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magazine
iBarcoder Trial
iBarcoder Trial
- Periodico iBarcoder Trial registrata al Tribunale di Verona n. 1807/2008 Testata giornalistica
ANNO 11 - N. 62 - FEBBRAIO / MARZO 2020
LA RIVINCITA
di
Dopo una prima parte di stagione decisamente sfortunata, Emanuele Giaccherini è pronto a trascinare il ChievoVerona nelle zone ‘che contano’ del campionato di serie B
GIAK
iBarcoder Trial
I PIETRO LUCIANI
I ATTILIO VIVIANI
I PAOLA PEZZO
I www.sportdipiu.net
# 62
E 5,00
magazine
L'editoriale
di Alberto Cristani Facebook-Square @albertobrunocristanivr instagram alberto.cristani70
In the name of love
D
al 26 gennaio ad oggi tanto si è detto e scritto in merito alla tragica scomparsa di Kobe Briant, della figlia Gianna e del resto dell’equipaggio che viaggiava a bordo del Sikorsky SK-76B schiantatosi sulle colline di Los Angeles. Un incidente tanto casuale quanto drammatico che, in pochi secondi, ha cancellato la vita di nove persone. La presenza a bordo dell’elicottero dell’ex stella dei Los Angeles Lakers ha inevitabilmente amplificato l’effetto mediatico della notizia. Parlare di numeri, record, successi, pallacanestro e NBA è riduttivo. In quello schianto sono morti insieme genitori e figli, legami indissolubili che nemmeno la morte è riuscita a spezzare. Insieme fino all’ultimo momento, fino all’ultimo sguardo. Pensare a quegli attimi toglie il respiro. “Il mio cervello si rifiuta di accettare che sia Kobe sia Gigi se ne sono andati. Non posso elaborare entrambe le morti contempora-
neamente. È come se cercassi di accettare la scomparsa di Kobe, ma il mio corpo si rifiutasse di sopportare che la mia Gigi non tornerà mai più da me”. Le parole di Vanessa Briant sono pugni nello stomaco. Per lei, e per chi non potrà mai più riabbracciare i propri cari, quel maledetto 26 gennaio 2020 ha segnato irrimediabilmente la vita e il futuro. Kobe Briant è stato un campione che ha amato il basket e un papà che amava la famiglia. La foto che lo ritrae sorridente insieme a Gianna e la lettera che scrisse in occasione del suo addio al basket sono il modo migliore per ricordare lui e le altre vittime. Due testimonianze di amore - vero e puro - che resteranno per sempre nella memoria dei suoi tifosi, degli sportivi, di ognuno di noi.
Caro basket… (lettera che Kobe Briant scrisse nel novembre 2015 per dare l’addio al basket)
“Caro basket, dal momento in cui ho cominciato ad arrotolare i calzini di mio padre e a lanciare immaginari tiri della vittoria nel Great Western Forum ho saputo che una cosa era reale: mi ero innamorato di te. Un amore così profondo che ti ho dato tutto dalla mia mente al mio corpo dal mio spirito alla mia anima. Da bambino di 6 anni profondamente innamorato di te non ho mai visto la fine del tunnel. Vedevo solo me stesso correre fuori da uno. E quindi ho corso. Ho corso su e giù per ogni parquet dietro ad ogni palla persa per te. Hai chiesto il mio impegno ti ho dato il mio cuore perché c’era tanto altro dietro. Ho giocato nonostante il sudore e il dolore non per vincere una sfida ma perché TU mi avevi chiamato. Ho fatto tutto per TE perché è quello che fai quando qualcuno ti fa sentire vivo come tu mi hai fatto sentire. Hai fatto vivere a un bambino di 6 anni il suo sogno di essere un Laker e per questo ti amerò per sempre. Ma non posso amarti più con la stessa ossessione. Questa stagione è tutto quello che mi resta. Il mio cuore può sopportare la battaglia la mia mente può gestire la fatica ma il mio corpo sa che è ora di dire addio. E va bene. Sono pronto a lasciarti andare. E voglio che TU lo sappia, così entrambi possiamo assaporare ogni momento che ci rimane insieme. I momenti buoni e quelli meno buoni. Ci siamo dati entrambi tutto quello che avevamo. E sappiamo entrambi, indipendentemente da cosa farò, che rimarrò per sempre quel bambino con i calzini arrotolati bidone della spazzatura nell’angolo 5 secondi da giocare. Palla tra le mie mani. 5… 4… 3… 2… 1… Ti amerò per sempre. Kobe”
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Sommario
# 62 - FEBBRAIO/MARZO 2020
COVER STO RY
22
3 8 9 10 12 13 14 16
Emanuele Giaccherini
Editoriale
In the name of love
Bar Toletti light
Auguri Pirata. Auguri amico mio.
Il corner di Tommasi Ăˆ giunta l’ora
Uscita Verona Sud
Sport in MI minore, Montalbano e conflitto di interessi veneti
22 28 32 35
Cover Story
Emanuele Giaccherini (ChievoVerona)
Sport life
Sorelle gialloblu
Intervista
Ferdinando Gasparini (calcio)
Speciale Hellas Verona
Genitorinrete
Smartphone e gestione del tempo
Evento
Gestione, Comunicazione, Marketing: come combattere 3 limiti delle ASD
Difesa schierata
Il Premio di Preparazione, una cosa... per giovani!
Evento
Cortina d'Ampezzo, la Regina dello sci internazionale
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Fabio Borini
SPECIALE Hellas Verona
44 48 51 52
Sport life
Un sogno itinerante
Intervista
Simone Bentivoglio (Virtus Verona)
Sport Books Intervista
Monica De Gennario (Imoco Conegliano Volley)
54 58 62 64 68
72 74 80 82 84 88
Intervista
Stèphen Boyer (BluVolley Verona)
Sport life
Papàcanestro
Sport life Zizi 2.0
Intervista
Attilio Viviani (ciclismo)
Intervista
Pietro Luciani (vela)
Intervista
Pietro Rosa Salva (Venice Marathon)
Stare Bene
Riscaldamento pre allenamento: sempre o solo se fa freddo?
Intervista
Marco Bonacci (Mastini Verona)
Intervista
Roberto Bagliardini (tennis)
Intervista
Pier Giorgio Schena (Funivia Malcesine Monte Baldo)
#ROADTO2026 Paola Pezzo
100 103 104 106 108 110 112 114 118 120 122 123 124 126 127 128 130
Acido lattico: sfatiamo il mito
Tdi SPORmagazinePIÙ
Intervista
Anno 11 - Numero 62
Intervista
Testata giornalistica registrata al Tribunale di Verona n. 1807/2008
Sport Life
Olympic Dream
Stare Bene
Silvio Bernardi (Cortina Hockey) Stefano Raimondi (Verona Swimming Team)
FEBBRAIO 2019 / MARZO 2020
Direttore Responsabile Alberto Cristani
Sport life
Gemini Cheers: forti come Leoni
Sport life
Vice Direttore Daniela Scalia
Stare Bene
Caporedattore Andrea Etrari
Intervista
Direttore della fotografia Maurilio Boldrini
Zalf Castelfranco Veneto: nel nome di Rui Il massaggio post gara Matteo Dorotini (kitesurf)
Intervista
Stefano Castagna (Dynos Verona Baseball)
Sport life
DeQou Action Beer
Sport life
Cus Venezia, 70 anni a tutto sport!
Breaking news
In Redazione Alberto Braioni, Andrea Etrari, Bruno Mostaffi, Damiano Tommasi, Daniela Scalia, Giorgio Vincenzi, Marina Soave, Matteo Lerco, Matteo Zanon, Marco Hrabar, Paola Gilberti, Jacopo Pellegrini Foto SportdiPiù magazine Veneto Maurilio Boldrini, Mirko Barbieri, Paolo Schiesaro, Simone Pizzini Contatti redazione@sportdipiu.com alberto.cristani@sportdipiu.com www.sportdipiu.com
Stare Bene
Un aperitivo in forma
Sport Life
Angels in Run, promessa mantenuta!
Sportiva-mente
L'allenatore e i suoi ragazzi
Evento
Verona-Resia-Verona: 600 km di bici 'no stop'
Sport Life
Belpiano-Malga San Valentino: uno spettacolo per tutti
Progetto grafico e impaginazione Francesca Finotti Stampa e distribuzione Mediaprint Srl Sede operativa di San Giovanni L. Via Brenta, 7 - 37057 Verona Cell. 345.5665706 Pubblicità marketing@sportdipiu.com Cell. 348.4425256
Sport Life
Fuori di test
Abbonamenti abbonamenti@sportdipiu.com Cell. 345.5665706
92 96 98
Sport Center Adige Docks
Intervista
Alessandro Zanetti (Came Calcio a 5)
Intervista
134 136 138
Evento
Gli Harlem Globetrotters tornano a stregare l'Italia
Sport Life
Sportler e King Rock insieme per guidare il futuro dell'arrampicata
Sport Songs
Foto Archivio SportdiPiù magazine Veneto, BPE agenzia fotografica, Fotolia, crediti singoli articoli
Elena Berg (CSS Verona pallanuoto) Magazine partner dell'Hellas Verona
con il patrocinio della
Hanno collaborato Ale Ziliotto, Andrea Etrari, Arianna Del Sordo, Andrea Martucci, Bruno Mostaffi, Cecilia Zonta, Damiano Tommasi, Daniela Scalia, Emanuele Pezzo, Fabrizio Sambugaro, Federica Delli Noci, Gian Paolo Zaffani, Giorgio Vincenzi, Jacopo Pellegrini, Marco Hrabar, Marina Soave, Marino Bartoletti, Matteo Lerco, Matteo Zanon, Michele De Martin, Micheal Coli, Paola Gilberti, Tommaso Franzoso, Ufficio stampa Hellas Verona, YouSport Venezia
con il patrocinio
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Stampato su carta ECF, 100% riciclabile con inchiostri vegetali
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STO RI ES
Bar Toletti light
di Marino Bartoletti instagram marinobartoletti Facebook-Square Marino Bartoletti
Auguri Pirata. Auguri amico mio.
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SportdiPiù magazine Veneto inizia il 2020 con una nuova rubrica intitolata Bar Toletti light. Marino Bartoletti, prestigiosa firma del giornalismo italiano sportivo e non, ha accolto l’invito del nostro direttore Alberto Cristani e, a partire da questo numero, regalerà ai nostri lettori pensieri, ricordi e curiosità raccolti durante la sua brillantissima – e attualissima – carriera. Il primo capitolo del Bar Toletti light è dedicato al campione-amico Marco Pantani, pensiero scritto da Marino, sulla sua pagina Facebook, il 13 gennaio del 2017, giorno che sarebbe coinciso con il quarantasettesimo compleanno del Pirata. Oggi compirebbe 47 anni. Faccio fatica a immaginarlo. L’ho sempre visto giovane, innocente, disarmato anche nei momenti più dolorosi: anche quando la vita lo ha piegato con una crudeltà che lui ha vissuto come fanno i bimbi increduli, che sgranano gli occhi quando si trovano davanti alla gratuita cattiveria dei
‘grandi’ e sembrano chiedere: “Perché mi fate questo?”. Marco mi è rimasto nel cuore come un figlio, come un fratello, come un amico. Tutti abbiamo una parte di Marco dentro di noi. E allo stesso tempo, abbiamo il pudore di voler tenere per noi questi ricordi: spesso così intimi, così importanti, così difficilmente condivisibili. Quando le parole mancano o, peggio, corrono il rischio di diventare retorica, per nostra fortuna c’è sempre un poeta che ci aiuta. In questo caso Francesco Guccini: “Voglio però ricordarti com’eri, sapere che ancora vivi. Voglio pensare che ancora mi ascolti e che come allora sorridi”. Ecco, se puoi, continua a sorridermi Marco. Come quel giorno di 14 anni fa, alle Canarie, quando volesti festeggiare assieme a me il mio compleanno. Avevi ancora il lampo della vita negli occhi. Un anno dopo non ci saresti stato più. Noi romagnoli abbiamo strani pudori nel dirci le cose. A volte preferiamo il silenzio per capirci! Come furono spesso silenziosi i nostri lunghi colloqui di notte, in quell’isola così dolce
dell’Atlantico. Ma ora voglio che tu lo sappia: sei stato il più grande! E soprattutto ti ho voluto un sacco di bene. Come non ne ho mai voluto ad un altro un uomo di sport. E tu eri molto di più: eri un Campione! Un Campione purissimo!
Bar Toletti light e SportdiPiù, insieme con garbo di Alberto Cristani
Marino, che 2019 è stato per te? É l’anno in cui hanno iniziato ad aggiungere quando vado in televisione, sotto il mio nome, la didascalia ‘giornalista e scrittore’. Scrittore: una cosa che non avrei mai pensato di diventare nella mia vita. Indubbiamente per uno che ha 3 libri in libreria contemporaneamente è una cosa assolutamente legittima. Il 2019 è stato l’anno in cui ho festeggiato i miei primi 70 anni, momento di bilanci piuttosto complicati nel bene e nel male, con un vita professionale che continua a dare soddisfazioni. Evidentemente sono l’estremo raccolto di una semina lunga. Un messaggio importante per i più giovani, ovvero si può continuare a realizzare sogni e ad avere idee innovative nonostante il
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tempo che passa… Sì, incredibilmente mi accorgo di avere ancora dei sogni professionali, di coltivare e di realizzare aspirazioni che non pensavo nemmeno di avere dopo che credevo di aver fatto tutto. Si vede che la vita ci riserva delle grandi sorprese se la viviamo nel modo giusto. Come diceva qualcuno: “L’importante è che la morte ci colga vivi”! Hai vinto anche la sfida con Facebook... Sì, si tratta di una cosa degli ultimi 3 anni, ma il 2019 è stato importante nella mia dinamica personale con Facebook, a cui mi sono avvicinato con timidezza e diffidenza. Alla fine, non dico che l’ho piegato alle mie esigenze, perché sarebbe molto presuntuoso, però molte persone mi scrivono che a volte vale la pena aprire Facebook per seguire la mia pagina e leggere quello che scrivo. Questo mi fa molto piacere. Tra le novità di questo 2020 c’è anche la collaborazione con Sportdipiù: perché ci hai detto “sì”? Perché ho visto tanto entusiasmo da parte
vostra, in cui ho riconosciuto certi entusiasmi della mia vita professionale. E perché me l’avete chiesto con garbo. Quando son venuto a Verona sono stato bene con voi. E questo per me è importante. Non sono uno ‘che se la tira’ quando dall’altra parte vedo voglia di far bene. E poi rappresentate la bellezza della provincia: io sono provinciale e quindi tutto ciò che mi riporta a queste dinamiche è, per me, motivo d’orgoglio. La vostra redazione piluccherà tra i miei post ritenuti a ‘buona conservazione’ e li pubblicherà in Bar Toletti light. In effetti credo che ci siano cose che possono tranquillamente sopravvivere ai mesi se non agli anni, in base a ciò che è funzionale alla filosofia di SportdiPiù magazine e cose che si possono coniugare con il mio pensiero. Una rubrica che credo potrà dare spunti interessanti di approfondimento e riflessione, passando attraverso le storie di personaggi dello sport, della musica e non solo. Ma poi avremo modo di rivederci e, chissà, di organizzare ancora qualche bella serata a Verona. Perché i torno sempre dove sono stato bene...
L'O PI N I O N E
Il corner di Tommasi di Damiano Tommasi instagram damiano.tommasi TWITTER @17Tommasi
È giunta l'ora
T
orno su un argomento già affrontato ma che merita un aggiornamento, almeno per quanto riguarda il calcio. Lo sport al femminile in Italia. E’ un tabù il professionismo per le nostre atlete, di tutti gli sport, di tutte le discipline. Il ciclismo ha iniziato timidamente a proporre anche alle atlete un contratto da professioniste. Per tutte le altre rimane il dilettantismo. Non tutti sanno, infatti, che il nostro sistema sportivo prevede che la scelta di riconoscere il professionismo agli atleti e alle atlete sia prerogativa delle Federazioni Sportive e del Coni. La legge 91 sul professionismo sportivo è del 1981 ma da allora poco è cambiato. Gli sport che in quegli anni erano di fatto professionisti sono stati formalmente riconosciuti come tali (non tutti) e addirittura negli anni ci sono stati dei passi indietro da parte di qualche Federazione. Il basket ha ridotto il professionismo, così come la Figc con la C2. La boxe è tornata ad essere sport dilettantistico ma l’anomalia nell’anomalia è lo sport al
femminile, appunto, che non è riconosciuto professionistico in nessuna disciplina sportiva. Negli sport individuali sono i gruppi militari a coprire parzialmente questa falla del sistema sportivo offrendo contratti di lavoro che permettono ad atleti ed atlete di dedicarsi h24 allo sport di alto livello. Il calcio del dopo mondiale di Francia2018, in questo contesto, come sta? L’ingresso dei grandi club (Fiorentina, Milan, Inter, Juventus, H.Verona…) ha senz’altro alzato l’asticella e oggi anche in Figc si è posta la questione all’ordine del giorno perché in effetti qualcosa si sta muovendo. Le scelte del passato, come l’ingresso di club al maschile nell’area femminile, appunto, la riduzione del numero delle squadre in A e B che ne ha alzato la qualità media, i risultati della Nazionale hanno avvicinato un traguardo che fino a qualche anno fa sembrava irraggiungibile. Quanto manca, quindi, perchè la serie A femminile sia riconosciuta come categoria professionistica? Come Associazione Italiana Calciatori
stiamo facendo i conti di quanto costerebbe alle società “mettere in regola” le lavoratrici. E’ un tema di sostenibilità, sì, ma anche di riconoscere il dovuto a ragazze che sacrificano studio e/o lavoro per rincorrere una passione. Il Governo ha dato una mano inserendo un emendamento in finanziaria, a firma dell’on. Nannicini, che consente sgravi contributivi per le società che faranno firmare contratti di lavoro sportivo alle atlete. Lo sgravio sarà triennale per complessivi 11 milioni di euro. Nel dopo mondiale sono aumentati gli sponsor attenti alla parte femminile delle nazionali e le società stanno investendo sempre di più. Manca un tassello importante in tutto il processo, la Figc. Molto è stato fatto, anche su input di Fifa e Uefa che stanno investendo molto sul calcio al femminile. La Federazione dovrebbe, però, trovare le risorse, che ci sono, per aiutare le società ad investire in infrastrutture, settori giovanili, comunicazione, professionalizzazione dirigenziale. Quanto?....molto meno di quanto messo sul piatto dal Governo. Ci sarà la volontà?
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L'O PI N I O N E
Uscita Verona Sud di Daniela Scalia instagram dani_seamer TWITTER @DanielaScalia
Sport in MI minore, Montalbano e conflitto di interessi veneti
A
Verona Sud sono passati molti 'sport minori'. Io ho condotto vari magazine su 'sport minori' che prima o dopo, con risultati diversi, ho anche giocato. Non mi sono mai occupata però di definire cosa significhi, ma ieri guidando mi è venuto in mente che il tema è abbastanza curioso. Vedo che il politicamente corretto impone di mettere le virgolette al 'minore', anticipandolo spesso con un 'cosidettto'. Sono
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modi per prendere le distanze, per dire “minore sì, ma fino a un certo punto”. In genere per minore si intende uno sport poco giocato o poco seguito nell’area in cui si vive/scrive, e questo è comodo e abbastanza giusto. Il problema però è che si tende a credere che tutto il mondo sia una fotocopia allargata del nostro, anche se oggi, grazie ai social e alle vacanze all’estero, magari gli orizzonti si sono un po’ espansi. Problema un po’ più serio e diffuso è invece pensare che quando uno sport è minore o
maggiore in un posto resti tale per sempre. Questo impedisce di ragionare a lungo termine, e in un certo senso anche di guadagnare soldi. Quando non ha voglia di rispondere sulle sconfitte italiane al 6 Nazioni Luca (Tramontin, in arrivo un’intervista alla nitroglicerina su queste pagine, ndr) fa una faccia da sberle e dice: «Loro cianno Tradizzione». E cambia discorso, o a volte se ne va. Glielo facciamo fare nella fiction perchè... fa molte prove nella realtà.
Incontro a Pozzo su mercato tutelato e libero Incontro a Pozzo su mercato tutelato e libero
è del Gas io Si ha ricordato SiGastaldello è parlato parlato dell’abolizione dell’abolizione del mercato mercato stesso, con una semplice comunicazione Gas e e Luce Luce era era risultata risultata a a fine fine febbraio febbraio tutelato nell’incontro tenutosi lo scorIl presidente di Adiconsum Verona, Dala più conveniente a livello nazionale”. tenutosi lo scorpresidente di Dala più conveniente a livello nazionale”. tina Gasnell’incontro e Luce può containIl2020. bolletta, adAdiconsum aumentare prezzo Iltutelato passaggio è obbligatorio da luglio Lupatotina Gas eVerona, Luce il consiglia didella non aspettare gli ultimi so so 24 24 ottobre ottobre nell’ex nell’ex Chiesa Chiesa di di Pozzo Pozzo e e vide vide Cecchinato, Cecchinato, ha ha ricordato ricordato che che dal dal Migliaia Migliaia sono sono ii clienti, clienti, non non solo solo lupatolupatomesi. Sconto disu untutto centesimo al col metro cubo. entela ormai ilee tercomponente energia della mia fornitura, promosso da Lupatotina Gas Luce luglio del prossimo anno tutti ii clienti tini, che hanno già effettuato il passagpromosso da Lupatotina Gas Luce col luglio del prossimo anno tutti clienti tini, che hanno già effettuato il passagE quando ilèGiappone rischia meritatarugby, l’Lupatotina Aussie Rulesdal raccoglie milioni di consiglia sere molto più’ rilevante: lo è, ma ain quello senso Il passaggio obbligatorio da luglio 2020. Gas eaLuce di non aspettare ultimi comudovranno passare mercato tutelato a gio mercato tutelato libero patrocinio dell’Amministrazione comudovranno passare dal mercato tutelato a mediatico. gio dal dal mercato tutelato gli a quello libero esepatrocinio che nedell’Amministrazione sta apprezzando che ci si sulle ritrova forse risparmiare all’imente di andare in semifinale al Mondiale persone sedie di casa o degli “Oval”. Si è parlato dell’abolizione del mercato Gas e Luce era risultata a fine febbraio nale. A portare i saluti il consigliere dequello libero, sottolineando che “è vero con Lupatotina Gas e Luce. Tomelleri ha mesi.Adi Sconto di un centesimo al metro cubo. nale. portare i saluti il consigliere dequello libero, sottolineando che “è vero con Lupatotina Gas e Luce. Tomelleri ha Rugby, come la mettiamo aecotradizione Minore o maggiore, allora? E rischia dove? Nella seconda stagione di SPORT CRIME antaggi sotto il profilo nizio ma alla fine si di rimetterci. tutelato nell’incontro tenutosi lo scorIl presidente di Adiconsum Verona, Dala più conveniente a livello nazionale”. legato per la frazione Davide Bimbato. che nel mercato libero talvolta si possoinvitato, chi non lo avesse ancora fatto, legato contro per laScozia frazione Davide Bimbato. che nel mercato libero talvolta si possoinvitato, chi non lo avesse ancora fatto, o Irlanda? Dove è minoree o E se per fanta-sociologia emigrassero da faremo conoscere molti sport localissimi e so 24 ottobre nell’ex Chiesa di Pozzoalle vide Cecchinato, ha ricordato che dalè Migliaia sono i clienti, nonmesi solo potendo lupatoPresenti l’occasione l’assessore no trovare dei prezzi imbattibili, però a non gli anche laper per riassumere, che le norme Presenti pertrasparenza. l’occasione alle Diciamo, nonoi trovare prezzi però è sconosciuti, a non aspettare gli ultimi ultimi potendo Si è parlato dell’abolizione delNel mercato Gas e aspettare Luce era mixare risultata a mesi fine febbraio maggiore lo sport? l’assessore milionidei di Aussies, ilimbattibili, loro Football divogliamo ‘l’effetto Monpromosso da Lupatotina Gas e Luce col luglio del prossimo anno tutti i clienti tini, che hanno già effettuato il passagPartecipate Maria Luisa Meroni, che ha anche vero che il prezzo può essere mocosì usufruire di uno sconto di un Partecipate Maria Luisa Meroni, ha nel anche vero che il prezzo puòsono essere mocosì usufruire unoa sconto un centecentetutelato nell’incontro tenutosi loche scorIl presidente di tutelato Adiconsum Verona, Da- talbano’ la più conveniente livello nazionale”. E se dicessi che il Cricket sarà che uno degli venterebbe maggiore? Ci sarebbe una fran(posti poco di conosciuti che si di carierata è stato reso noto mercato maggiormenpatrocinio dell’Amministrazione comudovranno passare dal mercato tutelato a gio dal mercato tutelato a quello libero sottolineato come ormai è sempre più dificato. Basta che nel contratto che si simo al metro cubo per quanto riguarda sottolineato come sempre più cheha nelricordato chedal si cano simo al metro cubo per quanto so 24 ottobre nell’ex di Pozzo e dificato. vide Cecchinato, che Migliaia sono i clienti, non soloriguarda lupatosport più giocatiormai inChiesa Italiaènei prossimi dechigia a Basta Conegliano? Non ècontratto assolutamente di fascino e turismo via fiction) con nale. A giungono portare i saluti il consigliere delibero, sottolineando che “è vero Quando con Lupatotina e Luce. Tomelleri ha radicato il rapporto di società, infirma col proprio fornitore sia il gas metano. eriodo numerose adetto. favore del consumatore. siSienaGas radicato il da rapporto di questa questa società, in- tequello firma col proprio sia presente presente il gas metano. promosso Lupatotina Gas e Luce col luglio del prossimo anno tutti i clienti tini, che hanno giàassocio effettuato il passagcenni? Follia? Diamo un occhio ai flussi Se fossero da fornitore Sydney o Brisbane si l’effetto Palio di (lo a una atlegato per la frazionepubblico, Davide Bimbato. che nel mercato libero talvolta sifornitore posso- mosfera invitato, chi non lo avesseintorno). ancora fatto, teramente a capitale mentre una clausola autorizza teramente adell’Amministrazione capitale pubblico, mentre il passerà una clausola che autorizza ilUnion fornitore migratori (inporta realtà dipende anche dallail porterebbero ilche Rugby League, lo il e ci mercato costruisco le vacanze patrocinio comudovranno passare dal mercato tutelato aal gio dal tutelato a quello libero di venditori a haporta nel luglio 2020 tutti mercato Presenti per l’occasione l’assessore alle no trovare dei prezzi imbattibili, però è a non aspettare gli ultimi mesi potendo sindaco Attilio Gastaldello ricordato stesso, con una semplice comunicazione e dalGastaldello cambiamo e (volesse Signore...) il Cricket. Fossero conLupatotina una differenza: il Palio di Siena sindaco Attilio ha ericordato coniluna semplice comunicazione nale. ABrexit portare iCommonwealth) saluti il consigliere de- stesso, quello libero, sottolineando che “è vero Macon Gas e Luce. Tomelleri ha Partecipate Maria Luisa Meroni, che ha call center che telefonano a anche vero che il prezzo può essere molibero, aumenterà l’accaparramento alla così usufruire di uno sconto di un centecome Lupatotina Gas e Luce può contain bolletta, ad aumentare il prezzo della idea. da Melbourne penserebbero solo al “non lo giochichi a casa”, il Football come Gas eDavide Luce può conta- in bolletta, ad invece aumentare il prezzo della legatoLupatotina per la frazione Bimbato. che nel mercato libero talvolta si possoinvitato, noninvece lo avesse ancora fatto, sottolineato come ormai è sempre più dificato. Basta che nel contratto che si simo al metro cubo per quanto riguarda re su una clientela ormai su tutto il tercomponente energia della mia fornitura, EGas nel 2004 volevamo mettere la clientela oenergia Australian Football. (giàIn presentegli nella primamesi stagio-potendo re su una clientela ormai su tutto il alle tercomponente della mia esponenziale. fornitura, Presenti per l’occasione l’assessore no“Victorian” trovare dei prezzi imbattibili, però è Gaelico a nonsì aspettare ultimi atotina equando Luce. in maniera radicato il rapporto di questa società, in- firma col proprio fornitore sia sportiva presente il episodio gas metano. ritorio veronese che ne sta apprezzando che ci si ritrova forse a risparmiare all’iHaka degli All Blacks nella sigla di Total Questo per dire quanto la geografia ne, 4, grazie ad Ascaro Rovigo, ritorio veronese che ne sta apprezzando che ci si ritrova forse a risparmiare all’iPartecipate Maria Luisa Meroni, che ha anche vero che il prezzo può essere mo- così usufruire di uno sconto di un centeegnalato episodi alle caso ilche portale offerte ci puòsimo aiutare teramente avantaggi capitale pubblico, mentre il ogni una autorizza fornitore non solo iiquesti sotto profilo ecoma alla fine si di rimetterci. Rugby? Il direttore di rete che l’Italia siaclausola mobile, complessa erischia in rapida Padova e Stefano PS: riguarda in non solo vantaggi sotto il disse profilo econizio ma Basta alla fine si rischia diilevoluzione. rimetterci. sottolineato come ormai èil sempre più è nizio dificato. che nel contratto che si Paddies al metro cuboBettarello). per quanto sindaco Attilio Gastaldello ha ricordato stesso, con una semplice comunicazione nomico ma anche la trasparenza. Nel Diciamo, per riassumere, che le norme terra di calcio, che dovevamo “togliere quel La tradizione conta, ma non è una garanzia Irlanda le finali di Gaa e Hurling riempiono petenti. Noi non telefoniaper mettere a confronto le offerte. Basta nomico anche di la questa trasparenza. riassumere, norme il gas metano. radicato ma il rapporto società,Nel in- Diciamo, firma col per proprio fornitoreche sia le presente come Lupatotina e Luce può contain bolletta, adtutelato il maggiormenprezzo della corso della serata è reso noto che nel mercato ballètto” (allaGas milanese) e che ilmentre rugby non permanente, èaumentare soggetta asono erosioni, crescite e regolarmente il Croke Park, dài un’occhiata corso della serata è stato stato reso noto che nel mercato tutelato sono maggiormenteramente a capitale pubblico, il una clausola che autorizza il fornitore nessuno né facciamo iltutto porconsultare ilorganismo. sito www.ilportaleofferte. re su una clientela ormai su il tercomponente energia della mia fornitura, in questo periodo giungono numerose te a favore del consumatore. Quando si sarebbe mai esploso. Poco dopo Iveco mise cali, come ogni in questo periodo giungono a favore del consumatore. Quando si a quanti spettatori “minori” contiene. sindaco Attilio Gastaldello hanumerose ricordato te stesso, con una semplice comunicazione ritorio veronese che ne sta apprezzando che ci si ritrova forse a risparmiare all’i- Sì, ci sarà un dichiarato e sfrontato conflita segno una delle partnership commerciaLa Pallanuoto in Liguria, l’Hockey Alto segnalazioni di venditori porta a porta passerà nel luglio 2020 tutti al turbando così la gente”, ha it”. segnalazioni di venditori porta porta passerà nelad luglio 2020 tutti alinmercato mercato come Lupatotina Gas e Luce puòacontain bolletta, aumentare il prezzo della li più efficaci del decennio (Camion-All Adige, il Rugby in certe aree del Veneto non solo i vantaggi sotto il profilo econizio ma alla fine si rischia di rimetterci. ma anche di call center che telefonano a libero, aumenterà l’accaparramento alla ma anche di call center che telefonano a libero, aumenterà l’accaparramento alla to di interesse. Importati o no che siano, re su una clientela ormai su tutto il tercomponente energia della mia fornitura, ministratore unico di Lupa-Nel Marcello Cino, responsabile Blacks). sono sport maggiori, hanno percentuali che In gliamminiSport Veneti (maiuscolo) verranno nomico ma anche la trasparenza. Diciamo, per riassumere, che le norme nome di Lupatotina Gas e Luce. clientela in maniera esponenziale. nome Lupatotina e Luce. in maniera In ritorio di veronese che Gas ne sta apprezzando clientela che ci si ritrova forse a esponenziale. risparmiare all’iELoriano il rugby è diventato maggiore. vanno lette dueLupatotina volte.offerte Decenni fapuò Luciano montalbanizzati corso della serata è stato reso noto che nel mercato tutelato sono maggiormen“Abbiamo segnalato questi episodi alle ogni caso il portale ci aiutare Luce Tomelleri.” strativo di Gas e Luce, hae sienizzati pesantemente “Abbiamo segnalatosotto questi alle ogni il portale aiutare non solo i vantaggi il episodi profilo econizio caso ma alla fine siofferte rischiacidipuò rimetterci. E poi c’è la questione dell’audience. Esempi teper Ravagnani (sul Gazzettino)le aveva detto Basta nella nostra fiction, per rinforzarli in casa in questo periodo giungono numerose a favore del consumatore. Quando si autorità competenti. Noi non telefoniamettere a confronto offerte. autorità competenti. non telefoniaper mettere a riassumere, confronto le quanto offerte. Basta nomico della ma anche laNoi trasparenza. Nel spiegato Diciamo, per che le norme servire nostra società che “per le tesseramenti, impianti estremi: Wrestling e Formula guardia(vado anel memoria...) che l’Inter per riguarda e fuori, per favorire segnalazioni di venditori porta1.aSeporta passerà luglio tuttidialcalcio mercato mo a di nessuno né il consultare il sito www.ilportaleofferte. mo a casa casa diserata nessuno né facciamo facciamo il porporconsultare iltutelato sito 2020 www.ilportaleofferte. corso della è stato reso noto che nel mercato sono maggiormenmolo idisturbando tesserati sono ridicoli, seperguardiamo il libero, pareggiare il conto abitanti/spettatori disulla un Anche perchè così quando siaceglie, e fa pensiamo che sil’accaparramento leggono bolletta, ma di call center che telefonano a spese aumenterà alla e sviluppo. ta porta così la ha it”. ta aanche porta disturbando così la gente”, gente”, ha it”. in a questo periodo giungono numerose te derby a favore del consumatore. Quando si mo in giro per lavoro possiamo fermarci a seguito televisivo il diagramma si rovescia. col Petrarca avrebbe dovuto portare di Lupatotina Gas alle e unico Luce. clientela inCino, maniera esponenziale. In ribadito l’amministratore di LupaMarcello responsabile ribadito l’amministratore di LupaMarcello Cino, responsabile amminiei nome servizi superiori altre per ilteste trasporto la gestione segnalazioni venditori porta porta passerà nel luglio 2020 tutti aleamminimercato Eppure c’di èLuce ancora chi tiunico chiede laamail col quelle due milioni di allo stadio. giocare... del “Abbiamo segnalato questi episodi alle ogni caso il portale offerte ci può aiutare totina Gas e Loriano Tomelleri.” strativo di Lupatotina Gas e Luce, ha totina Gas e Luce Loriano Tomelleri.” strativo di Lupatotina Gas e Luce, ha ma anche di call center che telefonano a libero, aumenterà l’accaparramento alla “numero di tesserati, scusa ma sono prati-contatore, Stiamo preparando unquanto magnifico episodio Chiudo citando ndita. Pensiamo ad esempio oneri diriguarda sistema, altre im-una frase (indovinate un autorità competenti. Noi telefoniamettere a gli confronto le offerte. Bastale Chi vuole servire della nostra spiegato che “per Chi si si di vuole servire dellaenon nostra società per spiegato che “per quanto riguarda le po’ chi l’ha detta ieri al pub…): nome Lupatotina Gas Luce. società clientela in maniera esponenziale. In co, guardo le cifre”. sulla Pallapugno a Imperia: localissimo mo a casa ci disceglie, nessuno facciamo il porconsultare il si www.ilportaleofferte. è perché e né lo fa pensiamo perspese che leggono sulla bolletta, e conguaglio che ormai non poste equalche IVA, sono uguali per tutti ven- degli sport, li facciamo è perché ci sceglie, lo fa pensiamo perspese che sisito leggono sulla bolletta, “Abbiamo segnalato questi episodi alle ogni caso il portale offerte ci tra può aiutare Altro esempio: ile Football Australiano. Mi(con decina di squadre Liguria «Siamoimusicisti taché a porta disturbando così la gente”, ha it”. diamo dei servizi superiori alle altre quelle per il trasporto e la gestione del ché diamo dei servizi superiori alle altre quelle per il trasporto e la gestione del autorità competenti. Noi non telefoniapere Piemonte), mettere ama confronto lefosse offerte. Basta nore ovunque,un crollato in Italia (c’erano 9 ditori. se Imperia stata una passare MI doghe (minore) al MI magù ribadito da almeno decennio LaCino, voce che invece varia indalbase l’amministratore unico Lupa- Marcello responsabile amminisocietà di vendita. Pensiamo ad esempio gli oneri di altre società di vendita. Pensiamo addi contatore, oneri di sistema, sistema, altre imim- giore». mo a casa di nessuno facciamo por- contatore, consultare ile avesse sito www.ilportaleofferte. squadre maschili, 4né femminili eesempio 3 il disabili) Repubblicagli invaso la Finlandia totina e Luce Loriano Tomelleri.” strativo Lupatotina Gas Luce, ha alla spesolo alla voce conguaglio che ormai non e IVA, sono per tutti ii venamo ilGas contatore sette/otto venditore èsi uguali quella relativa solo alla voce che ormaispesnon poste e di IVA, sono uguali pere quel tutti venta a porta disturbando la gente”, ha alposte it”. ma in TVconguaglio vi assicurocosì che superava adesso a Helsinki giocherebbe bel“Doghe” è la prima persona singolare del Chi si vuole servire della nostra società spiegato che “per quanto riguarda le facciamo più da almeno un decennio ditori. La voce che invece varia in base facciamo più da almeno uncomunque) decennio La voce che invece varia base sissimo ilconsumatore rugby (cancellato lissimo sport. Localissimo? Sì,e come ilinPalio verbo l’energiocare in bellunese, al giorno d’oggi ribadito l’amministratore unico disa Lupa-e saditori. Marcello Cino, responsabile amminiper cui il per materia gas quella per èpoiché perchéleggiamo ci sceglie,dove lotutti fa pensiamo per-il spese chechesiperò sulla bolletta, contatore sette/otto al venditore è quella relativa alla spepoiché leggiamo ile Loriano contatore sette/otto Australia, credono “vinca” di Siena, ci dà l’impressione di esal venditore è leggono quella relativa alla spetotina in Gas e Luceil Tomelleri.” strativo di Lupatotina Gas e Luce, ha se non sai due o tre lingue... quanto paga incui un anno”. ché diamo dei per servizi superiori alle altre elettrica. Quella per cui quelle per il trasporto e la gestione del Lupatotina volte il sa sa per materia gas e quella per volte l’anno, per cui il consumatore consumatore sa gia sa per materia gas e quella per l’enerl’enerChi sil’anno, vuole servire della nostra società spiegato che “per quanto riguarda le società di vendita. Pensiamo esattamente quanto in un anno”. esattamente quanto paga inad unesempio anno”. è perché ci sceglie, epaga lo fa pensiamo persolo alla voce conguaglio che ormai non ché diamo dei servizi superiori alle altre facciamo più da almeno un decennio società di vendita. Pensiamo ad esempio poiché leggiamo il contatore sette/otto solo alla voce conguaglio che ormai non volte l’anno, per cui il consumatore sa facciamo più da almeno un decennio esattamente quanto paga in un anno”. poiché leggiamo il contatore sette/otto volte l’anno, per cui il consumatore sa esattamente quanto paga in un anno”.
contatore, gli oneri di per sistema, altre imgia elettrica. cui gia elettrica. Quella per cui Lupatotina spese che siQuella leggono sullaLupatotina bolletta, poste e IVA, sono uguali per tutti i venquelle per il trasporto e la gestione del ditori. La voce che invece varia in base contatore, gli oneri di sistema, altre imal venditore è quella relativa alla speposte e IVA, sono uguali per tutti i vensa per materia gas e quella per l’enerditori. La voce che invece varia in base gia elettrica. Quella per cui Lupatotina al venditore è quella relativa alla spesa per materia gas e quella per l’energia elettrica. Quella per cui Lupatotina
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FO CUS GENITORINRETE
Smartphone e gestione del tempo: come dare il buon esempio
L’
di Ale Ziliotto
utilizzo del cellulare ha invaso completamente la tua vita. Dal mattino alla sera (ma anche di notte) e per ogni ambito dei tuoi interessi sembra che tutta la tua vita passi attraverso il display luminoso del tuo smartphone. Dai gruppi WhatsApp, ai social, alle mail, alla ricerca di informazioni, la tua vita è scandita dal suono delle notifiche. È un costume talmente radicato che quasi non ci fai più caso: interrompi quello che stai facendo per vedere a cosa corrisponde quel “dlin” del telefono. E questo indipendentemente da quello che stai facendo: tanto sono pochi secondi, cosa vuoi che sia?
Tempo e utilizzo dello smartphone: l’impatto delle interruzioni In realtà questi pochi secondi hanno un impatto enorme: • se misuri il tempo dedicato a ogni notifica, ti renderai conto di quanto tempo hai passato con il telefono in mano; • nel momento in cui prendi il telefono, il tuo cervello viene catturato da un sistema che è programmato proprio per trattenere la tua attenzione; • interrompere quello che stai facendo fa precipitare la tua produttività. Si chiama multitasking ed è un’illusione; • non sei più tu a controllare il telefono ma è il telefono che controlla la tua vita; • la conclusione di questa carrellata è che sei perennemente distratto e con metà cervello in ostaggio di pensieri che ti assorbono tempo ed energie. Se questo vale per gli adulti, a maggior ragione vale per i ragazzi: sembra che non possano più vivere senza smartphone. Il risultato è che sono distratti e soprattutto non si annoiano mai. I neuroscienziati sostengono che la noia sia fondamentale per sviluppare la creatività.
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Le parole non bastano: come dare il buon esempio La soluzione non è dire ai figli di staccarsi dal telefono. È necessario dare il buon esempio: un’educazione consapevole all’utilizzo del telefono. Stare attaccati allo smartphone non è sbagliato in sé, quello che va valutato è se si tratti di una scelta consapevole o di un’abitudine, quasi una dipendenza. Nel mio lavoro aiuto le persone a organizzare meglio le giornate per avere più tempo e l’uso dello smartphone è uno dei problemi principali. Ecco 5 cose che puoi fare subito per avere più tempo e, soprattutto, essere di esempio a tuo figlio: 1. verifica a fine giornata quanto hai usato il telefono. Ci sono apposte app, ma i nuovi telefoni hanno questa funzione già integrata. Ti sembra di non avere mai tempo? Guarda dove lo stai sprecando; 2. fai una cosa alla volta. Se stai scrivendo una mail o stai giocando con tuo figlio: fai solo quello. Silenzia il cellulare e non farti distrarre; 3. disabilita internet quando stai facendo qualcosa
d’importante. Se devi essere reperibile per l’asilo di tuo figlio, o per la tua famiglia, con la modalità “non disturbare” il telefono blocca tutto tranne le telefonate dei numeri “preferiti”; 4. decidi quanto tempo vuoi dedicare alla vita social. All’inizio potresti sentire un po’ d’ansia perché pensi di rimanere “tagliato fuori”, si chiama FOMO (Fear of Missing Out), ma presto ti renderai conto che non ti stai perdendo proprio niente; 5. crea delle zone in casa “Smartphone free” dove il telefono non può entrare, come la camera da letto o la sala da pranzo. La tecnologia rappresenta un’opportunità, ma solo se usata con consapevolezza. Per questo gli adulti devono essere i primi a diventare consapevoli, per poi riuscire a trasmettere, con l’esempio, un modo più sano di approcciarsi alla tecnologia. Se vuoi approfondire i temi legati all’organizzazione personale puoi seguire Ale sul blog organizzatessen.it
EVENTO
Gestione, Comunicazione, Marketing: come combattere tre limiti delle ASD a cura della Redazione migliorare e poniamo l’accento sul modo più efficace di comunicare sia all’interno della associazione che all’esterno. Comunicati stampa e rapporti con i media tradizionali vengono considerati assieme. Tanta attenzione è dedicata poi al recruiting di nuovi soci, alla ricerca ed al mantenimento degli sponsor, alle best practice da portare avanti con semplicità ed efficacia nei rapporti con i dirigenti, tecnici, atleti e genitori. Seguiamo tutti passo a passo, quasi fosse una consulenza. La forza e l’unicità dei nostri corsi sono il tiro sportivo degli stessi, il divertimento e la sperimentazione costante: i risultati sono poi garantiti dall’esperienza di anni di lavoro sul campo”.
Lucio Taschin
A
lzi la mano chi all’interno di una società sportiva non ha mai sentito le seguenti affermazioni: “Qui servono più risorse!” oppure “Facciamo un sacco di attività di promozione ma gli atleti non vengono!” e ancora “Siamo sempre gli stessi a lavorare mentre gli altri criticano su Whatsapp”! In sostanza, in molte, moltissime Associazioni Sportive Dilettantistiche, il tema gira attorno a tre grandi ‘totem’, a tre grandi limiti: non ci sono i soldi, non abbiamo tempo, manca gente che collabora. «Questi assunti sono veri, ed anche no». A sostenerlo sono tre professionisti del settore (Lucio Taschin, Marco Cernaz e Enrico Marchetto) che il 20 e 21 marzo porteranno per la prima volta in Veneto il loro Percorso di Gestione, Comunicazione & Marketing per le
ASD dedicato a tutti i presidenti, dirigenti e collaboratori delle associazioni del territorio. “Il mondo cambia ogni giorno” – commenta Marco Cernaz, fondatore ed amministratore della City Media S.r.l di Trieste, azienda di comunicazione e marketing organizzatrice dell’evento – “le associazioni un po’ meno. Il caro e vecchio ‘Qua si è sempre fatto così’ pesa come un macigno su molte Asd e su molte realtà del terzo settore. Va bene e si può andare avanti, migliorare, consci del fatto che, anche da un punto di vista gestionale e normativo, le associazioni nei prossimi anni saranno sempre più simili a piccole aziende”. Gli obiettivi e la struttura del corso sono spiegati nel dettaglio da Lucio Taschin (consulente di comunicazione e marketing sportivo): “L’iniziativa che proponiamo è “ecologica”, ossia tarata su investimenti sostenibili per tutti, sia in termini finanziari che di tempo. L’incontro è esperienziale e si articola in una giornata e mezza di lavoro in gruppo, caratterizzato da un continuo confronto tra docenti e partecipanti. Il nostro approccio è ‘sartoriale’ ossia tarato sulle concrete necessità di ogni specifica associazione. Con il professor Marchetto (docente universitario e autore di recente del libro Facebook e Instagram edito da Apogeo, ndr) profiliamo i siti web, pagine Facebook e profili Instagram delle associazioni presenti: miglioriamo quello che c’è da
Per info e iscrizioni: corsi.citysport@gmail.com Cell. 3381269608 - 3406403703
Enrico Marchetto
Marco Cernaz
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ATA R E I H C S A S E DIF
Il Premio di Preparazione, una cosa... per giovani!
C
a cura degli avvocati Marco Lo Scalzo, Paolo Romor, Paolo Emilio Rossi
ontinua la collaborazione tra SportdiPiù magazine Veneto e i professionisti di YouSport Venezia. Su questo numero verrà trattato il tema del Premio di Preparazione tra società calcistiche così come recentemente modificato. Il Premio di Preparazione (P.di P.) consiste nel riconoscimento economico alle società che hanno formato giovani calciatori e matura al momento della stipulazione del primo tesseramento pluriennale. Tale premio ha come finalità quella di supportare ed incentivare la formazione di giovani calciatori e premiare le società dilettantistiche che si occupano del settore giovanile. Ma vediamo nel dettaglio la normativa che prevede appunto il P.di P. e quindi, in particolare l’art. 96 delle Norme Organizzative Interne F.I.G.C. (le cosiddette NOIF), che il Consiglio Federale ha modificato nella seduta del 30.05.2019. Per comprendere meglio questo istituto fondamentale nella valorizzazione economica dei giovani calciatori, trascriviamo il predetto art. 96 NOIF ed in articolare il primo comma che prevede: “Le società che richiedono per la prima volta il tesseramento come “giovane di serie”, “giovane
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dilettante” o “non professionista” di calciatori/calciatrici che nella/e precedente/i stagione/i sportiva/e siano stati tesserati come “giovani”, con vincolo annuale, per la società della Lega Nazionale Dilettanti e della Lega Pro, sono tenute a versare alla o alle Società per le quali il calciatore/calciatrice è stato precedentemente tesserato, un “premio di preparazione” sulla base di un parametro -raddoppiato in caso di tesseramento per società delle Leghe Professionistiche- aggiornato al termine di ogni stagione sportiva in base agli indici ISTAT per il costo della vita, salvo diverse determinazioni del Consiglio Federale e per i coefficienti indicati nella specifica tabella al comma 5 del presente articolo”. Le categorie interessate Analizzando nel dettaglio tale articolo, chiariamo innanzitutto il riferimento alle 4 distinte categorie di calciatori menzionate: - sono qualificati giovani tutti i calciatori dagli 8 anni fino a che non abbiano compiuto il 16 anno di età al 1° gennaio dell’anno in cui ha iniziato la stagione sportiva; - a partire dal compimento dei 14 anni, invece, i calciatori giovani se vengono tesserati da una società appartenente a Leghe professionistiche saranno inquadrati come giovani di serie;
- i calciatori che vengono invece tesserati da una società dilettantistica assumeranno la qualifica di giovani dilettanti fino al raggiungimento dei 18 anni di età; - compiuti i 18 anni saranno definiti dilettanti o non professionisti. Quindi il primo tesseramento pluriennale di un calciatore appartenente alla categoria “giovani” è il presupposto che fa scattare il diritto a ricevere il P.di P. Quali sono le società che hanno diritto ad ottenere il premio e quali quelle che sono tenute a riconoscerlo? L’art. 96 prevede che il P. di P. spetti, alle società di Serie A e serie B con una limitazione: ovvero è riconosciuto unicamente nel caso in cui il calciatore venga tesserato da una squadra appartenente alla stessa Lega. Norma analoga vale anche per le società di Calcio Femminile associate alle Lega Nazionale Professionisti Serie A o alla Lega Nazionale Professionisti Serie B o siano controllate da Società associate a tali due Leghe Professionistiche. Invece per quanto riguarda le società di Serie C, il diritto è più ampio, perché spetta nel caso di tesseramento sia da parte di una squadra della stessa serie, che da parte di società delle due categorie superiori.
Ancora più ampio è il diritto riconosciuto alle società della Lega Nazionale Dilettanti, che possono richiedere il premio anche alle società appartenenti alle Leghe superiori. Va chiarito infine che il nuovo art. 96, limitando il P. di P. alle società professionistiche e a quelle iscritte alla Lega Nazionale Dilettanti, espressamente esclude le Associazioni che svolgono esclusivamente attività a livello di Settore Giovanile e Scolastico ovvero le c.d. “Scuole Calcio”. Queste ultime, prima della predetta modifica, avevano diritto infatti a beneficiare del premio quando il giovane si trasferiva dalla stessa ad un club professionistico o dilettantistico. Con la nuova normativa invece le Scuole Calcio, se vorranno continuare ad usufruire del P. di P., non
potranno avere solo il settore giovanile ma dovranno avere necessariamente una squadra che partecipi ad uno dei campionati della Lega Nazionale Dilettanti. Altra importante modifica prevista dalla nuova norma è rappresentata dal fatto che, oggi, possono richiedere il premio le ultime 3 società detentrici del vincolo annuale nelle ultime 5 stagioni. La vecchia normativa prendeva in considerazione invece le ultime 2 società negli ultimi 3 anni. In tal modo risulta ampliata la platea delle società che possono ottenere un corrispettivo, il che appare del tutto condivisibile, a giudizio di chi scrive, poiché così viene riconosciuto il lavoro di chi nel tempo ha contribuito alla crescita del calciatore con indubbio e positivo effetto incentivante per l’intero sistema.
La suddivisione del premio, tra le società aventi diritto, avverrà attribuendo 1/5 del premio per ognuno degli anni da prendere in considerazione e riconoscendolo alla società di appartenenza per ciascun anno. Un aspetto importante da evidenziare è l’ipotesi in cui nella stagione sportiva del primo tesseramento ne avvenga anche un secondo: in tal caso, la norma prevede, che entrambe le società siano coinvolte e tenute a versare il premio di preparazione e ciò sia se il tesseramento sia avvenuto a titolo definitivo che temporaneo. Da ultimo vediamo in estrema sintesi come procedere se il premio non venga corrisposto spontaneamente: la società avente diritto dovrà presentare un ricorso, alla Commissione Premi presso la FIGC, a mezzo raccomandata a.r. inviata sia alla Commissione stessa che alla società tenuta al pagamento. La norma prevede infine che le società che hanno diritto al premio possano rinunciarvi o possano trovare un accordo con le società tenute al versamento; in ogni caso è bene prestare attenzione al fatto che il diritto al premio si prescrive al termine della stagione sportiva successiva a quella in cui è maturato: scaduto tale termine, quindi, non sarà più possibile richiedere e ottenere il pagamento. L’entità del premio di preparazione va calcolata applicando i coefficienti (differenziati per categoria e stagione sportiva) previsti nella tabella contenuta nel comma 5 dell’art. 96, ad un valore di base aggiornato ogni anno in base agli Indici Istat e che per la stagione sportiva 2019/2020 è pari a 556 euro.
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EVENTO
Cortina d'Ampezzo, la Regina dello sci internazionale a cura della Redazione - Foto: Fondazione Cortina 2021
S
ono due i grandi appuntamenti che attendono Cortina d’Ampezzo da qui al prossimo anno. Dal 18 al 22 marzo 2020, la Regina delle Dolomiti ospiterà le Finali di Coppa del Mondo di sci alpino: cinque giorni di gare ed eventi, due
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Coppe del Mondo generali, due Coppe del Mondo di nazione e dodici Coppe del Mondo di specialità, 150 atleti partecipanti e 600 rappresentanti media per un evento memorabile di sport, che segnerà tra l’altro il grande ritorno dello sci maschile a Cortina d’Ampezzo.
L’anno prossimo, dall’8 al 21 febbraio 2021, invece, a Cortina si svolgeranno i Campionati del mondo di sci alpino. 14 giorni di gare ed eventi che porteranno sulle Dolomiti oltre 600 atleti da 70 nazioni, pronti ad aggiudicarsi i 13 titoli mondiali in palio: discesa libera (ma-
in scena anche le gare di slalom e Team Event. Accanto all’Olympia, la nuova pista Vertigine, con una pendenza media del 32%, fino a un massimo del 73%, ospiterà le gare maschili di discesa libera e superG.
CALENDARIO Questo il calendario
ufficiale:
Le gare, i campioni, le piste. Vivi l’adrenalina e le emozioni delle Finali di Coppa del Mondo di sci alpino 2020.
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MARZO 2020
tari, tecnici, preparatori atletici, skimen e dirigenti. A tifare per loro oltre 120 mila spettatori presenti nel corso delle due settimane di eventi e almeno 500 milioni di persone collegate in diretta televisiva da tutto il mondo attraverso 1.600 media accreditati. A questi numeri si somma la popolazione digitale, presente con contatti, condivisioni, relazioni peer-to-peer, attraverso le più diverse interazioni social e dei nuovi media. Le Finali di Coppa del Mondo di sci alpino 2020 e i Campionati del Mondo di sci alpino 2021 sono organizzati da Fondazione Cortina 2021, organismo presieduto da Alessandro Benetton e diretto dall’AD Valerio Giacobbi. Membri fondatori sono FISI (Federazione Italiana degli Sport Invernali), Comune di Cortina, Provincia di Belluno e Regione Veneto, mentre sono membri onorari il CONI e la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Fondazione Cortina 2021 opera a stretto contatto e in piena sinergia con una serie di stakeholder locali, tra cui l’Associazione Albergatori di Cortina, il Consorzio Impianti a Fune, le Regole d’Ampezzo, Fondazione Dolomiti UNESCO e tutte le autorità locali.
schile e femminile), super G (maschile e femminile), slalom gigante (maschile e femminile), slalom (maschile e femminile), parallelo individuale (maschile e femminile), combinata alpina (maschile e femminile) e team event. Ad assisterli 6.000 persone tra addetti ai lavori, volon-
Il calendario delle Finali 2020 Gli atleti dello sci alpino maschile e femminile più forti del mondo si sfideranno sulle nevi di Cortina d’Ampezzo in occasione delle Finali di Coppa del Mondo, in programma dal 18 al 22 marzo 2020. Gli atleti si sfideranno sulle celebri piste rinnovate in vista di Cortina 2021: tutte le gare femminili e lo slalom gigante maschile si disputeranno sull’Olympia delle Tofane che è stata sottoposta a un’importante opera di restyling. La novità più evidente è a Rumerlo, dove andranno
DH TRA UOMINI
DH TRA DONNE
DISCESA LIBERA
DISCESA LIBERA
10:00
11:30
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MARZO 2020 DH TRA UOMINI
DH TRA DONNE
DISCESA LIBERA
DISCESA LIBERA
09:30
11:00
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MARZO 2020 DH UOMINI DISCESA LIBERA
DH DONNE 09:30
DISCESA LIBERA
11:00
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MARZO 2020 SG UOMINI SUPERG
SG DONNE 11:30
SUPERG
10:00
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MARZO 2020 ATE TEAM EVENT
11:45
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MARZO 2020 GS UOMINI
SL DONNE
SLALOM GIGANTE
SLALOM SPECIALE
09:00/ 12:15
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MARZO 2020 SL UOMINI
GS DONNE
SLALOM SPECIALE
SLALOM GIGANTE
10:00/ 13:15
09:00/ 12:15
Nella stagione senza appuntamenti con le medaglie, le classiche di Coppa del mondo dello sci alpino rappresenteranno il massimo obiettivo stagionale per gli atleti di tutte le Nazionali. Cortina d’Ampezzo ospiterà infatti le Finali, dove le sfere di cristallo saranno assegnate, e dove gli atleti di entrambi i circuiti, quello maschile e quello femminile, si ritroveranno per gli ultimi cinque giorni di gare. Un punto di arrivo della stagione agonistica che prevede un avvicinamento importante per tutti gli atleti e che, dopo l’avvio di stagione nel consueto appuntamento di Soelden, li vede impegnati sulle piste italiane da dicembre.
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I volontari, anima dei Mondiali L’anima dei grandi eventi sportivi sono i volontari: centinaia, migliaia di persone che decidono di dedicare parte del loro tempo libero per portare il proprio contributo alla miglior riuscita possibile dell’evento. Saranno circa 1.200 le persone coinvolte per Cortina 2021: giovani, adulti e senior. Una partecipazione trasversale, tanto da rendere l’esperienza dei volontari sia un’opportunità di tipo professionale, sia una possibilità per realizzare il desiderio di sentirsi parte di un progetto più grande. Il “Progetto volontari” è lo strumento attraverso il quale Fondazione Cortina 2021 sta impostando un database di contatti nel quale inserire le candidature, oltre ad attivare accordi con FISI del Veneto e delle regioni circostanti, collegi dei maestri di sci, scuole, Università, associazioni di volontariato e istituzioni. La costruzione di un grande evento, un cammino che guarda al futuro, al territorio e alla sostenibilità attraverso valori quali il coinvolgimento e l’innovazione. Corty, mascotte ‘Mondiale’ Curioso, affettuoso, divertente. Ma anche sportivissimo e veloce come una “scheggia”: è Corty, lo scoiattolo rosso, mascotte di Cortina 2021. Un personaggio che nasce dalla tradizione e dalla storia della Regina delle Dolomiti, perché il simpatico roditore è ormai inscindibilmente le-
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gato all’immaginario collettivo di Cortina d’Ampezzo, e compare anche nel logo turistico della località. Lo scoiattolo è simbolo di Cortina sin dal 1939, quando nacque il gruppo alpinistico degli ‘Scoiattoli di Cortina’, ed è anche la mascotte della squadra locale di hockey. Corty affiancherà Fondazione Cortina 2021 nel ‘Cortina 2021 on tour – season 1’, il tour internazionale che, a partire dall’Opening ufficiale della stagione sciistica di Soelden, tocca diverse località, in Italia e all’estero, con l’obiettivo di promuovere le Finali di Coppa del Mondo del 2020 e i Campionati del Mondo di sci alpino del 2021. In calendario diverse tappe di Coppa del Mondo, come ad esempio Gardena, Alta Badia, Bormio, Madonna di Campiglio ed eventi, locali e nazionali, dal Cortina Fashion Weekend allo Skipass Modena, solo per citarne alcuni. Le infrastrutture. Per la realizzazione delle infrastrutture, sportive e non, legate alla miglior riuscita possibile dei Campionati del Mondo di Sci Alpino 2021, il Governo ha nominato un commissario, l’Ing. Valerio Luigi Sant’Andrea, con il compito di guidare le procedure per la realizzazione, entro i tempi stabiliti, di tutte le strutture necessarie alla disputa dei Campionati del Mondo di sci alpino 2021. Di seguito, un elenco completo delle opere in corso di esecuzione.
Piste • Pista “Olympia delle Tofane”: la storica pista in Tofana ha subito un importante restyling ed è stata dotata di tutti i sotto-servizi necessari (es. realizzazione dei cablaggi per fibra e cronometraggio, posa di nuove protezioni di sicurezza, nuovissimo sistema d’innevamento artificiale); • Pista “Vertigine”: è la pista che ospiterà le discipline veloci maschili dei Campionati; è stata oggetto di lavori di movimentazione terra e implementazione di sotto-servizi. Lunga 2.850 metri, presenta un dislivello di 820 metri, una pendenza massima del 71% e media del 56%. • Piste “Druscié A” e “Druscié B”: lavori di messa a norma dei tracciati, sistema di innevamento artificiale e skiweg di collegamento. In particolare, la Druscié A presenta ora una pendenza fino al 52% su uno sviluppo complessivo di 500 m, dove si disputeranno le gare di slalom speciale dei Mondiali.
• Pista “Lino Lacedelli” in 5 Torri, per le gare di qualificazione per le prove di slalom gigante e slalom speciale, completa di tutti i sotto-servizi e sistema di innevamento artificiale. • Pista “Stries”: lavori di rifacimento della pista per raggiungere il centro di Cortina sci ai piedi e implementazione del sistema di innevamento artificiale. • Nuova finish area di Rumerlo: la nuova area d’arrivo è lunga 120m e larga 80m ed è in grado di accogliere, grazie all’allestimento di strutture temporanee, circa 20mila persone. • Nuova finish area in zona Druscié, capace di accogliere eventi e manifestazioni durante tutto l’arco dell’anno. • Nuovo skiweg Rumerlo-Druscié di collegamento tra le due nuove finish area. • Realizzazione di tre tunnel (Sorgente, Festìs e Rumerlo) di collegamento sciistico per le piste Olympia e Vertigine; Impianti e opere • Cabinovia Cortina-Col Druscié (“Freccia nel
Cielo”), con stazione intermedia a Colfiere, impianto di nuova concezione che sostituirà il primo troncone dell’attuale funivia Freccia nel Cielo, con cabine di 10 persone che permetteranno una portata massima di 1.800 persone l’ora rispetto alle 600 della funivia attuale. • Cabinovia Son dei Prade-Bai de Dones, un collegamento che collegherà Pocol (nel comprensorio della Tofana) con la ski area del Lagazuoi-Cinque TorriCol Gallina, dotato di una stazione intermedia in località Canzopé. La cabinovia avrà una potenzialità massima di trasporto fino a 1.800 persone l’ora, sarà lungo 4,5 km e sostenuto da 31 piloni. • Sistema antivalanghivo per la messa in sicurezza dal rischio valanghe del tracciato della pista Vertigine e che interessa l’area Tofana-Ra Valles, che resterà come eredità infrastrutturale duratura per l’uso turistico. • Bacino idrico 5 Torri di 20mila m³ e una superficie di 4.350m² presso la stazione di valle della seggiovia Potor, ai piedi del Monte Averau (2.100m. di altitudine). Legato al progetto dei Campionati del Mondo di sci, è previsto anche il rifacimento del tratto stradale di accesso a Cortina d’Ampezzo, progetto che comunque resta completamente in capo ad ANAS per quanto attiene a progettazione e realizzazione. Cortina: lo sport nel DNA Lo sci alpino è nel DNA storico di Cortina, che ospita la sua prima gara del Circo Bianco, una discesa libera maschile, il 2 febbraio 1969. Dopo questo primo appuntamento, negli anni Settanta e Ottanta, vengono organizzate sull’Olympia delle Tofane diverse gare di Coppa del Mondo, sia maschili che femminili; ma è il 1993 ad essere l’anno della consacrazione della tappa di Cortina come “Classica” dello sci femminile, che entra così di diritto nel Gotha dello sci mondiale quale località italiana che ha ospitato più gare di Coppa del Mondo con ben 100 gare complessive, di cui 91 femminili e 9 maschili. Dal 2017 Fondazione Cortina 2021 ha preso in carico l’organizzazione delle gare di Coppa del Mondo di sci alpino femminile da APCM – Associazione Permanente Coppa del Mondo, con l’obiettivo di far crescere l’appuntamento sia in termini numerici, che di comunicazione.
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Attraverso l’attivazione di collaborazioni con Sci Club, aziende e partner di comunicazione, nel 2019 hanno partecipato alla tre giorni di gare oltre 15.000 spettatori totali. La crescita è avvenuta non solo dal punto di vista del pubblico presente, ma anche per quanto concerne la comunicazione e la visibilità stampa, con una
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valorizzazione mediatica di 14,65 mln (AVE complessivo generato dalla Coppa del Mondo) ed un aumento dell’engagement durante gli eventi collaterali, grazie anche alle collaborazioni con CONI, La Gazzetta dello Sport e RDS. Per Fondazione Cortina 2021 l’organizzazione della Coppa del Mondo e delle Finali è il “banco di prova” definitivo in
vista dei Mondiali, ma rappresenta al contempo una tradizione da valorizzare anno dopo anno e un’eredità che rimarrà poi all’interno del Circo Bianco con l’edizione – già in calendario – del 2022. I biglietti per le gare delle Finali sono acquistabili online su www.skiworldcupfinalscortina2020.com o sull’app Cortina 2020.
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COVER STO RY herini Giacc le e u n a m E
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di Giorgio Vincenzi Foto: Maurilio Boldrini - ChievoVerona
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manuele Giaccherini, 34 anni, centrocampista, è una delle bandiere del ChievoVerona. È tra i giocatori come maggiore esperienza e qualità della squadra gialloblù e da lui i tifosi si aspettano sempre quel qualcosa in più utile a vincere le partite e a conquistare da subito il ritorno in Serie A. Giak, così lo chiamano i tifosi, è riuscito a entrare nelle simpatie di tutti per la sua generosità in campo, i dribbling e le punizioni che non lasciano scampo ai portieri. Certamente non lo scopriamo noi, perché Giaccherini ha un passato calcistico molto importante. In Serie A ha disputato 163 partite - tra Cesena, Juventus, Bologna, Napoli e Chievo - segnando 25 reti e vincendo con i bianconeri due scudetti e una Supercoppa italiana. Ha oltrepassato la Manica facendo un’esperienza in Premier League con il Sunderland. Ricco anche il suo score in nazionale dove ha disputato 29 partite segnando 4 gol. Con la maglia azzurra è arrivato secondo agli Europei del 2012 e terzo nella Confederations Cup 2013. Noi lo abbiamo incontrato a Veronello dopo un allenamento e quello che ci ha raccontato è un piccolo spaccato di calcio nazionale e internazionale.
LA RIVINCITA di
GIAK
Dopo tanta sfortuna nella prima parte di campionato, sei pronto ora a fare la tua parte da protagonista? «Ho avuto un po’ di problemi dovuti a infortuni vari e quindi non sono riuscito a giocare con continuità e dare il mio contributo. Sono dispiaciuto di questo e spero nel 2020 di stare bene fisicamente per prendere per mano questa squadra, come tanti altri miei compagni, per raggiungere il nostro obiettivo che è quello di tornare in Serie A». È stato difficile per un campione come te decidere di calcare i campi della Serie B? «All’inizio sì perché mi sentivo ancora un giocatore importante. Allo stesso tempo, però, ho sposato la causa del Chievo e ho sempre detto che sarei rimasto a Verona. È stata una brutta scottatura essere retrocessi e quindi vorrei dimenticare l’annata passata, ma per farlo servirebbe la promozione».
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Dove può arrivare il Chievo? «Abbiamo dimostrato che possiamo giocarcela contro tutti e quindi non dobbiamo fare calcoli, ma guardare avanti e concentrarci su ogni singola partita. La classifica è molto corta e l’obiettivo è alla nostra portata. Dire dove possiamo arrivare è un po’ difficile perché se perdi una partita ti trovi fuori dai play off, se ne vinci due di fila ti trovi terzo in classifica. Se tutti stanno bene, siamo una squadra che se la può giocare fino in fondo per tornare in Serie A». Durante una conferenza stampa del campionato 2011/2012 Conte, allora allenatore della Juventus, parlando di te disse: “Se si chiamasse Giaccherinho sarebbe molto più considerato”… «Avvenne dopo una partita contro il Bologna dove feci un bel gol in dribbling. La Juve veniva da due settimi posti in campionato e aveva fatto una campagna estiva importante acquistando Pirlo e Vidal, ma anche Giaccherini, Estigarribia e altri giocatori meno conosciuti e magari meno considerati. Lui invece voleva far capire che non conta tanto il blasone del giocatore ma la sua funzionalità al progetto e così quando in quella partita feci un gran gol lui si tolse qualche sassolino dicendo questo».
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Hai avuto Conte come allenatore alla Juventus e in nazionale. Che mister è? «Pretende il massimo da qualsiasi calciatore e cerca di trasmettere la sua mentalità vincente che significa andare in campo esclusivamente per fare un risultato positivo. Basa tutto sul lavoro settimanale, non lascia nulla al caso curando ogni dettaglio e fa sentire importante ogni giocatore anche se viene utilizzato meno».
In nazionale come ct oltre a Conte hai avuto anche Prandelli che a Verona, sponda Hellas, ha lasciato dei bei ricordi. Che cosa li accomuna e che cosa li fa diversi? «Sono molto diversi. Prandelli interpretata il ruolo di allenatore in modo più pacato, ti dà dei concetti, ma poi lascia interpretare ai giocatori. Conte invece vive molto la squadra e durante la partita è un comandante e ti guida».
Un ricordo particolare delle tue partite in nazionale? «Ce ne sono due ricordi. Il primo è il gol che ho fatto al Brasile nella Confederation Cups del 2013 (la partita finì 4-2 per i carioca, ndr) e l’altro è la rete al Belgio agli Europei del 2016 (2-0 per l’Italia, ndr). Emozioni incredibili». Hai calcato anche i campi della Premier League con il Sunderland. Che differenze ci sono tra il nostro campionato e quello inglese? «Il calcio inglese è più veloce, meno tattico, più fisico e anche più spettacolare. In Italia i club guardano più al risultato e quindi c’è più tatticismo. Da noi poi c’è molta pressione mentre in Inghilterra il calcio è vissuto come uno spettacolo e la gente va a vedere la partita come si va al cinema. I giocatori scendono in campo non pensando che se stai vincendo la partita uno a zero questa deve finire così, ma puoi fare due, tre, quattro gol e così è facile assistere a delle gare con dei ribaltoni del tipo una squadra che sta vincendo due a zero poi perde quattro a due. In Italia è difficile vedere una squadra che sta vincendo due a zero poi perdere tre a due». Negli stadi inglesi i tifosi sono molto vicini al campo da gioco. Credi che possa essere possibile anche da noi, stadi permettendo? «È la mentalità degli inglesi che lo permette. Ti faccio un esempio. Quando giocavo al Sunderland, ed eravamo ultimi in classifica, perdemmo una partita in casa contro il Liverpool, dove feci anche gol, e una volta uscito dallo stadio tutto era tranquillo: firmavo autografi e facevo foto. In Italia se sei ultimo in classifica, quando esci dallo stadio ti contestano o altro di peggio. La loro mentalità è
diversa. Rispettano molto il tuo ruolo di calciatore. Vengono a vedere la partita, ma poi al difuori dello stadio hai la tua libertà di muoverti». Sei arrivato al Chievo nel gennaio del 2018 proveniente dal Napoli dove non
avevi avuto un grande feeling con Sarri. Cos’era successo? «Sono arrivato al Napoli dal Bologna e dopo aver disputato con la nazionale il campionato europeo; anche se il mio desiderio era quello di rimanere in rossoblù perché ci stavo bene. Mi ricordo che Marco Di Vaio mi mandò un messaggio nel quale era scritto che giocatori come me era difficile trattenerli a Bologna. Arrivò il Napoli e accettai di buon grado perché è una squadra top come Juve, Inter, Milan. Tutto faceva presumere che anche a Napoli avrei potuto dimostrare di essere importante. Quello che poi è accaduto non me lo spiego nemmeno io. Nella mia situazione c’erano anche tanti altri giocatori forti che hanno avuto però poco spazio. Il mister è molto bravo per tante cose, ma in tante altre poteva essere più elastico. Naturalmente nessuno discute le qualità di Sarri e lo dimostra il fatto che ha allenato Napoli, Chelsea e ora la Juventus».
Giorgio Vincenzi intervista Emanuele Giaccherini
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piccolo di poter calcare il Manuzzi di Cesena. L’ho realizzato facendo una scalata importante dalla Serie C alla Serie A». Chi vincerà il campionato di Serie A: l’Inter di Conte o la Juventus di Sarri? «Sicuramente è ancora favorita la Juve. È una squadra troppo forte, ma l’Inter darà fastidio fino alla fine e non credo che la Juventus vincerà il campionato con quattro o cinque giornate d’anticipo». Che cosa ti piace Verona? «Mi piace tutto. Verona è una città a misura d’uomo e perfetta per la mia famiglia. È forse la migliore in cui sono stato».
A gennaio del secondo anno al Napoli decidi di venire al Chievo. Che cosa ti ha spinto a fare questa scelta? «A Napoli, francamente, mi aspettavo di giocare di più, ma dopo i primi sei mesi compresi che c’era stato un ‘disguido’ tecnico o tattico. Ci fu l’opportunità di ritornare alla Juventus o di andare alla Roma, ma la società mi disse che ero un giocatore importante e che dovevo rimanere. La situazione però non cambiò e il gennaio successivo la mia voglia di giocare ha prevalso e anche la società capì di lasciarmi andare. C’erano il Chievo e la Sampdoria che mi volevano e scelsi i gialloblù». Contento della scelta? «Sì molto e la rifarei pur sapendo che poi saremmo retrocessi». Te lo ricordi ancora il tuo primo goal in Serie A? «È stato in Cesena-Milan 2-0 (settembre 2010, ndr). In quella settimana arrivò al Milan Ibrahimović e tutti parlavano di lui. Fortunatamente alla fine si parlò di Giaccherini». Il tuo rammarico più grande, calcisticamente parlando? «Non aver partecipato al mondiale del 2014 in Brasile. Avevo fatto con la nazionale l’europeo del 2012 e la Confederations Cup del 2013 e in quest’ultimo torneo ero stato uno dei migliori. Forse il passaggio nel 2013 al Sunderland in Premier League ha inciso sulla scelta di Prandelli di non convocarmi. Quello è stato sicuramente il mio rammarico più grande perché avevo partecipato a tutte le competizioni e mi mancava solo il mondiale».
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Una partita che vorresti giocare nuovamente per cambiare il risultato finale? «Vorrei giocare nuovamente Italia-Spagna con il 3-5-2 anziché con il 4-3-1-2 (finale degli europei del 2012 dove l’Italia fu sconfitta dalla Spagna per 4-0 e Giaccherini restò in panchina tutta la partita. Sempre in quel torneo, ma nei gironi, l’Italia pareggiò con gli Iberici 1-1 ed Emanuele giocò nel modulo era 3-5-2 ndr)». Come giocatore, escludendo il Chievo, dove hai lasciato il cuore? «A Cesena. Sono arrivato in questa squadra a 16 anni con il sogno coltivato sin da
Cosa ti senti di promettere ai tifosi del Chievo? «Che daremo il massimo per raggiungere l’obiettivo di tornare in Serie A». Cosa ti aspetti, invece, da loro? «Mi aspetto che ci supportino come già stanno facendo. Sono tifosi fantastici. Ci sostengono sempre e non abbiamo pressioni, nemmeno nei momenti difficili come quelli della passata stagione. Continuiamo a rimanere uniti e poi magari festeggeremo la promozione». Un sogno nel cassetto? «Di poter giocare ancora in Serie A con questa maglia».
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Sorelle gialloblu di Matteo Zanon - Foto: Chievo Fortitudo Women
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orelle, compagne, a volte avversarie. Sono dodici (cinque coppie di sorelle e una di cugine) le piccole e grandi calciatrici del Chievo Fortitudo Women che oltre alla quotidianità sotto lo stesso tetto, condividono la passione per il calcio. Passaggi, tiri, vittorie, sconfitte che hanno un sapore diverso, ancor più intenso ed emozionante. Partendo dalla categoria Primi Calci, aprono la lista Lisa e Gioia Raptis, bimbe di 9 e 8 anni. Spinte dalla passione del padre, Lisa difende i pali delle piccole gialloblu mentre Gioia gioca nel ruolo del suo giocatore preferito, Cristiano Ronaldo. Il loro sogno calcistico? “Giocare in nazionale” dicono in coro. Nella categoria delle Pulcine, condividono i colori gialloblu del Cfw Sara e Arianna Bertaglia, gemelle di 10 anni. Alla domanda come mai condividono questa passione, Arianna risponde: “Mi piace calciare” mentre la sorella Sara dice: “In campo mi sfogo”. Sara gioca in difesa, mentre Arianna in attacco. Due ruoli diversi ma che li portano a cercarsi, anche sul terreno di gioco. “Tra di noi non c’è rivalità” sottolinea Sara anche se poi ammette: “A volte però in allenamento sì, quando siamo in squadre diverse”. Sulle ali dell’entusiasmo, spinte dai loro idoli Lautaro Martinez e Neymar, con la palla
Gemelle Mele.
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Gemelle Bertaglia in azione.
tra i piedi sognano di tagliare gradi traguardi: “Mi piacerebbe giocare in nazionale” dice Arianna mentre Sara vorrebbe vestire la maglia della squadra nerazzurra, squadra del cuore di entrambe: “Mi piacerebbe giocare nelle giovanili dell’Inter”. Nell’under 15 provenienti dalla società affiliata “Redondesco” vestono la maglia clivense Chiara (15 anni) e Francesca Scaglioni (14 anni). “Io ho influenzato Francesca – dice Chiara - perché il calcio è la più grande passione che ho
dall’età di 4 anni. Vedendomi divertire ha iniziato anche lei”. Quando una passione è potente, trascina anche chi si ha vicino. “Facevo ginnastica artistica – dice Francesca – ma vedevo che mia sorella si divertiva molto e mi è venuta voglia di provare. A 8 anni ho iniziato anch’io, senza abbandonare ginnastica artistica”. Francesca ora pratica solo calcio e mette tutta sé stessa, nel ruolo di terzino destro, mentre Chiara gioca sull’altro versante come terzino sinistro. A proposito di rivalità dicono: “Si c’è molta rivalità e questo mi sprona a dare sempre di più perché anch’io voglio essere brava come lei…e poi è una figura molto importante per me, è mia sorella ma è anche il mio capitano” dice Francesca ma anche Chiara non si discosta molto: “Cerchiamo sempre di superarci l’una con l’altra”. Seppur giochino in difesa, le sorelle Scaglioni si emozionano per i loro beniamini
Lisa e Gioia Raptis.
Gemelle Sara e Arianna Bertaglia.
Dybala e Lautaro Martinez, ma anche per le giocatrici Manuela Giugliano e Sara Gama. Il loro sogno nel cassetto? “A me piacerebbe giocare in nazionale” dice Francesca mentre Chiara precisa: “Giocare in qualsiasi squadra di serie A con Manuela Giugliano e giocare nella Prima Squadra della nazionale”. Nelle categorie under 15, 17 e Primavera, troviamo le sorelle Magalini, Myriam e Alia. Una passione contagiosa, anche in questo caso: “Ho iniziato io – dice Myriam, 16 anni – grazie alla spinta degli amici. Poi ho portato questa passione anche in famiglia e ha iniziato anche mia sorella”. Oltre a condividere lo sport e i colori gialloblu, le sorelle Magalini condividono anche il ruolo di portiere. “In una partita – racconta Alia, 13 anni – ero riuscita a fare gol ma volevo provare a giocare in porta. Ho chiesto al mister e mi ha accontentata e da quel momento mi sono innamorata di questo ruolo”. Anche per Myriam gli inizi non sono stati tra i pali: “Io facevo il difensore ma avevo voglia di provare in porta ed è an-
Miriam e Alia Magalini.
della rosa di mister Dalla Pozza: “Laura Giuliani della Juve ci accomuna, ma direi anche Buffon e le ragazze della Prima Squadra, Francesca Olivieri e Margherita Salvi” conclude Myriam. Chiudono il cerchio delle sorelle gialloblu, le gemelle 18enni Chiara e Angela Mele. Chiara, in orbita Prima Squadra, come terzino, dice: “Ho iniziato perché la mia famiglia è appassionata di calcio e l’ha trasmessa sia a me che a mia sorella”. Angela, attaccante della Primavera, è la Francesca-Scaglioni
data bene quindi ho deciso di continuare in quel ruolo”. Si fa meno fatica a stare in porta vero? Ridono, ma poi ammettono: “Sì, si fa meno fatica” dice Myriam ma Alia incalza: “Sì, ma si prende freddo”. Il sogno, per entrambi, parla gialloblu: infatti, il loro sogno è arrivare in Prima Squadra e vestire la maglia della nazionale. Le due sorelle non guardano solo ai grandi della tv ma anche alle giocatrici Gemelle Mele.
Giulia Menegazzi.
più accanita: “Ho influenzato io Chiara nella scelta” come conferma la diretta interessata. Il sogno, per entrambe è ambire ai vertici del calcio femminile: “Il desiderio è quello di migliorarmi sempre di più e giocare nelle categorie più importanti” dice Chiara, mentre Angela aggiunge: “Giocare a calcio è un sogno che si è avverato e mi piacerebbe giocare in serie A e vincere più possibile con la mia squadra”. Capirsi, anche sul terreno di gioco, è il segreto delle sorelle Mele: “Tra di noi non c’è rivalità ma è sempre bello giocare insieme e capirsi in campo anche solo con uno sguardo”. La loro velocità, unita all’ottima tecnica, può mettere in difficoltà qualsiasi difesa. Infatti, guardando
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Linda Menegazzi.
giorni diversi quindi se possiamo andiamo a vedere le partite una dell’altra” dice Linda, classe 2001. I loro idoli? parlano bianconero: “Mi piace molto Dybala” dice Giulia che nella sua carriera si augura di giocare il più possibile, mentre Linda ha nel cuore un giocatore che ha lasciato un segno indelebile nella società torinese: “Tifo la Juventus e mi sono i loro idoli, le loro qualità possono solo che migliorare: “Mi piace molto Marcelo, oltre alla leggenda Javier Zanetti” dice Chiara mentre ad Angela fanno battere il cuore i giocatori più offensivi: “Il mio calciatore preferito è stato Del Piero, ma mi piacciono anche Salah e Messi”. Non da meno, per quanto riguarda il gruppo delle giovani che condividono la società clivense e la parentela, sono le cugine Linda e Giulia Menegazzi. “Ho iniziato a praticare altri sport – dice Linda che gioca con la Primavera – ma crescendo mi sono appassionata al calcio. Ho dovuto convincere i miei genitori e soprattutto mia mamma perché al tempo non esistevano tante società femminili”. Uno sport che inizialmente, data la molta fisicità, può spaventare ma poi, conoscendolo e praticandolo può solo che lasciar spazio al divertimento. “Io ho iniziato un anno dopo Linda – dice Giulia, 16 anni – e inizialmente giocavo con i maschi. Poi sono passata alla Fortitudo e ora gioco nell’under 17”. Linda, sul suo
Miriam Magalini.
futuro calcistico, ha le idee chiare: “Vorrei sicuramente continuare a giocare per più tempo possibile e magari trovare un lavoro nell’ambito del calcio o comunque nello sport”. Anche tra cugine, la rivalità è lasciata da parte: “Giochiamo in due
Chiara Scaglioni
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sempre ispirata a livello tecnico e umano a Claudio Marchisio”. Un grande gruppo gialloblu che condivide, a stretto contatto, forti emozioni e grandi sogni, riempiendo di sapore e di colore questa grande passione.
Alia Magalini.
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di Alberto Cristani - Foto: SportdiPiù magazine
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i sono giocatori che, pur non segnando tanti gol o non vincendo scudetti, restano nel cuore dei tifosi. Uno di questi è Ferdinando Nando Gasparini, attaccante 100% Made in Veneto, che tra la fine degli anni Ottanta e inizio Duemila, ha indossato maglie prestigiose come quelle di Hellas Verona, Vicenza e Modena. Lo abbiamo incontrato nella ‘sua’ Venezia e, tra un Prosecco e un buon piatto di pesce, ci ha raccontato, tra aneddoti e ricordi, il suo passato e il suo presente, sempre indissolubilmente legato al mondo del calcio. Ferdinando, tu hai giocato in un momento storico in cui il calcio era più passione e meno immagine… «Si, quel calcio secondo me era più bello di quello attuale perché era vero, spontaneo, c’era tanta passione. Oggi è diventato quasi esclusivamente business. Quando giocavo all’Hellas i miei compagni di squadra e di reparto si chiamavano Paolo Rossi, Preben Elkjaer,
Ferdinando Gasparini con la maglia dell'Hellas Verona.
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Gasparini mostra la sua maglia dell'Hellas 1988-1989.
Marco Pacione, Giuseppe Galderisi. Ci allenava un ‘certo’ Osvaldo Bagnoli. Tutti uomini che mi hanno insegnato a vivere appieno il calcio e fatto diventare un uomo. Una volta nel calcio i grandi nomi erano anche da esempio, aiutavano i giovani a crescere. Ora ci sono molti bravi giocatori ma pochi sono un esempio positivo per i giovani». La tua carriera oltre che a Verona è stata importante anche a Vicenza, Modena… «Verona è stato un trampolino di lancio. Nelle gerarchie avevo davanti campioni veri e quindi era logico che trovassi poco spazio. Di fatto giocai quasi sempre in Coppa Italia (segnando in totale 3 reti ndr) ma esordì anche in Coppa Uefa. Avevo vent’anni e volevo però giocare di più. Così nel 1989-1990 ho preferito fare esperienza a Modena in serie C. Lì ho vinto subito il campionato con Renzo
Ulivieri come allenatore. Il campionato successivo 1990-1991 sono andato a Vicenza ancora con Ulivieri come mister. Lui per me è stato come un papà, mi ha fatto crescere. Ancora oggi, ogni tanto, lo sento: è uno che sa come funziona il calcio. Mi sgridava per farmi crescere: severo ma giusto». Dopo cinque anni, dal 1990 al 1995, lasci Vicenza… «Quelli di Vicenza sono stati i miei anni migliori. Con Ulivieri abbiamo vinto il campionato passando dalla C alla B, poi con Guidolin siamo andati in A. Io a fine campionato 1994-1995 sono andato a giocare ad Andria in serie B, dove siamo retrocessi. Poi sono andato all’Alessandria e successivamente al Trapani in C2. Lì però mi sono ammalato e son rimasto praticamente fermo due anni».
È vero che potevi andare a giocare anche all’estero? «Si, avevo la possibilità di andare al River Plate e anche al Boca Juniors, ma ho rifiutato per la famiglia. Però mi sarebbe piaciuto. Chissà cosa avrei combinato in Argentina…» Hai giocato con molti campioni: quale ti ha impressionato di più? «Senza dubbio il ‘sindaco’ Elkajer. Il suo gol senza scarpa alla Juventus resta negli annali del calcio. Ho visto anche altri giocatori forti, ma se devo fare un nome scelgo lui!» Il tuo gol più bello? «A Verona contro il Campobasso, in Coppa Italia: stop di petto e rovesciata. Ne ho fatti altri molto belli, ma questo lo ricordo mi è rimasto nel cuore». Adesso alleni… «Allenare è più difficile che giocare.
A volte dovrei essere più severo con i ragazzi, ma non ci riesco. È una questione di carattere. E poi, a dire il vero, mi sento ancora giocatore: quando mostro gli esercizi ai ragazzi vedono che la qualità, il piede, il cuore ancora ci sono». Con tuo fratello avete fatto rinascere la Muranese... «Sì da 2 anni, dopo che era sparita. Speriamo di durare e che ci diano il campo a Murano, dato che siamo la vera Muranese. Non è facile gestire una società sportiva in questo periodo. Dalla Lega non arriva nessun rimborso e quindi la gestione è tutta a nostre spese. Per affrontare un campionato di Terza Categoria ci vogliono minimo 20000 euro. Ci son tanti sacrifici da fare ma per i ragazzi diamo sempre il massimo. A noi interessa che il giovane riesca a sfruttare la categoria e capire se può fare il salto di qualità. L’importante, alla fine, che la società e il campo siano un punto di riferimento per i ragazzi dove poter giocare, divertirsi e stare in compagnia».
classifica. E la merita anche il suo pubblico, unico e sempre presente, anche quando le cose non andavano bene come adesso». Cosa vorresti fare in futuro? «Mi piacerebbe insegnare ai bimbi cosa vuol dire stoppare una palla, cos’è il calcio, imparare a correre con il pallone. Trasmettere tecnica e valori». Lo sport è strumento di insegnamento e crescita per i bambini? «Sì, è uno sfogo, è un divertimento. Lo sport è tutto, è la vita. Lo sport è inclusivo. Certo che poi passa tutto da noi adulti: se riusciamo a trasmettere questi valori i nostri giovani potranno crescere con un’idea dello sport assolutamente positiva. Al contrario, se noi adulti riversiamo nello sport le nostre frustrazioni e le nostre aspettative, rischiamo seriamente di compromettere il loro futuro».
Una ‘ricetta’ contro i genitori ultras? «Se fosse per me vieterei di assistere agli allenamenti: al campo dovrebbero venire solo per assistere alle partite e per tifare la nostra squadra».
Alberto Cristani intervista Ferdinando Gasperini
Guardando al campionato serie A, il Verona vola in classifica: ti ha sorpreso? «Si, molto. L’Hellas ha un allenatore che sa fare bene il suo lavoro, bravo tecnicamente e che ha dato un valore importante al gruppo. Per ottenere questi risultati è anche importante avere un buon spogliatoio. Il Verona merita questa
Gasperini con la sua figurina dell'Hellas Verona
Gasperini (secondo da destra vicino a Mimmo Di Carlo) con la maglia del Vicenza stagione 1994-1995
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A N O R E V S A L HEL
SERIE A ›
Fabio Borini
GIOVANILI ›
Massimo Margiotta
WOMEN ›
Matteo Pachera
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Foto: Maurilio Boldrini - Francesco Grigolini
Fabio Borini
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Col 'Boro' è un Verona ancora più british
U
n taglio netto col (recente) passato a tinte rossonere, quelle del Milan, per legarsi alla squadra più britannica della serie A, ovvero quell’Hellas Verona molto affine alla sua nursery calcistica, l’Inghilterra, dove è approdato minorenne e dove ha collezionato 111 partite (16 gol e 6 assist) nella Premier League inglese con le maglie di Chelsea, Sunderland e Liverpool. Un Hellas decisamente di stampo inglese. Per il suo calcio verticale, per il suo ‘hombre vertical’ in panchina e per la sua tifoseria molto british. Ecco perché il ‘Boro’, alias Fabio Borini, ha scelto Verona e il Verona come trampolino di rilancio dopo le poche soddisfazioni raccolte al Milan, soprattutto nella prima parte della corrente stagione, vissuta da comprimario. A gennaio su di lui si erano fiondati tanti club: Genoa, Fiorentina, Parma, Sampdoria e Spal, in primis. Proposte importanti, contratti pluriennali. Ma lui ha scelto e voluto fortemente l’Hellas, accettando, anzi chiedendo di firmare per soli sei mesi, perché quando si decide di rimettersi in gioco, lo si fa senza ‘se’ e senza ‘ma’, a maggior ragione se si è consapevoli di avere ancora molto da dare. Fabio, perché proprio l’Hellas? “Perché sin dalle prime chiacchierate col Direttore Sportivo, Tony D’Amico, e con mister Juric ho percepito nitidamente l’entusiasmo giusto e la positività che cercavo per affrontare una nuova sfida, personale e professionale. Mi hanno conquistato per chiarezza di idee e per sincera convinzione nel trasmettermi stima e fiducia in quello che avrei potuto dare all’Hellas. Vado molto a sensazioni: mi sono servite poche ore per dire ‘sì’ all’Hellas”. Che opportunità professionale è per te il Verona e cosa cerchi nell’Hellas? “È una occasione in assoluto importante. Anzitutto perché al Milan giocavo poco e poi perché mi piacciono le sfide: mai avuto paura di rimettermi in gioco, anche ripartendo da zero, se necessario. Per questo motivo ho deciso di firmare per soli sei mesi, laddove altre squadre mi offrivano contratti più lunghi e vantaggiosi. Ho voluto rimettermi in gioco senza ‘se’ e senza ‘ma’ per dimostrare che Fabio Borini è un calciatore importante non solo per i suoi trascorsi, ma anche per quello che
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pesante. Un pizzico di rammarico, però, mi è rimasto, ora che ci ripenso: fosse entrato quel sinistro a giro che ha sfiorato l’incrocio dei pali, avrei segnato uno dei gol più belli della mia carriera. Ma bisogna anche sapersi accontentare… (ride, ndr)”.
Fabio Borini festeggia sotto la curva Sud il gol segnato alla Juventus
può ancora dare nel presente e nel futuro prossimo. Per indole non mi piacciono le scelte facili o di comodo: andare a scadenza a giugno non mi spaventa, anzi mi stimola ulteriormente”. Dal punto di vista squisitamente tecnico, cosa ti ha convinto a scegliere l’Hellas fra le tante squadre che ti volevano a gennaio? “Vedendo giocare i gialloblù nella prima parte di campionato e confrontandomi anche con amici e addetti ai lavori, è emerso che la squadra di Juric era quella più aderente alle mie caratteristiche: perché gioca bene a calcio, perché gioca con grande intensità e pari propensione ad attaccare, perché quello di Juric è un calcio ‘verticale’, nel quale corsa, aggressività e furore agonistico sono elementi base e distintivi. Ma attenzione: questo Hellas non è solo quantità. Lo sviluppo della nostra manovra in fase offensiva si contraddistingue anche per qualità e varietà di giocate. Quello di Juric è un calcio moderno, internazionale, per molti versi anche di stampo inglese: un calcio, insomma, fatto su misura per me”. Della tua nuova squadra, cosa ti ha colpito, in particolare? “La grandissima disponibilità al sacrificio che mette ogni singolo effettivo di questa squadra: è una cosa rara da trovare”. Ti sei ambientato e inserito velocemente: il gol al debutto a Bologna, nella ‘tua’ Bologna dove hai iniziato la tua crescita calcistica, lo sta a testimoniare… “Sognavo da mesi di fare un esordio così: è stato emozionante e super positivo. E’ stato anche un gol importante, perché il Bologna è una bella squadra e perché abbiamo portato a casa un punto davvero
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Sei stato utilizzato in più ruoli in carriera: qual è quello che preferisci? “Al Milan sono stato utilizzato in sette ruoli sugli undici possibili: spesso mi è stata attribuita l’etichetta di ‘jolly’, ma io mi sento un attaccante e qui posso sfruttare al meglio le mie doti e il mio modo di giocare: attaccare, fare gol, aiutare sempre la squadra…”. Fare gol, già: bello quanto importante quello contro la Juve nella magica notte del Bentegodi… “Grande gioia, e non solo personale: è arrivato dopo una prestazione importante da parte mia e, soprattutto, di tutta la squadra. E’ stato il gol che ci ha permesso di dare il ‘la’ ad una splendida rimonta. Un bel gol, difficile ma per così dire studiato: provo sempre questo tipo di soluzione anche in allenamento, cercando di segnare anche da posizioni defilate”. La tifoseria dell’Hellas? “Fantastica e – devo ripetermi anche qui – molto inglese: ti incita dal primo all’ultimissimo minuto, a prescindere dal risultato. Sono contento che stiamo regalando ai nostri tifosi grandi soddisfazioni: se le meritano tutte per l’affetto, il calore, la passione e l’entusiasmo con i quali ci seguono e ci sostengono”. Come ti trovi a Verona? “Città splendida, anche culturalmente. Una città a misura d’uomo. Anche mia moglie, che è inglese, se ne è subito innamorata…”.
Foto: Francesco Grigolini FotoExpress
Massimo Margiotta
La nursery gialloblù
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assimo Margiotta nasce a Maracaibo, in Venezuela, nel 1977. Centravanti di grande forza fisica, in 15 anni di carriera ha segnato più di 150 gol tra Club, Nazionali giovanili dell’Italia e Nazionale Maggiore del Venezuela, con la quale ha giocato a partire dal 2004. Dopo aver vestito, tra le altre, le maglie di Lecce, Udinese e Vicenza, nel 2011 si ritira per dedicarsi alla carriera di dirigente sportivo. Dal 2017 è Responsabile del Settore Giovanile dell’Hellas Verona, periodo durante il quale esordiscono in prima squadra diversi prodotti delle giovanili come Andrea Danzi, Marash Kumbulla, Simon Stefanec e Lubomir Tupta. Massimo, partiamo da te. Terzo anno alla guida delle Giovanili gialloblù: proviamo a fare un bilancio di queste stagioni, con la tua idea di futuro. “Ho impiegato la mia prima stagione al Verona per conoscere l’ambiente, la città, la società e le risorse umane a nostra disposizione. Per me è stato
fondamentale, così come avere tempi e spazi per programmare nel tempo. Dallo scorso anno stiamo infatti lavorando sodo per potenziare anzitutto la macchina organizzativa del Settore Giovanile, che per me è la base del rendimento e della crescita dei nostri ragazzi. Nella nostra idea di futuro c’è anche il potenziamento della rete di scouting e della presenza sul territorio veronese, dove c’è ancora tanto da fare. Tante soddisfazioni ce le siamo tolte e ce le stiamo togliendo, ma il percorso continua”. Il tuo gruppo di lavoro ti segue in ogni momento, c’è uno staff davvero compatto che lavora al medesimo scopo. Raccontaci come vivi il tuo ruolo di Responsabile e, al tempo stesso, di collega. “Partiamo sempre dal fatto che tutti i miei collaboratori hanno mansioni e ruoli ben definiti, e che io li lascio liberi di agire su quelle che sono le proprie competenze. Ci sono talmente tanti aspetti e situazioni, in un Settore Giovanile, che sarebbe impossibile seguirli tutti in prima persona, quindi la fiducia è fondamentale. Vivo questo
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nello sviluppo dei nostri talenti che, speriamo, possano un giorno seguirne i passi”.
Da sinistra Massimo Margiotta, Marash Kumbulla e il presidente Maurizio Setti
gruppo come una famiglia, e non è retorica, perché cerco sempre di trasmettere la cultura del rispetto esattamente come faccio con mia figlia. Lavoriamo in una piazza importante, tutti dobbiamo sentirci parte di una grande realtà che può crescere ancora molto. Non mi piace parlare di filosofia del lavoro, io credo esclusivamente nelle potenzialità e nelle qualità delle singole persone, e ho la fortuna di lavorare con ragazzi che hanno un’infinita voglia di mettersi in gioco e predisposizione al sacrificio, caratteristiche fondamentali in questa professione. Vivere tutti insieme la quotidianità ti porta ad avere una visione comune, è una conseguenza naturale”. Veniamo alle note più liete. Di talenti se ne sono lanciati tanti, in questi anni, ma c’è un ragazzo del 2000 che sta facendo innamorare Verona e che sta catalizzando l’attenzione di tantissimi grandi Club. Parliamo ovviamente di Marash Kumbulla: cosa provi quando lo vedi scendere in campo al Meazza o all’Allianz Stadium? “Da un lato c’è un grande orgoglio, ovviamente, perché è un ragazzo con noi fin dai Pulcini che sta giocando stabilmente in Serie A con la maglia della sua città in un modo che non succedeva all’Hellas da decenni. Dall’altro lo guardo sul prato di San Siro e vedo sempre il ragazzo di sedici anni che giocava in Primavera come se fosse la cosa più naturale del mondo, senza peso, senza pensarci troppo e proprio per questo in un modo meraviglioso. Sta proprio qui la forza di Max, nella testa, come del resto per l’altro prodotto delle giovanili attualmente in prima squadra, Andrea Danzi. E’ quindi difficile prendersi dei meriti per la sua crescita, perché mi sento di dire che dove è arrivato finora è solamente grazie a lui e alle sue capacità. Casi come il suo non rappresentano solamente un valore tecnico e un asset importante per il Club, ma ci forniscono anche elementi utilissimi per capire su cosa è più utile lavorare
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Chiudiamo con un pensiero ad ampio raggio sul Settore Giovanile e soprattutto la Primavera, che dopo un avvio esaltante ha vissuto qualche uscita a vuoto nella parte centrale della stagione. Ci sono gli elementi per provare comunque ad arrivare fino in fondo? “Assolutamente sì. Quello che ripeto ogni settimana ai ragazzi e agli staff è di crederci, credere nelle qualità di un gruppo che ha dimostrato di avere tanti ottimi elementi. Ci vuole equilibrio, sicuramente non siamo una squadra in grado di vincere tutte le partite, come forse qualcuno aveva pensato dopo le 8 vittorie consecutive che hanno aperto la stagione, ma non siamo neanche quelli di certe gare a cavallo della metà di stagione. Il nostro obiettivo è più chiaro che mai: qualificarci ai playoff e giocarci la promozione in Primavera 1 attraverso gli spareggi. La Primavera è un campionato sempre più simile a quelli professionistici: ci sono i contratti, i procuratori, la copertura televisiva, una grande attenzione in città e, da qualche anno, anche promozioni e retrocessioni. Tutto questo è un bene, perché i ragazzi hanno la possibilità di arrivare molto più velocemente alla vita e alla logica proprie del calciatore, ma sicuramente nei momenti difficili è un elemento che può essere di ostacolo: dovremo essere forti. Parlando delle altre categorie nazionali, che stanno raccogliendo buonissimi risultati, è per me è un orgoglio sottolineare una costante: Under 17, 16 e 15 sono formate al 90-95% da calciatori creati e cresciuti dall’Hellas Verona. Questo è un enorme passo in avanti ed è davvero fantastico vedere come il lavoro portato avanti con l’Attività di Base da Alberto Saccuman e con lo Scouting da Daniele Cristofoli stia dando grandi frutti. Ragazzi pronti, con lo spirito-Hellas nel cuore e nelle gambe, che se la giocano alla pari (e spesso vincono) contro le grandi corazzate del calcio italiano”.
Nicola Corrent mister della Primavera.
Foto: Riccardo Donatoni - Mirko Barbieri
Matteo Pachera
Per la prima volta le Women hanno un allenatore veronese
"P
ensa che mi ha chiamato al telefono e mi ha detto che era già al campo: lì era tutto chiuso. Per forza, io ero ancora a casa. Allora gli ho detto che partivo in macchina: il tempo di arrivare per aprirgli”. Lo racconta quasi ogni giorno chi si occupa dello stadio ‘Olivieri’, perché quasi ogni giorno mister Matteo Pachera arriva ore ed ore in anticipo al campo d’allenamento. Si mette in ufficio e studia, prepara gli allenamenti e le partite in maniera perfetta, anche se la perfezione – andate a chiedergli – in realtà non esiste. Si può sempre migliorare, ma lui vuole farlo con gradualità. Magari non si sarebbe aspettato l’Hellas Verona Women lungo la sua strada, ma la Serie A Femminile è un traguardo
importante in quel percorso graduale di cui ci ha parlato: lui è Matteo Pachera. La panchina dell’Hellas Verona Women è in effetti una tappa importante nella tua carriera? “È importante, perché quando per la prima volta ho parlato di un percorso graduale lavoravo ancora in un contesto giovanile, che mi ha fatto crescere tantissimo. Oggi sono arrivato a giocarmi questa opportunità e per questo sono felice”. Una preparazione di studio ore ed ore prima degli allenamenti? “L’ho sempre fatto, mi piace prepararmi tutte le cose al meglio e per farlo sappiamo che serve del tempo
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per curare tutti i particolari. Negli anni è un rito che è cresciuto sempre di più, anche perché le categorie cambiano e ogni categoria ha delle esigenze. A maggior ragione una Serie A Femminile ha bisogno della cura di ogni minimo particolare, perché può fare la differenza”. Da calciatore hai affrontato avversari importanti, ti sei ispirato a qualcuno? “Da calciatore non mi sono ispirato a nessuno, anche se è vero che ho giocato contro diversi calciatori come Pirlo, Baronio o Morfeo ai tempi dell’Atalanta: sono state esperienze bellissime che mi hanno fatto crescere, anche come persona, ma non le ho prese da ispirazione”. Il primo veronese alla guida dell’Hellas Verona Women? “Da veronese è una bellissima opportunità e spero di coglierla al meglio. È anche responsabilità, perché sappiamo quanto Verona tenga al calcio, sia maschile che femminile, e avere due squadre nella massima serie è importante”. Il Verona per la città di Verona? “Per Verona è una passione, i tifosi ci tengono in maniera forte e particolare. Noi nel femminile faremo di tutto per mantenere la Serie A. La squadra maschile sappiamo che sta facendo grandi cose, quindi speriamo sia un continuo miglioramento anche da parte nostra”. Il tuo periodo con la Primavera? “Io devo ringraziare le ragazze della Primavera, sia quelle dell’anno scorso che quelle di quest’anno. Se sono qua è anche per merito loro. A me hanno dato tanto, perché vederle allenare con entusiasmo e con voglia è la cosa più bella che esista per un allenatore. Abbiamo fatto un buon lavoro insieme, raggiungendo obiettivi importanti.
Anche questa stagione era iniziata bene e sono certo che finirà altrettanto bene”. La salvezza dell’Hellas Verona Women attraverso cosa passa? “Serviranno le qualità delle ragazze e la loro consapevolezza. Dobbiamo cercare di esprimerle in campo, insistendo su di loro e su ciò che sono capaci di fare per raggiungere la salvezza. In queste prime settimane ho visto una squadra allenarsi bene e di questo io non posso che essere contento, speriamo di raccogliere quello che si sta facendo in allenamento a livello di punti, che è la cosa importante”. Una squadra di qualità? “Non ho mai messo in dubbio la qualità di queste ragazze e ho sempre detto loro: ‘Se non partiamo dalla vostra qualità come facciamo a salvarci?”. Per quello che ho visto in questo periodo non ho visto calciatrici sottotono e tutte si allenano allo stesso livello”. Il calcio come una malattia bellissima? “È una passione che mi ha contagiato da bambino, è proseguita da calciatore e poi ancora da allenatore, partendo dai più piccoli. È quello che mi rende felice, che mi stimola e che mi dà soddisfazioni, anche in momenti sportivamente difficili come possono essere questi, però uno sportivo, allenatore o calciatrice che sia, che è esce da questi momenti lo fa con ancora più forza di prima”. Due correnti di pensiero: il calcio è calcio, per questo si dà sempre il massimo, o c’è una maggiore dedizione della ragazze ad apprendere e applicare sul campo? “Già qualche anno fa avevo allenato delle ragazze in America. Credo che le giocatrici possano darti tutto, l’importante è entrare in sintonia con loro. Le donne non sono uomini, ma è vero che ti danno tutto sul campo”. Una Serie A Femminile che accoglie tecnici sempre più conosciuti e altri che mostrano il loro lavoro: tu come ti inserisci in questo contesto? “Mi considero un allenatore appena arrivato, che conosce il femminile da qualche anno e cerca di far capire le proprie idee alle ragazze, in modo che possano metterle in campo. Non ho anni di esperienza nel femminile alle spalle, ma da tecnico sì”.
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Un sogno itinerante di Matteo Lerco - Foto: Francesco Gullo
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l 2020 è la casa del decennale di Campioni in Tour, progetto nato dalla mente di Francesco Gullo, indimenticato calciatore del talent «Campioni, il sogno», e promosso da sette anni anche da Alessandro Mazzetto, titolare del gruppo imprenditoriale Graspo de Ua. L’iniziativa si snoda negli stadi di tutta Italia, dando la possibilità a migliaia di ragazzini di vivere appassionanti giornate di calcio all’interno di cornici sportive, come lo Stadio Penzo di Venezia, davvero mozzafiato. Campioni in Tour nella sua essenza più concreta è un torneo Figc, rivolto alle squadre giovanili della regione geografica coinvolta dalla manifestazione: a gestire l’intera macchina sono gli stessi Gullo e Mazzetto, che devolvono sempre l’intero ricavato a finalità di carattere sociale. Insieme allo stesso Gullo siamo tornati alla genesi di tutto. “Ai tempi del Cervia al termine della partita contro la Sampdoria io e un giocatore molto in vista dell’epoca andammo a portare l’incasso della giornata all’Ospedale Gaslini” – spiega l’ex simbolo del Vodafone Cervia – “e lì ci imbattemmo in un bambino che era dentro la struttura da un anno.
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Entrammo in stanza per conoscerlo, per primo si avvicinò il calciatore della Samp e il giovane si limitò a salutarlo. Quando però vide me, gli si stampò un grossissimo sorriso in faccia e disse: ‘Ciao Gullo!’. Questo perché stava tutta la giornata a guardare Italia Uno alla televisione ed io, insieme a tutto il mio Cervia, lo accompagnavamo in un certo senso in quei momenti difficili. Da quella situazione, oltre ad un’altra motivazione che preferisco tenere personale, è nato Campioni In tour”.
L’idea col tempo si sta sedimentando sempre più profondamente nella coscienza collettiva, anche grazie ad attività collaterali come Giocattolando. “È un format che ci permette di entrare in contatto anche con società minori” – aggiunge Alessandro Mazzetto – “trasportando la nostra idea di calcio nelle realtà dilettantistiche del territorio.
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'Campioni in tour' è una manifestazione che guarda al futuro e che permette ai giovani calciatori di giocare negli stadi delle società professionistiche
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A settembre e ottobre portiamo le squadre giovanili a confrontarsi nei campi di paese, dando così luce e visibilità anche alle associazioni locali. Perché il nome Giocattolando? Come premio non diamo una coppa o una
targa, bensì un giocattolo simbolico ad ogni società che partecipa, da portare a un bambino bisognoso del paese”. Il fil rouge che unisce tutti questi anni di Campioni in Tour è la beneficienza. “Mi sono riproposto che quest’iniziativa
Francesco Gullo e Alessandro Mezzetto.
Francesco Gullo con la Gialappa's.
Gullo insieme a Pep Guardiola
Gullo con mister Ciccio Graziani
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debba avere sempre uno sfondo sociale” – chiude Gullo – “e dunque coi proventi, ossia le donazioni, che arrivano da ogni giornata che passiamo in un diverso stadio d’Italia io compro sempre dei giocattoli per la Pediatria dell’Ospedale della città che di volta in volta è sede dell’evento. Campioni In Tour è una manifestazione che guarda al futuro: sono l’unico che permette ai giovani di respirare calcio negli impianti delle massime leghe professionistiche e credo che il decennale del progetto sia la riprova della bontà degli sforzi che da tempo io ed Alessandro Mazzetto stiamo ponendo in essere”.
Gullo sfida Gattuso
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Ti voglio Ben, Verona! di Jacopo Pellegrini - Foto: Liborio
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nche in Serie C il mercato di gennaio può riservare dei colpi di grande qualità: ne sanno qualcosa a riguardo il presidenteallenatore della Virtus Verona Gigi Fresco e il suo DG Diego Campedelli, che in questa finestra di mercato hanno portato in rossoblu Simone Bentivoglio. Il centrocampista classe 1985, arrivato in prestito dal Siena, è tornato a Verona per portare esperienza, tecnica e per alzare ancora un po’ l’asticella per questo finale di stagione. Dopo le esperienze con Brescia, Modena, Venezia e Siena, infatti, torna a Verona dove ha giocato con il ChievoVerona dal 2007 al 2011 e dal 2012 al 2014, collezionando 127 presenze e 9 gol. Tra le due parentesi clivensi ha giocato anche con Bari, Sampdoria e Padova. Un ulteriore colpo per la Virtus che, dopo Paolo Sammarco, ha rinforzato la rosa con giocatori di esperienza e buonissime doti calcistiche per arrivare un giorno ad avere obiettivi molto ambiziosi. Simone, torni a Verona dopo una lunga ed importante carriera che ti ha portato a giocare in tante grandi piazze italiane... «Sono contentissimo di essere ancora qua: c’è grande entusiasmo nell’ambiente e sono felice di aver iniziato fin da subito al massimo. Mi sono sentito dal primo momento a casa e ho dato piena disponibilità perché questa città significa e ha significato tanto nella mia carriera. Amo Verona e tutto lo sport veronese, quindi sono entusiasta e non vedo l’ora di poter dare il mio contributo alla squadra e a questa nuova avventura». Per quale motivo hai scelto la Virtus Verona e quando è scoccato il colpo di fulmine? «Ho scelto la Virtus perché per convincermi è bastata una chiacchierata veloce con Gigi Fresco. Sinceramente
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penso sia stata la soluzione giusta: dal primo giorno che sono stato qua ho capito di aver fatto un’ottima scelta. Qui è come essere in una grande famiglia e questo per me conta molto. Avere gli stimoli giusti e lavorare in un ambiente sereno può fare davvero la differenza. Io e Gigi abbiamo parlato ed è bastato un attimo per decidere cosa avrei fatto. Non vedevo l’ora di tornare a casa e ricominciare». Cosa puoi dare a questa squadra? «Io, allenandomi bene giorno per giorno, con l’esperienza e con il giusto entusiasmo posso dare il mio contributo per raggiungere gli obiettivi che la Società si è fissata». Quanto pensi di essere cambiato nel corso della tua carriera, dal primo Bentivoglio delle giovanili della Juventus ad ora? «Beh sicuramente con il passare degli anni e con l’esperienza cambi, cambia il tuo modo di giocare e cambiano diverse situazioni. Però la voglia di giocare e di far bene è intatta ed è quella dei primi anni: ho il fuoco dentro e mi sento come agli esordi, voglio dare tutto me stesso per la Virtus».
Bentivoglio con il DG della Virtus Diego Campedelli (a sin.) e con Alessio Guandalini di Isokinetic
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Bentivoglio con la maglia del Chievo Verona contrasta lo juventino Chiellini
Questa Virtus dove può arrivare? «La Virtus deve lottare obiettivo per obiettivo e partita dopo partita. Quindi dobbiamo dare tutto in campo per cercare di ottenere il massimo perché sappiamo che ogni partita è difficilissima e non dobbiamo sottovalutare nessuno, ma sappiamo anche che attraverso il duro lavoro possiamo ottenere ottimi risultati. Siamo in una posizione di classifica buona, però penso che uno debba essere positivo e puntare sempre a migliorare, perché si sa che nel calcio appena ti rilassi puoi avere un periodo
difficile e questo non deve sicuramente succedere. Gli obiettivi vanno centrati uno alla volta: prima pensiamo alla Salvezza, dopo si potrà guardare avanti». Qual è l’obiettivo personale che ti sei prefissato per questo finale di stagione? «L’obiettivo principale è quello di allenarmi giorno dopo giorno al massimo e dare l’esempio sotto ogni punto di vista. Bisogna sempre avere uno stimolo per fare qualcosa in più. Penso che con il duro lavoro, la concentrazione e il grande entusiasmo alla fine i risultati vengano».
C’è qualcosa che ti ricordi con particolare piacere della tua carriera? «Sicuramente la Serie A subito riconquistata con il Chievo, l’esordio e il primo gol nella serie maggiore. Diciamo che queste sono cose che segnano e ti avvicinano al calcio che conta, dandoti grande entusiasmo: però l’entusiasmo poi lo coltivi di giorno in giorno. La voglia è la stessa di quando ho iniziato, per me il calcio è la mia vita e sono contento di poter continuare questa avventura». Come è stato ritrovare Paolo Sammarco, giocatore protagonista insieme a te dello scambio che ha portato lui al Chievo e te alla Sampdoria nell’Agosto del 2011? «Devo dire che è stato molto bello perché c’è molta intesa e possiamo condividere tante cose. Finalmente anche sul campo. Paolo è un ragazzo molto serio che ha fatto un’ottima carriera. C’è stato sempre molto rispetto e molta stima ed ora sarà bello condividere tante battaglie insieme».
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n libro sulla storia del Triathlon raccontato da una protagonista della disciplina sportiva, Francesca Tibaldi, che ha fatto parte della Nazionale Italiana in preparazione delle Olimpiadi di Sydney 2000, vincitrice di un Ironman in USA nel 2015 e guida dell’atleta non vedente Anna Barbaro della nazionale Italiana di Paratriathlon con cui ha vinto due medaglie di bronzo in coppa del mondo e un bronzo ai campionati europei. Un percorso storico dalle origini del Triathlon in USA e in Italia, con racconti ed aneddoti di alcuni atleti e personaggi significativi che hanno contribuito a far crescere questo sport. Consigli di allenamento per le distanze Olimpico e mezzo Ironman/70.3. In ultimo, un cenno sull’applicazione dell’ascolto empatico tra allenatore ed atleta e tra atleti nel gruppo di allenamento.
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di Francesca Tibaldi
Dettagli - Genere: triathlon - Prezzo: e 19,00 - Editore: Youcanprint - Collana: saggistica sportiva - Pagine: 122 - Formato: brossura - Lingua: italiano - Anno pubblicazione: 2019
Un'estate in Italia
(1990 il Mondiale delle notti magighe) di Matteo Fontana
L'
attesa sta per finire. Nel giugno del 1990 cominciano i Mondiali organizzati dall’Italia. L’avvenimento è imponente: sono state spese centinaia di miliardi di lire per ammodernare gli stadi o per costruirne di nuovi, per adeguare le infrastrutture e sviluppare le reti di servizi. Un impegno economico gigantesco per una nazione che ha vissuto lungo l’onda del boom
degli anni ’80. Il calcio ne è il grande simulacro. La Serie A è il campionato più bello, ricco e appassionante del pianeta. I Mondiali devono essere la celebrazione di quell’Italia. Gli Azzurri, allenati da Azeglio Vicini, pacato e paterno commissario tecnico, sono chiamati a vincerli. La squadra è forte, pronta a sfidare le altre grandi alla caccia del successo, dal Brasile alla Germania Ovest. E poi c’è l’Argentina, che detiene il titolo, ha alzato la Coppa in Messico, quattro anni prima ed è trascinata da Diego Armando Maradona. Saranno i Mondiali degli sperperi e delle sorprese, del grande sogno italiano svanito, del Camerun di Roger Milla, dell’Inghilterra di Paul Gascoigne, della Jugoslavia di Dragan Stojkovic. Tanti improvvisi eroi stupiranno. Su tutti, Totò Schillaci, che diventerà l’emblema di
un Paese che mai come in quei giorni d’estate si sentì unito. È la dolcezza delle notti magiche. Chi le ha vissute non le dimenticherà mai.
Dettagli - Genere: calcio - Prezzo: e 18 - Editore: Eclettica Edizioni - Collana: spalti gremiti - Pagine: 258 - Formato: brossura - Lingua: italiano - Anno pubblicazione: 2019
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I NTERVISTA ro a n n e G e D a ic Mon
Libero d'ORO di Daniela Scalia - Foto: Inoco Volley
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l libero nel volley lo si nota subito. Ha una maglia diversa, spesso un’energia diversa. Il suo ruolo è complicato, esaltante e decisivo, con una componente tecnica, atletica e caratteriale per la quale i centimetri in altezza sono l’unico “meno” negli equilibri di una squadra. Se poi parliamo del libero della Imoco Conegliano, Monica De Gennaro la si nota subito perché è semplicemente eccezionale, da anni indiscussamente la migliore, nel suo club, in Italia, in campo internazionale. È forte, fortissima, una specialista di ricezione e difesa, che poi vuol dire anche avere senso del gioco e della posizione, spiccate doti acrobatiche, equilibrio e
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freddezza. Perché spesso un salvataggio “miracoloso” può far girare l’inerzia di un match. L’energia dedicata alle partite e agli allenamenti è quindi tanta, e così nel (poco) tempo libero Monica è una persona tranquilla e riservata, che ama stare in famiglia e che ha trovato in Veneto, prima a Vicenza e poi negli ultimi 7 anni a Conegliano, una seconda casa. «Sono partita da casa, da Sorrento, a 14 anni. Ho iniziato andando in palestra con la mia gemella. Nostra sorella più grande giocava già e noi ci mettevamo a fondo campo a palleggiare. È partito tutto da lì, le giovanili e poi nel 2002 lo sbarco in A1
con la Minetti Vicenza. Mi sono trovata in una città molto diversa, ma mi sono sentita accolta e anche se adoro il mare ho imparato a conoscere e apprezzare il territorio e mi sono innamorata delle colline del Prosecco. A Conegliano mi trovo benissimo». Prima domanda scomoda: ultimamente il Veneto viene spesso dipinto come razzista, qual è stata la tua esperienza personale e come vivi da compagna di squadra di giocatrici di colore (Sylla, Egonu, Ogbogu ed Enweonwu)? «Quand’ero più piccola, 18-19 anni fa, sentivo molto di più questa discriminazione. Andavo ancora a scuola e lì il fatto
segnali, sai come, quando e quanto spingere. In questo l’alimentazione è ovviamente preziosa per stare bene, anche se questo non significa non sgarrare mai». A proposito di salute, 6 anni fa, in campo a Kaliningrad, hai spaventato tutti accasciandoti a terra. «Era stata solo una crisi ipotensiva, ma in effetti gli altri non potevano saperlo. Purtroppo in effetti se ne sentono tante, ma i controlli oggi alle visite mediche sono più accurati. Noi come atleti nazionali siamo fortunati, ogni anno siamo sottoposti a check up medici molto approfonditi che ci permettono di mantenerci sempre in buona salute».
di essere “terrona” contava. Oggi vivo di più l’ambiente della palestra e dei tifosi, e non mi è mai capitato di sentirmi in qualche modo discriminata e penso che anche per le altre ragazze sia lo stesso. La tifoseria a Conegliano è eccezionale e non c’è razzismo». A proposito di pubblico, negli anni come è cambiato il rapporto con i tifosi vista la popolarità anche mediatica del volley femminile? «La relazione col pubblico è una parte importante del nostro essere atlete. I social hanno avvicinato molto sportivi e tifosi. È più facile ricevere complimenti e gratificazioni, così come anche critiche, ma in generale la crescita del volley ha portato per noi una maggior visibilità. Con tanti vantaggi, ma anche con la responsabilità di essere da modello per tante ragazzine che si ispirano a noi». Perché il volley femminile piace così tanto? «Per le più giovani è soprattutto uno sport pulito e di squadra, che ti insegna a convivere con altre ragazze diverse da te, che ti fa sentire che non sei da sola e ti insegna a creare fiducia. Negli anni poi è diventato sempre più spettacolare e mediatizzato. Ancora oggi per me giocare insieme, condividere emozioni è fonte di piacere e divertimento e spero di riuscire a trasmetterlo».
Della parte “volley” il pubblico vede spesso solo le partite, cosa c’è invece dietro alla preparazione di un match e qual è il lavoro specifico del libero? «C’è pochissimo tempo libero e poco tempo a volte anche per recuperare fisicamente. Bisogna sempre considerare l’incidenza dei viaggi, le trasferte, i pasti, gli hotel. Io sono fortunata perché dormo ovunque, ma non è scontato. Noi liberi siamo un organismo a parte, facciamo un lavoro tecnico specifico, alleniamo rapidità e brillantezza, ma funzioniamo sempre in maniera perfettamente integrata al lavoro del resto della squadra». Hai da poco compiuto 33 anni, si potrebbe dire che sei “vecchia”, ma nel panorama professionistico degli ultimi anni sono sempre di più gli atleti che hanno saputo prolungare con successo la propria carriera over30 e in alcuni casi anche oltre. «Medicina e tecnologia sportive hanno aperto scenari sconociuti fino a qualche anno fa, ma è la percezione di sé a fare la differenza. Quando hai 20 anni tante cose non le capisci, quando ne hai 30 ascolti molto di più il tuo fisico, ne interpreti i
Il tuo modello? «Sikora per atteggiamento e difesa, Cardullo per la tecnica». Il ricordo più bello? “Il 2° scudetto a Conegliano perché non è stato facile conquistarlo, abbiamo giocato di squadra e lottato». La compagna con cui hai legato di più? «Barcellini e Nicoletti». L’allenatore che ti ha insegnato di più? «Tutti mi hanno insegnato qualcosa». Passioni/interessi oltre al volley? «Serie TV, film, shopping, leggere». Rituali/scaramanzie prepartita? «Allaccio sempre prima la scarpa sinistra». Musica preferita? «In generale tutta quella italiana». Stai bene, sei la più forte, il tuo domani è ancora in campo? «Penso che il futuro sia qui a Conegliano, non ho voglia di smettere per il momento. Il desiderio di metter su famiglia c’è, ma può aspettare ancora un po’, quindi sì, il mio posto è ancora in campo».
Il tuo profilo Instagram ha oltre 60mila followers. «Sì, ma confesso di non essere molto social. Anzi, sono piuttosto riservata. Pubblico post che riguardano il volley, ma la vita privata, quella con mio marito, le mie sorelle e i miei nipoti la tengo per me».
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di Daniela Scalia - Foto: Paolo Schiesaro
Boom Boom
Boyer
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Chi ci fischia solo perchè lo fa il vicino di posto ci ferisce. Meritiamo rispetto.
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è un fil rouge nella storia di Stéphen Boyer che lo lega all’Italia, ma questo lui non poteva saperlo quando da ragazzino è partito dall’Isola di Réunion per giocare a volley in Francia. “Onestamente” – spiega l’opposto della BluVolley Verona – “sono partito così, a cuor leggero, come se me ne andassi al sud dell’isola». La distanza, sia geografica sia culturale, non era però di un centinaio di chilometri tra i vulcani e le foreste pluviali che caratterizzano la magnifica isola dipartimento francese nell’Oceano Indiano. “In effetti a un certo punto ho avuto un vero e proprio shock quando ho realizzato quanto lontano fossi da casa (prima vicino a Bordeaux, poi a Montpellier, quindi in Corsica prima di arrivare a Chaumont), ma le cose stavano girando bene, giocavo bene e mi ero integrato con la squadra e questo mi ha aiutato a superare quel momento”. Il volley però era ancora quasi un passatempo: “Ho fatto diversi sport da bambino, nel basket me la cavavo bene, ma ho fatto anche rugby e aikido. Il volley è capitato per caso e l’ho scelto semplicemente perché mi veniva meglio degli altri”. Impossibile però non riconoscere le
superlative qualità da atleta di questo ragazzo timido ma dal sorriso aperto che più riusciva più trovava il gusto di approfondire il proprio lavoro, quasi una scoperta a sorpresa di se stesso, con l’attitudine giusta, quella di non prendersi troppo sul serio. E a questo punto, dopo 3 anni di giovanili e una stagione all’Ajaccio, ecco arrivare una mano italiana che lo prende saldamente e lo indirizza sulla strada del
volley professionistico: Silvano Prandi lo vuole allo Chaumont. ‘Il Professore’ è uno dei tecnici tra i più apprezzati e vittoriosi nel panorama del volley mondiale. Uno che in Italia e all’estero ha vinto tutto quello che era possibile vincere. Con classe, pacatezza e fermezza. “Mi ha insegnato tutto” - dice semplicemente Stéphen – “e non solo tecnicamente, mi riferisco in particolare alla sua visione di gioco. Con lui ho capito
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frazioni di secondo. Non è una giustificazione, ma un dato di fatto. Per questo i fischi, anche se comprensibili da un lato, dall’altro fanno male”. Da fuori non sempre si capisce la vita di uno sportivo. “Ho avuto una discussione su questo anche con la mia famiglia. Ho dovuto spiegare loro la mia settimana, il mio mese, il mio anno. È tutto programmato, tutto finalizzato alla prestazione, l’alimentazione, il riposo, anche tutto quello che non è chiaramente visibile e classificabile come allenamento in realtà ne fa parte. Ogni momento della nostra giornata è sempre e comunque collegato al nostro essere atleti. Chi ci fischia solo perché magari il vicino di posto lo fa, ci ferisce. A Natale eravamo qui, abbiamo giocato il 26. La nostra famiglia spesso la rivediamo solo a fine stagione. È il nostro lavoro, una
anche cosa fosse il volley professionale, cosa voleva dire farne una professione. Il ricordo più bello della mia carriera è proprio il secondo anno allo Chaumont, è stato duro, esaltante, educativo. E sì, alla fine abbiamo vinto il titolo, ma la parte più bella è stata proprio il percorso sia personale sia di squadra per arrivare al traguardo”. In un’esperienza così non possono mancare gli aneddoti: “No, infatti. Una volta Silvano mi ha dato una grande lezione, nel suo stile. Avevamo perso una partita, io ero arrabbiato e Silvano è venuto da me a ringraziarmi. Ovviamente mi ha lasciato perplesso. Poi mi ha detto che nella sua carriera aveva raggiunto tanti record, ma non aveva mai visto un giocatore prendere 11 murate, quindi ero entrato nel suo personale libro dei record. Mi ha spiazzato completamente, l’arrabbiatura è sbollita e mi ha aiutato a mettere le cose in prospettiva, concentrandomi sul migliorarmi. Silvano è un vero signore”. Un titolo di campione di Francia e una Supercoppa francese, la nazionale mag-
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giore e poi ancora l’Italia sulla sua strada con l’arrivo alla BluVolley Verona. “L’Italia, Verona, sono magnifiche” – ci dice il numero 9 gialloblu – “è inutile che parli di monumenti o bellezze della città, sono evidenti, ma la cosa che mi ha veramente colpito è il buonumore delle persone. Esco a passeggiare col mio cane o con la mia ragazza e trovo sempre persone allegre e sorridenti. Rispetto alla Francia è impressionante anche il numero di persone che si interessano allo sport e che ci sia un impianto così (l’AGSM Forum di Verona, ndr) in cui giocare a volley. Sto davvero bene a Verona”. Sul fronte sportivo però le cose potrebbero andare meglio. “È vero” – ammette Stéphen – “ma anche se sembra una frase fatta, ci vuole veramente tempo e cura per costruire una squadra. Non solo sul piano tecnico, ma anche su quello mentale. La gestione del match, la tenuta psicologica, la correlazione muro/difesa, le scelte di gioco. In alcuni frangenti ci sono tonnellate di informazioni da processare in poche
nostra scelta, ma merita rispetto. D’altra parte ci sono anche tifosi che ci sostengono sempre e comunque e che il giorno di Santo Stefano erano in trasferta con noi”. L’Italia sta segnando la sua carriera: contro gli azzurri agli Europei Boyer ha fatto una prestazione sensazionale. “Me ne sono reso conto” – sorride – “solo quando mi hanno fatto vedere lo scout. Certo, lo capisci se stai giocando bene o male. Ma la concentrazione è tale per cui non lasci spazio ad altri pensieri che all’essere presente palla su palla. E in quell’occasione tanto di più era importante restare equilibrati e coi piedi per terra, perché subito dopo c’era un’altra partita da giocare. In genere si tende a esaltarsi un po’ troppo per le vittorie e a deprimersi altrettanto troppo per le sconfitte. Anche a livello mediatico succede questo, che naturalmente si riflette sulle aspettative e
sull’atteggiamento del pubblico, mentre per noi è fondamentale tracciare una linea di equilibrio”. L’avversario che ammira di più? Non ci sono dubbi: “Leon. è fortissimo, ma allo stesso tempo umile, tranquillo e sereno!”. Per quanto riguarda il pre gara, Stéphen si rivela molto equilibrato: “Mi preparo tranquillamente, senza riti o scaramanzie. Ho paura di essere superstizioso, se una volta non dovessi riuscire a compiere il mio rituale? Sono però abitudinario. Mi fermo a prendere un caffè prima di venire al palasport, mi vesto con calma ed esco solo all’ultimo momento”. Infine Boyer confessa: “Lo sport finora mi ha dato moltissimi insegnamenti ma penso che il più grande sia quello che a volte bisogna fare i conti con l’ingiustizia. Può sembrare brutto da dire, ma è appunto una lezione anche di vita”.
Daniela Scalia intervista Stèphen Boyer.
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o r t s e n a c à p Pa
a cura di Gian Paolo Zaffani - Foto: Massimo De Marco - Paolo Schiesaro
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amore per lo sport. L’ambizione. Il sogno. Il basket. La famiglia. Lo possiamo descrivere così, in 5 concetti che stanno alla base di Andrea Diana. Sì, Andrea Diana. E volutamente omettiamo, almeno per un attimo, la parola coach. Perchè prima di tutto, a domanda diretta, Diana si descrive come “papà di due splendidi bambini: Federico di 5 anni e Cecilia di 1 anno e 4 mesi”. “Io mi vedo così” – prosegue Diana – “poi sono un uomo di sport perché amo qualsiasi tipo di disciplina. Sono cresciuto in questo ambiente, fin da bambino volevo fare sport nella mia vita, anche le mie scelte scolastiche sono state indirizzate per arrivare là”. Un sogno che poi è diventato realtà. Un percorso che ha portato Andrea Diana a diventare coach Andrea Diana. Riconosciuto e stimato in tutto l’ambiente del basket. Quello sport che Diana, fin da bambino, ha vissuto da bambino nella sua Livorno, negli anni un cui la città labronica lottava per la conquista dello scudetto. Il sorriso che accompagna le sue parole trasmette una passione sconfinata. “In qualsiasi momento della giornata” – confessa – “pensavo al basket, in qualsiasi momento della giornata giocavo nel cortile di casa e in camera da letto;
in ogni istante il mio pensiero era per questo bellissimo sport. Lì mi è entrato dentro”. Come in tutte le storie belle, ci sono momenti che segnano il percorso. Momenti e persone. Una di queste? “Sodini. In quegli anni giocavo in Serie C, avevo 30 anni” – si sofferma coach Diana – “allo stesso tempo allenavo al Don Bosco Livorno, una delle società migliori in Italia per la formazione di allenatori e giocatori. Proprio Sodini mi ha dato la spinta, mi ha chiamato dicendomi che mi voleva come suo assistente. Serviva una scelta drastica, dovevo interrompere la carriera
da giocatore ed iniziare quella da allenatore professionista. Così ho fatto. E lì ho iniziato a pensare al basket come un lavoro, il mio sogno era arrivare in Serie A. Avevo forte, dentro, la volontà di iniziare questo percorso durante il quale ci sono state tante persone che mi hanno dato tanto. Sono stato fortunato. Dagli anni con Luca Bechi, con lui abbiamo vinto un campionato italiano Allievi nel 1998; la sua grinta, la sua passione, la sua carica sono stati uno dei primi insegnamenti. Poi Marco Sodini, al Don Bosco, dal quale ho imparato tanto dal punto di vista tecnico. Gli anni successivi sono arrivate le squadre Senior: ho lavorato con Dell’A-
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Voglio vedere davanti a me persone, non numeri di maglia: credo molto nel rapporto umano. niello e da lui ho imparato la gestione del gruppo, la disciplina. Poi coach Martellossi che mi ha dato tanta responsabilità. Però non vorrei fermarmi qui”. Coach Diana ci tiene a non dimenticare nessuno. È un libro aperto, la mente vola indietro. Spiega: “Ci sono anche altre persone, voglio citare due senior assistant. Il primo è Gianfranco Benvenuti, a Livorno, lui viveva con noi durante il giorno il secondo è Mario De Sisti a Ferrara. Lo reputo uno scienziato del basket. Lui mi disse: 'Quando vai a parlare con un giocatore e devi prenderlo nella tua squadra guarda se sorride. Non prendere ragazzi seri, chi non ride mai non può andare bene nel nostro sport'. Da loro ho certato di prendere il meglio”. La passione, la capacità di carpire le cose più belle ed importanti dalle persone vicine, la voglia di realizzare un sogno. Tutte componenti che hanno creato coach Andrea Diana di oggi: ”Come mi descrivo? Parto dalla mia etica. Credo molto nel lavoro giornaliero, nel cercare di finire ogni allenamento cercando di aver dato il massimo. Mentalità, lavoro, allenamento. Come seconda cosa il mio passato di giocatore è stato fondato sulla condivisione della palla, sul coinvolgimento. La mia fotografia ideale di squadra è mentalità, grinta difensiva e che ama giocare assieme in attacco. Share the ball è uno dei topic che metto quasi per ogni partita sul game plane. La pallacanestro moderna credo sia bella così, quando non si basa sul talento individuale di ogni singolo giocatore ma sulla squadra”. Basi che si è portato anche qui a Verona, quando lo scorso 3 dicembre ha iniziato la sua avventura in gialloblù. Poche parole, fin dall’inizio. Chiare, chiarissime. Perché dopo gli anni di Brescia, arrivando
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dalla Serie A2 a giocare una Coppa Europea, serviva qualcosa di speciale per tornare in panchina. Non cercava solamente una squadra, bensì qualcosa in più. “Cercavo una sfida” – spiega – “e qui c’è. Qui si vuole provare ad arrivare in Serie A ed ho firmato con Verona per vincerla. Ho visto, da fuori, le condizioni per arrivare a raggiungere questo risultato e poi toccato con mano la realtà di Verona,
tutte le componenti: club, giocatori, stampa, tifosi. Quando questi elementi sono allineati e spingono nella stessa direzione, allora si creano dei presupposti solidi per andare all’obiettivo. Se le componenti, invece, si dividono, quello porta disgregazione ed abbassa il livello di forza di tutto l’ambiente. Chiaramente i risultati aiutano in questo, l’obiettivo ora è quello di avere più continuità per avere più coinvolgimento generale.
una società molto organizzata che mette l’allenatore nelle migliori condizioni per lavorare”. La stagione non è semplice. Tante attese all’inizio, i primi risultati che arrivano poi inizia la flessione. Un attimo, nello sport, per cambiare l’aria e l’ambiente. “Partire favoriti” – ci tiene subito a puntualizzare il coach – “non vuole dire niente, nessuno ti regala qualcosa. La Serie A2 è molto dura, tutti possono vincere contro tutti. Proprio per questo serve sinergia tra
Però quando arriverà la fase clou, bisognerà combattere tutti, in casa ed in trasferta”. Ora, la Tezenis, è ancora un cantiere. Il roster che è cambiato, nuovi equilibri da costruire, una dinamica di gioco che è ancora in evoluzione. Serve e servirà tanto lavoro, cosa che non spaventa né coach Diana né i suoi giocatori. “Fin dal primo giorno ho cercato di portare dentro il gruppo il mio modo di essere. Credo molto nell’etica del lavoro, questo paga sempre”.
Ma c’è di più. Non c’è solo una palla a spicchi, un campo rettangolare, due canestri che devono diventare bersaglio. Il gioco di squadra è di più. Il basket è molto di più. “Voglio vedere davanti a me persone, non numeri di maglia” – sono le parole del coach scaligero – “perché credo molto nel rapporto umano che si deve creare: onesto, sincero e con rispetto reciproco. La mia esperienza ed il mio modo di essere mi
porta a questo, non si può lavorare bene in un ambiente dove non c’è rapporto e comunicazione”. Un ambiente, quello veronese, che l’ha accolto a braccia aperte nel quale, coach Andrea Diana, si è calato perfettamente. Attento osservatore come un comandante di una nave in mare, Andrea ha già trovato il suo angolo preferito in città: “È Ponte Pietra. Lì ritrovo il rumore dell’acqua. Per
me, nato a Livorno, sul mare, l’acqua ha sempre un’attrazione particolare. Qui mi godo il suo rumore dal Ponte, guardando la città che devo dire è davvero bellissima”. Il presente si chiama Verona ed ancora una volta, come nella vita di tutti gli sportivi, si lavora giorno dopo giorno per un obiettivo solo, da raggiungere a fine stagione: “Noi, ci svegliamo ogni mattina con il desiderio di arrivare in fondo al nostro percorso”.
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Zizi 2.0 di Andrea Etrari - Foto: Paolo Schiesaro
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La mia prima squadra in Italia è stata l'Alpo: è stato facile ritornare!
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Ecodent Point Mep Alpo ha riabbracciato quest’anno Marina Dznic, la lunga bosniaca che aveva vestito la canottiera biancoblu nelle stagioni 2015/16 e 2016/17. La popolare Zizi non ha resistito alla chiamata dell’Alpo Basket ed ha subito risposto presente perché è sua intenzione (e della società) tentare il salto in A1. La formazione del Presidente Renzo Soave ha infatti sfiorato la promozione nella massima categoria nella stagione scorsa e in quella precedente, pertanto potrebbe essere questo l’anno buono. Nei due anni di ‘esilio’, Dzinic ha giocato a Campobasso in A2 e nello Spirou Charleroi (serie A belga) la passata stagione, interrotta però bruscamente da un grave infortunio al ginocchio. “Un anno bruttissimo per me” – racconta Marina – “perché mi sono rotta il legamento crociato del ginocchio alla seconda giornata di campionato e, a causa di ciò, ho perso in pratica tutta la stagione. Si è trattato del mio primo infortunio in carriera ed è stato davvero duro e lungo il percorso di recupero. Per fortuna mi sono curata bene, dal momento che quella stagione era oramai persa: non ho avuto fretta perché, con l’estate di mezzo, avevo più tempo per recuperare. E così è stato”. E, appunto, a fine estate Marina è tornata ad Alpo. “La mia prima squadra in Italia” – spiega Zizi – “è stata l’Alpo Basket: qui ho passato due anni bellissimi e sono
rimasta in buonissimi rapporti con tutti. È stato pertanto facile dire di sì, anche perché c’è la possibilità di fare bene in questa stagione”. Le stagioni che seguono ad un infortunio non sono mai facili. ”Già” – ammette Dzinic – “infatti ho faticato molto all’inizio: dal punto di vista fisico e atletico non ho avuto problemi, in campo invece è stato tutto più difficile perché non ero più abituata al contatto e soprattutto la paura di farmi di nuovo male era tanta. In precampionato ho giocato poco, poi pian piano le cose sono andate meglio, anche se non ho ancora raggiunto il mio massimo”. La prima parte di stagione è andata bene e
l’Alpo ha rispettato le aspettative “Direi di sì” – ammette il numero 12 biancoblu – “essendo noi una squadra quasi tutta nuova: ci siamo qualificate alla final eight di Coppa Italia per il terzo anno consecutivo e siamo a ridosso della vetta della classifica. È ovvio che dall’Alpo tutti si aspettino tanto; la stagione è ancora lunga e possiamo ancora crescere. Se puntiamo alla promozione? Noi ci siamo. È chiaro che ci sono altre pretendenti come Moncalieri e Crema, ma abbiamo dimostrato di non essere inferiori a nessuno. I playoff poi sono un altro campionato, dove può succedere di tutto, di sicuro non vogliamo il meglio possibile”.
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I NTERVISTA iani iv V io il t t A
Attenti al Piccolino di Fabrizio Sambugar - Foto: Mathilde L'Azou - Kramon
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omanda per i fan del ciclismo: chi è il velocista veronese che fa corse su strada e in pista e che quest’anno milita nel team francese Cofidis? Se avete pensato a Elia Viviani la risposta è naturalmente esatta, ma non è l’unica giusta. Infatti c’è anche un altro Viviani che corrisponde all’identikit: si tratta di Attilio fratello ventitreenne del famoso campione, che ha iniziato nel migliore dei modi il suo percorso da ‘pro’. Due vittorie in bacheca - in volata, ca va sans dire – hanno convinto la Cofidis, dopo averlo avuto per un breve periodo come stagista, a metterlo sotto contratto. Attilio si è raccontato a SportdiPiù magazine in questa intervista esclusiva tra speranze, obiettivi e la rivalità, se così possiamo chiamarla, con il fratello ‘olimpico’ Elia. Attilio, il ciclismo è quindi lo sport ufficiale di casa Viviani? «In realtà gli sport sono due, calcio e bicicletta. Da piccoli tutti e tre noi fratelli abbiamo sempre fatto entrambe le cose, il sabato si tiravano calci al pallone e la domenica si pedalava. Nell’adolescenza poi quando l’impegno ha imposto una scelta io ed Elia abbiamo scelto la bici mentre Luca ha scelto il calcio (attualmente gioca in serie D). Lo sport è sempre stato per noi parte della vita quotidiana».
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Come tuo fratello Elia sei sia un pistard che un corridore su strada. Come nasce tutto ciò? «Devo tanto alla Arvedi cycling, che finalmente ha creato in Italia un progetto sportivo di alto livello per la pista under 23. È questo un settore dove non c’è molto a livello giovanile, l’unica struttura organizzata era la nazionale. Arvedi cycling invece è un gruppo dedicato a preparare talenti per i velodromi, consentendo a Marco Villa (CT della nazionale ndr) di avere un serbatoio cui attingere per gli impegni internazionali. Una squadra dove noi ragazzi stavamo sempre insieme, nelle gare e allenamenti in giro per il mondo. Abbiamo portato risultati abbinando poi a volte anche le corse in linea. Vincendo spesso anche». Ora che su strada stai iniziando a dire la tua, manterrai questa ‘doppia vita’ ciclistica? «In realtà tra le due specialità mi piace di più la strada, ma tutto quello che ho imparato per arrivare qui lo devo alla pista. È un mondo diverso, la bici ha il rapporto fisso, non ci sono i freni, le gare sono molto tattiche. È una scuola, che ti fa imparare secondo me a condurre il mezzo in maniera molto più efficace. Al giorno d’oggi è difficile fare entrambe, ci sono preparazioni specifiche e soprattutto ci vuole una ‘testa’ diversa, passare dai velodromi all’asfalto ed essere vincenti da ambo le parti è veramente dura. Mio
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fratello ci riesce ma lui è veramente di un’altra categoria. Per me comunque ogni tanto fare quel tipo di allenamento è indispensabile». La Cofidis ti ha preso come stagista per le corse su strada e li hai subito convinti lo scorso agosto, vincendo la Schall Sels in Belgio, peraltro lo stesso giorno in cui qualcun altro ha trionfato alla classica di Amburgo… «Una giornata incredibile. La corsa è stata dura su un circuito molto pericoloso, nei primi 30km ci sono state
tante cadute. Dopo uno stop la giuria ha modificato il percorso e siamo ripartiti. Non avevamo una tattica precisa ma la strategia si sarebbe evoluta in corsa. Nelle battute finali ero davanti e mi hanno dato il via libera per provarci. Devo dire grazie al mio compagno di allora Bert Van Lerberghe che mi ha tirato la volata in maniera perfetta. Non si vede spesso un pro sacrificarsi per tentare di far vincere uno stagista. Finché aspettavo il podio poi ho chiesto al massaggiatore di tenermi aggiornato sulle battute finali della corsa di Amburgo, dove Elia era uno dei
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Con Elia ci sentiamo ogni giorno e anche quando non vogliamo parlare di bici, alla fine andiamo sempre a finire lì
favoriti (Elia Viviani ha vinto la classica di Amburgo per la terza volta consecutiva ndr). È stato bellissimo poi sentirci e farci i complimenti per le vittorie reciprocamente». Il bis non si è fatto attendere molto. Ti hanno messo sotto contratto e alla prima occasione sei andato a segno. Alla prima partecipazione alla Tropicale Amissa Bongo (corsa a tappe che si corre in Gabon ndr) è subito vittoria. «Si, l’anno è iniziato bene. In Cofidis mi avevano detto di fare una buona preparazione perché avrei cominciato presto e mi hanno scelto per questa corsa in Africa. Alla prima frazione ho preparato bene la volata ed ho vinto, ho messo addirittura per un giorno la maglia del leader. Poi anche il resto della corsa è andato bene, ho fatto buoni piazzamenti».
sport nello stesso periodo. E ora perfino nella stessa squadra». Ma se dovessi sfidarlo un giorno te la giocheresti in volata? «In una volata classica adesso vincerebbe sempre lui, con il treno a tirarci. (ride). Però con un arrivo in leggera salita se gli stessi a ruota fino all’ultimo sarebbe comunque difficile ma forse avrei una possibilità per giocarmela». Nel ciclismo molti sono i soprannomi coniati per gli atleti che si mettono in luce. Elia viene detto il Profeta con un simpatico gioco di parole sul suo nome.
A te hanno già dato qualche etichetta? «È ancora presto per avere un soprannome ‘ufficiale’. Però ricordo che quando gareggiavo negli allievi mi chiamavano spesso Il piccolino data la mia struttura fisica non imponente. Parlando con i loro atleti i capisquadra avversari dicevano sempre “State attenti al piccolino” perché mi capitava poi spesso di vincere. Questa cosa mi è rimasta e mi piace. Ancora adesso quando mi capita di vedere le gare dei bambini io tifo sempre quello più piccolo e magro, spero sempre sia quello che poi all’arrivo sia davanti a quelli più grandi come facevo io».
Come è il tuo rapporto con Elia? «Ci sentiamo ogni giorno e anche quando non vorremmo parlare di bici alla fine si va a parare lì. È un onore lavorare con lui, lo considero un maestro. Lo conosco bene, è un grandissimo lavoratore e si impegna in maniera meticolosa sempre al 101% per riuscire. È un atleta forte di testa e molto bravo nell’ascoltare e capire le sensazioni che gli trasmette il proprio corpo, veramente un fenomeno nel trovare l’equilibrio giusto che poi ti dà la prestazione. È impagabile per me confrontarmi con lui che vive il mio stesso
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L'architetto del mare 68 / SdP
di Marina Soave - Foto: Christophe Breschi
Pietro Luciani
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l presidente degli Stati Uniti d’America John Fitrzgerald Kennedy provava un amore vero e genuino per il mare e per la navigazione. discorso che tenne nel 1962, in occasione Al taglio del nastro dell’America’s Cup, del 1962 pronunciò questa frase: “Tutti abbiamo nelle nostre vene la stessa percentuale di sale che esiste nell’oceano. Abbiamo il sale nel sangue, nel sudore, nelle lacrime. Siamo legati all’oceano e quando torniamo al mare, per regatare o semplicemente per assistere a una regata, torniamo al posto da cui veniamo”. Il legame che unisce mare e uomo è di fatto una linea sottile, quasi impercettibile. Non tutti però riescono ad individuarla e seguirla con le medesime tempistiche. Pietro Luciani, architetto veneziano classe 1985, il suo amore per il mare e per la vela l’ha scoperto con il tempo, quasi per caso. Un amore che, ad oggi, lo porta a vivere quasi esclusivamente tra le onde, tralasciando in parte la sua professione. Per vivere in simbiosi con imbarcazione e oceani, nulla deve essere lasciato al caso, come nella realizzazione di un progetto immobiliare. Mentre si naviga, però, non ci sono confini, pareti e perimetri, ma solo acqua e cielo. Pietro, com’è nata la tua passione per la vela? «Adoro la vela, ma la mia vera passione è la competizione velica. Quello delle regate era un pensiero ricorrente ma non ho il classico curriculum di vela leggera maturato fin da piccolo, né vengo da una famiglia di velisti. Circa 8 anni fa ho avuto la prima vera occasione: me la sono giocata bene e sono stato fortunato ad incontrare Catherine Pourre, l’armatore con il quale ho poi navigato per 5 anni, con progetti sempre più importanti di anno in anno. È stata una corsa entusiasmante. Negli anni mi sono specializzato nelle regate lunghe (durata che varia da 4-5 gg fino a 3 settimane n.d.r), in equipaggio ridotto, solitamente in doppio o in solitario, principalmente in Oceano. Spesso la regata più importante della stagione è una traversata atlantica. Chi fa questo tipo di vela d’altura, prima o poi, finisce in Francia, soprattutto in Bretagna, vera culla di questo sport che i francesi chiamano course au large. Se
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facessimo un parallelismo con altri sport, la vela oceanica sta alla Coppa America come la Dakar sta alla F1, o come l’alpinismo sta all’arrampicata sportiva. Chi fa questo mestiere deve certamente essere un buon velista, ma non serve che sia il migliore del mondo per eccellere; invece è importante che sia anche un po’ meccanico, un po’ meteorologo, un po’ velaio, un po’ rigger (chi si occupa dell’armo della barca ndr)». Dove e quando si svolgono i tuoi allenamenti e cosa prevedono? «L’allenamento, o meglio la preparazione personale, parte dalla conoscenza del mezzo: passo più tempo a terra, a lavorare alla barca, che in mare. In senso stretto, però, l’allenamento più produttivo ai fini delle prestazioni prevede uscite a 4 o 5 barche, con un coach in gommone che dirige e documenta l’allenamento per la successiva analisi a terra, incrociando le sue osservazioni con i dati registrati in barca. Durante l’uscita proviamo le vele, le regolazioni, le manovre, a stretto contatto con le altre barche, condizione che raramente si verifica in regata perché, quasi sempre, dopo pochi giorni le distanze tra le imbarcazioni sono tali da rendere difficile confrontarne le prestazioni». Nel tuo sport quanto conta l’aspetto mentale? E quello fisico? «Come sempre nello sport i due aspetti sono importantissimi e difficilmente
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scindibili, ma l’unico imprescindibile è quello mentale: in alcune condizioni lo stress può essere intenso e durare giorni, gli errori possono costare molto caro, in termini di prestazione e di sicurezzaintegrità del mezzo e delle vele. È fondamentale restare lucidi, evitare una privazione del sonno eccessiva. La testa aiuta anche a fare quello sforzo in più che quasi sempre fa la differenza: a volte devi farti violenza per cambiare una vela per esempio, tutto vorresti tranne fare una manovra che dura magari venti minuti, perché sei già con la spia della riserva che lampeggia e vorresti solo dormire un po’. Se non sei solido mentalmente, durante la regata, ti lasci trascinare in un’altalena di emozioni: quando le cose vanno bene sei euforico e rischi di non gestirti bene, quando vanno male ti scoraggi. Serve tanto equilibrio. Non è un caso che tanti navigatori oceanici siano assolutamente competitivi anche se over 50». Cosa ti piace maggiormente di questo sport? «Mi piace da matti la complessità e la moltitudine degli aspetti che compongono questo sport, aspetti sia manuali sia di studio teorico. Sono architetto di formazione: Adolf Loos, grande architetto di fine Ottocento inizio Novecento, considerato uno dei pionieri dell’architettura moderna, si definiva ‘un ‘muratore che sa il latino’. Ecco questa definiziona può calzare benissimo anche per il velista
oceanico, uno che tira corde e studia le isobare, che vive come un animale per giorni mentre utilizza software avanzati di navigazione». Navigare è uno sport d’elite? «È vero, in Italia quantomeno. I costi sono alti e non c’è dubbio che avere una certa disponibilità economica semplifichi la vita. Non devi essere ricco per avere l’opportunità di andare in barca a vela, ma non è facile trovare costantemente le occasioni giuste che ti permettano di crescere velisticamente. In Francia, specie in Bretagna, mi sento di dire che sia diverso: vivere il mare attraverso la vela è parte della cultura popolare. I porti sono pieni di barche piccole, spesso non scintillanti ma che navigano, con bello e brutto tempo. Mentre noi siamo fermi allo stereotipo del velista con l’occhiale da sole bianco, vestito con capi tecnici dalla testa ai piedi, che finisce per restare in banchina perché fuori ci sono 20 nodi di vento. Questo stereotipo non ci rappresenta ma non riusciamo a liberarcene». Quanto tempo ti occupa la vela e cosa ti piace fare nel tempo libero? «La vela d’altura prende una ‘montagna’ di tempo, a maggior ragione se, come mi è capitato negli ultimi due anni, hai sulle spalle l’organizzazione di una barca, dei lavori da fare, del calendario e della logistica. Il 2019 mi ha visto lontano da casa per circa 9 mesi: è vero anche che è
il mio lavoro, da casa posso seguirlo solo in minima parte. Il tempo libero serve a ricaricare le batterie e a metterti al passo con tutto quello che hai trascurato». Quali sono le regate che ricordi con maggiore emozione e quelle che, al contrario, non vorresti aver mai intrapreso? «Non mi pento di alcuna regata. Mi capita, nei momenti più difficili, di chiedermi chi me lo faccia fare; capita quanto sei sfinito, bagnato e infreddolito, e le condizioni meteorologiche sono dure. Ma per quanti momenti difficili una regata porti con sé, appena tagliata la linea d’arrivo, saresti pronto a ripartire, magari dopo aver dormito 24 ore. E poi la birra dopo 3 settimane in mare è buonissima! Ricordo con grande emozione le due Transat Jacques Vabre a cui ho partecipato, nel 2017 e nel 2019. È una regata che da Le Havre, in Francia, ti porta a Salvador de Bahia, in Brasile. Quando lasci la banchina e davanti a te hai 4350 miglia di Oceano, le farfalle in pancia si fanno sentire». C’è un campione dello sport - in generale a cui ti ispiri o ti sei ispirato in passato? «Sono sincero, non ho uno sportivo a cui posso dire di essermi ispirato. Mi affascinano moltissimo le storie dei grandi campioni dello sport e un po’ mi abbattono, perché c’è una costante: la mentalità del campione e la continua ricerca della vittoria. Io sono molto competitivo e mi piace pensare di essere mentalmente
Pietro con l'armatore Catherine Pourre
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Per quanti momenti difficili una regata porti con sé, appena tagliato il traguardo saresti pronto a ripartire subito. molto solido, ma tra questo e la fame assoluta di vittoria dei grandi campioni, che fanno o hanno fatto la storia dello sport, la distanza è enorme». Obiettivi e progetti per il 2020? «Il 2020 mi vedrà correre con la stessa barca dell’ultimo biennio, Earendil, due regate a cui tengo molto: l’Atlantic Cup negli USA, da Charleston a Portland passando per NYC e la Quebec-Saint Malo, vero appuntamento della stagione prossima. Quest’ultima è una traversata atlantica ovest – est: da Quebec City in Canada,
passando per il fiume San Lorenzo, per l’Atlantico del nord e per la Manica si arriva a Saint Malo, in Bretagna. Rispetto al 2019, il calendario è molto più leggero. Vorrei dunque approfittare per navigare con altre tipologie di imbarcazioni e soprattutto per dedicarmi al mio progetto in vista della Rotta del Rhum 2022. La rotta del Rhum è la Traversata Atlantica, in solitario, dalla Francia alla Guadalupa, nei Caraibi, e si corre ogni 4 anni. L’appuntamento del 2022 è un sogno da realizzare».
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I NTERVISTA a lv a S a s o R o r t Pie
Venice Marathon, una crescita continua di Matteo Lerco - Foto: Venice Marathon
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Il presidente Pietro Rosa Salva
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na corsa dentro la storia del Veneto. La nostra regione in quanto a sport rappresenta uno scrigno pieno di eccellenze e la maratona, in questo senso, non gioca sicuramente un ruolo secondario. Nel panorama podistico veneto la Venicemarathon sta acquisendo sempre più importanza, essendo da sempre una corsa che coniuga la competitività sportiva con bellezza e peculiarità del territorio. Cavalcando l’onda del cambiamento negli ultimi cinque anni l’offerta rivolta ai runners è stata ampliata inserendo anche la 10 km, competizione che fin da subito ha riscosso il consenso del pubblico. Il Presidente Pietro Rosa Salva è fermamente convinto che il movimento sia destinato a crescere ancora. Presidente, com’è nata una manifestazione che sta diventando sempre più punto di riferimento per la disciplina nel territorio? «Dobbiamo tornare al contesto degli anni Ottanta. All’epoca l’atletica ‘viveva’
prevalentemente su pista e la maratona era un settore molto limitato, certamente non concepito come fenomeno di massa. La vera scintilla è scoccata con la vittoria di Orlando Pizzolato a New York nel 1984: da lì tutti improvvisamente si appassionarono di corsa e l’ascesa del movimento fu immediata. Io avevo già in mente l’idea di organizzare qualcosa a Venezia, mi confrontai con Primo Nebiolo, uno dei più grandi dirigenti sportivi italiani di sempre che all’epoca governava l’atletica mondiale, e nel 1986, insieme ad alcuni amici, fondammo la Maratona di Venezia, con la prima data storica fissata il 18 Maggio dello stesso anno». Secondo quale logica è stato studiato il percorso? «Credo che lo sport debba essere sempre legato visceralmente con il luogo che ne ospita gli eventi. Per questo proponiamo ai nostri iscritti un autentico viaggio all’interno di Venezia e dintorni. Si parte da Stra e si attraversano i comuni di Fiesso D’Artico, Dolo, Mira per giungere poi nel nostro capoluogo: abbiamo cercato di non sforare mai una certa soglia di iscrizioni proprio per rispettare il nostro territorio, preservando di riflesso la spettacolarità dell’evento». A livello di staff organizzativo verso
che direzione state indirizzando i vostri sforzi? «Stiamo ricevendo una grande risposta dall’Italia e dall’Estero. Complessivamente un terzo dei nostri iscritti provengono dal Triveneto, un terzo dal resto del Paese e un terzo sono stranieri. Emblematico inoltre è il fatto che il 50% siano donne e che la maratona sia sempre più un fenomeno sociale che si pratica oltre i quarant’anni. Cerchiamo sempre di guardare alle esigenze dei nostri atleti, potenziando accoglienza, servizi e qualità globale della corsa». Quali sono secondo lei margini di crescita della maratona nel decennio in cui siamo entrati? «L’atletica in generale è una disciplina che va sempre più di moda. L’esplosione di sport come il Nord Walking è il segno dei tempi: la gente ama stare all’aria aperta e se si riesce a coniugare quest’esigenza con l’attività fisica è tutto di guadagnato. Penso che il nostro movimento si stia dirigendo sempre più verso l’ambiente e nei prossimi anni dovremo avremo avere un occhio di riguardo sull’impatto che le nostre iniziative riverberano sul nostro ecosistema. Molti atleti scelgono a quale maratona partecipare tenendo anche conto del grado di sostenibilità eticomorale proposto dagli organizzatori».
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STARE BEN E
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Riscaldamento pre allenamento: sempre o solo se fa freddo? di Cecilia Zonta - Foto: coffeetumbler
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a fase del warm up (riscaldamento) può essere divisa in 3 categorie: mobilità articolare (generale e specifica) esercizi globali a bassa intensità e propedeutici innalzamento della temperatura interna corporea Con i lavori di mobilità articolare è come se volessimo andare ad ‘oliare’ le nostre articolazioni, in tutte le angolazioni da loro raggiungibili. È importante lavorare su tutte le articolazioni del nostro corpo, ma soprattutto quelle di cui avremo più bisogno durante il nostro allenamento, così che potranno esserci di supporto per gli esercizi che andremo a svolgere. Ottimale sarebbe preparare le articolazioni a raggiungere range di movimento maggiori rispetto a quelli richiesti dal singolo esercizio È importante anche dedicare una parte del riscaldamento ad esercizi a corpo libero
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o a bassa intensità globali e propedeutici alla fase centrale del workout; in questa fase si va ad attivare e richiamare il sangue in tutti i distretti muscolari, per esempio svolgendo gli stessi esercizi che andremo a eseguire successivamente, ma senza sovraccarichi questo ci permette di preparare anche la nostra mente all’allenamento che seguirà (della serie, questo è ciò che ti attende!) L’ultimo punto forse può trarci in inganno: è estate, fa caldo… ho caldo e quindi non mi serve riscaldarmi. Niente di più sbagliato! Si tratta di temperatura interna corporea. L’innalzamento della temperatura corporea, che si ottiene attivando la muscolatura, porta benefici alla prestazione fisica, grazie all’aumento della viscosità dei tessuti e al miglioramento dell’elasticità dei tendini. La fase di riscaldamento (parliamo di persone sportive, non di atleti professio-
nisti) può variare dai 10 ai 20’ a seconda del tempo a disposizione per l’intero allenamento (Dato che deve comunque essere proporzionato) e deve essere seguito aumentando progressivamente l’intensità, così da avvicinarsi in modo graduale a quella richiesta dalla fase centrale dell’allenamento. Possiamo quindi concludere, che il warm up non dipende dal clima, con l’eccezione che durante le stagioni più calde, la temperatura interna corporea impiegherà meno tempo a raggiungere i livelli ottimali, ma rimarrà comunque una delle tre fasi da spuntare nella propria lista! Hai ulteriori dubbi o curiosità? Non esitare a contattarmi su Instagram ;) In più, se cercherete di prendervi cura di lui al meglio anche durante le feste, sarà poi meno traumatico il rientro alla realtà del nuovo anno!
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I NTERVISTA onacci B o c r a M
Il 'gigante' multipurpose di Michele De Martin - Foto: Beppe Fongaro
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arco Bonacci, ex Giants Bolzano, vestirà la maglia numero dieci degli Agsm Mastini Verona per la nuova stagione. Giocatore di altissimo livello nel panorama del football americano ‘Made in Italy’, Marco Bonacci (classe 1989) è un atleta di un metro e novanta centimetri per cento chilogrammi di peso, ha giocato gran parte della sua carriera nei Giants Bolzano con l’esperienza in terra finlandese ad elevarlo tra i migliori prospetti
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europei nel ruolo di wide receiver. Un giocatore a tutto tondo, multipurpose se vogliamo usare un termine tecnico, in grado di fare la differenza. Abbiamo scambiato quattro chiacchere con Marco per conoscere la sua storia, il passato e il futuro nel mondo del football americano ora, per lui, con la ‘scala’ sul casco. Marco, da quanti anni giochi a football americano? «Ho iniziato a giocare nel 2005 con i Wolfz Merano, la squadra più vicina a
dove abito. Dopo tre stagioni mi sono avvicinato ai Giants Bolzano, prima nel settore giovanile, poi nel farm team dei Giganti prima di passare al senior team nella massima serie dove ho giocato sino alla scorsa stagione. È poi arrivata l’esperienza in Finlandia a Seinäjoki con i Crocodiles. Uno scout finlandese mi ha voluto a tutti i costi per la seconda parte della stagione del loro massimo campionato. Un livello molto alto, competitivo, con giocatori davvero forti atleticamente e fisicamente».
Ti conoscono tutti come wide receiver ma sappiamo che sono molti i ruoli che puoi ricoprire o che hai ricoperto nella tua carriera… «Diciamo che ho iniziato la carriera come quarterback e free safety a Merano. Con loro ho vinto il titolo della Winter League proprio contro i Redskins, che incontrerò nuovamente nella ormai prossima stagione. Ho mantenuto questi ruoli anche a Bolzano sia nell’under 19 che nel campionato italiano Arena League. Nel senior team sono stato schierato come ricevitore perchè avevano visto in me delle caratteristiche importanti, legate forse ad una buona capacità di lettura del campo. In questi anni ho giocato anche tight end, punter, long snapper. Mi piace definirmi un “jolly”». In questi quindici anni di carriera la parola ‘Finale’ ha fatto spesso parte delle tue stagioni sportive… «Una bella collezione davvero, non sempre sorridenti, ma di finali ne ho giocate davvero tante. Il sorriso è chiaramente sul Superbowl vinto nel 2009. In campo con me in quella meravigliosa stagione per i Giants molti ragazzi che trovo proprio qui a Verona, sia tra i giocatori che tra il coaching staff. Un bel ricordo anche la vittoria del Silverbowl con i Giganti nel 2008. Peccato per la finale di coppa europa dello scorso anno. Un brutto ricordo». Il tuo numero 10, ti accompagnerà anche a Verona; c’è una storia dietro alla scelta di questo numero? «Diciamo che di numeri ne ho cambiati tanti. Il dieci era partito come decima
stagione a Bolzano. Quest’anno lo voglio tenere per dargli un altro significato. Dieci vuol far capire che non si è soli quando si gioca. Ci sono altri dieci compagni insieme a te. Senza di loro non puoi andare avanti, non puoi portare la palla avanti senza che gli altri dieci combattano insieme a te. La fratellanza è fondamentale nello spirito di squadra». Come ti vedi nel prossimo campionato, sicuramente senza americani, ma sempre più competitivo anno dopo anno? «Negli ultimi anni il livello della Seconda Divisione è aumentato davvero tanto. Per me sarà un’esperienza nuova, avendo sempre giocato in Prima Divisione. Metterò a disposizione dei miei compagni tutto quello che ho imparato sinora, per applicarlo sul campo e vincere insieme. Ci sarà da divertirsi».
divertito, mi è tornata la passione che se ne era forse andata negli ultimi anni. La realtà dei Mastini mi piace anche per l’organizzazione, per il coaching staff. Mi sono trovato bene e mi troverò bene anche in futuro. A Verona trovo poi degli amici. Con Michele e Simone De Martin ci si conosce da tempo, dalle prime sfide vissute sul campo, mi hanno visto crescere, e sempre seguito. Trovo poi tutti i ragazzi di Bolzano, nel coaching staff ma anche con casco e paraspalle al mio fianco, in campo. E poi mio fratello Attila, il primo dei Bonacci ad arrivare a Verona. Lui il primo a parlarmi bene di questa squadra. Devo tanto anche a lui per il mio arrivo a Verona».
Sei un giocatore che ama caricarsi la squadra sulle spalle, sicuramente doti che arrivano dalla tua esperienza e dalla voglia di vincere che fa parte del tuo DNA… «Sono sempre stato un giocatore che non ha mai mollato in campo, indipendentemente dallo sport che ho praticato, indipendentemente dagli acciacchi che possono capitare in ogni sport. Amo caricare le persone che giocano al mio fianco». Hai già avuto modo di conoscere i tuoi nuovi compagni di squadra, realtà fatta di passione per questo sport, la stessa che hai tu. Raccontaci le tue prime sensazioni… «Mi sono trovato subito bene. Ottimi allenamenti, belle persone, non solo sul campo, ma anche al di fuori. Mi sono
La maglia numero 10 dei Mastini Verona che verrà indossata da Marco Bonacci.
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I NTERVISTA ini d r a li g a B o t r e Rob
Alla ricerca degli ITF perduti di Matteo Zanon - Foto: Roberto Bagliardini - Tennisgialloblu.it
Roberto Bagliardini
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oberto Bagliardini, classe 1948, da diversi anni è ai vertici del tennis regionale e nessun altro più di lui poteva raccontare l’andamento del movimento tennistico e l’evoluzione che anno dopo anno sta vivendo. La sua attività, unita a quella di giudice arbitro, lo porta a toccare con mano le realtà veronesi e a vedere coi propri occhi le future leve del tennis made in Verona. In esclusiva per SportdiPiù Magazine, ci accompagna dentro le realtà della nostra provincia e anticipa le novità di questo 2020.
zione del quotidiano dicendo che siamo la quarta Federazione italiana e quindi non ci accontentavamo più di un semplice trafiletto».
Roberto da quanti anni rivesti il ruolo di Delegato Provinciale della Fit? «Sono partito ufficialmente nell’ottobre del 2016 ma era già da un paio d’anni che ero membro della Commissione Campionati. A Verona, il quotidiano L’Arena con Olimpio Rossin, era l’unico che dava spazio al tennis ma era sempre molto meno rispetto ad altri sport. Quando sono diventato Delegato Provinciale mi sono procurato i bilanci della Fit e sono andato alla reda-
A Verona i numeri sono confortanti? «Verona è la città che ha più circoli del Veneto. Nel 2019 erano 55 e in media viaggiano comunque sopra i 50. Per quanto riguarda i tesserati siamo sopra i 37mila. Nel 2000, per fare un esempio e per far capire quanto il movimento sia cresciuto, arrivavamo a fatica a 12mila».
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Il movimento tennistico gode di buona salute? «A fine 2018 eravamo la seconda federazione italiana dopo il calcio con 372mila tesserati. Dal 2019 abbiamo cambiato il sistema di tesseramento, diventato online, e sicuramente qualche associato l’abbiamo perso. Parlando del Veneto, dopo Lombardia e Lazio, è la regione con più praticanti».
Nel 2019 le competizioni agonistiche sono state rilevanti?
«A Verona nel 2019 si sono svolti 110 tornei delle varie categorie di cui 11 Open. All’interno di questi non sono inclusi i tornei del circuito Tpra. Devo dire che con l’invenzione del canale Supertennis (canale 64) il movimento è cresciuto enormemente e va dato merito alla federazione per questa invenzione che si è rivelata molto proficua». Ci sono circoli che si sono contraddistinti nell’anno conclusosi da poco? «Circoli che lavorano bene ce ne sono tanti. Rispetto al passato, dove i giocatori che primeggiavano appartenevano ai circoli più grandi e rinomati, al giorno d’oggi ci sono circoli più piccoli per la provincia che lavorano bene e che con i propri atleti ottengono ottimi risultati, paragonabili a quelli dei top club». Di giocatori ne conosci tanti e li vedi con i tuoi occhi sui campi durante i tornei: c’è qualcuno in particolare che fa ben sperare? «I giovani negli ultimi anni hanno fatto enormi progressi anche grazie alla preparazione dei loro mastri che con i corsi e gli aggiornamenti della Fit svolgono un lavoro sempre più mirato per le varie fasce d’età e i livelli di gioco. Tra i più ‘vecchi’ un plauso va sicuramente ad Aurora Zantedeschi che ha vinto un torneo Itf che a Verona mancava dal 2003 quando se lo aggiudicò Giulia Meruzzi. Nel maschile invece Mattia Frinzi
dra femminile si è classificato al terzo posto. Nella categoria dei più grandi, l’under 16, nel maschile ha vinto l’At Villafranca mentre nell’under 16 femminile la squadra del Ct Bardolino si è classificata seconda. Per quanto riguarda i campionati a squadre dei più grandi, il risultato più eclatante l’ha ottenuto la squadra femminile dell’At Verona - composta da Giulia Meruzzi, Aurora Zantedeschi, Camilla Zanolini, Andrea Agostina Farulla Di Palma, Alessia Truden, Sara Ziodato e Linda Canteri - che ha ottenuto la promozione in A2».
e Davide Tortora sono gli under 19/20 di maggior prospettiva. A livello regionale, il tennista più quotato è Matteo Viola che a gennaio è sceso in campo per le qualificazioni agli Australian Open».
Ad inizio anno è arrivata la notizia che un circolo veronese ospiterà una tappa importante del circuito Junior Next Gen Italia. È stata anche opera tua questo importante risultato? «A metà gennaio è arrivata la notizia che la tappa di settembre 2020, dal 5 al 13, del circuito Junior Next Gen Italia si svolgerà sui campi del circolo di Villafranca. Ho portato la richiesta, pervenutami dal direttivo del circolo, al consiglio regionale ed è stata accolta da Roma e devo dire che si tratta di un ottimo risultato. Sarà una tappa a punteggio suppletivo, ovvero chi vince prenderà punti ulteriori quindi i giovani più forti delle varie categorie, dall’under 10 alla 16, non mancheranno».
Una buona cassa di risonanza del livello dei nostri giovani sono senza dubbio le competizioni a squadre. Quali sono stati i risultati delle squadre veronesi nel 2019? «Nelle finali regionali svoltesi ad Abano nell’under 12 maschile la formazione del Nuovo Tennis Bovolone si è classificata al primo posto mentre nell’under 12 femminile la squadra del circolo del maestro Zampieri si è classificata seconda. Nell’under 14 maschile il primo posto è andato alla formazione dello Scaligero che con la squa-
Altre novità per il 2020? «La Fit a livello nazionale sta dando priorità alla pubblicizzazione dei tornei femminili perché i numeri sono molto inferiori rispetto alla categoria maschile. Nell’ottobre 2019 è partito il circuito ‘Racchette in rosa’ che culminerà con il master che si svolgerà in giugno a Roma. Inoltre, la Federazione è presa dalle Atp Finals che si svolgeranno nel 2021 a Torino. Un risultato importante e prestigioso che, unito al torneo Next Gen che da un paio di anni si
svolge a Milano, porta con sé un esborso economico non indifferente». Questi traguardi sono il frutto dei buoni risultati dei tennisti italiani? «L’Italia a livello internazionale è tra le prime nazioni al mondo per numero di giocatori. Ne abbiamo 8 tra i primi 100, nel 2019 erano 9 e 20 tra i primi 200. Numeri mai visti per il movimento italiano». A Verona, per alzare ulteriormente il livello e richiamare tennisti internazionali, cosa manca? «A Verona manca l’evento eclatante, come ad esempio un torneo Itf. Anni fa allo Sporting Club Mondadori, c’erano i circuiti satellite che richiamavano tennisti professionisti. I circoli devono certamente fare la loro parte, ma al giorno d’oggi il problema sono gli sponsor. Se non si trovano quelli disposti a investire è difficile mettere in piedi un torneo di questa portata». Da Delegato Provinciale qual è l’obiettivo da perseguire per mantenere il movimento tennistico regionale in salute? «L’obiettivo è quello di andare avanti e primeggiare. Il Veneto è l’unica regione che svolge le finali delle coppe a squadre e le Final Four giovanili in più giorni e in un posto dedicato. L’anno scorso gli under hanno svolto le finali ad Abano. Quattro giorni dove sono stati in compagnia e hanno alloggiato senza spese, in hotel. I Veterani hanno giocato due giorni a Galzignano mentre la serie D sempre due giorni però ad Albarella. Quest’anno per la Coppa Comitato faremo le finali in una giornata unica allo Scaligero. Cerchiamo di offrire qualcosa in più e notiamo che queste opportunità piacciono e i tennisti vengono volentieri».
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I circoli devono certamente fare la loro parte, ma al giorno d’oggi il problema sono gli sponsor. Se non si trovano quelli disposti a investire è difficile mettere in piedi tornei internazionali.
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Funivia Malcesine Monte Baldo: sempre più in alto! di Matteo Viscione - Foto: Funivia Malcesine - Monte Baldo
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a sempre la Funivia Malcesine – Monte Baldo è un punto di riferimento ed una tappa obbligata per i Turisti dell’area gardesana, sia durante la stagione invernale, ma anche e soprattutto in quella estiva. Oltre ad attrarre i turisti per le meraviglie naturalistiche e lo stupendo panorama del Monte Baldo, la Funivia è uno tra gli impianti funiviari più moderni ed avanzati al Mondo,
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con le sue cabine rotanti in grado di far apprezzare a pieno il panorama unico del Monte Baldo e del Lago di Garda. Un sogno colorato di azzurro da Malcesine alla sommità del Monte Baldo. L’azzurro del Lago di Garda che si fonde con quello del cielo in un panorama straordinario che si offre alla vista in tutta la sua ampiezza: dalle cime innevate delle Alpi, ai netti profili delle montagne più vicine fino alla dolcezza della pianura. Così la funivia “vola” in pochi minuti fino a quasi 1800 metri di
quota, con le sue cabine girevoli uniche al mondo capaci di suscitare sempre nuove emozioni. Un fascino che emana anche dalle stazioni della funivia: architetture “a farfalla” che racchiudono preziose tecnologie. Il Presidente Pier Giorgio Schena, in questa intervista esclusiva per SportdiPiù magazine Veneto fa il punto della situazione ad un anno dal suo insediamento, tra innovazioni, record di presenze e, non ultimo, passione per un
Con la funivia si possono anche raggiungere sentieri molto apprezzabili da chi vuole fare sport, soprattutto in estate... «L’accesso al Monte Baldo con la funivia dà la possibilità di incontrare punti partenza di vari sentieri storici e consolidati, sia quello che riguarda la Val d’Adige, sia quello che riguarda il lago. Gli sport sono i più diversi: andiamo dal trekking, alla camminata, dal parapendio, alla mountain bike. Abbiamo in progetto un percorso attrezzato per le persone con disabilità, pensato per le carrozzine, che collega il punto di arrivo della funivia cioè Tratto Spino, con zona della Colma, il punto più panoramica del Baldo». Importante anche l’attività invernale... «Assolutamente disponiamo di impianti di risalita per lo sci a monte, 3 skill e una seggiovia, particolarmente sconosciuta per la bellezza delle sue pista e il suo grado di difficoltà». Quali sono le difficoltà nel gestire un impianto con queste caratteristiche? «Il problema principale è il coordinamento e la gestione del flusso di persone nei periodi estivi, quando la funivia è veramente un punto di attrazione importante per i turisti del lago. Abbiamo però un personale altamente preparato con formazione che va dall’aspetto tecnico, ma anche della sicurezza e al profilo dell’assistenza ai turisti. Con il nostro personale risolviamo al meglio le situazioni di criticità».
territorio che e indubbiamente tra i più belli e affascinanti del territorio veronese.
oggi e abbiamo ancora l’ultima finestra di stagione».
Che anno è stato il 2019 per le funivie del Baldo? «Il 2019 senza dubbio positivo, siamo riusciti a mantenere i risultati del 2018 che ha superato il mezzo milione di presenze. Anche quest’anno dopo un inizio difficile, con un aprile e maggio piovoso e quindi non convenienti, siamo riusciti a superare le 500.000 mila presenze. Siamo attorno alle 540.000 ad
Avete turisti che arrivano da tutto il mondo? «Sì, il panorama di Malcesine che salendo con la funivia ci consente di arrivare in vetta e ammirare il lago nella sua interezza da Riva a Peschiera regala emozioni e immersione nella natura con richiamo di turisti provenienti da tutto il mondo. La maggior parte arriva dal nord Europa, ma abbiamo anche turisti americani e israeliani».
Da quando lei ha assunto questa carica quali sono state le soddisfazioni? «Sono stato nominato a febbraio 2019 quindi siamo in una fase di programmazione di progetti per obiettivi da compiere nel mandato e saranno quelli i punti di maggior soddisfazione. Da subito ce ne sono state: la prima quella di essere entrato in sintonia con il personale, una grande famiglia con persone altamente qualificate che danno massima disponibilità per l’azienda. Nel breve la soddisfazione è quella di aver visto consolidato un numero di presenze importanti».
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Pier Giorgio Schena smette i panni di presidente delle funivie, pratica sport? «Sono sportivo, ho praticato calcio sci e ciclismo. Sono stato impegnato nella promozione dello sport per i giovani e per il benessere sociale e fisico delle persone. Sono stato presidente del CSI, centro sportivo italiano sezione di Verona per molti anni». Che 2020 prevede? «Un bel 2020. Stiamo puntando ad ampliare l’afflusso turistico nei periodi adell’nno meno carichi per poter migliorare. Abbiamo un grande sogno: aumentare l’offerta con l’apertura degli impianti di risalita di San Zeno di Montagna-Prada Costabella. Sarebbe il coronamento di una accessibilità al Baldo con un’offerta turistica completa per avere piena fruibilità di un bellissimo sentiero e l’alta via delle creste del Baldo che non tutti oggi possono permettersi affrontare».
Sportidipiù col 2020 promuoverà un hashtag: #roadto2026. In vista delle Olimpiadi Milano-Cortina, che impatto potrà avere questo evento su Lago di Garda e Funivia? «Credo che le Olimpiadi siano un evento che non riguarda solo Milano-Cortina, ma anche territori vicini e collegati per vocazione. Il riflesso dell’evento sarà da traino che farà del bene alla nostra struttura e al Garda». Quando sale in funivia cosa le viene in mente? «Nulla in particolare; diciamo che è più uno stato d’animo. Ci si rende di vivere in luogo fantastico, ma che dobbiamo mantenere e lavorare per renderlo migliore». Pier Giorgio Schena presidente di Funivia Malcesine Monte Baldo
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The Queen of Mtb di Giorgio Vincenzi - Foto: Paola Pezzo
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a bicicletta è la sua vita. In sella a una mountain bike ha vinto tutto quello che c’era da vincere, ma avrebbe potuto ottenere buoni risultati anche nello sci di fondo, suo primo amore, o in qualsiasi altro sport. Paola Pezzo, perché è di lei che stiamo parlando, è stata ed è una forza della natura alla quale si accompagnano determinazione, tenacia e tanto duro lavoro. La combinazione perfetta per riuscire in qualsiasi specialità. Partendo dalla sua Bosco Chiesanuova, ha conquistato tutti gli appassionati di questo sport a suon di vittorie e simpatia. Nella specialità cross country ha vinto due medaglie d’oro: Atlanta 1996 e Sydney 2000. E ancora. Due campionati del mondo (1993-1997), una coppa del mondo (1997), tre campionati europei (1994-1996-1999) e tanti titoli italiani, l’ultimo nel 2005. Senza ombra di dubbio, Paola Pezzo è tra le più grandi biker del mondo tant’è che nel 1999 è stata inserita nella Mountain bike hall of fame (che si trova a Fairfax, a nord di San Francisco in California), l’albo delle personalità più importanti e influenti della mountain bike in ambito mondiale. Ora, a 51 anni, ha ancora tanta voglia di bicicletta e di insegnare ai giovani ad apprezzarla. Noi l’abbiamo incontrata per farci raccontare questa sua passione e la sua bella storia sportiva. Il 2020 è l’anno delle Olimpiadi di Tokyo. Tu hai vinto ben due medaglie d’oro nel cross country: ad Atlanta nel 1996 e a Sydney nel 2000. Che ricordi ti porti nel cuore di quei momenti? «Ho dei bellissimi ricordi. Andare alle olimpiadi è il sogno di ogni atleta e se poi le vinci… Ad Atlanta, per esempio, non
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ero la favorita anche se avevo già vinto un mondiale nel 1993. Tutti davano per vincitrice un’americana e tutto era a suo favore: correva in casa, era il centenario delle olimpiadi, negli Stati Uniti era la nata la mountain bike. Io mi ero preparata molto bene per l’appuntamento. Sapevo che ad Atlanta avrei trovato una temperatura vicino ai 40 °C e abitando in montagna avrei sofferto tantissimo il caldo-umido. Presi allora casa a Valeggio sul Mincio e per due anni, nelle ore più calde della giornata, andai ad allenarmi nelle zone delle risaie del basso mantovano. Mi ero preparata bene per la gara e la tranquillità di non essere favorita hanno fatto sì che salissi sul gradino più alto del podio». Alle prossime Olimpiadi di Tokyo ci sarà la possibilità per l’Italia di vincere nuovamente una medaglia d’oro nella tua specialità? «Ci sono tanti ragazzi e ragazze forti, ma puntare a qualche medaglia è difficile». Sempre in tema di olimpiadi, nel 2026 ci saranno quelle invernali in Italia che coinvolgeranno il Veneto con Cortina, ma anche Verona visto che in Arena si svolgerà la cerimonia di chiusura. Come vedi questa opportunità che ha la città? «È senz’altro una grande occasione per Verona per presentarsi anche come città dello sport. L’Arena è senz’altro un posto
❛❛ Ho vinto tante gare prima con la testa e poi con la tenacia
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magnifico per la cerimonia di chiusura della manifestazione. Lo è stata anche l’anno scorso per il Giro d’Italia. Pensa che un tempo speravo che introducessero nei giochi olimpici invernali la specialità Winter Triathlon: corsa e ciclismo sulla neve e sci da fondo. I miei tre sport preferiti. Ci avrei sicuramente provato, ma non è successo!» Qual è stata la tua forza o il tuo segreto per diventare una campionessa senza rivali? «Probabilmente io sono predisposta per gli sport di fatica e individuali. Ho vinto tante gare prima con la testa e poi con la tenacia, la voglia di arrivare, la forza di volontà. Quando mi metto in testa un obiettivo faccio di tutto per raggiungerlo. Scusa se mi ripeto, ma le gare si vincono con la testa e non solo con le gambe. Alle Olimpiadi di Sydney, per esempio, essendo arrivata in Australia dieci giorni prima della gara non sarei riuscita a recuperare in tempo il fuso orario e quindi in Italia mi allenai di notte». Quante ore al giorno dedicavi all’allenamento? «Non tante. Ho sempre puntato sulla qualità più che sulla quantità. Invece di passare tante ore in bici con un elevato spreco di energie, bisogna fare degli allenamenti specifici, magari un’ora il mattino e una il pomeriggio, ma di qualità. D’inverno poi staccavo dalla bicicletta e facevo gare di sci da fondo, il mio primo amore». Dopo la tua medaglia d’oro ad Atlanta del 1996, rimasta famosa anche per il tuo décolleté che incantò gli sportivi, un
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marchio mise a punto, per la prima volta, una collezione per il ciclismo interamente dedicata alle donne. Possiamo dire che si è trattato di una rivoluzione culturale nel ciclismo? «Prima di allora l’abbigliamento era prettamente maschile. Io non volevo, nonostante la mountain bike sia uno sport duro e da qualcuno definito poco femminile, perdere la mia femminilità e per questo con una ditta realizzai a una linea sportiva chiamata “Prima donna Paola Pezzo” che seguiva la moda nella scelta dei tessuti e dei colori. Quando andavo negli Stati Uniti a correre, gli americani non vedevano l’ora di adocchiare com’era il mio body». Tu hai gareggiato anche su strada. Lì com’è andata? «L’ho fatto più come allenamento che come reale volontà di cimentarmi in questa specialità: avevo bisogno di velocizzare di più la mia pedalata. Ho fatto delle cronometro, la Sanremo, il Giro del Trentino. Non ho mai vinto delle gare, ma ho sempre ottenuto dei buoni piazzamenti». Tornando indietro con la tua storia, come sei arrivata alla mountain bike? «A dire il vero all’età di otto anni ho iniziato a fare sport con lo sci di fondo. Ero entrata anche nella nazionale giovanile. A 15 anni sono arrivata seconda ai campionati italiani dietro a Stefania Belmondo (vincitrice di 10 medaglie olimpiche, ndr). L’anno dopo, non ho mai capito bene il perché, sono rimasta fuori dal giro della nazionale e così non puoi permetterti economicamente di girare per allenarti. A 17 anni ho smesso. Poi una persona di Bosco Chiesanuova,
Ginepro, mi regalò un “arrampichino” e mi disse di provarla perché sarebbe stato lo sport del futuro. E aveva ragione. La mia attività agonistica in mountain bike è poi iniziata nel 1988, avevo 22 anni, e si è conclusa nel 2005 con la vittoria dei campionati italiani a Sarentino». Quando un amico ti chiede dei percorsi suggestivi da fare in mountain bike nel veronese, tu cosa rispondi? «Noi veronesi siamo fortunati perché abbiamo tantissimi bei posti: le torricelle sopra Verona, la Lessinia con il giro delle malghe, il Lago di Garda dove si può salire fino sul Monte Baldo. C’è solo l’imbarazzo della scelta». Che consigli sugli acquisti puoi dare a chi invece vuole avvicinarsi da amatore alla mountain bike? «L’importante è avere un buon abbigliamento, senza spendere tanto. Fate attenzione alle scarpe che sono molto importanti. Il costo della bicicletta, senza esagerare, si deve aggirare tra gli 800 e 1.200 euro». Cosa fa ora Paola Pezzo? «La mamma e seguo i figli anche nello sport: il più grande si sta cimentando con la bicicletta. Sono istruttrice federale e ho una scuola di mountain bike per bambini a Valeggio sul Mincio: si va da quelli che frequentano la scuola materna sino a quelli di dodici anni. A oggi gli iscritti sono circa un centinaio. Insegno mountain bike nel liceo sportivo di Castelletto di Brenzone sul Lago di Garda. Sto studiando per prendere il brevetto di Nordic Walking, l’evoluzione dello sci da fondo».
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Imponente, sostenibile, inclusivo: benvenuti all'Adige Docks di Daniela Scalia - Foto: SportdiPiù magazine
L'Assessore allo sport di Verona Filippo Rando (a destra) con l'architetto Paolo Bertelli, coordinatore e responsabile del progetto Adige Docks.
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na vera e propria cittadella dello sport, dell’aggregazione e del tempo libero. Così si può definire Adige Docks, la nuova ed enorme struttura veronese che sorgerà senza intaccare l’ambiente, anzi riqualificando una zona dismessa, a Porto San Pancrazio. L’opera verrà realizzata dalla società proprietaria e cioè Psp Invest Srl controllata al 100% dal Gruppo Unterberger.
Cucitura
Aspetto non secondario, Adige Docks aprirà anche delle vie di collegamento tra le zone vicine all’area del progetto: una nuova grande piazza lineare (lunga circa 500 metri) da Via Porto San Michele al limite est di intervento e un ponte ciclopedonale in attraversamento su Viale Unità d’Italia e sulla tratta ferroviaria che collegherà il quartiere di Borgo Venezia, tracciando la nuova discesa di ingresso al “Parco dell’Adige Sud – Giarol Grande”. Vista aerea delle aree dove sorgerà Adige Docks
Insieme, unici
Partendo dall’utenza, il progetto coordinato da Paolo Bertelli vuole riunire famiglie, sportivi amatoriali, eccellenze professionistiche, socialità e approcci occasionali (preziosi per i programmi di sviluppo e salute) all’attività sportiva. Una visione futurista ma pratica e accessibile, per una struttura unica in Italia che si svilupperà su quasi 70mila metri quadri.
All’interno di Adige Docks si verrà a creare un circolo virtuoso di crescita sociale, fondato su un’identità forte, condivisa da tutti i soggetti che interagiscono nella struttura e le numerose realtà del territorio: in primis sportivi, ma anche addetti ai lavori, tecnici federali, personale e manager e addetti alle attività funzionali e complementari all’attività sportiva.
Cultura. Natura. Studenti
Strategica e funzionale è proprio la vicinanza al Parco dell’Adige Sud. La pianificazione prevede opere di urbanizzazione primaria e opere di sostenibilità per valori superiori agli standard previsti, corredate da agevolazioni per la pratica sportiva agli studenti universitari, agli over 60 e alle famiglie della VI e VII Circoscrizione, oltre agli spazi in concessione alle scuole di ogni grado durante l’orario scolastico.
Corpo centrale dove verrà allestita la palazzina servizi.
Consumo ‘zero’ e sostenibilità
L'area ex FFSS allo stato attuale e dopo i lavori di costruzione.
L’Ex Magazzino Logistico delle FS verrà convertito in Adige Docks senza togliere un solo metro quadrato di verde. Secondo la legge regionale del 2014 che impone il riutilizzo e la valorizzazione di aree dismesse, Adige Docks non solo non effettuerà alcun aumento di cubatura né impermeabilizzazione dei suoli, ma trasformerà le superfici impermeabili dei piazzali esterni esistenti in un “giardino dello sport” con playground, campi di gioco, terrazze e piccoli padiglioni di accoglienza.
Quali sport
Già dalla fase pre-progettuale, le strutture sono nate con multi-destinazione sia a sport individuali che di squadra: quelli legati alla pista del ghiaccio, scherma, ginnastica artistica e ritmica, tennis e paddle, basket, volley, calcio a 5, parkour, arti marziali, danza e ballo, fitness, wellness, boxe e pesistica, nuoto e spray park, tiro con l’arco, tappetti elastici e pole dance, triathlon, yoga e pilates, campo arrampicata, discipline sportive minori oltre a uno spazio “sport kids” dedicato ai più piccoli, per fare i primi movimenti nelle diverse discipline sportive.
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Area sulla quale sorgerà l'entrata dell'Adige Docks.
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Adige Docks sarà una struttura unica in Italia che si svilupperà su quasi 70.000 metri quadri Per lo sport
Adige Docks vede l’integrazione di attività funzionali e complementari all’attività sportiva, quali negozi specialistici, un centro di medicina dello sport, una foresteria a uso prevalente degli atleti, un centro museale dedicato alla storia, all’arte e alla cultura dello sport di ieri, oggi e del futuro. A questi spazi di aggiungono quelli dedicati alla ristorazione, oltre a locali per convegni, formazione e incontri per piccoli, anziani, studenti universitari e famiglie di tutte le classi sociali.
nello specifico la produzione del freddo per la pista di ghiaccio genererà calore a favore della piscina e dell’acqua calda sanitaria necessaria per tutti i servizi. Per l’irrigazione e gli usi antincendio verrà invece recuperata l’acqua piovana dalle coperture. Per la produzione di energia elettrica verrà installato un impianto fotovoltaico e tutti gli spazi saranno dotati di impianti LED con sistema di regolazione automatica in
funzione della luce naturale e della presenza delle persone e delle attività.
Creare lavoro
Adige Docks genererà anche un importante indotto lavorativo, diretto e indiretto, prevalentemente di giovani, di non meno di 500 persone occupate nelle attività sportive e quelle funzionali e complementari.
Westend-Eastend
La ristrutturazione dei due padiglioni impressiona per i criteri tecnologici scelti, improntati a un miglior uso energetico, all’accessibilità e all’ottimizzazione del comfort acustico oltre a rispettare i parametri antisismici. Il massimo utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili è senz’altro uno dei punti forti dell’intero progetto che prevede l’alimentazione dell’intera struttura con il teleriscaldamento cittadino. Gli impianti saranno provvisti di recuperatori di calore e
Qui sorgerà invece la piscina coperta.
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In questa zona si potranno praticare gli 'extreme sports' come skate, pattinaggio e parkur.
Dove si parcheggiavano i vagoni ferroviari si giocherà a basket, volleye calcio a 5.
100% ACQUA TERMALE
Piscine termali coperte e scoperte vasche idromassaggio, cascate d’acqua... ORARI INVERNALI*
DA SETTEMBRE A MAGGIO
DAL LUNEDÌ AL VENERDÌ dalle 12:00 alle 23:00 SABATO dalle 8:30 alle 23:00
ORARI ESTIVI*
DA GIUGNO AD AGOSTO
DOMENICA dalle 8:30 alle 21:00
LUNEDÌ - MARTEDÌ GIOVEDÌ - VENERDÌ dalle 8:30 alle 22:30 MERCOLEDÌ dalle 8:30 alle 24:00 SABATO E DOMENICA dalle 8:30 alle 21:00
*ORARI E PREZZI possono subire variazioni maggiori informazioni presso la segreteria.
Abano Terme (PD) - Via Martiri d’Ungheria, 22 Tel. 049 8601555 oppure consulta il sito o contattaci via mail: www.columbusthermalpool.it/info@columbusthermalpool.it
I NTERVISTA ti t e n a Z o r d n a s Ales
Came together di Andrea Martucci - Foto: Came Dosson
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ono ormai una ventina di anni che il Calcio a 5 ha trovato terreno fertile in Veneto, e non solo come notevole allargamento della base dei praticanti, ma soprattutto per i risultati ottenuti in ambito nazionale. Se, infatti, si va a leggere l’albo d’oro, dalla stagione 20032004, il tricolore è stato vinto 2 volte dall’Arzignano (2004-2006) e dalla Marca (2011-2013), e ben 6 dalla Luparense (2007, 2008, 2009, 2012, 2014, 2017). In sostanza dieci volte su sedici lo scudetto è stato portato a casa da un quintetto veneto. Ma nel frattempo, Luparense e Marca sono sparite dal radar del futsal, mentre in terra vicentina si è ricreato dalle ceneri un nuovo club, denominato Real Futsal Arzignano, che attualmente è
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nelle zone basse della serie A. Oltre al sodalizio biancorosso, stanno disputando l’attuale campionato di vertice, il Petrarca Padova e la Came Dosson. Ed è proprio quest’ultima che rappresenta da pochi anni il meglio del calcio a 5 nella nostra regione. Un sodalizio che, pur partendo dal basso, ha avuto la possibilità di crescere, grazie ad un territorio pronto a dare una mano, dal punto di vista economico, a realtà come quella presieduta da Alessandro Zanetti. Presidente Zanetti, quanto è stato importante per voi trovare un partner come la Came? «È stato fondamentale. Questo progetto non si sarebbe mai potuto realizzare sino
in fondo, così com’è attualmente, perché per raggiungere certi livelli la parte finanziaria è indispensabile. Con il nostro main-sponsor abbiamo comunque un rapporto speciale, perché sta durando da diciotto anni e siamo cresciuti assieme. E questa cosa ci ha uniti ancora di più, rispetto a quello che di solito è un semplice rapporto commerciale. C’è un vero e proprio legame affettivo con la squadra, un partner che non pretende a tutti i costi il risultato, che soffre con noi, sempre pronto a sostenerci. E questo ci porta a lavorare con molta tranquillità, anche a lungo termine, senza avere alcuna pressione». Una situazione idilliaca per far risaltare alcune colonne portanti della filosofia di
Il presidente Alessandro Zanetti
questo club… «Abbiamo sempre basato tutto sul rapporto umano, con delle scelte che qualche volta sono state faticose da fare per permettere di esaltare la forza del gruppo. Qualche volta ci siamo privati di giocatori di primo livello, ma che non rispecchiavano il nostro pensiero dal punto di vista umano. Questa scelta ci sarebbe potuta costare cara sul versante sportivo, ma alla fine è risultata essere vincente. Noi vogliamo giocatori che sposino questa idea, perché permette di superare al meglio i momenti di difficoltà. La nostra società per questo motivo, dopo un paio di gare non andate bene, non rivoluziona organico e staff tecnico, bensì cerca di capire il momento, perché noi vogliamo sempre concludere con le stesse persone il progetto che si è iniziato. Questo viene percepito da chi è coinvolto e lo rende partecipe nel cercare di risolvere delle situazioni difficili». La vostra ‘casa’ è il PalaDosson che può accogliere un massimo di 450 spettatori. Quanto questo vi sta limitando le vostre ambizioni? «Più che per la prima squadra, abbiamo dei problemi con il settore giovanile. Non essendo un impianto tutto a nostra disposizione, non possiamo crescere, nonostante siano molte le richieste d’iscrizione». Un sogno del cassetto? «Vincere un trofeo, il massimo sarebbe lo scudetto, pur giocando contro squadre che hanno a disposizione il doppio del budget che abbiamo noi».
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I NTERVISTA rg Elena Bo
I gol arrivano dal
Mediterraneo di Emanuele Pezzo - Foto: CSS Pallanuoto
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Elena Borg è una delle attaccanti al servizio della Css Verona anche in questo campionato. Papà maltese e mamma italiana, ha iniziato a giocare a pallanuoto in mancanza di squadre femminili di calcio nel suo luogo di origine.
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a fascia destra della vasca maggiore, alle Piscine Monte Bianco, è la sua autostrada. Elena Borg, giovane attaccante mancino in forza alla Css Verona, non arriva da un posto qualsiasi: è originaria di Malta, nel bel mezzo del Mar Mediterraneo, dove sono passati Arabi, Normanni, Aragonesi, ma pure i famosi Cavalieri Ospitalieri, Napoleone e le navi dell’Impero britannico. Il suo compito è superare le difese della serie A, aggirandole sul fondo oppure accentrandosi per far partire il suo sinistro. Senza scordare la fase difensiva, pena il richiamo di mister Giovanni Zaccaria, tecnico apparentemente gioviale ma che non si lascia sfuggire alcun dettaglio nella crescita e nelle prestazioni delle sue ragazze.
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Il campionato di quest’anno ha osservato una pausa di due mesi: com’è stato riprendere? «In squadra abbiamo sentito tutta la pressione per il ritorno ai match ufficiali. La ripresa è stata simile ad un nuovo esordio, ma con la complicazione delle aspettative dettate dalla nostra posizione di classifica». Ormai sei a Verona da più di una stagione. Come ci sei arrivata? «Non saprei spiegarlo meglio di così: nello stesso periodo di qualche anno fa mio padre, maltese di origini italiane, ha ottenere un provino per me tramite parenti che vivono a Padova; in contemporanea si è interessato a me Gaetano Del Giudice, tecnico di allora della Css e che mi aveva visto giocare a Malta».
Da dove è partita la tua carriera? «A 11 anni io e la mia amica Maya decidemmo di iniziare un nuovo sport assieme. Volevamo giocare a calcio. Purtroppo dalle mie parti non c’erano squadre femminili. In compenso i miei fratelli giocavano a pallanuoto e a quell’età le squadre maschili accettavano anche le ragazzine». Tu sei mancina: cosa significa per il tuo gioco? «Credo che abbia agevolato la mia crescita sportiva, perché è una caratteristica non comune. Posso trovare un angolo migliore di tiro partendo da destra, inoltre le avversarie hanno qualche difficoltà nel capire i miei movimenti, confrontandosi quasi sempre contro giocatrici destre».
Come vivi questa divisione? «Devo ammettere che mi piace, perché in ogni caso ho un posto dove stare, ma pure un rifugio dove scappare in caso di necessità».
14 Luglio 2019 Universiadi
Come passi il tempo libero? «Non ne ho tantissimo, tra allenamenti e università. Ultimamente sto scoprendo il piacere della lettura. Mi piacciono i romanzi storici, con vicende che mi permettano di entrare il più possibile in epoche passate». E con la musica? «Ne ascolto molta, ma per piacermi devo sentirmi capita e rappresentata da essa. Nelle mie preferenze dò una grande importanza al testo, sia in inglese o in italiano. Fra gli artisti inglesi ascolto i Tutto questo quanto ha influito nella tua crescita? «Mi ha dato modo di emergere. Ogni tanto penso che se non fossi mancina non avrei avuto le stesse possibilità di impiego. Qualcuno dice che le persone mancine siano strane, io penso che siamo preziose». Torniamo al tuo luogo d’origine. Cosa significa essere maltesi? «La mia risposta è condizionata, perché mamma è italiana e pure papà ha origini di qui. Una cosa che mi viene da dire è che forse chi abita a Malta, come su qualsiasi isola, è più facile che percepisca poco il mondo esterno». Ma dove senti la tua casa? «La parola “casa” la collego subito a “famiglia”. Ovviamente per me è dove ci sono i miei cari, ma lo è anche Verona con la
squadra e tutto l’ambiente delle Monte Bianco. Questo mi fa sentire come se fossi due persone diverse, che mi trovi qui oppure in mezzo al Mediterraneo».
Lumineers – sono stata ad un loro concerto e ho anche sfiorato la mano al cantante! –, Lana Del Rey, Vance Joy e Harry Styles. Di musica italiana invece mi piacciono Coez, Ultimo, Irama e anche Vasco Rossi». Torniamo alla pallanuoto. Che importanza ha nella tua vita? «Quando penso alla mia vita, non so come sarebbe senza la pallanuoto. Mi dà voglia di vivere e capisco quanto sia importante per me dall’intensità con cui vivo i momenti in cui le cose non vanno bene durante le partite. Mi capita di pensare ad un futuro senza questo sport e non ho una risposta su come potrebbe essere». Hai giocato mondiali giovanili e l’Universiade. Sono le emozioni più forti che hai provato in carriera? «Sono state esperienze indimenticabili, nelle quali ho vissuto in piena professionalità il mio essere giocatrice. Il ricordo più intenso però è la tribuna gremita delle Piscine Monte Bianco ai playoff promozione del 2018, un’emozione indimenticabile».
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Olympic DREAMS di Alberto Cristani - Foto: Giacomo Fantoni
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er Giacomo Fantoni la Bmx non è semplicemente una passione bensì un vero e proprio stile di vita. La sua bici senza sella è l’esempio di come l’apparenza possa trarre in inganno. Quel telaio, quelle ruote, quel manubrio così stani sembrano adatti un bambino. Invece quell’insieme di pezzi, unici e performanti, sono il mix perfetto per sprigionare potenza e adrenalina pura. Jack (29 anni il prossimo 18 marzo ndr) su quella bici vola letteralmente, si esalta, emoziona e, particolare non trascurabile,
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vince. Il 2019 è stato per lui un anno vissuto a metà a causa dell’ennesimo infortunio, con conseguente operazione…) patito alla prima prova di Coppa del Mondo a Manchester. Una volta ripresosi a tempo di record, Giacomo ha dovuto subito battersi per la riconferma del titolo di campione italiano e, dopo averlo riconquistato, ha ottenuto il miglior risultato in carriera in Coppa del Mondo in Argentina. Ma com’è nata la sua passione per la BMX, sport considerato, da molti, prero-
gativa per ‘teste calde’? Ci spiega: “Tutto è accaduto esattamente 23 anni fa sulla pista di Montorio, quando i miei genitori mi hanno portato a provare. Avevo 6 anni e da quel momento in poi non c’è stato niente da fare: la BMX mi è entrata nel sangue! Devo essere sincero: se non avessi avuto il sostegno e il supporto della mia famiglia, non sarei cresciuto con i valori e la dedizione che guidano tutti i miei allenamenti e gare. Per non parlare poi dei sacrifici che ho, anzi abbiamo, dovuto sostenere soprattutto all’inizio, ma che ora sono diventati
una piacevole quotidianità”. Prestazioni e risultati stanno, ad oggi, garantendo a Giacomo (facendo tutti gli scongiuri del caso…) la qualificazione a Tokyo 2020. Manca però ancora la matematica certezza. “Nella nostra disciplina” – spiega – “la qualifica è molto complessa e la certezza matematica non si ha fino al 31 maggio 2020, in effetti al momento non c’è nulla di garantito anzi. Le possibilità ci sono anche perché siamo assolutamente competitivi. Da quando corro, Verona è sempre stata considerata la capitale del BMX italiano. Per quanto mi riguarda, avere una pista di livello olimpico come la BMX Arena, significa avere quel qualcosa in più che mi permette di lavorare meglio e curare i particolari, condizioni indispensabili per colmare quel gap con le altre nazioni più evolute. Poter gareggiare alle Olimpiadi è un’esperienza che sogno da tantissimo tempo: se riuscirò a realizzarlo sarà il mio più grande traguardo. Però bisogna correre bene, arrivarci, e poi… beh, non parliamone più, è meglio!”. Per Giacomo la Bmx Arena (impianto all’avanguardia a livello nazionale ed internazionale) non solo la palestra dove allenarsi ma una seconda casa. “La BMX Arena” – sottolinea – “è sostanzialmente l’officina dove si elabora e
si prepara la bici, dove ci alleniamo normalmente almeno tre volte la settimana per anche più di due ore, per migliorarci sotto ogni aspetto. Chiaramente non è l’unico momento di allenamento per un atleta di BMX perché ci vuole anche potenziamento, resistenza, forza fisica. Alla fine però quello che conta è andare più forte in pista”. La BMX in Italia, anno dopo anno, sta
crescendo, lo dimostrano i numeri e i risultati. Ma a che punto siamo rispetto al resto del mondo? “Siamo in via di espansione esponenziale” – spiega Giacomo – “nonostante la poca visibilità che la nostra disciplina ottiene. Essendo uno sport di nicchia la copertura mediatica in Italia è sostanzialmente nulla. Ciò nonostante i numeri stanno crescendo. A volte, sinceramente, mi chiedo come tutto questo
Giacomo in pista, non solo per gareggiare
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Poter gareggiare alle Olimpiadi è un'esperienza che sogno da tanto tempo: realizzarlo sarebbe il mio più grande traguardo
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sia possibile. L’unica risposta che riesco a darmi è semplicemente perché è uno sport bellissimo. A livello di atleti, in Italia attualmente siamo in tre che possiamo portare punti nella qualifica olimpica: io, Martti Sciortino e Mattia Furlan. Dietro di noi ci sono dei ragazzi molto bravi che si stanno mettendo in luce molto velocemente: Pietro Bertagnoli e Giacomo Gargaglia mi fanno ben sperare per un futuro non troppo lontano. L’Europa è in realtà in centro più sviluppato di nazioni di alto livello, nelle prime Top 10 mondiali solo 4 vengono dagli altri continenti. In testa, a farla da padrona, ci sono Olanda e Francia”. A ventinove anni Giacomo Fantoni si è tolto tante soddisfazioni e tante se ne vuole ancora togliere, tutto merito della sua costanza e dei suoi sacrifici. A dire il vero, sentendo lui, questo merito non è poi solo suo: “Tutto quello che ho conquistato fino ad oggi è il risultato di un insieme di componenti fisiche, ambientali e psicologiche. Un ruolo fondamentale nella mia carriera l’hanno avuto senza dubbio tutte le persone che mi sono state, e che mi sono tuttora vicino. Un grazie va quindi a tutta la mia famiglia, dai genitori, agli zii, alle nonne e i nonni. Un grazie speciale va alla mia ragazza, ai miei allenatori Francesco Gargaglia e Ornella Cosenza, al mio doc che non vedo quasi mai Filippo Balestreri, a tutta la Federazione Ciclistica Italiana, alla squadra nazionale e ai miei sponsor. Alla fine tutti i risultati raggiunti, e quelli che potrò ancora raggiungere, dipendono soprattutto da loro. Io, alla fine, devo ‘solo’ pedalare forte!”.
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STARE BEN E
Postural
di Michael Coli Dottore specialista in medicina dello sport e dee'esercizio fisico
Acido Lattico: sfatiamo il mito 24 e 48 ore e scomparendo dopo 7 giorni al massimo. È pericoloso fare attività fisica durante i sintomi dei DOMS?
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orrere, nuotare, andare in bici: tutte le attività fisiche che praticate vi regalano una sensazione di benessere, spesso seguita dopo un paio di giorni da un fastidioso corredo di dolori muscolari. Molti di voi avranno incolpato l’acido lattico “accumulato” nei muscoli ma la biochimica smentisce questa teoria: esso infatti aumenta la sua concentrazione sanguigna durante l’esercizio, soprattutto se anaerobico e protratto, ma ritorna a valori normali 30-60 minuti dopo lo sforzo. La sensazione di cui parliamo prende il nome di Indolenzimento muscolare a insorgenza ritardata (in inglese Delayed Onset Muscle Soreness cioè DOMS). Le cause. Diversi autori hanno cercato di spiegarne le cause: alcuni danno la colpa ai microtraumi che avvengono direttamente sull’unità contrattile dei muscoli; altri implicano un danno diretto alle membrane cellulari con conseguente scatenarsi di una risposta infiammatoria. Un’altra teoria è quella dello stress metabolico indotto dall’esercizio che provocherebbe danno diretto alle cellule muscolari mediante la produzione di radicali liberi dell’ossigeno mentre la colpa, secondo altre fonti, sembra derivare dai danni che si provocano a livello del tessuto connettivo muscolare, cioè la parte non contrattile del muscolo. La spiegazione più accreditata, come
già sostenuto da Armstrong (1984), è un insieme di tutte queste teorie: i microtraumi dell’esercizio provocano danni alle cellule muscolari e al tessuto connettivo di sostegno, che provoca un’alterazione della permeabilità delle membrane che porta a uno squilibro di calcio con attivazione di enzimi deputati alla distruzione delle cellule. Si ha quindi richiamo ed attivazione dei globuli bianchi che scatenano una risposta infiammatoria con liberazione di citochine, radicali liberi e potassio, conseguente richiamo di liquidi e aumento della temperatura, che stimolano i recettori del dolore causando quindi quei sintomi che vanno dal piccolo fastidio muscolare al dolore vero e proprio. La loro insorgenza avviene tipicamente dopo almeno 10 ore dall’esercizio, raggiungendo un picco tra
Nonostante siano l’espressione di microtraumi alle fibre muscolari, diverse ricerche hanno dimostrato che eseguire esercizio fisico non peggiora la sintomatologia. Fate solo attenzione però a non confonderli con i sintomi di una lesione muscolare, generalmente caratterizzata da un dolore improvviso, trafittivo e che riduce, o rende impossibile, la funzione muscolare. È possibile prevenirli? Un buon riscaldamento pre-esercizio con una adeguata fase aerobica per aumentare la temperatura e preparare i muscoli ad uno sforzo più intenso è l’ideale per ridurne l’insorgenza. Anche una integrazione con durante la giornata con i BCAA (aminoacidi a catena ramificata) ha dimostrato una buona efficacia nel ridurre intensità e durata, soprattutto se associati a piccole quantità di taurina. I farmaci antinfiammatori, come ibuprofene o diclofenac, non andrebbero assunti poiché, pur avendo il piacevole effetto di ridurre il dolore e la risposta infiammatoria, vanno a bloccare dei processi importanti per il recupero e lo sviluppo del muscolo.
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Miofibrille
In seguito ad un allenamento molto intenso, le microlacerazione all'interno delle fibre muscolari e della membrana che le avvolge provocano l'indolenzimento muscolare a insorgenza ritardata.
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I NTERVISTA rdi rna Silvio Be
Gli scoiattoli del ghiaccio di Jacopo Pellegrini - Foto: S.G. Cortina
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a storia e i titoli conquistati parlano chiaro: sedici scudetti, tre Coppe Italia e due Coppe delle Alpi ne fanno una tra le più titolate e importanti società di hockey su ghiaccio in Italia. Fondata nel 1924, la Sportivi Ghiaccio Cortina è la formazione con il maggior numero di presenze nel massimo campionato. Questa stagione gli ‘Scoiattoli ampezzani’ hanno raggiunto le semifinali del Campionato Italiano IHL valevole per l’assegnazione dello Scudetto 2019-2020, uscendo ad un
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passo dall’accesso alla Finale. Il bilancio per i bianco-azzurri è comunque quello di un’ottima annata. Il presidente Silvio Bernardi (ex-giocatore, alla guida della società dall’estate 2017 ndr) ci svela i ‘segreti’ del successo e della longevità della S.G. Cortina. Silvio, raccontaci un po’ della società che presiedi… «La Sportivi Ghiaccio Cortina è una società sportiva dilettantistica che al suo interno contiene altre due società: una SRL che
segue tutto ciò che è inerente alla Prima Squadra e una SD che segue, invece, i nostri ragazzi. La S.G. Cortina Hafro è una società che vive da quasi cento anni, che ha vinto sedici scudetti, tre Coppe Italia e due Coppe delle Alpi: siamo una tra le più blasonate squadre d’Italia. Dalla sua fondazione negli Anni Venti possiamo dire di aver raggiunto ottimi risultati, con il picco negli Anni Settanta quando riuscimmo ad arrivare alle Semifinali di Coppa dei Campioni vincendo contro importanti formazioni tedesche e ungheresi, uscendo
solo contro i campioni cecoslovacchi del Dukla Jihlava». Puoi parlarci delle vostre categorie, con un focus in particolare sul settore giovanile? «Oltre alla Prima Squadra abbiamo un settore giovanile che conta cinque categorie: abbiamo i “Pulcini”, che hanno 7-8 anni e sono i più piccoli della Società; ci sono poi gli “Under 13”, gli “Under 15”, gli “Under 16” per finire con gli “Under 19”. Per il numero di ragazzi ci da una mano il Pieve di Cadore: quello a cui vorremmo arrivare sarebbe agire nell’ambito di una Valle, collaborando con tutti (compreso Feltre e Alleghe) puntando ad avere una squadra forte e competitiva di Provincia. In Società abbiamo 150 ragazzi che fanno Sport, contando anche il Pattinaggio Artistico». Come valutate la vostra stagione? «Beh direi che siamo andati ben oltre a
quello che ci aspettavamo: speravamo tanto, ma così è andata proprio bene e siamo molto soddisfatti dei risultati. È stata una stagione positiva soprattutto perché abbiamo inserito ragazzi giovani, e quelli sono il futuro di ogni società. Inoltre siamo riusciti a creare un gruppo molto affiatato, merito anche del nostro tecnico Giorgio De Bettin. Possiamo tranquillamente dire che abbiamo raggiunto in pieno gli obiettivi». A questo punto, quali saranno i vostri obiettivi a lungo termine? «Ovviamente gli obiettivi futuri vanno sempre coordinati con le risorse che una società ha a disposizione. Ogni città come Cortina ha un 10% della popolazione che va a vedere le partite: purtroppo sono numeri bassi. Noi però vogliamo continuare con questo tipo di campionato che già stiamo facendo, sperando anche di trovare
nuovi sponsor che ci aiutino ad andare avanti. Come organico della Prima Squadra puntiamo ad avere un’ossatura importante di ragazzi della zona, con l’aggiunta di ragazzi stranieri validi». Che impulso potranno dare le Olimpiadi 2026 a questo sport e a tutto il movimento? «Senza dubbio con l’avvento delle Olimpiadi, le televisioni, i giornali e tutta l’Italia parleranno molto di più di hockey, perché avranno la possibilità di vedere le partite in diretta con riprese televisive di qualità. Per quanto riguarda l’impatto che questo evento avrà sul nostro mondo, credo ci sarà un impulso di ragazzini che in seguito si affacceranno e si appassioneranno maggiormente a questo sport. Spero che questo valga anche per nuovi sponsor che darebbero una grossa mano al nostro movimento».
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di Paola Gilberti - Foto: Stefano Raimondi
I NTERVISTA imondi Ra o n a f e t S
Un tuffo dove
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ei una giovane promessa del nuoto, con un grande futuro che ti aspetta. Poi, un giorno, arriva un fulmine a ciel sereno: un incidente in moto che sembra far crollare tutte le tue certezze. E che potrebbe strapparti lontano dai tuoi sogni. Cosa fare? Le scelte sono due: arrendersi o lottare. Stefano Raimondi sceglie la seconda opzione. Dopo un normale momento di sconforto, si è rimboccato le maniche e ha combattuto per tornare nel suo habitat naturale: l’acqua. Forte come prima, anzi,
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di più. Gli ultimi suoi successi sono i tre ori e i cinque argenti conquistati ai Mondiali Paralimpici di Londra dello scorso settembre. Un risultato da vero campione. Stefano, cos’hai provato dopo aver ottenuto tutte quelle medaglie? «Onestamente non me l’aspettavo, era il mio primo mondiale e non conoscevo il livello degli atleti delle altre Nazioni. Nella prima gara, di stile libero, partivo da svantaggiato, come quarto o quinto al mondo, per cui è stata una vittoria emozionante. All’arrivo non capivo cosa
stesse accadendo, non vedevo nessuno esultare. Poi ho guardato il tabellone e ho capito: ero io ad aver vinto! Contavo un po’ di più nell’oro in rana perché ero già campione europeo. Il terzo è arrivato con la staffetta, dove io e i miei compagni abbiamo anche fissato il nuovo record mondiale di 3’46.83». Abbiamo accennato prima al tuo passato, al tuo incidente nel 2013. Ma la tua è una storia di rinascita e di rivincita. Sei stato forte, ma hai mai avuto momenti di sconforto? «Beh sì, quando ero in ospedale non
l'acqua è più blu volevo sentir parlare di nuoto, non avrei mai pensato di voler ricominciare a nuotare. Era già un miracolo riuscire a tornare a camminare. É stata mia madre a incitarmi, a spingermi a non mollare e a ributtarmi in acqua. L’ho fatto poco dopo aver lasciato l’ospedale, anche se i medici consigliavano di aspettare. E poi è arrivata l’opportunità di entrare nel nuoto paralimpico grazie al mio allenatore Massimo Rigamonti, che nel 2017 mi ha chiesto di entrare nel Verona Swimming Team». Oltre alla tua famiglia chi ti è stato più vicino in questo tuo percorso? «Il mio ex allenatore, Giancarlo Scarmagnani, più di un coach, per me è stato un secondo papà. Ci sentiamo spesso anche ora, è una persona che riesce sempre a confortarmi». Stefano, per te cosa rappresenta l’acqua?
Che sensazioni ti dà? «L’acqua per me è un elemento che rappresenta la rinascita, l’uguaglianza, in acqua molti limiti si annullano. Questo l’ho capito soprattutto nel mondo paralimpico: l’acqua ci mette sullo stesso piano, siamo tutti liberi di esprimerci». Il nuoto è uno sport solitario, ma la vostra sembra una squadra affiatata. Che rapporto c’è tra voi? Siete amici o rivali? «Tra noi c’è un bellissimo rapporto, fatto di amicizia, fiducia e stima. Naturalmente in gara c’è competizione, tutti vogliamo vincere per cui è normale esseri avversari. Ma una volta usciti dall’acqua tutto si annulla, ci sosteniamo a vicenda, ci aiutiamo e ci diamo consigli per migliorare». Capito. Un nuotatore ama tutti gli stili o anche voi avete le vostre preferenze? «No ovviamente abbiamo delle
preferenze, io per esempio preferisco il delfino e la rana, in cui andavo bene anche prima dell’incidente. Quello che invece mi piace di meno è sicuramente il dorso». Quanto è impegnativa la vita di un atleta? «Tanto, anche se poi regala soddisfazioni. Ci alleniamo tanto per raggiungere buoni risultati, la giornata di un nuotatore è sempre piena. Per questo nel poco tempo libero cerco di riposare e rilassarmi». E adesso per cosa ti stai preparando? Appuntamenti importanti? «Primo fra tutti le Olimpiadi di Tokyo 2020, ma ci saranno anche delle tappe di avvicinamento: a fine febbraio mi aspettano le World Series Para Swimming di Lignano, mentre a fine maggio i Campionati Europei di Funchal, a Madeira. Per cui incrociamo le dita e rimbocchiamoci le maniche!»
Stefano Raimondi al Quirinale con il Presidente Mattarella
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Gemini Cheers: forti come Leoni di Paola Gilberti - Foto: Gemini
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heerleading: probabilmente tutti ne abbiamo sentito parlare, ma forse in pochi conoscono realmente questa disciplina. Se parlando di cheerleading pensate a ragazze con coda di cavallo e pom pom che cantano “Datemi una A, datemi una B” sappiate che siete abbastanza lontani dalla realtà. Il cheerleading è davvero tosto: si tratta di una disciplina praticata in team che combina coreografie composte da elementi di ginnastica, danza e acrobazia. É uno sport misto, praticato da uomini donne, senza limiti di età. A Verona il cheerleading arriva nel 2010, grazie al lavoro dell’Associazione sportiva dilettantistica Gemini di San Giovanni Lupatoto, guidata dal presidente Ivo Sequani. Questa disciplina cresce, appassiona sempre più persone e assume rilevanze. Lo step successivo è la nascita della Ficec, la Federazione Italiana Cheerleading e Cheersport, che oggi vanta circa 8000 tesserati e che, come la società Gemini, ha sede a San Giovanni Lupatoto, con Sequani come presidente. “A livello organizzativo” – afferma
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Sequani – “l’appuntamento più importante a cui la Federazione è il Campionato Europeo di Cheerleading, che si terrà a Verona, all’interno dell’Agsm forum dal 3 al 5 luglio. Sarà un evento storico, aspettiamo l’arrivo di circa 6000 atleti”. Alla manifestazione, oltre a vari club presenti da tutta Europa, saranno ovviamente presente i cheerleader Gemini: i Lions Gemini Cheers. La società lupatotina oggi conta su circa 70 atleti, divisi in peewee (scuole elementari), junior (scuole medie) senior (dalla prima superiore). Lo staff è composto da allenatori di rilievo, anche provenienti dagli Stati Uniti, che si mantengono sempre aggiornati grazie a corsi, collegiali e raduni organizzati grazie al supporto della Federazione. “Diciamo” – racconta Sequani – “che all’interno della Gemini non ci si ferma mai. A settembre comincia la fase di preparazione atletica per gli atleti, mentre gli allenatori studiano le coreografie da proporre durante l’anno. Ottobre e novembre sono i mesi dedicati alla formazione dello staff tecnico, mentre a dicembre si mettono in atto
Ivo Sequani
allenamenti ed esami per valutare che ha carpito le novità apprese. Poi, arriva il periodo delle gare, che comincia a gennaio e termina a giugno: quest’anno a marzo parteciperemo al Ficec Nationals di Ancona, mentre ad aprile voleremo a Orlando per i Mondiali (Icu World Cheer Championship). Ci aspetta poi a maggio il Gardaland Open, infine, a luglio gli Europei di Verona–. Una stagione ricchissima di appuntamenti, che si concluderà con due mesi di camp, da luglio a settembre, come spiega Sequani: “Arriveranno allenatori da tutto il mondo per mostrare tutto ciò che c’è di nuovo e innovativo nel mondo del cheerlaeading”.
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Zalf Castelfranco Veneto: nel nome di Rui di Andrea Martucci - Foto: Zalf Euromobil Désirée Fior
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el settore professionistico, il ciclismo negli ultimi quindici anni ha subito grandi trasformazioni, sia per attuare una migliore pianificazione al calendario internazionale diventato sempre più globale, che per la grande recessione che, tra 2007 ed il 2013, ha portato ad una crisi economica mondiale con conseguente diminuzione di sponsor. L’Unione Ciclistica Internazionale (UCI) ha dovuto metter mano al settore dei prof dividendolo così progressivamente alle attuali tre fasce: le squadre
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che fanno parte del World Tour (nel 2020 sono 19, nessuna italiana, che partecipano di diritto, ad esempio, ai tre grandi giri), quelle denominate Professional Continental (tre squadre italiane iscritte nel 2020 che, tramite wild card possono essere invitate al giro della nazione di appartenenza) che hanno un loro elenco di competizioni, quelle Continental che in molti casi sono ex squadre di dilettanti che hanno deciso di unire le forze per poter fare un salto di qualità nel livello superiore seppur più costoso. Attualmente nella nostra regione non è
Egidio Fior presidente Zalf
presente alcun sodalizio Continental che si possa definire puramente Veneto, solo abbinamenti con altri sodalizi italiani. La Zalf Euromobil Désirée Fior invece,
Riunione tecnica Zalf 2020
Luciano Rui festeggia le 1000 vittorie in maglia Zalf
pur nella categoria dilettanti Under 23, ha voluto mantenere fede al legame con il proprio territorio. Il motivo di questa scelta lo abbiamo chiesto a Luciano Rui, direttore sportivo del team di Castelfranco Veneto in dal primo anno di fondazione. “I proprietari” – ci spiega il DS trevigiano – “non credono nel progetto Continental, perché, se non per il numero di tessera, cambia pochissimo. Non so se questa nostra peculiarità faccia di noi la pecora nera o l’agnello bianco! Scherzi a parte, bisogna essere coerenti: non si può fare ciclismo di alta gamma, ProTour, e poi livellare tutto verso il basso”. Le soddisfazioni in questi anni non sono mancate. “Abbiamo ottenuto risultati di assoluto spessore: dai campionati italiani a quelli del mondo, ottenendo numerose vittorie. A dimostrazione che non basta essere collocati in una categoria, bisogna invece avere ‘gli attributi’”. Une delle costanti della Zalf Euromobil Désirée è quella di allestire ogni anno squadre forti. “Il segreto” – evidenzia Rui – “sta nel collaborare con 4-5 squadre juniores. Poi è basilare avere l’occhio ‘fine’ per individuare cinque sei ragazzi che possono avere un futuro importante. È un lavoro piramidale, proprio come con i professionisti, fatto quindi in sinergia. Però è indispensabile avere una società forte alle spalle, perché così riesci ad imporre il tuo modo di fare e di credere. Ai ragazzi piace la nostra nomea, anche se è cambiato un po’ il nostro modo di presentarci. Rimaniamo comunque sempre fedeli al nostro progetto, quello di lavorare affinché le cose vengano fatte bene. E poi, senza volerci autoincensare, essere
Marco Figo festeggia vittoria del campionato italiano
chiamati dalla Zalf è un po’ come ricevere una telefonata da Belèn Rodriguez: di certo non riattacchi!”. Tra poco inizia una nuova stagione, con una squadra composta da quattordici elementi provenienti da tutta Italia. “Si tratta” – sorride Rui – “di una sorta di ‘misto mare’, molto importante però! Inizieremo con la San Geo, sperando di esporre la nostra maglia il più avanti possibile. Nelle nostre intenzioni faremo gare all’estero, in Marocco, in Polonia. Alla fine faremo più noi corse a tappe che squadre Continental…”. Luciano Rui è il direttore sportivo più longevo, più esperto. “L’anno scorso” – sottolinea – “ho festeggiato le mille vittorie, ma non voglio essere considerato il ‘senatore vecchio’, una sorta di Andreotti, viceversa uno che sa ancora motivare. Il rapporto con i DS
più giovani? Una volta c’era più contatto umano, ora ci si invia qualche messaggio o e-mail”. L’ultimo pensiero di Rui è molto chiaro, un segnale per tutto il mondo del ciclismo: “Si dice che il numero dei ragazzi che vogliono dedicarsi al ciclismo si in calo. Io ribatto: è questo sport che sta morendo oppure è il movimento ad essere sbagliato? Di certo, proseguendo su questa strada, non si andrà lontano. Perché è diventato un mondo troppo veloce, i ragazzi credono di poter diventare professionisti a 18 anni. In questo modo ne ‘bruciano’ tanti. È un po’ come raccogliere mele acerbe, metterle in congelatore e poi, in primavera inoltrata, pretendere che siano maturate. Questo è un errore che non dobbiamo assolutamente commettere sulla pelle dei nostri giovani”.
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STARE BEN E
Il massaggio post gara di Francesca Visentini - Foto: Gruppo Body Evolution
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l massaggio post gara è il massaggio che viene effettuato dopo una gara o una prestazione sportiva e si differenzia in:
Decongestionante: mira essenzialmente ad eliminare le contratture ed eventuali tensioni muscolari e a decongestionare i tessuti. L’obiettivo è il recupero dello stato di affaticamento e il drenaggio delle sostanze cataboliche prodotte durante l’attività sportiva. Viene eseguito immediatamente dopo l’esercizio fisico ed ha una durata di circa 10-20 minuti con una manualità lenta e leggera.
Defaticante/decontratturante: l’obiettivo del massaggio è principalmente eliminare lo stato di affaticamento dei muscoli, sciogliere le contratture, recuperare l’elasticità, prevenire i traumi da affaticamento ed accelerare i tempi di recupero riportando alla normalità le funzioni muscolo scheletriche. Viene solitamente eseguito nei due giorni successivi alla prestazione sportiva (24/48 h dopo la gara), la sua durata varia tra i 30-50 minuti e viene eseguito
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con una manualità lenta e profonda. Perché dividere in due momenti diversi le fasi del massaggio post gara? Innanzi tutto occorre distinguere l’intervento a seconda del tipo di sport e delle esigenze specifiche dell’atleta che può avere bisogno di un massaggio completo o localizzato alle aree muscolari sottoposte ad un maggior carico. Inoltre se l’atleta è molto stanco, il massaggio deve essere leggero e di breve durata rivolto ad accelerare lo smaltimento della fatica evitando la comparsa di indolenzimento muscolare, per essere riproposto in modo più profondo il giorno successivo allo sforzo in cui poter andare a trattare la muscolatura con manovre più lente e profonde. In entrambi i casi il massaggio può essere effettuato anche con oli e creme in cui vengono sfruttati gli estratti naturali di alcune piante dalle grandi proprietà come ad esempio: Mentolo che rinfresca la pelle, attenua i dolori muscolari e articolari, stimola la circolazione agendo da vasodilatatore e allevia la sensazione di pesantezza e gonfiore
alle gambe Eucalipto in grado di aiutare con i dolori muscolari, migliorare la circolazione e facilita il rilassamento Geranio Grazie alle sue proprietà allevia i dolori muscolari, crampi e contratture, migliora la circolazione sanguigna e in generale migliora la salute delle arterie, delle vene e dei capillari Calendula che agisce sui dolori articolari e muscolari e migliora l’attività cardiovascolare.
È importante per il massaggiatore fare sempre una piccola anamnesi prima di iniziare a trattare un atleta per questo, prima di un massaggio vengono richieste alcune informazioni al soggetto in merito a patologie in essere o a particolari fastidi in modo da intervenire nel modo corretto ed evitare zone o manovre dove il massaggio non porterebbe alcun tipo di beneficio ma al contrario potrebbe peggiorare la situazione.
I E H C S È H G #NO O P M E T È H G #NO E T N E G È H G O #N Marco Cernaz
Lucio Taschin
Enrico Marchetto
A N O R E V A PERCORSI DI
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M E D I A PA R T N E R
I NTERVISTA orotini D o e t t a M
The flying boy
di Alberto Cristani - Foto: Germano Titoldini
L’
aquilone è, da sempre, un gioco che affascina e rapisce la fantasia dei bambini. Sfruttare il vento per far compiere evoluzioni a un semplice pezzo di stoffa/carta guidato da un filo, è un’azione tanto semplice quanto emozionante. Poi i bambini crescono e l’aquilone lascia spazio ad altri giochi, più o meno emozionanti. C’è chi però decide, come Matteo Dorotini, che con l’aquilone vuole continuare a ‘giocare’ e – fisicamente – a volare. Tra le onde del mare, compiendo evoluzioni a limite delle leggi della gravità, Matteo grazie a una vela e a una tavola, doma il vento e cavalca le onde, sempre a caccia di emozioni e di libertà. Benvenuti nel magico mondo di un kiteboarder. Matteo, il kitesurf non è uno sport ‘classico’: perché l’hai scelto? «Beh, semplicemente perché mi piace! Ho iniziato da piccolissimo a praticare la vela (optimist), facevo agonismo con buoni risultati e partecipavo alle regate col Team Italia, stando sempre in acqua guardavo ed ero affascinato dagli aquiloni che volavano. Quando c’era maltempo e vento forte io correvo in spiaggia a guardare un gruppetto di scatenati che entravano in acqua con i kite coloratissimi: tutta la gente scappava dalla spiaggia e loro accorrevano entusiasti. Erano tutti più grandi di me, erano adulti e ai miei occhi erano dei veri Superman. Volevo farlo anch’io ma nessuno voleva prender-
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Matteo Dorotini
si la responsabilità di insegnarmelo. Inizialmente i miei genitori erano contrari perché dicevano che è uno sport estremo non adatto ai bambini. Io però non volevo sentir ragione e chiedevo a tutti di insegnarmi e così Marco Maschietto di Venezia, un istruttore ed amico di famiglia si è offerto di prendersi cura di me e mi ha iniziato al Lago di Garda. Da quando ho imparato le basi ho assaporato il senso di libertà e ad ogni uscita sentivo che il vento non era più il nemico da domare ma il mio alleato con cui volare. Ora la mia famiglia mi sostiene perché vede la
Matteo Dorotini premiato dal Comitato XIV Zona per i successi ottenuti nel 2019
mia grande passione. Oltre alla mia famiglia ho un importantissimo sostegno da parte di Minoia Board Co. di Brescia che è il mio sponsor e mi fornisce l’abbigliamento e tutto il materiale tecnico». Di fatto, cos’è il kitesurf? «Il kitesurf è libertà e adrenalina assoluta e rientra negli sport velici in quanto, contrariamente al surf, si viene trainati da un aquilone (kite) che sfrutta la forza del vento. È recentemente entrato a far parte delle discipline olimpiche». Come, dove e quando si svolgono i tuoi allenamenti e cosa prevedono? «L’allenamento per questo sport prevede principalmente l’attività in acqua con tutte le condizioni, sicuramente è più piacevole nelle acque calde ma il kitesurf si deve fare tutto l’anno e non basta l’acqua ma serve il vento e quindi è una continua ricerca di questi due elementi che cambiano a seconda delle stagioni e dei luoghi dove si pratica. Acqua piatta sui laghi e lagune oppure mare e onde sulle spiagge. In estate mi alleno al Lago di Garda che offre ottime condizioni con vento garantito e dove ho la fortuna di stare per lunghi periodi con quella che è la mia seconda famiglia, la Maselli Kite School dove sono stato formato come kiter del Junior KITE Team a Limone del Garda. Poi nei mesi più freddi, da ottobre a dicembre, ci spostiamo in Brasile e da gennaio a marzo possibilmente a Capoverde o Marocco. Per quanto riguarda
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Il kitesurf è libertà e adrenalina assoluta. Senza passione però non vai da nessuna parte la preparazione atletica, mi alleno in palestra». Il kitesurf è uno sport molto faticoso e difficile… «Già, e l’aspetto mentale è importantissimo, soprattutto durante le competizioni perché devi saper gestire lo stress e reggere il confronto con gli altri concorrenti, credo comunque che sia così anche in altri sport». Cosa ti piace maggiormente di questa disciplina? «Quello che più mi piace è il senso di libertà, lo stile di vita un po’ nomade che condivido con amici ed allenatori sulle spiagge più belle del mondo». Quando non ‘voli’ cosa ti piace fare? «Siccome il kite mi tiene via da casa per lunghi periodi, quando sono libero mi trovo con gli amici e mi godo un po’ la famiglia». Segui altri sport? «Si: surf da onda, skateboard, snowboard… praticamente qualsiasi tavola da mettere ai piedi per scivolare e saltare!» Kite-scuola è un binomio gestibile facilmente? «No, per niente. Riuscire a trovare il giusto equilibrio è stata probabilmente la
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sfida più sofferta in quanto essendo uno sport poco conosciuto, e che porta a fare parecchie assenze, mi sono trovato molto penalizzato a scuola dove i professori non riuscivano a tollerare le lunghe assenze. Nel Kite come nella vela, le regate durano in media tre-quattro giorni ed il più delle volte sono in posti lontani. Una gara come minimo corrisponde ad almeno 5 giorni di assenza dalle lezioni. Per i mondiali in Cina ed in Brasile, sono stato assente da scuola per più di due settimane, le selezioni per i Giochi olimpici giovanili mi sono costate tre materie a settembre. In certi casi le gare sono addirittura a chiamata, cioè senza una data prefissata ma in base alle previsioni del tempo. Tutto questo è difficile da conciliare con il sistema scolastico italiano». Che 2019 è stato per te a livello personale, non solo a livello sportivo... «Devo dire che il 2019 è stato per me un anno di svolta, ho intrapreso la strada che volevo fare già da piccolo: ho iniziato a studiare privatamente on line e così ho potuto allenarmi e partecipare alle gare sia nazionali che internazionali. La soddisfazione più grande è stata aver ricevuto la GKA wild card che è praticamente l’ammissione a partecipare alla Coppa del Mondo di Freestyle dei professionisti. Entrare in acqua e competere con gli atleti che erano i miei idoli...quasi non ci credevo! È stata un’esperienza fantastica: a novembre ho fatto il mio mondiale in Brasile a Cumbuco e mi sono aggiudicato il 9 posto. Sono super felice: ho imparato moltissimo misurandomi con i migliori del mondo. Ora so cosa devo fare e mi voglio migliorare per le prossime sfide».
Cosa ti aspetti per il 2020? «Ora sono in partenza per la Sicilia e poi andrò ad allenarmi in Marocco, a Dakhla, per arrivare pronto ai primi appuntamenti in Francia a Saint Pierre La Mer per la Coupe du Monde Junior de Kitesurf ed a Leucate per la prima tappa del mondiale di freestyle GKA. Vorrei fare tutto il circuito 2020 GKA, il Kite World Tour che prevede 8 tappe ma do-
vrò rinunciare a qualcuna perché è tutto purtroppo a spese della mia famiglia». Venezia è la tua città, la tua ‘base’, la tua casa: cosa ti piace di più? «La vivo molto poco però mi piace tornarci qualche volta e quando sto lontano a lungo mi manca…». Nello sport come nella vita le regole sono fondamentali: qual è la regola numero uno per essere un buon kiteboarder? «La Passione. Senza quella non vai da nessuna parte». C’è un campione dello sport - non esclusivamente nel mondo del kitesurf- a cui ti ispiri o che vorresti conoscere? «Nel kite mi ispiravo ed ammiravo Ruben Lenten. Poi ho avuto la fortuna di conoscerlo e di frequentarlo…». Ultima domanda: perchè un giovane come te dovrebbe scegliere/provare questo sport? «Lo dovrebbe provare perché è troppo bello e ti da sensazioni uniche ed inspiegabili però lo deve fare assolutamente con istruttori seri e certificati, mai avventurarsi da solo»!
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di Jacopo Pellegrini - Foto: Simone Pizzini
I NTERVISTA stagna Ca o n a f e t S
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Esordio 2020
l 2 febbraio scorso per i Dynos Verona Baseball e Softball è stato il giorno d’esordio nel nuovo anno sportivo. Al Centro Gavagnin di Verona si è infatti svolto un quadrangolare organizzato dal Comitato Regionale dedicato ai ragazzini che per la prima volte si avvicinano a mazza, guantoni e palline. Il Presidente Dynos Stefano Castagna ci racconta com’è andata la giornata e le finalità dell’iniziativa. Stefano, che tipo di manifestazione è stata quella di domenica 2 febbraio? «Si è trattata di una giornata organizzata
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dalla Federazione, dedicata alle Categorie Promozionali Indoor; praticamente un piccolo campionato per dar la possibilità di giocare ai neofiti, ossia a tutti quei ragazzini che si affacciano al baseball dopo averci conosciuto a scuola». Cosa intendi con ‘averci conosciuto a scuola’? «La gran parte dei ragazzi che abbiamo in Società sono arrivati tramite la scuola: come Dynos facciamo un lavoro di sensibilizzazione già a partire da ottobre, andando a trovare i giovani alunni nelle loro classi. In generale, però, tutte le società fanno così. Si va nelle scuole a
Stefano Castagna presidente della Dynos Verona Baseball Softball
fare propaganda, a insegnare il gioco e le regole, dopodiché cominci a metterli in campo. Il risultato del torneo del 2 febbraio è il lavoro di questi quattro mesi trascorsi con i ragazzi e le scuole». Quanti anni avevano i ragazzi che hanno partecipato a questo evento? «La fascia va dai 9 anni, ossia appena abbiamo la possibilità di metterli in regola con le visite mediche, fino ai 12. Ovviamente in queste manifestazioni promozionali cerchiamo di rispettare il più possibile i ragazzi, evitando di mettere contro ragazzi di età troppo diverse». Avevate anche delle ragazze iscritte alla manifestazione? «Si, c’erano delle ragazzine che hanno giocato insieme ai loro coetanei: le categorie giovanili, fino agli Under 15, prevedono che le squadre possano essere
miste. Questi eventi, però, servono anche a mettere in comunicazione tra di loro le società per riuscire, magari, a creare una squadra di sole ragazze».
Come era strutturato l’evento? «E’ durato dalle 9:30 fino alle 16:00. Hanno partecipato, oltre a noi Dynos, Mozzecane, Villafranca e una squadra di Vicenza. Ogni società ha giocato tre partite da un’ora. Il quadrangolare si è tenuto nella palestra dell’Università degli Studi di Verona Dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento, al Gavagnin, di fianco ai nostri impianti sportivi. A tal proposito ci teniamo particolarmente a ringraziare l’Università e il responsabile Alessandro Albrizzi, per averci dato la disponibilità di utilizzare il loro impianto. È stata davvero una giornata di festa e di gioco. I risultati in questa categoria non sono per nulla importanti. L’importante è che i ragazzini si divertano. Ad aver vinto, in questo caso, è stato certamente lo sport».
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DeQou Action Beer, il lampo arancione che ricarica gli sportivi a cura della Redazione - Foto: DeQou Action Beer
È
possibile anche per una piccola azienda, oltre che per le grandi multinazionali con disponibilità di risorse economiche e umane quasi illimitate, inventarsi qualcosa di nuovo nell’antichissimo mestiere del mastro birraio? Sembra proprio di sì. Vi raccontiamo la storia di La Orange un piccolo birrificio veronese che ha fatto dell’ecosostenibilità e dell’innovazione i suoi credo. Innovazione che non viene da un colpo di genio o da chissà quali esperimenti con ingredienti improbabili ma dall’osservazione di una pratica molto diffusa: gli atleti, di quasi tutti gli sport e di tutti i livelli, alla fine di uno sforzo fisico intenso amano bere una birra per reidratarsi e reintegrare sali minerali e vitamine. Da questo spunto è nata l’idea di creare una birra ‘migliore’ che potesse dare anche qualcosa in più oltre ai tanti vantaggi che già dava una birra normale.
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Così i ragazzi de La Orange si sono rivolti al noto medico nutrizionista, il Dott. Federico Cioni di Parma, chiedendo come dovesse essere la birra ideale per un atleta. La risposta non ha lasciato spazio alle interpretazioni: non filtrata e non pastorizzata per conservare gli oligoelementi, a bassa gradazione alcolica per non affaticare il corpo con scorie e ad alto contenuto di maltodestrine, per un recupero delle energie attraverso questi zuccheri complessi che non danno picco glicemico. È nata così DeQou Action Beer, la prima performance beer (trend lanciato negli Stati Uniti nel 2018 e che sta prendendo piede anche da noi ndr) ideata e prodotta interamente in Italia. La Orange non è solo innovazione ma è anche attenzione all’ambiente: l’azienda è stata attenta fin da subito alle problematiche ambientali e dell’economia ‘zerosprechi’, sia per virtù, sia per necessità, dato che, essendo una nuova iniziativa, deve far conto su possibilità non illimitate. Le aree aziendali interne in cui si può mitigare il consumo di risorse non rinnovabili sono molteplici ma è possibile fare molto anche collaborando con altre aziende o progetti. La Orange sostiene ad esempio il progetto SaveBiking, app gratuita che fa accumulare sconti in denaro mentre sei in sella alla tua bicicletta; in pratica per ogni chilometro percorso in sella alla bicicletta si accumulano bonus da convertire in denaro per ottenere sconti nei negozi convenzionati o nell’acquisto di beni. SaveBiking, voluta per incentivare l’uso della due ruote, offre ai ciclisti la possibi-
lità di risparmiare e alla cittadinanza di respirare aria più pulita e vedere ridurre il traffico. Altro progetto molto interessante è nato dopo la vittoria da parte di La Orange della call per startup Innovation Agrifood MIP & Mercafir del gennaio 2020; assieme al birrificio è stata infatti premiata anche una startup che si occupa di recuperare e valorizzare le trebbie della birra, prodotto di scarto ma dagli elevati contenuti nutrizionali, ottenendo da esse biscotti e snack gustosi e salutari e magari in futuro diventare una bioplastica con cui realizzare stoviglie in fibra vegetale. Si sta inoltre sviluppando anche una collaborazione con il progetto PCUP, il bicchiere in silicone intelligente: DeQou Ac-
tion Beer, visto il suo basso grado alcolico ma l’alto contenuto di energia derivante dalle maltodestrine, insieme al bicchiere PCUP, sono una perfetta abbinata per i grandi eventi nei quali sono coinvolti migliaia di persone, eventi che vogliono essere attenti sia al benessere dei partecipanti che all’aspetto ecologico. La Orange è una startup innovativa e come tale si avvale di strumenti finanziari innovativi e collaborativi: per la propria crescita ha scelto di non avvalersi dei soliti prodotti messi a disposizione da enti istituzionali quali le banche ma di rivolgersi al crowdfunding, la raccolta, in cambio di quote societarie, di piccole cifre da tante persone attraverso una piattaforma informatica. La raccolta è attiva
fino al 31 marzo 2020.
Ps: Anche DeQou Action Beer, sebbene a bassa gradazione alcolica, va bevuta responsabilmente!! Per maggiori informazioni: https://www.thebestequity.com/progetti/24/deqou/ La Orange: piccola azienda innovativa, esempio concreto di come l’innovazione si possa sviluppare anche grazie alla bevanda più antica.
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Cus Venezia, 70 anni a
tutto sport!
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di Andrea Etrari - Foto: Cus Venezia
o scorso 16 dicembre il CUS (Centro Universitario Sportivo) Venezia ha festeggiato il suoi 70 anni: nato nel 1949, coinvolge oggi oltre tremila persone, di cui la metà sono universitari. Ma il ruolo del CUS Venezia si è evoluto negli ultimi anni, tanto da diventare un punto di riferimento per i cittadini veneziani che possono usufruire delle proposte sportive e degli impianti di questa realtà in città. Ma quali sono le disciplina di cui si occupa il CUS? Molto varie, dall’atletica leggera alla pallamano, alla pallavolo, al judo, allo Ju Jitsu e alla palestra fitness, con corsi di pilates e di zumba per arrivare fino allo sci. A questo proposito c’è da segnalare che quest’anno, per la terza stagione consecutiva, il CUS organizza i campionati nazionali universitari invernali in collaborazione con la Val Zoldana. L’attività del CUS, nata inizialmente per permettere agli studenti di fare una sana vita sportiva, nel corso degli anni ha alzato l’asticella ed ha permesso di portare a casa importanti risultati anche nel settore agonistico. “La sezione pallavolo, la seconda in termini di tempo, nata giusta 50 anni fa” – sottolinea Massimo Zanotto, presidente del CUS Venezia – “ha conquistato negli ultimi anni la serie C sia con la formazione maschile che con quella femminile. Abbiamo ottenuto degli ottimi risultati e ogni anno riusciamo a vincere vari titoli regionali e a conquistare medaglie ai campionati nazionali. La pallamano ha avuto dei periodi di grande fulgore raggiungendo le massima serie, poi per problemi economici che purtroppo sono comuni a molte realtà del veneziano, si è dovuta ridimensionare, però il lavoro che viene fatto con le squadre giovanili è molto importante. Abbiamo vinto consecutivamente tre titoli regionali e partecipato alle finali nazionali under 15”. C’è poi l’attività agonistica universitaria di studenti iscritti alle due facoltà veneziane,
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Ca’ Foscari e Iuav, che non sono necessariamente tesserati con il CUS. Spiega Zzanotto: “Lo scorso anno abbiamo ottenuto un titolo a squadre molto importante con la pallavolo femminile con Andrea Grandese, che allena la nostra serie C femminile, e abbiamo conquistato varie medaglie degli sport individuali. Alle Universiadi di Napoli 2019 avevamo tre atleti delle università veneziane: Eleonora Vandi, iscritta a Ca’ Foscari che è stata eliminata
nelle semifinali degli 800, Chiara De Bortoli, che ha vinto la medaglia di argento con la squadra di pallavolo, anche lei iscritta a Ca’ Foscari e infine Riccardo Serena, che gioca nel Calcio Padova, studente Iuav, che ha ottenuto la medaglia di bronzo con la squadra di calcio”. Risultati importanti per un CUS Venezia che, anche per il 2020, punterà ad essere protagonista dello sport universitario veneziano. E non solo…
Breaking News
AG EN DA A Verona combattimento Mondiale per il titolo Leggeri Il 27 marzo Mondiale di pugilato a Verona ci sarà un Mondiale di pugilato: a contendersi il titolo ‘ad interim’ Wba dei pesi leggeri saranno Francesco Patera e Devis Boschiero, che combatteranno all’Agsm Forum nella stessa serata in cui Luca Rigoldi sfiderà Gamal Yafai per il titolo europeo dei pesi supergallo. La serata, secondo quanto rendono noto gli organizzatori, verrà trasmessa in diretta su Dazn. Patera (23-3 con 8 KO) è in forma smagliante da quando ha battuto Lewis Ritson per il titolo europeo dei pesi leggeri alla Metro Radio Arena di Newcastle nell’ottobre 2018. Da allora il 26enne ha difeso con successo tre volte il suo titolo, superando ai punti Marvin Petit in Belgio, fermando in sei riprese Paul Hyland Jr all’Allianz Cloud di Milano e ottenendo una vittoria per decisione unanime contro Domenico Valentino lo scorso ottobre.
Boschiero (48-6 e 2 pari con 22 KO), ex campione europeo dei pesi superpiuma, otterrà la sua seconda opportunità di conquistare un titolo mondiale dopo aver perso per decisione divisa contro Takahiro Ao per il titolo mondiale dei superpiuma WBC a Tokyo, in Giappone, nel 2011. Quanto a Rigoldi (22-1 e 2 pari con 8 KO), difenderà per la terza volta il suo titolo europeo contro lo sfidante ufficiale Yafai (17-1 con 10 KO). Per il pugile veneto e quello di Birmingham, fratello minore dell’imbattuto campione dei pesi supermosca Wba Kal, si tratterà del test più importante della carriera. Nella stessa riunione, il peso massimo leggero fiorentino Fabio Turchi (17-1 con 13 KO), torna dopo aver subìto la prima sconfitta della carriera contro Tommy McCarthy
Giunta Veneto approva tre bandi a sostegno dello sport La Giunta regionale del Veneto, su proposta dell’assessore allo sport, destina complessivamente 650mila euro in politiche concrete dedicate alla diffusione dello sport. Nello specifico sono stati stanziati 200mila euro per incentivare l’avvicinamento allo sport non agonistico e aumentare il numero di
giovani che praticano attività motoria in modo organizzato ed altrettanti 200mila a sostegno di iniziative sportive, che coinvolgano direttamente atleti diversamente abili. Il ‘bando per la concessione di contributi a favore della pratica sportiva degli atleti con disabilità’ è rivolto a soggetti avente sede legale e/o operativa in Veneto,
affiliati ad una Federazione Sportiva Paralimpica e/o Disciplina Sportiva Paralimpica e/o Ente di Promozione Paralimpico, regolarmente iscritti al Registro Nazionale delle associazioni e Società Sportive Dilettantistiche. Con questa iniziativa la Regione Veneto intende sostenere l’attività motoria nella fascia di età più a rischio in termini di sedentarietà, quella dei 6-18 anni, promuovere il senso di appartenenza, la condivisione dei valori dello sport, il successo e la realizzazione personale. Inoltre intende sostenere iniziative sportive dedicate ad atleti diversamente abili, perché lo sport educa ai valori autentici della vita, allena ad affrontare le difficoltà e fornisce gli strumenti per poterle risolvere, insegna a rialzarsi e riprendere la corsa”. Fino al 2 marzo è possibile presentare domanda di contributo anche per un terzo bando legato all’organizzazione e realizzazione di eventi sportivi. In attuazione del Piano esecutivo annuale per lo sport 2020 sono stati stanziati in bilancio ulteriori 250mila euro per favorire questo tipo di progettazione. La domanda di contributo può essere presentata entro il 24 febbraio 2020, utilizzando i moduli pubblicati sul sito internet www.regione.veneto.it, sezione bandi-avvisi-concorsi.
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STARE BEN E
A tavola con Federica
Dott.ssa Federica Delli Noci Dietista - Specializzata in Scienze dell’Alimentazione
Un APERITIVO in forma
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o scorso giovedì 23 gennaio, presso lo Studio D’Aloja di Arbizzano di Negrar, sono stata relatrice in una serata informativa interamente dedicata alla dieta chetogenica. Grazie alla disponibilità e agli spazi messi a disposizione dalla struttura presso la quale lavoro, l’incontro ha riunito numerosi partecipanti curiosi di conoscere uno dei più noti protocolli dietetici mirati alla perdita di peso. Scoperta negli anni ’20 per il trattamento delle epilessie farmaco-resistenti, la dieta chetogenica, attualmente rappresenta un metodo sicuro, efficace e duraturo per la perdita di massa grassa. A differenza di numerose diete ipocaloriche tradizionali, spesso sbilanciate, soprattutto se parliamo di
diete “fai da te”, il protocollo chetogenico prevede una “particolare” ripartizione dei macronutrienti caratterizzata da un elevato apporto di grassi, uno scarso apporto di carboidrati e un moderato apporto di proteine. Seguendo una dieta chetogenica, l’organismo passa da un carburante a base di zuccheri, ad uno a base di grassi, con un conseguente effetto sulla riduzione della massa grassa. I grassi accumulati, vengono direttamente utilizzati a scopo energetico, vengono degradati trasformandosi in corpi chetonici e generano una serie di effetti positivi nell’organismo quali: un maggior senso di sazietà, una maggiore energia e lucidità mentale e di conseguenza una migliore aderenza al percorso dietetico.
DIETA CHETOGENICA: QUALI ALIMENTI E QUALI EFFETTI POSITIVI? Gli alimenti previsti in una dieta chetogenica sono: carne, pesce, uova, alcuni tipi di latticini e formaggi, verdure, erbe, spezie, alcuni tipi di frutta, frutta secca, cioccolato fondente, semi e olio extra vergine d’oliva. Sono, invece, assolutamente vietati: patate, riso, pasta, cereali e pseudocereali, miele, zucchero, dolciumi, bibite zuccherate e dolcificanti artificiali. Alla ridotta assunzione di carboidrati, ne consegue una rapida perdita di peso, l’aumento dell’energia e della lucidità mentale, la riduzione dell’insulino resistenza, l’attenuazione delle emicranie e delle cefalee, il miglioramento del profilo lipidico e glicemico riscontrabile dalle analisi del sangue. Oltre a trattare il sovrappeso e l’obesità, la dieta chetogenica, rappresenta un’ottima terapia nutrizionale per il trattamento delle dislipidemie, del diabete di tipo 2, della sindrome dell’ovaio policistico e di tutte quelle condizioni di sovrappeso o obesità legate a patologie dell’apparato locomotore. DIETA CHETOGENICA E SPORT La dieta chetogenica, se normo calorica e ben bilanciata in tutti i nutrienti, è particolarmente indicata anche per gli atleti che hanno la necessità di migliorare la propria composizione corporea riducendo la massa grassa e preservando la massa magra. L’utilizzo dei grassi a scopo energetico, infatti, permette non solo una riduzione del grasso corporeo, ma anche una maggiore concentrazione ed energia assolutamente vantaggiose per un atleta impegnato in allenamenti di media intensità.
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Angels in Run,
promessa mantenuta! a Elen Bono - Foto: Angels in Run
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o scorso 14 gennaio, nella prestigiosa Sala Arazzi del Comune di Verona un’emozionata Anna Marostica , presidente di Angels in Run, ha ufficializzato la donazione di 4.000 Euro alle associazioni Protezione della Giovane e D-Hub. L’importo, suddiviso in 2.760 Euro per la prima e 1.240 euro per la seconda, andrà a sostenere due importanti progetti: un servizio di supporto psicologico per donne accolte in emergenza nella casa della Protezione della Giovane e un tirocinio di 3 mesi nel laboratorio sartoriale di D-Hub per aiutare a ritrovare un posto nel mondo del lavoro e ricominciare così un nuovo percorso di vita. La consegna degli assegni da parte di Elen Bono, vicepresidente di Angels in Run, ad Anna Sanson (vicepresidente Protezione della Giovane) e Maria Antonietta Bergamasco (cofounder D-Hub) è avvenuta alla presenza degli assessori Filippo Rando e Francesca Briani. “Siamo fieri” – ha dichiarato Anna Marostica – “di poter dare un contributo importante a due realtà che, messe in
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rete fra loro, possono fare veramente la differenza per le donne che si trovano in un momento delicato della loro vita e che hanno bisogno di tutto il sostegno possibile per rialzarsi. Un grazie di cuore va alle oltre 1.100 persone che si sono iscritte a We Run - Libere di correre, che hanno compreso e fatto loro il nostro messaggio e che hanno voluto sostenerci e darci fiducia. L’ampia partecipazione di questa edizione, nonostante il tempo avverso, ci ha permesso di donare molto più dello scorso anno. Un segnale forte del potere della rete, che ci fa ben sperare per l’edizione 2020, alla quale stiamo già lavorando”. “Il maltempo di quella domenica” – ha evidenziato l’assessore Briani – “non ha fermato i runner e la loro voglia di fare del bene. Le donne hanno dimostrato ancora una volta la loro capacità di fare squadra per raggiungere un obiettivo comune. We Run – Libere di correre ne ha raggiunti ben due: portare l’attenzione della cittadinanza sul fenomeno della violenza sulle donne e finanziare due progetti di recupero sociale. Farlo attraverso un momento di festa e spensieratezza come una corsa tutti insieme, è decisamente il modo più
bello per fare rete”. “La cronaca” – ha concluso l’assessore Rando – “ci ricorda ogni giorno come il fenomeno della violenza sulle donne non accenni a diminuire, chiamando ciascuno di noi, soprattutto noi uomini, a un esame di coscienza. Per fortuna, fra le buone notizie, come quella di oggi, c’è anche un lieto fine che premia impegno e solidarietà. La manifestazione We Run si è confermata ancora una volta un’iniziativa vincente, capace di sensibilizzare attraverso lo sport e lo stare insieme”. We Run – Libere di correre è il più grande evento a Verona per dire NO alla violenza sulle donne. Giunto alla quarta edizione e organizzato dall’associazione Angels in Run, con il patrocinio del Comune di Verona, non nasce come una manifestazione sportiva classica ma come un movimento di persone, di qualsiasi genere e appartenenza, che si uniscono camminando e correndo per le strade di Verona con il desiderio di scardinare stereotipi e portare luce a una causa sempre molto attuale. E per dare risposte concrete attraverso reti di aiuto, spesso poco conosciute, ma fondamentali per assistere donne in un momento di grande solitudine e isolamento dal resto del mondo. Presenti alla cerimonia anche Nicola Tripaldi per Naturasì, Silvia Scaramuzza per Progetto Quid e Laura Moroni per Specchiasol, aziende che hanno sostenuto il progetto. Media partner ufficiale SportdiPiù magazine. Appuntamento a novembre 2020 per la prossima edizione. Nel frattempo proseguono le attività abituali dell’associazione che organizza ogni settimana ritrovi per correre e camminare in gruppo, rivolti in particolar modo alle donne. Info: www.angelsinrun.it www.facebook.com/Angelsinrun www.facebook.com/groups/correreperverona/
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Psicologia sportiva
Dr. Tommaso Franzoso Psicologo dello Sport - Sport Mental Trainer Venezia Soccer Academy e Venezia FC
L'allenatore e i suoi ragazzi
n questo articolo affronteremo la tematica delicata del rapporto allenatore – atleta. Mi sembra importante soffermarci su questa relazione perchè l’allenatore è una figura cardine nell’ambito sportivo, è un punto di riferimento, è una persona che deve saper accogliere e coinvolgere il giovane atleta aiutandolo non solo in ambito prettamente sportivo ma soprattuto di crescita personale. La qualità della relazione che si crea fra giocatore ed allenatore è estremamente importante in quanto ha delle ripercursioni di notevole portata sul giovane giocatore. Infatti, essa influisce sul suo benessere (Lafreniere e al., 2011), sulle strategie di fronteggiamento degli ostacoli (Nicholls, 2016) e sulle performance sportive (Jowett e Cockerill, 2003). Esiste un legame diretto fra relazione allenatore – giocatore e qualità delle prestazioni dell’atleta (Mata e Da Silva Gomes, 2013; Vieria e al., 2015). Il ruolo di Allenatore che esso si chiami Mister, Coach, Tecnico, Istruttore, e in tanti altri modi rappresenta un momento di passaggio per i giovani che possono riuscire a trovare uno spazio di sviluppo evolutivo, di crescita e di co – costruzione di un sogno. Un sogno che a loro volta un giorno potranno far provare ad altri. Questo accade perchè l’allenatore non solo insegna tecniche e strategie legate all’ambito sportivo,ma al tempo stesso, l’allenatore rappresenta l’esperto, ovvero colui che facilita l’autoconsapevolezza dell’atleta e crea occasioni di apprendimento. Un buon allenatore dovrebbe avere perciò alcune caratteristiche fondamentali, quali: conoscenze a livello tecnico e tattico; preparazione sul piano didattico; capacità di comunicazione semplice e chiara; disponibilità alla relazione ed intelligenza emotiva; apertura al dialogo e capacità di autocritica; capacità di prendersi le proprie responsabilità; sicurezza in sé, che aiuta a creare e diffondere la
motivazione negli allievi; ambizione e apertura mentale: capacità di mettersi in discussione, accettare punti di vista differenti dal proprio, mettersi nei panni degli altri e cercare soluzioni alternative dove necessario; capacità di adattarsi alla continua evoluzione del mestiere, senza rimanere rigidamente ancorati alle precedenti esperienze vissute; entusiasmo e passione per il lavoro. Per poter fare tutto questo l’allenatore deve possedere delle qualità di atteggiamento psicologico che può mettere a disposizione dei propri atleti, quali: un locus of control interno o consapevolezza di sè, cioè essere in grado di attribuire a se stesso la capacità di controllare gli eventi, al suo mestiere e alla sua persona e quindi di riuscire a mettersi in discussione per il miglioramento dei suoi ragazzi. In questo modo dimostra agli atleti che segue, che siano singoli o una squadra, di avere conoscenze e strategie che consentano di affrontare al meglio le situazioni ed i problemi, raggiungendo gli obiettivi prefissati e credendo nelle proprie capacità e in quelle dell’atleta o della squadra. Inoltre l’allenatore dovrebbe saper essere assertivo, cioè saper esprimere le proprie
emozioni e sentimenti in modo chiaro, le proprie opinioni nel rispetto degli altri, utilizzando l’empatia per entrare in relazione con i suoi atleti/squadra. Un’altro aspetto importante da sottolineare è la capacità di problem solving, cioè la capacità di risolvere problemi, analizzare dati percettivi provenienti dall’ambiente e mettere in atto strategie per superare le difficoltà e raggiungere gli obiettivi prefissati. Tutti questi punti sono alla base di un aspetto che va oltre le conoscenze sportive che è l’intelligenza emotiva, la capacità di riconoscere, capire, gestire ed utilizzare in modo consapevole le emozioni proprie e degli altri. In conclusione, l’essere o il diventare allenatore appare come un continuo sviluppo costruttivo della propria persona e dei propri modi di pensare che sviluppa come descritto, molteplici caratteristiche che allenandole porta a sentirsi parte di uno spazio di dimensione di ascolto e di crescita per il giovane sportivo. In tal senso, l’allenatore, mister, coach, istruttore, ecc...è uno strumento per l’altro affinchè possa evolvere in modo consapevole, responsabile e pensante.
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EVENTO
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Verona-Resia-Verona: 600 km di bici 'no stop'
arà una ‘padalata’ per tanti ma non per tutti quella che partirà sabato 2 maggio dalla splendida Villa Guerrina di Montorio, a pochi chilometri dal centro di Verona e arriverà fino alle sorgenti dell’Adige a Passo Resia, a pochi metri dal confine con l’Austria. La randonneè Verona-Resia-Verona Traguardo Volante, organizzata da Sport Verona, è giunta quest’anno alla sua sesta edizione, e prevede la possibilità di percorrere 300 o 600 chilometri a seconda che si voglia fare solamente Verona-Resia o che, il giorno successivo, si decida di affrontare anche il percorso inverso. Verona-Resia (andata) L’itinerario di andata è per buona parte diverso rispetto a quello del ritorno. Per i tratti comuni la prospettiva paesaggistica è differente: da sud verso nord si ha di fronte l’arco alpino mentre, ritornando a Verona, si incontra la pianura che mano a mano si allarga. I partecipanti attraverseranno il cuore di Verona, faranno un ‘tuffo’ lungo il Lago di Garda fino a Riva del Garda e da qui devieranno verso Mori per immettersi nella Val Lagarina, la grande valle del Fiume Adige. Passando da Trento, i randonner proseguiranno per il Lago di Caldaro, salendo ad Appiano sulla Strada del vino e scendendo successivamente verso Bolzano. Il tragitto prevede successivamente l’imbocco della Val Venosta per poi risalire verso il Passo Resia lungo la pista ciclabile, per terminare la corsa a Resia, al cospetto del famoso campanile sommerso. A questo punto i partecipanti che hanno scelto di percorrere i 300 chilometri avranno terminato le loro fatiche, a meno che non decidano – anche all’ultimo momento, in base alla forma fisica e alle condizioni meteo – di proseguire tentando gli altri 300 del ritorno. Resia-Verona (ritorno) Dopo Resia si riprende la Val Venosta e si percorre la lunghissima Valle d’Adige.
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In territorio veronese si tiene la sinistra del fiume, lungo una recente pista ciclabile che passa dalla Chiusa di Ceraino dominata dal bel Forte di Rivoli, in alto sul colle. Da qui in breve si arriva in Valpolicella. L’itinerario, per quanto possibile, percorre le piste ciclabili presenti sul territorio. Una scelta voluta per consentire di pedalare in sicurezza e tranquillità godendo del paesaggio circostante. Poiché nessuna strada è riservata o chiusa al traffico si raccomanda il massimo rispetto per i ciclisti e i pedoni che si incontreranno lungo il percorso. Per info e iscrizioni: https://www.sportverona.it/programma-veronaresia.html
www.girolagodiresia.it
21 Giro Lago di Resia o
Sa. 18.07.2020 ore 17.00 15,3 km
Corsa JUST FOR FUN Corsa delle mele per Bambini Nordic Walking
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a cura della Redazione Foto: Frieder Blickle, Oskar Verant, Alex Filz
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l comprensorio sciistico BelpianoMalga San Valentino, in Alto Adige, è situato a pochi chilometri dal confine con Austria e Svizzera, a un’altitudine tra i 1.450 e i 2.390 metri. Luogo ideale per una vacanza per tutta la famiglia, offre ai suoi ospiti offre 15 impianti di risalita e 65 chilometri di piste con difficoltà di ogni tipo: dalla pista larga e piana per principianti fino alla discesa della ‘Canna del cannone’, che porta nella bellissima Val Roia ed è riservata a sciatori esperti. Inoltre offre la discesa più lunga di tutta la Val Venosta. Belpiano-Malga San Valentino è associato con i comprensori di Nauders, Watles, Solda e Trafoi che insieme compongono la Skiarena Due Paesi, uno dei più apprezzati comprensori sciistici per famiglie dell’Alto Adige e conosciuto, anche oltre i confini, per la preparazione ottimale delle sue piste. Sciatori e snowboarder hanno a disposizione ben 10 impianti di risalita e 4 nastri nell’area Schöni’s Kinderland. Anche in estate le cabinovie e le seggiovie dell’area possono essere utilizzate per raggiungere comodamente Belpiano e Malga San Valentino, che, con i suoi tracciati trekking e i suoi bike trails è un paradiso per escursionisti e biker. Un’offerta incredibile e indimenticabile per gli amanti della neve che concluderà
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BelpianoMalga San Valentino, uno spettacolo per tutti
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la stagione invernale il 18 aprile. La Skiarena Due Paesi tra Tirolo e Alto Adige La nuova Skiarena Due Paesi permette di godersi la neve tra Austria e Italia e più precisamente tra Nauders al Passo Resia e Solda in Val Venosta. Sono ben cinque le aree sciistiche accessibili con un unico skipass: Belpiano-Malga San Valentino, Watles, Solda all’Ortles, Trafoi all’Ortles e Nauders in Austria. Il tutto per un totale di 211 chilometri di piste. Osservatorio astronomico a Maseben nella Vallelunga L’osservatorio astronomico presso il rifugio Maseben, nell’idilliaca Vallelunga a 2.267 metri, offre un’opportunità unica per immergersi nel mondo del cielo notturno e del sole. I due telescopi mostrano la profondità dell’universo e offrono immagini che altrimenti un visitatore non vedrebbe mai. L’osservatorio su Maseben è il primo e l’unico nell’ovest dell’Alto Adige e può essere raggiunto a piedi da Kappl o comodamente con la navetta dal rifugio Maseben. Pattinaggio on ice Nessun’altra zona dell’Alto Adige incanta in inverno con una scenografia tanto magica. Quando il lago di San Valenti-
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no, situato al confine di tre nazioni, gela in inverno, normalmente si forma uno strato di ghiaccio di 40 centimetri, sul quale artiste delle piroette e pattinatori di velocità possono sfogarsi lungo una pista naturale. I pattini adatti possono essere noleggiati direttamente in loco presso il Campeggio al lago. Sci di fondo L’altopiano intorno ai laghi di Resia e S. Valentino offre condizioni ideali per
tutti coloro che praticano lo sci nordico. Lo sci di fondo al Passo Resia offre circa 22 chilometri di piacevoli piste che percorrono campi innevati esposti al sole e boschi radi. Particolarmente apprezzati sono la pista delle Tre Nazioni, che arriva fino a Nauders in Austria e la pista della Palla Bianca a Vallelunga, che percorre circa 15 chilometri di natura incontaminata del comprensorio turistico Passo Resia. La pista d’altura Vallelunga si trova a circa 1.900 metri e garantisce in questo
modo una bellissima neve per tutto l’inverno. Scialpinismo Le valli laterali dell’area vacanza Passo Resia, come l’idilliaca Val Roja e Vallelunga, ai piedi delle imponenti Alpi dell’Oetztal, faranno rimanere a bocca aperta gli sci alpinisti. Sono svariate le mete popolari della Val Roja, tra queste il non troppo impegnativo Dosso di Fuori e l’esigente Cima di Grion nella parte più interna della Val Roja. In Vallelunga, invece, gli sci alpinisti potranno godersi un’escursione alla Cima Salèz o al Glockhauser, entrambi situati sulle pendici meridionali. Anche il versante nord offre una serie di cime, con o senza ghiacciai. Giusto sopra St. Valentin si trova la Cima Pian del Lago, un’escursione da tener da conto. Lo Scialpinismo al Passo Resia richiede esperienza, conoscenza del luogo, equipaggiamento e informazioni sulle condizioni meteorologiche e della neve. Per andare sul sicuro, gli appassionati di sci alpinismo possono partecipare ad uno dei numerosi tour con guide alpine altoatesine esperte. Snowkite nell’area vacanza Passo Resia Dove vento, ghiaccio e neve s’incontrano, si trovano le condizioni ideali per il nuovo sport dello snowkiting al Passo di Resia. Sia il lago di Resia che il lago di S. Valentino soddisfano tutte queste condizioni e sono diventati il luogo privilegiato per gli amanti di questo sport a sud delle Alpi. Chi volesse imparare questo surf sul ghiaccio può rivolgersi alla scuola di snowkite al Passo di Resia. Escursioni con le racchette da neve Gli appassionati di passeggiate con le racchette da neve trovano nell’area vacanza Passo Resia una fitta e ampia rete di tracce e di sentieri ben segnalati per le loro escursioni. Mete suggestive sono le malghe del posto, che in parte continuano la loro attività anche d’inverno. Con le racchette da neve ci si può inoltrare in paesaggi innevati incontaminati e scoprire boschi e malghe solitarie tutt’intorno al lago di Resia, per esempio facendo il giro del lago di S. Valentino, oppure passeggiando da Resia e Tenders. Per andare sul sicuro, gli appassionati possono partecipare ad uno dei numerosi tour con guide alpine altoatesine esperte. Snowpark Snowpark di Belpiano, al centro del comprensorio sciistico, garantisce ogni anno il massimo divertimento a chi pratica freestyle e non solo. Il pluripremiato
Snowpark è caldamente consigliato da chi se ne intende, in particolare viene apprezzato il grande kicker di 13 metri, che è davvero una grande attrazione per i più esperti. Lo Snowpark Belpiano si suddivide in un’area per i principianti, una medium kicker-line e una pro-line per i più esperti.
Parco bambini Il parco giochi per bambini Schöni’s Kinderland si trova alla stazione a monte della cabinovia Belpiano. Il divertente parco giochi è raggiungibile rapidamente e comodamente con un tappeto magico, così i bambini potranno soddisfare la loro curiosità grazie ad un entusiasmante programma. Tanti giochi e attività di apprendimento interessanti inerenti l’attività sciistica.
IMPIANTI DI RISALITA BELPIANO-SAN VALENTINO - Cabinovia Piz Belpiano (2.130 m) - Seggiovia 6 posti Jochbahn (2.350 m) - Seggiovia 6 posti Fraiten (2.300 m) - Seggiovia 4 posti Rojen (2.350 m) - Seggiovia Zwölferkopf (2.300 m) - Skilift Pofel II (1.550 m) - Cabinovia San Valentino - Malga San Valentino (2.156 m) - Skilift Vallatsch (2.174 m) - Cabinovia Höllental (2.340 m) - Cabinovia di collegamento San Valentino - Belpiano (1.930 m) - Inoltre: 4 nastri nell’area Schöni’s Kinderland (2.150 m) Info: https://www.venosta.net/it/passo-resia.html
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EVENTO
Gli Harlem Globetrotters tornano a stregare l'Italia
È
partito il conto alla rovescia per il ritorno in Italia degli Harlem Globetrotters, leggendari eroi del basket americano e mondiale, pronti a stregare milioni di fan di tutto il pianeta per la 94ma stagione della loro storia. Il prossimo tour mondiale dei celebri cestisti americani toccherà anche quest’anno il Belpaese con memorabili partite-spettacolo che toccheranno le città di Ancona (11 marzo, PalaPrometeo), Forlì (12 marzo, Unieuro Arena), Varese (13 marzo, Enerxenia Arena), Milano (14 marzo, Mediolanum Forum), Genova (15 marzo, RDS Stadium) Trento (7 aprile, BLM Group Arena) e Treviglio (8 aprile, PalaFacchetti). L’unica tappa in Veneto si terrà all’AGSM Forum di Verona lunedì 16 marzo, Dopo il successo registrato nel tour italiano del 2019 con oltre 25mila spettatori, i ‘Globes’ preparano un nuovo show, ancora più coinvolgente e spettacolare, dal titolo Pushing the Limits: sette partite di esibizione con tantissime novità, dedicate soprattutto alle famiglie, dai più piccoli ai più grandi, dove canestri impossibili e schiacciate acrobatiche saranno accompagnati da gag comiche, risate e tanto divertimento. Un evento imperdibile al ritmo di una pallacanestro artistica che dal 1926 ad oggi ha entusiasmato circa 150 milioni di fan facendo 65 volte il giro del pianeta e disputando oltre 30mila partite in 160 paesi del globo. Bambini, famiglie e fan da ogni dove, ma anche papi, re, regine, capi di stato e presidenti: tutti hanno ammirato lo straordinario talento di questi atleti formidabili che vantano ben 22 Guinness World Record e di cui nella storia hanno fatto parte anche autentiche leggende della Nba come Magic Johnson e Wilt Chamberlain. Nuovo show. Nuovi giocatori. Nuovi record e tanto diverti-
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mento: il tour Pushing the Limits promette spettacolo puro. Il 2020 segna per gli Harlem Globetrotters un anniversario molto speciale: quello del tiro da 4 punti, il tiro dalla distanza di 9,15 mt. ideato e introdotto proprio 10 anni fa dai funamboli del basket americano. Per la prima volta nella loro storia
i Globes, già detentori di 22 Guinness World Record, tenteranno un nuovo record mondiale in ogni tappa del tour, provando ad incrementare ulteriormente il già sorprendente numero di riconoscimenti e primati. Info ticket: https://www.shotevents.it/
EVENTO
Sportler e King Rock insieme per guidare il futuro dell'arrampicata
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di Arianna Del Sordo - Foto: King Rock
ria di grandi novità al King Rock di Verona, che a gennaio ha dato ufficialmente il benvenuto al nuovo partner Sportler. Lo store Sportler Alpin, ubicato all’interno del centro di arrampicata veronese, sarà interamente dedicato all’abbigliamento ed attrezzatura per arrampicata. Giunta al suo 42esimo anno di attività, l’azienda di Bolzano punta ad ampliare ulteriormente il suo bagaglio di competenze investendo energie e risorse in questa nuova avventura verticale e
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scegliendo come compagno di cordata proprio il King Rock, da sempre punto di riferimento per l’arrampicata su tutto il territorio italiano. Questo importante sodalizio getta ottime premesse per futuri sviluppi a sostegno di uno sport in costante crescita: ad oggi si contano circa 500.000 praticanti e ben 350 società sportive. Non solo: per la prima volta, l’arrampicata sportiva farà parte del programma Olimpico delle XXXII Olimpiadi di Tokyo 2020. Sportler avrà un ruolo attivo nell’avventura olimpica: sarà infatti sponsor ufficiale
della Federazione Arrampicata Sportiva Italiana per i prossimi 2 anni e sosterrà il vivaio dei futuri climbers dell’ASD King Rock Climbing per i prossimi 4 anni. A rendere la serata inaugurale ancora più esclusiva e coinvolgente ha contribuito l’evento “Yosemite”, presenziato dal climber altoatesino Jacopo Larcher. Jacopo, accompagnato dalla fortissima scalatrice e compagna di vita Barbara Zangerl, ha incantato tutti i presenti con un reportage sulle ultime imprese verticali nel parco nazionale Yosemite, la Mecca dell’arrampicata più famosa al mondo.
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S SPO RT SO N G
Ripercorriamo la storia dello sport riascoltando le note di canzoni che, bene o male un po’ a tutti, hanno procurato brividi e, magari, fatto scendere qualche lacrimuccia (di gioia o di dolore…).
Eye of the Tiger dall'album: Eye of the Tiger (1982) Survivor
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amosa canzone della rock band statunitense Survivor, è stata scritta da Jim Peterik e Frankie Sullivan. È stata pubblicata come singolo di lancio del terzo album del gruppo dal titolo Eye of the Tiger. La canzone ha riscosso un notevole successo grazie soprattutto alla sua inclusione nella colonna sonora del film Rocky III interpretato da Sylvester Stallone. La canzone venne scritta su richiesta di Stallone stesso, che non era riuscito ad ottenere il permesso per utilizzare Another
One Bites the Dust dei Queen. La canzone tratta della vita di ogni tipo di lottatore di strada, invita a rialzarsi dopo la solitudine passata, a non cedere la gloria per la fama mondiale e che chi lo fa è in grado di guardare tutti dalla notte con gli ‘occhi della tigre’. La canzone è stata premiata come Miglior performance rock di un duo o gruppo ai Grammy Awards 1983. Nel 2009 è stata inserita alla posizione numero 63 nella classifica delle “100 più grandi canzoni hard rock” stilata da VH1.
L'allenatore dall'album: A chi si ama veramente (2004) Gianni Morandi
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rano del 2004 pubblicato all’interno dell’album A chi si ama veramente, scritto da Gianni Morandi e Fortunato Zampaglione. Il testo è dedicato alla figura dell’allenatore di calcio in quanto uomo treghettatore delle speranze dei tifosi e dei sogni dei giovani calciatori, maestro ed educatore per la loro crescita umana prima ancora di quella sportiva. Nella canzone, infatti, si mette in risalto il lato umano di quell’uomo costretto a far fronte alle diverse fazioni che spingono per ottenere
risultati positivi in campo e ad assumersi ogni tipo di responsabilità su eventuali fallimenti che possono essere figli del fato. Nel testo è messa in risalto soprattutto la passione di uomo che ha passato la sua vita dietro ad un pallone sopportando afa, gelo e pioggia nell’aria della sua panchina per seguire ogni azione dei suoi ragazzi con determinazione per cercare una vittoria che gli potrebbe valere una breve gloria e una salvezza da rimettere in discussione nella partita successiva.
E mi alzo sui pedali dall'album: Parole nel vento (2007) Stadio
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critta nel 2007 da Giancarlo Bigazzi, Saverio Grandi, Gaetano Curreri e Marco Falagiani, è contenuta nell’album Parole nel vento, è un ritratto della fragilità del ciclista romagnolo, dall’apice del successo fino al dramma finale. Il testo è integrato da alcuni pensieri scritti dallo stesso ciclista su dei fogliettini ritrovati nella stanza in cui morì. La stessa canzone fu utilizzata come sigla per il
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film Il Pirata – Marco Pantani, prodotto dalla RAI con Rolando Ravello ad interpretare il corridore di Cesenatico. Il videoclip della canzone ha come sfondo le immagini tratte proprio dal film mandato in onda sugli schermi RAI. Un gioco di riflessioni del ciclista che lo proiettano davanti allo specchio, a fare i conti con la sua vita di alti e bassi e con i momenti più bui, sfociati poi nella morte.
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