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magazine
Testata giornalistica registrata al Tribunale di Verona n. 1807/2008 iBarcoder Trial
ANNO 11 - N. 61 - NOVEMBRE 2019 / GENNAIO 2020
LO SPORT
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C'era una volta
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- Periodico
I SPECIALE HELLAS VERONA
I CONI VERONA
I CORTINA 2020
I www.sportdipiu.net
# 61
E 3,00
magazine
È lo storyteller italiano per eccellenza. Ogni suo racconto di sport è un viaggio unico tra aneddoti, curiosità e cultura. Benvenuti nel mondo di Federico Buffa.
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Sorprese varie alla mezzanotte: cotillon, pandoro, panettone e un bicchiere di spumante per brindare oltre al tradizionale conto alla rovescia. Il Parco Termale sarà aperto dalle ore 20:00 fino alle 03:00 del mattino del 01/01/2020, il prezzo è di 55,00 € a persona. Cena informale al Ristorante-Tavola Calda nella grande “Serra-Giardino d’Inverno”. I prezzi delle consumazioni resteranno gli stessi applicati durante il resto dell’anno. In alternativa trascorrete la serata di Capodanno alla Piscina Termale semicoperta: dalle ore 20:00 fino alle 03:00 del mattino del 01/01/2020 e richiede un supplemento di 20,00 € sul biglietto d’ingresso al parco. Sono disponibili anche i nostri Ristoranti per il Cenone di Capodanno: Trattoria Le Palazzole Country House con un menù alla carta tipico in un locale caratteristico circondato da vigneti. Ristorante Villa Moscardo per un Cenone di stile in una villa del ‘500, 140,00 €.
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L'editoriale
di Alberto Cristani Facebook-Square @albertobrunocristanivr instagram alberto.cristani70
November rain Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia
S
ono tante le cose che avrei voluto approfondire con questo ultimo editoriale del 2019. Avrei voluto condividere e festeggiare con voi lettori il nuovo traguardo raggiunto che porterà SportdiPiù magazine ad uscire definitivamente dai confini veronesi (ma non ad abbandonarli…) diventando il magazine dello sport veneto. Avrei anche voluto raccontarvi per filo e per segno quali saranno gli obiettivi futuri, le tante iniziative e spiegarvi l’hastag che vi ‘perseguiterà’ per i prossimi anni ovvero #roadtomilanocortina2026. A partire da questo numero, inoltre, SportdiPiù diventa magazine partner dell’Hellas Verona, unica squadra di calcio veneta che milita nel massimo campionato di serie A; altra grande novità da celebrare. Ho ritenuto però giusto e doveroso commentare due eventi che, a loro modo, hanno coinvolto emotivamente, e non solo, i cittadini di Venezia e Verona. In Laguna la pioggia torrenziale e il maltempo hanno dato luogo a picchi di maree che hanno invaso calli, vicoli e canali provocando danni ingenti ad abitazioni, attività commerciali e monumenti. L’acqua ha raggiunto livelli da record che non si registravano dalla fine degli Anni Sessanta. Una vera e propria apocalisse che ha messo in ginocchio i veneziani e ha devastato la città più bella e amata del mondo. L’immagine del sindaco Luigi Brugnaro affranto con lo sfondo di Piazza San Marco completamente sommersa è l’emblema del disastro e il suo sguardo è quello di tutto il popolo veneto. Nella difficoltà però Venezia e il Veneto, dopo un primo momento di comprensibile smarrimento, hanno saputo reagire, come da tradizione, rialzando la testa, mostrando i muscoli e dando prova di grande determinazione. Non voglio addentrarmi in valutazioni sul perché tutto ciò sia
accaduto e nemmeno voglio commentare certe esternazioni che hanno, di fatto, ironizzato sulla disgrazia che travolto i veneziani. L’unica cosa che voglio sottolineare è come, anche in questo caso, lo sport abbia dato un segnale forte e tangibile di vicinanza alle popolazioni alluvionate. Calcio, pallacanestro, pallavolo, rugby… Tutti insieme a gran voce hanno gridato Forza Venezia. Con la speranza che questo grido, in futuro, possa essere solamente un incitamento durante le partite delle formazioni arancioneroverdi. Verona, dal canto suo, piange la scomparsa di una delle figure che hanno caratterizzato uno dei momenti più belli e poetici della Verona sportiva anni Ottanta, ovvero lo scudetto conquistato dalla ‘banda’ di Osvaldo Bagnoli. Mercoledì 19 novembre è infatti venuto a mancare Roberto Puliero, attore, professore e voce storica delle radiocronache dell’Hellas Verona. Con il suo linguaggio elegante, forbito ma allo stesso tempo ironico e innovativo, ha fatto emozionare migliaia di radioascoltatori veronesi e non. Indimenticabili i suoi ‘Reteeeeeee…’ in occasione dei gol del Verona. Roberto era una persona a modo, sempre gentile e sorridente. Era un grande attore di teatro. La compagnia teatrale La Barcaccia è una sua creatura. Verona ha perso tutto questo. Non sarà facile abituarsi alla sua assenza. Forse il vero sindaco di Verona era proprio lui, un sindaco d'altri tempi che difficilmente troverà un valido successore. Ciao Roberto, che la terra ti sia lieve.
Roberto Puliero
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Sommario
# 61 - NOVEMBRE 2019/GENNAIO 2020
COVER STO RY
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Federico Buffa (storyteller)
Editoriale
November rain
Il corner di Tommasi Daspati
Palla lunga e… raccontare C’era una volta Eros Mazzi. Ve Lo ricordate ?
Uscita Verona Sud
Mondiale di rugby, lo spirito e il "ghignetto"
Ricordo
Addio a Roberto Puliero
Evento
Il Coni Verona torna a scuola
Intervista
Cristiano Corazzari (Regione Veneto)
Evento
Resoconto Mantova Città Europea Sport 2019
24 26 28 32 36
Intervista
Giancarlo Abete (FICG)
Stare bene
Palestra e postura
Intervista doppia
Giacomo Piccolboni e Stefano Giarraputo (baseball)
Intervista
Aurora Zantedeschi (tennis)
Evento
Anteprima Mondiale Cortina 2020
44 54 56 58 60 62 64 66
Intervista
Maurizio Danese (Veronafiere)
Intervista
Francesca Dotto (pallacanestro)
Sport life
Academy Scaligera Basket
Sport life
Babbani gialloblu
Intervista
Tommaso Teofili (hockey su ghiaccio)
Sport life
King Rock Verona
Sport life
L’importanza del massaggio pre-gara
Diritto sportivo YouSport Venezia
68 70 73
Intervista
Pino Milella (calcio 5)
Sport life
Il LEONE ruggisce ancora
Speciale Hellas Verona
SPECIALE Hellas Verona 73
82 86 88 90 92 94 96 100 102 104 106 108 110 113 114
Sofyan Amrabat
Intervista
Paolo Sammarco (calcio)
Sportiva-mente
La psicologia dello sport
Intervista
Giorgia Prandini (pallanuoto)
Sport life
Ice Club Lessinia
Intervista
Chiara Scacchetti (pallavolo)
Evento
It’s time to dance 2020
Intervista
Boštjan Cesar (calcio)
Intervista
Andrea Tomasi (pallamano)
Sport life
Dojo vista Laguna
Intervista
Manuel Savoia (football americano)
Sport life
True colors
Intervista
Rotelle giallorosse
Intervista
116 118 120 122 126 128 132 134 136 138 139 140 142 144 146 148 152 154 156 158 160 161 162
Alla scoperta del padel
Tdi SPORmagazinePIÙ
#Hastag
Anno 11 - Numero 61
Intervista
Giulio Arletti (rugby)
Sport Life
Le proteine nella dieta dell’atleta
Intervista
Luca Rigoni (calcio)
Intervista
Guido Rizzo (triathlon)
Sport Center
Direttore della fotografia Maurilio Boldrini
Sport life
Caporedattore Andrea Etrari
Villa dei Cedri
Sognando CR7
Evento
In Redazione Alberto Braioni, Bruno Mostaffi, Damiano Tommasi, Daniela Scalia, Giorgio Vincenzi, Marina Soave, Matteo Lerco, Matteo Zanon, Paola Gilberti, Jacopo Pellegrini, Marco Hrabar
Giro del Lago di Resia 2020
Intervista
Franco Zuculini (calcio)
Foto Maurilio Boldrini, Paolo Schiesaro, Mirko Barbieri, Simone Pizzini
Evento
ABR Cup
Sport Life
Contatti redazione@sportdipiu.com www.sportdipiu.com
Abeo, di tutto e sempre di più
Sport Life
Divertimento e ambizione: questo è il CFW
Intervista
Luigi Scotto (calcio)
#Hastag
Buone feste… in movimento
Intervista
Laura Macchi (pallacanestro)
Pubblicità e spedizioni Mediaprint Srl Sede operativa di San Giovanni L. Via Brenta, 7 - 37057 Verona Tel. 345 5665706 info@sportdipiu.com
Sport Life
Fuori di test
Sport books Intervista
Hanno collaborato per questo numero Alberto Pecchio, Andrea Etrari, Arianna Del Sordo, Andrea Martucci, Bruno Mostaffi, Carmen Guidobaldi, Cecilia Zonta, Damiano Tommasi, Daniela Scalia, Emanuele Pezzo, Enrico Corvaglia, Federica Delli Noci, Giorgio Vincenzi, Jacopo Pellegrini, Marco Hrabar, Marina Soave, Matteo Lerco, Matteo Zanon, Paola Gilberti, Tommaso Franzoso.
Giorgio Tauber (imprenditore)
Agenda
Calcio: Celtic Camp 2020
Intervista
Diego Cavalli (pallacanestro)
Foto Archivio SportdiPiù, BPE agenzia fotografica, Fotolia, credits singoli articoli
Focus
Genitorinrete
Agenda
Al Museo Nicolis il Vespa Club Italia festeggia 70 anni
Magazine partner dell'Hellas Verona
con il patrocinio del
con il patrocinio della
Progetto grafico e impaginazione Francesca Finotti Stampa e distribuzione Mediaprint Srl Sede operativa di San Giovanni L. Via Brenta, 7 - 37057 Verona Tel. 345 5665706 redazione@sportdipiu.com
Sport Songs
Intervista
Flavia Assirelli (pallavolo)
Testata giornalistica registrata al Tribunale di Verona n. 1807/2008 Direttore responsabile Alberto Cristani
Enrico Cester (pallavolo)
Breaking news
NOVEMBRE 2019 / GENNAIO 2020
Con il patrocinio dei Comuni di: Albaredo D’Adige, Arcole, Bardolino, Bonavigo, Boscochiesanuova, Bovolone, Buttapietra, Caldiero, Castel D’Azzano, Castelnuovo del Garda, Cavaion V.se, Cerea, Isola della Scala, Isola Rizza, Lazise, Legnago, Marano di Valpolicella, Minerbe, Montecchia di Crosara, Monteforte D’Alpone, Oppeano, Peschiera del Garda, Povegliano V.se, Ronco all’Adige, Roverchiara, San Bonifacio, San Giovanni Lupatoto, San Martino B.A., Sanguinetto, Soave, Sona, Torri del Benaco, Trevenzuolo, Veronella, Vigasio, Villafranca, Zevio, Zimella.
con il patrocinio
www.sportdipiu.net Facebook-Square SportdipiuVr Instagram sdpverona
Stampato su carta ECF, 100% riciclabile con inchiostri vegetali
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L'O PI N I O N E
Il corner di Tommasi di Damiano Tommasi instagram damiano.tommasi TWITTER @17Tommasi
Daspati
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vrà avuto tra i 65 e i 70 anni e mi ha raccontato di quella volta che, appena finito il turno di lavoro, era passato vicino allo stadio Bentegodi. Si stava giocando VeronaLecce e aveva tentato di entrare quando si avvicinò una persona e gli disse: “se vuoi entrare meglio che ti togli la divisa". Era ferroviere ed era vestito in divisa da lavoro: “Sono tornato il giorno dopo a vedere il Bentegodi vuoto, da allora ‘no i m'ha pi visto a stadio! “. Un amico mi racconta, commentando i recenti fatti di cronaca, che l’ultima volta che è andato allo stadio è stato per vedere il derby Verona-Chievo. “Ti ricordi quello di Malesani allenatore del Verona a correre sotto la curva Sud a fine partita?”. Era la stagione 2000/2001, aveva portato suo figlio allo stadio, in tribuna per un
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evento particolare, il derby di Verona in serie A. Quando veniva segnato un gol esultavano davanti a loro alcune persone, adulti e ragazzi, e subito da dietro i ‘tifosi’ della squadra avversaria pronti ad insultare e a tirare la birra sulla schiena dei malcapitati. “Ecco, da allora non sono più andato allo stadio!”. Nello stesso giorno, commentando i fatti di cronaca dello stadio Bentegodi e la squalifica fino al 2030 inflitta dell’Hellas Verona al già daspato ‘tifoso’ ultras, ho incontrato altri tre daspati volontari. La domanda sempre pertinente in questi casi è “Come dar torto a chi se ne sta a casa?”. L'effetto principale è che in quella tribuna, in quello stadio, rimarranno nel frattempo quelli che odiano la divisa e che tirano birra a chi la pensa diversamente. È, purtroppo, ciò che
accade nella maggior parte degli stadi italiani. Finché non si avrà il coraggio di escludere i maleducati e i violenti saranno i migliori che se ne staranno a casa. Si sta parlando da mesi del rifacimento dello stadio Bentegodi, inadatto al calcio di oggi, obsoleto e poco funzionale. Mi auguro che da qualche parte, nelle pieghe dei progetti e dei business plan, ci sia una paginetta dedicata al rifacimento del pubblico che sarà presente nel nuovo stadio. Purtroppo vediamo come anche a Torino l’avveniristico Juventus Stadium non sia esente da malcostume, violenza e, ahimè, malavita organizzata. Alziamo, quindi, tutti l’asticella ed iniziamo a pretendere uno stadio più umano, senza se e senza ma, senza distinguo sui comportamenti tollerabili e quelli da estirpare. Difendiamo per i nostri figli il diritto di andare allo stadio!
STO RI ES
Palla lunga... e raccontare di Raffaele Tomelleri instagram RaffTom11
C’era una volta Eros Mazzi. Ve Lo ricordate ?
C’
era una volta Eros Mazzi, ricordate? Andavi allo stadio e lo trovavi sempre là, col suo cappotto color cammello, il vestito elegante, l’espressione orgogliosa. Arrivava quasi sempre, parcheggiava la sua Audi, poi s’incamminava verso l’antistadio, quasi cercando il contatto con la gente. Con i tifosi. Loro lo sapevano, forse lo aspettavano, perché “el comendator el ga sempre qualcosa da dirne”. E lui si fermava volentieri, sempre. Per arrivare all’antistadio, cinquanta, forse cento metri, da dove aveva la macchina, magari ci metteva mezz’ora. Perché si fermava, raccontava, ascoltava, spiegava. C’era in lui l’orgoglio di essere alla guida di una società gloriosa. C’era passione, cuore, coraggio… C’era una volta Eros Mazzi, ricordate? Voleva bene al Verona, un bene vero, forte, antico. Perché nel Verona c’era stato ai tempi di Bonazzi, fine anni ’50, primi anni ’60. Era il Verona della prima serie A e poi della risalita. Anni in cui il calcio era soprattutto passione, sacrificio. E competenza. Sono gli anni in cui Eros Mazzi vede, in Brasile, un ragazzino di
cui parlano tutti benissimo. Si chiama Edson Arantes do Nascimento. Ha 15 anni, “…ma mi l’avarea tolto”. L’affare non va in porto, Edson eccetera eccetera prende altre strade, un anno dopo, nel ’58, Mondiali di Svezia, sarà già Pelè. E non è solo leggenda. “Un giorno – ricorda Stefano Mazzi – incrociai Pelè, in un aeroporto. Ci salutammo e quando gli dissi chi ero, lui sorrise. E ricordava l’interesse di papà…”. C’era una volta Eros Mazzi, ricordate? Lui non si sottraeva mai al confronto. Con la gente, con i tifosi, con i giornalisti. “Dovì volerghe ben al Verona…”, ti diceva. E se qualche volta avevi scritto che il Verona “aveva giocato male”, ti prendeva da parte, ti stringeva il braccio e ti raccomandava di essere…buono, “…parchè la gente dopo no la vien più a stadio”. E ti raccontava i segreti, ma sapeva anche ascoltare, nonostante non ne avesse (forse) bisogno. Perché sapeva di calcio, ne capiva, sapeva di uomini, ne capiva molto. “…e parchè o zugà anca mi al balòn. Centravanti del Lugagnan, ghè na traversa che scurla ancora…”, diceva, ridendo ma non troppo. C’era una volta Eros Mazzi, ricordate? Uno che sapeva ancora innamorarsi di un giocatore, di un’idea. Vide Dragan
Stojkovic, ai mondiali del ’90 e se ne innamorò. Lo volle nel Verona, tornato suo dopo il fallimento, anche se Stojkovic s’era appena rotto e aveva una gamba più piccola dell’altra. Eros Mazzi andò da Tapie, il Berlusconi di Francia, per portare Dragan a Verona. Disposto a tutto, senza badare ai “schei”, “…parchè questo lè el più forte de tuti”. Non si era sbagliato, ma Stojkovic aveva bisogno di tempo per tornare se stesso e fu una scommessa persa. Per il bene del Verona, ma persa. C’era una volta Eros Mazzi, ricordate? S’inabissò un giorno grigio di fine ottobre, con la sua Audi nera, nelle acque dell’Adige, diventato quel giorno “cattivo”. Lungadige Attiraglio, cinque minuti dallo stadio, cinque minuti da casa sua. Forse un malore, una distrazione, un destino. La macchina uscì di lato, finì nella corrente. Non ci fu nulla da fare, forse non se ne accorse neppure, forse l’ultimo pensiero fu comunque per “i me butèi”. Forse era destino se ne andasse prima che il calcio cambiasse. Chissà come ci starebbe uno come lui nel calcio di oggi. Più ricco, più colorato, luccicante, lustrini e paillettes. Un calcio che sembra più bello e invece si scopre spesso infinitamente più povero. Di valori. Di sentimenti. Di passione. Di umanità. La sua.
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Uscita Verona Sud di Daniela Scalia instagram dani_seamer TWITTER @DanielaScalia
Mondiale di rugby, lo spirito e il "ghignetto"
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utti rugbisti dopo il Mondiale. E va bene così. Una volta mi arrabbiavo quando diventavano di colpo tutti olimpici o settebellisti, etc., adesso invece vedo questi fenomeni temporanei in chiave più positiva, credo che una percentuale di spirito nuovo ‘resti’, e che comunque male non faccia. Il Mondiale 2019 è stato un’edizione storica: per audience, per diffusione e per il passaggio di turno dei giapponesi, ma proverei a trovare degli angoli non così evidenti. Vado? È stato il primo mondiale nel quale i giocatori piccoli sono emersi anche nell'impatto fisico. Per essere ancora più chiara: il gioco passa sempre attraverso il
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numero 9 che, salvo rarissime eccezioni, è il ‘tappo’ della squadra. È un ruolo dove si gioca con le mani a terra, dove i contatti ad alta velocità sono ridotti e serve una grande manualità, in pratica senza un grande (cioè basso agile, forte e furbo) 9 non fai la squadra. Ma (e qui vengo alla novità) i mediani di mischia sono sempre stati bravi a evitare o ridurre l'impatto fisico, placcando con furbizia e tecnica, cercando gli spazi più che gli scontri. In questo mondiale invece i ‘9’ del Giappone e quello del Sudafrica hanno rovesciato avversari enormi, hanno usato le leve per essere dominanti e decisivi nello scontro. È una novità tecnica, ma mi spingerei a dire anche umana. E il Giappone è una proiezione di questa tendenza: non
ha estratto velocemente la palla dalla mischia, ma la ha tenuta dentro, spesso dominando anche sul piano della forza. È stato anche il primo mondiale con partite annullate e lutti contemporanei, e qui ci vuole un'altra parentesi Verona-sudista: nessuna vergogna a essere allegrissimi sugli spalti, è solo un modo di reagire, a meno che uno (ma secondo me andrebbe ricoverato) pensi che i giapponesi e i rugbisti in generale non abbiano rispetto umano. Forse non è più politicamente scorretto andare in tribuna con la faccia pitturata dopo una disgrazia, forse questo mondiale ci ha insegnato che ognuno elabora il lutto a modo suo, e la tristezza non è l'unico ufficiale e obbligatorio segnale di dispiacere. Spendo una nota personale:
appena rimasta vedova mi sono buttata nello sport, sai quanti hanno pensato che fossi insensibile? Spero che i giapponesi del mondiale e del tifone Hagibis abbiano fatto crescere questo tipo di sensibilità. E il ‘ghignetto’ del titolo? Arrivo. Chi si butta un po' a vanvera nella febbre mondiale in genere ha due tipi di atteggiamento, quello adorante e quello furbetto. Adorante perchè idealizza senza sapere, dice che in tribuna c'è il massimo silenzio (mamma mia, che gaffe) che non si parla con l'arbitro (altra gaffe, l'arbitraggio preventivo e il colloquio con i giocatori è un marchio ovale) e che “siete puri perchè girano pochi soldi” (anche questa è comica). Insomma, chi “lecca” (scusate il solito provenzale antico) senza compentenza fa brutte figure. E poi c'è il ghignetto del furbetto: “Ah, tanto spirito però ho letto che hanno criticato l'arbitro” e dà un colpetto di gomito. “Sì sì, tanto fair play però il l0 australiano ha detto che la formula è sbagliata...”. Anche qui c'entra l'ignoranza storica. Il rugby (come l'hockey e il cricket e altri sport gaelici) parte da classi e scolarità molto alte, portate alla critica, al dialogo e al contributo. Non mi viene in mente un magazine inglese nel quale non si
analizzi l'interpretazione arbitrale, non ci si confronti su questioni federali o regolamentari o altro. La differenza è nello spirito. Quello che è rarissimo, vietato e visto molto male nel rugby è accennare anche solo vagamente alla malafede o alla polemica, non l'analisi sul tenuto a terra. È uno sport “condannato” ad avere molte situazioni 50/50 e molti analisti che le studiano.
Eddie Jones (allenatore Inghilterra) e Michael Cheika (Australia) hanno visioni diverse, lo dicono in pubblico, si contestano. Ma restano due vecchi compagni di squadra (del celebre Randwick di Sidney) e la sera, dopo le trasmissioni, vanno a cena insieme. Perchè dovrebbero fare finta di pensarla allo stesso modo? Perchè dovrebbero fare finta di essere meno rugbisti? Alla prossima e… tanti auguri!
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RI CO RD O
Non è vero che i sogni non si avverano mai di Alberto Cristani - Foto Ennevi Verona Stefano Valentino - BPE Maurilio Boldrini
Premessa. Era il lontano 2004 e mi dilettavo a ‘smanettare’ con l'obiettivo di creare siti internet. Roba semplice, che guardandola oggi ti viene da sorridere. Un giorno decisi di progettare un 'www' dedicato allo scudetto dell’Hellas Verona: nacque così veronacampione.it . Ricordo che andai a bussare alle porte di chiunque potesse essermi d’aiuto: tv, radio, redazioni, tifosi, fotografi locali e nazionali. Già, perché nel 2004 online, in generale, c’era poco o nulla. E soprattutto non esistevano né social né app. Sembra davvero passato un secolo... Dopo un anno circa di ricerca, dopo aver raccolto moto materiale, e terminale le mie fatiche digitali ‘artigianali’ misi online la mia creatura. Non ero però del tutto convinto. Mancava qualcosa. Mancava un'introduzione, una presentazione che trasmettesse l’emozione di quei momenti, la passione per quei colori e la gratitudine nei confronti di quei campioni d'Italia gialloblu. Fu così che decisi di contattare Roberto Puliero: chi meglio di lui poteva scriverla? Ricordo che cercai il suo numero sulla rubrica telefonica. Lo contattai componendo un numero con prefisso 045 (non mi risulta abbia mai ceduto alla tentazione di acquistare un cellulare…). Dopo alcuni tentativi a vuoto, rispose la moglie Kety che, sebbene fossi uno sconosciuto, me lo passò subito. Roberto fu gentilissimo: ascoltò la mia richiesta in silenzio, volle capire bene a cosa servisse e, sebbene non gli piacesse molto l'idea che un suo scritto andasse online, alla fine mi disse: “Va bene, vediamoci settimana prossima, in Piazza San Zeno davanti ai ‘pilòtini’, alle 10”. In quel momento capii che avevo parlato non solo con la voce che mi aveva fatto piangere di gioia il 12 maggio 1985 ma anche, e soprattutto, con una persona speciale. Sette giorni più tardi ci incontrammo: mi consegnò, in busta chiusa, due fogli di carta scritti a macchina. Rileggere quelle parole ora che lui non c’è più, è ancora più emozionante ma anche molto malinconico. Ci mancherà la sua voce, il suo dolce sorriso, la sua gentilezza, i suoi capelli ‘spaìsi’, la sua classe, la sua cultura, il suo umorismo. La tribuna stampa del Bentegodi senza di lui non sarà più la stessa e ogni volta che il Verona giocherà in casa ci si stringerà il cuore nel vedere la sua mitica postazione vuota. Ma ogni ‘maledetta’ domenica che i gialloblu scenderanno in campo, a prescindere dal risultato finale, l'eco e il ricordo del suo inconfondibile ‘RETEEEEE’ ci accompagneranno per sempre. Ciao Roberto.
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on è vero che i sogni non si avverano mai. I nostri si avverarono improvvisamente, uno ad uno, nel corso del campionato 1984-85. A rievocarne oggi le tappe, vien da chiedersi se davvero le abbiamo vissute, o non si tratti solo di un dolce ricordo un po' sfumato, come certi episodi della fanciullezza che si rievocano regolarmente in famiglia a Natale, con l'aggiunta ogni anno di particolari nuovi, e ormai non si sa più se sono accaduti realmente o se ce li siamo costruiti nella mente da noi, anno dopo anno, ripescando sensazioni lontane. Ma sugli almanacchi del calcio tutto risulta scritto ben chiaro, quindi dev'essere accaduto davvero. Dei gol e delle azioni più belle restano immagini televisive e fotografie. Le sensazioni che provammo riaffiorano tutt’oggi restituendoci il gioioso stupore di allora: e le abbiamo provate davvero. Una città intera vibrava dello stesso entusiasmo, e ovunque se ne coglievano i segni con sempre maggiore evidenza. Alla Scuola Media dove insegnavo quell'anno, i ragazzi portavano in classe i poster gialloblù insieme ai testi di italiano e agli album da disegna. Le pareti della mia aula ne furono completamente tappezzate. Vi si ammiravano nell'ordine: l'Italia fisica, Garella, Ferroni, l'Italia politica, Marangon, Tricella, Fontolan, il corpo umano, Briegel, Fanna, l'Italia dopo il 1848, Volpati, Galderisi, l'Europa fisica, Di Gennaro, Elkjaer, l'universo e i suoi pianeti. Dietro la lavagna facevano distintamente capolino le gigantografie delle riserve: Bruni, Spuri, Turchetta, Donà. Quando entrava il Preside, osservava compiaciuto il singolare arredamento: non era forse, la sua, una scuola ‘pilota’? Le abbiamo vissute davvero, quelle festose trasferte. Decine e decine di pullman seguivano ovunque la squadra, sventolando le sciarpe dai finestrini e scambiando complici botti di clacson con le mille auto targate VR che li affiancavano nella corsa. Una volta a destinazione, già qualche ora prima della partita essi si disponevano in cerchio nei piazzali adiacenti allo stadio di turno, creando festosi accampamenti e facendo apparire dal nulla colorati bivacchi. Dai portelloni dei pullman uscivano come per incanto marmitte, pentoloni, lunghe tavolate sostenute da agili cavalletti, e poi damigiane, fiaschi, salami, sacchi di pane. Cuochi improvvisati dal cappellino gialloblù si immergevano ridenti nel fumo delle pentole, mescolavano di gran lena entusiasmanti risotti al tastasal, affettavano soffici mortadelle, affondavano rosei cotechini in bollenti ondate di pearà, versavano corposi vini rossi in bicchieri rapidamente ‘fusilà’. La comune fede sportiva regalava domenicalmente anche il calore della festa, la gioia di aspettare e poi soffrire e poi magari esultare tutti insieme. E c'eravamo davvero, a Bergamo. Bastava un pareggio per veder finalmente realizzato il sogno di tutti. Pioveva a dirotto. Da Verona partì una sorta di esodo, con una fila interminabile di pullman e auto cariche di speranze e trepidazione febbrile. In Piazza Brà migliaia di ombrelli nascondevano tanti cuori in ansia sotto il balcone di Radio Adige. L'Atalanta andò in vantaggio sul finire del primo tempo. All'inizio della ripresa, in mischia, pareggiò Elkjaer, subito sommerso dagli abbracci dei compagni. Il cuore prese a battere più forte. Aspettavamo il novantesimo in un clima rarefatto e un po' irreale, ma felicità e commozione già covavano dentro noi tutti, e ne avvertivamo il caldo tepore farsi largo tra brividi sottili. Poi ci fu il fischio finale. ‘Campioni, campioni, campioni, campioni...’ gridai mille volte al microfono. Baci, abbracci, lacrime, stupore attonito, felice smarrimento, voglia matta di fermare l'attimo fuggente si mescolarono d'incanto in tifosi e giocatori, insieme a Bergamo e Verona, dove i mille e mille ombrelli si levarono al cielo rivelando sciarpe e bandiere. Non era un sogno. E c'eravamo davvero tutti anche la domenica successiva, in Brà, dopo l'ultima di campionato. Io partecipavo allo spettacolo in attesa di presentare uno ad uno i campioni che sarebbero arrivati a conclusione della serata. Li aspettammo cantando gli inni gialloblù e ‘Palasseto tu mi fai morir’. Arrivarono i giocatori e dalla piazza si levò un assordante indimenticabile urlo di gioia. Tricella fece spettacolo imitando Jerry Lewis, Galderisi cantò la sua canzone, Briegel intonò un coro tedesco di birraioli e l'allenatore in seconda Lonardi dedicò a Preben ‘Splendida Copenhagen’. Poi, come interpretando il desiderio della folla, chiesi a Bagnoli di regalarci la grazia di un aperto sorriso. Egli rise di gusto e urlò nel microfono: ‘Siamo campioni!’. I giocatori lo ripresero in braccio, e la città esplose nel suo grido più alto.
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EVENTO
Il Coni Verona torna a scuola per studiare lo sport
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di Bruno Mostaffi - Foto: Maurilio Boldrini
port e scuola, un binomio che spesso trova punti di incontro e dialogo ma anche contraddizioni e criticità. Il Coni Verona da anni organizza sul territorio scaligero eventi e momenti di incontro finalizzati alla promozione dell’attività sportiva anche tra i banchi di scuola. In questa ottica, lo scorso 30 ottobre, presso la sala convegni (gremita) del Payanini Center di Verona, è stata presentata la pubblicazione lndagine Conoscitiva 2019, documento realizzato appunto dal Coni Provinciale di Verona in collaborazione con i Comuni e con l’Ufficio Scolastico Territoriale. “È dimostrato” – spiega il Delegato Provinciale Coni Verona Stefano Gnesato – “che lo sport ha interazioni con parecchi aspetti della nostra vita: la salute, il sociale, la solidarietà, il turismo, l’industria. Lo sport può essere soprattutto un cardine imprescindibile per la crescita psico-fisica ed educativa dei nostri ragazzi. Ed è doveroso che questo percorso, nel suo insieme, sia seguito dalle famiglie, da tutte le Istituzioni e figure sportive che si occupano di sport. Da un’iniziale e approfondito confronto con il Sindaco Federico Sboarina, l’Assessore allo Sport Filippo Rando e il Presidente della Commissione Sport del Comune di Verona Stefano Bianchini è sorta la necessità di aggiornare l’ormai datata
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indagine conoscitiva realizzata nel 2008. La proposta è stata, giustamente, estesa a tutti i Comuni della Provincia”. “L’indagine conoscitiva” – prosegue Gnesato – “svolta fra la fine del 2017 e il 2018 ci ha consegnato un lavoro completo, essenziale per comprendere la realtà del nostro territorio e ci permette di condividere e lavorare con precise indicazioni riguardo l’educazione sportiva e generale dei nostri ragazzi. Ora però tocca ad ognuno di noi concretizzare quanto ci hanno indicato i ragazzi”. Hanno coadiuvato Stefano Gnesato nella realizzazione di questo studio i Fiduciari Coni che hanno raccolto i dati, il Dott. Giovanni Battocchio (psicopedagogista) e il Dott. Attilio Ferrari (psicologo esperto dello sport) che, con grande impegno e professionalità, si sono occupati dell’analisi dei dati raccolti, il Dirigente Ufficio Ambito Territoriale VII di Verona, Dott. Albino Barresi, il Docente referente Educazione motoria, fisica e sportiva di Verona, Prof. Dino Mascalzoni, i Dirigenti Scolastici e insegnanti per la distribuzione e la raccolta dei questionari, gli Assessori allo Sport che hanno creduto a questo progetto. Partner dell’iniziativa SportdiPiù magazine, la tipografia Mediaprint e il Pepperone Restaurant & Sports Cafè di San Giovanni Lupatoto. Hanno aderito all’indagine conoscitiva i Comuni di: Affi, Albaredo d’Adige,
Arcole, Bardolino, Bosco Chiesanuova, Bovolone, Buttapietra, Casaleone, Castelnuovo del Garda, Cavaion Veronese, Cerro, Erbezzo, Garda, Gazzo Veronese, Isola della Scala, Isola Rizza, Legnago, Minerbe, Monteforte d’Alpone, Nogara, Nogarole Rocca, Oppeano, Ronco all’Adige, Roverè Veronese, Roveredo di Guà, Salizzole, Sanguinetto, Sant’Anna d’Alfaedo, San Giovanni Lupatoto, San Martino Buon Albergo, San Mauro di Saline, San Pietro Incariano, San Zeno di Montagna, Sorgà, Soave, Velo Veronese, Verona, Veronella, Villabartolomea, Villafranca, Zevio e Zimella. “Lo scopo dell’indagine” – ha aggiunto Giovanni Battocchio – “era quello di analizzare e verificare a distanza di qualche anno, attraverso un confronto dei dati, se gli interventi promossi dal Coni e proposti alle istituzioni coinvolte nella promozione dello sport relativamente alle criticità allora emerse, hanno avuto dei riscontri e/o ricadute migliorative o se invece siano risultati inefficaci. Questa indagine però si differenzia dalle precedenti sia per il numero degli alunni interessati, sia per la corposità delle domande in termini quantità e di meticolosità dei quesiti posti. Per questo, vista l’età di riferimento cui sono stati somministrati i questionari, si è cercato di capire anche con domande specifiche, quanto temi importanti come il doping e
situazioni attuali come il bullismo, sono conosciuti, percepiti e avvertiti dai ragazzi”. Conclude Battocchio: “Importante si è rilevato l’apporto e il ruolo avuto da tutte le scuole interessate che attraverso la partecipazione dei docenti e la condivisione dei Dirigenti Scolastici hanno consentito la distribuzione e il ritiro dei questionari. La partecipazione attiva delle Amministrazioni Comunali si è dimostrata assolutamente determinante per la riuscita anche di questo progetto. In questo modo i Comuni avranno ancora una volta a disposizione una visione reale e oggettiva di quanto e come i loro concittadini percepiscano l’attività svolta nelle società e associazioni sportive, di quali siano gli interventi e le loro priorità per una più efficace azione migliorativa. Infine voglio ringraziare il Dott. Attilio Ferrari psicologo clinico e psicoterapeuta
esperto nelle dinamiche sportive e degli aspetti adolescenziali, il quale ha messo a diposizione le sue competenze la sua esperienza e le conoscenze per una approfondita e precisa valutazione dei risultati”. Procedura e risultati finali Nell’indagine conoscitiva si è ricorsi ad uno strumento qualitativo e quantitativo rivolto a ragazzi dalla classe quarta elementare alla terza media. Sono stati predisposti dei questionari self report presentati e distribuiti dagli insegnanti delle classi interessate, con domande del tipo chiuse, chiuse con possibilità di opzione, aperte, struttu-
rate con risposta a scelta multipla. Il numero complessivo delle domande è stato in linea con le indicazioni prevalenti in materia di indagine per questa età che prevede una soglia non superiore alle 20 domande per ottenere un grado di attenzione e quindi di feedback qualitativamente accettabile. I questionari prevedevano delle domande anagrafico/ sociale, atti a sondare aspetti relativi all’età, alle classi frequentate al comune di residenza. La parte più corposa e quella interessante è quella relativa alle conoscenze, alle percezioni e alle motivazioni che hanno gli intervistati sull’attività sportiva svolta, ma anche su alcune problematiche come il doping e il bullismo. L’aspetto positivo in linea con la precedente esperienza è sicuramente la grande adesione e partecipazione sia da parte dei ragazzi che da parte delle Istituzioni. Infatti la percentuale dei questionari ritornati è stata assolutamente considerevole con quasi l’80%. Tale dato denota chiaramente la voglia di essere protagonisti da parte dei ragazzi nell’esprimere, dare pareri, opinioni e soprattutto nel dare indicazioni su come vorrebbero strutturata la proposta della pratica sportiva.
Assegnate le Benemerenze Coni Verona 2019
Lunedì 18 novembre in Sala Arazzi presso il Comune di Verona il Coni Verona, alla presenza del Presidente Regionale Bardelle, ha premiato con le Benemerenze atleti, dirigenti e società sportive che si sono distinti durante la stagione sportiva 2018.
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I NTERVISTA ri a z z a r o C o n ia t Cris
Il grande Veneto
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di Alberto Cristani - Foto: Regione Veneto
nche per la Regione Veneto si chiude un anno ricco di eventi e di avvenimenti che hanno portato alla ribalta nazionale le eccellenze e le tipicità venete. Con l’Assessore regionale al territorio, cultura, sicurezza e sport Cristiano Corazzari facciamo un resoconto dell’attività svolta nel 2019 e analizziamo le prospettive per un 2020 che si preannuncia ricco di novità e obiettivi ambiziosi. Assessore Corazzari, che anno è stato il 2019 per lo sport veneto? Tanto sport di eccellenza ma anche moltissima attività giovanile e dilettantistica… «Il Veneto è una terra ad alta vocazione sportiva e questa affermazione viene attestata dai nostri atleti, che entrano regolarmente nel medagliere delle Olimpiadi, dai nostri campioni, che primeggiano nelle gare di tutte le discipline sportive, dai nostri impianti, che possono vantare standard qualitativi di elevato livello. La conformazione del nostro stesso territorio si presta inoltre alla pratica di qualsiasi attività sportiva, favorendo in modo Ass. Cristiano Corazzari con Federica Pellegrini
naturale lo svolgimento e la diffusione dello sport che costituisce una componente importante della nostra società». Come Lei evidenzia il Veneto è terra con grande vocazione sportiva, con un rapporto tra abitanti e sportivi praticanti ai primi posti nel nostro Paese: quali possono essere i motivi secondo lei? «Su questo punto vi invito a prendere visione della pubblicazione che stiamo presentando in Veneto in questo periodo dal titolo Lo Sport nel Veneto. Un’indagine a 360. A distanza di tre anni dalla precedente edizione questa pubblicazione riporta le rilevazioni sullo sport nel contesto nazionale e veneto, rese disponibili grazie ai dati forniti da CONI, ISTAT e MIUR. Si tratta di dati che consentono di attestare la dinamicità del comparto sportivo, oltre che la forte propensione del territorio veneto all’attività motoria e sportiva. Il mondo dell’associazionismo sportivo veneto per esempio, si distingue come una delle realtà numericamente più rilevanti nel contesto nazionale: le ultime rilevazioni attestano come il Veneto sia tra le prime tre regioni italiane
Assessore Cristiano Corazzari
per atleti tesserati, per società sportive e per operatori sportivi. Determinazione, impegno e passione rappresentano valori fondamentali su cui si caratterizza l’attività sportiva, che nel nostro territorio vengono frequentemente tradotti in risultati di grande prestigio. Risultati che, sono senza dubbio merito in primis degli atleti ma anche, dal grande contributo di un sistema di organizzazione sportiva che mette in condizione di lavorare con tranquillità, favorendo il raggiungimento degli obiettivi. Il Veneto infatti, in tale contesto, brilla anche per le competenze dei propri tecnici e per le capacità dei propri dirigenti sportivi, senza dimenticare la validità delle nostre strutture sportive, che sono di alto livello qualitativo e di capillare diffusione nel territorio». L’assegnazione delle Olimpiadi MilanoCortina 2026 è senza dubbio il grande successo dell’anno che sta per chiudere… «L’assegnazione della sede olimpica è un traguardo molto importante e una sfida per i territori coinvolti nell’organizzazione di un evento sportivo di interesse mondiale. Per la Regione del Veneto il risultato è stato possibile grazie allo straordinario spirito di squadra voluto e portato avanti con determinazione e passione dal Presidente Luca Zaia e grazie all’impegno di CONI, Regione
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Regione del Veneto ed il MIUR hanno ulteriormente consolidato tale rapporto attraverso la condivisione del progetto denominato Scuola & Sport. Si tratta di un contenitore di più attività che coinvolgono tutti gli studenti di ogni ordine e grado. Si va dai Campionati Studenteschi, primo approccio all’attività sportiva agonistica, al progetto Integralmente Sport-Cultura che mira ad avvicinare gli studenti/ragazzi al mondo della disabilità attraverso l’attività motoria, all’implementazione dell’attività ludico motoria nella scuola primaria e, per finire, ad iniziative finalizzate al rispetto, alla valorizzazione ed al recupero dell’ambiente, nonché alla promozione delle discipline sportive tradizionali venete». Lombardia, Veneto, Comuni di Milano e Cortina e tutti i territori e le realtà locali che hanno collaborato alla candidatura di Milano/Cortina e hanno condiviso e saputo valorizzare un progetto all'altezza delle aspettative. A 70 anni esatti dai Giochi del 1956, Cortina si ripropone come culla degli sport invernali riportando la montagna al centro delle politiche di sviluppo del nostro paese e dell’Europa. Nelle Dolomiti il ‘saper fare’ in ambito sportivo è già patrimonio comune e lo spirito organizzativo olimpico è ben presente e la proposta del territorio Dolomitico è ispirata da principi di massima sostenibilità economica, ambientale e sociale per dimostrare la possibilità concreta di conciliare standard organizzativi elevati con l’iconicità e la delicatezza di un territorio già inserito nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’Unesco».
Sport e scuola, tanto è stato fatto ma tanto c’è ancora da fare: come si sta muovendo in tal senso il Veneto? «L’incentivazione dell’attività motoria e sportiva in ambito scolastico è da sempre un obiettivo strategico dell’Amministrazione regionale. Si è infatti pienamente consapevoli che la promozione di stili di vita sani tra gli studenti di ogni ordine e grado attraverso la pratica sportiva, rappresenti una mission da perseguire non lesinando energie ed impegno. In tale senso sottolineo il proficuo rapporto di collaborazione, che la Regione intrattiene con l’Ufficio scolastico regionale per il Veneto del MIUR, per la condivisione di idee e progetti specificamente finalizzati alla promozione della pratica sportiva in ambito scolastico. Con l’entrata in vigore della L.R. n. 8/2018, legge regionale di riferimento per la materia sportiva, la
In questi casi non è mai bello fare graduatorie e classifiche, ma se dovesse segnare con un asterisco i tre eventi sportivi che hanno contraddistinto il 2019 dello sport veneto, cosa indicherebbe? «Non amo fare classifiche di questo tipo perché ritengo sia ingiusto rispetto alle moltissime attività, ai tanti eventi realizzati, e alla enorme passione e coinvolgimento espresse da tutto il mondo dello sport nelle varie discipline. Tutti ci emozionano e coinvolgono come ad esempio i Campionati Europei di Ciclocrossche si sono appena conclusi a Silvelle: una gara, e uno spettacolo, lungo le strade e i campi con circa 10 mila persone in una piccola località del Veneto. Esempi di questo tipo potrei elencarne una infinità perché così sono tutte le nostre comunità; capaci di accogliere con cuore gli eventi sportivi, sia di carattere locale che
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Ass. Cristiano Corazzari con Gustav Thöni
internazionale, con capacità organizzative di altro livello. Ricordo anche le maratone del Veneto che costituiscono eventi sportivi di estrema rilevanza nazionale ed internazionale, essendo considerate competizioni di eccellenza nell’ambito del panorama sportivo e aggiungo le tappe del Giro d’Italia capaci sempre di infiammare di passione le nostre strade». Assessore lei pratica sport? «Non pratico molto sport ma amo lo sport e l’esperienza di Assessore allo Sport della Regione del Veneto è stata ed è un’esperienza entusiasmante. Ho avuto modo di conoscere un settore dinamico ed in continua ascesa che significa non solo competizione ma che ha anche un’importante valenza educativa e formativa, di rispetto delle regole, degli altri e di inclusione sociale».
Regione Veneto informa
C’è un evento/progetto che vorrebbe portare a compimento a medio-breve termine? «È in corso il progetto Carta Etica dello
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Sport finalizzato alla promozione dei principi ispiratori della Carta etica dello sport veneto, adottata ai sensi dell’art. 3 della predetta L.R. 8/2015, vero e proprio codice di comportamento per coloro che vivono lo sport. Trattasi di un concorso a premi, giunto alla seconda edizione, rivolto agli studenti delle scuole di primo e secondo grado della regione, basato sulla realizzazione di fumetti che illustrino, articolo per articolo, i contenuti della Carta etica medesima. La prima edizione si è conclusa con una cerimonia di premiazione degli elaborati vincitori tenutasi nel gennaio 2019 anno a Verona con testimonial Federica Pellegrini. Gli elaborati vincitori sono stati raccolti in un volume intitolato La Carta etica dello sport a fumetti che è stato divulgato tra le scuole venete. La seconda edizione è in corso di svolgimento e si concluderà anch’essa con una cerimonia che si terrà presumibilmente a gennaio 2020 e testimonial sono le ‘Pantere’ dell’Imoco Volley di Conegliano Veneto. Imparare divertendosi. È questo il primo insegnamento dello
Giunta veneta stanzia un ulteriore milione di euro per il miglioramento degli impianti sportivi Il 6 novembre scorso la Giunta regionale del Veneto, su proposta dell’assessore allo sport Cristiano Corazzari, ha approvato due deliberazioni con le quali è stato stanziato complessivamente 1 milione di euro per la realizzazione di opere di miglioria, anche strutturale, in 37 impianti sportivi del Veneto. “Con questi provvedimenti” – spiega Corazzari – “diamo attuazione alla normativa regionale in materia di sport, sostenendo oltre alla pratica sportiva anche l’adeguamento dell’impiantistica di base. Un veneto su quattro pratica una disciplina sportiva e noi riteniamo doveroso supportare tutti i soggetti, dagli Enti locali alle associazioni, che sono impegnati a offrire strutture adeguate sia per residenti che per i turisti”. “Non senza difficoltà” – conclude l’assessore – “stiamo cercando di trovare nelle pieghe di bilancio tutte le risorse possibili per finanziare questo genere di interventi molto richiesti e attesi dalle amministrazioni e dalle comunità locali. I beneficiari di questi riparti si aggiungono a quelli che hanno già ottenuto in precedenza il contributo regionale: ricordo che negli ultimi anni abbiamo investito decine di milioni per rendere più funzionali gli impianti sportivi del Veneto e che su questo fronte la Regione continua svolgere un importante lavoro di monitoraggio delle strutture esistenti”.
sport e sarà ciò che guiderà gli studenti del Veneto nella loro partecipazione alla seconda edizione del concorso Disegna a fumetti la Carta Etica dello sport veneto. Una sfida all’ultimo tratto di matita, che impegna gli istituti secondari - di primo e secondo e grado - nella realizzazione di un vero e proprio “comics” incentrato sui valori etici dello sport promossa dall'Assessorato allo sport della Regione Veneto, dall’Ufficio Scolastico Regionale per il MIUR e dal Comitato Pro loco del Veneto. Ideata per diffondere e valorizzare la Carta Etica dello sport veneto è diventata uno strumento di riflessione e divertimento per i giovani veneti, nella convinzione che valori come collaborazione, inclusione e rispetto siano temi imprescindibili tanto in un campo di gara quanto nella vita di tutti i giorni. Valori che i ragazzi, nei loro elaborati, interpretano magnificamente. Lo hanno dimostrato i 140 progetti pervenuti nel 2018 e lo confermano i lavori che stiamo ricevendo in queste settimane. Ricordo che gli elaborati prodotti dagli studenti, unitamente alla scheda di adesione al concorso, possono essere inviati in formato digitale entro e non oltre il 16 dicembre 2019 a cartaeticasportveneto@ gmail.com». Assessore, SportdPiù magazine può essere uno strumento per la promozione dello sport veneto? «Certo, l’informazione e la comunicazione sono strumenti importanti per la promozione dello sport e dei valori che esso rappresenta. Colgo l’occasione per invitare, attraverso queste pagine, ad aderire alla Carta Etica dello Sport in Veneto https://www.regione.veneto.it/web/sport/ carta-etica». Infine, che anno sarà il 2020 per lo sport della nostra Regione? «In continuità con quanto fatto fino ad oggi e in preparazione dei Campionati del Mondo di sci alpino Cortina 2021 e ovviamente delle Olimpiadi 2026. Altro tema importante è quello della promozione della pratica motoria e sportiva in ambito scolastico. Obiettivo imprescindibile per la Regione, da rafforzare e consolidare anche per gli anni futuri nella consapevolezza che lo sport può contribuire in maniera sostanziale alla crescita complessiva dei ragazzi».
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Un 2019 da pole position per Mantova sportiva a cura della Redazione - Foto: Comune di Mantova
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identità e l’attrattività di un territorio sono l’espressione delle sue caratteristiche e peculiarità di natura storica, artistica, culturale e sociale. Mantova, con i suoi 49.587 abitanti, è una città accogliente e ricca di bellezze architettoniche, artistiche, naturali. Ha una posizione strategica che la rende raggiungibile con ogni mezzo, data la stretta vicinanza all’aeroporto Catullo di Verona e all’autostrada A22 Brennero-Modena. La storia di Mantova è costellata da molti successi nel mondo dello sport, grazie ai campioni e alle squadre del territorio, che sono diventati celebri a livello internazionale. Hanno origine mantovana grandi nomi che hanno fatto la storia dello sport, Come Tazio Nuvolari nell’automobilismo, Learco Guerra nel ciclismo, Roberto
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Boninsegna nel calcio. Anche oggi Mantova ha numerosi fiori all’occhiello, tra questi la squadra di Mantova Calcio a 5, in serie A, la squadra di Basket in seri A2 Gold, ma anche gli assi del ciclismo e i fuoriclasse del canottaggio e del calcio. Grazie all’impegno delle Federazioni Sportive Nazionali, degli Enti di Promozione Sportiva, delle Associazioni Benemerite e delle Associazioni Sportive Dilettantistiche del territorio e del CONI Delegazione di Mantova, con il coordinamento dell’Ufficio Sport e dell’Assessore allo Sport del Comune di Mantova, è stato predisposto un calendario di eventi e manifestazioni in tutto l’arco dell’anno, mantenendo fede al principio di sostenere e promuovere ogni disciplina sportiva presente sul territorio. Il variegato palinsesto ha visto lo svol-
gimento delle iniziative in varie location della città, non solo negli impianti sportivi ma anche negli Istituti Scolastici di ogni ordine e grado, non tralasciando i quartieri e le periferie ed includendo, altresì, alcuni territori della provincia. Il programma di Mantova Città Europea
dello Sport 2019 è stato ricco di eventi grandi e piccoli, gare, tornei, esibizioni, corsi, programmi educativi e formativi, mostre e iniziative culturali, testimonia la grande vitalità e laboriosità del movimento sportivo e dell’associazionismo mantovano. Nel calendario dell’anno 2019 sono state organizzate oltre 200 manifestazioni tra cui 14 eventi Internazionali, 82 eventi Nazionali e Regionali, 30 iniziative a partecipazione popolare, 80 iniziative di cultura, formazione e promozione delle discipline sportive. Lo sport è diventato protagonista per un anno: non solo con competizioni internazionali e grandi eventi, ma anche e soprattutto con programmi e progetti di socialità e cultura sportiva al fine di veicolare valori positivi, insegnare il rispetto delle regole, promuovere corretti stili di vita e…fare gioco di squadra!
prestazioni eccellenti, ma anche come incentivo all’aggregazione sociale, strumento di prevenzione e promozione della salute. Lo sport ha, infatti, una grande capacità d’aggregazione: promuove valori come lo spirito di gruppo, la tolleranza, il senso di appartenenza comune e facilita l’integrazione e il dialogo interculturale. Nel palinsesto di Mantova Città Europea dello Sport 2019 sono stati inseriti molteplici appuntamenti che hanno messo al centro la persona, per favorire la piena partecipazione degli individui indipendentemente dalle loro abilità. Dai grandi eventi di piazza, alle iniziative più propriamente sportive ma anche molte altre attività socializzanti: tornei amatoriali, manifestazioni podistiche, giochi di una volta, itinerari in bici. Insomma, sport ma non solo. Con il riconoscimento del titolo di Città Europea dello Sport 2019 Mantova ha avuto l’opportunità di approfondire e potenziare il programma rivolto all’attività sportiva di ogni livello e disciplina con la consapevolezza che il valore dello sport non si limita solamente al risultato sportivo fine a sé stesso, ma crea un legame con la comunità, con le Associazioni Sportive e insegna ai giovani valori destinati a restare nel loro bagaglio culturale. Nello sport emergono il carattere di una persona e la sua voglia di mettersi in gioco e di dimostrare al pubblico quali sono le sue doti; in una gara l’atleta può commettere errori ma è preparato a dimostrare il coraggio di rialzarsi da solo, consapevole che ha già vinto mettendosi in gioco. Nello sport non si molla facilmente, perché lo sport è emozione, è vittoria e sconfitta. È vita.
Lo sport per tutti
Attività sportive popolari
Lo sport promuove il benessere fisico e sociale e va inteso non solo come performance volta al raggiungimento di
Lo sport è sicuramente lo strumento migliore per educare, formare, favorire l’integrazione e la solidarietà, in grado di guardare con attenzione i più giovani e rivolgersi all’età matura. Investire nello sport significa investire nell’educazione, nella salute e nella cultura dei giovani e della società civile. Promuovere e sostenere momenti di ricerca e di confronto, di approfondimento culturale per i praticanti, per le famiglie
coinvolte e per tutti i gli operatori del mondo dello sport, ha lo scopo di fornire un contributo decisivo all’educazione e alla formazione dei giovani, nonché alla vita sociale e culturale. Nella programmazione sono state numerose le occasioni culturali, gli eventi formativi, i momenti aggregativi in grado di coinvolgere tutte le fasce di popolazione e di illustrare in modo significativo i vari aspetti dello sport dilettantistico ed agonistico. Lo sport è libertà di muoversi, di inventare, di emozionarsi. Per esserlo davvero, nessuno escluso, la parola chiave è inclusione. Ovvero lo sport si fa con gli altri, insieme agli altri, tutti insieme. Nel nostro calendario rientrano numerose attività finalizzate all’inclusione con l’obiettivo di far incontrare culture ed etnie differenti, ma anche diversi livelli di abilità fisiche e motorie: le persone con disabilità si allenano e giocano insieme, nella stessa disciplina, a quelle senza disabilità, per aiutare i giovani ad abbattere le barriere dei pregiudizi. Un insieme di buone prassi motoriosportive che, a differenza dello sport tradizionale, non sono concentrate sulla prestazione e sul risultato tecnico ma si concentrano sulla crescita e sullo sviluppo di socialità, di capacità relazionali e sulla coesione sociale.
Sport e disabilità
Nell’anno di Mantova Città Europea dello Sport 2019, il Comune di Mantova, in rete con ForMa – Formazione Mantova, promuove un hackathon per individuare idee e progetti sul tema sport e disabilità, una vera e propria maratona di progettazione aperta a giovani studenti maker e non, ma rivolta anche a persone con disabilità e al mondo dell’associazionismo e del volontariato che vogliono dare il proprio contributo o anche offrire la propria testimonianza sul tema. L’Hackathon H-ABLE Disabilità&Sport si rivolge in primo luogo agli studenti universitari mantovani, chiamando ai tavoli di progettazione le tre Università con sede a Mantova, ovvero i progettisti e non solo del Politecnico di Milano - Polo territoriale di Mantova, gli ingegneri dell’Università di Modena e Reggio
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fondamentale e irrinunciabile per mantenere la salute e prevenire la malattia. L'attività fisica sortisce effetti positivi a lungo termine sul corpo e non solo: è un presupposto importante anche per un completo benessere psicologico e sociale.
Integrare una sana attività fisica nella vita di tutti i giorni è facile e possibile
Emilia, gli educatori professionali e i fisioterapisti dell’Università degli studi di Brescia. H-ABLE Disabilità&Sport si inserisce all’interno del filone progettuale in capo a ForMa, azienda speciale della Provincia di Mantova, all’interno del progetto ‘Mantova: Laboratorio territoriale diffuso per l’innovazione e l’occupabilità’ cofinanziato da Fondazione Cariverona e promosso da Camera di Commercio, Provincia e Comune di Mantova, Politecnico di Milano, Unimore, PromoImpresa – Borsa Merci, Istituto Manzoni e Istituto Sanfelice. Scopo di tale filone progettuale è l’attivazione a Mantova di H-ABLE Lab, un laboratorio maker permanente per la disabilità a disposizione del territorio per agevolare la collaborazione con le realtà che operano sulla e con la disabilità, l’emersione dei bisogni, la socializzazione delle idee generate e lo sviluppo di prototipi e dispositivi maker destinati e progettati per la persona con disabilità. H-ABLE Disabilità&Sport si concentra sulla ideazione e progettazione di dispositivi e attrezzature per rendere lo sport più accessibile. La promozione della salute mira a potenziare le risorse di salute delle persone e l'attività fisica è un ottimo strumento per raggiungere tale scopo. Gli effetti benefici che il movimento produce sull'organismo ne fanno un elemento
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Spesso lo sport è davvero la migliore medicina... e non è mai troppo tardi per iniziare! Mantova è una città che coltiva e produce cultura e lo sport è prima di tutto un’esperienza culturale che l’Amministrazione Comunale sta incoraggiando e favorendo in ogni modo. La città offre mille occasioni per fare attività sportiva – agonistica e non – immersi in contesti culturali e paesaggistici ricchi di fascino. I mantovani stanno rispondendo con grande partecipazione alle iniziative e agli eventi sportivi proposti nel calendario di Mantova Città Europea dello Sport 2019 e questo entusiasmo ci ha motivato ancora di più a proseguire l’opera di riqualificazione delle strutture sportive esistenti e a dotare la città di nuove strutture con un investimento pari a € 4.926.500. La politica di rinnovamento delle strutture sportive ad uso urbano si è concretizzata con l’inaugurazione del primo campo da calcio in erba sintetica nel centro della città. L’iniziativa, legata al rifacimento del vecchi campo da calcio con fondo in terra, è scattata in seguito alla richiesta dei ragazzi del quartiere ed ha trovato la pronta risposta dell’Amministrazione che ha l’obiettivo di realizzare spazi liberi attrezzati per tutti gli sport nei vari quartieri della città. Il campo ha un manto erboso in sintetico di ultima generazione, interamente riciclabile, che potrà ospitare partite a 5 e 7 giocatori. Le scuole potranno utilizzarlo nell’orario scolastico e, dal tardo pomeriggio in poi, sarà dedicato alle squadre amatoriali che vogliono fare dell’Arena Virgiliana la loro casa. L’importo dei lavori è di un milione di euro e le risorse provengono dalla Presidenza del Consiglio, con istruttoria del Coni, tramite il «Fondo Sport e Periferie». Il progetto prevede la realizzazione di un
edificio unico suddiviso in due settori. Il primo verrà destinato alla zona notte e sarà ricavato nel rilevato arginale per ridurre l’impatto sul paesaggio circostante. Il secondo settore ospiterà la sala riunioni, il bar e la mensa per gli atleti e gli accompagnatori. Lo spazio sarà aperto al pubblico come servizio per tutta la città e anche come punto di ristoro turistico. Nel progetto è presente anche un tetto giardino che ricoprirà la struttura, la cui quota sarà pari alla scarpata. Sono previsti anche 32 posti letto organizzati in sette camere, di cui sei in grado di ospitare cinque persone. Il Comune di Mantova concede contributi finanziari finalizzati a promuovere e valorizzare la pratica dello sport e delle attività ricreative ad essa collegate e l’organizzazione di manifestazioni sportive, anche attraverso il sostegno al volontariato e all’associazionismo sportivo ponendo particolare attenzione alle categorie più deboli ed ai giovani.
Lo sport, strumento educativo
Lo sport è uno strumento educativo di crescita fondamentale, trasmette valori sani, insegna a superare i propri limiti e a faticare per raggiungerli, educa alla collaborazione e al gioco di squadra, alla competizione nel rispetto delle regole. L’Amministrazione Comunale, nell’anno di Mantova Città Europea dello Sport, ha deciso di promuovere l’attività sportiva rivolta a giovani ed adolescenti con particolare attenzione a ragazzi appartenenti a nuclei familiari a basso reddito o in difficoltà economica, sostenendo, in tutto o in parte, le spese di iscrizione e frequenza a corsi o a discipline sportive.
I NTERVISTA bete A Giancarlo
Memoria Azzurra di Giorgio Vincenzi - Foto: Giancarlo Abete sugli obiettivi non raggiunti, al di là della naturale aspettativa di ognuno di noi di vedere la propria Nazionale e i clubs del proprio Paese ottenere risultati sempre più prestigiosi. In generale ho avuto sempre grande collaborazione, considerazione e rispetto da parte del mio mondo di riferimento se è vero, come è vero, che sono stato eletto tre volte a scrutinio segreto con oltre il 95% dei voti e che sono stato indicato nel 2018 come candidato presidente dalla gran parte delle componenti del mondo del calcio, obiettivo che poi non si è realizzato in relazione ad una normativa vigente che limita il numero di mandati da parte del presidente».
G
iancarlo Abete, imprenditore, fa parte della storia del calcio avendo ricoperto dal 2007 al 2014 la presidenza della Federazione italiana giuoco calcio (Figc) e dal 2011 al 2017 la vice presidenza dell’Uefa. Grande conoscitore del pallone e di tutto ciò che ci gravita intorno, SportdiPiù magazine l’ha intervistato lo scorso settembre in occasione di una serata di gala della Fiera del Riso 2019 di Isola della Scala di Verona. Dottor Abete, dei sette anni passati a capo della Figc cosa le piace ricordare? «È stato un periodo di impegno importante portato avanti con entusiasmo e determinazione. Penso che la trasparenza testimoniata negli anni di presidenza, gli ottimi rapporti con le articolate componenti del calcio e dello sport e il rispetto verso il mondo dell’informazione, l’opinione pubblica e i tifosi sia stato percepito come un valore primario della Federazione. Il ciclo sportivo collegato alla mia presidenza ha evidenziato una perdita di
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competitività della Nazionale e dei Clubs ma nonostante ciò abbiamo ottenuto il secondo posto agli Europei del 2012 ed un terzo posto alla Confederations Cup del 2013. Milan e Inter hanno vinto la Champions League nel 2007 e nel 2010 e ci siamo qualificati in largo anticipo nelle competizioni Internazionali. Dal 2014 a oggi i risultati non sono stati in linea con quelli precedenti, a testimonianza di una fase di criticità che si è consolidata e che soltanto in questo periodo, con il rinnovato impegno di Mancini alla guida della Nazionale, sembra testimoniare importanti momenti di ripresa. C’è stata sempre grande attenzione da parte della Federazione ai temi etici, culturali e sociali perché una grande Federazione, come la Federcalcio, deve dare costante attenzione ai temi valoriali». Cosa, invece, le dispiace non aver potuto attuare? «Non ho motivi di rammarico
Qual è la persona che ha dato tanto al nostro calcio, ma che non è mai stata valorizzata o addirittura accantonata? «Come è fisiologico che avvenga tanti protagonisti del mondo del calcio avrebbero meritato soddisfazioni maggiori di quelle che hanno raccolto nella loro carriera. Un esempio può essere quello di Francesco Rocca che ha dovuto interrompere la sua carriera sportiva giovanissimo per un infortunio al ginocchio sinistro negli anni 70, quando già era da due anni titolare della nostra Nazionale. Francesco Rocca ha dedicato più di 30 anni del suo impegno da allenatore alle nazionali giovanili italiane e senz’altro per la sua preparazione e i suoi valori etici avrebbe meritato soddisfazioni maggiori di quelle che comunque ha raccolto nel suo percorso professionale».
Abete con Marcello Lippi
Lei è stato anche capo delegazione della nazionale italiana che ha vinto il mondiale del 2006 in Germania: che ricordo ha? «L’esperienza come capo delegazione a un mondiale vittorioso è senza dubbio il ricordo più bello che un dirigente sportivo impegnato a livello di Federcalcio possa conservare. È stato un campionato del mondo nato in condizioni di grandi difficoltà per gli eventi di calciopoli che hanno preceduto l’avventura azzurra. Molti volevano che la Nazionale non partecipasse al mondiale. La risposta di Lippi e degli azzurri è stata eccezionale non soltanto sul versante del risultato sportivo, ma dei comportamenti e dell’immagine che hanno contrassegnato l’intero periodo dalla preparazione alla fase successiva alla vittoria del mondiale». Quest’estate gli sportivi italiani hanno ‘scoperto’ il calcio femminile grazie all’ottimo mondiale delle nostre Azzurre; non è trascorso troppo tempo prima di dare il giusto rilievo a questo movimento? «Certamente l’attenzione dell’Italia al calcio femminile è cresciuta in maniera significativa negli ultimi tempi, ancor prima degli importanti e significati risultati conseguiti dalla nostra Nazionale al mondiale. Il cambio di passo è stato determinato in particolare dall’attenzione che i grandi clubs professionistici hanno dato al calcio femminile. Senza una struttura societaria adeguata è sempre risultato difficile per la Federazione far decollare il calcio femminile. Ovviamente bisogna superare anche le barriere culturali che, soprattutto in alcune parti del Paese, sono presenti e l’ottimo risultato al mondiale e la comunicazione valoriale positiva che c’è stata stanno contribuendo e contribuiranno a migliorare la situazione».
Il nostro calcio non brilla in fatto di comfort degli stadi. Anche Verona ha in programma di ammodernare il Bentegodi. Perché siamo così indietro su questo tema rispetto a tanti altri Paesi europei come Inghilterra, Germania, Olanda e Francia, tanto per fare alcuni nomi? «Il problema degli stadi rimane una criticità per il nostro Paese. L’assenza di grandi eventi quali l’organizzazione di un mondiale e di un europeo ha pesato sul nostro ritardo rispetto ai principali competitors europei anche se occorrerebbe avere la capacità e la forza per il Paese di dar luogo alla costruzione o ammodernamento degli stadi a prescindere dai grandi eventi. Le norme statuali, che sono naturale riferimento per importanti investimenti come quelli degli stadi, non si sono rivelate idonee a favorire un processo di ammodernamento, non riuscendo a trovare il giusto equilibrio tra la tutela urbanistico-ambientale e la necessità per chi investe di avere un conto economico compatibile con l’investimento. Penso che tutti abbiamo notato che le ristrutturazioni o le nuove costruzioni sono avvenute laddove si è mantenuto il sito precedentemente individuato per lo stadio. Laddove si è cercato o si sta cercando un sito differente, i progetti sono fermi e/o progrediscono con lentezza». Tra i tanti calciatori che ha conosciuto nella sua lunga carriera, qual è quello che ricorda con più piacere e perché? «Ricordo tanti giocatori con affetto e con gratitudine. Giocatori che hanno fatto la storia del calcio e che hanno dato un contributo fondamentale alla Nazionale, per affetto, convinzione e passione. Posso ricordare Gianluigi Buffon per tutti, perché ha accompagnato tutto il mio percorso di dirigente sportivo da Vice presidente e Presidente federale. La carriera di Buffon, la sua longevità sportiva e i livelli di eccellenza che ancora lo contraddistinguono costituiscono un modello da imitare». Che ricordi calcistici ha di Verona e del Veneto in generale? «Il Veneto e Verona hanno sempre avuto una parte importante nel calcio italiano e la presenza per moltissimi anni di due squa-
dre veronesi in serie A lo testimonia. Di Verona ricordo la partita della Nazionale del 1989 contro l’Uruguay, allorché ero Presidente del Settore Tecnico della Federazione; ricordo la Nazionale a Padova nel 2005 con Lippi Commissario Tecnico. Tutto il Veneto nelle sue realtà territoriali rappresenta una dimensione importante del nostro calcio, senza dimenticare la mitica figura di Sergio Campana che ha rappresentato un ‘faro’ per l’Associazione italiana calciatori per decenni. Damiano Tommasi, persona di grandi qualità morali e professionali, ha dato continuità a una tradizione di dirigenza sportiva nella rappresentanza dei calciatori, attori protagonisti del calcio». I problemi del razzismo negli stadi e delle frange violente delle tifoserie sono sempre lontani dall’essere risolti: lei come interverrebbe? «Il problema del razzismo negli stadi e le frange violente delle tifoserie continuano a essere una criticità del nostro mondo del calcio. È un problema purtroppo presente a livello internazionale come le recenti vicende calcistiche hanno evidenziato. Penso che, fermo restando il riferimento alla responsabilità oggettiva che da sempre a livello internazionale costituisce caposaldo della normativa sportiva, i recenti interventi della Federazione, finalizzati a responsabilizzare maggiormente le società sul versante della prevenzione e colpire in modo più mirato i protagonisti di tali atti cercando di evitare che gli stessi facciano pressione sulle Società per ottenere vantaggi impropri, vadano nella giusta direzione. È un tema che va affrontato d’intesa con gli organi statuali essendo il tema della sicurezza negli stadi di primaria rilevanza per l’ordinamento statuale prima ancora che per quello sportivo. Siamo prima di tutto cittadini e poi tesserati per una Federazione o tifosi di una squadra».
Abete con gli ex juventini Platini e Boniek
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STARE BEN E
Postural
di Carmen Guidobaldi Instagram carmenguidobaldi
Postura e palestra
I
n questo nuovo numero di SportdiPiù magazine voglio evidenziare come siano importanti la postura in palestra e l’esecuzione corretta dell’esercizio fisico. Molto spesso chi si allena in palestra lo fa un po’ a modo suo; le compensazioni fisiche e gli errori sono quindi molto comuni e diffusi. Alcuni esempi? Assenza o perdita del conteggio delle ripetizioni (con conseguenza squilibri di tonicità e ovviamente anche sulla postura), cervicale sempre in tensione, posizionamento non corretto del bilanciere durante l’esercizio di squat (che si può ripercuotere sulla schiena), testa troppo alta o troppo bassa (o addirittura sempre piegata all’insù per specchiarsi durante l’esercizio…) con conseguenze lordosi cervicali, mancanza di adeguato riscaldamento e defaticamento, uso prolungato di machines che, per effettuare degli esercizi, bloccano gli arti (per esempio lat machine). Tutto questo si ripercuote inconsapevolmente sulla nostra postura tant’è che molte persone che si allenano in modo sbagliato hanno dolori e fastidi cervicali oppure contratture cervicali post allenamento. E non solo. Chi lavora in ufficio, chi alza carichi ripetutamente o chi lavora in piedi dovrebbe evitare, quando e se va in palestra, esercizi di carico e svolgere per iniziare esercizi di rinforzo in scarico, poiché i carichi trasmettono continue
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sollecitazioni da schiacciamento alle nostre vertebre dando origine con il tempo a patologie come protusioni, lombalgie di vario genere. E non dimenticate che durante gli esercizi di sollevamento pesi è raccomandato tenere le ginocchia leggermente flesse. Tonificare la muscolatura della nostra schiena è importante perchè si acquisisce forza, resistenza, buona mobilità e una buona postura. Anche l’eccessiva muscolatura non aiuta la nostra postura (parliamo di casi come il bodybuilder) anzi: la troppa muscolatura soffoca l’articolazione bloccandone il movimento con conseguente perdita di flessibilità e riduzione della mobilità articolare. Il primo approccio con l’allenamento in palestra consiste nel lavorare con gli esercizi giusti, svolti correttamente, per poi proseguire con un programma avanzato in modo graduale: raggiunti obbiettivi minimi di resistenza e forza è
importante proseguire con gradualità per non avere conseguenze spiacevoli sulla nostra postura. È utile saltuariamente effettuare dei massaggi per distendere le tensioni e sciogliere le contratture che, a volte e inevitabilmente, si creano a causa di svariati fattori durante l’esercizio fisico in palestra. Quindi cari lettori, vi auguro un buon lavoro, e se volete saperne di più scrivetemi pure a: activitywellnesstrust@yahoo.com
I NTERVISTA iccolboni P o m o c ia G to u p a r r ia G o n a f e Ste
di Jacopo Pellegrini - Foto: Simone Pizzini
o i p p o d o nci
La
G
iacomo Piccolboni (detto Jack) e Stefano Giarraputo (Giarra) giocano a baseball con la maglia dei Dynos Verona. Entrambi sono lanciatori, anche se con alcune ‘piccole’ differenze: Giarra è il lanciatore partente, ossia quello che inizia la gara mentre Jack è il lanciatore di rilievo, quello che subentra in determinati momenti della partita o che deve chiudere la gara. SportdiPiù magazine li ha messi scherzosamente a confronto in questa intervista doppia: Ragazzi, presentatevi… Giarra: Io sono Stefano Giarraputo e ho 21 anni.
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Jack: Mi chiamo Giacomo Piccolboni e ho 23 anni. Il vostro idolo Sportivo? G: Clayton Kershaw, lanciatore dei Los Angeles Dodgers). J: Mariano Rivera, ex lanciatore dei New York Yankees). Una tua qualità e un tuo difetto quando scendi sul diamante di gioco… G: La Concentrazione, sia in positivo che in negativo. Se sono concentrato va tutto bene, altrimenti mi tira molto giù il rendimento. J: Il mio difetto è forse l’emotività, che a volte si trasforma anche in una qualità quando ci sono le partite che hanno
bisogno di qualcosa in più. Come e quando hai conosciuto il Baseball? G: Avevo 6 anni e non avevo assolutamente idea di questo sport finché il mio migliore amico dell’epoca non mi ha chiesto di andare con lui. Ho deciso di provare e alla fine sono ancora qua. J: Io l’ho conosciuto grazie ai miei fratelli: mio fratello più grande aveva iniziato a giocare a baseball e io l’ho seguito. Quali difficoltà hai trovato in questo sport? G: In generale soprattutto fisiche: è uno sport unilaterale che ti porta ad avere
molti problemi muscolari, però molto stretching è quello che mi salva. J: Secondo me è più difficile dal punto di vista mentale: sicuramente c’è una buona parte fisica, ma la parte mentale e quella che più importa in questo sport. Cosa avresti fatto e non avessi giocato a baseball? G: Non lo so… Probabilmente sarei andato meglio a scuola! (ride, ndr). J: Penso che forse avrei giocato a tennis. Descrivi con tre parole i tuoi compagni di squadra. G: Coinvolgenti, ‘cazzoni’ e abbastanza empatici quando serve. Una sorta di piccola famiglia. J: Uniti, travolgenti e allegri. Descrivi con una parola la tua società. G: Accogliente sotto tutti i punti di vista. J: Per me non c’è parola migliore di famiglia. Il momento più bello della tua carriera sportiva? G: Campioni d’Italia serie B 2015: impossibile da dimenticare. J: Quando ero un ragazzino e ho fatto un fuoricampo il giorno del mio compleanno.
Parliamo di ‘campo’: come sono strutturati i tuoi programmi d’allenamento e la tua preparazione sportiva? G: Siamo in campo ogni giorno, dal lunedì al venerdì, e ogni allenamento prevede una parte di tecnica del lancio, una parte di lancio vero e proprio e la parte finale che è di mantenimento fisico che in base al giorno della settimana è più o meno consistente. J: Noi due abbiamo differenti ruoli all’interno dello stesso ruolo: lui fa il lanciatore partente mentre io faccio il
rilievo. Quindi abbiamo preparazioni un po’ diverse: mentre la sua è più improntata sulla resistenza e ha corse più lunghe delle mie, la mia è prevalentemente forza esplosiva quindi scatti e recuperi molto più brevi. Come ti prepari il giorno prima della partita? G: Dal punto di vista scaramantico devo andare a letto tranquillo e ad un’ora decente, addormentandomi mettendo della musica in sottofondo. La mattina dopo ancora musica fino al momento della partita. J: Io più o meno ho le sue stesse abitudini. Mangio qualcosa in particolare e bevo un bicchiere di latte prima della partita. Cosa diresti ai ragazzini che vorrebbero approcciarsi a questo sport? G: Provate sport nuovi. Non fermatevi sempre sul solito calcio che ormai non se ne può più. All’inizio sarà difficile da capire il baseball, ma più lo capisci più ti innamori. J: Ai ragazzini direi di venire a provare. Il baseball non richiede
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Stefano Giarraputo
caratteristiche particolari, come può essere l’altezza nel basket. Ognuno qui trova il suo ruolo. Inoltre questo sport è davvero completo: è sia uno sport di squadra (quando si difende) sia uno sport individuale (quando si attacca). Un giudizio sull’ultima stagione? G: Come squadra molto bene. Erano anni che il Verona faceva un po’ di fatica ma avendo cambiato un po’ di cose quest’anno stiamo facendo bene. Dal punto di vista personale molto bene: sono partito meglio di come mi sarei aspettato, poi ho avuto un calo durante la stagione ma purtroppo è una cosa normale. J: Anch’io sono dell’opinione di Giarra: l’anno scorso è stata una stagione un po’ difficile ma quest’anno penso che il giudizio sia molto positivo. Dal punto di vista personale mi ritengo molto soddisfatto anche se ho da rimproverarmi qualche partita: si può sempre migliorare e fare meglio.
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Giacomo Piccolboni
Gli obiettivi che vi prefissate il prossimo campionato? G: Riuscire a ritrovare me stesso all’interno del gioco e cercare di essere più costante. J: Migliorare e migliorare ancora. Poi essere ancora più costante e aumentare qualche biglia. Come vedete il Baseball tra 10 anni in Italia? G: Eh, sinceramente non so. Dipende solo in parte dal baseball: bisognerebbe riuscire a portare sempre più gente dalla nostra parte. J: Sicuramente un futuro non facile. Sto però notando, allenando i più piccoli, che già quest’anno sono rinate alcune categorie grazie all’entrata di nuovi ragazzini in società. Quindi siamo positivi, speriamo che questo sport aumenti sempre di più. E voi, come sarete tra 10 anni? G: Tra 10 anni spero almeno in Serie
A1. L’aspirazione massima sarebbe vedere nuovi ambienti come l’Australia, anche se è molto lontana, la Spagna o la Germania. J: Io mi vedo semplicemente sul monte con qualche anno in più... C’è qualcuno in particolare che vorreste ringraziare? G: Sicuramente la mia famiglia che mi ha sempre seguito. Poi la società che è sempre a disposizione degli atleti e che ci aiutano nella crescita sia sportiva che personale. Infine la squadra, quei ‘poveracci’ che mi hanno trovato quest’anno e che hanno fatto si che arrivassimo dove siamo arrivati. J: Anch’io in primis ringrazio la mia famiglia. Poi certamente la società Dynos che mi ha cresciuto e ancora mi segue come giocatore e atleta. La BT Verona, la squadra di Serie A2 che mi ha permesso di salire di categoria e tutti gli allenatori che mi hanno seguito fino ad oggi. Infine un ringraziamento speciale a Flavio De Boni.
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I NTERVISTA hi c s e d e t n a Z a r Auro
l'
Sarà
Aurora
di Matteo Zanon - Foto: tennisgialloblu.com - Aurora Zantedeschi
A
urora Zantedeschi, stella del tennis veronese vuole salire sempre più in alto. Da quando ha svolto la maturità ha deciso di spendere anima e corpo per il tennis e i frutti si cominciano a intravedere. A 19 anni la sua classifica è 2.4 ma ad un passo da 2.3, 750 nella classifica Wta e 600 in doppio. Solo il tempo e la sua propensione alla fatica quotidiana, potrà dirci se Aurora potrà compiere il grande passo nell’olimpo dei grandi del tennis mondiale. Seduti ad un tavolo del circolo più in di Verona, l’At Verona, la tennista veronese racconta, in esclusiva a SportdiPiù Magazine, il suo percorso tennistico. Aurora, quando hai iniziato a cimentarti con racchetta e pallina? Com’è proseguito poi il tuo percorso di crescita? «Ho iniziato a 4 anni nel circolo di fronte a casa, a San Floriano. Mio fratello giocava e io andavo spesso a vederlo con i miei genitori. La maestra un giorno mi ha vista e mi ha chiesto di andare a provare e così ho iniziato. Sono rimasta dieci anni in quel circolo e da 5 anni ormai sono qui all’At Verona». Quali sono stati i tuoi risultati più eclatanti a livello under? «Tre anni fa sono arrivata in semifinale a due tornei di singolo in Svezia. Si trattava dei miei primi tornei Itf under 18 e sono andati bene. Poi ho vinto vari tornei di doppio, il più importante due anni fa a Salsomaggiore. A differenza di altri sono sempre andata a scuola e ho fatto la vita da studente quindi mi risultava difficile fare tanti tornei. Infatti, di tornei under non ne ho giocati molti e il salto di
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qualità l’ho fatto tardi». Il tennis attualmente è la tua vita. Quando hai capito che sarebbe diventato il tuo pane quotidiano? «Sin dagli inizi giocare a tennis mi è sempre piaciuto e andavo ad allenarmi per divertirmi. Ho sempre pensato che poteva essere una strada possibile e le conferme le ho avute in questi ultimi anni. Visti i risultati può veramente realizzarsi quello che ho sempre desiderato». Ci racconti una tua giornata tipo? «Mi sveglio per le 7.30. Ho allenamento
dalle 9 alle 12 e faccio un’ora e mezza di tennis e una e mezza di preparazione fisica. Poi pranzo al circolo e riprendo alle 14.30 fino alle 17. 30 e faccio ancora un’ora e mezza di tennis e un’ora e mezza di preparazione. Questi sono gli orari che faccio di solito ma poi possono subire dei cambiamenti se sono in giro per tornei o in base al periodo di preparazione che sto attraversando». Il tuo livello è cresciuto sempre di più e ti stai confrontando con tornei mondiali come gli Itf o i ‘15mila’. Il livello delle avversarie, rispetto ai tornei di categoria, è molto più alto? Quali sono le differenze
principali che hai notato? «Quello che si nota di più è l’atteggiamento che mettono le persone nelle partite. Negli Open ci sono adulti che giocano bene e per divertimento mentre nei tornei Itf l’obiettivo delle giocatrici è vincere e portare a casa qualcosa. Come livello, tra i tornei 15mila e dei buoni seconda categoria non c’è più di tanto differenza, ma l’atteggiamento invece cambia notevolmente: le giocatrici arrivano prima, si scaldano di più, diciamo che hanno un atteggiamento da professioniste». Il tennis di oggi richiede una preparazione a 360°. Tra preparazione fisica, tecnica, tattica e mentale quale secondo te predomina o ha una percentuale più alta? «La cosa più importante nel tennis è l’area mentale. In campo sei sempre da solo e proprio per questo tanti non riescono ad arrivare perché non riescono a reggere le pressioni di giocare partite e
tornei. Oltra a questo, anche l’area fisica ha una grande importanza perché tutti a un certo livello giocano bene ma la differenza la fa chi riesce a gestire l’ansia e le emozioni e chi riesce a resistere di più a varie temperature e situazioni ambientali». Ti consideri una giocatrice di attacco o di difesa? Hai una tennista o un tennista a cui ti ispiri? «Sono una giocatrice d’attacco, senza dubbio. Non ho nessun giocatore a cui mi ispiro ma mi piace molto Federer per la sua classe nel giocare e mi piace tanto anche Nadal per quanto lotta in campo. A livello femminile non c’è nessuno in
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Incontro a Pozzo su mercato tutelato e libero Incontro a Pozzo su mercato tutelato e libero
è del Gas io Si ha ricordato SiGastaldello è parlato parlato dell’abolizione dell’abolizione del mercato mercato stesso, con una semplice comunicazione Gas e e Luce Luce era era risultata risultata a a fine fine febbraio febbraio tutelato nell’incontro tenutosi lo scorIl presidente di Adiconsum Verona, Dala più conveniente a livello nazionale”. tenutosi lo scorpresidente di Dala più conveniente a livello nazionale”. tina Gasnell’incontro e Luce può containIl2020. bolletta, adAdiconsum aumentare prezzo Iltutelato passaggio è obbligatorio da luglio Lupatotina Gas eVerona, Luce il consiglia didella non aspettare gli ultimi so so 24 24 ottobre ottobre nell’ex nell’ex Chiesa Chiesa di di Pozzo Pozzo e e vide vide Cecchinato, Cecchinato, ha ha ricordato ricordato che che dal dal Migliaia Migliaia sono sono ii clienti, clienti, non non solo solo lupatolupatomesi. 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Midalè meglio». so 24 ottobre nell’ex Chiesa di Pozzoalle e Diciamo, vide Cecchinato, ha ricordato che Migliaia sono i clienti, nonmesi solo potendo lupatoPresenti l’occasione l’assessore no dei prezzi imbattibili, però a non gli anche laper per riassumere, che norme Presenti pertrasparenza. l’occasione l’assessore alle no trovare trovare dei prezzi imbattibili, però è le a non aspettare gli ultimi ultimi potendo Si è parlato dell’abolizione delNel mercato Gas e aspettare Luce era risultata a mesi fine febbraio porto a casa sicuramente promosso da Lupatotina Gas e Luce col luglio del prossimo anno tutti i clienti tini, che hanno già effettuato il passagPartecipate Maria Luisa Meroni, che ha anche vero che il prezzo può essere mocosì usufruire di uno sconto di un Partecipate Maria Luisa Meroni, ha nel anche vero che il prezzo puòsono essere mousufruire di unoa sconto un centecentetutelato nell’incontro tenutosi loche scorIl presidente di tutelato Adiconsum Verona, Da- Haicosì launpiù conveniente livello di nazionale”. sogno nel cassetto? tanta esperienza visto erata è stato reso noto che mercato maggiormenpatrocinio dell’Amministrazione comudovranno passare dal mercato tutelato a gio dal mercato tutelato a quello libero sottolineato come ormai è sempre più dificato. Basta che nel contratto che si simo al metro cubo per quanto riguarda sottolineato ormai è sempre più Basta che contratto chedal si «Ilsimo al metro cubo per non quanto so 24 ottobrecome nell’ex Chiesa di Pozzo e dificato. vide Cecchinato, hanel ricordato che Migliaia sono i clienti, soloriguarda lupatomio sogno tennistico numero uno ho giocato molto nale. A giungono portare i saluti il consigliere delibero, sottolineando che “è vero Quando con Lupatotina Gas e Luce. Tomelleri ha radicato il rapporto di infirma col fornitore sia il gas metano. eriodo numerose a favore delche consumatore. sia Wimbledon. radicato il da rapporto di questa questa società, in- tequello firma col proprio fornitore sia presente presente il gas metano. promosso Lupatotina Gas società, e Luce col luglio delproprio prossimo tutti i clienti sarebbe tini, che hanno già effettuato il passaggiocare Al di fuori e laanno consapevolezza, legato per la frazionepubblico, Davide Bimbato. che nel mercato libero talvoltail posso- invitato, chi non lo avesse ancora fatto, teramente a capitale mentre il una clausola che autorizza fornitore teramente adell’Amministrazione capitale pubblico, mentre il passerà una clausola che autorizza il si fornitore patrocinio comudelgio tennis esseretutelato una persona felice libero dovranno passare dal mercato tutelato aal dalvorrei mercato a quello unita alla fiducia, di venditori porta a haporta nel luglio 2020 tutti mercato Presenti per l’occasione l’assessore alle no trovare dei prezzi imbattibili, però è a noncredo aspettare gli ultimi mesi potendo sindaco Attilio Gastaldello ricordato stesso, con una semplice comunicazione sindaco Attilio Gastaldello ha ricordato con unasottolineando semplice comunicazione sia la cosa importante. nale. A portare i saluti il consigliere de- stesso, quello libero, chelivello “è vero perché con Lupatotina Gaspiù e Luce. Tomelleri ha che a questo Partecipate Maria Luisa Meroni, che call center cheGas telefonano a ha libero, anche vero che il prezzo l’accaparramento può essere della mo- Poi aumenterà alla così di uno sconto un centecome e Luce può contain ad il miusufruire piacerebbe continuare a di come Lupatotina Gas eDavide Luce può contain bolletta, ad aumentare aumentare il prezzo prezzo della legatoLupatotina per la frazione Bimbato. chebolletta, nel mercato libero talvolta si possoinvitato, chi non lo avesse ancora fatto, posso comunque sottolineato come ormai è sempre più dificato. Basta che nel contratto che si simo al metro cubo per quanto re su una clientela ormai su tutto il tercomponente energia della mia fornitura, re su una clientela ormail’assessore su tutto il alle ter- clientela componente energia della mia fornitura, giocarci visto gliperò è viaggiare». Presenti per l’occasione no trovare dei prezzi imbattibili, a non aspettare potendo atotina Gas e Luce. in maniera esponenziale. In gli ultimi mesiriguarda radicato il rapporto di questa società, infirma col proprio fornitore sia presente il gas metano. ritorio veronese che ne sta apprezzando che ci si ritrova forse a risparmiare all’iritorio veronese che ne sta apprezzando che ci si ritrova forse a risparmiare all’iottimi risultati che Partecipate Maria Luisa Meroni, che ha anche vero che il prezzo può essere mo- così usufruire di uno sconto di un centeegnalato questi alleecocaso ilfine portale offerte ci può aiutare teramente capitaleepisodi pubblico, mentre il ogni una clausola autorizza fornitore non solo sotto profilo ma alla si rischia di ho ottenuto». non solo iiavantaggi vantaggi sotto èil il sempre profilo econizio ma Basta alla che fine si rischia diil rimetterci. rimetterci. sottolineato come ormai più nizio dificato. che nel contratto che si simo al metro cubo per quanto riguarda sindaco Attilio Gastaldello ha ricordato stesso, conper unariassumere, semplice comunicazione nomico anche la trasparenza. Diciamo, petenti. non telefoniamettere a confronto lenorme offerte. nomico ma anche la questa trasparenza. Nel Diciamo, riassumere, che le norme radicato ma ilNoi rapporto di società,Nel in- per firma col per proprio fornitoreche sia le presente il gasBasta metano. come Lupatotina Gas e Luce può contain bolletta, ad aumentare il prezzo della corso della serata è stato reso noto che nel mercato tutelato sono maggiormenHai altri tornei in corso dellaaserata è stato reso mentre noto che nel mercato tutelato sono maggiormenteramente capitale pubblico, il una clausola che autorizza il fornitore nessuno né facciamo porilconsumatore. sito re su una clientela ormai su il tutto il ter- consultare componente energia dellawww.ilportaleofferte. mia fornitura, in questo periodo giungono a del Quando si programma per la in questo periodo giungono numerose te a favore favore del consumatore. Quando si sindaco Attilio Gastaldello hanumerose ricordato te stesso, con una semplice comunicazione ritorio veronese che ne sta apprezzando che ci si ritrova forse a risparmiare all’isegnalazioni di venditori porta a porta passerà nel luglio 2020 tutti al mercato stagione invernale? turbando così la gente”, ha it”. segnalazioni di venditori porta porta passerà nelad luglio 2020 tutti al mercato come Lupatotina Gas e Luce puòacontain bolletta, aumentare il prezzo della non solo i vantaggi sottoche il profilo eco-a nizio maaumenterà alla fine«Asil’accaparramento rischia ditornerò rimetterci. ma anche call center libero, novembre di alla ma anche di callunico center che telefonano a Marcello libero, aumenterà l’accaparramento alla amminire su una di clientela ormai sutelefonano tutto il tercomponente energia della mia fornitura, ministratore di LupaCino, responsabile nomico ma anche la trasparenza. Nel Diciamo, per riassumere, che le norme nome di Lupatotina Gas e Luce. clientela in maniera esponenziale. In nuovo in Tunisia per due nome Lupatotina e Luce. in maniera In ritorio di veronese che Gas ne sta apprezzando clientela che ci si ritrova forse a esponenziale. risparmiare all’icorso della serata è stato reso noto che nel mercato tutelato sono maggiormen“Abbiamo segnalato questi episodi alle ogni caso il portale offerte ci può aiutare settimane ma questa volta Luce Loriano Tomelleri.” strativo di Lupatotina Gas e Luce, ha “Abbiamo segnalato questi episodi alle ogni caso il portale offerte ci può aiutare non solo i vantaggi sotto il profilo eco- nizio ma alla fine si rischia di rimetterci. giocherò non sulla terra ma sul in questo periodo giungono numerose te a favore del consumatore. Quando si autorità competenti. Noi non telefoniaper mettere a confronto le offerte. Basta autorità competenti. non telefoniaper mettere a riassumere, confronto le quanto offerte. Basta nomico della ma anche laNoi trasparenza. Nel spiegato Diciamo, per che le norme servire nostra società che “per riguarda le cemento e poi entro la fine segnalazioni di venditori porta a porta passerà nel luglio tuttidell’anno al mercato mo a nessuno né il sito www.ilportaleofferte. mo a casa casa diserata nessuno né facciamo facciamo il porporconsultare iltutelato sito 2020 www.ilportaleofferte. corso delladi è stato reso noto che consultare nel mercatoil sono maggiormenfarò aumenterà altri due-tre 15mila per sulla particolare. La Williams mi perpiace maha ceglie, e lo fa pensiamo che sitornei leggono bolletta, ma call center che telefonano aè spese libero, l’accaparramento alla ta porta disturbando così la it”. ta aanche portadi disturbando così la gente”, gente”, ha it”. in a questo periodo giungono numerose te a favore del consumatore. Quando si poi riprendere con la preparazione a molto più potente di me». di Lupatotina Gas alle e unico Luce. clientela inCino, maniera esponenziale. In ribadito l’amministratore di Marcello responsabile ribadito l’amministratore unico dia LupaLupaMarcello Cino, responsabile amminiei nome servizi superiori altre il trasporto la gestione del segnalazioni di venditori porta porta quelle passeràper nel luglio 2020 tutti aleamminimercato gennaio». “Abbiamo segnalato questi episodi alle ogni caso il portale offerte ci può aiutare totina Gas e Luce Loriano Tomelleri.” strativo di Lupatotina Gas e Luce, ha totina Gasdiecall Luce Loriano Tomelleri.” strativo di Lupatotina Gas e Luce,alla ha ma anche center che telefonano a libero, aumenterà l’accaparramento Sei reduce dall’esperienza in Tunisia. ndita. Pensiamo ad esempio contatore, oneri diriguarda sistema, altre imautorità competenti. Noi telefoniamettere a gli confronto le offerte. Bastale Chi vuole servire della nostra società spiegato che “per quanto Chi si si di vuole servire Gas dellaenon nostra società per spiegato che “per libero? quanto riguarda le nome Lupatotina Luce. clientela in ilmaniera esponenziale. In Come passi tempo Hai qualche Cosa ti sei portata a casa da questa mo a casa ci disceglie, nessuno facciamo il porconsultare il si www.ilportaleofferte. è perché lo fa pensiamo perspese sulla e conguaglio cheee né ormai non eche IVA, sono uguali per tutti i venè perché ci sceglie, lo fa pensiamo perspese che sisitoleggono leggono sulla bolletta, “Abbiamo segnalato questi episodi alle poste ogni caso il portale offerte ci puòbolletta, aiutare hobby? esperienza? taché a porta disturbando così la gente”, ha it”. diamo dei servizi superiori alle altre quelle per il trasporto e la gestione del ché diamo dei servizi superiori alle altre quelle per il trasporto e la gestione del autorità competenti. Noi non telefoniaper«Mi mettere a confronto le offerte. Basta piace molto ascoltare la musica. «Sono rimasta quattro settimane, poi ù ribadito da almeno un decennio ditori. La voce che invece varia in base l’amministratore unico di LupaMarcello Cino, responsabile amminisocietà di vendita. Pensiamo ad esempio contatore, gli oneri di sistema, altre imsocietà di vendita. Pensiamo ad esempio gli di sistema, altre immo a casa didue nessuno né afacciamo il por- contatore, consultare il oneri sito solitaria www.ilportaleofferte. Sono una ragazza e sto bene con dopo settimane Verona, sono totina e Luce Loriano Tomelleri.” strativo Lupatotina Gas e tutti Luce, ha alla spesolo alla voce conguaglio che ormai e IVA, sono per ii venamo ilGas contatore sette/otto venditore è uguali quella relativa solo alla voce conguaglio che ormai anon non poste e di IVA, sono uguali per tutti venta a porta disturbando così la riuscita gente”, ha alposte it”. i miei spazi. Mi piace leggere e passare tornata per altre tre. Sono Chi si vuole servire della nostra società spiegato che “per quanto riguarda le facciamo più da almeno un decennio ditori. La voce che invece varia in base facciamo più da almenounico un decennio La voce invece in base ribadito l’amministratore disa Lupa- saditori. Marcello Cino,che responsabile amminiper cuileggiamo il consumatore per materia gas evaria quella per l’enerèpoiché perché ci sceglie, e lo fa pensiamo perspese che si leggono sulla bolletta, il contatore sette/otto al venditore è quella relativa alla spepoiché leggiamo contatoreTomelleri.” sette/otto al venditore è quella relativa alla spetotina Gas e Luceil Loriano strativo di Lupatotina Gas e Luce, ha quanto paga incui un anno”. ché diamo dei per servizi superiori alle altre elettrica. Quella per cui quelle per il trasporto e la gestione del Lupatotina volte il sa sa per materia gas e quella per volte l’anno, per cui il consumatore consumatore sa gia sa per materia gas e quella per l’enerl’enerChi sil’anno, vuole servire della nostra società spiegato che “per quanto riguarda le società di vendita. Pensiamo esattamente quanto in un anno”. esattamente quanto paga inad unesempio anno”. è perché ci sceglie, epaga lo fa pensiamo persolo alla voce conguaglio che ormai non ché diamo dei servizi superiori alle altre facciamo più da almeno un decennio società di vendita. Pensiamo ad esempio poiché leggiamo il contatore sette/otto solo alla voce conguaglio che ormai non volte l’anno, per cui il consumatore sa facciamo più da almeno un decennio esattamente quanto paga in un anno”. poiché leggiamo il contatore sette/otto volte l’anno, per cui il consumatore sa esattamente quanto paga in un anno”.
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EVENTO
Anteprima
Mondiale di Andrea Etrari - Foto: Pentaphoto - Giacomo Pompanin - Bandion
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al 18 al 22 marzo 2020 Cortina d’Ampezzo sarà la capitale mondiale dello sci alpino. Sulle piste della perla delle Dolomiti si svolgeranno infatti le Finali della 54esima edizione della Coppa del Mondo maschili e femminili, prova generale dei Campionati del Mondo 2021
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che a loro volta fungeranno da lancio per i Giochi Olimpici e Paralimpici invernali di Milano-Cortina 2026. In una stagione come questa senza Olimpiadi e Mondiali, le Finali di Coppa del Mondo rappresentano il massimo obiettivo stagionale per gli atleti di tutte le Nazionali. Cortina d’Ampezzo ospiterà come detto
le Finali, dove le sfere di cristallo saranno assegnate e dove gli atleti di entrambi i circuiti, quello maschile e quello femminile, si ritroveranno per gli ultimi cinque giorni di gare. Un punto di arrivo della stagione agonistica iniziata il 26 ottobre scorso a Soelden e che approderà sulle piste italiane, come sempre, nel mese di dicembre. Il
circuito delle gare italiane potrà godere quest’anno di un valore aggiunto, grazie alla collaborazione instaurata fra i Comitati Organizzatori delle tappe maschili di Val Gardena, Alta Badia, Bormio e Madonna di Campiglio e la Fondazione Cortina 2021, organizzatrice delle Finali. Una attivazione che è nata dalla volontà comune di promuovere lo sci alpino in
Italia non come singole tappe ma come Comitati Organizzatori che intendono valorizzare le proprie gare insieme, inserendole in azioni congiunte di comunicazione e di ticketing. Nel dettaglio la collaborazione prevede attività quali la comunicazione e promozione digital degli eventi, la partecipazione congiunta ad eventi e manife-
stazioni collaterali, la valorizzazione dei territori come destinazioni dedite allo sci alpino. In particolare con Gardena, Alta Badia e Madonna di Campiglio è stata decisa una formula di sconto del 15% sull’acquisto online dei biglietti per le Finali di Cortina nel marzo 2020, per tutti coloro che saranno in possesso del biglietto per assistere agli eventi delle tre
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località delle Dolomiti. Questa sarà una occasione unica per il pubblico per poter vivere l’emozione di una gara di Coppa del Mondo, di sostenere i propri atleti del cuore sulla Saslong, sulla Gran Risa e sul Canalone Miramonti e poi tifare per loro nell’atto finale della stagione sulla Vertigine di Cortina d’Ampezzo. Le finali porteranno a Cortina oltre 28mila spettatori e metteranno ancora una volta la Regina delle Dolomiti sotto i riflettori internazionali. Questi i numeri della 5 giorni di Cortina nella quale saranno impegnati 150 atleti/e e circa 600 rappresentanti dei media: verranno assegnate 2 Coppe del Mondo generali, 12 Coppe del Mondo di specialità e 2 Coppe del Mondo di Nazione. Questa cooperazione è pensata nell’ottica della più ampia collaborazione fra tutte le realtà della montagna italiana in vista dei Mondiali del febbraio 2021: l’evento sportivo internazionale iridato più importante che si disputerà in Italia nei prossimi due anni. Per info: www.cortina2020.com
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INSERTO PUBBLICITARIO
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ca toresele
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I NTERVISTA Danese io iz r u a M
121^ Fieracavalli: un record... Danese! di Alberto Cristani - Foto: Ennevi - Veronafiere
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nnesimo annunciato, ma non scontato, successo per Fieracavalli, da oltre un secolo, la manifestazione di riferimento nel panorama equestre internazionale. La 121esima edizione, baciata dal sole, ha regalato agli oltre 160mila visitatori momenti di spettacolo, cultura e divertimento, dove il protagonista indiscusso è stato il cavallo, quest’anno sempre più ‘Capolavoro della natura’. Abbiamo analizzato insieme al
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presidente di Veronafiere Maurizio Danese i numeri di Fieracavalli 2019, le prospettive per le edizioni future, con uno sguardo rivolto alle Olimpiadi del 2026 che vedranno Verona e la sua Fiera sicure protagoniste. Presidente Danese, anche quest’anno per Fieracavalli l’ennesimo successo made in Verona… «Fieracavalli si è confermata la manifestazione di riferimento, che trasforma Ve-
rona in una vera e propria cittadella dello sport equestre. Quest’anno sono stati 168 mila i visitatori provenienti da oltre 60 nazioni, un risultato record che certifica una continua e ulteriore crescita (+5% rispetto al 2018 n.d.r.). Sono stati esposti 2400 cavalli di 60 razze, con il coinvolgimento di 35 associazioni allevatoriali». Tra le novità di quest’anno anche Fieracavalli Academy... «Il progetto etico multidisciplinare che
buyer stranieri interessati al mondo del cavallo e al commercio degli articoli ad esso collegati: 750 espositori da 25 Nazioni sono sicuramente un buon risultato. Insomma, chi ama i cavalli non può non venire a Fieracavalli!». Il Presidente di Veronafiere Maurizio Danese
raduna tutti gli stakeholder del settore conferma la centralità e il ruolo guida di Fieracavalli nella diffusione di una cultura sempre più attenta al benessere dell’animale e alla sostenibilità ambientale. L’obiettivo è quello di promuovere e sostenere l’economia circolare di un comparto che vale complessivamente 5 miliardi di euro».
Il claim di quest’anno è stato ‘Il cavallo: capolavoro della natura’… «Certo. Non dobbiamo dimenticare che come fiera stiamo esponendo un ‘prodotto’ che non è statico. Stiamo parlando di un essere vivente e come tale dobbiamo trattarlo con la massima attenzione e rispetto. Abbiamo capitalizzato al meglio
il lavoro fatto dalla nostra Commissione Etica, varata nel 2014 e presieduta da Nicole Berlusconi, creando quest’anno Fieracavalli Academy, dove abbiamo posto al centro di tutto etica e sostenibilità dal punto di vista sociale e ambientale. Questo sarà il file rouge che ci accompagnerà anche per i prossimi anni. Per promuovere e diffondere la formazione di un’equitazione sana e naturale abbiamo coinvolto campioni del calibro di Michel Robert, leggenda mondiale del salto ostacoli e trainer di fama internazionale. Abbiamo infine accolto l’invito del professor Zoccante dell’Azienda Ospedaliera
Un evento unico e inimitabile da 121 edizioni… «Fieracavalli ha interpretato benissimo questo mondo da anni e ha saputo tra l’altro insieme al Mipaaf valorizzare e preservare la biodiversità delle razze italiane che oggi sono un punto fondamentale del mondo del cavallo italiano. Tutti i grandi campioni equestri hanno sangue italiano; ciò significa che abbiamo fatto un buon lavoro. Abbiamo fatto anche un grande passo avanti nell’internazionalità perché abbiamo portato qui parecchi
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di Verona per quanto riguardo l’ippoterapia per bambini autistici (in Italia 1 su 80 n.d.r.). Chiudendo il capitolo sport ricordiamo che qui abbiamo avuto la finale della Longines FEI Jumping World Cup, unica tappa italiana del campionato mondiale». Il Veneto è una regione che va a cavallo… «Il Veneto è una Regione molto attiva per quanto riguarda l’utilizzo del cavallo. Come evidenziato al Governatore Zaia che negli ultimi 10 anni i cavalli in Veneto sono raddoppiati, un +51% davvero interessante. È stato fatto tanto e tanto si sta facendo per quanto riguarda le ippovie: a inizio 2020 verrà rilasciata un’app tramite la quale si potrà avere una mappa aggiornata di tutti i percorsi veneti per cavalli. Abbiamo sostenuto l’iniziativa ‘L’Italia in sella’ del Touring Club, dove è possibile verificare e vedere tutti i percorsi nazionali per cavalli: un grande lavoro quindi anche dal punto di vista della promozione turistica». Mancano ancora più di sei anni ma è inevitabile parlare di Veronafiere in ottica Olimpiadi invernali di Milano-Cortina… «Il Comitato Olimpico ha scelto Verona e la sede di Veronafiere per la riunione dello scorso 7 ottobre: questo ha un significato importante per noi e per la città. Verona è a metà strada tra Cortina e Milano, crocevia di comunicazione eccezionale. D’altra parte stiamo parlando della quarta città turistica d’Italia. Per
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Verona e per i veronesi le olimpiadi sono una grande opportunità. Portare inoltre la chiusura dei giochi in Arena è stato veramente un bel colpo messo a segno. Dai dati forniti dal Governatore Luca Zaia si parla di un grande indotto che le Olimpiadi riverseranno sulle aree coinvolte. Questo studio è stato realizzato dall’ Università La Sapienza, da Ca’ Foscari e da altri Atenei, prevedono un indotto immediato. La Regione ha già stanziato ben 212 milioni di euro per la comunicazione su questo grande evento e quindi prevedo grandi risultati». Guardando invece a un futuro immediato, che 2020 sarà per Veronafiere? «Noi abbiamo un piano industriale molto importante e di grande sviluppo per Veronafiere e per tutte le manifestazioni. Fieracavalli resta uno dei punti cardine della nostra attività. Sono convinto che nel prossimo anno ormai alle porta potremo migliorarci, nell’interesse di Veronafiere ma soprattutto della città». Per finire una curiosità: Maurizio Danese smessi i panni di presidente di Veronafiere pratica qualche sport? «Sono in primis uno sportivo da ristorante (ride n.d.r.)! A parte la battuta appena posso mi cimento in pedalate in mountain bike. Poi corro: faccio qualche maratona quando riesco ad allenarmi. Insomma, sebbene non abbia tanto tempo libero, un po’ di sport cerco di non farmelo mai mancare!».
Gina Maria Schumacher protagonista a Fieracavalli È senza dubbio stato uno dei momenti più emozionanti e spettacolari dell'edizione 2019 di Fieracavalli. Con una coreografia a tema Ferrari Gina Maria Schumacher ha reso omaggio al padre Michael, il sette volte campione del mondo di Formula 1 con una esibizione davvero molto originale. La ventiduenne amazzone ha partecipato alla prova di freestyle, scegliendo di indossare per l’occasione una tuta rossa, casco e un costume ad hoc per il suo cavallo (anche quello rosso), e ha simulato un vero e proprio pit stop, aiutata per il 'cambio gomme' da otto meccanici. La figlia di Schumacher è stata anche protagonista nei giorni precedenti aggiudicandosi il titolo di campionessa in sella a Shine N Whiz nella gara di reining, categoria non pro, di Elementa Masters Première, circuito di competizioni che per la prima volta quest’anno ha debuttato a Fieracavalli, con un montepremi complessivo di 300mila dollari. Una disciplina, il reining, che rimanda alle origini del West, quando i cowboy per vaccinare e curare i bovini dovevano eseguire movimenti quasi acrobatici: lunghe scivolate per tagliare la strada all’animale in fuga, dietrofront repentini, galoppo 'pancia a terra'.
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LO SPORT 48 / SdP
di Alberto Cristani - Foto: Sky Sport
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l suo curriculum dice: avvocato, procuratore, telecronista, giornalista sportivo, attore di teatro. Il suo sport è il basket ma al successo ci arriva grazie al calcio. La sua cultura (sportiva e non), il suo stile e la sua classe fanno di lui lo storyteller (narratore di storie) sportivo italiano per eccellenza. Un uomo English style, americano inside, che prende ispirazione ed energia positiva dalla cultura indiana. Raccontarlo da una parte è semplice perché lui lo fa con la semplicità e la disponibilità tipiche di chi ‘va oltre’, dall'altra lo è meno perché il rischio è quello di non riuscire a trasmettere al meglio le sue emozioni, i suoi pensieri, i suoi racconti. SportdiPiù magazine gli ha dedicato la cover story dell’ultimo numero del 2019. Un regalo di Natale per i nostri lettori. Un orgoglio per la nostra testata. Signore e signori benvenuti nel mondo di Federico Buffa. Federico, sei davvero un ‘bastardo privilegiato’? «Definizione sacrosanta (ride n.d.r.). Ogni tanto mi definisco così. Perché? Beh, guardami: ho fatto della mia passione un lavoro. Realmente, oltre alla salute, non riesco ad augurare a un essere umano nient’altro di più bello. Questo è un privilegio enorme. Probabilmente ci sono tante altre persone in grado di fare questo mestiere meglio di me. Io ho avuto la fortuna che qualcuno ha creduto in me, ha pensato che potessi farlo e mi ha dato l’opportunità». L’opportunità però bisogna anche cercarsela… «Ti dirò, più che cercarla bisogna mantenertela quando qualcuno te la offre. In tanti cercano un’opportunità ma non hanno la fortuna di trovarla. E per mantenerla occorrono conoscenza, capacità, preparazione, voglia di migliorarsi».
Tu hai cambiato il modo di raccontare lo sport… «In realtà penso che questa variazione di rotta non sia da attribuire a me bensì a Simona Ercolani che ha inventato Sfide, programma della Rai che per primo, grazie anche ad un archivio video impareggiabile, ha creato narrazioni sportive. Ha avuto un’idea eccezionale. Chi è arrivato dopo deve a lei questo cambiamento. Poi è vero, ognuno ha il suo stile. La questione però è, a mio modo di vedere, che con questo tipo di comunicazione c’è la voglia di ribellarsi alla dittatura dell’immagine, soprattutto a questo sistema contemporaneo fagocitante che accorcia i tempi. Di tutto. Quello che è accaduto ieri è storia, quello che è accaduto l’altro ieri è preistoria. Quando l’amministratore delegato di Sky Andrea Zappia mi chiamò per propormi di fare qualcosa di qualità sulla narrazione sportiva, mi disse che per farlo potevamo, anzi dovevamo, ‘rallentare di un battito’ per poterci prendere più tempo per descrivere un evento, un personaggio, una situazione. Il tutto utilizzando un linguaggio di qualità». Certo che rallentare con le nuove tecnologie e con i social è una bella sfida… «Ah, certo: nuove tecnologie e tempo sono all’antitesi. Io in questo caso sono un dinosauro: non ho nessunissima attrazione per i social, il mio cellulare è tutto tranne che uno smartphone e quando voglio comunicare una cosa importante non mi limito ad una mail ma preferisco scrivere una lettera a mano. Ho una visione del mondo in cui ci si guarda in faccia quando ci si parla. Io sono cresciuto con questi valori e non ho la minima intenzione di abdicare». A cosa o a chi ti sei ispirato nel raccontare i ‘tuoi’ personaggi? «Come criterio di ricerca mi sono ispirato
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Federico Buffa davanti alla statua di Tommie Smith e John Carlos tributo degli studenti della San Jose State University in California
alla tradizione anglosassone e americana dove i documentari e i film sportivi hanno un grande valore. In Italia non abbiamo una cultura in questo senso: da noi il cinema sportivo esiste solo in chiave di parodia. In questi paesi lo sport ha un valore sociale, cosa che da noi non esiste. Nella nostra costituzione non è contemplata la parola sport. Si è cercato di fare qualcosa con il Ministero dello sport ma è troppo poco. In Italia abbiamo sbagliato tutto: abbiamo abdicato nell’insegnamento dello sport nelle scuole». A livello televisivo hai preso spunto da qualche trasmissione? «Senza dubbio il mio modello è stato Philippe Daverio con la sua trasmissione Passepartout che andava in onda su Rai Tre (programma settimanale andato in onda dal 2001 al 2011 dedicato ogni volta ad un tema specifico che traeva i suoi spunti dal patrimonio culturale, dalla storia, dalle notizie di cronaca e dalle mostre in corso n.d.r.). Daverio era bravissimo nel raccontare contesti artistici in maniera semplicistica, concetti non facili con linguaggio accessibile a tutti. Il mio Sky Cube è ingolfato delle sue puntate e ogni tanto me le riguardo. Una divulgazione
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commerciale, il calcio non avrebbe avuto questa diffusione».
compatibile con tutti. In questo senso anche Alberto Angela è eccezionale; lui racconta storie complesse in prime time, sulla Rai, a un pubblico generalista di una decina di milioni di persone. Questo è veramente quello che il servizio pubblico dovrebbe fare». Con le tue storie viaggi nel tempo: c’è un periodo storico a cui sei particolarmente legato? «A dire il vero sono due. Il primo è quello a cavallo tra gli Anni Venti e gli Anni Trenta quando di fatto si è formato lo sport moderno soprattutto nell’Est Europa. Il calcio moderno per me è nato in quel periodo e in qui luoghi, con i disegni, gli scarabocchi nei caffè di Vienna e Budapest. Da quel contesto si è passati successivamente alla grande Ungheria, all’Olanda e a tutte le sue diramazioni fino ad arrivare al calcio spagnolo che vediamo oggi. Il secondo periodo, in generale, è legato al mondo sudamericano che ha rivisitato il calcio in modo davvero fantastico. Argentini e brasiliani hanno riadattato alla loro cultura e alle loro caratteristiche il calcio che gli inglesi gli avevano regalato. È innegabile che senza l’Impero britannico, il più grande di tutti i tempi e con una spiccata connotazione
Cosa ti piace del calcio? «La sua globalità. Il calcio è diventato l’esperanto del mondo, cioè l’unica lingua che tutti possono parlare perché la si può declinare indipendentemente. Qualche anno fa raccontai la storia del calcio indiano, a livello temporale e mondiale il secondo dopo quello anglosassone. Le truppe inglesi lo portarono nelle colonie e gli indiani furono i primi a giocare una coppa che non fosse quella di una squadra britannica. Poi il calcio in India non si è evoluto. Lo sviluppo del calcio è in generale un fenomeno rarissimo. Io non ho una grande passione per il marketing legato alle maglie da calcio ma mi piace tantissimo vedere maglie contraffatte nei luoghi più diseredati del mondo, dove un bambino si sente più forte con il nome di Messi o di Ronaldo scritto sulle spalle».
E il calcio italiano? «Rappresenta al meglio il nostro Paese con i tanti pregi e con i suoi grandi difetti». Una tua idea sul calcio femminile… «Un po’ controversa la questione. Dire che le calciatrici dovrebbero essere pagate come i calciatori mi sembra un po’ eccessivo: il compenso è direttamente proporzionale all’interesse che generi. Sempre. Questo vale in qualsiasi luogo della terra. Se invece parliamo di pari opportunità allora la questione cambia radicalmente. Non è un caso che le americane siano le calciatrici più forti del mondo a differenza del loro colleghi maschi. Gli americani negli Anni Settanta si sono resi conto che era una discriminazione di genere non dare alle ragazze lo stesso numero di borse di studio che veniva assegnato ai ragazzi per ogni disciplina sportiva. E così le quindici borse di studio per il calcio maschile diventano quindici anche per il calcio femminile. Questa è la vera rivoluzione sportiva, questa è la vera parità. Le donne diventano campionesse nel calcio perché hanno un sistema scolastico trainante. Tutto questo genera campionati professionistici, marketing e numeri che
scudetto ad Auschwitz n.d.r.). Parlai con lui e gli dissi: ‘Falla tu, il libro è tuo!’. Lui rispose che voleva fossi io ad interpretarlo. E così, dopo aver aggiunto del mio per la struttura della narrazione, registrammo».
pongono il mondo femminile al pari di quello maschile. Le donne non sono più ‘l’altra metà del cielo’ come diceva Mao Tse Tung ma diventano ‘l’altra metà con il portafoglio’. Le donne comprano e spendono in materiale e merchandising sportivo. E anche questo porta un beneficio diretto allo sport fermminile». Torniamo a te e alla tua carriera: quando è arrivata la svolta? «La svolta, che mi ha portato ad essere quello che sono e a fare ciò che faccio, credo sia avvenuta nel 1994. Ero in patto di non concorrenza con gli altri avvocati con i quali avevo messo in piedi una società che si occupava di procure sportive. Io lavoravo prevalentemente con il mondo femminile: mi piaceva di più, era naif, più stimolante. Ma anche più difficile da gestire. Debra Rodman, la sorella del campione NBA Dennis, ne era un esempio. Dico solo una cosa: per fortuna non esistevano i cellulari! Io ho iniziato molto presto a lavorare. Questo mi ha fatto guadagnare e mi ha permesso, a 25 anni, di comprare casa senza aiuti dal papà e di andare a vivere da solo. Questo passaggio ha cambiato molto la mia mentalità. Detto ciò, quel periodo, durato anche troppo, era destinato a terminare: avevo finito gli stimoli. All’improvviso, dal nulla, ricevo una telefonata da Andrea Massari, direttore di Tele+, la nonna di Sky per intenderci, che mi invita a commentare le partite di college basket. Io, da grande appassionato di questo sport, non ci penso un attimo e accetto. Ho iniziato con le prime telecronache, in spontaneità. L’amministratore delegato di Tele+, che vide una partita con il mio commento, disse a Massari che non mi voleva più: usavo un linguaggio televisivo impensabile, comprensibile solo agli 'scappati di casa' come me. Andrea fece un po’ di melina perchè lui credeva in me. Nel frattempo l’amministratore delegato, molto probabilmente, non sentì più i miei commenti. Fu così che continuai. E questa
è la prima sliding door. Da quel momento è stata una continua escalation, passando anche attraverso alcune delusioni. Una fu quella delle Olimpiadi di Londra 2012. Sognavo di andare a commentare, per Sky, la finale di basket tra Stati Uniti e Spagna. A mio avviso fu la più bella partita di basket di tutti i tempi. Putroppo non mi mandarono. Ci rimasi male. Passò del tempo e ad inizio della nuova stagione sportiva, Paola Ellisse mi propose di commentare per un altro anno il basket NBA. Ci pensai un po’ e alla fine dissi ok, avvisando però che sarebbe stato l’ultimo anno: avevo deciso di trasferirmi a vivere e lavorare in Oriente…».
E come andò? «Direi bene visto che, con quella storia, le cose per me cambiarono definitivamente. Terza sliding door. Ferri ne fu entusiasta e decise che sarei dovuto andare ai Mondiali (Brasile 2014 n.d.r.) e che avrei dovuto realizzare una trasmissione. Nacque così Storie Mondiali. Ironia della sorte: non andai alle Olimpiadi sebbene avessi commentato NBA per anni ma andai ai Mondiali di calcio, sport che non avevo mai commentato! Dopo questa esperienza fu un domino che mi portò a recitare in teatro, a pubblicare libri, eccetera eccetera. Questa è la sintesi della mia carriera: hai capito il ‘bastardo privilegiato’?».
E invece? «E invece seconda sliding door: per puro caso mi chiesero di fare delle piccole storie di basket per riempire degli intervalli. Storie e aneddoti di NBA degli anni passati. Accettai e improvvisai. E così, buona la prima, nacque la rubrica L’NBA dei vostri padri. Successivamente Federico Ferri, appassionato di basket e responsabile del calcio a Sky, mi chiese di fare una rubrica simile per il calcio. Risposi di no. Lui insistette. Mi portarono negli studi di Sky calcio per fare una prova. Ricordo che sullo sfondo c’era semplicemente una tenda rossa. Mi dissero di raccontare una storia, a scelta. Io proposi l’infanzia di Maradona. Mi risposero: ‘Vai!’. La feci. Mi ringraziarono e me ne andai. Non avevo aspettative per quella puntata zero e invece dopo qualche giorno, con un ottimo montaggio, la mandarono in onda. Piacque. Federico Ferri mi propose di continuare con il calcio ma io volevo tornare all’NBA. A questo punto Federico mi ‘incastrò’ proponendomi di parlare di calcio in occasione del giorno della memoria, raccontando la storia di Arpad Weisz (1). Toccò un nervo scoperto; conoscevo bene la storia, avevo anche letto il libro di Matteo Marani (Dallo
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I TO P D I Federico Buffa
1) Arpad Weisz - (Solt, 16 aprile 1896 – Auschwitz, 31 gennaio 1944). È stato un calciatore e un allenatore di calcio ungherese. In quanto ebreo fu vittima delle leggi razziali in Italia. Durante la seconda guerra mondiale fu arrestato e deportato. Morì per mano nazista ad Auschwitz.
Il teatro e la recitazione, l’ultimo dei dieci punti della tua personale to do list… «Si, le dieci cose da fare nella mia vita. Ricordo che la lista la scrissi al Liceo classico Manzoni durante un’ occupazione. Per i primi 10-12 giorni non si facevano lezioni ma solo assemblee, era il periodo del golpe in Cile. Buttai giù questi dieci punti mentre ascoltavo parlare il leader politico del Liceo, di cui apprezzavo esclusivamente la dialettica perché del resto non capivo nulla. Quell’oratore oggi è il direttore del tg de La7 (Enrico Mentana n.d.r.). L’ultimo punto era proprio recitare in un film o al teatro. Fatto. Quindi ad oggi ho spuntato tutte le voci: ho completato la pagina, come con le figu». Quindi ne hai un’altra pronta? «No, nessuna lista ma obiettivi. Io sono dell’anno del maiale e lo scorso luglio
bulimia di voler apprendere. Vorrei saper fare molte più cose di quelle che so fare. Questo è quello che mi da più soddisfazione, quello che mi tiene in vita». Che ruolo ha la religione nella tua vita? «Sono sincretista e sono molto attratto dalla spiritualità dell’uomo e quindi ne rispetto qualsiasi forma. In occasione del mio sesto maiale sono stato a 4000 metri in un monastero con i monaci tibetani, per una settimana. Esperienza mistica. La spiritualità dell’uomo, in qualsiasi sua declinazione, ha su di me un impatto molto forte». Le storie, come quelle che racconti tu, possono ancora creare aggregazione? «Spero proprio di si. Io ho il privilegio di avere un pubblico giovanile. Molte volte i direttori di teatro mi dicono che quello
2) Alfredo Stéfano Di Stéfano Laulhé - (Buenos Aires, 4 luglio 1926 – Madrid, 7 luglio 2014). È stato un calciatore e allenatore di calcio argentino naturalizzato spagnolo, di ruolo attaccante. Soprannominato Saeta Rubia (Freccia Bionda) o Don Alfredo, è ritenuto uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi, se non il migliore in assoluto (vedi Maradona).
3) Diego Armando Maradona (Lanús, 30 ottobre 1960). È un ex calciatore, ora allenatore del Gimnasia La Plata. È stato il capitano della nazionale argentina vincitrice del campionato del mondo 1986. Soprannominato El Pibe de Oro è considerato uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi, se non il migliore in assoluto (vedi Di Stefano).
4) ≠Muhammad Ali, nato Cassius Marcellus Clay Jr. - (Louisville, 17 gennaio 1942 – Scottsdale, 3 giugno 2016). È stato un pugile statunitense, considerato uno dei migliori pesi massimi di tutti i tempi. Sin dagli inizi di carriera, Ali si contraddistinse come una figura carismatica, controversa e polarizzante sia dentro sia fuori dal ring di pugilato. Il suo enorme impatto mediatico e soprattutto sociale non ebbe precedenti nel mondo agonistico. È tra gli sportivi più conosciuti di tutti i tempi.
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sono entrato nel mio sesto ciclo (il segno del maiale è uno dei 12 segni del calendario tradizionale cinese secondo il quale, ogni anno è rappresentato da un animale, seguendo cicli di 12 anni n.d.r.). Io non festeggio i compleanni ma i cicli. Analizzandoli posso dire che quello precedente, il quinto, è stato il più bello. Ecco, il mio obiettivo è di cercare di sfruttare questo abbrivio molto positivo per migliorarmi, per puntare a realizzare progetti sempre più impegnativi e difficili. Per esempio so che devo ancora migliorare tanto soprattutto a livello teatrale». Federico, gli anni passano, il tempo vola… «Il tempo vola, è vero. Ma è tutto relativo. A sessant’anni ho sempre voglia di imparare. Non abbiamo limiti in questo perché si apprende sempre. Io vorrei imparare una cosa al giorno, ho una
non è un pubblico teatrale e che potrebbe essere la prima e l’ultima volta vengono, appunto, in un teatro. Io spero sempre ci sia, anche solo uno degli spettatori che approfondisca ciò che non ha capito nei miei spettacoli e nelle mie trasmissioni. Noi facevamo così da giovani con il ‘piccolo’ svantaggio che dovevamo andare o in biblioteca o a sfogliare le enciclopedie. I giovani di oggi hanno tutto a portata di mano in tempo reale. C’è stato chi mi ha portato la sua tesi scritta ispirandosi al mio spettacolo sulle Olimpiadi di Berlino del 1938. Queste sono le occasioni in cui ho la maggiore gratificazione per quello che faccio». La carta stampata ha ancora un senso? «Premetto che io amo la carta: mi piace anche solamente toccarla, accarezzarla, annusarla. La uso per scriverci i miei
appunti. Per quanto riguarda la carta stampata probabilmente tra qualche anno sarà un mondo che ricorderemo con nostalgia. Questo non significa che non abbia più senso, anzi. Quando vedo dei film di Tarantino girati su pellicola e non in digitale, o ascolto un vinile invece di un cd, è evidente la differenza qualitativa. La praticità non è detto che debba per forza aumentare la qualità. Anzi. E questo discorso vale anche per la carta». Con quale campione del passato andresti a cena? «Con Di Stefano (2) l’eroe dei due mondi. Lui ha cambiato il calcio, l’ha reso moderno». E in vacanza per una settimana? «Con Diego Maradona (3) senza dubbio. In realtà potendo, ci vorrei andare con Mohamed Ali (4), però non credo lui vorrebbe. Diego invece si!».
Come trascorri il tempo libero? «I viaggi sono la mia passione. Tra viaggi e teatro credo di trascorrere più della metà dell’anno fuori casa. Mi piace leggere e poi adoro il cinema, la mia vera passione dopo lo sport». Rapporto con lo sport praticato? «Ho giocato tanto, chiaramente sbagliando lo sport: potevo giocare o a calcio o a tennis. Ho scelto il basket. Una fidanzata sbagliata che però non si può rinnegare. Ora corro». Per un giorno può scegliere di essere uno sportivo del passato e uno del presente… «Del presente Roger Federer (8), del passato Mohamed Ali». Chi è il tuo sportivo best in the world? «Oddio, difficile dirlo. Io sono innamorato di Michael Phelps (9), il più grande sportivo della storia per longevità. Lui
5) George Best - (Belfast 22 maggio 1946 – Londra, 25 novembre 2005). È stato un calciatore nordirlandese, di ruolo attaccante. Ritenuto il miglior calciatore nordirlandese della storia, nel 2004 è stato inserito nella FIFA 100, la lista dei 125 migliori calciatori della storia, stilata in occasione del centenario della FIFA. Era soprannominato ‘quinto Beatle’ per via della sua capigliatura a caschetto molto simile a quella dei membri della band di Liverpool.
6) Manoel Francisco dos Santos detto Garrincha - (Magé, 28 ottobre 1933 – Rio de Janeiro, 20 gennaio 1983). È stato un calciatore brasiliano, di ruolo attaccante. È considerato uno dei più grandi dribblatori della storia del calcio e, da molti, come il miglior interprete nel suo ruolo.
7) Dražen Petrovi (Sebenico, 22 ottobre 1964 – Denkendorf, 7 giugno 1993). È stato un cestista jugoslavo e, dal 1992, croato. Soprannominato ‘diavolo di Sebenico’ e ‘Mozart dei canestri’, è stato uno dei migliori cestisti europei di tutti i tempi e tra i primi a imporsi in NBA. Il suo stile di gioco era prettamente individualista, ricco di uno-contro-uno, con un tiro perfetto e veloce.
Buffa all’ Olympiastadion Berlin, teatro nelle Olimpiadi del 1938 delle imprese di Jesse Owens
La storia più bella che hai raccontato è quella di George Best (5)? «No, non necessariamente. Certo, ci sono molto legato ma non è la migliore. È però senza dubbio tra quelle più conosciute. I ragazzi di oggi conoscono Best più per le sue vicissitudini che per quello che ha fatto in campo. Nonostante sia un giocatore degli Anni Settanta. Il fascino del calciatore maledetto». La storia che vorresti ancora scrivere? «Nel calcio Garrincha (6), nel basket Drazen Petrovic (7)». Un luogo dove vorresti vivere? «Senza dubbio in Nuova Zelanda: ci vado spesso. È un posto che non ha eguali al mondo sotto tutti i punti di vista».
ha vinto tante olimpiadi consecutive in uno sport come il nuoto, contro dei diciottenni: non puoi farlo se non sei il migliore. Mi piace la sua storia: un disadattato all’asciutto, ma un fenomeno al bagnato. L’acqua è il suo elemento ideale. Curioso per un essere umano. Questo mi fa impazzire». Federico, ti manca non avere una famiglia? «Avrei potuto averne una tempo fa, ma non l’ho fatto. È andata così. La mia vocazione è viaggiare. Probabilmente sono stato messo al mondo per questo. Sono uno zingaro, questo è il mio destino».
8) Roger Federer - (Basilea, 8 agosto 1981). È un tennista svizzero, numero 3 del ranking mondiale ATP. Soprannominato 'King Roger' o 'The Swiss Maestro' in virtù dei primati e dei titoli conseguiti, dello stile di gioco efficace su ogni superficie, dell'accuratezza tecnica dei suoi colpi, dell'eccellente rendimento nell'arco di una carriera longeva. è considerato uno dei migliori tennisti di tutti i tempi, nonché uno dei più grandi sportivi di sempre.
9) Michael Fred Phelps II (Baltimora, 30 giugno 1985). È un ex nuotatore statunitense. Soprannominato The Baltimore Bullet (Il Proiettile di Baltimora) è l'olimpionico più decorato della storia con il maggior numero di medaglie (28), medaglie d'oro (23), medaglie individuali (16) e medaglie d'oro individuali (13). Nel 2008 il presidente del CIO Jacques Rogge lo definì ‘il più grande atleta olimpico di tutti i tempi’.
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I NTERVISTA Dotto a c s e c n a r F
Play orange
di Marco Hrabar - Foto: SportdiPiù - Famila Schio
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lagentecomenoinomollamai recita uno striscione appeso al PalaRomare sopra la curva dei Kommandos, i tifosi delle orange Beretta Famila Schio. E questo hashtag le ragazze del coach Pierre Vincent ce l’hanno nel DNA, giocando al massimo ogni partita. Senza mai mollare. In primis la neo capitana Francesca Dotto, che ha preso il testimone da Raffaella Masciadri. Un onore, ma anche una grande responsabilità per il play numero 23, che abbiamo incontrato e che ci ha raccontato come sta andando la stagione delle vicentine.
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Per un primo bilancio di questo inizio di stagione, da quale parte pende l’ago della bilancia? «La stagione è iniziata bene. Abbiamo fatto bene in Eurolega, così come anche il campionato è iniziato bene, anche se abbiamo perso la partita contro Ragusa un po’ malamente, ma abbiamo capito dove lavorare per migliorare». La vittoria della Supercoppa contro Ragusa è stato il primo trofeo della stagione messo in bacheca quest'anno; quali sono le aspettative e gli obiettivi per il proseguo della stagione? «Giocare a Schio fa sentire sempre un po’ di pressione, perché siamo una squadra
costruita per vincere. Dobbiamo però fare i conti con avversari forti e sempre pronti a lottare con il coltello tra i denti contro di noi. Più che aspettative e obiettivi dunque direi che è una continua ricerca di migliorarci, in modo da presentarci nel miglior modo possibile agli appuntamenti importanti che saranno a fine stagione, cercando di migliorare in Eurolega rispetto all’anno scorso». Da questa stagione sei il capitano di Famila, prendendo il testimone da Raffaella Masciadri. Cosa significa essere il capitano di una squadra così prestigiosa e come stai gestendo questo importante ruolo? «Essere capitano significa assumersi le proprie responsabilità all’interno del gruppo e dello spogliatoio. Sono onorata e contenta, e la scorsa stagione Mascia
mi ha trasmesso e insegnato qualche trucchetto per fare al meglio questo ruolo, e mi ha piacere essere dopo di lei, che si è dimostrata essere una brava capitana». Com’è nata la tua passione per il basket e come hai iniziato? «Quando io, mia sorella e mio fratello eravamo piccoli, mio papà ci portava spesso al campetto a giocare, e penso che tutto sia iniziato lì». Qual è il suo idolo, e quale la sua squadra del cuore?
«Il mio idolo è l’americano ex giocatore dei Boston Celtics, Larry Bird. Non ho una squadra del cuore». Da capitano ad allenatore: metti in campo il suo quintetto ideale, indipendentemente dall’età, anche ‘misto’… «Céline Dumerc, Larry Bird, Magic Johnson, Kareem Abdul-Jabbar e Allie Quigley». Tanti, se non tutti, gli atleti hanno dei rituali o dei porta fortuna in occasione delle partite. I tuoi? «Sinceramente non ne ho mai avuti». Canzone preferita e piatto preferito... «Il mio piatto preferito è la Carbonara, mentre la mia canzone preferita è Chicken Fried della Zac Brown Band». Apri il cassetto dei sogni: cosa c’è dentro? «Qualcosa dentro c’è, però è un mio segreto...» A chi devi dire grazie e perché? «Devo ringraziare i miei genitori perché mi hanno sempre insegnato ed aiutato a portare avanti le mie passioni». Cosa diresti a una bambina che volesse avvicinarsi al basket o provare a fare questo sport? «Senza dubbio le direi che il basket è lo sport più bello del mondo, ma che la cosa importante è sempre divertirsi credendo nei propri sogni». Un ruolo importante è quello del capitano, così come quello dei tifosi. Un messaggio a loro in chiusura? «A tutti i tifosi di Schio dico grazie, e di venire sempre a sostenerci numerosi al palazzetto».
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Tutti in Academy con la
Scaligera Basket di Gian Paolo Zaffani - Foto: Massimo De Marco
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reare una conoscenza diffusa della pallacanestro attraverso la condivisione di principi, obiettivi e conoscenze. È il pilastro fondante della nuova Scaligera Basket Academy, il progetto nato la scorsa estate che vuole creare un percorso di crescita per tutte le società del territorio, i loro dirigenti, allenatori e atleti. A guidare questo percorso è la Scaligera Basket che sta mettendo a disposizione le proprie conoscenze a favore delle altre
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società; un percorso programmato, che guarda al futuro, che si svilupperà giorno dopo giorno anche nelle prossime stagioni sportive. “E’ un progetto di vera collaborazione con tutte le società del territorio – ha commentato il Vicepresidente, Giorgio Pedrollo – che trova nella parola “condivisione” la propria centralità. Il nostro General Manager, Giuliani, arriva da un’esperienza forte a Trento su questo tema; il nostro desiderio è quello di ricevere molte affiliazioni, di sviluppare il
progetto e che le società di base risultino soddisfatte da questo percorso che andremo a fare assieme. E’ un progetto pluriennale, con possibilità di ritocchi e migliorie durante il tempo perché sarà un progetto in continuo divenire”. I numeri e le affiliazioni, in questo primo periodo, sicuramente non mancano. Sono 20 le società che hanno aderito al progetto della Scaligera Basket, con un bacino di 3.500 atleti. “Questo progetto mi sta a cuore, l’ho tarato da altre esperienze per le società
di Verona. È un modo per far cercare di capire che il valore di una società non è legato solamente ai risultati sportivi, ma anche a tutto quello che può creare attorno a sé. La Scaligera Basket Academy, mette la nostra società al centro di un progetto condiviso, mi piace pensare che la Scaligera possa diventare una sorta di agenzia di servizi per le società di base che va dal dare dei supporti ad allenatori, a dirigenti, alla creazione di eventi ad hoc e ci sarà inoltre una borsa di studio intitolata a Mario Vicenzi per quei ragazzi che sul campo e a scuola si saranno particolarmente distinti. Questo è un modo per cercare di riportare la Scaligera al centro della pallacanestro
veronese, un modo per aggregare tutte le società di Verona”. I primi appuntamenti hanno già riscosso un grande successo. Primi tra tutti gli Academy Practice con coach Corbani e Diana. Due allenatori di Serie A che hanno diretto un allenamento di 90 minuti su specifici fondamentali: il passaggio e il palleggio. Occasioni di crescita per i tanti ragazzi, delle varie società affiliate, che parallelamente al percorso con le proprie società hanno potuto lavorare in maniera specifica con i coach. Non solo le società sono l’obiettivo della Scaligera Basket Academy ma anche il mondo della scuola e degli studenti. La prima parte di questo percorso ha visto la
luce con il corso di aggiornamento per 80 insegnati di Verona e provincia; lezione teorica nella prima parte, pratica in campo nella seconda. Obiettivo? Quello di coinvolgere anche i professori di educazione fisica, fulcro sportivo dell’attività scolastica. Ora si guarda avanti ai prossimi appuntamenti: il Winter Camp, i futuri Academy Practice, ma anche incontri con nutrizionisti, allenatori, dirigenti e l’evento Academy Day che porterà i ragazzi e tutte le società sugli spalti dell’AGSM Forum per tifare Tezenis Verona il prossimo 23 febbraio.
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Babbani gialloblu di Matteo Lerco - Foto: Hydra Quidditch Cus Verona
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lla base dello sport c’è sempre un pizzico di magia. La scintilla che fa sognare i bambini e appassionare i tifosi è un elemento caratterizzante ogni tipo di disciplina. Una, diversamente dalle altre, ha messo questa componente magica al centro di tutto: il quidditch, sport magico che si pratica a cavallo di una scopa e raccontato meravigliosamente dalla penna di J.K. Rowling nella saga Harry Potter, dal 2005 è diventato coinvolgente realtà anche nel mondo dei ‘babbani’. Nel nostro territorio è l’Hydra Quidditch Cus Verona a rappresentare il movimento e assieme Tommaso Corcioni, referente per la Sezione di Verona, nonché allenatore della squadra, abbiamo provato a delinearne i contorni. “La nostra società è nata spontaneamente” – spiega Corcioni – “ciò che muove tutto è la passione comune
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Un mondo, quello del quidditch, che come detto si propone sedimentarsi sempre più entro i confini del nostro Paese. “Recentemente si sono svolte le elezioni del nuovo consiglio direttivo” – prosegue Corcioni – “l’intenzione è quella di continuare a crescere, sfatando alcuni luoghi comuni che ci affibbiano, come quello di essere dei cosplayer. Il quidditch è uno sport di contatto, per alcuni tratti assi-
milabile al rugby, nel quale è comunque preponderante la componente fisica. Io faccio parte dell’Hydra fin dalla sua fondazione e recentemente stiamo cercando di diffonderci anche nelle scuole: nonostante le normali difficoltà, guardiamo al futuro con positività e ottimismo”. Per info: http://www.hydrasquidditch.altervista.org/
che abbiamo noi ragazzi e che condividiamo sul campo di gioco. Il quidditch è uno sport nato negli Stati Uniti nel 2005 e trapiantato in Italia nel 2011 grazie all’Associazione Italiana Quidditch, si pratica in sette membri per squadra (tre cacciatori, un portiere, due battitori ed un cercatore n.d.r.) con regole praticamente identiche a quelle dei libri di Harry Potter. Ogni giocatore deve tenere tra le gambe dei paletti omologati (scope) passando ai suoi compagni una palla da dodgeball (pluffa) col fine ultimo di fare punto in uno dei tre anelli posizionati ai due estremi del campo. Compito del cercatore è invece quello di prendere il famoso boccino d’oro, identificato da una persona terza vestita di giallo che come obiettivo ha quello di non farsi toccare. La nostra è una disciplina in continua espansione: ci stiamo attrezzando per diventare col tempo una realtà sportiva a tutti gli effetti”.
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I NTERVISTA Teofili o s a m m o T
Veneto on ice di Andrea Etrari - Foto: Alpes Hockey League
T
ommaso Teofili è il numero uno della Federazione italiana Sport del Ghiaccio - FISG per quanto riguarda l'hockey su ghiaccio, sport che nel Nord Italia, soprattutto nelle province montane, trova la sua massima diffusione. SportdiPiù magazine l’ha incontrato e con lui ha parlato delle squadre venete, del movimento e delle prospettive in ottica Olimpiadi del 2026, evento che
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sicuramente darà grande visibilità a questa disciplina molto spettacolare. Tommaso, senza fare torto a nessuno, quali sono le squadre ‘top’ dell’hockey veneto? «Le due squadre più importanti del Ve-
neto in questo momento sono Asiago e Cortina. Asiago si sta comportando molto bene, dato che negli ultimi anni è sempre stato nei primi posti della nostra Lega, vincendo uno scudetto e una Alpes Hockey League, il torneo inter-
Tommaso Teofoli
nazionale organizzato dalle federazioni. Cortina è una delle società che ha vinto più scudetti in Italia, una squadra storica, fucina di giovani e che sta facendo bene in campionato. Poi abbiamo altre società come Alleghe, realtà importante nella storia dell’hockey, ed altre, non meno importanti che si dedicano ai giovani come Pieve di Cadore, Zoldo, Feltre e Auronzo». Come impianti, com'è la situazione in Veneto? «A livello impiantistico, purtroppo negli anni la Federazione e la Politica hanno costruito gli impianti nelle zone turistiche, nel senso che sono stati pensati per il turismo e non per lo sport. Il bacino d’utenza di queste località montane è però molto piccolo in confronto a città come Verona, Padova, Treviso e Venezia».
A proposito di impianti, in vista di Milano-Cortina 2026, ne verranno costruiti di nuovi? «In Veneto purtroppo no perché l'hockey si giocherà a Milano ai Giochi del 2026. Come hockey nazionale sì perché verranno costruite due strutture molto importanti a Milano che ci permetteranno in futuro di ospitare i mondiali, ad esempio. Portare un mondiale vuol dire aumentare l’attenzione dell’hockey in Italia, ovviamente. È chiaro che per il nostro sport sarà fondamentale l’Olimpiade, anche se non si vedrà a Cortina in quanto oggi servono stadi da diecimila posti con la doppia pista: Cortina ne ha uno da 2500…». Il binomio Milano-Cortina, giochi olimpici a parte, significa tanto per l'hockey? «Certamente perché nella storia dell’hockey italiano, prima dell’arrivo di Bol-
zano, le società storiche erano appunto Milano e Cortina. Poi, una ventina di anni fa, si sono unite e hanno formato la squadra Milano-Cortina che detengono, sommandoli tutti, circa 30 scudetti». A livello Nazionale, qual è la situazione attuale? «A livello di Nazionale noi siamo 16esimi nel ranking mondiale. Per due anni abbiamo disputato il Mondiale nel Gruppo A che è quello di Top Division e lo stiamo facendo con un progetto di utilizzo di ragazzi italiani di scuola italiana più bravi doppi passaporti, i cosiddetti ‘italo’. Questi ultimi, non sono più l’ossatura della squadra come una volta quando c’erano tutti ‘italo’ e 2-3 italiani, ora avviene l’opposto, per fortuna: il progetto iniziato da me nel 2014 che in agenda si sarebbe dovuto concludere nel 2022, è stato “allungato” sino al 2026 da quando ci hanno assegnato i giochi olimpici». Come Paese organizzatore infatti siete già sicuri di partecipare a Milano-Cortina 2026… «Esatto, saremo presenti e pertanto dobbiamo mettere in piedi un progetto per fare bella figura. Medaglia? Impossibile perché siamo anni luce lontani dai colossi mondiali e mi riferisco a gente che gioca nell’NHL o nella Superlega russa». Quindi l’obiettivo è ben figurare… «Si, se facessimo un buon risultato alle Olimpiadi con i nostri giovani, creeremmo un volano che potrebbe durare per i 20 anni successivi. Questo è ciò che dobbiamo fare e che non è stato fatto a Torino 2006 per tanti motivi: stavolta non dobbiamo fallire».
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SPO RT LI FE
King Rock: nuova stagione, vecchie e sane abitudini di Arianna Del Sordo - Foto: King Rock
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rrampicare per essere in armonia con sé stessi: questa è in sintesi la formula vincente del King Rock e che, come ogni anno, offre - al via la nuova stagione per i ragazzi - alle nuove leve e agli agonisti alle prese con le competizioni imminenti. E un imperativo categorico: divertirsi e condividere. L’arrampicata coniuga disciplina e divertimento, concentrazione e voglia di giocare, intuito e consapevolezza di sé. Tuttavia, educare i ragazzi a vivere l’arrampicata in modo sano è un cammino lungo e tutt’altro che semplice. Prima di tutto bisogna tenere in considerazione l’età, che è una variabile fondamentale. All’inizio il bambino vive l’arrampicata come un gioco: si diverte, si incuriosisce, socializza con gli altri bambini. Per lui, arrampicare è semplicemente molto bello e divertente. A partire dai 12 anni, invece, cominciano ad affiorare le prime paure ed emergono degli aspetti psicologici che il bambino, ormai prossimo alla fase adolescenziale, non mette in conto e fatica a gestire. Da questo momento in poi, il ruolo degli allenatori e del preparatore mentale diventa indispensabile, al fine di intercettare le
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loro difficoltà e preservare la loro voglia di scalare, di raggiungere obiettivi, senza mai perdere la voglia di divertirsi e stare in compagnia. Per gli agonisti in particolare, l’arrampicata presuppone, come per tutti gli sport, un mix di concentrazione e sacrificio, ma il divertimento non deve mancare mai. L’arrampicata è uno sport individuale, ma si condivide inevitabilmente con gli altri. Quindi, il fattore ‘emozione’ conta tantissimo: gestire l’emotività fortifica
a livello di carattere e concentrazione, purché si viva in modo sano. Ecco perchè è importante che i bambini prendano l’arrampicata come un gioco, almeno all’inizio: in questo modo, potranno comunque rifugiarsi nell’affetto dei loro compagni, nei loro incoraggiamenti, senza alcuna rivalità. Nel corso del tempo, cambiano le dinamiche e si innescano meccanismi più complessi, legati alla crescita del ragazzo e al rapporto con i propri allenatori. Il legame che si crea tra i ragazzi e i loro mentori è qualcosa di speciale: è fatto di fiducia e complicità, ma non devono mai mancare autorevolezza e polso, soprattutto se i ragazzi sono degli agonisti. Agli allenatori spetta il compito delicato di supportarli, spronarli, indirizzarli, scegliendo il modo più appropriato di farli crescere tecnicamente ed atleticamente, rendendoli consapevoli che quello che stanno facendo è appagante. L’obiettivo principale non è mai il podio, ma creare solide basi per permettere ai ragazzi di vivere l’arrampicata in armonia con sé stessi. Questo percorso è lungo, difficile e delicato, ma necessario. Raggiunto questo obiettivo, i podi e le medaglie appariranno come traguardi molto più realistici e possibili.
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SPO RT LI FE
L'importanza del massaggio pre-gara di Francesca Visentini - Foto: Gruppo Body Evolution
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l massaggio pre-gara è un massaggio specifico per coloro che praticano sport sia a livello agonistico che amatoriale. Viene eseguito prima di una qualsiasi attività fisica o prima di una competizione sportiva. L’obiettivo è riscaldare la muscolatura e prepararla alla prestazione fisica prevenendo gli infortuni. L’ atleta in questa fase, si trova in una condizione di particolare ‘eccitabilità nervosa’ causata sia dalla tensione pre-gara che dall’aumento della contrattilità muscolare causata da un accentuato stato adrenalinico, il compito del massaggio sportivo pre-gara è quindi quello di decontrarre la muscolatura e di donare all’atleta un gradevole e positivo stato di quiete e di generale benessere. Il massaggio ha effetto a livello muscolare articolare e psicologico: - a livello muscolare regola e normalizza il tono muscolare riducendo il rischio di eccessiva tensione, stimola la microcircolazione locale riscaldando e preparando la muscolatura alla prestazione fisica che andrà a compiere l’atleta; - a livello articolare prepara l’articolazione all’attività fisica migliorando la sua funzionalità e flessibilità favorendo il riscaldamento del liquido sinoviale contenuto nelle articolazioni (denso quando è freddo) in modo da farle scorrere rapidamente e senza traumi. - a livello psicologico stimola e normalizza lo stato emotivo della persona andando a ridurre i livelli plasmatici di cortisone e serotonina con conseguente diminuzione dello stato d’ansia migliorando l’umore dell’atleta. Le parti del corpo da massaggiare saranno quelle più esposte al carico ed alla ripetitività del gesto atletico. Il massaggio si compie con manovre molto rapide
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e veloci, decisamente poco profonde abbinate ad un prodotto con effetto capillarizzante e riscaldante (ancora più importante durante la stagione invernale) che favorirà l’apporto di sangue nel muscolo, aumentando così la tempe-
ratura locale. Il prodotto va applicato pochi minuti prima dell’attività fisica, distribuendolo sulla pelle e portandolo a completo assorbimento senza massaggiare eccessivamente. Un atleta può applicare il prodotto pre-
Il Gruppo Body Evolution
gara anche da solo andando a massaggiare le zone coinvolte dall’attività fisica. Attenzione però: la sola applicazione di prodotti pre-gara non sostituisce il riscaldamento ma lo affianca e lo amplifica aumentandone i benefici e preparando l’atleta alla competizione. Ricordiamo che prima della gara non va mai fatto lo stretching statico ma esclusivamente quello dinamico: nel primo caso si parla un allungamento muscolare dalla durata molto breve, solitamente qualche secondo, da effettuare dopo l'allenamento per far ritornare il muscolo a riposo. Effettuare questo tipo di stretching prima dell'allenamento potrebbe comprometterne la buona riuscita dato che tende a rallentare la risposta muscolare impedendone una veloce contrazione: infatti dalle ultime ricerche e pubblicazioni questo
Domenico Pozza
tipo di stretching fatto nel pre-gara sembra essere causa, per l’80% dei casi, di contratture. Nel secondo caso, per stretching dinamico, intendiamo un aumento graduale dell'estensione articolare. L'obiettivo è arrivare al proprio limite per riscaldare il muscolo e incrementare la flessibilità. I movimenti graduali, da lenti a veloci hanno lo scopo di aumentarne l'estensione e la velocità. Grazie allo stretching dinamico avremo: aumento del battito cardiaco, lieve innalzamento della temperatura corporea e velocizzazione del flusso sanguigno con conseguente miglioramento della perfomance sportiva. Questo tipo di stretching è perfetto prima dell'allenamento o nelle fasi salienti dell'attività.
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ody Evolution è un gruppo di 22 massaggiatori (alcuni attualmente in attività agonistica, alcuni ex sportivi, alcuni operatori/fisioterapisti/ massoterapisti, tutti formati a livello sportivo) che offre un servizio massaggi di recupero muscolare, confezionamenti taping, massaggi pre e post gara in diverse competizioni sportive di Verona e provincia. Da maggio 2017 il Coni ha riconosciuto il nostro team, come il primo team italiano per rappresentare la categoria in competizioni nazionali ed internazionali. Da gennaio 2018 un grande sponsor ed organizzatore di eventi ci ha voluti nel suo staff come Sportler Team Massaggi facendoci partecipare in tutte le maggiori manifestazioni del Trentino Alto Adige, Veneto ed Austria al quale si è aggiunto anche Phyto Performance che accompagna sempre gli atleti con i suoi prodotti pre e post gara.
IV T R O P S O T T I DIR
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YouSport, un team di professionisti al servizio degli sportivi
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di Marina Soave - Foto: archivio
nizia con questo numero di SportdiPiù magazine la collaborazione con YouSport, network di professionisti veneti - tra cui gli avvocati Marco Lo Scalzo, Paolo Romor e Paolo Emilio Rossi - che si interessa anche di diritto sportivo. Alle competenze degli avvocati si aggiunge di volta in volta, a seconda delle necessità, la professionalità dello psicologo dello sport, del preparatore atletico e del nutrizionista: in tal modo il gruppo riesce a supportare gli atleti fin da giovani e a collaborare con le società sportive. Come è iniziata questa collaborazione tra figure professionali così diverse tra loro? “La squadra” – racconta l’Avv. Paolo Emilio Rossi – “all’inizio era formata solo da avvocati, da sempre appassionati di calcio: tra questi, qualcuno si è dedicato all’assistenza di società di calcio sia dilettantistiche che professionistiche, qualcun altro si è interessato all’attività di procuratore, individuando alcuni calciatori a cui è stata fornita assistenza al momento del loro trasferimento da una squadra a un’altra. Nel tempo abbiamo pensato che allargare il gruppo ad altre figure professionali potesse consentirci di fornire un servizio ancora più completo. Siamo convinti, ad esempio, che un giovane calciatore necessiti di essere seguito sotto vari profili e, che per completare la sua crescita, possa, a seconda dei casi, essere utile il supporto di professionisti specializzati nella cura del corpo e della mente. Alla domanda se siamo sia avvocati che procuratori sportivi rispondiamo sì. Anche se sarebbe meglio dire che in quanto avvocati abbiamo la competenza, per legge, di svolgere
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anche l’attività di procuratore sportivo”. Nel dettaglio, a livello legislativo, com'è regolata questa attività? “La legge n. 205 del 2017” – spiega l’Avv. Marco Lo Scalzo – “ha reintrodotto, per chi voglia svolgere l’attività di procuratore sportivo, l’obbligo del superamento di una prova di idoneità e della successiva iscrizione al relativo registro, facendo però salve ‘le competenze professionali attribuite per legge’, tra cui rientrano quelle dell’avvocato. Quest’ultimo quindi risulta abilitato a svolgere l’attività di
procuratore senza necessità di iscriversi al relativo registro e senza bisogno di superare l’esame di abilitazione. In buona sostanza, la legge riconosce agli avvocati le competenze professionali maturate con il loro percorso di studi e il superamento dell’esame di avvocato. Oggi, anche il nuovo ‘Regolamento Agenti Sportivi FIGC’ pubblicato nell’aprile 2019, ha confermato questa impostazione, prevedendo espressamente che i calciatori o i club possano avvalersi di un avvocato”.
Ci sono altre differenze tra le due figure? “Innanzitutto” - sottolinea l’Avv. Paolo Romor – “dal punto di vita del compenso, che per l’avvocato, non può essere quantificato in percentuale sul valore dell’ingaggio; un tipo di accordo che invece è consentito al procuratore sportivo. Altra differenza riguarda la durata del rapporto con il proprio assistito: in questo caso la normativa è più rigida nei confronti del procuratore, il quale può sottoscrivere un contratto della durata massima di due anni, mentre per l’avvocato non è previsto alcun limite. Infine, l’avvocato non può agire in ‘conflitto di interessi’, non può cioè ricevere contemporaneamente un incarico dal calciatore e dalle squadre coinvolte nel suo trasferimento, mentre il procuratore può assistere, nell’ambito della medesima operazione, entrambe le parti.
L’argomento è molto interessante; di cosa ci parlerete quindi nel prossimo numero di SportdiPiù magazine, il primo del 2020? "Per essere precisi gli argomenti sono tanti e tutti molto interessanti. Possiamo anticipare che inizieremo il nuovo anno trattando le novità sul premio di preparazione".
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I NTERVISTA lla e il M o in P
All'ombra del Pino di Alberto Braioni - Foto: Mantova Calcio a 5
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a toccata e fuga come stile di vita. Il Mantova Calcio a 5, dalla fondazione nel 2014, ha dribblato categorie come dei birilli, con il lieto fine dell'approdo in Serie A1. Mai nessuno si era spinto a tanto. Il protagonista sul parquet risponde insindacabilmente al nome di Pino Milella, skipper di quattro delle cinque promozioni. “Insistei con Milella a lungo” – ricorda il Direttore Generale Cristiano Rondelli – “per il suo curriculum e per le sue
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indiscusse capacità. Riuscii a coinvolgerlo in un progetto accattivante. Con lui la speranza di arrivare in alto c'era ma non era preventivato di bruciare le tappe così rapidamente. Un giorno potremo raccontare ai nostri nipoti di questa impresa”. Mister una società che, in cinque anni dalla fondazione, sale in Serie A1 possiede per forza qualcosa di speciale? «Il Direttore Generale Cristiano Rondelli, quando mi chiamò in C2, mi disse che il Mantova sarebbe arrivato in A1 e io gli
Mister Pino Milella
risposi che solo un pazzo poteva esserne convinto; mancava una struttura solida, che però nel tempo prese forma grazie anche al presidente Daniele Bruschi. Idee chiare e condivise sono state la chiave per realizzare tutto questo. Ora abbiamo anche l'aiuto del title sponsor Kaos che ci supporterà in questa stagione». Quali furono i primi passi che la portaro-
no a Mantova, come nacque tutto questo? «Mi ero allontanato a causa di una promozione alla quale non era seguita l'iscrizione alla categoria superiore. Una delusione per la quale avevo deciso di mettermi da parte; poi la chiamata di Rondelli, l'insistenza ed un progetto importante». Che effetto ha fatto a Pino Milella, un habituè della A1, scendere di così tante categorie in C2? «Ho incontrato delle difficoltà perchè mi sono adeguato ad una visione dilettantistica. In Serie B l'investimento della società nel parco giocatori è stato notevole; si è passati da una visione dilettantistica al professionismo». Il passaggio dalla Serie A2 alla A1 è stato quasi uno scherzo del destino con l'andata play-off praticamente a casa, a Cassano delle Murge... «Fu una partita difficile, nella quale l'obiettivo era tenere in piedi il risultato del doppio confronto. Erano favoriti ma la vincemmo tatticamente, il tutto vicino a casa; è stata una bellissima soddisfazione. Poi nel ritorno al PalaNeolù non ce ne fu per nessuno, un trionfo». Tra i giocatori simbolici probabilmente il più rappresentativo è stato Denilson Manzali “Arrepiù”, pilastro offensivo e carismatico della squadra; come ha reagito alla sua partenza? «Era stato confermato dalla società, la scelta è stata sua ed è stato un grande dispiacere. Vista l'età avanzata e la presenza di una famiglia, è stata comunque comprensibile; tra noi rimarrà un rapporto indelebile, ci sentiamo ancora spesso».
ritorno di immagine non lo considero adeguato per tutto il lavoro che si svolge. Serve concentrarsi nella presentazione del prodotto e nelle garanzie per le società, troppo spesso esposte a delle incognite dal punto di vista economico. Nonostante tutto, i passi in avanti si vedono». Uno sport, il Calcio a 5, che a Mantova è l'unico a rappresentare la massima serie e che sgomita per conquistare sempre più rilievo. “Quest'anno” – conclude il Diret-
tore Generale Rondelli – “il Mantova ha come obiettivo unicamente la salvezza. Dobbiamo assolutamente consolidarci in questa categoria e risolvere il nostro più grande handicap, che attualmente riguarda l'impianto. Con un palazzetto disponibile a tempo pieno il nostro numero di tesserati si alzerebbe esponenzialmente. Auspico una soluzione favorevole per il nostro movimento e quello della città”.
Il campionato di Serie A1 in corso come lo legge? «Il calendario ci ha consegnato un inizio terribile, nel quale però ci siamo destreggiati egregiamente. Pareggiare a Pesaro in casa dei campioni d'Italia è stata una soddisfazione, ma anche altre vittorie sono state prestigiose. Puntiamo alla salvezza, con una squadra piena di carattere ed entusiasmo». Sei stato protagonista con la maglia Azzurra al Mondiale del 1992: quali sono stati i cambiamenti principali di questo sport negli anni? «Dalla seconda metà degli anni 90' si è visto l'avvicinamento al professionismo. Ad oggi però i problemi ci sono ancora; serve professionalità totale per affrontare questo sport, anche se purtroppo il
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SPO RT LI FE olai ic N io s s le A
Il LEONE ruggisce ancora di Jacopo Pellegrini - Foto: Alessio Nicolai
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lessio Nicolai, è un ‘leone’ di 47 anni che per 5 anni ha combattuto una battaglia molto dura: ha infatti vinto contro due tumori. Il soprannome leone calza a pennello ad Alessio; spirito forte, determinazione e coraggio, caratteristiche tipiche di chi non smette mai di combattere fino a che non ha centrato la vittoria. Quando inizia a raccontare la sua storia, il suo umore cambia: parlando della ‘bastarda’ (la malattia…) la sua voce cambia di tono facendo percepire, anche se solo in minima parte, quello che ha provato in questi anni di lotta. “Nella primavera del 2014” – racconta – “ho avuto il primo linfoma di Hodgkin. Sono stato ricoverato ad ottobre all’Ospedale di Borgo Roma dove ho fatto sei cicli di chemioterapia: facevo 25 giorni all’ospedale e poi 10 a casa per riposare. Nell’aprile del 2015 ho fatto il prelievo delle mie cellule staminali e ad ottobre me le hanno re-infuse. Lì pensavo fosse tutto finito: a dicembre ero anche tornato a lavorare. Purtroppo non è stato così”. L’emozione e la rabbia interrompono per un attimo il racconto. Poi Alessio fa un bel respiro profondo e prosegue: “Il 1° Gennaio del 2018 ho sentito gli stessi sintomi che ho avuto con il primo linfoma. Sono andato al pronto soccorso perché avevo delle fitte simili a coliche renali e mi hanno trovato un altro tumore: avevo una massa di 11 centimetri e mezzo davanti al rene destro. Ho fatto altri sei cicli di chemio a Borgo Roma da aprile a luglio. Dopo una Pet TAC abbiamo visto che il tumore non era scomparso. Allora mi hanno mandato a fare 18 sedute di radioterapia a Borgo Trento. A dicembre però risultava esserci ancora la massa. Si era rimpicciolita, ma era ancora lì. Abbiamo quindi fatto una richiesta per il trapianto di cellule staminali e, per fortuna, abbiamo trovato un donatore con una compatibilità del 99,5%. Quindi, a Borgo
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Alessio con il giornalista Marino Bartoletti
Roma, ho fatto una settimana di chemio dette forti per azzerare i miei valori per il trapianto; 38 giorni dopo il trapianto, a fine aprile, sono tornato a casa”. Il tono di voce di Alessio adesso cambia ancora: per la prima volta da quando ha iniziato a raccontarci la sua storia è più
tranquillo, come se si fosse tolto un peso. “Ora” – prosegue ci spiega – mi sono rimesso in sesto ma quando sono tornato a casa dall’ospedale ero molto provato. Il 2 settembre ho ricominciato a lavorare da Rossetto a cui devo tantissimi ringraziamenti per il sostegno che mi hanno dato e per avermi aspettato per un anno e otto mesi. In tutto questo periodo sapevo di avere alle spalle un’azienda, Rossetto appunto, che non mi avrebbe mai lasciato solo e questo mi ha sicuramente liberato da un ulteriore pensiero”. La vita di Alessio è quindi tornata normale: casa, lavoro, amicizie e sport, in particolare il calcio, sua grande passione.
Tifosissimo del Parma, Alessio però ci tiene particolarmente a presentare un altro suo amore calcistico, ovvero ‘La Mitica’. “La Mitica” - sorride emozionato – “è la Nazionale di Calcio dei ragazzi guariti dalla leucemia. Siamo un gruppo di circa 30 persone tra ragazzi guariti, donatori e volontari che fanno queste partite nel periodo primavera-estate in tutta Italia e tutto il ricavato va in beneficenza. Non riesco a spiegarvi l’aiuto che mi ha dato: sono sempre stato un appassionato di sport e tornare su un campo a praticare lo sport che più amo mi ha ridato felicità! Quest’anno ho fatto il portiere in tre partite dove ho giocato simbolicamente i tre minuti finali, non potendo compiere sforzi eccessivi. Per me è un’esperienza bellissima anche perché andiamo negli ospedali nei reparti di Oncologia Pediatrica a portare dei doni e a dare speranza a chi sta passando quello che abbiamo passato noi. Questa iniziativa è stupenda e mi arricchisce ogni volta che mi ritrovo con i miei compagni di gioco e di vita. Ringrazio di cuore La Mitica, il capitano Giacomo Terranova e tutti i ragazzi che mi hanno accolto in maniera stupenda. Sono davvero felice di giocare in questa squadra. Per me significa tornare a vivere!”. “Ho sempre avuto la positività nel mio
combattere” – conclude Alessio – “ e un mio amico per questo mi ha soprannominato leone. Da allora mi chiamano tutti così. Ora è diventato un simbolo che porto ovunque. Ho combattuto per vincere questa battaglia. Un mese fa ho rifatto il “PET” e sembra che sia tutto sparito: per me questo è stato molto importante. Ho avuto tantissimi amici e colleghi di lavoro che mi sono stati vicino e a cui sono molto grato, ma più di tutti devo ringraziare la mia famiglia, i miei fratelli, i miei figli e soprattutto mia moglie Monica che mi è stata sempre accanto e che mi ha dato la forza di combattere ogni singolo giorno”.
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magazineinserto speciale Speciale realizzato in collaborazione con l'Area Comunicazione Hellas Verona F.C. - Responsabile Andrea Anselmi.
A N O R E V S A L HEL
SERIE A ›
Sofyan Amrabat
PRIMAVERA ›
Felipe Lucas
WOMEN ›
Stefania Zanoletti
o n a i r o lI pret c i r u J r e t s i di m
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Foto: Maurilio Boldrini
Sofyan Amrabat
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Amrabat, il pretoriano di mister Juric
“S
angue e sudore”: mister Juric riassume così, con apprezzabile dono della sintesi e della simbologia, quello che deve essere lo spirito dell’Hellas. Lo incarna idealmente Sofyan Amrabat, uno che, sono sempre parole di mister Juric, “gioca finché non muore”. Perché a lui non si può rinunciare. Perché a lui l’allenatore gialloblu non vuole rinunciare. È uno dei suoi pretoriani. È il simbolo di un Verona da combattimento. Di lotta e sacrificio. Di spada e non di fioretto. Anche se poi, a ben vedere, Sofy non è solo corsa, polmoni, grinta e fisicità. Sarebbe riduttivo. Per lui come per il Verona. Che è squadra che sa giocare (bene) a calcio e nella quale Amrabat si alterna in regia con Veloso. Insomma, i piedi sono educati e gli permettono di ricoprire con grande efficacia il ruolo di ‘tuttocampista’. La trovi ovunque la sua maglia numero 34. Perché contrasta, sradica palloni, corre per due, ma poi ha anche la lucidità di far ripartire l’azione, di macinare gioco, di inserirsi in fase offensiva. Sempre ‘sul pezzo’, sempre nel cuore della partita, il 23enne marocchino nato in Olanda. Con il Bentegodi e coi tifosi gialloblu, per i quali è un idolo assoluto, è stato amore a prima vista. Il tuo rapporto con il Bentegodi è un sentimento ricambiato... «Il feeling è nato spontaneo sin dal mio debutto, contro il Bologna, quando sono entrato in campo nel secondo tempo. Sono bastati due palloni recuperati e ho sentito l’urlo del Bentegodi alzarsi altissimo. In quel momento ho capito cosa chiede il popolo gialloblu: cuore, grinta, determinazione, sacrificio». Sangue e sudore, come dice Juric... «Quando ha detto che con lui gioco sempre, finché non muoio, mi ha fatto un grande riconoscimento. Perché io sono così: un lottatore nato, uno che non molla mai». Che rapporto hai col mister? «Fantastico. Lui è uno diretto: ti dice quello che vuole ma anche quello che pensa di te. Sono davvero contento di aver trovato un allenatore come lui. Il suo concetto di calcio è il mio: cuore, coraggio, spirito battagliero ma non solo. Perché al mister piace giocare bene a calcio.
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Come ti trovi con Veloso? A centrocampo fate coppia fissa e vi completate bene... «Miguel è un fuoriclasse. È un leader vero. Grande uomo, oltre che grande calciatore. Ha esperienza ma anche mentalità. Con lui al mio fianco posso diventare un calciatore ancora migliore». Qual è il compagno di squadra che ti ha sin qui più impressionato? «Il gruppo. Parlo così perché la nostra forza è e deve rimanere il gruppo. Tutto il gruppo, compresi quelli che sinora hanno giocato meno».
E difatti questo Verona esprime un calcio propositivo, aggressivo, mai speculativo, organizzato». A Verona c'è una grande tifo. Ti carica la spinta del Bentegodi e dei tifosi gialloblu? «È come fossero in campo con noi. Ti trasmettano una carica impressionante e sono fantastici: per tutti i 90 e più minuti non smettono un secondo di incitare la squadra. E il tributo che sinora ci hanno sempre riconosciuto a fine partita, anche quando abbiamo perso, mi ha sempre fatto venire i brividi. Dovremo essere bravi noi a conservare questo splendido rapporto che si è creato. Viviamo una bellissima simbiosi: in chiave salvezza può fare la differenza». La classifica sorride... «La classifica è importante. Ma per adesso non la guardo. Mi piace soffermarmi sulle nostre prestazioni. Sinora sono state tutte di livello. Per capirci: ce la siamo giocata con tutti, sempre alla pari, anche quando abbiamo perso. Credo che questo aspetto ci debba infondere grande forza, ma anche la giusta consapevolezza e la necessaria determinazione per guardare avanti con fiducia e ‘fame’…». Come sei arrivato a Verona e all’Hellas? «La trattativa è stata lunga. All’inizio il Club Brugge non voleva lasciarmi andare. Difatti la richiesta era molto alta. Ma il Direttore (Tony D’Amico n.d.r.) è sempre rimasto in contatto con me e con il mio entourage. E il mister, chiamandomi più volte, mi ha fatto sentire un calciatore importante nel suo progetto tecnico di allestimento della squadra. E allora, appena il Club Brugge ha riaperto uno spiraglio nella trattativa ed è tornata a parlare con l’Hellas Verona, ho subito fatto emergere la mia volontà, cioè quella di andare al Verona e di giocare nella serie A italiana».
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L'Italia può consacrarti al grande calcio, considerato che hai solo 23 anni? «Prima di tutto voglio consacrarmi nel Verona. Il resto viene dopo e per ora non ci penso neanche. Abbiamo un obiettivo e dobbiamo centrarlo. A tutti i costi». Stai facendo benissimo anche in Nazionale. Perché hai deciso di giocare nel Marocco e non nell'Olanda? «Non è stata una scelta facile. In Olanda sono nato, ma in Marocco ho affondato le mie radici. Come calciatore, ma anche come uomo». Ti piace Verona? «È una città a misura d’uomo. E la gente ti trasmette tutto il suo calore e tutta la sua passione per l’Hellas». Piatto preferito e hobby? «Tajine marocchino e… calcio!».
Foto: Francesco Grigolini FotoExpress
Lucas Felippe
O mundo do Lucas
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ntra nella stanza in punta di piedi, senza fare rumore, con la stessa leggerezza con la quale sembra muoversi in campo. La stessa leggerezza, unita a un pizzico di incoscienza, che gli ha permesso di lasciare la casa, la famiglia e il Brasile a 17 anni appena compiuti. Lo puoi riassumere così Lucas Felippe, per tutti Lucas: un ragazzo normale, che ha saputo fare e fa quotidianamente qualcosa di straordinario. Non troviamo altri aggettivi per descrivere il suo mancino e il suo modo di districarsi tra Primave-
ra, prima squadra e convitto, i mille ostacoli che portano a una lavoro, quello del calciatore, che per ogni ragazzo brasiliano è un sogno. Per lui, sta diventando realtà. “Sono un ragazzo tranquillo, mi piace semplicemente giocare a calcio” – esordisce – “l’Hellas mi sta dando una chance incredibile e io non voglio buttarla via”. All’inizio, però, non è stato facile… «Ho saputo da una settimana all’altra che avrei potuto fare un provino in Italia, nell’estate 2017, io che non ave-
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vo mai lasciato il Brasile. Mi alleno per pochi giorni con la Primavera del Verona e una sera, a fine allenamento, mi chiamano parte e mi dicono che, se voglio, c’è un posto in squadra per me». Tanta felicità, un pizzico di paura, infinita voglia di dimostrare le sue qualità. Però accade qualcosa... «A settembre è arrivato il freddo, un freddo mai provato prima, e tanta nostalgia. Dormivo con due maglioni e il giaccone addosso. Devo veramente ringraziare i miei compagni, lo staff e la società per come mi sono stati vicini e mi hanno fatto sentire importante. Molti dicono che ho fatto presto a imparare l’italiano (3 mesi, n.d.r.), ma avendo molte similitudini col portoghese non è stato difficile. E poi le mie origini sono qui, il mio bisnonno è italiano (Martello il cognome, n.d.r.), sto anche pensando di prendere la cittadinanza». Una prima stagione, in Primavera, dove lo spazio arriva poco a poco... «Già. Prima l’esordio, a metà ottobre con l’Atalanta, gli scampoli di partita e poi, da febbraio, il ruolo da titolare a centrocampo. A fine stagione ho totalizzato 20 le presenze complessive, con 2 reti. Una grande soddisfazione, nonostante la retrocessione finale. E poi, nell’estate 2018, ho fatto il mio primo ritiro con la prima squadra, dove impari ad alzare decisamente il livello allenandoti con professionisti e campioni. Si è visto nella scorsa stagione, dove ho messo assieme 22 presenze, 9 gol e 5 assist da centrocampista, e in generale sento di aver raggiunto un livello diverso di consapevolezza». Quest’anno poi è arrivata anche la fascia di capitano… «Mai avrei pensato, a 24 mesi dalla partenza da San Paolo, dalla mia casa a pochi metri dalla favela, di poter indossare la fascia nella Primavera di una delle squadre
più importanti del calcio italiano. A Primiero ci sono tornato e lì ho conosciuto Miguel Veloso. Affinità linguistica e di ruolo a parte, ho trovato in lui una figura a metà tra un padre e un fratello maggiore. Non mi insegna solo a calciare meglio le punizioni, ma anche a gestire la pressione e a migliorare come uomo: una persona eccezionale, come non ne avevo trovate finora in vita. La parte più bella della mia giornata è sicuramente la mezz’ora trascorsa a fine allenamento a provare i calci piazzati con lui e Henderson». Ad oggi già due panchine in questa Serie A, ma anche una Primavera che viaggia come un treno... «Mister Corrent sta facendo un lavoro straordinario, le 7 vittorie nelle prime 7 giornate di campionato sono la prova del lavoro svolto e dell’impronta data a una squadra che ha tanta voglia di stupire. Col Milan è arrivata una battuta d’arresto, ma nessuna squadra può vincere ogni partita, ci sapremo rialzare molto presto ed è una sconfitta che ci serve per lavorare ancora di più e meglio. L’esordio in Serie A? Vivo per questo. Sono sicuro, prima o poi succederà, e sarà con la maglia dell’Hellas Verona».
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Foto: Andrea Amato - Riccardo Donatoni RDF
Stefania Zanoletti
Zanoletti, l'ultimo asso del mazzo
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ome carte lanciate in aria è difficile raccogliere e riordinare tutti i concetti. Stefania Zanoletti è una donna, prima che una calciatrice, capace di intrattenersi in una discussione. Esprime sicurezza ma confessa altro. In una Serie A femminile a cui guardano le bambine, con i nomi che ormai conoscono tutti e non sempre per meriti o caratteristiche di campo, nata nel 1990 a Desenzano del Garda, Stefania Zanoletti è l’ultimo asso del mazzo e ci svela le sue carte. “È un cerchio che si chiude. Ho iniziato a giocare a calcio in una squadra femminile a Verona e, a distanza di quattordici anni sono tornata. Mi ha fatto sorridere. Verona è una città a me molto cara, ho studiato qui e ho trascorso alcuni degli anni della mia giovinezza. Chissà che non decida di prendere casa qua”. Il Mondiale ha segnato una svolta nel calcio femminile, tu appartieni a quella generazione di calciatrici… «Sono molto orgogliosa. Tante giocatrici che fanno parte di quel gruppo sono cresciute insieme a me. Da Cristiana Girelli, che è la mia migliore amica, a Rosucci, Bonansea, Cernoia, Sabatino. Sono tutte persone a cui sono molto legata. Ridiamo e scherziamo come tutte le altre. Ci mandiamo qualche messaggio. A Girelli ho detto, prima di giocare contro la Juventus: ‘Se mi fai un sombrero ti arriva una gomitata nei denti’. Mi sento anche io in qualche modo coinvolta in questi loro traguardi con la Nazionale. Ho ricevuto anche io due chiamate in azzurro
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La storia con la città di Verona inizia tanti anni fa e non è solo calcistica, ma anche Universitaria. Il livello di studio della Serie A Femminile? «Per tre anni ho studiato all’Università di Verona, mi sono laureata in Lettere, poi gli altri due anni ho deciso di farli a casa perché, altrimenti, fare cinque anni da pendolare sarebbe stato pesante. Ho visto crescere anche il livello delle calciatrici dal punto di vista dello studio, qualche volta negli scorsi anni mi è capitato di giocare contro alcune avversarie e domandarmi come diavolo parlassero». qualche anno fa ma parlarne mi arrabbiare (immaginate un’espressione più colorita, n.d.r.), perché se non mi fossi fatta male in quel periodo della mia carriera magari oggi potrei essere lì anche io…». L’impatto con l’Hellas Verona? «Super positivo, ho avuto già la possibilità di giocare in un club che ha anche una squadra maschile professionistica, ma per me, che gioco a calcio sin da piccola, è la prima volta che capita di sentire così tanta attenzione da parte del club: mi scendono quasi le lacrime se ci penso. Non sapete quanto sia difficile trovare il video di una partita di Serie A nei miei primi anni, invidio le ragazze più giovani che hanno un futuro completamente diverso. Qua sono felice. Noto che c’è qualcosa in più, dall’attenzione all’organizzazione. È il primo anno che mi sento proprio seguita, forse è un cambiamento avvenuto a livello di campionato, ma comunque è positivo». Partita 5 volte da titolare in queste prime 5 giornate di Serie A, ti sei presa la difesa gialloblù? «L’obiettivo di una calciatrice quando cambia squadra è quello di allenarsi e giocare il sabato. Dietro siamo in tante tra centrali e terzini, quindi forse non mi aspettavo di partire subito così. Ad agosto ero un po’ scettica e mi sono detta “Non so se gioco quest’anno”. Non mi aspettavo nulla, ma speravo di giocare. Sembro sicura ma non sempre lo sono e, molte volte, sono tanto autocritica: se sbaglio quattro passaggi per me la prestazione è già negativa, ma credo che sia un metodo di miglioramento».
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Il tuo numero 27? «Il 27 è una scelta strana, inizia tutto da un episodio a cui ho cercato di attribuire significati tutti miei. Ho iniziato a 14 anni a giocare con il Bardolino ed è stata anche la prima volta che ho potuto vedere una partita di calcio femminile, al campo di Calmasino. Ricordo di questa calciatrice con il numero 27 della Torres che correva a destra e a manca. Mi è rimasta impressa. È diventato il mio numero. Lei era Chiara Gazzoli». Il tuo rifugio nel calcio e fuori dal calcio? «Quando smetterò so che ciò che mi mancherà del calcio sarà lo spogliatoio. Sia nella sua veste di luogo di ritrovo con la squadra, di divertimento, di scherzi e di conversazioni, sia nella sua veste di luogo di silenzio e concentrazione prima di una partita importante. Fuori il mio rifugio è la musica, sono amante dell’elettronica. Quando ne ho la possibilità (e il weekend) la serata techno è una buona medicina. Diciamo che mi sfogo d’estate. È 10 anni che vado a Ibiza. Se fossi ricca prenderei l’elicottero e andrei a Ibiza ogni volta che ho tempo, è il mio punto di riferimento. Mi dà carica positiva». La migliore dell’Hellas Verona Women? «Benedetta Glionna, è un talento. Però non sono mai stata contenta di affrontare, da avversaria, Valeria Pirone. Fuori dal campo è una persona molto piacevole ma in partita diventa una spina nel fianco, meglio con me che contro di me. È furba e dà l’anima per la squadra». Il migliore dell’Hellas Verona? «Miguel Veloso».
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Metronomo rossoblu di Jacopo Pellegrini - Foto: Clemente Liborio - Virtus Verona
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a Virtus Verona di quest’anno è senza dubbio una squadra diversa rispetto a quella che ha affrontato il campionato 2018-2019. Il presidenteallenatore Gigi Fresco, ottimamente coadiuvato dal DG Diego Campedelli,
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ha allestito una rosa di grande qualità ed esperienza, caratteristiche fondamentali per affrontare un campionato insidioso come quello della serie C. L’ultimo colpo in casa rossoblu, arrivato un po’ a sorpresa ma necessario per colmare alcune lacune (causa infortuni) nella
zona di centrocampo, è Paolo Sammarco. Classe 1983, Sammarco ritorna a Verona dopo la doppia parentesi con la maglia del ChievoVerona (dal 2004 al 2007 con esordio in serie A e nel campionato 20112012 n.d.r) e dopo 108 presenze tra serie A e serie B con la maglia del Frosinone.
Paolo Sammarco con le maglie del ChievoVerona (sopra) e del Frosinone
Per lui anche esperienze con le maglie di Sampdoria, Udinese, Spezia e Cesena. Un curriculum di grande spessore per un giocatore che può far fare un ulteriore salto di qualità alla Virtus Verona per centrare, come minimo ‘sindacale’, una tranquilla salvezza. Paolo, che effetto di ha fatto tornare a Verona? «Volevo tornare, prima o poi, a Verona perché ho casa qui e la mia famiglia un domani si stabilirà qui. Perciò quando è arrivata la chiamata della Virtus non ci ho pensato troppo e ho fatto coincidere le due cose. Sono molto contento della mia scelta: è bello quando hai finito allenamento tornare nella tua vera casa, invece di essere in un semplice appartamento. È una cosa che mi mancava».
Al di la dell’aspetto ambientale, come mai hai scelto la Virtus Verona? «Ho scelto la Virtus perché è la squadra che mi ha cercato di più negli ultimi tempi, che mi ha corteggiato per un anno e mezzo. Quindi ho deciso che era il momento giusto per accettare e per cercare di dare una mano a questa ambiziosa società». Cosa può dare Paolo Sammarco a questa squadra? «Sicuramente la mia professionalità, la voglia di fare, di giocare e di mettermi a disposizione dei compagni e del mister. Credo di non essere mai cambiato negli anni: sono un ragazzo che ha sempre dato tutto quello che ha perché quando credo in qualcosa non mi tiro mai indietro». Quanto pensi di essere cambiato nel corso degli anni, sia come maturità che come ruolo in campo? «Direi molto da quando ero un ragazzino: quando sono arrivato la prima volta a Verona ero molto giovane, con tante ambizioni e tanti sogni. La seconda volta che sono tornato ormai ero un uomo. Adesso, dopo aver fatto ancora più esperienze, arrivo in una Società che vuole e deve consolidarsi in Serie C. Sono felice
di questa opportunità e di essere tornato a casa. Per quanto riguarda il ruolo ho iniziato la carriera da mezzala, in seguito sono stato spostato più avanti, come trequartista. Negli anni comunque ho giocato in quasi tutti i ruoli del centrocampo. Nelle ultime stagioni sono stato spostato davanti alla difesa (l’anno scorso tutte le partite che ho fatto al Frosinone in Serie A le ho fatte in quella posizione): credo sia perché con un po’ di esperienza in più si ha la tranquillità di giocare il pallone anche nei momenti più delicati della partita». Ti abbiamo visto in tutte le categorie, dalla Serie C alla Serie A, hai giocato i preliminari di Champions ed Europa League e sei stato convocato nella Nazionale Under 21. Puoi raccontarci qualche fatto curioso che ti ricordi con piacere della tua carriera? «Una cosa che mi è rimasta particolarmente impressa è un episodio avvenuto a Frosinone. Il mister era Roberto Stellone. Io sono arrivato il 21 Gennaio 2015 e la squadra era al 6°/7° posto in classifica. Prima della mia presentazione ho parlato con il mister nel suo spogliatoio. Lui mi disse: “Ovviamente tu parla di salvezza perché questo è il nostro obiettivo, ma quest’anno andiamo in serie A”. Io restai sorpreso dalle sue parole ma lui ribadì
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il concetto: “Si, ha capito bene: andiamo in serie A”. E così fu. Questo è un piccolo episodio per far capire il personaggio Stellone a cui rimango affezionato e con cui ho fatto due anni alla grande». (Al termine del campionato di serie B 2014-15 il Frosinone fu promosso per la prima volta nella massima serie e Sammarco, insieme a tutta la squadra, fu premiato diventando cittadino onorario della città n.d.r.). Il ricordo più importante però è legato al mio esordio da titolare con la maglia del ChievoVerona al Bentegodi contro la Roma (19 Gennaio 2005, 2-2 il risultato finale n.d.r.). Ho saputo di giocare titolare praticamente un’ora prima della partita e mi sono trovato a in campo con giocatori del calibro di Totti, Montella e Cassano. Dopo quella partita ho capito che anch’io potevo stare a quei livelli».
E questa Virtus dove può arrivare? «È giusto puntare alla salvezza. Il giorno che ci arriveremo, speriamo il prima possibile, faremo altri discorsi e altre
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valutazioni. Per ora non illudiamoci e restiamo concentrati verso l’obiettivo più tangibile, poi vedremo cosa succederà».
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Psicologia sportiva
Dr. Tommaso Franzoso Psicologo dello Sport - Sport Mental Trainer Venezia Soccer Academy e Venezia FC
La psicologia dello sport
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n questo nuovo numero di SportdiPiù magazine, nell'ambito della rubrica Sportiva-Mente, cercherò di raccontare e spiegare, nel modo più comprensibile possibile, che cos’è la psicologia dello sport. Essa è una disciplina giovane che si pone come punto di incontro tra ricerca scientifica ed applicazione nel settore; il suo bacino di utenza è costituito principalmente da allenatori, dirigenti, atleti, arbitri, medici dello sport, tecnici, e da tutti coloro che operano ad ogni livello nel campo dello sport. La psicologia dello sport è una disciplina che da un punto di vista etimologico studia i comportamenti, le relazioni, le emozioni e lo stato mentale di chi pratica sport e pertanto si immerge nella conoscenza degli aspetti sociali, psicologici, pedagogici e psico-fisiologici che la persona trae e prende dall'attività sportiva. Per definizione e necessità essa prende ispirazione e contenuto da molteplici discipline che vanno dalla medicina alle scienze motorie, ma ha trovato negli anni un suo preciso e definito percorso di ricerca e di intervento. Inizialmente, la psicologia dello sport cercò di stabilire delle relazioni significative fra personalità e sport, utilizzando
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soprattutto strumenti diagnostici provenienti dalla psicologia clinica, ma successivamente si è specializzata nell’ambito della preparazione mentale e sulle abilità che possono essere incrementate nello sportivo, vale a dire l’attenzione, la concentrazione, la motivazione, la gestione dello stress e dell’ansia ed altro. Numerosi studi dimostrano che l’attività fisica migliora il benessere psicologico, il nostro modo di gestire lo stress e le funzionalità mentali (come la capacità di prendere decisioni, quella di pianificare e la memoria a breve termine), riduce l’ansia e promuove una sana regolazione del sonno. Quindi, questo permette di osservare come oltre all'aspetto prettamente agonistico, la psicologia dello sport si inserisce all'interno di un percorso anche dell'esercizio e del benessere e di conseguenza sulla persona. A tal proposito, se lo sport migliora lo stato psicologico dell’individuo, allo stesso modo la psicologia, intesa come scienza, se applicata in maniera sistematica e definita, può contribuire a migliorare l’approccio allo sport da parte del giocatore, dell’appassionato, del tecnico nonché sviluppare una mentalità vincente e sicura da parte dell’atleta. Lo psicologo, precisiamo non è un tecni-
co, quindi non eroga servizi concernenti consigli o strategie tecniche e tattiche dello specifico sport in questione, ma riveste un ruolo ben definito: quello di esperto di tematiche psicologiche e psico- pedagogiche nei confronti di tutti i membri della Società sportiva. Lo psicologo dello sport si occupa in particolare di allenare e potenziare le abilità mentali degli atleti, fra cui ad esempio l’abilità di rilassarsi, di visualizzare, di porsi degli obiettivi, di mantenere la propria motivazione, di gestire l’ansia da prestazione. La psicologia dello sport, lavora basandosi sull'unicità di ogni persona – atleta, propone perciò un approccio mentale allo sport modellato sull’individualità di ogni praticante. L'intervento viene co-costruito attraverso la conoscenza (assessment) dell'atleta grazie a strumenti validi come l'osservazione, il colloquio e la somministrazione di test psicologici scientificamente validi. Ma non solo gli atleti possono trarre beneficio dalla psicologia dello sport, gli strumenti che sono propri di questa disciplina possono essere utilizzati da tutti noi per superare le sfide quotidiane. Infatti, siamo in competizione con noi stessi per essere ogni giorno migliori e per alzare la qualità della nostra vita. È una sfida continua ed è per tal motivo che è importante la nostra mente, la nostra consapevolezza, il nostro essere individuo, persona e quindi atleta. Allenare questa parte personale permette di co-costruire l'identità, le potenzialità, le capacità che sono innate in noi. Tutti noi, sportivi e non, sappiamo che una buona parte delle nostre vittorie dipende dalla componente mentale. Ed è qui, in questi aspetti che entra la psicologia dello sport permettendo di creare uno spazio di riflessione e di rielaborazione per affrontare, le piccole sfide quotidiane come anche le grandi sfide.
Una festa senza torta è un incontro e basta.
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Un capitano in acqua da una vita di Emanuela Pezzo - Foto: CSS Verona
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Qual è il tuo rapporto con l’acqua? «È un elemento che mi è sempre piaciuto. Avendo un nonno originario di Malcesine, ho passato l’infanzia sul Lago di Garda. Ho provato barca a vela, sub, windsurf. Per quello, anche se sono arrivata tardi alla pallanuoto, ho sentito subito che era il mio posto. E poi c’è una verità sull’acqua: meno ci stai e più “ci stai male”, quindi entrarci il più possibile mi mette a mio agio».
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a Css Verona sta affrontando il suo secondo campionato di pallanuoto femminile in serie A1. Si tratta di una stagione cruciale per il team delle Piscine Monte Bianco, guidato anche questa volta dalla veronesissima Giorgia Prandini, capitano gialloblu. Giorgia, è più difficile riconfermarsi che affermarsi? «Penso sia così. La prima volta vivi le emozioni in modo unico. La seconda cerchi di esserci davvero: il difficile arriva quando non è più così facile migliorare e diventa uno scalino mentale. E noi vogliamo farlo: nel campionato scorso eravamo la sorpresa, ora vogliamo rompere le scatole a tutte le altre squadre».
Come vivi da atleta il trascorrere del tempo? «Non sono tra le più giovani in squadra, ma riconosco di avere da pochi anni gli strumenti per poter migliorare, avendo conosciuto persone che mirano alla perfezione. Il tempo è prezioso e quando viene sprecato vado in bestia: lo sanno bene le mie compagne che arrivano tardi agli allenamenti!» Che rapporto hai avuto con i tuoi allenatori? «Centurino è stato il mio primo tecnico, mi ha dato la passione per la pallanuoto e penso che senza di lui non avrei continuato con questo sport. Del Giudice è stato il primo mister che mi ha portato a pensare “al di fuori” del modo di vivere la pallanuoto a Verona. Zaccaria, il nostro attuale tecnico, mi ha guidato nella direzione che volevo esplorare: credere che il duro lavoro possa portare dritto all’obiettivo». Quali altre persone ti hanno ispirato? «In primis una compagna, Ines Braga, nazionale portoghese: ha portato la freschezza nel gioco e la consapevolezza che la tattica non serve se da giocatrice
non sei sempre pronta. E poi i due nostri “presidenti”, Massimo Dell’Acqua e Andrea Campara, che ci danno la possibilità di vivere la pallanuoto senza troppi pensieri». In generale chi è Giorgia Prandini? «Sono una persona che quando si appassiona dà cuore e anima, altrimenti tira indietro. Penso di essere un po’ caotica, ma anche capace di vedere out of the box: colgo quello che altri non vedono, ma forse talvolta mi perdo ciò che è davanti agli occhi di tutti». Tu e lo sport: che rapporto avete? «Fin da piccola sono stata appassionatissima. Ricordo che accendevo la tv, guardavo tutte le gare possibili delle olimpiadi e la spegnevo solo quando erano finite». Cosa significa essere donna e atleta? «Credo che lo sport possa influire in maniera importante sulla vita di una donna, perché il genere femminile è più facile a prendere le cose ‘di pancia’. Per le atlete fare sport ad alto livello può significare rinunciare a certe cose e pure nuocere in alcuni campi della vita, nonostante fare sport generalmente faccia bene. Ma è anche la miscela perfetta di passione, impegno, forza di volontà e mente». Cosa pensi dell’esplosione mediatica del calcio femminile? «Potrebbe essere un fuoco di paglia, ma credo che ogni cosa che possa portare un ragazzo o una ragazza a provare uno sport anziché rimanere inerte sia un bene per tutto il movimento sportivo».
Quali saranno le insidie del nuovo campionato? «Le avversarie ci conoscono meglio e saranno preparate a giocare contro un collettivo che è divenuto completo. Un’altra insidia è la preoccupazione che prima o poi possa esserci una perdita di entusiasmo, ma lavoriamo ogni giorno perché ciò non accada». Come vivi il tuo ruolo di capitano? «In squadra significa portare avanti il pensiero positivo: vogliamo ‘diventare’, non criticare. Non si tratta di una mentalità da Yes man, quanto invece di riuscire a prendere il positivo anche dagli eventi negativi. Ammetto che non è sempre facile. Pensando al mio ruolo inserito nel club, invece, sento di dover propagare il credo di Css, che è quello di far sentire importante ogni atleta».
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ICE CLUB LESSINIA La magia del ghiaccio di Paola Gilberti - Foto: Ice Club Lessinia
Annalisa Vinco con l’allenatrice Marguerite Verboven
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Associazione Sportiva Dilettantistica Ice Club Lessinia, con sede a Bosco Chiesanuova, nasce nel 2000 grazie a un gruppo di appassionati che ha deciso di diffondere il proprio amore per il pattinaggio sul ghiaccio. Oggi, a quasi 20 anni compiuti, l’Ice Club Lessinia non solo è l'unica associazione di pattinaggio agonistica del territorio, ma anche un punto di riferimento per tutti i ragazzi e adulti che decidono di provare questa bella disciplina solo per divertirsi e praticare attività fisica per stare meglio. “Il nostro scopo principale” - spiega Tiziana Zanetti, presidente dell’Ice Club Lessinia, ex pattinatrice ed ex giudice nazionale - “è quello di incoraggiare i giovani ad avvicinarsi al pattinaggio artistico sul ghiaccio e seguirli nel loro percorso, dai primi passi fino all’agonismo ad alto livello, sempre con il supporto di uno staff competente ed esperto. I nostri istruttori e allenatori sono infatti tesserati FISG (Federazione italiana sport sul ghiaccio)”. La società sportiva oggi è formata da
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circa una trentina di atleti affiliati alla Federazione e alla UISP (Unione italiana sport per tutti). “Per la maggior parte sono ragazze” continua Zanetti – “anche se è sbagliato considerare il pattinaggio uno sport esclusivamente femminile. Nelle grandi città, dove il bacino da cui attingere nuove leve è più ampio, il gruppo di atleti è sicuramente più eterogeneo. L’età media dei nostri allievi è 14 anni, molti di loro hanno cominciato da bambini, più o
meno a 4 anni per l’avviamento e proseguire poi, dagli 8, con le gare federali. Oggi contiamo una decina di agoniste. Oltre alle attività competitive, l’Ice Club Lessinia è anche particolarmente attiva negli eventi locali per piccoli spettacoli o esibizioni. Veniamo infatti contattati in varie fiere o feste del territorio.Per noi è molto importante, si tratta di un modo per far conoscere il nostro sport e il nostro club. Quello di Bosco Chiesanuova è l’unico palaghiaccio della provincia per cui merita una nota di rilievo”. Quindi, chiunque desideri mettersi alla prova e sperimentare una disciplina che unisca coordinazione, agilità e forza, sa dove recarsi. “Come tutti gli sport” - conclude Zanetti - “il pattinaggio è impegnativo, per ottenere buoni risultati servono padronanza, sicurezza, scioltezza. Io lo considero anche un’arte, paragonabile alla danza, perché ogni atleta ci deve mettere un po’ del suo, sin dalla scelta della musica per l’esibizione. Ovviamente cominciare da bambini è sempre consigliato, come per tutte le attività, ma se non si è alla ricerca di particolari riconoscimenti e si intende restare in ambito amatoriale, con impegno, costanza e allenamento pattinare sul ghiaccio può essere alla portata di tutti, grandi e piccini”. Provare per credere!
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La direttrice d'orchestra di Paola Gilberti - Foto: Roberto Muliere
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hiara Scacchetti, palleggiatrice emiliana, è un recentissimo acquisto del Sorelle Ramonda Ipag Montecchio. Classe 1995, altezza 175 cm, Chiara arriva da una stagione nell’Acqua e Sapone Roma, dopo due anni nello Scandicci e uno a Ravenna. Un grande percorso per la sua giovane età, un percorso che intende continuare alla grande all’interno del suo nuovo team, sempre con tanto entusiasmo e grinta.
lavoro. E poi, ho la fortuna di giocare con compagne disponibili che entrano ogni giorno in palestra determinate e con tanta voglia di crescere».
cerchi una giocata vincente, quindi sì, hai molte responsabilità perchè devi decidere a chi dare la palla, quando e come. Ma ovviamente amo questo ruolo».
Quali obiettivi vi siete prefissate per questa stagione? «Puntiamo a raggiungere la poule promozione, cioè entrare far parte delle prime cinque del nostro girone. Però non ci diamo limiti, lavoriamo ogni giorno per dare il meglio di noi ogni domenica, per conquistare obiettivi più alti».
Chiara, questo è il tuo primo anno nel Montecchio: come ti stai trovando? «Mi sto trovando molto bene, fin dai primi giorni ho trovato una società seria che ci sta mettendo nelle migliori condizioni per svolgere al meglio il nostro
Cosa rappresenta il palleggiatore in campo? É un ruolo impegnativo? «Quello del palleggiatore è un ruolo importante, impegnativo, però anche molto divertente. Sei il direttore d’orchestra, dirige le tue compagne,
Cosa ti piace fare nel tempo libero? Hai altre passioni oltre al volley? «Nel tempo libero cerco di passare più tempo possibile con i miei amici e la mia famiglia, sono molto legata a loro e quando ho un giorno di riposo se riesco torno a casa. Mi piace molto leggere, amo gli animali e ho una grande passione per l’equitazione, anche se durante la stagione diventa quasi impossibile praticarla. In più, vado spesso al cinema con le compagne di squadra».
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Hai un idolo sportivo? «Sì, e si chiama Eleonora Lo Bianco, una
campionessa sia dentro il campo, perché ha vinto tanto ed è fortissima, sia fuori dal campo, perché ha combattuto e vinto una battaglia contro il cancro. Un esempio per tutti, non solo per gli sportivi». Quando entri in campo hai con te un portafortuna? «Sì, indosso sempre una collana che mi ha regalato mia sorella e una che mi ha regalato il mio ragazzo, non le tolgo mai. Inoltre, il giorno della partita ho la stessa canottiera e anche la mia routine di preparazione è sempre uguale». Qual è il tuo piatto preferito? «Da buona emiliana adoro le lasagne, i tortelli, lo gnocco fritto, le tigelle. Sì, sono molto golosa e fortunatamente la mia terra offre una grande vastità di scelta». Sei più da film o da serie TV? «Mi piacciono entrambi. Come serie tv mi sono appassionata a Grey’s Anatomy, Chicago Fire, Chicago P.D. e come film Io prima di te (film del 2016 diretto da Thea Sharrock, tratto dall’omonimo libro di Jojo Moyes interpretato tra gli altri da Emilia Clarke, Sam Claflin, Jenna Coleman e Charles Dance n.d.r.». Ultimissima domanda, completa la frase: Gioco a pallavolo perchè... «... amo questo sport! La pallavolo
permette di esprimermi a 360 gradi. Avere un obiettivo da raggiungere con le proprie compagne mi esalta, condividere momenti gioia dopo una vittoria o
momenti tristi dopo una sconfitta e cercare di rialzarsi tutti insieme aiuta a tirare fuori il meglio di sé. Per questo ho scelto di giocare a pallavolo».
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EVENTO
ritorna in scena di Enrico Corvaglia - Foto: It's Time to Dance
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opo il successo delle prime quattro edizione, “It’s Time to Dance”, torna a far parlare di sé: sabato 25 gennaio 2020, il Teatro Astra di San Giovanni Lupatoto ospiterà per la quinta volta la kermesse di danza e beneficenza che nelle prime quattro edizione ha ottenuto ottimi risultati in termini di spettacolo e raccolta fondi. Tante le novità di questa nuova edizione, ma una grande ed unica certezza rimane la causa da sostenere, anche quest’anno lo staff sarà impegnato a sostegno di Dravet Italia Onlus, un’associazione benefica che raccoglie fondi per sostenere la ricerca
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Lo spettacolo benefico di danza, organizzato per il quinto anno consecutivo dal C.S.E.N Verona, ritorna al Teatro Astra.
scientifica sulla Sindrome di Dravet, rara forma di epilessia, resistente ai farmaci, accompagnata da disturbi dello sviluppo neurologico. “It’s Time to Dance 2020”, sarà nuovamente patrocinata dal Comune di San Giovanni Lupatoto, la patria dello sport, detenente il titolo di “European City of Sport”. In questa quinta edizione la manifestazione, conserverà inoltre il patrocinio di “CSEN Danza”, circuito nazionale danza CSEN, confermando il diritto a far parte delle attività più importanti del settore. Il costo del biglietto per assistere allo spettacolo è di 10,00 €, le prevendite saranno disponibili presso la sede del Comitato C.S.E.N. Verona (sito in Via Fleming 17) a partire dal 16 Dicembre, oppure il giorno dello spettacolo direttamente presso la biglietteria del Teatro Astra. I presupposti dunque per vivere una fantastica serata all’insegna di sport e sociale ci sono tutti, non resta che segnare la data in agenda e godersi lo spettacolo.
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Ave, Cesar! 96 / SdP
di Giorgio Vincenzi Foto: Maurilio Boldrini - ChievoVerona
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n gigante in mezzo alla difesa del Chievo. Il ‘Boss’, l’uomo che in campo ha una parola d’incitamento per tutti e che infonde sicurezza per i tanti giovani che compongono la nuova squadra gialloblù. Questo è Boštjan Cesar, nato a Lubiana (Slovenia) 37 anni fa e che da dieci ha trovato la sua casa a Verona. Con i clivensi ha disputato 216 partite in Serie A realizzando sette gol. Prima di giungere al Chievo ha girato l’Europa: dalla Dinamo Zagabria (dove ha vinto il Campionato croato nel 2002/2003), all’Olimpia Lubiana, all’Olympique Marsiglia, al West Bromwich, al Grenoble. Arriva in Italia, al Chievo, nell’estate del 2010 e nell’ottobre dello stesso anno sigla il suo primo gol con la maglia gialloblù in Chievo-Cesena 2-1. In patria Boštjan Cesar è un mito avendo disputato 101 partite con la Slovenia - piazzandosi di fatto al primo posto nella speciale classifica delle presenze segnando dieci gol. Con la nazionale del suo Paese ha giocato anche i mondiali del 2010 in Sudafrica. Abbiamo intervistato il capitano gialloblu a Veronello, alla fine di un allenamento, e lui ci ha raccontato la sua storia calcistica, divisa a metà tra ChievoVerona e Nazionale slovena. Boštjan, innanzitutto che cosa rappresenta per te il Chievo? «È una grande famiglia e società. Mi sono trovato molto bene a Verona e nel Chievo. Sono contentissimo di essere qui».
Cesar festeggia la vittoria del ChievoVerona contro il Crotone.
Durante la permanenza in riva all’Adige hai rifiutato la proposta di qualche grande club? «Dopo il primo anno ho avuto subito una proposta da una grande squadra italiana, la Lazio, e l’anno dopo un’altra possibilità per cambiare maglia ma per motivi diversi sono rimasto al Chievo. E sono contento di questo». Quest’anno sei chiamato a fare da maestro sul campo e fuori ai molti giovani che compongono il Chievo. Che impressioni hai e che consigli gli stai dando? «Ho un bel rapporto con loro e li devo aiutare, sul campo e fuori, perché anch’io
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L’allenatore invece che ti ha migliorato tecnicamente? «Ho sempre avuto dei bravi allenatori. Quello che ricordo di più è Stefano Pioli, il mio primo mister al Chievo. Era giovane, ma già allora dimostrava di poter diventare un grande allenatore». Dicono che sei troppo grintoso e che fai troppi falli. Come ribatti? Sono nato così (sorride, n.d.r.). I falli fanno parte del mestiere di difensore, ma io non voglio fare male a nessuno. La grinta la metto anche in allenamento. Sono fatto così. Diciamo che qualche “legnata” la mollo, ma anche la prendo». La tua dote migliore? «Senz’altro il colpo di testa che mi ha permesso di fare anche dei gol» C’è un tuo gol che ti ha particolarmente esaltato? «Il primo con la nazionale Slovena contro l’Italia. Era l’ottobre del 2004. Abbiamo vinto 1-0 grazie al mio gol di testa». L’attaccante che ti ha fatto più soffrire? Ibrahimovic. Il più forte attaccante che ho incontrato. È difficile da marcare anche per come sa stare sul campo. Il
sono stato giovane e ascoltando altri giocatori più vecchi ho imparato tanto. Anche loro devono ascoltare chi ha più esperienza e io li aiuto in questo per farli crescere il più velocemente possibile». Che campionato farà quest’anno la squadra gialloblù? «Siamo partiti così così, ma adesso le cose vanno meglio non perdiamo da tante partite. Secondo me se andiamo avanti in questo modo possiamo fare un grande risultato». Tornare in Serie A? «Per me e per gli altri è l’obiettivo. Sappiamo però che non è facile e perciò dobbiamo concentrarci su ogni singola partita».
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Qual è la partita con il Chievo che ricordi con maggior piacere? «Quella con l’Inter vinta in casa per 2-1 (novembre 2010, n.d.r.). Ricordo di quella partita anche la testata che mi rifilò Eto’o a palla lontana… (sorride n.d.r.) ». In dieci anni trascorsi al Chievo hai visto passare tanti giocatori. C’è qualcuno che più di altri ti ha impressionato per la tecnica e che poi non ha avuto la giusta fortuna sul campo? «Se devo fare un nome faccio quello del mio amico Dejan Lazarevic (ora gioca nel NK Domzale, in Slovenia, n.d.r.) che aveva qualità enormi, ma non è riuscito fare la carriera che meritava». Cesar e North Side, un'amicizia che dura da 10 anni
Centro sportivo di Cesar e Jokic a Lubiana.
giocatore più forte, per me, è Ronaldo, ma non ho mai giocato contro di lui. Ho marcato invece Messi, un fenomeno naturale, in un’amichevole ArgentinaSlovenia, ma Ronaldo è più completo». Con la nazionale slovena sei stato il capitano con la C maiuscola. Cosa ti porti nel cuore di quella esperienza? «Ogni calciatore ha il sogno di giocare nella propria nazionale. Anch’io lo avevo e ci sono riuscito giocando 101 partite.
Cesar cede la fascia di capitano della Nazionale al compagno di squadra Jokic.
Per me è il massimo delle soddisfazioni. La Slovenia è un piccolo Paese, ma siamo andati anche ai mondiali, e di quei quindici anni ho tanti bei ricordi». Un ricordo dell’ultima partita che hai fatto da capitano della Slovenia? «Ho dato l’addio alla nazionale slovena il 27 marzo 2018, giocando i primi 5 minuti, avendo sempre avuto la maglia numero cinque, dell’amichevole con la Bielorussia. E di questo ho un bel ricordo».
Massimo Caputi con Giacomo Bulgarelli
Cosa ci racconti dei mondiali del 2010 in Sudafrica? «È stato bellissimo ed esaltante qualificarsi, ma giocare i mondiali è un’emozione incredibile. Abbiamo giocato tre partite poi siamo stati eliminati. Quattro punti non sono stati sufficienti per passare il turno. Mi sembra ancora incredibile!». Negli anni novanta la Jugoslavia ha vissuto momenti bui. Tu eri un ragazzino a quell’epoca. Cosa ricordi? «Per fortuna in Slovenia non succedevano cose gravi come nel resto della Jugoslavia. Non ho ricordi così brutti». Nelle tue attività non c’è solo il calcio visto che a Lubiana hai una palestra assieme a Bojan Jokic, ex giocatore del Chievo dal 2010 al 2013 e ora al FK Ufa, Premier Liga in Russia. «Sì, è una palestra multifunzionale con campo da calcetto, basket e pallavolo. Poi ci sono degli spazi per il fitness, l’aerobica, la fisioterapia e un ristorante. In questa struttura si sono allenate alcune squadre, tra cui l’Italia, che avevano partecipato nel 2018 agli europei di calcio a cinque. Vado molto fiero di tutto ciò». Cosa ti piace di Verona? «Tutto. È una bella città dove io e mia moglie stiamo bene. E penso che una volta terminata la carriera calcistica rimarrò qui». Una volta smesso di fare il calciatore, dove ti vedi? «Ancora dentro il calcio. Mi piacerebbe fare l’allenatore e per questo sto facendo i corsi per ottenere il patentino».
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I NTERVISTA si oma T a e r d n A
Ritorno in pece di Alberto Braioni - Foto: Maurilio Boldrini Com'è stato il passaggio dalla pallamano al ballo? «Sicuramente strano, perchè ero abituato al gioco di squadra, all'affidamento ai compagni, mentre nella danza sportiva è tutto diverso. Lavorare costantemente solamente con una ballerina è totalmente differente. Due sport che amo, mi hanno dato emozioni molto forti».
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umerosi sono i casi di atleti che nella propria vita hanno praticato sport differenti; tendenzialmente si associano discipline di grande risonanza mediatica, diffuse e di conseguenza facilmente praticabili. Ora però prendiamo Andrea Tomasi, che per anni ha vissuto con la pece sulle mani per poi voltare pagina in maniera piuttosto singolare, lasciando la pallamano e dedicandosi alla danza sportiva. Un viaggio unico, entusiasmante, con quella pece abbandonata per qualche anno che ora però è tornata a fare parte della vita di Andrea, centrale ed ala della Venplast Dossobuono che sta splendendo nel campionato di Serie B maschile. Partiamo dalla tua prima passione: cos'è per te la pallamano? «Innanzitutto è amicizia, perchè negli anni ho conosciuto tantissime persone che con il tempo si sono rivelate degli amici. La pallamano è rispetto, di chi è più esperto di te e può insegnarti molto, ma anche dell'avversario in un contesto di gioco molto fisico e potenzialmente esposto anche a contatti duri. Infine è sacrificio, che in tutti gli sport di squadra non può mancare per raggiungere degli obiettivi».
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Hai iniziato a casa, poi il trasferimento a Verona: come l'hai vissuto? «Mi sono trasferito per amore. Ho deciso di avvicinarmi alla mia fidanzata Martina, trovando lavoro a Verona e stabilizzandomi in questa bellissima città. Ammetto che sento la lontananza dalle montagne delle quali sono molto appassionato, avendo svolto anche il ruolo di soccorritore alpino in passato, ma appena ne ho l'occasione non esito a tornarci». Ad un certo punto però hai abbandonato la pallamano per una scelta piuttosto singolare… «Già! Un'amica mi propose di partecipare ad un corso base di ballo. Ho sempre apprezzato il ballo fin da piccolo e dunque non ho esitato a provarci, continuando a dedicarmi contemporaneamente anche alla pallamano. Dopo un anno la danza sportiva mi colpì profondamente, e dunque iniziai a dedicarmi completamente a questo sport. Mi iscrissi alla Federazione Italiana Danza Sportiva che comprende tutte le discipline: ho praticato il latinoamericano, uno sport di coppia in cui ci sono cinque balli: samba, cha cha cha, rumba, paso doble e jive. Si preparano delle coreografie per ogni ballo, che poi in gara vengono sottoposte alla votazione di una giuria formata da insegnanti».
Che ricordi hai della tua esperienza da bellerino? «Tanti. Ho svolto diversi anni di gare, partendo a casa a Lavis nella categoria B3, la più bassa. Fortuna e bravura con la mia partner ci hanno permesso di conquistare il passaggio nelle classi superiori, arrivando nella categoria A1, la più alta. Per praticare la danza sportiva mi spostai a Rovereto e poi a Verona. Sono stato campione italiano di categoria nel 2010 e ho disputato numerose gare interregionali, nazionali ed internazionali. Ho vinto Coppe Italia, Coppe interregionali, e nelle gare internazionali i piazzamenti sono stati ottimi. Ricordo con piacere un Open International disputato a Budapest, in un teatro antico e bellissimo». Trovi delle sostanziali differenze e delle similitudini tra la pallamano e il ballo? «Sono passato da un contatto fisico altissimo ad una disciplina più elegante e legata alla musica, con un contatto diverso. Sia nel ballo che nella pallamano bisogna allenarsi veramente tanto; il sacrificio nel ballo era tantissimo, non esiste il professionismo e ringrazio i miei genitori per avermi supportato in tutto questo. In una disciplina artistica migliorarsi è veramente difficile, si lavora sulle sottigliezze anche estetiche, sui momenti di recitazione. Il rispetto come nella pallamano è fondamentale, ma è diverso; condividi la tua giornata con una parte femminile, si crea una sintonia unica che è la base di tutto». Poi però sei ritornato al tuo primo amore, la pallamano… «Ho ballato 4/5 anni da agonista. Arrivato nella massima categoria le spese diventavano importanti: lezioni, vestiti, viaggi,
Tomasi in tenuta da ballo
iscrizioni. Non esistono sponsor che ti sostengono. Facendo da pendolare da Lavis a Verona il tutto era insostenibile. Il ritorno alla pallamano è stato piuttosto immediato; sento il bisogno di praticare sport e dunque la pallamano è tornata velocemente il mio sport primario. Ho ricominciato a Mezzocorona, passando nel Vigasio con il trasferimento a Verona». Ora per te la pallamano è a tinte giallorosse con la casacca del Dossobuono... «Dopo un infortunio al collaterale ero indeciso se continuare o smettere. Ho 28 anni, le priorità diventano altre. Ne ho parlato con la mia ragazza, con il mio attuale allenatore Carlo Nordera e con il presidente Marco Beghini; sono stato coinvolto dalle loro parole per il progetto Serie B e ho deciso di continuare. Conoscevo da diversi anni Dossobuono, giocando a Mezzocorona, e l'inserimento è stato piuttosto naturale e positivo».
Com'è stato l'ingresso in uno spogliatoio da anni storicamente giovane? «Mi sono inserito bene, in un gruppo giovane, insieme a qualche elemento di esperienza. Ho apprezzato molto quel
Tomasi a colloquio con mister Nordera
rispetto, che anni fa portavo verso i più esperti, che ora i più giovani mi riconoscono. C'è tanta voglia di dimostrare, di giocare con entusiasmo, e dunque stiamo cercando di seguire un percorso di crescita». A proposito di percorso: l'inizio di campionato è stato importante per il Dossobuono... «La serie di vittorie consecutive iniziale ci ha dato fiducia. I due punti con Algund hanno certificato che siamo una squadra che può dire la sua in questo campionato. Non dico che è stata una vittoria inaspettata, ma loro sicuramente erano favoriti. Una partita bellissima, intensa, contro una squadra molto più esperta. Abbiamo dimostrato che nonostante la giovane età possiamo puntare a qualcosa di importante. L'avvio è stato con il piede giusto, i risultati sono dalla nostra parte, speriamo di ripeterci in futuro».
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Dojo vista Laguna di Alberto Cristani - Foto: ASD Karate Venezia
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l karate è senza dubbio è uno degli sport più completi, consigliato senza distinzione di età a bambini, adolescenti e adulti. Nata a Okinawa in Giappone nel XV secolo, questa disciplina coinvolge tutti i muscoli e le articolazioni del corpo oltre a richiedere massima concentrazione e attenzione. Anche il Laguna questa arte marziale viene promossa e trova diffusione grazie all’ASD Karate Venezia, presieduta dal Maestro Michele Cicogna. “Abbiamo iniziato la nostra attività nel 2011 con la Polisportiva Venexiana. Poi, nel 2014, abbiamo fondato l’attuale ASD Karate Venezia e, un anno dopo, nel 2015, siamo entrati a far parte della Fijlkam, l’unica federazione riconosciuta dal CONI. Ad oggi contiamo circa 60 tesserati con un’età compresa dai 5 ai 20 anni. Puntiamo molto sui giovani perché uno dei nostri obiettivi principali è creare e sviluppare al meglio l’intelligenza motoria nell’età evolutiva. Il passo successivo è specializzare ciò che è stato assimilato così da poter preparare i nostri ragazzi al confronto e all’agonismo”. Gli atleti dell’ASD Karate Venezia sono seguiti - oltre che dal Maestro Cicogna e dalla figlia Irene -anche da un preparatore atletico, un biologo nutrizionista e da uno psicologo sportivo, al fine di garantire un’attenzione completa e professionale. “Sul nostro territorio” – prosegue il Maestro Cicogna – “c’è molto interesse a questa disciplina. Purtroppo a Venezia c’è molto frammentato in molte piccole società e
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quasi nessuna appartiene alla Fijlkam. Noi siamo una società molto indirizzata all’agonismo, nello specifico al kumite (combattimento). Partecipiamo a gare per ogni età, dai piccoli di 6 anni ai più grandi Seniores. In questi pochi anni di lavoro i nostri ragazzi sono molto cresciuti tecnicamente e agonisticamente tanto da partecipare e vincere gare nazionali ed internazionali. Il nostro atleta di spicco è Nicolò Gaggio, cadetto di 15 anni, che pratica con noi da quando ne aveva 6. È stato vicecampione italiano 2016 e campione italiano 2017 e 2019, oltre ad aver conquistato moltissimi podi in gare nazionali e internazionali. Altri atleti come Chiara De Gregori, Alvise Silvestri, Mattia De Gregori, Emma Guerriero, Houdein Toukabri si sono spesso distinti conquistando ottimi piazzamenti e vincendo le fasi Regionali di categoria per poi partecipare alle finali italiane dove si sono distinti ottenendo ottimi risultati. Alcuni dei nostri atleti sono convocati ai periodici seminari federali con i Maestri della nazionale. Questi risultati sono la naturale conseguenza di un percorso studiato, organizzato dove cerchiamo di non lasciare nulla al caso”. “Il 2019” – conclude il presidente del Karate Venezia – “è stato sicuramente un buon anno per la nostra società perché abbiamo lavorato bene e abbiamo conquistato un titolo italiano, un quinto e un settimo posto
e una convocazione di un nostro atleta in Nazione. Inoltre abbiamo raccolto i frutti dei sacrifici dei ragazzi e di chi, come me, li allena quasi ogni giorno. Le prospettive e gli obiettivi per il 2020 sono di continuare su questa strada e cercare di migliorare alzando sempre l’asticella per gli agonisti veterani. Inoltre vogliamo portare a gennaio due giovanissime leve a far parte della categoria esordienti e, quindi, farle entrare a far parte del vero agonismo”. Per info: Facebook ‘Karate Venezia’ asdkaratevenezia@gmail.com
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I NTERVISTA via ao S l e u n a M
The running
di Matteo Lerco - Foto: Nicola Viviani
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a tempesta, come il destino, ha la sua puntualità. Manuel Storm Savoia è l’uomo che ha cambiato le regole del gioco in casa Mastini. Il runningback gialloblu ha preso parte al doppio impegno vincente del Blue Team contro Austria e Svizzera, una convocazione che rappresenta un unicum nella storia dei ‘Cagnacci’ veronesi: Manuel è infatti il primo giocatore non di linea ad essere investito dell’onore di rappresentare la nostra Nazione a livello Senior. Un grande riconoscimento per il prodotto del vivaio scaligero, giocatore che, statistiche alla mano, si è rivelato il miglior runningback della scorsa stagione di A2. Questa è la sua storia… Manuel, dopo tre anni dall’ultima chiamata azzurra è arrivata nuovamente questa grande opportunità… te l’aspettavi? «Posso dire che è un sogno diventato realtà. A livello di football americano approdare nel Blue Team è il massimo per ogni giocatore, quindi vi lascio solo immaginare quale sia stata la mia emozione. Nel 2015 giocavo come cornerback e venni convocato in Under 19, ma dovetti rinunciare all’Europeo in Francia a causa di un infortunio al ginocchio. Per me già solo l’aver partecipato ai raduni insieme ad alcuni dei più forti giocatori della Nazione rappresenta una grandissima opportunità di crescita atletica, tecnica e tattica. L’head coach azzurro Davide Giuliano, dopo l’intervallo, mi ha detto di tenermi pronto, ma non sapevo quando sarebbe potuto arrivare il mio momento. Poi entrare in attacco e aver portato palla è stato un qualcosa di indescrivibile». Com’è nata la passione per il football americano? «In realtà è nato tutto in maniera
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storm abbastanza particolare. Nel 2012 nel mio condominio arrivò un nuovo inquilino, all’epoca era il capitano dei Mastini Verona, giocava in difesa ed era conosciuto ai più con il soprannome “Shark”. Durante una grigliata condominiale ci conoscemmo e mi chiese se fossi interessato a provare un allenamento con la squadra. Accettai con entusiasmo la proposta ed iniziai ad allenarmi…». Poi che successe? «Destino ha voluto che lui e mia mamma si sposassero qualche anno dopo, quindi a tutti gli effetti è diventato mio padre. Gli devo sicuramente tutta la passione che dedico a questo sport e a questa società. Ora non gioca più, ma anni fa siamo scesi in campo insieme, è sempre stato il mio mentore, nonché punto di riferimento». Coi Mastini è iniziato un lungo viaggio che ti ha portato lo scorso anno a toccare una vetta molto alta… «Il primato nella classifica dei runningback è stato possibile grazie al sistema di gioco corale, improntato prevalentemente sulla corsa. Durante l’annata abbiamo curato ogni singolo dettaglio e ho imparato a fidarmi ciecamente della linea d’attacco, nonchè di tutti gli altri compa-
gni. In alcune giocate la fortuna gioca poi un ruolo importante e spesso è stata dalla mia parte». Che rapporto hai instaurato negli anni con questa società? «I ‘Cagnacci gialloblu’ sono sempre stati la mia seconda famiglia. In questi sette anni di carriera ci sono stati ciclicamente nuovi arrivi e tanti abbandoni, ma al di là di questo ogni volta che scendo in campo con questa casacca mi sento parte di qualcosa di più grande. La famiglia De Martin mi ha sempre trattato come un figlio, ho un rapporto eccezionale con il Presidente e con tutta la dirigenza. È un contesto familiare, ma in campo ognuno di noi cerca la massima professionalità possibile». Nella buona e nella cattiva sorte, sempre fedele alla causa… «Dal 2012 in avanti ho vissuto periodi positivi, ma anche annate complicate. Negli ultimi tre campionati il numero di successi è progressivamente aumentato in virtù della maturità raggiunta come collettivo. Questo grazie ad una realtà che crede fino in fondo a quello che fa e che vuole lanciare un segnale positivo a tutto il movimento del football in Italia».
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True Colors di Matteo Lerco - Foto: Agron Hoti
durante la mostra Exxtra, tenutasi a metà ottobre in Gran Guardia. È stato lo stesso Hoti a raccontaci la genesi del suo ultimo lavoro. “Ho voluto creare un ponte tra sport e arte” – analizza l’artista – “creando un qualcosa che potesse essere fluido e veloce, proprio come una partita di calcio. È nata quest’opera inedita, esposta dapprima al Foro Italico e successivamente scissa in vari pezzi che sono stati venduti in beneficienza in primis per supportare gli sforzi dell’Ospedale Bambino Gesù. Proposito, quest’ultimo, che non si è ‘spento’ nella Città Eterna, ma che abbiamo perseguito anche qui a Verona in collaborazione con Abeo”. Un fine di solidarietà che per Hoti rappresenta una mission. “Ognuno di noi dovrebbe essere più responsabile e sensibile nei confronti delle fasce più deboli” – prosegue – “sono consapevole del fatto che non tutti gli artisti abbiano la possibilità economica di sviluppare questa finalità, ma se sono
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port e Arte, il connubio è sempre vincente e convincente. L’artista Agron Hoti ha dato colore a questo binomio attraverso un’opera straordinaria: il pittore albanese ha dipinto una tela di 800 metri quadri, la lunghezza di un campo da calcetto, suddividendola successivamente in ottocento pezzi unici destinati in beneficienza. Un progetto realizzato in occasione dell’evento La notte dei re – partita 6 vs 6, tra la squadra capitanata da Francesco Totti e quella di Luis Figo – svoltosi lo scorso giugno a Roma al Foro Italico, di cui alcuni frammenti giunti anche a Verona col fine di essere esposti e venduti
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presenti le risorse alle spalle penso sia doveroso farlo. L’evento svoltosi in Gran Guardia? Sono stati delle giornate stupende e anche il ricavato finale è stato importante. Sono contentissimo di come si sia evoluto il tutto”. Verona, infine, per Agron rappresenta un terreno fertile sul quale sviluppare la propria identità artistica. “Sono legato visceralmente a questo territorio” – conclude – “fin da subito mi sono innamorato della cultura e società veronese, anche a livello di sport. Per esempio ho diversi amici all’interno dell’Hellas Verona, per questo nonostante io sia solo un simpatizzante ogni domenica sera mi informo con interesse sul risultato della prima squadra. Mio figlio inoltre gioca a calcio nel San Zeno, quindi posso dire che lo sport faccia parte integrante della mia quotidianità”.
Agron Hoti
Nato in Albania il 27 Maggio 1970, inizia la sua carriera artistica durante gli studi al Liceo Classico. All’età di 14 anni partecipa già alla sua prima mostra, ricevendo due premi (scultura e olio su tela). Pur vincendo il concorso per entrare nella Scuola dell’Arte di Tirana, viene squalificato per motivi politici dovuti al
periodo comunista che il suo paese natale stava attraversando. Dopo la caduta del muro di Berlino, come tanti suoi connazionali, Agron Hoti in cinque giorni e tra numerose difficoltà attraversa il confine della Grecia e arriva ad Atene nel gennaio del 1992. Nella capitale ellenica, l’artista apre il suo primo studio e per dieci anni lavora su sculture e icone bizantine. Nel 2001 attraversa il canale di Otranto con motoscafo clandestino e arriva così in Italia. Decide subito di risalire lo stivale italiano e Verona diventa la sua nuova casa, dove tuttora può vantare il suo studio d’arte e la sua galleria in una delle zone più belle della città scaligera. Si afferma come artista anche in Italia, esponendo le sue opere a Torino, Milano e Venezia, confermandosi anche a livello internazionale grazie alle mostre di New York, Parigi, Shanghai, Casablanca e Tel Aviv. Agron Hoti è l’unico artista straniero che possiede un’opera nel Parlamento tedesco
Agron Hoti con Francesco Totti
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Rotelle giallorosse di Marco Hrabar - Foto: Hockey Bassano
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o Stema Bassano, dopo una salvezza conquistata con le unghie e con i denti nella passata stagione, dovrà lottare fino alla fine anche in questo campionato, consapevole però di essere una delle formazioni che può giocarsela con tutte, nonostante la giovane età media della rosa. I giallorossi hanno avuto un inizio di stagione titubante, e navigano nelle zone basse della classifica, avendo però già incontrato tutte le favorite alla vittoria finale nelle prime cinque giornate del torneo. L'esordio dei vicentini è partito con una sconfitta di misura contro i vicecampioni d'Italia del Viareggio mentre, nelle gare successive, il gruppo allenato da Gaetano Marozin ha conquistato quattro punti: il primo nel pareggio subito in rimon-
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ta contro il Follonica, ottenendo però successivamente una convincente vittoria nel derby contro il Breganze. Per capitan Crespo e compagni novembre sarà il mese decisivo per capire dove potrà arrivare questa squadra, con tre sfide cruciali contro le dirette concorrenti per la salvezza: Sandrigo e Montebello tra le mura amiche, Correggio in trasferta. Una delle note positive per l'ambiente giallorosso è sicuramente la presenza costante della Curva, sempre al seguito in gran numero, sia in casa sia nelle trasferte. Nel mercato estivo sono cambiati ben sette giocatori della prima squadra, questo per motivare la partenza un po' in sordina in campionato, legata al tempo necessario affinché i nuovi arrivati possono integrarsi al meglio. Mister Gaetano Marozin è comunque soddisfatto del gruppo messo a propria
Gaetano Maronzin
disposizione, e afferma: “I ragazzi stanno svolgendo un lavoro importante, soprattutto sotto il punto di vista atletico. Sono convinto che, tra un paio di mesi, questi sforzi verranno ripagati. Dopo sei giornate posso dire che il campionato si sta rivelando molto equilibrato, con risultati a sorpresa ogni giornata. Il nostro obiettivo è quello di conquistare una salvezza più tranquillamente rispetto allo scorso anno, dando ovviamente del filo da torcere a
qualsiasi squadra ci troveremo di fronte. Dovremo cercare sempre di limitare gli errori individuali, migliorare nelle situazioni difensive ed essere più cattivi sotto porta”. Gli fa eco il giovane Andrea Poli dicendo: “Il nostro punto di forza è la Curva. Nelle gare interne ci danno una grossa spinta e tanta carica. Questo ci rende orgogliosi della maglia che indossiamo. In questo momento complicato dico ai nostri tifosi di starci vicino, perché sono convinto che la nostra stagione potrà svoltare da un momento all'altro. Andremo sempre in pista con l'obiettivo di conquistare i tre punti, ma dobbiamo migliorare in alcune
situazioni. Ad esempio, quando siamo in svantaggio, dobbiamo evitare di giocare con troppa foga per rimettere in piedi la partita”. Guardando il palmares di questa società fa strano vederla da due stagioni agli ultimi posti della graduatoria. Le premesse per fare bene ci sono tutte, con i giallorossi che, per fare un buon campionato, dovranno fare del loro palazzetto un vero e proprio fortino inespugnabile. La strada è ancora lunga e ricca di insidie, ma una cosa è certa: questo sport meraviglioso a Bassano continuerà a regalare gioie, passione e aggregazione.
Lo Stema Bassano Hockey 2019/2020
Portieri Davide Pertegato Davide Merlo Difensori Davide Piroli Cesar Candanedo Mattia Milani Alessandro Toniolo Attaccanti Vìctor Crespo Roc Llisa Mattia Baggio Andrea Poli Dirigenti Roberto Baggio (Presidente) Mario Bergamin (DS) Gaetano Marozin (Allenatore) Leonardo De Gerone (Viceallenatore) Diego Ave (Medico) Giacomo Rigon (Massaggiatore) Attilio Paccagnella Dario Scuro / Giovanni Toniolo
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I NTERVISTA er est C o ic r n E
The Win di Matteo Viscione Foto: Paolo Schiesaro - BluVolley Verona
A
volte la vita ti sorprende. Capita che da protagonista di una delle squadre più forti della pallavolo italiana, nel giro di pochi mesi, ti devi rimettere in gioco e trovare una nuova destinazione. La BluVolley non ha perso un attimo per assicurarsi un giocatore di talento e di esperienza e lui, Enrico Cester, non si è lasciato scappare l'occasione di abbracciare Verona. Una realtà, che a detta sua, sta lavorando davvero bene. L'inizio è promettente, in attesa di quella sfida che fino a qualche mese fa mai avrebbe pensato di giocare, in attesa di una sliding doors che magari ti cambia la vita. Enrico classe 1988 è cresciuto nel settore giovanile della Sisley Treviso ed a Civitanova ha vinto la Coppa Italia e lo Scudetto nella stagione 2016/17 e la Champions e un nuovo Scudetto nella scorsa annata. Inoltre con la Nazionale italiana cui ha collezionato 40 presenze. Enrico, questo inizio di campionato di Verona, che effetto fa? «Stiamo tutti bene, stiamo lavorando per mantenere alto il livello dopo l’esordio positivo in casa con Sora. Cerchiamo sempre di dare il massimo per far divertire il nostro pubblico». Che Bluvolley aspettarsi? «L’infortunio di Thomas Jaeschke ci ha un po’ destabilizzati perché è un giocatore importante, soprattutto per l’economia della squadra, è una delle colonne sulla quale sapevamo di poter fare affidamento. Da poco è arrivato Garrett Muagututia e stiamo cercando di inserirlo il più velocemente possibile in gruppo e nelle dinamiche di gioco. Difficile dire cosa si può aspettare la gente: noi ce la mettiamo sempre tutta e credo che questo inizio di campionato sia la testimonianza di
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quanto stiamo lavorando duramente. Per me è la prima stagione a Verona e devo dire che gli esordi sono sempre particolari, ricordo anche alcune occasioni degli anni passati. Fa il suo gioco anche l’emozione all'interno di un esordio. Poi se vinci, questo aiuta a vincere, e se perdi devi reagire». Emozione all'esordio dopo così tanta esperienza? «Rimane comunque una ‘prima’ ed è emozionante anche iniziare una nuova avventura dopo quattro anni, se poi aggiungiamo che in mezzo a questo inizio c’è anche la sfida con la mia ex squadra (la Lube Volley n.d.r.) è tutto ancor più particolare. Sono tutte sensazioni belle da vivere, non capitano molto spesso». Internamente c’è un obiettivo come squadra? «Normale che il nostro obiettivo sia quello di restare a ridosso di Civitanova, Trento, Modena e alle prime in generale. Ripeto però che solo il campo ci può dire a che punto siamo. Vedremo dopo questo ciclo di partite». Un cambio importante di vita? «È stato un cambiamento repentino, l’ho saputo tardi e non ho avuto modo di
metabolizzare il tutto: si parla dei primi di luglio e ho dovuto subito trovare squadra. Sinceramente avevo altri due anni di contratto e non era nella mia testa il fatto di cambiare squadra. Il nuovo allenatore ha deciso che in quel ruolo si doveva cambiare e allora io e Stankovic abbiamo fatto le valigie e siamo andati via. Le cose sono andate così, senza girarci intorno».
Cosa dici di Verona? «La città è incredibile, la conoscevo già dai tempi di Treviso. Al Club non manca nulla come non mancava alla Lube, sono grandi società: l’unica cosa che cambia è che là c’era il palazzetto di proprietà e qui no, questo ovviamente rendeva più facile l’organizzazione, però la società sta lavorando bene. Quando sono andato via dalla Lube avevo due o tre scelte, ma la più concreta e quella che mi aveva già cercato in passato era Verona. Visto il campionato dell’anno scorso, con lo scherzetto che stavano per giocarci ai quarti di finale dei playoff (BluVolley-Lube 1-3 n.d.r.), e visto che per una volta ho la possibilità di stare vicino a casa ho deciso per questa opportunità». La società punta molto sul Settore Giovanile… «È molto importante. Io sono cresciuto a Treviso esordendo molto giovane e allenandomi con grandi giocatori. Questo mi ha aiutato a entrare a un certo livello, questo capita a tutti: all’inizio sembra che i più grandi vadano al doppio, ma questo
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è importante perché col tempo ti adatti. Cosa posso trasmettere ai giovani? Non sono molto bravo a insegnare, ma penso sia utile ripetere loro quello che dice il mister in modo che magari lo acquisiscano più velocemente». C’è una figura su cui hai fatto affidamento per la tua crescita? «Non so bene cosa rispondere, io ho sempre seguito ciò che mi dicevano gli allenatori, assorbendo qualcosina dall’uno e dall’altro perché anche fra loro ci sono molte differenze. Qualche consiglio lo do anche io ai giovani». Com’è il tuo rapporto con i social? «Ho aperto Instagram troppo tardi (ride, ndr), mi segue tanta gente ma ora mi stanno togliendo perché non metto nulla! Ho un rapporto un po’ così, l’ho utilizzato per gioco prima dei mondiali dell’anno scorso. Non metto cose di vita privata, ma solo di partite. Non mi piace molto sinceramente mostrare le mie cose».
Augura a tutti gli sportivi Buone Feste.
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AG EN DA
La cultura dello sport raccontata dal Panathlon Distretto Italia
È online da inizio novembre www.panathlondistrettoitalia il nuovo sito del Panathlon Distretto Italia. A questo proposito in molti si chiederanno cosa sia il Panathlon. Ed è proprio per ovviare a questa mancanza di conoscenza che è stato creato questo sito. Il nome Panathlon nasce dalla composizione di due parole greche: ‘pan’ e ‘athlo’n, la cui traduzione in chiave moderna vuole dire ‘tutti gli sport’. Il Panathlon, dunque, è un movimento di uomini di tutti gli sport radicato ovunque nel mondo, riconosciuto dal CIO e dal
CONI come Associazione Benemerita culturale. La sua nobile finalità è la divulgazione dei valori etico‐morali dello sport, valori basilari dei veri sportivi, attraverso la cultura. Ma il Panathlon non è solo una filosofia di vita. Panathlon è anche attività sul campo nei diversi sport, così i suoi appartenenti, che sono chiamati ‘Panathleti’, si danno da fare quotidianamente portando avanti iniziative di sicuro valore: come ad esempio divulgare i principi etici di cui sono portatori nelle scuole, come sostenere l’inserimento dei portatori di handicap nella vita sportiva, come proporre alle istituzione pubbliche o alle aziende private progetti di utilità per la comunità in cui viviamo, come fare formazione, come organizzare eventi sportivi, e così via di seguito, tutto ciò nel denominatore comune del Fair Play, altra voce di grande importanza nel cosmo panathletico. Il Panathlon, nato a Venezia nel 1951, ha la sua sede nazionale a Roma presso lo Stadio Olimpico mentre quella internazio-
nale è a Rapallo, oltre ad essere presente a Losanna e Bruxelles. Esso è suddiviso in Distretti (Nazioni), Aree (Regioni e/o macroregioni) e Club (città). A monte di questa suddivisone vi è il Panathlon International, il governo mondiale. Il sito www.panathlondistrettoitalia è il web nazionale del Distretto Italia, in cui si trova tutto ciò che v’è da sapere sul nostro Movimento. Nel sito trova posto anche Panathlon Planet, la nostra testata giornalistica fondata nel 2005, Web House Organ, unitamente a Lettera 22 Panathlon On-Line, quest’ultima però riservata ai soli soci. I contenuti di Panatlhon Planet spaziano dalla cronaca alle varie rubriche, quest’ultime ricche di personaggi ed aneddoti, molti dei quali costituiscono una vera e propria scoperta per il lettore. Panathlon Planet è dunque un palcoscenico dove si racconta la quotidianità dello sport a 360 gradi, fatto di grandi e/o piccoli eventi, fatto di famosi e/o anonimi protagonisti.
Tra 'dritti' e 'rovesci' vince La Grande Sfida di Daniele Fregno Una sfida sui campi di terra rossa di Casaleone e Bovolone che è stata davvero grande. Molti amministratori del territorio si sono sfidati a colpi di racchetta nelle scorse settimane per decretare quale Comune fosse il migliore in fatto di tennis. Dopo le fasi eliminatorie, che si sono disputate nelle settimane scorse, venerdì al tennis club di Casaleone si sono disputate le semifinali e le finali del torneo che ha avuto anche il patrocinio del Coni. Le sfide di spareggio hanno visto sfidarsi gli amministratori di Isola della Scala con quelli di Cerea e quelli di Roverchiara con la squadra mista formata dai consiglieri organizzatori dell’evento Lara Gobbi (Casaleone) e Orfeo Pozzani (Bovolone). In finale sono approdati Isola della Scala e Roverchiara ed è stato proprio quest’ultima compagine ad avere la meglio. “Abbiamo pensato a questa manifestazione per promuovere la collaborazione tra Comuni del territorio e per fare squadra tra amministratori” hanno sottolineato gli organizzatori dell’evento. Una manifestazione che ha pensato anche alla solidarietà. Infatti in occasione della prima
edizione del torneo di doppio «Trofeo amministratori» sono stati raccolti e devoluti a La Grande Sfida, fondi per un importo totale di 405 euro. La Grande Sfida, sodalizio guidato da Roberto Nicolis promuove numerose
iniziative a sostegno dei disabili. Un torneo di tennis che ha visto politica e sport unire le forze all’insegna della solidarietà.
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I NTERVISTA sirelli s A ia v la F
Centro di gravità
permanente di Paola Gilberti - Foto: Vicenza Anthea Volley della Minetti Vicenza e questo mi ha stimolato e mi ha messo ancora più voglia di migliorare».
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lavia Assirelli non ha ancora 30 anni, ma è già una pallavolista – ruolo centro – di lunga esperienza, tanto da essere stata nominata capitano del Vicenza Anthea Volley. “Un ruolo” - dice lei - “che per me significa orgoglio e onore. Vuol dire che devi dare qualcosa in più, essere il collante della squadra e non lasciarsi condizionare dai momenti negativi”. E su questo non c’è alcun dubbio perché Flavia è una di quelle persone che ti trasmette entusiasmo e positività, che ti rende partecipe della sua grande passione e dedizione per la pallavolo. Una ragazza determinata, ma sempre umile, che insegna che nella vita niente viene regalato, ma tutto va conquistato con impegno e dedizione. Flavia, com’è nata la tua passione per il volley? «Quando avevo 6/7 anni, un allenatore
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Quindi non c’è mai stato un momento in cui ha pensato di appendere le scarpe al chiodo? «Quando ero piccola no, mai, era bello far parte di una squadra, di uno spogliatoio, sono emozioni e sensazioni che ringrazio di aver potuto vivere e di vivere ancora. Nemmeno da ragazzina, anche se frequentare il liceo a Schio e correre a Vicenza per due allenamenti al giorno più giocare le partite nel weekend era abbastanza impegnativo. Ma piuttosto di mollare, o sentirmi dire “hai preso un brutto voto non vai ad allenamento”, mi sono impegnata molto e ho gestito bene il tempo per conciliare tutto, non per arrivare chissà dove, ma perché mi piaceva da matti quello che facevo e quello che stavo condividendo». della squadra locale di Malo, a Vicenza, si è presentato nella nostra scuola per fare volantinaggio. Così, io e le mie amiche abbiamo cominciato e proseguito tutta la stagione. É diventata la mia grande passione. Da lì è stato poi un mix di fortuna e impegno che mi hanno portato fino alla serie A». Insomma per te è stato amore a prima vista? «Sì, assolutamente, anche se all’inizio era solo un gioco, imparare i fondamentali. Però sai, a quell’età ti appassioni presto alle cose, ma fai anche presto a stancarti. Io non ho mai pensato di smettere, nemmeno di voler saltare un allenamento, forse anche perché è una passione che ho condiviso con le amiche storiche. Poi, andando avanti con l’età, ho visto che potevo diventare bravina; ho cominciato con il trofeo delle province, delle regioni e ho avuto la fortuna di entrare a far parte del settore giovanile
di squadra è tutto, sono sempre stata abituata a condividere le mie gioie e paure e fatiche. Detto ciò, non sempre l’unione che c’è in campo prosegue al di fuori, anche se per la mia esperienza è abbastanza importante avere con le compagne un bel rapporto. Ovviamente far parte di una squadra è un po’ come essere in famiglia: litigi ce ne sono sempre, ma sono scontri positivo che servono per migliorarsi». Flavia Assirelli
Quindi non per ambizione, ma sempre e solo per passione vera... «Sono sempre stata con i piedi per terra, so quali sono i miei limiti e ho sempre saputo dove potevo arrivare. Quando ho cominciato a fare professionismo non ho avuto sempre stagioni fortunate, anche a livello economico. Ma nemmeno questa è stata una motivazione sufficiente per farmi abbandonare il volley, insomma ho 29 anni e non ho mai pensato di smettere». Per arrivare a certi livelli serve molto lavoro anche su sè stessi. Quanto è importante la disciplina per un’atleta? «É fondamentale. Allenatori, preparatori, fisioterapisti a livello giovanile cercano di inculcarti lo stile di vita giusto, ma chi poi solo che se lo cuce addosso forse diventerà un vero atleta, la selezione è dura. I sacrifici ci sono sempre, ti portano lontano da casa, dagli affetti, però poi dall’altra parte ti rendi conto di vivere una vita che in tanti sognano e ammirano». Parliamo di ruoli in campo. Qual è, secondo te, il più impegnativo? «Direi il palleggiatore perché deve pensare al suo, ma anche gestire la squadra. Magari non sarà quello che fa punto, ma avere un alzatore forte in una squadra di attaccanti medi fa fare un salto di qualità incredibile. Io ho avuto la fortuna di giocare con uno dei palleggiatori più bravi, Fernanda Ferreira, oro olimpico e mi ha fatto crescere molto». Sport di squadra: mi hai parlato dei lati positivi, ma ci sono mai degli screzi tra di voi in campo o fuori? «Premetto dicendo che per me lo sport
Ti faccio solo una domanda sulla stagione in corso: obiettivi? «Solo uno: quello di migliorarsi. La nostra è una squadra divisa tra esperte e ragazze giovani. In questo momento dobbiamo capire bene cosa possiamo dare, dove arrivare, ma è una scoperta che si fa ad ogni allenamento, quindi per me parlare di obiettivi e classifica e punti non ha particolarmente valore, voglio vedere cosa tiriamo fuori in ogni partita, come stiamo già facendo. Il nostro obiettivo è andare avanti partita dopo partita e mettere sempre in campo qualcosa di migliore». Ultima domanda: hai un sogno nel cassetto? «Io amo cucinare, adoro viaggiare, quindi un mio sogno è quello di aprire un locale dove esprimere le mie doti culinarie. Mi piacerebbe moltissimo».
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I NTERVISTA letti r A o li iu G
Energia nuova per il Rugby Viadana di Paola Gilberti - Foto: Rugby Viadana - Martina Sofo
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allo scorso maggio Giulio Arletti è il presidente del Rugby Viadana. Imprenditore nel settore dell’energia rinnovabile, Arletti racconta di essere entrato un po’ per caso nel magico mondo della palla ovale, prima come sponsor, poi come presidente della cadetta Caimani Rugby Viadana. E oggi alla guida della società giallonera, la cui prima squadra milita nel campionato Top 12, massimo livello nazionale per le squadre di club italiane. Giulio, la stagione è cominciata da poco per tutte le categorie, dalle juniores alle seniores e immagino vi sarete posti degli obiettivi... «Beh, l’obiettivo principale è quello di diventare un club importante sia in termini di risultati, sia di serenità nei prossimi tre anni. Stiamo cercando di portare un po’ la cultura del rugby in società, imparare a sorridere di più, unire e crescere insieme. Per fare questo è importante collaborare e restare uniti. Questo vale per tutto il movimento, dalle giovanili - per noi sono fondamentali fino alla prima squadra». Ed è proprio dalle giovanili che possono crescere grandi talenti. Puntate quindi a valorizzare i giocatori del vivaio? O vi rafforzate con atleti stranieri? «Io penso che ogni società vorrebbe competere con giocatori cresciuti tra le proprie fila, però è inutile negare che i giocatori esterni portano esperienza. Lo scambio di culture e professionalità è importante, quindi non si può vivere solo di vivaio, anche se resta necessario per la continuità e crescita del club». Il Viadana è particolarmente attivo sul territorio. Qualche attività importante? «Intanto, abbiamo un reparto femminile
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Coach Victor Jimenez con il capitano Andrea Denti
giovanile interessante e promettente, quindi si capisce come l’interesse verso il rugby si stia diffondendo anche tra le ragazze. Abbiamo poi progetti di propaganda nelle scuola che si sviluppano parallelamente ad alcuni tornei, come il Trofeo Zaffanella, il Memorial Sidiki e la Coppa Leonero, torneo principe minirugby, con oltre 500 bambini». Tutte queste iniziative hanno portato nuovi bambini ad avvicinarsi a questo sport? «Certo, per noi la priorità è farli divertire, il rugby deve essere un gioco e lo vivono come tale. Fino ai 16 anni deve essere così, la parte agonistica arriva dopo ed è lì il difficile, molti mollano crescendo, ma chi prosegue ha la possibilità di emergere».
Il presidente Giulio Arletti
Avete un’accademia che punti a formare i giovani più promettenti? «Ancora no, ma abbiamo in progetto di aprirla. Per il momento abbiamo avviato tante collaborazioni con le società vicine. L’unione fa la forza e soprattutto permette di avere numeri maggiori e possibilità di offrire ai ragazzi allenamenti più stimolanti, sia per i ragazzi, ma anche per i giocatori che sono parte integrante del club. Del resto il rugby è uno dei pochi sport che diventa una passione anche per chi non gioca». Hai introdotto la prossima domanda: com’è il pubblico a Viadana? «Il pubblico a Viadana è sempre stato presente, anche se negli ultimi due anni, forse a causa dei risultati, è venuto un po’ a mancare. Però non ci possiamo lamentare, abbiamo sempre avuto tanto sostegno dai nostri tifosi, abbiamo uno stadio bellissimo, uno dei più belli d’Italia e riempirlo ci rende sempre fieri. Penso che Viadana, insieme a Rovigo e Padova, resti la società con la tifoseria più presente nel Veneto». Ultima domanda: impianti sportivi rugbistici nella zona del nordest Italia? «Siamo sicuramente una terra di rugby, i nostri impianti rispetto al resto d’Italia sono sicuramente avanti. In particolare faccio i complimenti a Verona per lo stadio bellissimo. Detto ciò, servirebbe dare una bella svecchiata, purtroppo il rugby resta ancora uno sport minore e si vede proprio dai centri sportivi, per questo fare qualcosa in più da questo punto di vista potrebbe contribuire a promuovere il movimento».
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Alla scoperta del Padel di Bruno Mostaffi - Foto: Verona Padel
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simile al tennis ma per praticarlo non bisogna essere per forza tennisti. Si gioca con racchette (padelle), sempre al coperto su campo di dimensioni 20 x 10 metri, circondato da vetri e griglie con cui si può ‘interagire’ visto che la palla non va mai ‘out’. Due contro due è il top. Stiamo parlando del padel tennis, sport nato e molto praticato in Argentina (secondo sport nazionale dopo il calcio) e Spagna. Anche in Italia il padel sta diffondendosi rapidamente, grazie anche a testimonial del calibro di Francesco Totti, Roberto Mancini, Amadeus, Matilde Brandi, Neri Marcorè e Paolo Bonolis. Secondo i dati della Federazione nazionale tennis padel, nel 2019 i campi sono 1.000 (10 nel 2014) e 7.000 i tesserati agonisti (300 cinque anni fa). I 1.000 campi sono dislocati a livello nazionale su 19 regioni: considerando che ogni campo accoglie una media giornaliera di 20 giocatori nell’arco di 4 ore, moltiplicando per 1.000 campi si hanno una media di 20.000 praticanti. A questa media si aggiungono i 30.000 che competono a
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livello agonistico, per un totale di 50.000 persone (60% uomini, 40% donne) che giocano ogni giorno. Da pochi mesi anche a Settimo di Pescantina, in Valpolicella, è presente un nuovo centro dedicato al padel dove chiunque – esperti e no – può provare questa particolare disciplina ed eventualmente affinare la tecnica con corsi dedicati. Tutto è nato circa due anni fa da un’idea Damian Di Noto, Ermanno Merlo e Domenico Zantedeschi che, accomunati dalla grande passione per il tennis, hanno cercato la giusta location per promuovere e sviluppare questa disciplina. Al progetto ha aderito con entusiasmo anche Franco Ubini,
appassionato di tennis anch’egli convinto delle enormi potenzialità di sviluppo e diffusione del padel. “Abbiamo scelto la Valpolicella” – spiega Zantedeschi – “per la sua posizione strategica. Si tratta infatti di un’area popolosa posta nelle immediate vicinanze della città di Verona e quindi in grado di attrarre un gran numero di appassionati e potenziali interessati alla pratica del padel. Ciò anche alla luce del fatto che nella provincia di Verona ad oggi esiste un solo centro padel (Garda Padel a Castelnuovo del Garda – zona lago di Garda n.d.r.) e nel cuore della città, presso la Nuova Pineta ASD, esistono solo pochi campi. Questa proposta non era sufficiente a soddisfare l’incremento di richiesta di praticare il padel che va di pari passo con l’espansione della sua notorietà, da ultimo amplificata anche dal recente svolgimento dei campionati europei a Roma. Ecco perché abbiamo deciso di investire in questa avventura”. “Il centro” – prosegue Zantedeschi – “è situato a Settimo di Pescantina in Via Nassar n. 50, lungo l’arteria SP 1 che si congiunge alla SS 12 per collegare Verona a Trento. I campi sono stati installati all’interno di due capannoni posti l’uno accanto all’altro e tra loro comunicanti
che dispongono di ampio parcheggio. L’entrata è collocata nel capannone posto a sinistra, dove si accede alla zona reception e dove si trovano gli spogliatoi e il campo centrale numero 1, che si distingue dagli altri due campi posti nel comunicante capannone. La struttura è stata predisposta anche per l’accesso ai disabili. Il centro, in funzione da inizio novembre 2019, è attualmente aperto dalle 12.30 fino alle 23, nei giorni feriali, e dalle 9 alle
20, il sabato e la domenica. Ovviamente, dopo la fase iniziale di ‘rodaggio’, l’apertura verrà estesa anche al mattino”. Come detto, il padel è uno sport per tutti e Zantedeschi ci spiega il perché: “In primis perché è uno sport che non necessita di tecnica sopraffina e quindi consente, anche a chi non ha mai giocato a tennis, di ottenere in poco tempo gratificazione e divertimento. Ben inteso: prima si dovrà prendere un po’ di confidenza con
le pareti. A tal proposito, con il supporto dell’istruttore di primo livello Luca Innocenti, organizzeremo dei corsi dedicati”. Ma come sta andando la diffusione del padel in Italia? “Si sta progressivamente diffondendo in tutto il Paese” – evidenzia Zantedeschi – “anche se nei grandi centri urbani come ad esempio Roma, Milano, Bologna è praticato massivamente già da qualche anno. Non dubitiamo che il successo del team italiano ai recentissimi campionati europei contribuirà a incrementare l’interesse del pubblico, anche grazie alla cassa di risonanza rappresentata dal fatto che tale evento è stato trasmesso in diretta TV dall’emittente SkySport”. Sebbene il centro sia aperto da pochissimo tempo, Zantedeschi ci anticipa gli obiettivi per 2020: “I riscontri più che positivi ottenuti nel primo periodo di apertura ci hanno motivato ulteriormente. Stiamo quindi valutando di affrontare ulteriori importanti investimenti in primis per installare un impianto di condizionamento che consentirà anche il raffrescamento nei periodi più caldi. L’obiettivo è quello di perfezionare la struttura, renderla più accogliente e attraente per favorire la fruibilità dei campi. Un consiglio? Venite a trovarci e provate a giocare: sono convinto che il padel vi stregherà!”.
Il più grande padel club della provincia di Verona è a Settimo di Pescantina, in via Nassar 50. 3 CAMPI PRENOTAZIONE ONLINE ISTRUTTORE FIT Aperti LUN-VEN DALLE 9 ALLE 22,30 WEEKEND E FESTIVI DALLE 9 ALLE 20 INFO 338 4488008
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#HASHTAG
A tavola con Federica
Dott.ssa Federica Delli Noci Dietista - Specializzata in Scienze dell’Alimentazione
Le PROTEINE nella dieta dell'atleta
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ra i macronutrienti che non devono mai mancare nella dieta di un’atleta ci sono le proteine. Si tratta di macromolecole costituite da catene di amminoacidi unite tra loro da legami chiamati peptidici. Svolgono numerose funzioni all’interno dell’organismo: sono dei trasportatori di altre molecole, sono i costituenti principali delle cellule, sono recettori, ormoni e pertanto hanno funzione plastica, protettiva e strutturale. Sono facilmente reperibili in alimenti come la carne, il pesce, le uova e i formaggi. Se pur in quantità e dal valore biologico leggermente inferiore, le troviamo anche in alimenti vegetali come legumi, semi oleosi, frutta secca e a guscio che rappresentano delle ottime alternative per gli atleti che seguono un regime alimentare vegetariano o vegano. Secondo le linee guida nazionali, il fabbisogno proteico giornaliero varia da 0.8 a 2 gr/kg peso corporeo a seconda dell'età, del sesso, della tipologia e dell'intensità di esercizio fisico praticato. Nelle ore successive ad un allenamento o ad una competizione, l’assunzione bilanciata di carboidrati abbinati a pro-
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teine, migliora il ripristino del glicogeno muscolare rispetto alla sola assunzione di carboidrati. Al contrario, una dieta scarsa in proteine comporta una perdita di massa magra e di massa muscolare oltre a compromettere le fasi di recupero muscolare, soprattutto dopo sforzi lunghi e protratti nel tempo. Per quanto
riguarda gli individui adulti e, nello specifico, gli atleti, a seconda del tipo di attività svolta, è fondamentale rispettare i fabbisogni suggeriti dalle linee guida, per prevenire una perdita di forza e di massa muscolare; al contrario, una dieta troppo ricca in proteine, provenienti da alimenti e/o da integratori alimentari, può causare gravi danni epatici o renali. Nella scelta del tipo di proteine da assumere nell’arco della giornata, è utile alternare durante la settimana tutte le fonti animali e vegetali, preferendo carni e pesci magri, uova e latticini, limitando il consumo di carni rosse e trasformate e consumando almeno 2 volte a settimana, una porzione di legumi e cereali. Un piatto unico come la pasta con i fagioli, il riso con i piselli o una zuppa d’orzo con le lenticchie, oltre ad essere una buona fonte di proteine, amminoacidi e fibre, rappresenta anche la nostra tradizione culinaria mediterranea ! Quindi, una dieta varia e bilanciata, è sufficiente per soddisfare i fabbisogni proteici giornalieri ed eventuali integrazioni devono essere valutate e consigliate da esperti del settore, evitando il più possibile il “FAI DA TE” !
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I NTERVISTA oni ig R a c u L
Trenta...e Lane! di Matteo Lerco - Foto: Lanerossi Vicenza Virtus
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leganza e classe a Vicenza camminano insieme, vestite da una casacca col numero 30. Lui, ‘equilibratore’ del centrocampo del Lanerossi incarna il perfetto connubio tra qualità e sostanza: Luca Rigoni è un propulsore per i sogni di gloria biancorossi. Trentacinque candeline il 7 dicembre, il mediano nativo di Schio vanta oltre trecento presenze nella Massima Serie e quest’estate, spinto dal richiamo di casa, ha deciso di tornare alla ‘casa base’ per cullare il sogno Serie B. Per lui Carta Canta: Chievo, Palermo, Genoa e Parma sono state le tappe di un lungo percorso, non ancora giunto alla meta finale. Perché nello sport, come nella vita, la parte più bella di ogni viaggio è quella che deve ancora arrivare… Luca, il tuo è stato un ritorno alle origini… cosa ti ha spinto ad accettare la proposta del ‘Lane’? «Ho seguito il cuore. Tralasciando l’aspetto emotivo, per me non è stato affatto difficile dire sì a una società di assoluto livello, guidata da una grande proprietà e spinta da obiettivi ambiziosi. Poi diciamo che la presenza di mister Di Carlo in panchina non è stato un fattore secondario…» Un rapporto con ‘Mimmo’ che, leggendo qualche tua vecchia intervista, si è sempre più consolidato nel tempo… «Ci conosciamo da vent’anni, quindi so perfettamente quello che pretende a livello umano e sportivo. Alla base di tutto c’è un legame di stima e rispetto reciproco che, nonostante la distanza, non è mai venuto meno. Per il resto è la sua carriera a parlare: ha allenato per oltre un decennio nella massima serie, una statistica che ne qualifica valore e competenza». Dalla A col Parma alla Lega Pro, il salto che hai compiuto sembra vertiginoso. Con tre mesi di campionato alle spalle, quali sono le divergenze e quali i punti in comune tra i due tornei? «Ovviamente le differenze si riscontrano in ogni aspetto del gioco, com’è giusto che sia, ma non mi aspettavo di calarmi in un campionato così competitivo ed equilibrato. Il nostro obiettivo è ben fissato all’orizzonte, ma credo fermamente che ce lo contenderemo fino alla fine potenzialmente con altre cinque realtà. Nel calcio, indipendentemente dalla categoria, è sempre la coesione dello spogliatoio a scolpire la differenza». Anche perché, correggimi se sbaglio, giocare per vincere la Lega Pro è mentalmente più complicato rispetto a battersi per la salvezza in B… «No, è una grande verità. Nel calcio lottare ogni domenica per arrivare davanti è estremamente complicato, soprattutto se, come nel nostro girone, condividi il tuo sogno con realtà che non mollano un centimetro. Volontà e determinazione sono alla base di tutto: solo attraverso questi due ingredienti possiamo pensare di coltivare le nostre aspirazioni».
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Il Vivaio del Vicenza ti ha formato come uomo e calciatore, consentendoti il salto nel calcio che conta… quanto peso riveste in Italia il «Giovanile»? «Credo che abbia ancora un ruolo preponderante. È utopistico pensare di varare un progetto societario importante senza dedicare un ruolo di prima fascia alla crescita dei propri giovani. L’Atalanta in questo campo fa scuola, ma anche la strada intrapresa dal Vicenza è quella giusta: se lavorano con la giusta mentalità è corretto premiare le “nuove leve”, a prescindere dall’anagrafe». Nonostante gli snodi che ha avuto la tua carriera, il legame con Verona è sempre viscerale… «Talmente stretto che abito ancora lì. Al Chievo ho vissuto delle annate indimenticabili che porterò sempre con orgoglio dentro di me. Dispiace per le problematiche che ha dovuto affrontare la scorsa stagione, ma da quanto sto vedendo si è riorganizzato al meglio, puntando su figure come Sergio Pellissier che ne incarnano perfettamente gli ideali. Nel costruire un nuovo ciclo penso sia indispensabile investire su persone affidabili e le scelte di un grande conoscitore di calcio come il Presidente Campedelli viaggiano in questa direzione».
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Se pensi al futuro a lungo termine dove ti vedi? «Mi piace ancora vivere alla giornata, concentrandomi sui propositi che alimentano la mia quotidianità. Non mi dispiacerebbe intraprendere la strada da allenatore, ma diamo tempo al tempo…». Sensi, Barella, Zaniolo, Castrovilli e Tonali: in una presunta ‘crisi generazionale’, il calcio italiano sta continuando a sfornare talenti nella zona nevralgica del campo.
Se la virtù sta nel mezzo possiamo dormire sonni tranquilli… «Sono contento che così tanti giovani prospetti si stiano mettendo in luce proprio a centrocampo. Come detto in precedenza, per puntare in alto le società devono credere sempre più nelle potenzialità di ciò che hanno in casa. Speriamo, in questo senso, che il vento del cambiamento continui a spirare forte sul nostro Tricolore».
PIAZZA BRA VERONA
22 DICEMBRE 2019
CHRISTMASRUN.VERONAMARATHON.IT
I NTERVISTA Guido Rizzo
Venezia Triathlon "tri sport is megl che uan" Con
di Andrea Martucci - Foto: Venezia Triathlon
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enezia, citta d'acqua, di terra e… di triathlon. Viene facile abbinare il centro lagunare a una disciplina che rappresenta tre sport: nuoto, ciclismo e corsa a piedi. A rappresentare nel migliore dei modi questa attività c’è l’ASD Venezia Triathlon. Guido Rizzo ce ne racconta storia ed attività. "L’Associazione” - spiega il presidente del sodalizio veneziano - “è nata nel 1998,
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come società di biathlon. Negli ultimi anni ha avuto un buon incremento di soci e un certo sviluppo di attività. Propagandiamo lo sport, facendo agonismo ed organizzano eventi sportivi. Abbiamo 120 iscritti, di cui in buona parte triatleti, ma anche tanti podisti. Nel novanta per cento dei casi sono soci provenienti dal Lido di Venezia, dove si trova il nostro quartier generale e dove si svolgono prevalentemente gli allenamen-
ti. Ci appoggiamo comunque alle varie piscine che ci sono attorno. Però non mancano anche puntate in bicicletta sulle Dolomiti, sul Montello e Colli Euganei. Le gare si svolgono nelle belle stagioni, ma anche durante l’inverno siamo attivi, facendo allenamenti collegiali, oppure gare di nuoto o di corsa". Chi è il vostro atleta di spicco? «Massimo Guadagni: fa parte della no-
Guido Rizzo Presidente Venezia Triathlon
stra società sin dall’inizio, è un veneziano che dagli anni Ottanta fino al 2000 ha fatto parte della nazionale di triathlon. È stato il primo e penso l'unico atleta a conquistare una medaglia (bronzo) ai campionati mondiali di triathlon lungo. Tuttora è attivo come amatore, con risultati di livello nazionale. Poi abbiamo lanciato Gianmaria Tiozzo, che negli anni scorsi ha vinto un ironman ed ha gareggiato pure lui alle Hawaii».
ci si infortuna di meno anche grazie al nuoto che aiuta molto a diminuire il peso e lo sforzo muscolare. Diventa triatleta soprattutto chi ha già fatto un altro sport, in particolare chi ha frequentato le piscine». Non mancano gli impegni organizzativi… «Abbiamo ripreso da due anni il Triathlon del Lido, che ha una storia trentennale: fu inizialmente voluto dal conte Alvise Vitturi, uno dei massimi organizzatori europei del settore, che la portò avanti sino 2005. È un Triathlon Sprint che viene disputato il primo maggio, e la sua caratteristica principale è questa: si nuota in laguna, non in mare, per 750 metri, si percorrono 20 chilometri in bici nel versante in cui si vede Piazza San Marco e infine si corrono 5 chilometri nella zona tra la pineta degli Alberoni, la diga, sino alla riviera citata. Non è facile organizzare un evento del genere, sia perché stiamo parlando di un percorso molto articolato, sia perché le spese facilmente lievitano. A tal proposito sarebbe molto importante che a livello di amministrazione locale la si smettesse
di riversare sull’organizzazione gli oneri per il controllo del percorso e soprattutto sarebbe bello che da parte dei cittadini ci fossero meno lamentele per qualche strada chiusa per poche ore…». Lo spopolamento di Venezia quanto incide sulla vostra attività? «Negli ultimi tre anni stiamo costruendo una squadra giovanile. Anche se abbiamo un bacino molto ristretto dal quale attingere, stiamo lavorando molto con le scuole portando, in un paio del nostro territorio, il duathlon. In estate organizziamo degli appuntamenti finalizzati a questo obiettivo. In questo modo siamo riusciti a raccogliere 6-7 giovani atleti, di età compresa tra i 10 e i 15 anni, che partecipano a qualche gara sul territorio nazionale». Uno slogan per invitare tutti, giovani e meno giovani, a praticare questa disciplina? «Provate il triathlon perché è lo sport più divertente che ci sia e in più è quello che ti da più soddisfazione quando tagli il traguardo!».
E Guido Rizzo come si è avvicinato a questa multidisciplina? «Ho iniziato molto tardi, anche se ormai sono tredici anni che lo pratico. Mi sono appassionato perché avevo alcuni amici impegnati in questa attività. Prima giocavo a tennis, poi ho iniziato a correre. Quando sono riuscito a trovare il tempo per allenarmi, ho cominciato a fare qualche piccola gara, e da lì non mi sono più fermato. Questo, a parer mio, è uno sport che diverte tantissimo, non ci si annoia praticando un’unica disciplina. Inoltre
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A Villa dei Cedri l'inverno... è pieno di coccole!
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a cura della Redazione - Foto: Villa dei Cedri
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on l’arrivo della stagione invernale aumenta la voglia di calore, benessere e relax. I primi freddi, i primi acciacchi stagionali tendono ad indebolire e a stressare il nostro corpo. Esiste un luogo magico, sulle rive del Lago di Garda, che ci può aiutare a rendere l’inverno meno freddo, riscaldandoci corpo e spirito. Stiamo parlando dello splendido parco di Villa dei Cedri, immerso nella natura, circondato da alberi secolari e con una sorgente termale naturale dove è possibile ritrovare il proprio benessere. Il Parco Termale del Garda di Villa dei Cedri offre innumerevoli occasioni di svago, sport, benessere e relax dove gli amanti della natura possono fare corroboranti passeggiate nell’entroterra, alla scoperta di seducenti alberi secolari. Fiore all’occhiello della struttura il lago termale, aperto tutto l’anno con acqua sorgiva mantenuta ad una temperatura costante di 33/34°C. Due vasche immerse nel laghetto, con temperature di 37° e 39°C garantiscono
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una temperatura differenziata rispetto al resto del laghetto stesso. Di fronte al laghetto termale c’è una grande serra denominata ‘Giardino d’inverno’ costruita in ferro e vetro, riscaldata e dotata di tutti i servizi necessari: lettini per relax, bar-pizzeria, tavola calda, spogliatoi, guardaroba, cassette di sicurezza, servizi igienici e docce. La ristorazione presso il parco avviene anche su prenotazione di gruppi e le varie strutture presenti possono accogliere grandi capienze per matrimoni, congressi, meeting, convegni, cene di gala come, ad esempio, un indimenticabile e unico Ultimo dell’anno. La grotta offre svariati idromassaggio con vari zampilli d’acqua. Altri idromas-
saggi, fontane per massaggio cervicale e getti d’acqua più calda sono disseminati un po’ ovunque. Sempre all’interno del parco termale c’è un elegante e raffinato centro benessere ricavato nelle antiche scuderie del 1600. Qui si eseguono trattamenti viso e corpo con uso di vari prodotti tra cui quelli della linea Villa dei Cedri. Chiare, dolci e calde acque L’acqua termale di Villa dei Cedri è definita oligominerale, bicarbonato-calcio magnesiaca con una quantità non trascurabile di silicio e perciò molto leggera, con poco residuo fisso. Ha perciò la versatilità per poter essere applicata nella balneoterapia, trattamen-
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Anche nella stagione invernale il parco termale di Villa dei Cedri a Colà di Lazise offre innumerevoli occasioni di svago, sport, benessere e relax. 130 / SdP
to efficace nelle terapie riabilitative, in medicina sportiva, oltre che in affezioni dermatologiche. Presso la piscina coperta è inoltre possibile svolgere il Medical Fitness in Acqua termale, programma di esercizio fisico rivolto alle persone con alterazioni metaboliche e fisiologiche (ipertensione, sovrappeso, valori di trigliceridi e colesterolo fuori norma) e patologie croniche diagnosticate (diabete, osteoporosi, artrosi, obesità) ma che si trovano comunque in condizione di salute stabile, e che hanno bisogno di aumentare la pratica dell’attività motoria. Inoltre, sempre nella piscina termale vengono proposti corsi di acqua fitness rivolti a persone di tutte le età (corsi di gruppo o personal trainer), acqua gym (corsi di gruppo) e nuoto (corsi individuali). Alloggi esclusivi Due le possibilità di alloggio all’interno del parco. La prima - più lussuosa ed esclusiva - presso l’Hotel Villa dei Cedri, struttura costruita a cavallo del XVIII ° e XIX ° secolo dalla quale, dopo il restauro, sono state ricavate stanze ai piani di varie metrature. In ogni stanza è installata una vasca di grandi dimensioni (mt. 2,06 x mt. 2,18), dotata di oltre 35 idromassaggi, che rice-
ve acqua continua dai pozzi termali. Nel soffitto del locale che contiene la vasca idromassaggio è stato realizzato un cielo stellato utilizzando fibre ottiche a caduta d’angelo con colori cangianti (cromoterapia). La vasca infine è dotata anche di musicoterapia. L’illuminazione dei bagni è realizzata con cristalli Swarovsky e la doccia è dotata anch’essa di cromoterapia essendo illuminata a fibre ottiche. Tutte le stanze sono dotate di impianti di riscaldamento e condizionamento autonomi, televisore satellitare snodato e orientabile, collegamento Sky, cassaforte, telefono e collegamento wi-fi gratuito. I saloni al piano terra della Villa possono accogliere i clienti offrendo un ambiente aristocratico e di relax.
La residenza è più stile country. ed è un complesso di piccoli/ medi appartamenti ricavati da un restauro di vecchi fabbricati ubicati nel centro storico di Colà. Ogni appartamento dispone di una sala termale con grandi vasche da bagno fino a 2,5 mt, x 2,5 mt. di dimensioni Le vasche munite tutte di una serie di idromassaggi, ricevono l’acqua termale di continuo dai Pozzi Termali.
Il parco termale Villa dei Cedri è sempre aperto anche d’inverno. I costi del biglietto di ingresso variano a seconda dei servizi. Per informazioni consultare il sito ufficiale www.villadeicedri.it o la pagina Facebook ‘Parco Termale del Garda Villa dei Cedri’.
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Sognando CR7 di Bruno Mostaffi - Foto: SportdiPiù Gian Aldo de Pietri con la figlia Sara
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assione, intuizione e lungimiranza. Con questi presupposti, nel 1981, Gian Aldo de Pieri ha fondato Phyto Performance, azienda italiana con sede a Veggiano in provincia di Padova, che realizza prodotti dedicati al primo soccorso e al benessere di atleti professionisti e, in generale, di tutti coloro che praticano attività sportiva. “Ho fatto tanta carriera in aziende e multinazionali di alto livello. Un giorno però ho detto basta: ero stanco di essere dipendente. Mi sono così messo in gioco nel mondo dello sport, ambiente che ho sempre amato. Io mi reputo uno sportivo nel cuore e nello spirito. Ho iniziato con due prodotti. Ho avuto idee creative e originali intuendo l’importanza di creare un’azienda capace di prevenire i traumi e soddisfare le necessità degli atleti in un momento storico dove, di fatto, c’era poca concorrenza”. La gamma dei prodotti Phyto Performance si è ampliata negli anni fino ad arrivare alle attuali 700 tipologie, che spaziano dalla linea freddo con ghiaccio spray, istantaneo, riutilizzabile a olii e creme da massaggi ‘pre’ e ‘post’ gara, bendaggi funzionali, cerotti kinetik, cerotti da taping, borse e valigette per il trasporto dei prodotti in campo o durante le trasferte, supporti e tutori di pre-
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venzione in tessuto o in materiali tecnici, sali minerali, accessori per lo sport e defibrillatori salvavita. “Lo sport che ancora oggi ha molto attenzione ai nostri prodotti” – prosegue De Pieri – “è il calcio; siamo fornitori ufficiali di diverse squadre, italiane ed europee, tra cui Barcellona e Real Madrid. In Spagna c’è un mercato molto attivo e attento, dove prima di tutto viene la fiducia e l’attenzione al prodotto e dove il prezzo passa quasi in secondo piano. Dovrebbe essere così ovunque…”. Il mondo sportivo” – prosegue il patron di Phyto Performance – “è cambiato tantissimo in questi anni. Una volta era più semplice, più umano. Quando iniziai ebbi la fortuna e il piacere di ‘ingaggiare’ un testimonial d’eccezione per quel tempo, ovvero Gianni Rivera. Ero un suo grande ammiratore. Lo incontrai a una fiera di settore. Lo chiamai, lui si avvicinò allo stand, mi presentai e dopo pochi minuti, con una stretta di mano, ci eravamo accordati. Divenne nostro distributore ufficiale. Il più grande atleta che abbia mai conosciuto è comunque Serhij Bubka; sportivo completo e di grande umanità anche fuori dalla pedana. Un campione che vorrei oggi come testimonial? Cristiano Ronaldo: è lo stereotipo dello sportivo perfetto. Purtroppo resterà solo un sogno: impensabile legare la sua
immagine al nostro brand!”. Phyto Performance ancora oggi è un’azienda a conduzione familiare, dove il signor Gian Aldo è supportato e aiutato dalla figlia Sara, dal responsabile commerciale Alessandro Lo Parco e da uno staff specializzato di oltre una ventina di persone, compresi gli agenti attivi su tutto il territorio italiano. “Siamo presenti in Italia nei migliori negozi sportivi, farmacie, sanitarie e all’estero in oltre 50 Paesi e ovunque siamo riconosciuti per la nostra qualità e serietà. Siamo stati inoltre main sponsor della pallavolo Padova l’anno in cui centrò la promozione in serie A1 (campionato 2010-2011 n.d.r.). Oggi siamo vicini e partner di diverse realtà sportive dalla pallacanestro, al podismo, al ciclismo. Non ci fermiamo, mai. Prossimamente presenteremo nuovi prodotti e strategie per affrontare il mercato in modo differente. Una vota era più facile affermarsi e l’intuizione veniva premiata, oggi è più difficile per una serie di motivi. Sono comunque fiero e orgoglioso di quello che ho fatto, che stiamo facendo e fiducioso per il futuro che ci aspetta”.
EVENTO
Giro del
Lago di Resia 2020:
la storia continua di Alberto Cristani - Foto: Giro Lago di Resia
N
onostante manchino ancora poco meno di otto mesi allo start ufficiale, a Curon Venosta si sta già lavorando alacremente per organizzare al meglio l’edizione 2020 (la numero 21) del Giro del lago di Resia, corsa podistica dove i partecipanti – atleti occasionali e competitivi – partono in diverse categorie a seconda della loro età. Il percorso lungo 15,3 km si snoda come da tradizione lungo il lago di Resia regalando ai partecipanti un’esperienza di grande suggestione su un percorso immerso nella natura, tra le bellezze paesaggistiche della Val Venosta. L’edizione del 2019, svoltasi il 13 di luglio, resterà nella memoria non solo per essere quella del ventennale, ma anche per essersi svolta in notturna: una suggestione ulteriore e sicuramente indimenticabile per gli oltre 4000 iscritti. Per quanto riguarda i ‘pro’ la gara del ventennale verrà ricordata anche per il record del percorso conquistato dal tedesco 25enne Konstantin Wedel che ha fermato il cronometro sul tempo di 47’23”.
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Nel 2020 ‘il Giro’ si correrà il 18 luglio con partenza e arrivo a Curon, dove si trova il campanile storico in mezzo alle acque del lago. Per chi non vuole correre ci sarà la possibilità di partecipare alla ‘Just for Fun’, corsa senza pressione, dove il tempo e il cronometro non contano. Altre gare ci sono anche per gli appassionati del nordic walking, per handbiker e per i bambini. Oltre all’aspetto sportivo, gli organizzatori – sempre impeccabili – offrono ai partecipanti e ai loro accompagnatori momenti di divertimento con tanta musica, un’area espositori ricca anche di prodotti tipici e con una serata di gala caratterizzata da spettacolari fuochi d’artificio. Il tutto ‘all’ombra’ del mitico campanile, costruito nel 14° secolo e simbolo della Val Venosta. L’inverno è appena cominciato ma le iscrizioni alla 21esima edizione del Giro del Lago di Resia sono già aperte: fino al 18 gennaio 2020 l'iscrizione costa 35 euro, dal 19 gennaio fino al 10 luglio le
iscrizioni costano 40 euro per la gara principale, per la corsa Just for Fun, Handbike e Nordic Walking. Le iscrizioni tardive costano 50 euro. La data di chiusura iscrizione è fissata per il 10 luglio 2020. Dall’ 11 luglio al 16 luglio 2020 non sarà più possibile effettuare iscrizioni. Per info: http://www.reschenseelauf.it/it/
www.girolagodiresia.it
21 Giro Lago di Resia o
Sa. 18.07.2020 ore 17.00 15,3 km
Corsa JUST FOR FUN Corsa delle mele per Bambini Nordic Walking
I NTERVISTA uculini Z o c n a r F
L'artista
del pallone
di Beatrice Majer - Foto: Venezia F.C.
F
ranco Zuculini, centrocampista argentino classe 1990, al suo primo campionato con la maglia del Venezia, è già molto apprezzato da compa-
gni e tifosi. SportdiPiù magazine lo ha incontrato e con questa intervista vi racconta la storia di un calciatore, ma soprattutto di una persona eclettica, poliedrica, amante del suo lavoro, che vive il suo tempo libero tra musica, arte e cultura. Franco, innanzitutto come ti descriveresti, utilizzando un aggettivo? «Umile. Sin da piccolo, grazie all’insegnamento dei miei genitori, ho imparato che l’umiltà è la prima cosa che una persona deve avere, per cercare di andare avanti nei momenti belli ed in quelli meno belli. L’umiltà è fondamentale per raggiungere ogni obiettivo, riguardante il lavoro e non. La mia carriera calcistica è iniziata con un percorso che, per portarmi a disputare la serie A in Argentina, mi ha fatto viaggiare molto, alzandomi
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presto al mattino. Non è stato facile, ho incontrato anche momenti duri, come i numerosi infortuni che ho subito…». Che rapporto hai con la tua famiglia? «Ho un bellissimo rapporto, molto sano, tipicamente ‘italiano’, pensando alle mie origini. Siamo molto uniti: i miei genitori rispettano ogni tipo di decisione, mi sono sempre stati vicini anche durante gli errori. Ed è così anche con mio fratello Bruno, visto che siamo cresciuti con la medesima
mentalità, molto equilibrata. Ritengo che i nostri genitori ci abbiano dato un’ottima educazione, in tutti i sensi. La mia famiglia mi ha sempre sostenuto: dopo l’ultimo infortunio che ho subito, se non fosse stato per loro, non avrei continuato a fare il calciatore». Che legame hai con la tua Argentina? «Io amo la mia terra, mi sento argentino anche se vedo più l’Europa come casa mia; qui sono cresciuto veramente, essendoci
approdato a 18 anni, un’età in cui, generalmente, non si ha un’idea precisa su quello che si vuole fare nella propria vita, ma al contempo si iniziano a capire molte cose. Sono andato in Germania, dove c’è una cultura totalmente differente, dal cibo allo stile di vita, alla quale mi sono dovuto adattare. È stata un po’ dura: ho attraversato anche tanti momenti di solitudine, trascorrendo ricorrenze come Natale, Capodanno, compleanni e Festa della Mamma lontano dalla mia famiglia. Tuttavia, quell’esperienza ha fatto di me l’uomo che sono oggi. Quando sono stato in Spagna e, successivamente, quando sono arrivato in Italia, ho iniziato a conoscere molta gente del luogo la quale mi ha aiutato. L’ho apprezzato molto e così, pian piano, ho iniziato a creare il mio ‘mondo’ lontano dalla mia terra. Da una parte ho così perso i contatti con molti amici argentini ma, all’altra, ho iniziato a crescere, a farmi una nuova vita. Tant’è che, dopo essere stato per ben cinque anni consecutivi lontano dall’Argentina, al mio ritorno mi sono sentito come uno straniero in un paese nuovo». Oltre al calcio hai molti interessi, come la musica; sai suonare chitarra, pianoforte e armonica. Hai mai fatto parte di una band? «Sì, a Bologna con alcuni amici avevamo creato un gruppo, la Zucu Blues Band. Inizialmente non volevo che si chiamasse così, con il riferimento al mio cognome (Zucu n.d.r) ma poi mi hanno convinto! Con me suonavano tutti ragazzi che studiavano nel Conservatorio di Bologna. Andavamo ad esibirci in giro per la città, ci divertivamo molto. È stato un bel periodo. Attualmente suono solo per me oppure in compagnia di qualche amico». Sei anche un appassionato di arte e Venezia, in tal senso, offre moltissimo: hai avuto modo di visitare le sue bellezze? «Certo. Ogni volta che gli impegni me lo consentono cammino molto: ci vuole tanto
tempo per vedere Venezia. Io poi ci metto parecchio a visitare un museo perché mi soffermo su ogni quadro. Comunque devo ancora vedere molte cose».
durante gli allenamenti mi vengono delle ispirazioni, una sorta di sintonia tra il mio lavoro e le mie passioni che mi accompagneranno sempre».
Che rapporto hai con i veneziani? «Ho conosciuto molte persone a Venezia, che mi danno qualche ‘dritta’ per andare a vedere e scoprire i luoghi che solo loro conoscono, quelli meno visitati dai turisti. Voglio però andare a vedere anche i luoghi ‘classici’ come, ad esempio, la Biennale e la Collezione Guggenheim: prima o poi lo farò».
Tu hai giocato anche nell’Hellas Verona: hai mantenuto i contatti con la città, con la società e con i veronesi? «Assolutamente sì, io ho un rapporto molto bello, che spero di conservare, con la città scaligera, della quale sono innamorato. Ho anche una casa a Verona e ci torno tutti i weekend. Ho molti amici là, oltre che di Bologna. Sono ancora in contatto con alcuni miei ex compagni di squadra nonché con tante persone che lavorano nell’Hellas dove ho trascorso due anni molto belli».
Sai anche dipingere? «Sì, ho iniziato a Bologna e ho continuato a Verona. Utilizzo la tecnica dell’olio su tela, come Caravaggio, che è la mia fonte di ispirazione: non a caso mi sono fatto tatuare la sua immagine. Poi, ovviamente, ci metto anche il mio estro, le mie idee. Anni fa, alcune mie opere sono state esposte in una galleria a Bologna, insieme con altri artisti. Il mio maestro mi ha detto che è andata molto bene, che molte persone hanno domandato chi fosse l’autore dei quadri che avevo realizzato. Poi ho continuato, migliorando la tecnica anche se non è affatto facile. Inoltre, per il tipo di arte che realizzo, ci vogliono tempo e concentrazione, cosa che attualmente non è semplice dovendo dare la priorità agli allenamenti». Come si conciliano questi tuoi hobbies con la professione di calciatore? «Per me la musica, suonata più che ascoltata, e l’arte, sono la mia ‘benzina’, nel senso che mi danno la carica per poter giocare al meglio. Io amo il calcio però ho bisogno, ad un certo punto della mia giornata, solitamente verso sera, di staccare e di creare un momento tutto per me, in cui riesco a trovare, allo stesso tempo, carica e tranquillità. Anche
Che cosa pensi del progetto del presidente Tacopina? «Il presidente è la persona che mi ha convinto a venire qui. Mi sono affidato a lui, non conoscendo nessun altro. Successivamente ho trovato un gruppo di persone che vuole far crescere il Venezia, dal vivaio ai tifosi, ai giornalisti, alla squadra. Qui si c’è sintonia, che per me è la cosa fondamentale in una società. Spero si continui su questa strada. I risultati danno questa consapevolezza ma è anche vero che, se dovessero arrivare momenti meno belli, sappiamo che possiamo contare su questa ‘family’, come piace definirla il presidente. Se manterremo questa mentalità, sono sicuro che ci toglieremo delle belle soddisfazioni e faremo sempre meglio».
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EVENTO
Con ABR Cup tutti in campo per ABEO
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di Alberto Cristani - Foto: SportdiPiù
l calcio – quello vero, genuino, quello giocato dai bambini – è stato protagonista dell’ABR Cup, un quadrangolare per categoria Esordienti organizzato dalla società Alba Borgo Roma in collaborazione con Assicurazioni Generali Italia. Al torneo hanno partecipato, oltre alla squadra di casa, anche le formazioni del San Zeno, Hellas Verona e Virtus Vecomp. Due gli obiettivi: far giocare e divertire i bambini scesi in campo e aiutare quelli che, purtroppo, non possono avere questa possibilità. L’incasso dell’evento è stato infatti devoluto in beneficenza ad Abeo Verona, Onlus che si occupa dei bambini malati oncologici e delle loro famiglie. “L’idea di questo torneo” – spiega Mirko Martini agente Generali Italia ma soprattutto papà di un bambino ex malato oncologico – “è nata un po' a caso; stavo cercando un modo per essere d'aiuto ad Abeo e ai bimbi con problematiche oncologiche che vivono degli incubi e passaggi. Avendo avuto anche mio figlio questo problema, ora fortunatamente superato, so bene cosa significa avere bisogno di sostegno e di persone che si dedicano a te. Insieme a Fabio Caldara e Fabio Venturi dell'Alba Borgo Roma abbiamo così deciso di coniugare lo sport, quello vero e puro dei bambini, con una giornata di divertimento e solidarietà. Ed è nata così l’ABR Cup 2019”. “Abbiamo iniziato a lavoare al progetto” – prosegue Martini – “a maggio, quando abbiamo contattato partner e sponsor che, senza pensarci un attimo, hanno risposto positivamente. Poi abbiamo contattato le società per avere le squadre e in questo caso i mister sono stati speciali per attenzione e disponibilità. Poi c’è stata la fase organizzativa vera e propria ovvero come strutturare torneo, formula, arbitri, premiazioni. Anche gli ex gialloblu dell’Hellas e il presidente Chicco Guidotti ci sono stati vicino presenziando alle premiazioni. Finito il torneo abbiamo regalato un momento di divertimento ai
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bambini con una cena tutti insieme. É stato impegnativo ma è stata soprattutto una grande soddisfazione”. “Il mio, anzi il nostro obiettivo” – conclude Mirko – “è che l’ABR Cup diventi un appuntamento annuale. Questo è stato il primo test e ne siamo estremamente sod-
disfatti. Certo, c'è sempre da migliorare, ma la strada imboccata è quella giusta. Per l’edizione 2020 vorremmo coinvolgere sempre più persone e più società, per divertire sempre più bambini ma soprattutto per diventare un aiuto costante per gli amici di Abeo”.
SPO RT LI FE
Abeo: di tutto e sempre di più! di Alberto Cristani - Foto: Abeo Verona non sempre è possibile svolgere negli spazi ospedalieri come la PetTherapy, la musico-terapia, la ludo-terapia. Il tutto la guarigione ma allo stesso tempo salvaguardare, proteggere e aiutare la crescita del benessere psico-fisico dei nostri pazienti e delle loro famiglie”. “Villa Fantelli” – evidenzia Battistoni – “non è un punto di arrivo ma bensì la base di partenza per raggiungere nuovi importanti e ambiziosi traguardi. Abbiamo ancora tante idee da realizzare; uno su tutti è un parco/orto didattico nel quale daremo la possibilità ai bambini e ai giovani che hanno lottato e vinto la
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na pentola in ebollizione. Un vulcano di idee pronto ad eruttare meraviglie. Villa Fantelli, la nuova sede dell’Associazione Abeo Onlus Verona inaugurata a fine settembre, è questo e molto altro. Nonostante siano passati pochi mesi dal taglio del nastro, in Casa Abeo non si perde tempo ad ammirare e a compiacersi di quanto (tanto) è stato realizzato in poco meno di due anni. Non c’è tempo. I bambini, le famiglie e i volontari non vogliono fermarsi. Le mura di Villa Fantelli racchiudono un luogo unico, magico, pieno di amore e voglia di vivere. Lo testimoniano le numerose attività che giornalmente si svolgono. “Villa Fantelli” – spiega Pietro Battistoni, Presidente Associazione A Abeo Onlus Verona – “è un progetto in cui abbiamo creduto molto e che è stato realizzato solamente grazie al contributo di tutte le realtà che hanno creduto in noi e che ci hanno sostenuto, con l’appoggio di associazioni importanti come la Fondazione Umberto Veronesi e l’Associazione Giacomo Sintini di Perugia e soprattutto grazie all’immenso impegno di tutti i nostri Volontari che sono il cuore e il motore della nostra Associazione. Siamo davvero felici di condividere questo importante traguardo con la Regione Veneto, con la città di Verona, con tutta l’Azienda Ospedaliera Integrata
di Verona e in particolare con il Reparto di Oncoematologia Pediatrica, con le istituzioni e con tutti i singoli cittadini che con un piccolo gesto di solidarietà hanno reso possibile questo nostro grande sogno, che oggi diventa realtà. All’interno di Casa Abeo, oltre alle attività di coordinamento dei servizi rivolti alle famiglie dei bambini in cura, troveranno spazio attività ludico educative a misura di bambino che consentiranno loro libera espressione delle emozioni e tecniche di rilassamento indispensabili per un sereno reinserimento in società dopo lunghi periodi di ospedalizzazione. Casa Abeo non è solo la sede operativa per le attività dell’Associazione, ma vuole essere un punto di incontro per volontari, genitori e bambini con la possibilità di sviluppare attività ed iniziative vecchie e nuove che
malattia, di riprendere il contatto con la natura e, per i più grandi, iniziare un’attività che possa permettere loro di lavorare e anche di poter avere un compenso. Inoltre, sempre in quell’area, allestiremo un mercatino stabile dove venderemo i prodotti di stagione che i nostri giovani e i volontari coltiveranno. Ma non solo: ci piacerebbe anche produrre e vendere marmellate, conserve e miele. Abbiamo già individuato l’area e stiamo dialogando con il Comune di Verona per definire l’accordo: sarà un posto magico, aperto anche alla popolazione, dove tutti potranno trovare pace e serenità, tornando in contatto con la natura. Ma di progetti ne abbiamo ancora tanti e, più prima che poi, riusciremo a realizzarli, ne sono convinto!”
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SPO RT LI FE
Divertimento e ambizione: questo è il CFW
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di Matteo Zanon - Foto: Chievo Fortitudo Women
ll’Hotel Veronello si è svolta la presentazione delle squadre femminili della neofita società del Chievo Fortitudo Women. Una realtà che passo dopo passo va sempre più consolidandosi e che le due società hanno voluto presentare ufficialmente. Per la Fortitudo si tratta del 23esimo anno di calcio femminile. Un anno importante che ha visto la squadra di Mozzecane compiere questo passo desiderato da tanti anni. L’affiliazione al ChievoVerona permette di mettere in sinergia il calcio maschile con quello femminile. Un rinnovamento che, dato l’aumento delle tesserate, riguarderà anche le strutture: infatti, verranno effettuati lavori di ristrutturazione e ampliamento degli spogliatoi del campo di San Zeno di Mozzecane. Inoltre, per invogliare la pratica di questo sport e far conoscere la realtà del CFW, è partito un progetto nelle scuole rivolto alle bambine delle elementari e medie. Alla serata, presentata dal giornalista Stefano Marina, sono intervenuti gli ospiti Mario Furlan, consigliere regionale Vero-
Sergio Pellissier
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na, Donella Francioli vice delegato Figc, il sindaco di Mozzecane Thomas Piccini, il dirigente del ChievoVerona Sergio Pellissier, il presidente della Fortitudo Giuseppe Boni e il responsabile del settore giovanile Massimiliano Rossi. “Sono orgoglioso” – ha dichiarato l’ex capitano del ChievoVerona Sergio Pellissier – “di aver conosciuto una società sana, bella come amo io. Da genitore dico alle mam-
Massimiliano Rossi
Serie A
me ai papà presenti oggi che avete fatto la scelta giusta nel portare le vostre figlie a giocare in questa società. Siamo una società che vuole dare chance di crescita ad ogni bambina. Come Chievo cerchiamo di portare avanti questo obiettivo in ognuna delle nostre squadre. Siamo un tutt’uno e vi ringrazio per aver scelto noi. L’augurio è che ci si possa togliere delle belle soddisfazioni”. Grande soddisfazione ed entusiasmo anche da parte del presidente della Fortitudo Mozzecane Giuseppe Boni: “Ringrazio il ChievoVerona per quest’affiliazione, avvenuta in poco tempo. La presentazione in questa sede ci fa capire quanto la società clivense tiene a questo nuovo progetto e noi siamo molto orgogliosi. È un tra-
Primi calci
Pulcini
Under 15
Under 17
guardo che cercavamo da anni e che sta andando bene. Mi auguro prosegua e si sviluppi sempre meglio”. “Sono molto contento” – ha infine sottolineato il dirigente Massimiliano Rossi – “di vedere atlete che vogliono fare dei cambiamenti e metterci qualcosa in più.
Esordienti
Giuseppe Boni
Noi cerchiamo di guardare che le ragazze siano contente e che non si fermino alla prima sconfitta. Una sconfitta può far crescere e sono convinto che ci si possa sempre rialzare. Il mio giudizio è più che mai eccellente e con impegno e passione possiamo fare qualcosa di importante”. Oltre alla presentazione della formazione che partecipa al campionato di serie B capitanata da Valentina Boni, sono state presentate anche le squadre Primi Calci, Pulcine, Esordienti, Under 15, Under 17 e Primavera. Il presidente Boni, parlando alle ragazze della serie B, ha voluto evidenziare come: “…il desiderio di stupire deve nascere da dentro.
Primavera
Non so per quanti anni farò ancora il presidente ma il raggiungimento della massima serie per la Fortitudo sarebbe il massimo. Non servono proclami ma impegno e passione sul terreno di gioco”.
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I NTERVISTA tto o c S i ig u L
Il cannoniere sardo di Matteo Lerco - Foto: Simone Pizzini
È
la punta di diamante di un meccanismo che funziona alla perfezione. È uno dei realizzatori più prolifici ed efficaci dell’ultimo quadriennio di Serie D. È sardo, attaccato alla sua terra, anche se dai tredici anni gira per la nostra Penisola, rendendo grande il suo nome a suon di gol. Luigi Scotto è questo, ma anche tanto altro. La punta classe 1990 in forza al Mantova ha un unico obiettivo nella testa: spingere con le sue reti la compagine virgiliana sul tetto del dilettantismo italiano. Abbiamo provato a delineare lo ‘Scotto-pensiero’ con questa intervista. Hai chiuso la scorsa stagione con un bottino di 13 reti in 31 presenze. Si vociferava di un corteggiamento nei tuoi confronti da parte della Reggiana, cosa ti
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ha spinto a sposare nuovamente la causa virgiliana? «C’era tanta voglia di rivalsa in tutto l’ambiente. Lo scorso anno abbiamo disputato un campionato incredibile, ma alla fine non siamo riusciti a vincere e, in fondo, era l’unica cosa che contava veramente. Ho ricevuto tanti attestati di stima dalla società e dalla piazza, quindi è stato facile prendere questa decisione». Negli ultimi quattro anni in D sei andato sempre in doppia cifra, numeri che identificano un profilo da categoria superiore: quanto è forte il desiderio a 29 anni di tornare a calcare il palcoscenico della Lega Pro? «Ho ricevuto anche quest’estate diverse proposte dalla serie C, ma personalmente ritengo più stimolante giocare per vincere in Serie D, piuttosto che lottare per la salvezza nella categoria superiore.
Nel calcio penso sia fondamentale essere sempre ambiziosi: il sogno è quello di tornare nel professionismo indossando questa casacca». Sei nativo di Sassari, cresciuto calcisticamente nel Genoa: quanto sei attaccato alla Sardegna e quanto è ed è stata dura sviluppare la carriera calcistica lontano dalla propria terra? «Il legame con la Sardegna è viscerale. È da quando ho tredici anni che gioco lontano da casa, ma penso che se si vuole fare del calcio la propria professione sia una scelta inevitabile. Spostarsi fa parte del mestiere». Scorrendo i tabellini del tuo Mantova in stagione balzano agli occhi i tuoi quattro gol contro il Lentigione… «Sono partito molto forte, segnando
dieci gol nelle prime sette giornate. Devo ringraziare sempre i miei compagni, soprattutto per quel poker. Spero di non avere problemi fisici e di continuare a segnare con continuità». Hai respirato la Serie D in differenti gironi: a tuo avviso qual è il leitmotiv che lega i vari raggruppamenti del «semiprofessionismo»? «Caratteristica comune a tutte le squadre di serie D che ho incontrato è la presenza di profili di categoria superiore. In Lega Pro ci sono molti giovani, un fattore che spinge molti giocatori a fare un passo in direzione del semiprofessionismo. In secondo luogo penso che in questa categoria il fattore campo sia preponderante: fare punti in ogni stadio è sempre complicato».
Più un onore o più un onere indossare una casacca calcisticamente «pesante» come quella del Mantova? «Indossare la maglia del Mantova è prima di tutto un grande orgoglio. Poi è ovvio che giocare per una società del genere comporta anche delle grandi responsabilità, ma prima di tutto viene la storia di questi colori. Il calore di questa piazza, inoltre, ripaga ogni genere di sacrificio».
La componente imprescindibile per vincere un campionato di D? «Ci vuole equilibrio e totale comunione d’intenti. La volontà di crescere insieme nel calcio è alla base di tutto. Quest’anno puntiamo a rendere il Martelli il nostro fortino: solo così possiamo pensare di arrivare a maggio davanti a tutti».
A quale idolo ti ispiravi da giovane e qual è il modello di giocatore odierno a cui fai riferimento? «Da buon sardo mi sono sempre ispirato a Gianfranco Zola (sorride n.d.r.) sicuramente uno dei più grandi giocatori italiani di sempre. In questo momento, ti dico la verità, non ho nessun idolo: credo che per un calciatore il termine di paragone debba essere sempre sé stesso».
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S SPO RT SO N G
Ripercorriamo la storia dello sport riascoltando le note di canzoni che, bene o male un po’ a tutti, hanno procurato brividi e, magari, fatto scendere qualche lacrimuccia (di gioia o di dolore…).
Il Maratoneta dall'album: L'aldiquà (2006) Samuele Bersani
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n un’intervista Bersani ha così descritto la sua canzone Il maratoneta: “è un inno a chi si iscrive a una marcia sapendo che non ha possibilità di vincere. Però arriva quarto, coi piedi in fiamme e la dignità di arrivare senza medaglia all’ultima meta”. Alcuni passi della canzone descrivono bene la maratona: “In mezzo a tanti partenti che sono «pronti
partenza via»/mi son promesso anch'io di correre domenica/con canottiera acrilica e sciatalgia... C'è chi è in vantaggio e ti aiuta e quando inciampi rallenta un po'/ci sono quelli che ti spingono sul lastrico, gli amici che ti fregano al telefono... Conto le ambulanze che passano/chi si è immaginato al traguardo si è impantanato...”
Ti amo campionato dall'album: Peerla (1998) Elio e le Storie Tese
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uesta canzone è stata suonata per la prima volta dal vivo da Elio e le Storie Tese nell'ultima puntata di “Mai dire Gol” edizione 1997-1998, per analizzare in modo satirico e umoristico alcuni ipotetici errori arbitrali commessi nel campionato di Serie A 1997-1998 a favore della Juventus e culminati nel rigore negato a Ronaldo nello scontro diretto con l'Inter. Ecco alcuni passi della canzone: “...Ma a me mi era sembrato che già da molto tempo qualcosa stava accadendo/Ad esempio
in Juve-Udinese dell'1 Novembre '97/Il signor Cesari non ha convalidato un gol che aveva fatto Bierhoff/Che era entrato di tanto così diciamo delle dimensioni tipo Rocco Siffredi... Ad esempio in Juve-Piacenza, Borriello ha convalidato/Il secondo goal irregolare che ha fatto Del Piero/Che si è fatto passare la palla sul braccio/ Ma era talmente bello che era un peccato non convalidarlo/E allora cosa ha detto? "Convalidiamolo" Perché nel calcio tutti si amano...
Gimondi e il Cannibale dall'album: L'uomo che vola (2000) Enrico Ruggeri
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uesta canzone è una dedica alle battaglie sportive tra Gimondi, scomparso il 16 agosto scorso a 76 anni, e il belga Eddy Merckx, tra cui c’era una profonda amicizia e stima. Due miti del passato di cui Ruggeri racconta l’atmosfera che si respirava nella rivalità e che rimarrà per sempre nella storia del
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ciclismo. Il brano Gimondi e il Cannibale è stato scelto come sigla dalla Rai per l'83 Giro d'Italia. Molto bello il passo della canzone che fa “Ancora più solo di prima/C’è già il cannibale in cima/Ed io che devo volare a prenderlo/Sudore di gente dispersa/Di maglia di lingua diversa/ Ma io, il cuore io voglio spenderlo”.
Instagram coffeetumbler
#HASHTAG
Buone feste... in movimento!
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di Cecilia Zonta - Foto: coffeetumbler
n valido modo per non appesantirsi troppo durante i pranzi e le cene delle festività è sicuramente quello di rimanere attivi! Ciò implica che già da ora si stia svolgendo una costante e regolare attività fisica coadiuvata da un’alimentazione corretta e adeguata al proprio stile di vita. Questo ci farebbe prendere un po’ più a cuor leggero una fetta in più di panettone/ pandoro sapendo che avremo modo di riequilibrarla con le nostre buone abitudini alimentari e sportive. Sappiate che la maggiorate delle palestre, durante le festività, chiude solo i giorni rossi sul calendario (quindi non avreste scuse!) ma se proprio non avrete modo, o voglia il mio consiglio è quello di approfittare di quelle settimane per organizzare diversamente i vostri allenamenti, magari allenandovi in discipline che di solito non praticate, chiamando un’amica per allenarvi a casa, approfittare per fare qualche seduta in più col personal trainer. Un altro valido consiglio, indipendentemente dall’attività svolta, soprattutto in questi periodi dove l’introito calorico supera, da un punto di vista quantitativo, e peggiora, dal punto di vista qualitativo, quello cui siamo abituati solitamente, è aumentare anche il dispendio energetico durante le sessioni di allenamento. Come fare? Le possibilità sono due: o con sessioni più lunghe o con sessioni più intense. Se il tempo per allenarsi è poco anche durante le festività, allora per rendere comunque produttivi gli allenamenti sarebbe bene scegliere esercizi che coinvolgano grandi gruppi muscolari (così da lavorare anche i più piccoli gruppi muscolari, cosa che non accade nella situazione inversa), e decidere di lavorarli magari in modo alternato tra loro. Questo, in aggiunta ad esercizi totalbody a medio/alta intensità, ci darebbe la possibilità di avere una maggior attivazione del metabolismo e quindi un maggior dispendio energetico.
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Ultimo consiglio per le festività: potendo, cercate di distribuire eventuali pranzi/ cene ‘impegnativi’ durante l’arco dell’intera settimana: questo vi permetterà di riprendervi tra un pasto e l’altro ma anche di non “intasare” il vostro organismo con una serie consequenziale di pasti ipercalorici fidatevi, il vostro corpo vi ringrazierà. In più, se cercherete di prendervi cura di lui al meglio anche durante le feste, sarà poi meno traumatico il rientro alla realtà del nuovo anno!
Hai ulteriori dubbi o curiosità? Non esitare a contattarmi su Instagram;)
I NTERVISTA hi cc a M a r u a L
CHICCA
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di Beatrice Majer - Foto: di Umana Reyer Venezia
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Quali sono stati i momenti ‘più’ e ‘meno’ della tua carriera? «Il primo scudetto vinto è stato particolarmente emozionante. Quanto ai momenti brutti, oltre agli infortuni, anche i problemi personali, per uno sportivo, possono incidere, visto che non siamo robot. Però, allo stesso tempo, ti possono dare una spinta a fare qualcosa di più sul parquet». A livello umano, che cosa ti ha dato il basket? «Tantissimo, a livello di emozioni e di adrenalina, con la quale vivi costantemente. Infatti, dico sempre che, quando smetterò di giocare, per prima cosa farò il bungee jumping! Quanto di meglio mi ha dato questo sport, però, è il mio fidanzato, nonché mio ex allenatore».
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aura Macchi, ala della Reyer Venezia, festeggia quest’anno i suoi (primi) venticinque anni di matrimonio con la palla a spicchi. Cresciuta nella squadra della sua città natale, Varese, Chicca non si è subito innamorata della pallacanestro. All’inizio ha infatti praticato altre discipline, come nuoto e pallanuoto. “ A 12 anni” – spiega – “mi hanno proposto di provare con la pallacanestro. Ho capito che ci tenevo e che sarebbe diventata la mia professione perché, dopo le prime sconfitte, mi arrabbiavo molto. Oltretutto io sono di Varese, la patria di questo sport, e quindi era inevitabile che, ad un certo punto, scoccasse la scintilla”.
Hai anche conseguito il patentino da allenatrice. «Non so se in futuro allenerò, ma sentivo che dovevo farmi questo “regalo”, qualcosa di tangibile che mi rimanesse. Parliamoci chiaro: puoi essere brava e forte quando vuoi, ti restano le vittorie e, se sei fortunata, le amicizie, ma quando si spengono le luci, finisce tutto e si passa alla pagina successiva». Quali sono le principali differenze tra il basket femminile in Italia e quello che viene praticato nei paesi esteri? «Negli Stati Uniti, per esempio, è tutto un altro mondo, perché la pallacanestro è lo sport principale, a livello sia maschile che femminile. A Los Angeles giocavo di fronte a ventimila persone, mentre In Italia, quando ci sono le partite clou, gli spettatori sono al massimo duemilacinquecento».
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I tuoi pregi e difetti? «Mi reputo solare, perché cerco di sdrammatizzare e dare il giusto peso alle cose: perdere non è mai bello, ma è pur sempre di uno sport, mentre la vita vera è tutt’altro. Poi, la lealtà. Ho poche amiche, ma so che sono vere e che possiamo sempre contare l’una sull’altra. Quanto ai difetti, sono molto caparbia, il che non è sempre positivo, perché posso sembrare troppo puntigliosa, quando pretendo sempre il massimo, non solo da me stessa, ma anche dagli altri, in tutti gli aspetti della vita». Qual è il tuo rapporto con i social network? «Sono sempre stata nettamente contraria. Ma ho aperto un account su Instagram, Qual è la giornata tipo di chi pratica sport a livello agonistico? «Sveglia alle 7,30, colazione, allenamento ed eventuali terapie, pranzo a casa, faccende domestiche, riposo pomeridiano, ripresa degli allenamenti, e la sera un film, in tv oppure al cinema, poi a dormire. Però non mi ritengo un’estremista; quanto all’alimentazione, per esempio, sarò stata un caso unico, ma non ho mangiato solo pasta in bianco e petto di pollo: la domenica i miei genitori cucinavano la polenta con lo spezzatino». Comunque una vita molto regolare. «Se da un lato, chi vuole fare la giocatrice deve scegliere se diventare professionista oppure farlo tanto per fare, è anche vero che non è certo un lavoro forzato, ma una passione. Fortunatamente, tutto ciò che la pallacanestro ti toglie in nome della disciplina, te lo restituisce in termini di soddisfazione». Che rapporto hai con la tua famiglia? «È sempre stata il mio sostegno, dandomi molta serenità. Per me viene prima di tutto, tant’è che undici anni fa, quando è venuta a mancare mia madre, ho declinato offerte per giocare in piazze prestigiose, pur di stare accanto alla mia famiglia in quel momento». Che cosa pensi del progetto Reyer? «In realtà, dopo l’esperienza a Schio, dove ho sempre vinto tantissimo, non avrei mai pensato di approdare alla Reyer, visto anche il dualismo tra i due sodalizi. Ma quando ho ricevuto la chiamata dei dirigenti orogranata, al termine della mia esperienza con Napoli, per me ha rappresentato il sole in mezzo alla tempesta. Anche se mi è stato chiesto, più
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che di fare punti su punti, di trascinare la squadra, cercando di portare una certa mentalità (anche se non sono un “oracolo”), ritengo che comunque una società così ambiziosa debba provare a vincere lo scudetto. Anche il settore femminile, dopo anni, merita un trofeo». Quali consigli daresti ad una ragazza che voglia avvicinarsi al basket a livello agonistico? «Innanzitutto di farlo per amore, perché il campo non mente mai. Inoltre, comportarsi sempre con correttezza e voglia di fare: nei momenti negativi, infatti, è dentro di te che devi trovare la forza per continuare, specie per chi, come gli sportivi, vive di risultati». Hai una mascotte? «Ne ho due! I miei gatti, Henry e Nina, due trovatelli che ho adottato. Sono i miei compagni di vita, che mi hanno an che aiutata a reagire in molte situazioni. Gli animali riescono a leggerti dentro».
che considero un puro divertimento, da quando ho sentito l’esigenza di condividere un momento speciale: il mio incontro a Trigoria con Francesco Totti, che apprezzo molto sia come sportivo che come persona, visto che, pur avendo avuto la possibilità di andare veramente ovunque, è sempre voluto rimanere a Roma, squadra e città che sentiva sue».
Laura Macchi con la sorella Elena
SPO RT LI FE
Fuori di test di Enrico Gastaldelli - Foto: Enrico Gastaldelli
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n occasione del recente Rally Due Valli, penultima tappa del Campionato Italiano, siamo saliti su una delle auto regine della stagione. Questo il racconto direttamente dal sedile del navigatore “Pronto? Adesso al cartello partiamo”. Il bang! del turbo arriva come uno schiaffo sulla schiena e da quel momento io e il pilota siamo un tutt’uno con la macchina. E che macchina… Ford Fiesta M-Sport, lo stato dell’arte delle R5 anno domini 2019. Ah, io sono qui per caso, e siedo al posto del navigatore titolare Tania Canton, mentre il pilota e uno dei migliori d’Italia e risponde al nome di
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Simone Campedelli. Il collegamento tra noi ed un pianeta Terra che dai finestrini scorre velocissimo sono quattro Pirelli selezionate da Terenzio Testoni, responsabile programma rally della Casa milanese, presente al test gomme sulle strade di Tregnago. Come di consueto, pochi giorni prima della gara Campedelli e i suoi principali avversari compiono dei test su strade chiuse al traffico, e in questo caso siamo in preparazione del Rally Due Valli. Torniamo a bordo. Ogni tratto di strada viene divorato in modo famelico dalla Festa arancione, pardon, Orange 1 (dal nome del main sponsor), mentre Simone
la guida in modo preciso e rilassato, con grande pulizia di linee. Le persone appostate ai lati della strada passano talmente veloci che sembrano abbozzate, come in un quadro impressionista. A metà del primo tratto in salita si passa dall’asfalto nuovo ad uno più sdrucciolevole, ma la piccola Ford non perde mai la bussola, restando incollata al terreno, e si sentono solo più sassi sbattere impazziti sul sottoscocca. Nel tratto in salita in andata vengono scaricati a terra i cavalli, mentre il ritorno, con dislivello in discesa, esalta la frenata, davvero poderosa, tanto che i piedi sembrano sfondare la pedaliera. Campedelli mi chiede solo una volta
“Come va?” e il mio “Bene, wow” lo convince. Mi parlerà solo per rispondere a qualche domanda urlata nell’interfono e per avvertirmi di un “Qui si passa forte”. Forte. Una parola… la compressione mi sposta il bacino nelle scarpe e un attimo dopo mi sento alto due metri, con la Fiesta che spancia una frazione di secondo e poi continua a mangiare l’asfalto rituffandosi nel bosco. Nei tornanti si spazzola leggeri come un compasso motorizzato, poi l’allungo è tutto motore scaricato sulle quattro gomme. Il cartello di fine prova è l’unica vera delusione, perché sarei rimasto sul sedile di destra ancora volentieri. Però, per dire, quello che a me è sembrato un minuto, al passeggero che ha preso il posto dopo di me è parsa un’eternità: è il bello dei punti di vista e delle sensazioni. La top 3 dell’esperienza: tenuta in curva eccezionale, frenata e inserimento portentosi, motore sempre bello pieno. Scendo e il sorriso è largo come l’apertura del casco. Un cinque a Simone, piede e cervello. Un abbraccio alla navigatrice Tania, che per la cronaca pesa la metà del sottoscritto. I due in gara saranno protagonisti di una prestazione convincente, strappando un ottimo secondo posto alle spalle di Andrea Crugnola (Volkswagen Polo): il risultato in terra veronese tiene gli alfieri della Ford in lizza per il Tricolore, che si giocherà tutto nell’ultima prova sulla terra del Tuscan Rewind. Un grande grazie a Ford Italia Racing e al Team Orange 1, oltre a tutti i tecnici presenti, agli angeli custodi Andrea e Angelo, e ad Ignite per la ghiotta opportunità.
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S SPO RT BO O K
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l libro raccoglie gli appunti di un giornalista sportivo, Gino Franchetti, vissuto nel mondo del calcio, a contatto con personaggi anche assai diversi uno dall’altro, ma tutti capaci di sorridere del loro mestiere e di destreggiarsi con allegria fra i problemi del loro lavoro, mostrandosi nei loro pregi e difetti senza la protezione assillante di guardie del corpo e di regole ferree a tutela della privacy. Un calcio più umano di quanto non sia poi diventato, sommerso da fiumi di denaro: dagli scherzi di Altafini sotto la gestione di Rocco e Liedholm agli sfoghi di Carniglia (allenatore di molte squadre tra cui Milan, Juventus, Bologna e Roma), di Giagnoni (mister del Torino che lo portò al secondo posto in campionato), di Pugliese (mitico allenatore della Roma), dalle doppie personalità dei due Herrera alla malinconica ironia di Scopigno (indimenticabile allenatore del Cagliari campione d’Italia) o alla napoletanità
Un calcio da ridere Rocco e i suoi gemelli di Gino Franchetti
Dettagli innata di Pesaola, con l’intervento di uomini di “governo” come Boniperti, Fraizzoli e Franchi. Gino Franchetti è autore, tra l’altro, delle biografie di Hateley, Kakà, Liedholm e Ibrahimovic, e della Storia del Milan con Cerruti e Costa. Il ciclismo, come scrive De Zan, racconta a volte storie bellissime di sport, passione e amicizia. Insomma un libro da leggere tutto in un fiato.
- Genere: calcio - Prezzo: e 14,00 - Editore: Prospero Editore (www.prosperoeditore.com) - Collana: Saggistica sportiva - Data pubblicazione: 2019 - Pagine: 314 - Lingua: italiano - Formato: brossura
La squadra dei sogni Tutti in campo
di Marino Bartoletti
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roseguimento temporale di La squadra dei sogni - Il cuore sul prato, in questo secondo libro/episodio ritroviamo Carlo, Dorian e compagni cresciuti e intenti a vivere nuove esperienze dentro e fuori il campo da calcio. Il colore della maglia che indossano continua a dividerli, ma impegno, passione e amicizia li rendono più vicini che mai. Per i cultori di pallone e
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scarpini, per calciatori in erba o per chi è semplicemente attratto da questo mondo, la serie è uno spunto per riflettere sulle passioni e sui valori della vita, per imparare a crescere senza perdere i propri ideali e per capire come i campioni del futuro devono confrontarsi con quelli del passato. L’autore, Marino Bartoletti, è uno dei più celebri giornalisti italiani. In tv ha diretto le testate sportive della Rai e di Mediaset, ha condotto e spesso ideato trasmissioni storiche come Il Processo del Lunedì, La Domenica Sportiva, Pressing, Quelli che il calcio. È stato direttore del Guerin Sportivo e ha fondato Calcio 2000. Ha seguito dal vivo dieci Olimpiadi e dieci Mondiali di calcio. È stato direttore scientifico dell’Enciclopedia Treccani dello Sport. È un grande esperto di musica, in particolare della storia del Festival di Sanremo, del quale è stato giurato, opinionista e anche selezionatore delle canzoni in gara.
Dettagli - Genere: narrativa - Prezzo: :€ 9,90 - Editore: Gallucci - Collana: Universale d'Avventure e d'Osservazioni - Pagine: 144 - Formato: brossura - Lingua: italiano - Data di pubblicazione: novembre 2019
I NTERVISTA er aub T io g r io G
Alle origini di
Prezzemolo di Alberto Cristani - Foto: Giorgio Tauber
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e feste di Natale sono l’occasione per le famiglie per stare insieme e per vivere momenti di sogno e allegria. Uno di questi luoghi fatati è Gardaland, il parco di divertimenti numero uno in Italia, situato in località Ronchi nel comune di Castelnuovo del Garda, in provincia di Verona. L’intero complesso si estende su una superficie di 350.000 metri quadrati, mentre il solo parco tematico misura 200.000 metri quadrati. Ogni anno è visitato da circa 3 milioni di persone. Qualche numero: nel giugno del 2005 è stato classificato al quinto posto dalla rivista Forbes nella classifica dei dieci parchi di divertimento del mondo con il miglior fatturato e secondo i dati del 2016 è l’ottavo parco europeo per numero di visitatori (2.880.000). SportdiPiù magazine ha voluto ripercorre un po’ di storia di questa area magica e l’ha fatto intervistando in esclusiva Giorgio Tauber, che per vent’anni, dal giorno dell’inaugurazione, ha diretto il parco. Giorgio, spiegami come e perché è nato Gardaland a Verona… «Gardaland è nato per merito di un signore che oggi non c’è più: Livio Furini, proprietario di 140.000 mila mq di terra in località Ronchi e innamorato del divertimento, unica persona negli Anni Settanta ad aver visto il primo Disneyland a Los Angeles. Lo conobbi quando dirigevo nel 1972/73 il campeggio della Rocca di Bardolino. Ci fu subito stima e sintonia, tant’è che un
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Giorgio Tauber
giorno, mi disse: ‘Siccome lavori bene un giorno ti vengo a prendere per fare una cosa speciale’. E così fece; nel settembre del 1974 mi portò a vedere un appezzamento di terra, in quello che in seguito sarebbe diventato il villaggio West, e mi svelò l’intenzione di voler aprire il primo parco a tema in Italia. La cosa mi interessa e mi piace. Lui mi guarda e mi dice: ‘Tu sei l’uomo giusto per dirigere il parco e per consigliarmi’. Decido di accettare la proposta. Io e Furini iniziamo a lavorare il 12 ottobre 1974. Lavoriamo tutti i giorni, notte, domeniche e feste, escluso Natale e primo dell’anno. Finalmente il 19 luglio del 1975 inauguriamo il parco».
Cosa ti ricordi di quel periodo? Hai qualche aneddoto particolare da raccontare? «La prima cosa che mi è che abbiamo lavorato giorno e notte perchè il nostro obiettivo era aprire nel 1975. Abbiamo vinto la scommessa con il presidente di allora Cesare Brentarolli che non credeva che io e Furini ce l’avremmo fatta. L’aneddoto che mi ricordo però è legato all’inaugurazione. Era il 18 luglio e avevamo finito di sistemare tutto in vista dell’apertura dei cancelli che sarebbe avvenuta il giorno dopo. Alle 23 iniziò a piovere così forte che l’acqua si portò via tutto quello che avevamo sistemato. Io e Furini ci guardiamo negli occhi e decidiamo di agire subito: non c’era tempo per abbattersi. Chiamiamo quindi un altro socio che aveva impresa di giardinaggio e che in pochissimo tempo mise insieme due squadre di uomini. A
mezzanotte e mezza 42 persone erano al lavoro. Abbiamo finito di sistemare la mattina del giorno dopo: l’ultimo camion è uscito alle 9.55. L’inaugurazione doveva essere alle 9,30: fortunatamente il Prefetto arrivò in ritardo, dopo le 10, e ci permise di farci trovare pronti! Io non ho nemmeno assistito al taglio del nastro tanto ero stanco, non riuscivo nemmeno a camminare! Mi sedetti di fronte al castello, dove c’era il ristorante, e guardai la cerimonia da lontano. Pensando a quei momenti, ancora oggi, mi emoziono: in 10 ore abbiamo rimesso in piedi il parco e permesso che si potesse fare l’inaugurazione. Questo aneddoto lo ricorderò per tutta la vita!». Quanto sei rimasto a Gardaland e che evoluzione hai visto? Ho iniziato nell’ottobre del 1974 e son rimasto fino al gennaio 1996. Ho fatto 21 anni da direttore generale e l’ho fatto volentieri, mantenendo per 20 anni il bilancio in attivo. Solo 1 siamo andati in pareggio, nel 1990, l’anno dei Mondiali di calcio in Italia. Merito è mio ma soprattutto dei cinque uomini del consiglio amministrativo che hanno creduto nel parco e in quello che io proponevo: Cesare Brentarolli, presidente, il consigliere delegato Flavio Zaninelli, il suo socio Peter Lessing, Nando Perbellini e ovviamente Livio Furini. E poi il merito va anche al personale, composto da brave e competenti persone». Quale anno ricordi con maggior soddisfazione? «Sicuramente l’anno del record, che credo sia ancora imbattuto. Nel 1988 siamo arrivati quarti a livello mondiale perchè inaugurammo, alla presenza dell’ambasciatore egiziano, la Valle dei Re. Nell’occasione si esibì anche il corpo
di ballo di Verona, quello dell’Aida. All’epoca il Ministro del turismo e dello spettacolo era Franco Carraro; lui e l’ambasciatore egiziano hanno fatto il primo giro sull’attrazione. È però il 1989 l’anno del recod. Ricordo che un giorno, tra il 25 aprile e il 1 maggio, aprimmo alle 9.30 e chiudemmo alle 23 invece che alle 20.30 per garantire la sicurezza nel defluire. Facemmo 40.240 pagati. Alle 13,30 avevo già messo sulle casse il cartello ‘parco esaurito’, ma non potevamo non fare i biglietti: c’era la coda di gente che voleva entrare a vedere gli spettacoli!». Adesso da fuori come lo vedi? «Io lo dico sempre: ho fatto 2 figli con mia moglie Lucia, ma ho fatto il terzo con le giostre! Gardaland è un pezzo della mia vita. Come lo vedo oggi? Cresciuto ma il merito è da attribuire al consiglio amministrativo che comprò, in tempi non sospetti, la terra adiacente a dove nacque il primo parco. Mentre conquistavamo record pensavamo già ad allargarci. È vero, l’espansione l’ha realizzata il nuovo consiglio, con cui io ho lavorato due anni, ma le basi erano già state gettate da quello precedente. Molte cose erano già tracciate, come per esempio Mammut e Fuga da Atlantide». Nel 2020 Gardaland compie 45 anni. Che sensazione ti fa? «Strana perché alla festa dei primi venti c’ero ma a quelle che si sono svolte dal 1996 ad oggi no. Questi primi 45 anni di Gardaland vanno festeggiati e battezzati. Se mi invitassero? Ci andrei volentieri! Quando entro a Gardaland l’emozione è sempre tanta e mi ritorna in mente quella famosa notte prima dell’inaugurazione. Ancora oggi, quando entro, lo faccio sempre dalla parte del castello: quella era, ed è, la mia entrata. Sulla destra avevo il
mio ufficio e percorrere quelle scale con l’orologio floreale è sempre un’emozione. Quell’entrata è storia!». Beh, a proposito di storie, quante ne hai vissute e quante ne potresti raccontare? «Tante, davvero tante! Ho conosciuto tante persone, ho vissuto momenti ed esperienze indimenticabili, ho imparato e visto cose che non dimenticherò mai. Magari ne riparliamo l’anno prossimo. Ok?». Giorgio, dimmi la verità: hai nostalgia del passato? «Scherzi? Io al passato sono legato e non lo dimentico, ma guardo al futuro. Ho tante idee per la mente e, chissà, magari prima o poi qualcuna diventerà realtà. Chi vivrà, vedrà!».
Da sinistra Giorgio Tauber insieme a Cesare Brentarolli e Livio Furini
Fernando Solidoro
L'Hellas Verona ospite a Gardaland
Giorgio Tauber con Osvaldo Bagnoli
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AG EN DA Info candidature: www.cfcamp.it - 366 3996680
Hail, hail Celtic Camp! di Bruno Mostaffi Dopo la doppia vittoria con la Lazio in Europa League, il Celtic Glasgow sbarcherà ancora in Italia. Infatti per l’estate del 2020 – per il quarto anno consecutivo – la società con la maglia ad ‘anelli bianco-verdi’ più famosa del mondo, organizzerà in tutta Italia i propri Summer Camp dedicati a bambini e ragazzi dai 6 ai 15 anni. Oltre all’arte pedatoria, l’obiettivo dei Celtic Camp, è quello di insegnare e trasmettere la Celtic way, cioè il modo di giocare del Celtic. Sono già aperte le candidature per società, impianti sportivi e amministrazioni comunali per poter ospitare uno di questi esclusivi camp estivi. Per cinque giorni i partecipanti saranno guidati solo ed esclusivamente da allenatori della Celtic Academy original Scottish e potranno divertirsi giocando a calcio e imparando l’inglese in un modo divertente e con temi esclusivamente calcistici. Va assolutamente sottolineato che il Celtic permette solo i propri allenatori scozzesi, formati direttamente a Glasgow, di trasmettere la Celtic way: nessun altro allenatore può prendere parte come istruttore al camp. Il Celtic infatti manda solo i membri del proprio staff e non allenatori improvvisati: anche per questo motivo non sarà possibile vedere molti camp in Italia la prossima estate ma poco più di una decina. Tra le quattro sessioni giornaliere di allenamento i ragazzi metteranno alla prova la loro grammatica inglese aggiungendo molti vocaboli di uso comune e calcistico, imparando tipiche canzoni scozzesi, l’inno You’ll never walk alone, la storia del grande Celtic (capace di vincere la coppa campioni del 1967 contro la grande Inter di Herrea formata da grandi campioni provenienti da tutto il mondo n.d.r.) il tutto socializzando con i fantastici istruttori. A Glasgow si dice: ‘Ci divertiamo di più noi a un funerale che ad Edimburgo ad un matrimonio!’; con questo questo spirito di allegria e divertimento – unito a competenza, professionalità e rigore – viene proposto il programma tecnico appositamente studiato per i Celtic Camp, un’esperienza diventi indimenticabile per i partecipanti. Tutti i ragazzi che parteciperanno potranno recarsi in Scozia per la Celtic Experience, evento che prevede due allenamenti con gli allenatori del settore giovanile del Celtic nel mitico quartier generale-centro sportivo di Lennoxtown, situato in un bosco ai piedi di un castello diroccato. Oltre alla parte tecnica sul campo, i partecipanti
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potranno visitare lo storico stadio Celtic Park assistiti dalle fantastiche, divertenti e tifosissime guide, fare i turisti a Edimburgo e Glasgow e assistere a una partita di campionato scozzese. E questa sarà l’occasione per capire perché i tifosi del Celtic hanno vinto vari premi Uefa e Fifa per il tifo e l’amore verso la propria squadra. Come dimenticare nel 2003, in occasione della finale di Europa League, l’esodo gli
80.000 tifosi del Celtic a Siviglia? Il più grande di tutti i tempi! E sempre allo stadio sarà impossibile non alzare la sciarpa cantando You’ll never walk alone o ballare sulle note di I just can’t get enough Celtic? Se volete far partecipare i vostri figli ai Celtic Camp 2020 segnalate l’iniziativa alle società sportive o ai comuni.
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I NTERVISTA i vall Diego Ca
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Nel Blu dipinto di blu di Alberto Pecchio - Foto: San Pio X Mantova Basket
siste una società sportiva per cui l’obiettivo non sia la vittoria? La risposta è sì. Siamo a Mantova, dove un quartiere si trasforma in un piccolo microcosmo fatto di sport, valori e solidarietà, grazie alla Polisportiva San Pio X Mantova Basket, seguita ogni giorno con orgoglio e passione dal presidente, Diego Cavalli, e dai suoi fidati collaboratori. Oltre la vittoria, appunto, grazie al progetto ‘Blu Basket’, nato quasi per caso tre anni fa ed oggi diventato un esempio a livello nazionale: “Ci siamo avvicinati al mondo del volontariato facendo disputare a dei ragazzi affetti da sindrome di down alcune partite di ping pong – ci racconta Cavalli – poi abbiamo deciso di provare con il basket, coinvolgendo ragazzi autistici. Tre anni fa si potevano contare su una mano, oggi siamo arrivati ad allenare 36 ragazzi". Diego, sembra un piccolo miracolo quello che avete fatto… «Siamo orgogliosi, si fa fatica a descrivere con le parole quanto abbiamo la fortuna di vedere in palestra. Anzi, mi permetto di invitare tutti a venire a vedere le attività settimanali. I ragazzi di Blu Basket vengono seguiti dalla dottoressa Carlotta Braga e si radunano in palestra tre volte alla settimana insieme agli istruttori specializzati dell’associazione Solco, onlus di Mantova che si occupa di questo tipo di disabilità». E gli schemi di questa grande squadra da chi sono disegnati? «Nascono dalla nostra realtà, dai ragazzi delle nostre giovanili. Ė incredibile vedere come i giovani delle nostre Under 16, 17 e 18 dedichino anima e corpo al progetto, investendo parte del loro tempo libero nell'aiutare questi ragazzi senza tralasciare lo studio e le attività sportive. Siamo felici, perché siamo riusciti a creare un grande gruppo di allenatori che giorno dopo giorno ci aiuta a raggiungere il nostro grande sogno». Sogno e vittoria, due parole che per voi si legano in modo molto particolare… «La nostra vittoria più grande sarebbe
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rappresentata dal riuscire a portare alcuni di questi ragazzi ad allenarsi con le nostre giovanili, iniziando dunque un percorso che li potrebbe portare a disputare alcuni tornei durante la stagione». L’attività di Blu Basket corre parallelamente a quella delle vostre squadre, dove il binomio sport e valori si fonde perfettamente… «È proprio così, siamo molto attenti alla crescita tecnica ma soprattutto umana dei nostri ragazzi, che si impegnano nel progetto Blu Basket ma anche sul campo di allenamento. Non giochiamo per vincere, ma siamo riusciti a raggiungere grandi risultati con le nostre formazioni. Basta pensare all’Under 15, prima a livello regionale nel 3x3 e addirittura terza a livello nazionale, senza tralasciare quanto fatto da tutte le altre squadre. Questo ci ha portato anche ad affrontare grandi squadre come Milano e Brescia». E come è andata? «Abbiamo preso una bella batosta
(ride,ndr)! Ma quello che ci hanno dato queste esperienze ci rimarrà dentro in modo indelebile. Una palestra di vita per i nostri ragazzi, che sono in tantissimi. Sono 437 i tesserati totali, con 280 atleti fino agli 11 anni. Una piccola palestra, ma tanto movimento intorno a noi».
FO CUS GENITORINRETE
Il potere della comunicazione orale nel dialogo genitori e figli
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dott. Michele Dal Bo, psicologo scolastico e psicoterapeuta
a scuola è ripartita, genitori e figli sono di nuovo alle prese con la routine della scuola. Vi porterò nella storia della comunicazione e della ricerca delle informazioni, per ricavarne qualche buon consiglio e ripartire con il piede giusto. La ricerca della conoscenza è passata dalla trasmissione orale alla scrittura. Oggi, sembra essere fruibile solo attraverso Google. Secondo l’antropologo e filosofo statunitense W. J. Ong, la cultura orale ha caratteristiche ben definite e le elenca in 8 punti. Troverete la definizione e poi un collegamento immediato alla situazione di oggi, per far risaltare le differenze: L’orecchio è il senso più importante. Oggi, è la vista soprattutto. La comunicazione orale privilegia la paratassi. La cultura di internet predilige le abbreviazioni e il senso logico ridotto. La comunicazione orale ama la ridondanza. Oggi, sono impressi e la ridondanza è più un’eccessiva consegna di stimoli. Lo stile orale predilige il tono agonistico. Le conoscenze erano molto pratiche, il fulcro era l’esperienza. Oggi, lo stile è cumulativo e spesso anche fasullo (pensate alle fake news). La cultura orale è conservatrice e tradizionale. Oggi, la cultura è spesso in crisi, orientata alla ricerca di strappi e di antitesi continue (esempio, gli haters). La cultura orale è enfatica e partecipativa. L’uomo cresciuto in una cultura orale è più impulsivo, rispetto a un suo simile abituato alla lettura e al ragionamento prodotto dalla conoscenza scritta. La cultura orale è una cultura omeostatica. Le informazioni devono essere scremate,
per arrivare all’essenza pratica. Oggi le informazioni sono confuse e critiche. L’uomo dell’oralità pensa in modo situazionale più che in modo astratto e analitico. L’astratto ha portato al virtuale, ovvero alla costruzione simulata della realtà. La tradizione orale ha caratteristiche quasi in antitesi con il pensiero digitale. Nella comunicazione tra genitori e figli, questo crea spesso delle discrepanze comunicative. Si diffonde la percezione di non essere ascoltati e capiti. La ricerca di qualsiasi informazione scolastica su internet offre tutto a portata di mano. La conoscenza è passata dalla costruzione dei significati alla riduzione delle informazioni. Oggi, la comunicazione digitale va dal grande al piccolo, mentre quella orale andava dal piccolo al grande. Che cosa manca nella comunicazione digitale? Manca la comunicazione non verbale, che ha in sé stessa la capacità di dare un feedback immediato tra i due interlocutori. Ecco perché non si trovano più le
misure di una buona comunicazione tra genitori e figli. Manca il passaggio della condivisione reale e fisica.
Alcuni consigli per i genitori Trovate il tempo per stare con i vostri figli mentre studiano. Fategli conoscere la cultura della condivisione orale. Parlate e leggete con loro. Osservate come ricercano le informazioni, senza giudicare, ma con un ascolto attivo e interessato. Insegnate la criticità delle informazioni ai vostri figli. Aiutateli a discernere la notizia vera da quella falsa, e imparate da loro a essere più smart e tecnologici. Creerete un substrato comunicativo comune. Insegnate ai vostri figli un metodo di studio e di ricerca che abbia come presupposti la condivisione. Quando potete, portateli fuori a studiare e fategli alzare la testa verso le cose reali. Insegnate la storia della vostra citta andandoci fisicamente. Impareranno che il viaggio è molto importante per accrescere le conoscenze.
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Breaking News
AG EN DA Al Museo Nicolis il Vespa Club Italia festeggia 70 anni Lo scorso 16 novembre 2019 è stata inaugurate presso il Museo Nicolis di Villafranca una mostra dedicata ai 70 anni del Vespa Club d’Italia. La Vespa Piaggio, lo scooter entrato nella leggenda e per la sua origine aeronautica e per aver battuto le strade di tutti i continenti, presenta la sua storia attraverso un formidabile palmares, frutto della passione di chi ha rappresentato questo marchio sin dalla nascita in perfetta sintonia con la Casa madre. Al Museo Nicolis, in collaborazione con il Vespa Club d’Italia e la celebre Collezione “Vite da Vespa” di Marco Romiti, una straordinaria rassegna dove saranno fruibili a tutti gli appassionati, per la prima volta fuori dalla Sede istituzionale, i Trofei conquistati dai vespisti nelle attività sociali divenute pietre miliari del mitico sodalizio, tenute fra l’Italia e l’Europa. Le suggestioni e le emozioni si succedono lungo il percorso di visita, in un’alternanza di momenti che ci ricollegano agli anni del boom economico, del jazz, dell’entusiasmo di stare insieme, della beat generation, del rock and roll, della libertà di muoversi e di viaggiare, della nouvelle vogue, dei grandi fotografi e della pubblicità d’autore, dove in questi temi, ogni spettatore può ritrovare il suo vissuto interpretato nei luoghi che hanno fatto dell’Italia il paese dell’arte e della bellezza. “Sono entusiasta” – evidenza Silvia Nicolis, Presidente del Museo Nicolis – “di questa squisita combinazione dovuta alla collaborazione con il Vespa Club D’Italia, con Marco Romiti e dell’originale risultato ottenuto. Davvero speciale per noi e per il nostro pubblico sempre alla ricerca di stimoli che lo arricchiscano; suggestioni ritrovate nei prodotti che l’arte del ‘900
ha saputo tramandarci, tradotti nella bellezza del nostro patrimonio che siamo orgogliosi di proporre al Museo, insieme all’opportunità unica ed eloquente dovuta all’abbinamento con questo splendido e glorioso marchio, parte integrante della più bella storia italiana”. “Il Museo Nicolis” – spiega Marco Romiti, Collezione Vite da Vespa – “rappresenta un punto d’arrivo per chi desidera esporre la propria collezione in un ambiente valorizzate sia per la struttura che per il contenuto, ma soprattutto per l’insegnamento del suo fondatore Luciano Nicolis che diceva: noi non siamo i proprietari ma i custodi delle nostre collezioni”.
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Come nelle rievocazioni più importanti, il Museo Nicolis vuole creare una opportunità per tutti i vespisti, in particolare per gli associati al Vespa Club D’Italia che conta oltre 67.000 iscritti e al Registro Storico Vespa, con una iniziativa proposta con l’hashtag: #vespa70 #enricopiaggio Chi posterà le foto più belle con la sua Vespa potrà usufruirete immediatamente di un ingresso a prezzo speciale di 9 euro anziché 12. Scontistica allargata anche a chi arriverà in Vespa al Museo Nicolis. La Mostra ‘70° Vespa Club d’Italia’ terminerà il 16 febbraio 2020.
FUNIVIA MALCESINE MONTE BALDO CON LE CABINE ROTANTI VERSO PANORAMI MOZZAFIATO
FUNIVIA MALCESINE MONTE BALDO Via Navene Vecchia, 12 - 37018 Malcesine (VR) Tel. +39.045.7400206 - Fax +39.045.7401885 info@funiviedelbaldo.it www.funiviedelbaldo.it
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