo del Fit e del Bodybuilding? «Ho iniziato all’età di 16 anni, circa 28 anni fa. Ho iniziato ad allenarmi in palestra sia nel mondo del Bodybuilding che delle Arti Marziali». Sei anche istruttore K1 e di MMA… «Sì, sono sia Personal Trainer sia istruttore di MMA; con la prima attività ho iniziato per passione e poi è diventato il mio lavoro, mentre per quanto riguarda l’MMA la passione si è trasformata in professione circa 15 anni fa con la nascita della mia associazione sportiva».

Obiettivi per il futuro? «Cercheremo sicuramente di ingrandirci sempre di più e di riuscire a portare i ragazzi a livelli sempre più alti». Che futuro prevedi per MMA, K1 e, in generale, per tutte le Arti di Combattimento in Italia? «Attualmente sono degli sport abbastanza di moda, non tanto per il combattimento (degli allievi iscritti alla MMA Fighters Legnago solo il 2-3% combatte n.d.r.) ma soprattutto per la preparazione fisica. Ci sono circuiti funzionali di Crossfit e tanta gente viene anche solo per dimagrire o mantenersi in forma. La preparazione fisica è molto di moda perché molto intensa. Per quanto riguarda il futuro di queste discipline vedo senza dubbio un movimento in crescita».



F I N A NZ A

Consigli in... Corso Daniele Corso

TOP Global Family Banker

La sfida climatica nell’evoluzione dell’economia globale

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DANIELE CORSO

egli ultimi quarant’anni la battaglia contro i cambiamenti climatici è stata combattuta in un contesto di relativa indifferenza, se non di scetticismo, da parte di consumatori ed elettori in tutto il mondo. Finora, l’opinione pubblica, l’industria e la politica non sono apparsi allineati in termini di volontà di innescare un cambiamento significativo a favore della riduzione delle emissioni e dell’adozione di pratiche sostenibili. Le aziende hanno stentato a sviluppare le innovazioni tecnologiche necessarie a contrastare efficacemente i cambiamenti climatici. Ora abbiamo raggiunto un punto di svolta in cui il supporto della classe politica, dei consumatori e della tecnologia non è mai stato così vasto e unito. Tutto ciò innescherà una rivoluzione verde, trasformando il nostro attuale modo di vivere con la velocità della rivoluzione digitale e su una scala paragonabile a quella della rivoluzione industriale. I cambiamenti climatici e le loro devastanti implicazioni non sono una novità. Dalla presentazione dei primi dati concreti sull’assottigliamento dello strato di ozono, negli anni Settanta, le comunità scientifiche e ambientali si sono trovate in disaccordo con politici e industriali su cosa occorresse fare. Negli ultimi quarant’anni questa battaglia è stata combattuta in un clima di relativa indifferenza, se non di scetticismo, da parte di consumatori ed elettori in tutto il mondo. Fino ad ora. L’ultima manifestazione di uno sforzo internazionale concertato per affrontare il problema del riscaldamento globale e ridurre le emissioni di CO2 è l’Accordo di Parigi del

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mente i 3°C entro il 2100.1 Al fine di limitare l’innalzamento della temperatura terrestre a 1,5°C, l’evidenza scientifica suggerisce che le emissioni di CO2 (CO2e) debbano essere mantenute al di sotto dei 25 gigaton (Gt) da qui al 2030. Sulla base delle attuali politiche degli Stati membri, le emissioni raggiungeranno circa 50 Gt CO2e entro tale data, ossia il doppio dell’obiettivo ambientale.2

2016. Il suo principale obiettivo è quello di contenere l’aumento della temperatura media globale nettamente al di sotto di 2°C rispetto ai livelli preindustriali e proseguire gli sforzi per limitare l’innalzamento della temperatura a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali entro il 2030, riconoscendo che ciò ridurrebbe notevolmente i rischi e l’impatto dei cambiamenti climatici. Tuttavia, se faremo affidamento solo sugli impegni assunti a livello nazionale per contrastare i cambiamenti climatici, è molto probabile che il riscaldamento globale superi tali obiettivi, raggiungendo potenzial-

Per raggiungere l’obiettivo di contenimento del riscaldamento globale a ≤1,5°C stabilito dall’Accordo di Parigi, occorrerà ridurre di circa il 50% le emissioni di gas serra entro il 2030. Il problema di un millennio. La soluzione dei Millennial Per molti anni, la generale indifferenza nei confronti dei cambiamenti climatici e la convinzione che altri avrebbero risolto il problema hanno condotto a una diffusa inattività. Ma oggi le generazioni più giovani, con i Millennial in testa, sono sempre più consapevoli delle potenziali conseguenze di questa inazione e hanno un punto di vista differente. Essendo cresciuti in un’epoca di maggiore

Fonte: Sustainable Brands Survey 2015: Millennials and Women Leading the Sustainable Investing Charge. A soli fini illustrativi.


coscienza ambientale, con una prospettiva globale facilitata dalla tecnologia e una consapevolezza più diffusa del destino del pianeta, gli appartenenti a queste generazioni invocano un cambiamento urgente per proteggere il loro futuro e quello dei loro figli. I Millennial sono disposti a pagare di più per la sostenibilità e lo dimostra questa indagine:

circolare, i processi di cattura del carbonio e gli alimenti a base vegetale. In un contesto in cui la scalabilità commerciale sta diventando realtà in queste industrie, possono svilupparsi da un giorno all’altro settori da miliardi di Dollari che, oltre a migliorare la sostenibilità, offrono anche potenziali opportunità di investimento estremamente interessanti.

La tecnologia arriva in soccorso In aggiunta all’inazione politica e sociale, le aziende hanno stentato a sviluppare le innovazioni tecnologiche necessarie a contrastare efficacemente i cambiamenti climatici. Fino ad ora. L’innovazione tecnologica svolge un ruolo cruciale nella facilitazione della transizione industriale verso un futuro sostenibile e a basse emissioni. Ora, in piena era digitale, è assai probabile che l’innovazione e lo sviluppo di nuove soluzioni subiscano un’accelerazione. Le curve dei costi spiegano spesso come una tecnologia vista solo nei film di fantascienza sia arrivata nella vita reale. Ai loro esordi, le fonti di energia rinnovabile e i veicoli elettrici hanno dovuto servirsi di scorciatoie per farsi strada, spesso grazie al supporto dei governi. Tuttavia, nell’ultimo decennio sia le rinnovabili sia le batterie per veicoli elettrici hanno raggiunto la parità di costi, diventando persino più competitive in termini di costi dei loro vecchi nemici: il carbone, il petrolio e il motore a combustione interna.6 Oggi si sta osservando ad una riduzione delle curve dei costi in tutti i settori della green economy, comprese le soluzioni di economia

Investire nel Pianeta A Poiché non esiste un Pianeta B, è importante concentrare gli investimenti sul pianeta in cui noi tutti viviamo. Il nostro mondo ha bisogno di un modello di crescita sostenibile da un punto di vista ambientale. Nell’ambito di questa transizione, è importante che la Finanza faccia arrivare i capitali necessari alle società innovative attivamente coinvolte nella risoluzione di alcune delle sfide future. Tra queste figurano, ne sono esempio, le aziende che operano nelle aree dell’energia pulita, dell’efficienza delle risorse, del consumo sostenibile, dell’economia circolare e della sostenibilità idrica. Le società più innovative allineate con queste ed altre tematiche, possono essere ben posizionate per guidare la rivoluzione verde e beneficiare di una dinamica particolarmente positiva della domanda. Anche in un mondo senza stimoli governativi mirati, l’universo degli investimenti verdi non scomparirà. Gli investitori si trovano quindi in una posizione unica per puntare su una storia di crescita pluridecennale che può condurre a una maggiore sostenibilità ma anche a maggiori rendimenti.

DANIELE CORSO

Consulente Finanziario Cellulare +39 348 2908888 Mail: daniele.corso@bancamediolanum.it

Articolo Publiredazionale Il presente documento ha esclusivamente finalità informative, pertanto non costituisce un’offerta o raccomandazione ad investire in prodotti finanziari e non è stato realizzato in relazione a tale tipo di offerta. ESG: definizione e significato L’acronimo ESG sta per Environmental, Social, Governance si utilizza in ambito economico/finanziario per indicare tutte quelle attività legate all’investimento responsabile (IR) che perseguono gli obiettivi tipici della gestione finanziaria tenendo in considerazione aspetti di natura ambientale, sociale e di governance, per l’appunto.

Fonte: Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC), ad agosto 2021 2 Source: Climate Action Tracker, as of May 2021. For illustration purposes only. 3 Fonte: Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) delle Nazioni Unite, ad agosto 2021. 4 Fonte: Deloitte Global Millennial Survey 2019. A soli fini illustrativi 5 Fonte: Sustainable Brands Survey 2015: Millennials and Women Leading the Sustainable Investing Charge 6 Fonte: BloombergNEF – Electric Vehicle Outlook, 2020. A soli fini illustrativi. “MCI” è l’abbreviazione di motore a combustione interna. Le previsioni economiche e di mercato contenute nel presente documento hanno finalità informative e sono aggiornate alla data di questa pubblica 1

Viale Europa, 1 – Primo Piano 37024 Negrar di Valpolicella (VR) Iscrizione Albo Consulenti Finanziari N. 013714

“Daniele Corso ha conseguito la Certificazione EFPA ESG ADVISOR rilasciata dall'ente EFPA (European Financial Planning Association), la più rappresentativa associazione professionale europea per i Consulenti Finanziari. L'obiettivo di tale certificazione è ampliare le conoscenze tecniche di strumenti e prodotti finanziari che rispettino criteri di sostenibilità. L’elevata capacità di rispondere in maniera sempre più adeguata e qualificata ai bisogni dei nostri clienti, attraverso la pianificazione finanziaria, si affianca alla volontà di favorire comportamenti virtuosi per l’intera collettività. Questo significa che le scelte attinenti alla sfera finanziaria potranno essere finalizzate anche a generare un impatto ambientale e sociale positivo.”

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Foto: M. Gregolin

SPO RT LI FE

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antere da record!

A CURA DELL’UFFICIO STAMPA PROSECCO DOC IMOCO VOLLEY

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on la 74° vittoria consecutiva conquistata lo scorso 21 novembre, la Prosecco DOC Imoco Volley ha superato le 73 del Vakifbank (2012/14) scrivendo il nome di Conegliano su un record destinato ad entrare nella leggenda della pallavolo mondiale. Dal 12 dicembre 2019 (sconfitta a Perugia), le gialloblu hanno centrato solo vittorie in qualsiasi manifestazione nazionale, continentale e mondiale. Dopo il successo al Palaverde con Trento la Prosecco DOC Imoco Volley Conegliano è la squadra di club al Mondo con la striscia di vittorie consecutive più lunga. Dopo la partita dove le Pantere hanno fatto valere la legge della capolista contro il fanalino di coda Delta Despar Trento, si è scatenata la festa per le campionesse, lo staff, la società e il pubblico che sono stati tutti protagonisti di questa epica cavalcata durata quasi due anni, che ha visto Conegliano in modalità-schiacciasassi scrivere il suo nome nel Guinness per un record entusiasmante. Foto ricordo, cori, brindisi con il Prosecco DOC, giro di campo, interviste per tutti i net-

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work nazionali nella fantastica serata del Palaverde, un’altra pagina di storia scritta da un gruppo unico. «Ci piaceva regalare una giornata particolare ai 3200 tifosi arrivati al Palaverde” – ha spiegato a fine partita coach Daniele Santarelli – “e volevamo che oggi fosse una grande festa per tutti. Ho voluto dare spazio a tutte le persone che ci hanno regalato le soddisfazioni di questi due anni. Ringrazio le persone che ci hanno aiutati in questi anni, perché quello che abbiamo fatto è merito di tutti, nessuno

escluso. Stiamo crescendo, ci stiamo allenando meglio e sono contento, perché ci siamo tolti questa grande soddisfazione. Credo di non aver mai avuto pressioni così forte come per questo record. Una pressione superiore a quella di tutti i trofei vinti in questi tre anni». Questo il tabellino della storica partita

PROSECCO DOC IMOCO vs DELTA DESPAR TRENTO 3-0 (25-13, 25-11,25-20) Prosecco DOC: Wolosz, Egonu 13, Plummer 10, Omoruyi 11, De Kruijf 5, De Gennaro, Folie 7, Frosini 2, Gennari, Butigan 1, Caravello, Sylla ne, Vuchkova ne, Bardaro ne. All.Santarelli Delta: Piani 6, Raskie, Nizetich 3, Rivero 3, Moro, Mason 6, Rucli 2, Piva 2, Stocco, Furlan 2, Botarelli 2, Berti 5. All. BertiniArbitri: Piperata e Cerra Spettatori: 3200-sold out - Durata set: 21′,22′,27′ Note: Errori battuta: Conegliano 6, Trento 15; Aces:5-1; Muri 8-3. MVP: De Gennaro


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Foto: Gianni Bellini

I NTERVISTA llini Gianni Be

The King of Figu in Sud America hanno già iniziato a pubblicare album sulla futura Coppa del Mondo che si disputerà fra un anno esatto…». Che anno è stato il 2021 a livello di nuove collezioni? C’è n’è stata qualcuna che ti è piaciuta in modo particolare? «Il 2021 è stato collezionisticamente parlando normale. Le raccolte uniche sono invece uscite lo scorso anno per eventi mai disputati come i Campionati Europei e la Coppa America: praticamente sono usciti due album (uno nel 2020 e uno nel 2021 n.d.r.) per la stessa manifestazione, anche se con grafiche diverse: sarà curioso fra qualche anno mostrare le raccolte di manifestazioni mai disputate». Per quanto riguarda invece collezioni vintage, hai incamerato ancora qualche pezzo particolare o addirittura unico? «Quest’anno è successa una cosa davvero incredibile: sono riuscito a trovare una raccolta vintage che mi mancava, una raccolta nemmeno troppo datata – ovvero l’album di Italia 90 – ma uscita in Messico. Alcuni anni fa avevo visto questo album casualmente e pensavo fosse un fotomontaggio della copertina. Invece l’ho ritrovato, ho chiesto informazioni e quindi acquistato. Della serie: nel collezionismo tutto si trova!».

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ALBERTO CRISTANI

a passione di Gianni Bellini per le figurine che non conosce confini. SportdiPiù Magazine ne ha parlato approfonditamente sul numero 63 dedicandogli una lunga intervista nella quale veniva narrata la genesi di questa pazzesca collezione, ormai considerata la più importante a livello mondiale. Nonostante siano ancora molte (anzi moltissi-

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me…) le figurine da attaccare, new entry arrivano quasi quotidianamente, dalle più disparate zone del globo, a casa Bellini. Ecco perché, a distanza di un anno, siamo tornati da Gianni per capire cosa bolle in pentola in vista del nuovo anno. Gianni, come procede la tua ‘collezione museo’? «La collezione è sempre in continua evoluzione, come è giusto che sia. Le figurine non si fermano mai: pensa che

La tua collezione è ormai diventata un cult a livello mondiale: qual è stata ad oggi l’intervista più curiosa e imprevedibile che hai rilasciato? «Sono stato intervistato da giornalisti di tutto il Mondo, ma l’intervista più curiosa è stata quella di un ragazzo di Milano che ha fatto una tesi di laurea sul mondo delle figurine ed ha pensato di dedicarmi un paragrafo della tesi stessa. Per me è stata una cosa tanto inaspettata quanto gratificante, una soddisfazione unica. Unico cruccio: non aver potuto assistere di persona alla discussione della tesi perché, causa Covid, si è svolta online. Un vero peccato…».


Per il 2022 cosa bolle in pentola? «Anche il 2022 si preannuncia un anno interessante. Fra dicembre e gennaio sarò a Perugia con un evento dedicato al Calcio Perugia 1978-79 (formazione allenata da Ilario Castagner che, imbattuta, terminò al secondo posto alle spalle del Milan di Nereo Rocco n.d.r.) con un focus speciale sul compianto Renato Curi. Dal 4 febbraio al 6 marzo sarò ad Arezzo con una mostra per festeggiare i 40 anni dalla vittoria della nostra Nazionale ai Mondiali di Spagna 82. Finito ad Arezzo mi trasferirò direttamente a Villafranca di Verona: qui partiremo il 12 marzo per chiudere il 10 aprile. La cosa particolare dell’evento di Villafranca è quella che l’8 marzo, in occasione della festa della donna, faremo un dibattito tutto al femminile, con annesse figurine. Successivamente tornerò sicuramente a Macerata in quanto il capoluogo marchigiano sarà una delle città Europee dello sport 2022. Durante i Mondiali invece sarò in un centro commerciale a Conegliano Veneto. Al momento queste sono le date certe: insomma non c’è da annoiarsi!». Il 2021 ti ha anche visto protagonista di mostre e iniziative in tutta Italia... «In effetti il 2021 è stato l’anno della ripresa dei miei eventi. Dal 4 giugno al 22 agosto sono stato al Museo della figurina di Modena con una mostra sulla storia degli Europei di calcio, una primizia con album inediti. Contemporaneamente ero a Mirandola e sull’appennino Modenese, per la

precisione a Montese, con altre mostre sempre riguardanti la Nazionale. A fine agosto sono stato quattro giorni in provincia di Avellino con una mostra sulla squadra irpina e in contemporanea ho presentato anche il libro 500 figu per un Bordon. Infine dal 5 al 10 ottobre sono stato a Macerata, al prestigioso Overtime festival. Insomma finalmente abbiamo ripreso a viaggiare. E alla grande!».

Gianni, in chiusura, svelaci un segreto della tua collezione che non hai mai confidato a nessuno... «Nessun segreto ma una certezza: per restare a questi livelli di collezionismo bisogna sempre rimanere documentati, essere attorniato da persona di massima fiducia, avere tanta pazienza e soprattutto non deve mai passare la voglia di fare e collezionare. E, per quanto mi riguarda, dopo quarant’anni di onorato servizio, credo che ciò non potrà mai accadere!».

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Foto: Verona Marathon

magazine

EVENTI

media partner ufficiale

Bentornata

Christmas Run!

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CESARE MONETTI

rande fermento dietro le quinte di Gaac Veronamarathon 2007 Asd, società organizzatrice che da ormai venti anni cura la realizzazione di un evento di grande successo, come la Hoka Verona Marathon che si è svolta lo scorso 21 Novembre insieme a 7^ Zero Wind Cangrande Half Marathon e Avesani Last 10 k. Il 2021 si chiuderà il 19 dicembre con la tradizionale Melegatti Christmas Run Verona, la corsa dei “babbi Natale” che porteranno allegria e calore nel centro di Verona. Un appuntamento che si rinnova da diversi anni e che nemmeno la pandemia ha interrotto grazie alla ferma volontà di Veronamarathon Asd di trasformarlo, nel 2020, in edizione virtuale. Un successo oltre ogni aspettativa, una manifestazione di fiducia nei confronti della società organizzatrice ma anche di voglia di sport e goliardia, testimoniato dagli oltre 1500 ‘babbi e ‘babbe’ che hanno portato il cuore di Verona per le strade di tutto lo Stivale.

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Partenza alle ore 9 del 19 dicembre da Piazza Bra, in pieno centro di Verona, per un giro da 5km o, per i più allenati, due giri per totale 10km. Al termine della corsa, si brinderà non solo alle festività natalizie ma anche alla ritrovata possibilità di correre e festeggiare tutti insieme, pur nel rispetto delle normative sanitarie. Festa in Piazza. L’azienda dolciaria veronese Melegatti che ha inventato, nel 1894, il nome, la forma e la ricetta del Pandoro, è da anni a fianco di Verona Marathon e della sua Christmas Run. La qualità delle materie prime, la lavorazione secondo l’antica ricetta tramandata da Domenico Melegatti e la mission aziendale di voler soddisfare sempre il cliente sono alla base del successo dei prodotti. Saranno i prodotti Melegatti a dare quell’ulteriore pizzico di magia alla giornata grazie ai golosi doni sia da gustare in piazza che da mettere sotto l’albero di Natale, per assaporarli in famiglia. E per tutti una ghiotta novità dell’azienda dolciaria.

Pacco gara. Come da tradizione ogni partecipante iscritto avrà in omaggio un pacco gara composto da prodotti Melegatti, Bottiglia Cantina Valpantena, Cofanetto Prodotti Avesani e Merlini Funghi. Iscrizioni e vestito Babbo Natale. È possibile iscriversi online sul sito ufficiale www.veronachristmasrun.it/, presso i negozi “Decathlon” di San Giovanni Lupatoto (Vr) e di Dossobuono di Villafranca (Vr) e in Piazza Bra nelle giornate di Sabato 18 dicembre dalle 10.00 alle 19.00 e Domenica 19 dicembre dalle 7.00 alle 9.00.

Le quote di iscrizione comprendono: • Euro 6.00 Ragazzi under 18 (gratis fino a 10 anni compiuti) con Pettorale, Cappellino di Babbo Natale e Pacco Natale (no vino); • Euro 12.00 Adulti con Pacco Natale e pettorale; • Euro 18.00 Adulti con vestito da Babbo Natale, pacco Natale e pettorale. Info: https://www.veronachristmasrun.it


www.veronachristmasrun.it


Foto: Federazione Italiana Pesistica

EVENTO

che

S

forza!

MICHELA TONINEL

i è svolto nel migliore dei modi il lungo e impegnativo appuntamento sportivo-culturale pesistico, per la Fondazione Marcantonio Bentegodi e la Federazione Italiana Pesistica nazionale e regionale, impegnati con il convegno internazionale, venerdì 5 novembre e i campionati italiani under 15 di pesistica, sabato 6 e domenica 7 novembre. Ottima la riuscita del convegno, al Palazzo della Gran Guardia, con la Sala Convegni gremita, grazie anche alla numerosa e qualificata presenza dei Licei Sportivi della città, Galilei, Copernico-

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Verona...

Pasoli e Seghetti e l’istituto Montanari, presenti con circa 150 studenti e i loro rispettivi docenti di educazione fisica, tutti molto interessati alle tre presentazioni degli illustri e qualificati relatori, improntate sul tema “Cosa significa allenare i giovani oggi” e con specifici riferimenti e approfondimenti sull’allenamento della forza nella giovane età. Giuseppe Coratella, dell’università degli studi di Milano, ha presentato “La forza nei giovani: da problema a necessità”, Alexandru Padure, membro del consiglio della federazione europea di pesistica, ha parlato di “Una esperienza nei processi di selezione nei giovani pesisti in Romania” e Antonio Urso, presidente nazionale

della Federpesistica, ha affrontato il tema specifico dell’intero convegno. Presente anche la pesista azzurra, Giorgia Bordignon, vice campionessa olimpica e medaglia d’argento alle recenti Olimpiadi di Tokyo 2020, premiata dal Comune di Verona, con una speciale targa al merito sportivo. Sabato e domenica successivi poi, il Centro Sportivo Bentegodi, ha ospitato le finali nazionali dei Campionati Italiani femminili e maschili di Pesistica, che ha richiamato nella nostra città i migliori 120 atleti under 15, in rappresentanza di 68 società e di 15 regioni d’Italia. I due eventi sono stati organizzati in collaborazione e con il patrocinio del


RDIENTI ITALIANI ESO CAMPIONATI ICA OLIMPICA

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NALE INTERNAZIO CONVEGNO enare i giovani oggi" all “Cosa significa

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Organizzatori

Main Sponsor i” Fondazione “M. Bentegod

Verona

Comune di Verona, assessorato allo sport, oltre alla Regione del Veneto, il CONI regionale, la Provincia di Verona e l’Ufficio Scolastico provinciale e con il sostegno di AGSM-AIM. Ai due appuntamenti sono intervenuti l’assessore allo sport Filippo Rando, il presidete del CONI regionale Dino Ponchio, la coordinatrice provinciale di Educazione Fisica Silvana Soraci e il presidente della Provincia Manuel Scalzotto; importanti presenze e partecipazione quelle del vice presidente

regionale dei medici sportivi, Alessio Micchi, dell’ordine regionale degli psicologi sportivi, con Michele Modenese, dei due Panathlon Club cittadini, dell’olimpionico di Los Angeles 1984 di atletica leggera, Luciano Zerbini e del presidente di Verona Volley Stefano Fanini. Due speciali momenti sono stati dedicati all’indimenticabile Maestro Raul Adami, per lunghissimi anni motore della pesistica bentegodina, regionale e nazionale, con la consegna di una targa alla memoria, nelle mani delle figlie Giovanna e Monica e le due pesiste bentegodine, azzurre e campionesse italiane, Carlotta Brunelli e Celine Ludovica Delia, attuali capofila della squadra agonistica della sezione pesistica della Bentegodi. Particolare nota di colore, la presenza alla cerimonia di apertura dei camponati, del 491° Papà del Gnoco e della sua Corte, che ha portato curiosità e allegria soprattutto agli atleti, tecnici e dirigenti ospiti, che hanno così avuto modo di conoscere ed apprezzare anche la nostra bella e ultracentenaria realtà carnascialesca, tra le più antiche d’Italia. La Federpesistica era presente con il presidente nazionale Antonio Urso, il vice presidente Giuseppe Minissale, il segretario generale Francesco Bonincontro, il presidente del Comitato Regionale veneto Andrea Missiaglia, il

suo vice, Umberto Milani e la Bentegodi, con il presidente Cristiano Tabarini, il vice presidente Maurizio Pavan e il direttore generale Stefano Stanzial. Particolari messaggi di saluto sono arrivati dal presidente della regione del Veneto Luca Zaia e dall’assessore allo sport regionale Cristiano Corazzari, dal Prefetto di Verona Donato Cafagna, dal Questore di Verona Ivana Petricca e dal Comandante il Comforer di Supporto, Massimo Scala. Le gare hanno poi riservato grandi e meritate soddisfazioni in casa Bentegodi, con la conquista di sette prestigiose medaglie, sei d’oro ed una di bronzo, con i tre giovanissimi quattordicenni, Elena Satta e Alessandro Ferrari, entrambi nuovi campioni d’Italia 2021, che hanno messo al collo rispettivamene tre ori, per lo strappo, lo slancio ed il totale, oltre alla medaglia di bronzo nell’esercizio di strappo di Luca Bellamoli. Immancabile grande gioia e soddisfazione per l’affiatato staff tecnico della Sezione Pesistica, con il nuovo direttore tecnico Fausto Tosi, olimpionico di Seul 1988, i tecnici Maria Vittoria Sportelli, Elena Fava, Luca Damian e Fabiola Mazzi e il responsabile della sezione Claudio Toninel, che ha abilmente coordinato l’intera organizzazione degli eventi, che hanno coinvolto circa 40 persone, tra atleti ed ufficiali di gara, impegnate a vario titolo e in vari ruoli e che hanno contribuito a fare della nostra bella città, la capitale nazionale della pesistica giovanile.

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BE A PRO la app che ‘ama’ il calcio

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GUGLIELMO M.

E A PRO è la prima app gratuita dedicata ai professionisti legati dal mondo del calcio e nei mesi scorsi è stata lanciata online per i sistemi Android e IOS. Dopo il lungo stop a causa del COVID-19 tante persone si sono trovate senza squadra e Dario Bergamelli, ex difensore dell’Hellas Verona nella stagione 2008/09, insieme all’amico Mattia Vigani, calciatore che milita in eccellenza e alla famiglia Gotti, hanno ideato la piattaforma per aiutare e supportare gli sportivi. L’ex gialloblù ci ha presentato il progetto. Dario, com’è nata l’idea? «Durante il lockdown della primavera 2020, nelle lunghe video chiamate con gli amici Mattia e Ian, ci siamo interrogati sul futuro di società e calciatori legati al mondo dilettantistico. Molti ragazzi non hanno un procuratore e solitamente, con l’arrivo dell’estate, arrivano le difficoltà. Con i contratti in scadenza o i mancati rinnovi, nelle chat whatsapp condivise con ex compagni o amici del settore, arrivano richieste e suggerimenti. Insieme al team abbiamo deciso d’investire per dare uno strumento innovativo e concreto, utile agli atleti, per rispondere alle nuove esigenze e supportare gli sportivi in difficoltà». Come si è concretizzata? «Abbiamo sfruttato il tempo a

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disposizione per studiare e iniziare a progettare l’applicazione. Per il suo sviluppo ci siamo affidati alle competenze della famiglia Gotti, esperti informatici, e dopo vari aggiornamenti, migliorie, la scorsa primavera l’abbiamo presentata on-line. Ad oggi registriamo più di cento società in rete, 1200 calciatori e circa 300 addetti ai lavori. Numeri importanti se consideriamo il periodo e le conseguenti difficoltà». L’impostazione ricorda quella di Linkedin, il servizio web di rete sociale che aiuta i professionisti a costruire reti professionali? «Si, la nostra idea è proprio quella! Per un dilettante è importante un buon biglietto da visita. Oggi è tutto digitale e BE A PRO è pronta a rispondere alle nuove esigenze. Il profilo è sotto forma di curriculum, sempre aggiornato, con la possibilità di inserire foto e story. Tra qualche settimana verrà introdotta una sezione video che potrà racchiudere interviste, brevi clip di presentazione, le più belle azioni degli atleti. Come vi anticipavo, l’app si rivolge anche a fisioterapisti, giornalisti freelance, preparatori atletici e persone che lavorano in questo ambiente. Spesso la difficoltà è quella di mettersi in rete, e BE A PRO è uno strumento concreto per poter interagire con moltissime realtà di tutto il territorio nazionale. Potete seguirci qui: www.beapro.it e sui canali social».


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AG EN DA A Garda una giornata da sub ‘Zero barriere’

Si è svolta domenica 21 novembre ‘Una giornata da sub - Zero barriere’, evento organizzato da Gas Diving School Bardolino presso il centro sportivo Gardacqua. Durante la mattinata si è svolta gratuitamente attività subacquea per persone con disabilità, rendendo lo sport vera occasione di aggregazione e integrazione. Hanno contribuito alla buona riuscita dell’evento il Centro sportivo educativo nazionale (Csen) e l’Associazione nazionale atleti olimpici e azzurri d’Italia (Anaoai), con il patrocinio del Comune di Garda e della Provincia di Verona. A gestire la mattinata sono stati Michele Girelli, il figlio Derek, Rossella Braga, Matteo Boschi e lo staff di Gas Diving, Mirko Zomer di Aquadive Sub Verona e il personale di Gardacqua. Hanno presenziato e portato il loro saluto il presidente della Provincia Manuel Scalzotto, i Consiglieri del Comune di Garda Sacha Allevato Alessandro Colombo Salier, Mattia Boschelli presidente Anaoai - Sezione Verona col segretario Maurizio Marogna, Giacinto Corvaglia responsabile del Csen.

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Breaking News Anaoai Verona in festa per il Cangrande 2020

Importante riconoscimento per l’Associazione nazionale atleti olimpici e azzurri d’Italia che lo scorso 10 novembre presso l'auditorium della Gran Guardia ha visto consegnare il Cangrande 2020 Dirigente sportivo all’ex presidente Gaetano dalla Pria e il Cangrande 2020 Premio Cangrande Carriera Sportiva all’ex segretario Giuseppe Zanoncelli. “A nome degli Azzurri di Verona” – ha commentato l’attuale presidente Anaoai Verona Mattia Boschelli – “esprimo profonda gratitudine a Gaetano dalla Pria e Giuseppe Zanoncelli, premiati in occasione della consegna dei Cangrande allo sport per l’anno 2020. Si tratta di un giusto riconoscimento alla carriera sportiva e dirigenziale, a due azzurri che hanno sempre trasmesso un forte impegno e tanta passione, nella promozione dello sport a livello provinciale e in ogni singolo evento organizzato o partecipato. Il lungo applauso dei presenti ci riempie di orgoglio e lascia una traccia indelebile nella nostra Associazione“.


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Casa ABEO, un 'nido' sempre più accogliente

M REDAZIONE

ercoledì 27 ottobre, presso Villa Fantelli Casa ABEO, sita presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, è stata posata simbolicamente la prima pietra che darà inizio alla costruzione degli alloggi dedicati ai bambini e alle loro famiglie. Il progetto Casa ABEO alloggi s’inserisce nella visione di ABEO di occuparsi e preoccuparsi totalmente dei suoi piccoli assistiti e dei loro familiari. Casa ABEO alloggi prevede la realizzazione di una nuova struttura immersa nel verde, nell’area di pertinenza di Villa Fantelli. Il progetto è stato studiato per ricavare sei miniappartamenti, ognuno indipendente, e un piccolo giardino dedicato. In essi saranno ospitate le famiglie dei piccoli pazienti trapiantati, secondo le garanzie di igiene e sicurezza previste dalle nuove normative europee in tema di sanità.

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Questi piccoli pazienti, affetti da gravi patologie e provenienti da tutta Italia e dall’estero, sono in cura presso il Reparto di Oncoematologia Pediatrica e necessitano di settimane o mesi di terapie. Casa ABEO alloggi è totalmente finanziato

dall’Associazione, grazie ai benefattori, alle istituzioni e ai volontari che ci accompagnano con il cuore alla realizzazione di questo ambizioso progetto. Questo progetto segue infatti la realizzazione di Casa ABEO, Villa Fantelli, terminata nel 2019, della cui ristrutturazione ABEO si è occupata interamente, grazie alle raccolte fondi organizzate. ABEO ODV Onlus Verona - Associazione Bambino Emopatico Oncologico è un’organizzazione non lucrativa iscritta nel registro regionale degli organismi di volontariato che nasce nel 1988 per iniziativa di alcuni genitori. L’associazione è di riferimento per la raccolta di fondi destinati al Reparto di Oncoematologia Pediatrica dell’Ospedale Donna-Bambino di Verona. Da gennaio 1993 ABEO focalizza la sua attività a favore dei bambini emopatici oncologici, affetti cioè da tumori solidi e leucemie o da malattie ematologiche croniche non maligne. ABEO è l’Associazione di riferimento per il Reparto di Oncoematologia Pediatrica dell’Ospedale Donna Bambino di Borgo Trento a Verona per il quale svolge attività di raccolta fondi e di sostegno alle famiglie di bambini affetti da tumori solidi e leucemie.



AG EN DA Autocertificazioni Covid 19? C'è SportDoc

Breaking News Tra le varie pratiche che ogni società sportiva dilettantistica deve espletare c’è anche la gestione e la compilazione delle autocertificazioni Covid 19. Un aiuto nel rendere la procedura più semplice e snella viene dall’app SportDoc (SportDoc Coach per i dirigenti/allenatori e SportDoc Playerper gli atleti). Attraverso l’invio dell’autocertificazione in formato digitale da parte dell’atleta, la società provvederà all’archiviazione automatica della stessa, evitando così il passamano di documenti cartacei che rischiano di andare smarriti. Sarà possibile quindi avere un controllo in tempo reale della situazione delle autocertificazioni, evitando così intoppi burocratici e inutili rallentamenti per allenamenti e competizioni. Una soluzione smart, ecofriendly e per tutti gli sport. L’obiettivo della app è semplicemente quello far risparmiare tempo a genitori, atleti ed allenatori e al contempo evitare uno spreco di carta e inchiostro, rispettando le linee guida per l’attività sportiva di base e l’attività motoria in genere redatte dal dipartimento per lo sport ai sensi del decreto-legge 22 aprile 2021, N. 52 e del decreto-legge 23 luglio 2021, N. 105, aiutando il contenimento del rischio pandemico. SportDoc sviluppa un’autocertificazione Covid 19 standard, che rientra nelle dotazioni minime richieste ai fini della prevenzione del contagio in relazione alla attuale situazione epidemiologica. È possibile richiedere eventuali modifiche o personalizzazioni anche da parte delle società. SportDoc è stata realizzata da Mu.Ve. s.r.l. in collaborazione con il CONI Veneto, su idea di Christian Vescovi, presidente dello sci club Monte Fato e responsabile della squadra di calcio Mestrinorubano F.C. di Padova.

Successo per Pescare Show 2021 Si è chiusa domenica 28 novembre la 22ª edizione di Pescare Show, il Salone di Italian Exhibition Group che ha ospitato nel quartiere fieristico di Vicenza la community di appassionati nella prima occasione di incontro del settore dopo quasi due anni di stop forzato. L’edizione 2021 di Pescare Show ha visto l’alternarsi di dimostrazioni e prove pratiche di lancio e di costruzione di esche artificiali, mini-corsi gratuiti per i principianti e per i pescatori più giovani, tutorial tecnici con i campioni e gli ambassador dei marchi espositori, ma anche dibattiti e convegni con focus su temi importanti per il settore alieutico: dalla carta ittica regionale alla legge sulla pesca sportiva in mare, dalle strategie per contrastare il bracconaggio ittico alla problematica delle immissioni di specie alloctone. Gli eventi sono stati organizzati in collaborazione con aziende, associazioni, scuole di pesca, con il partner della manifestazione, FIPSAS - Federazione Italiana Pesca Sportiva e Attività Subacquee e con la Regione Veneto. “Pescare Show è stata un’occasione importante per l’intero settore della pesca sportiva, nonché per la Regione Veneto, che ha dimostrato la sua vicinanza a un settore rilevante per l’indotto che genera: in Veneto, infatti, sono circa 70mila i pescatori sportivi.” ha sottolineato l’Assessore Regionale alla Pesca Cristiano Corazzari.

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