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IL VALORE DELLA COMMUNITY
from HUB STYLE VOL.3_2023
by Sport Press
Essere riconoscenti alla natura, proponendo capi provenienti da Progettati per le persone e il pianeta
“Non c’è niente di più affascinante della natura allo stato puro le parole di Penny Brook, chief marketing and experience officer di Canada Goose, per presentare Live in the Open, la nuova campagna PE 23 del marchio. “Ed è per questo che realizziamo uno storytelling sostenibile, che metta in risalto sia l’ambiente che le persone che vi abitano” continua la Brook. Il performance luxury brand Canada Goose continua a dimostrare il proprio impegno verso la responsabilità green. Lo fa con una strategia di impatto consapevole a sostegno del pianeta e dell’ambiente a 360 gradi, attraverso la piattaforma HUMANATURE. È qui che convergono tutte le iniziative basate su iniziative di carattere sostenibile e sociale, sottolineando il proprio obiettivo: mantenere il pianeta freddo e le persone che lo abitano al caldo. Quando si tratta del suo prodotto innovazione e ricerca sono alla base dello scopo del brand canadese, riducendo l’impatto sull’ambiente, senza sacrificare la qualità e la funzionalità di lusso per cui è rinomato. Come nella collezione Kind Fleece, che incarna il comfort avvolgente e la versatilità. Qui il classico pile è reinterpretato e realizzato in tessuto sostenibile, caldissimo, ultra-morbido e traspirante, realizzato con il 62% di lana riciclata, il 18% di TENCEL Lyocell, una fibra biodegradabile ricavata dal legno e il 13% di Sorona Polymer, un polimero vegetale ricavato dallo zucchero del mais, e il 7% di poliammide. Pensato per essere indossato a strati, quindi declinabile nelle diverse condizioni climatiche diverse, durante tutto l’anno. Canada Goose Holdings Inc. ha presentato il suo nuovo piano di crescita quinquennale, che punta a un giro d’affari annuo di 3 miliardi di dollari (2,80 miliardi di euro), entro il 2028. L’azienda, con sede a Toronto, intende raddoppiare il numero dei suoi negozi fisici, puntando a nuovi mercati mondiali e sviluppando la vendita diretta (D2C) nei mercati in cui è già presente. La label intende inoltre fidelizzare i suoi clienti di lunga data, ma al contempo vuole attirare nuovi consumatori, in particolare le donne e la Gen Z.
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LIVE IN THE OPEN: CONNESSI ALLA NATURA
La collezione PE 23 del brand, si ispira alla fioritura primaverile delle Azzorre, in Portogallo, al fogliame e ai cieli mutevoli, con rosa tenui e toni smorzati. Un verde vivido, rigoglioso, brillante, caratteristico proprio di queste isole, con il loro clima mutevole, caldo e umido, le correnti oceaniche, i venti, che soffiano impetuosi, le piogge rapide, che lasciano spazio a cieli limpidi e azzurri.
Una palette di colori intensi, che il fotografo e attore Cole Sprouse ha immortalato, attraverso gli obiettivi di macchine fotografiche analogiche e digitali, con uno stile reportage. Catturando, per la terza volta, la filosofia del marchio di canadese di vivere all’aria aperta: Live in the Open. Nelle sue immagini, i protagonisti della campagna Canada Goose, sono immersi negli spettacolari paesaggi dell’isola. Un vero e proprio invito, da parte del brand alla sua community, a godere delle bellezze naturali indossando i prodotti della collezione estiva, che con la loro estrema funzionalità sono progettati per resistere a condizioni meteorologiche imprevedibili, mutevoli ed estreme. “In Canada Goose ci sforziamo di dare vita a storie ricche di significato e di condividerle con la nostra comunità”, dichiara Penny Brook. “Con questa campagna celebriamo il nostro impegno a ispirare tutte le persone a vivere l’outdoor”. La nuova campagna estiva, incarna perfettamente l’etica del brand Live in the Open, che incoraggia la community a connessioni profonde con il mondo naturale e con gli altri. Una collezione di giacche a vento e da pioggia, capi leggeri, cappelli e calzature, realizzati in tessuti multifunzionali, ad alte prestazioni, perfetti in viaggio, che permettono di vestirsi a strati, proteggendosi dagli elementi con stile.
ESSERE “RESPONSABILE” DIVENTA UN MUST PER CRESCERE
È la conditio sine qua non per competere nel mercato della moda oggi. Quali sono i brand italiani più apprezzati, in termini green, che i grandi gruppi potrebbero tenere d’occhio in futuro?
di Angelo Ruggeri
No green, no party! Ed è da escludere anche la crescita economica, le collaborazioni con altri brand internazionali e una possibile acquisizione da parte di gruppi del lusso. Per non parlare poi della quotazione in borsa: quella risulterebbe lontanissima e quasi impossibile. La sostenibilità oggi è un requisito fondamentale per competere nel mercato della moda. E lo dice anche il Report Moda e Sostenibilità 2022 di Cikis, società di consulenza milanese che aiuta le aziende e i fashion brand ad attuare strategie e piani operativi sostenibili. Il 99% delle realtà di moda italiane sta lavorando su questo tema e il 58% lo fa per ragioni di competitività. Gli investimenti “green” sono in aumento, ma la consapevolezza delle pratiche più rilevanti è ancora parziale: in generale il numero delle aziende collocate a un livello di sostenibilità avanzato è calato del 15,2% rispetto al 2021. C’è quindi ancora molto lavoro da fare perché la moda, si sa, è una delle industrie più inquinanti al mondo. E lo spiega anche Stand.earth, organizzazione internazionale per la difesa dell’ambiente, che ha svelato il nuovo report sulle “Emissioni nella catena di approvvigionamento della moda 2022”. L’indagine aggiornata è arrivata proprio in occasione della COP27 a Sharm El-Sheik che ha riunito per la 27esima edizione i 197 paesi firmatari della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. La Carta per l’Azione Climatica dell’Industria della Moda, promossa dalle Nazioni Unite, ha alzato nuovamente l’asticella: bisogna dimezzare le emissioni serra entro il 2030. Solo così l’industria della moda potrà contribuire a limitare il riscaldamento climatico a +1,5°C rispetto ai livelli preindustriali, secondo l’accordo di Parigi sul clima del 2015.
La sostenibilità, quindi, deve diventare sempre più un dato chiaro e necessariamente da analizzare per pianificare gli step futuri. Il nuovo indice creato da Standard Ethics si chiama “SE European Fashion&Luxury Index” e punta a fornire una panoramica del livello di sostenibilità all’interno del settore e valutarne i progressi fino a oggi. L’analisi consentirà alle aziende di confrontare le loro strategie green con quelle di altri attori del settore e valutare le modalità per migliorare il proprio approccio ESG (Environmental, Social and Corporate Governance). Le condizioni di base che le società quotate devono soddisfare sono diverse: mantenere una posizione competitiva e non monopolistica e non essere legate a cartelli; godere di diritti sostanziali; avere una titolarità diffusa del capitale e nessun conflitto d’interesse; indipendenza e trasparenza di tutti i membri del Consiglio dalla proprietà del capitale; adozione di procedure per la verifica del rispetto delle ultime norme sociali riconosciute a livello internazionale come standard ambientali, secondo le linee guida ONU, OCSE e UE. Nella “top 24” tra le più grandi aziende europee quotate nel settore della moda e del lusso, su cui Standard Ethics sta concentrando la propria analisi - da questa lista verranno selezionati i futuri 20 componenti dell’indice, identificati principalmente in base alle dimensioni economiche - vi sono:
Brunello Cucinelli, Ermenegildo Zegna, Geox, Moncler, Prada, Salvatore Ferragamo e Tod’s Group.
E tra i marchi new upcoming? Quali sono i brand da tenere d’occhio e che potrebbero essere “nel mirino” d’acquisto dei grandi gruppi? O in dirittura d’arrivo alla quotazione?
Sicuramente Yatay, marchio di sneakers green, fondato da Umberto de Marco, presidente di Coronet, storica azienda specializzata nella produzione di pellami eco-friendly. Recentemente, anche Golden Goose ha collaborato con il marchio per la realizzazione di una piattaforma di co- action per l’innovazione sostenibile made in Italy, svelando Yatay Model 1B: la scarpa sporty prodotta con materiali animal-free di alta qualità. La calzatura è realizzata in YatayTM B, un materiale bio-based derivato da fonti vegetali e altri componenti a basso impatto come il poliestere riciclato e la gomma biodegradabile. Il suo utilizzo in questa prima sneaker responsabile consente di ridurre del 90% le emissioni di CO2 e del 65% il consumo di acqua rispetto alla pelle. Non solo. Sul talloncino sinistro di ogni Yatay Model 1B è impresso anche un numero univoco, con questo codice l’acquirente può migliorare la propria carbon footprint piantando un albero. Anche ACBC è “da tenere monitorata”. L’azienda, fondata da Giò Giacobbe ed Edoardo Iannuzzi, sta registrando ottimi risultati economici, grazie anche alle partnership con player internazionali come Missoni, Baldinini, Msgm, Diadora e Piquadro. Lo scorso luglio, con un comunicato, la BCorp e Circular Science Company specializzata nella progettazione e produzione di calzature e prodotti sostenibili, aveva annunciato l’IPO nel 2023-2024. In progetto, nuove aperture di monomarca e attività di ricerca e sviluppo, che già hanno portato l’azienda a ottenere il riconoscimento di numerosi brevetti, come ZipShoes, FreeBio, Beyond Plastic e BioHeel.
Fonti:
Cikis Studio – Report Moda e Sostenibilità 2022
Standard Ethics
Stand.earth
Carta per l’Azione Climatica dell’Industria della Moda promossa dalle Nazioni Unite
RI-EDIZIONE, MA SENZA NOSTALGIA
Materiali di recupero, tessuti di scarto, abiti che nascono dal concetto di ri-uso. Non più solo riciclo, ma upcycle. Cinque storie esemplari di come riutilizzare possa essere eco-friendly e cool di Stefano Guerrini
La moda non ha doti di preveggenza. Quando si tratta di scandagliare i possibili cambiamenti a cui andremo incontro, da tanti punti di vista, non solo di stile, essa viene in aiuto. Da linguaggio immediato, attento e capace di accogliere altri tipi di linguaggi, la creatività legata all’abito è sicuramente una precisa cartina tornasole di quei piccoli passi che la società compie. Per questo quando si è iniziato a parlare di salvaguardia del pianeta e di spreco, la moda è stata subito capace di dare voce a esigenze nuove, anche andando in qualche modo contro se stessa. Perché per definizione sarebbe volubile e molto predisposta all’accumulo e all’eccesso. Da più parti sono emerse personalità incisive che hanno deciso di lavorare sulla riedizione, il riuso, l’utilizzo di materiali che in alternativa sarebbero stati destinati a un pericoloso e poco ecologico accumulo.
Uno dei primi nel nostro Paese a farsi portavoce di quello che oggi viene chiamato upcycling, Simone Botte ha sempre lavorato con in mente gli insegnamenti del nonno: lui gli diceva di non buttare mai via niente, perché sarebbe tornata utile in un’altra forma. E nel nome del brand, in cui Botte è affiancato oggi da Filippo Leone Maria Biraghi, c’è una chiara dichiarazione di intenti. Simon Cracker nasce da “crack”, parola onomatopeica che corrisponde a qualcosa che si rompe e al quale bisogna dare una nuova vita. Il recupero del passato è visto però senza nostalgia, ma anzi con uno spirito ribelle e una filosofia punk, che porta i capi del brand a essere manifesto di un possibile futuro più inclusivo, meno standardizzato, in cui far prevalere sentimenti reali. Il risultato finale è una strepitosa estetica a cavallo fra i Sex Pistols e Holly Hobbie.
Molto sofisticato il lavoro di Lessico Familiare. L’esperimento di Riccardo Scaburri, fondatore e direttore creativo del brand, è nato come collettivo di creativi, composto oggi anche da Alice Curti e Alberto Petillo, con un nome che, ispirato dal capolavoro di Natalia Ginzburg, è un inno a quei sentimenti che sembrano quasi dimenticati nel frastuono del nostro presente. Quell’eleganza fatta di piccoli gesti, intimi e semplici, la tenerezza di dettagli vezzosi. E anche qui si scopre un animo ribelle, dove ironia e femminilità s’incontrano, dove il passato non è visto in maniera malinconica, ma è al servizio del presente, dove le regole sono pronte per essere trasgredite. Con la stessa filosofia nasce il progetto “Who cares about after?”, collezione realizzata unicamente con abiti di Franca Sozzani e presentata proprio nella fondazione a suo nome. Un omaggio a una figura importante, ma anche un preciso memento di quello che sarà dei nostri abiti, dopo di noi. Upcycling è quindi anche sinonimo di moda in edizione limitata. Lo sa bene Giovanni Oriani, che dalla sua sede in un paese poco fuori Milano, Cernusco sul Naviglio, lavora utilizzando solo tessuti overstock, vintage selezionato con cura e rimanenze del lusso, affrontando un modello di business “Made to order”. Pezzi “One of a kind”, come il “Reworked 2 in 1 Coat Dress”, nato come progetto universitario e come rimando all’estetica di Martin Margiela. Diventato punto di partenza per la progettazione del designer e dimostrazione di come lavorare su pezzi preesistenti possa aprirsi a infinite possibilità di rielaborazione e impreziosimento. Un’estetica a metà strada fra il brit-pop e l’etnico, quella di un marchio di accessori che nasce dall’utilizzo di cimose upcycled dello storico Lanificio Paoletti di Follina (Tv). Nella mente creativa di Francesca Paolin le fettucce di filati derivanti dalla produzione del tessuto, invece di essere gettate, possono diventare elementi decorativi per accessori, la cui creazione parte sempre dall’artigianato. Nel brand Paolin il ricamo veneziano fatto a mano e la tessitura tradizionale dell’America Latina si trasformano in borse dai colori vivaci, con dettagli sfrangiati e rimandi molto tropical. Fondato da Fabrizio Urettini, Talking Hands è un atelier di abiti, workshop, ma soprattutto un progetto d’imprenditoria sostenibile. Nato a Treviso per rispondere con concretezza alle esigenze, anche e soprattutto lavorative, dei migranti, ora il progetto si è esteso e prevede anche volontari, stagisti e professionisti. Responsabile dell’atelier moda è Tresor Tabora, originario della Repubblica Democratica del Congo, dove da giovanissimo ha iniziato a fare il sarto. I capi? Mediante l’antica arte del quilting, cotoni stampati Wax incontrano materiali che sono esuberi di produzione, campionature, rimanenze di magazzino, “fazzoletti” di tessuto che potremmo definire di scarto, provenienti sempre dal Lanificio Paoletti. Creatività diverse dal mondo s’incontrano dando vita a nuovi linguaggi. In divenire, come solo la moda sa fare.
Fil Rouge Etico
Può la moda fare del bene? Le storie responsabili di Ara Lumiere, Endelea e Sake affermano di sì di Valeria Oneto
Brand o meglio progetti di moda, capaci di un reale cambiamento positivo nel mondo, che combinano la realizzazione di capi e accessori con la responsabilità, garantendo un riscatto per le categorie più fragili. E che creano connessioni tra culture e persone, solo apparentemente lontane, con un grande impatto sociale.
Hanno il volto sfigurato dall’acido, le donne che lavorano al fianco di Kulsum Shadab Wahab, fondatrice di Ara Lumiere . Una violenza subita sul corpo e nell’anima, che ha lasciato cicatrici indelebili sulla loro pelle e soprattutto nel loro cuore. Ma nonostante tutto i loro occhi parlano di bellezza, hanno voglia di riscatto, di coraggio, di resilienza. Kulsum Shadab Wahab, oltre a essere founder di uno dei più interessanti marchi di moda artigianali e sostenibili, è anche una filantropa. Nonché promotrice del progetto Hothur Foundation, che si occupa di sostenere e difendere le donne che sono state vittime di violenza. Modificare la percezione della moda tradizionale, coinvolgendo persone di talento che sono soprattutto fonte di ispirazione.
“Ara Lumiere nasce proprio dai laboratori condotti dalla Hothur Foundation destinati alle sopravvissute alla violenza, che si concentrano principalmente sull’arte e sull’artigianato, utilizzati come mezzo di terapia”, queste le parole dell’imprenditrice e stilista indiana. Una donna che lavora con le donne per le altre donne, e che è riuscita a realizzare un sogno: un’opportunità di riscatto, attraverso una piattaforma che permette di mostrare il proprio talento. Il brand incarna il superamento della guarigione e della trasformazione. Sostenerlo significa supportare queste donne, donandogli indipendenza e speranza, visto che il ricavato viene utilizzato per la loro riabilitazione. La FW 24, Memoirs of Tomorrow, 100% made in India, fa un ulteriore passo in avanti verso la responsabilità: i materiali sono ancora più ecologici e i processi di produzione etici. La collezione presenta una serie di pezzi creati attraverso tessuti organici, un’autentica fusione tra arte e città. Stampe audaci e accattivanti, emblema della forza e del coraggio delle vittime. Ma anche citazioni ricamate a mano: messaggi di speranza e resilienza. Ogni capo è realizzato con cura per trasmettere una rappresentazione unica e significativa dei sopravvissuti, che sono anda- ti avanti nel loro viaggio, fornendo un impatto positivo sull’ambiente e di impegno nell’empowerment. Endelea , brand di moda etica, nato a Milano nel 2018, crea collezioni, di abiti e accessori, in tessuti africani dal design made in Italy. Il nome Endelea in lingua Swahili significa “andare avanti senza arrendersi alle difficoltà”, e racconta la sua filosofia, con un approccio che mette al centro le persone. Le collezioni, disegnate a Milano, sono poi fatte a mano, a Dar es Salaam, in Tanzania. L’obiettivo di Endelea è duplice: contribuire allo sviluppo di un’industria della moda in Tanzania, ad oggi quasi del tutto assente. Gli acquisti di tessuti sono fatti in loco, così come la quasi totalità della produzione, trasparente ed etica. Mentre parte dei ricavi è investita nella realizzazione di workshop e nella collaborazione con scuole e università tanzaniane. Il secondo obiettivo del marchio è creare un dialogo tra Europa e Africa, facendo conoscere l’autentica cultura tessile africana e proponendosi come brand inclusivo. Endelea è una società benefit dal 2020, un’impresa che lavora per avere un impatto positivo sulle persone e sull’ambiente. Il team è composto all’85% da donne, con un gender pay gap, ovvero la differenza di retribuzione tra uomini e donne, pari a zero. La retribuzione di sarti e sarte in Tanzania è del 96% più alta della media. Tutti godono di assicurazione sanitaria per sé e per le proprie famiglie.
“La collezione FW 24 unisce le diverse anime di Endelea, dal wax al tessuto Maasai, celebrando i capi diventati iconici e introducendo nuovi modelli, sempre più bold. Soggetti e colori, decisi e vibranti, richiamano sia il mondo naturale e sia quello tecnologico” queste le parole di Francesca De Gottardo, co-founder e ceo del brand. “E per la prima volta sarà raccontata, attraverso un QR Code realizzato con Renoon, la piena trasparenza della nostra filiera, scoprendo cosa c’è dietro ogni capo”, conclude Francesca.
“ Siamo parte del mondo naturale, non al di sopra o separati da esso ”, queste le parole di Ana Tafur, designer e founder di Sake , di origini colombiane, ma che attualmente risiede a Lima, in Perù. Sake è un brand di moda e accessori di eco-lusso, basato sulle biotecnologie ancestrali, che preserva le tecniche primordiali e utilizza processi sostenibili, riciclati o provenienti dal commercio equo e solidale. Sempre rispettosi del ritmo della natura. La Tafur, dopo aver studiato a Madrid, ha lavorato nella produzione di moda a
Shanghai. Trasferitasi in Perù per raggiungere i genitori, ha imparato a conoscere meglio le materie prime artigianali e le tecniche tessili. Nelle sue collezioni i saperi ancestrali delle comunità indigene vengono integrati eticamente nelle lavorazioni dei capi. Per la designer infatti bello deve essere anche buono. I capi in pelle vegetale marrone cioccolato provengono, ad esempio, dall’albero della Shiringa o gomma naturale, che cresce in abbondanza nella foresta amazzonica. Le comunità indigene della foresta pluviale, grazie a varie generazioni di pratica, sono ormai esperte nell’estrazione sostenibile della linfa liquida dell’albero, in armonia con i suoi cicli stagionali e vitali. O ancora sono capaci di lavorazioni biotecnologiche su alpaca, cotone, tinture vegetali e bio-tessili. La collezione Micelio, per la FW 24 è una vetrina di abbigliamento e accessori sostenibili composti da fibre di alpaca, cotoni organici, tinture naturali, pelli conciate al vegetale e biotessili in gomma selvatica Shiringa, che incoraggiano ad approfondire le connessioni all’interno di noi stessi e invitano alla riflessione interpersonale senza paura.