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L’ex mediano, tra i protagonisti dell’impresa champions: “in europa ritorna l’entusiasmo ed è un’altra Fiorentina credo che questa squadra possa arrivare fino in fondo e il marocchino può essere il vero trascinatore”

AFirenze lo ricordano rincorrere gli avversari in ogni zona del campo. Fabio Rossitto non era solo questo, è stato un centrocampista che abbinava grinta a una buona tecnica. Protagonista di quella Fiorentina allenata da Giovanni Trapattoni che conquistò Wembley nella gara di Champions League contro l’Arsenal. Lo abbiamo contattato per avere il suo punto di vista nella sfida di ritorno in Conference contro il Braga.

L’andata la squadra viola ha surclassato i portoghesi ma in generale come arrivano i gigliati a questo crocevia della stagione?

«La situazione è ibrida, l'anno scorso con l'arrivo di Italiano si è visto un entusiasmo crescente, tutti seguivano l'allenatore, era un calcio importante ma su questo quest'anno non c'è stato seguito. In campionato balbetta ma nelle coppe sta facendo bene. Difficile capire, sembra si sia spento quell'entusiasmo iniziale, però il calcio è imprevedibile e se guardiamo l’andata a Braga è stata tutta un’altra Fiorentina».

Anche il tecnico, che deve crescere, ha trovato delle difficoltà in questo anno.

«Ho sempre stimato Italiano ma sembra che questa pressione e attesa lo innervosiscano. Ha cercato altre strade e bisogna dargliene atto. Lui ha sempre giocato con il 4-3-3 ma ha cercato di vedere come valorizzare i giocatori, uscendo dai suoi schemi».

Stasera gara di ritorno contro il Braga, come si affrontano queste sfide europee?

«Ho sempre pensato che le coppe europee trasformino una squadra e abbiano un impatto anche sul singolo giocatore.

La coppa dà motivazione, ti porta a giocare e a confrontarti su un palcoscenico diverso e tutti tirano fuori quel qualcosa in più». Percentuali di poter andare lontano nel cammino europeo?

«Non sono un indovino ma credo che la Fiorentina abbia tutte le carte in regola per fare bene e arrivare il più avanti possibile. Come sempre, per raggiungere traguardi importanti, ci sarà bisogno di unità d’intenti tra squadra, allenatore, dirigenti e tifoseria. Poi non scordiamoci la spinta del Franchi che quando è chiamato in causa risponde sempre presente».

Se dovesse indicare un calciatore simbolo in queste gare?

«Fare il nome degli attaccanti potrebbe apparire scontato ma io, senza alcun dubbio, faccio il nome Amrabat. Al Mondiale è stato uno dei più forti, ultimamente è apparso appannato ma ci può stare. Forse aveva l'ambizione di andare al Barcellona ma è difficile capire la sua non continuità. Detto ciò è un giocatore importante ed ha qualità e personalità per fare ciò che vuole, non credo che sia un fatto tattico ma non deve farsi distrarre da altre cose deve capire l'importanza della maglia».

Anche perché Firenze tratta da re chi suda e lotta per la maglia, lei se lo ricorda bene.

«Ci vuole orgoglio perché se fai bene a qui la gente ti ama, bisogna vivere la città e avere voglia di fare qualcosa di straordinario, quando vincemmo a Wembley al ritorno sembrava avessimo vinto la guerra».

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