INSEGUENDO LE LUCI DEL NORD S T E F A N O
C H I O R R I
INSEGUENDO LE LUCI DEL NORD
STEFANO
CHIORRI
FIRST CONTACT PRIMO CONTATTO
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a Scozia è sempre stato un amore non corrisposto, un incontro che per mille motivi è sempre stato rimandato. Non c’è mai stato un motivo chiaro, semplicemente ci siamo sempre guardati a distanza come due amanti segreti che non hanno mai avuto il coraggio di incontrarsi. E’ come se ci fossimo sfiorati più volte, per poi proseguire ognuno per la propria strada. Ci è voluto l’intervento di una donna affinchè, quell’amante tenuta sempre lontana, non restasse una splendida incompiuta. Venne così anche il tempo della Scozia. Un viaggio mai organizzato o forse semplicemente giunto al momento giusto, quando la ormai sopravvenuta maturità consente di apprezzare sfumature che la spensierata superficialità dei ventanni ti fa scivolare via senza colpo ferire, anche se questa è, forse, solo una giustificazione ad una mancanza rimasta per troppo tempo senza una vera spiegazione. Il duemilaquattordici sarà quindi l’anno della Scozia, l’antica terra degli Scoti e dei Pitti, fieri ed indomiti popoli che non si sottomisero mai agli invasori, neanchè a quei Romani che giunti fin alle porte della loro terra furono costretti ad costruire un muro per tenerne a freno le sfrontate scorribande. Una terra dura ed aspra, dal carattere ribelle che ha forgiato genti orgogliose che, anche oggi, a duemila anni di distanza, ancora mostrano una malcelata insofferenza verso quella corona inglese da sempre considerata, nel migliore dei casi, come un ospite indesiderato oppure, un nemico da scacciare oltre i borders, quando spirano venti di tempesta. Partiamo da Bologna con destinazione Edimburgo e memori delle bagnate giornate Irlandesi, culliamo la speranza che il meteo non ci sia troppo avverso. Purtroppo atterriamo sotto un cielo grigio piombo che ci regala un benvenuto decisamente poco rassicurante. Dopo aver atteso il ritiro delle valigie, usciamo dall’aereoporto e cerchiamo di raggiungere l’ufficio del noleggio auto con le prime gocce di pioggia che già iniziano ad inseguirci. Sembra di vivere il copione di un film già visto, un deja vu. Preso possesso della macchina puntiamo verso nord, attraversando il ponte sul Firth of Fourth con le sue caratteristiche campate in metallo. La guida a destra dopo qualche chilometro non più un problema ma per evitare la congestionata superstrada preferiamo immetterci sulla strada che costeggia il Fourth fino a giungere a Culross, uno dei villaggi più caratteristici di Scozia, come suggerito
dalla guida. Le prime impressioni, però, sono decisamente poco esaltanti e confermano come, a volte, i suggerimenti delle guide siano da prendere con le dovute cautele. Con la pioggia che cade e un panorama industriale che lascia perplessi, ci rimettiamo in marcia per raggiungere la prossima tappa: Stirling, naturalmente sempre sotto la pioggia che, nel pomeriggio, diventa torrenziale. Stirlng non è distante, solamente qualche chilometro più in là. La città è dominata dal castello che, aggrappato su uno possente sperone di roccia, da secoli sorveglia quello che fu il campo di battaglia dell’epico scontro tra le truppe scozzesi di William Wallace e quelle inglesi di Re Edoardo. Purtroppo arriviamo al castello mentre i custodi hanno appena iniziato a serrare i battenti e solo allora ci rendiamo conto che il fuso orario ci ha tradito. Puniti dalla puntualità, umiliati nell’orgoglio e bagnati fino al midollo facciamo mestamente ritorno alla macchina. Intuiamo che non è il giorno giusto per insistere oltre ed è, probabilmente, più saggio raggiungere l’hotel sperando che l’indomani possa essere un giorno migliore. Con il castello che svanisce alle nostre spalle tra la pioggia, ci dirgiamo verso Drymen, nel regione del Trossach e del loch Lomond. Finora il benvenuto in Scozia non è stato dei più calorosi e non ci resta che confidare nei prossimi giorni. Con questa speranza arriviamo al nostro primo albergo ancora inseguiti dalla pioggia che sferza le campagne e potenti lampi che illuminano il cielo rischiarando tutta la valle. Trascorriamo così la prima notte, con i tuoni e il rumore della pioggia battente che accompagnano il nostro sonno fino al mattino. Visto la nottata, non ci svegliamo con molte speranze per la giornata e questa, più che una premonizone, si conferma essere una sentenza. Dopo una colazione abbondante, allietata dal confortante tepore del fuoco che scoppieta nel camino, decidiamo di metterci in viaggio nel tentativo di trovare qualche squarcio di sereno. Purtroppo, con i km, scopriremo di cullare una speranza, purtroppo, vana.
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Attraversiamo la regione del Trossach, seguendo la statale che percorre tutta la linea costiera del lago, sotto una pioggia che, in nessun momento, dà l’impressione di voler cessare. Il cielo plumbeo contribuisce a rendere vane le nostre aspettative e quando entriamo nelle Highlands la situazione sembra anche peggiorare; così decidiamo di percorrere il maggior numero di chilometri verso l’oceano Atlantico, alla ricerca del bel tempo. Con il passare dei chilometri il profilo delle montagne si fà più accidentato e le linee ondulate delle highlands diventano più nervose ed irregolari. E’ la regione del Glencoe e dell’omonima valle, teatro del massacro dei membri del clan Macdonald nel 1692. La pioggia va di male in peggio e quando si apre qualche squarcio nelle nuvole basse riusciamo ad intravvedere la neve che an-
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cora ammanta le montagne circostanti. Fermarsi non è possibile. Pioggia e vento sono contrari e così proseguiamo per la ripida discesa che ci porta fino al loch Leven prima, e al loch Linnhe poi. Si chiama loch ma le acque sono quelle dell’Atlantico, di quel mare che si insinua nella terre alte come la lama di un coltello. Seguiamo la strada che piega verso sud e ci appare alla vista il profilo solitario di Stalker Castle. La fortezza sembra galleggiare aggrappata tenacemente ad uno scoglio solitario nel mezzo del loch. Con la pioggia che ci concede una breve tregua riusciamo finalmente a scattare anche qualche foto ma è solo una breve pausa, pochi minuti dopo, la pioggia riprende a cadere con rinnovato vigore. Sempre più decisi raggiungiamo Oban e il suo porto, dove abbiamo deciso di passare la
notte, in attesa del nostro primo imbarco verso le Ebridi, verso l’isola di Mull. Spendiamo giusto il tempo di sistemare i bagagli in hotel eppoi via ad esplorare il circondario. Così raggiungiamo l’isola di Seil, a sud di Oban, la prima isola collegata alla scozia da un ponte, il Clachan bridge. Il ponte sopra l’Atlantico che dal 1792 collega l’isola al resto della regione dell’Argyll facendo, di fatto, decadere Leis dallo status di isola. Percorriamo la b844 fin dove termina, contro un molo e da dove parte la piccola imbarcazione che porta sull’isola di Easdale. L’isola è minuscola ma densamente abitata da una comunità di una sessantina di persone, fiere ed orgogliose delle proprie tradizioni. Per raggiungerla si deve chiamare la barca ormeggiata sull’altra sponde dello stretto canale, di giorno con la sirena mentre di
notte con una luce lampeggiante. Al segnale qualcuno sale a bordo, accende il motore e attraversa lo stretto braccio di mare, un modo efficiente ed autarchico di gestire i trasporti pubblici. Quando il pomeriggio volge al termine è ora di tornare verso Oban per cercare qualcosa da mangiare. Nonostante i chilometri percorsi siano stati fatti in macchina, infatti, l’appetito si fa sentire. Una volta tornati in città ci fiondiamo diretti al tavolo di un locale proprio di fronte al porto dove assaggiamo il nostro primo fish and chips. La fame deve essere stata veramente tanta dal momento che ci avventiamo sul cibo, nonostante fosse appena uscito dall’olio bollente, e lo mangiamo in pochissimi minuti. Evidentemente la Sco-
zia ci mette un discreto appetito e probabilmente Oban ci porta fortuna e dopo il nostro fugace pasto usciamo dal locale con le nuvole che, evidemente, mosse da pietà decidono di concederci alcuni istanti di tregua e ci regalano un tramonto dalle tonalità sgargianti. L’ultimo sole, facendo capolino da uno squarcio nelle nubi sopra l’orizzonte, tinge le nubi di rosa e ci permette di fare qualche passo alla scoperta della città. Dopo le piogge insistenti finalmente questo tramonto ci mette di buonumore e ci rincuora sul meteo dei prossimi giorni. Decidiamo di raggiungere la torre di McCaig, che domina la baia di Oban, da dove forse riusciremo a scattare qualche foto interessante, approfittando di questo breve attimo di tregua.
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THE SURPRISING LUNGA LA SORPRENDENTE LUNGA
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icordando il beneaugurante tramonto della sera precedente, ci svegliamo con la speranza di condizioni meteo favorevoli ma ad attenderci troviamo, però, un cielo grigio come il cemento anche se non piove, almeno non ancora. Basse nubi incombono su Oban, mentre le attività nel porto già si susseguono in maniera febbrile e alcuni traghetti sono pronti a prendere il largo verso le isole Ebridi. Indugiare non serve e così, anche noi, ci prepariamo per l’imbarco alla volta di Mull, la più grande delle isole interne. Una volta a bordo, in pochi minuti usciamo il porto e ci allontaniamo dalla terraferma per scivolare nelle acque del sound of Mull. In lontananza si staglia la sagoma elegante del faro dell’isola di Lismore che, da oltre un secolo, sorveglia questo tratto di mare. Arriviamo in vista del Duart Castle la cui tozza sagoma preannuncia la fine del nostro breve viaggio. Sbarchiamo a Craignure e velocemente ci apprestiamo ad attraversare l’isola alla volta dell’imbarcadero per Ulva da dove partiremo per raggiungere l’arcipelago delle isole Treshnish. Nonostante la strada sia libera e la marcia proceda velocemente quando giungiamo a Salen svoltiamo e il nastro di asfalto si fà più stretto ed incerto. Siamo così siamo costretti a rallentare mentre le lancette dell’orologio continuano inesorabilmente ad avanzare. Percorriamo la nostra prima strada single track. Le numerose piazzole che si susseguono permettono il transito a chi procede in direzione opposta e fortunatamente il traffico dell’isola, quasi inesistente, ci consente di non perdere troppo tempo. L’indicazione Ulva Ferrie ci avvisa che siamo arrivati in perfetto orario, anzi, qualche minuto di anticipo e questo ci permette di rilassarci prima dell’imbarco. Una piccola imbarcazione in legno avanza nello stretto braccio di mare che separa Mull da Ulva ed attracca al molo. Sono nato in montagna e per questo non mi sono mai ritenuto un lupo di mare e la vista
di una imbarcazione così piccola mi trasmette qualche piccola preoccupazione. Ad accoglierci a bordo un equipaggio di due uomini, due soli, capitano e mozzo, una gerarchia chiara ed essenziale. Abbiamo giusto il tempo di sistemarci a bordo e salpiamo, sfilando gli scogli che affiorano dalle acque tranquille del Loch Tuath. Riusciamo a vedere alcune foche che cercano scaldarsi sul basalto appena affiorante dal mare ma in breve siamo in mare aperto. L’acqua inizia ad incresparsi appena usciamo dallo scudo protettivo dell’isola di Ulva, lunghe onde si susseguono e fanno sollevare la nostra imbarcazione. Essere in pieno oceano su una simile imbarcazione non mi rende tranquillo ma tengo per me questi dubbi anche perchè i ragazzi dell’equipaggio sembrano sapere il fatto loro. Alle nostre spalle, le scure scogliere di Mull, si allontano mentre dal mare emerge e si fà sempre più nitida la sagoma, sottile e piatta, dell’isola di Lunga. Da montanaro non posso negare il fascino che il mare riesce ad esercitare sull’animo umano e presto mi perdo ad osservare quell’immensa distesa d’acqua alla ricerca di qualche sbuffo di balena. Chiediamo al capitano se potrà essere possibile avvistare qualche megattera ma ci dice che, quest’anno, ancora non nè ha avvistate. La risposta ci delude un pò anche se era quella che ci aspettavamo ma, segretamente, cullavamo la speranza di poter fare un incontro, tanto inaspettato, quanto emozionante. Incassata la piccola delusione non facciamo fatica a riprenderci man mano che ci avviciniamo all’isola. In lontananza un’aquila di Mull volteggia, poi si lancia fino a sfiorare i flutti per poi tornare ad essere un punto nel cielo, mentre sugli scogli appena di fronte all’isola numerose foche sembrano volerci dare il benvenuto. Qualcuna si tuffa e curiosamente si fà incontro alla nostra imbarcazione prima di sparire tra le acque scure e fredde. Non c’è da lamentarsi, l’inizio sembra
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promettente. La rocce affioranti non permettono all’imbarcazione di avvicinarsi alla costa, così sbarchiamo grazie all’uso di un instabile pontile galleggiante. Mettere i piedi sulla solida roccia è molto rassicurante. Senza indugiare ci incamminiamo per raggiungere la scogliera seg-
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uendo l’unico sentiero. Il terreno bagnato rende la salita difficoltosa ma giunti in cima ci troviamo di fronte ad uno spettacolo emozionante. Numerosi Puffins, i pulcinella di mare, si aggirano, apparentemente goffi, sull’erba morbida che ricopre la somminatà della scogliera. Molti sono
indaffarati nella costruzione dei nidi che serviranno ad accogliere le femmine e i pulcini, dopo la schiusa delle uova, che avviene solitamente in luglio. I puffins sono uccelli molto amichevoli e si lasciano avvicinare ma sono comunque animali selvatici e non appena osiamo troppo, volano
via. Siamo entusiasti, ci sono centinaia di pulcinella intenti a scavare i loro nidi nel terreno soffice, rifinendoli con erba e rametti che si procurano nelle vicinanze del nido. Superato il primo impatto proseguiamo per il sentiero che tortuosamente segue il profilo irregolare dell’isola.
Migliaia di uccelli nidificano ovunque; Marangoni dal ciuffo, Procellarie, Gazze marine ed Urie occupano ogni piccolo anfratto tra le rocce. Raggiungiamo la sommita dove il sentiero svolta e all’improvviso lo schiamazzo di migliaia di gazze riempie l’aria sovrastando anche il fragore
delle onde del mare. Un baratro precipita oltre la scogliera separando un scoglio dall’isola e fornendo, agli uccelli che vi nidificano, un riparo sicuro. Sfruttando le correnti centinaia di uccelli si lanciano dalle rocce e si perdono al largo tra le onde. Un’emozione continua che ci affascina.
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STAFFA, A STONE SYNPHONY STAFFA, UNA SINFONIA DI PIETRA
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urtroppo il tempo sull’isola di Lunga scorre via veloceprezzare l’abilità del nostro equipaggio che, combattendo mente. Due ore in questo angolo di paradiso sono veracontro un mare decisamente avverso, riesce a far approdare mente troppo poche per non avere rimpianti ancora prima la piccola imbarcazione senza nessun danno. Dopo la pidi ripartire. Ci rimane giusto il tempo di fare una breve acevole accoglienza di Lunga, l’approdo su Staffa sembra arrampicata per raggiungere la cima di una delle colline che proiettare il visitatore in una realtà aliena. Se da lontano le sovrasta l’intera isola e presto giunge il momento di tornare colonne di basalto possono impressionare per la loro regoalla barca per proseguire con l’escursione. La prossima taplare maestosità, camminarci sopra restituisce la sensazione pa è l’isola di Staffa. Riprendiamo il mare che ha già iniziato di approdo su un mondo selvaggio. I segni dell’eterna lotta a spirare un freddo vento occidentale che increspa le onde e tra il mare e la pietra sono ovunque. La presenza delle alghe solleva la piccola imbarcazione. Sotto il cielo grigio il mare rende difficoltoso camminare al di fuori dalla stretta traccia assume un colore grigioblu che incute ancora più timore. delimitata da alcune colonne che, come in un gigantesco Ad oriente, appena sopra l’orizzonte si intravede la bassa mosaico di tessere, si stende alla base della scogliera. Per e scura sagoma di Staffa. Avere l’impressione di essere in raggiungere la grotta bisogna seguire il cavo d’acciaio che balia delle onde in mare aperto non è molto incoraggiante conduce fino all’ingresso e permette di tenersi ed avanzare e ci rassicura solamente il fatto che l’isola non è molto discon un minimo di sicurezza. Bisogna comunque fare attante. Arrivando da occidente, circunavighiamo l’isola per tenzione perchè quella che, in condizioni di tempo favorraggiungere il punto d’approdo. Il passaggio evole, è poco più di una passeggiata, rischia davanti alla costa ci permette di avere un’idea Roccia sotto asse- invece di trasformarsi in un percorso molto migliore della geologia di questo luogo sospe più impegnativo. Il mare infatti fà la voce so tra i flutti del mare e che sembra formato dio, questa è Staffa, grossa e alte onde si frangono sugli scogli arda mille canne d’organo. Staffa, come Ulva rivando fin sullo stretto sentiero che stiamo una sinfonia di e, più a sud la costa di Antrim in Irlanda del percorrendo. Schizzi e spruzzi d’acqua salata Nord, è il risultato di antiche e potenti eruzi- pietra immersa nella arrivano da tutte le parti rendendo le rocce oni vulcaniche che frantumarono la crosta terancor più scivolose. Più avanti il mare si è reste e spaccarono il supercontinete Pangea. cacofonia del mare. aperto una breccia fin nel cuore dell’isola, Le lave basaltiche raffreddandosi assunsero come un’ariete che cerca di espugnare l’isola la caratteristica forma esagonale che fece fiorire mille leginfilandosi nelle sue viscere, è la Fingal’s Cave. Una delle gende e tanto impressionò anche personaggi del calibro di meraviglie naturali di Scozia. Qui l’antico basalto ha alzato Mendelsonn quando fecero tappa in queste fredde acque bandiera bianca, ha ceduto all’irruenza di una mare che non scozzesi. L’isola è un antico baluardo che resiste solitario fa sconti. A differenza di quanto si è visto dalla barca la alla furia delle onde che lo assaltano da tutte le direzioni. grotta è molto più angusta ed è difficoltoso accedere quanRoccia sotto assedio, questa è Staffa, una sinfonia di pietra do c’è molta gente. Gli spazi sono ridotti e tutto è immimmersa nella cacofonia del mare. Grandi onde e spuzzi erso in una fine nebbia salmastra provocata dalla continua di spuma salata si infrangono sugli scogli, aggredendo alla risacca che ossessivamente erode il basalto in profondità. base le possenti colonne di basalto. Venticinque metri sopra La grotta venne intitolata a Fingal, antico eroe delle saghe il mare, aggrappato alla sommita dell’antica lava, un sottile scozzesi che difese le isole Ebridi, nel terzo secolo dalle scorstrato d’erba resiste alla forza dei venti che in ogni stagione rerie dei Vichinghi anche se in realtà non si sà se abbia mai sferza queste coste. L’andamento regolare dei pinnacoli di visitato l’isola di Staffa. L’unicità della Fingal’s Cave conbasalto viene interrotto dalla Fingal’s Cave, la grotta che ha siste nell’essere la sola al mondo composta interamente da reso famosa l’isola ed attrae visitatori da tutto il mondo. Il basalto colonnare. Al cospetto della grotta possiamo ammolo non è molto distante e la barca avvicinandosi sembra mirare la particolare conformazione geologica dell’isola essere in balia dei flutti. In questi frangenti possiamo apdovuta al lento raffreddamento delle antiche colate laviche
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che fratturandosi secondo regolari schemi cristallini ha dato origine alle curiose formazioni esagonali e, in qualche caso, anche pentagonali. Come in una gigantesca cattedrale gotica, le possenti colonne sfidano la gravità e nel punto massimo le scogliere, che circondano interamente l’isola, raggiungono un’altezza di circa trenta metri. L’attesa per entrare si protrae oltremodo, tutti vogliono portare a casa una foto come ricordo di questo posto unico ma il tempo è tiranno e per noi è prevista una sosta di un’ora soltanto, non tantissimo per poter visitare anche il resto dell’isola. Qualche altro attimo e finalmente siamo dentro. All’interno il fragore del mare è assordante e sovrasta ogni cosa, lasciandoci intuire quali siano le forze in gioco. La roccia combatte e resiste in quella che è una lotta impari da cui non potrà mai uscire vincitrice. In un computo di ere geologiche l’isola ha i giorni contati. Staffa è una meraviglia a scadenza, purtroppo. Scattiamo le foto che riempiranno il nostro album dei ricordi e visto che del tempo ne rimane decidiamo di raggiungere il piccolo pianoro che sovrasta tutta l’isola. Una stretta e ripida scala in cemento ci conduce rapidamente sui prati che si affacciano sulla sommità delle scogliere. Il freddo vento spazza l’erba che ondeggia seguendo il ritmo del mare come un unico grande respiro, morbide colline si inseguono fino a precipitare in mare. Dall’alto la vista spazia fino all’orizzonte. Lunga ad occidente ed oltre, Coll e Tiree, a difendere questo tratto di mare dalla fredda irruenza dell’Atlantico settentrionale. Ad oriente, i possenti bastioni di Mull separano il mare delle Ebridi dalla terraferma scozzese, mentre il Ben More vigila nascosto sotto un manto di nuvole grigie. Più a sud c’è Iona, l’isola santa, nascosta a tratti dall’umidità che risale dal mare. Il cielo è coperto da una noiosa coltre di nubi che lascia cadere piccole e fredde gocce di pioggia che ci accompagnano fin dalla mattina. Tutto nella normalità, un clima che non ci ha fatto desistere dal compiere questa splendida escursione, in confronto alle avverse condizioni meteoreologiche dei giorni precedenti, la giornata è stata ottima. Purtroppo dobbiamo fare in fretta, il tempo è tiranno e non ci consente troppe deviazioni. Attraversiamo il piccolo altopiano fino a raggiungere la scogliere proprio sopra il punto in cui si apre l’antro della Fingal’s Cave. La sensazione di essere nella parte superiore della grotta riesce a rendermi inquieto, specialmente quando lo sguardo precipita direttamente sulle rocce sottostanti flagellate da un mare che sembra essere perennemente irritato. La vista dal pianoro dell’isola cela le spettacolare immagini delle colonne basaltiche e fa perdere quel senso di maestosità che si può avere osservando le scogliere dal mare, cionostante la breve passeggiata ci riempie di entusiamo e ci fa anche perdere, per un attimo, la cognizione del tempo. Pochi minuti ed è già ora di tornare alla barca. A passi svelti ci muoviamo sul morbido strato d’erba e quando siamo quasi sui gradini che ci riporteranno al molo vediamo uno dei ragazzi della barca che, sbracciandosi, ci fa cenno che il tempo a nostra disposizione è giunto al termine. Scendiamo velocemente i gradini e ci accorgiamo di essere gli ultimi, anche se in verità, non siamo giunti allo scadere dell’ora prevista. Dall’alto osserviamo la barca
“ La roccia combatte e resiste in quella che è una lotta impari da cui non potrà mai uscire vincitrice. In un computo di ere geologiche l’isola ha i giorni contati. Staffa è una meraviglia a scadenza...”
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ondeggiare paurosamente e probabilmente con l’avvicinarsi della sera le condizioni del mare stanno volgendo al peggio. Pochi minuti e siamo a bordo. I motori della barca, velocemente, si mettono in moto facendoci guadagnare il largo. Scattiamo le ultime foto e salutiamo Staffa con le sue curiose formazioni laviche. La prua della nave volge ad est e punta rapida verso il Loch na Keal, lo stretto braccio di mare che divide l’isola di Ulva dalle pendici settrionali del Ben More. Sfioriamo Little Colonsay e circunavighiamo l’isola di Ulva riavvicinandoci al molo di partenza. Scendiamo dall’imbarcazione che è quasi giunta la sera. Inevitabilmente è anche l’ora di fare il bilancio di quella che possiamo definire una giornata memorabile, ricca di immagini ed emozioni che rimarranno impresse nei nostri ricordi. Dopo tanta pioggia e tanti chilometri fatti inseguendo sprazzi di sereno che ci permettessero di iniziare a scoprire questa terra, finalmente possiamo dire di essere arrivati in Scozia. L’isola di Lunga è stata una sorpresa oltre ogni immaginazione, camminare circondati dai puffins ed essere accolti dal canto assordante delle colonie di gazze marine è stata un’esperienza che difficilmente potremo dimenticare. Un vero paradiso per tutti gli amanti della natura e per quelli che hanno intenzione di scoprire un angolo selvaggio di questo paese. Due ore sono state un assaggio veloce di un’isola capace di restituire scorci visti solamente nei documentari ed incontrare animali selvatici, per nulla infastiditi da una presenza umana ancora poco invasiva, trasmette quel’idea di wilderness che altrove si è ormai smarrita da molto tempo. Quello che resta dopo lo sbarco è solo la sensazione di aver visitato un mondo perduto e ci assale quasi la voglia di tornare il giorno successivo. Nonostante il cielo si ammantato da una grigia coltre di nubi, il giorno sembra essere ancora lungo, così ci rimettiamo in macchina per continuare la nostra esplorazione dell’isola di Mull e decidiamo di raggiungere la cittadina di Tobermory.
Decidiamo di percorrere la strada costiera sul versante occidentale dell’isola. La strada, una single track come la maggior parte di quelle sull’isola, si arrampica sui fianchi accidentati delle scogliere formate dagli antichi drappi vulcanici. Mandrie di mucche al pascolo interrompono la nostra marcia e noi, non avendo una particolare fretta, pazientamente, aspettiamo il loro placido transito. Numerose cascate precipitano giù dai fianchi della montagna direttamente in mare. Proseguendo attraversiamo piccoli gruppi di abitazioni rurali che sulla carta geografica sono indicati come piccoli paesi ma in raltà sono ancora più minuti di quanto si possa immaginare. Ad Achleck svoltiamo e ci dirigiamo nell’entroterra. Dopo poche curve il mare sparisce e ci inoltriamo in una fitta foresta di querce e pini. Il panorama muta radicalmente e la salita ci porta in alto quasi a raggiungere le basse nubi ma ben presto, immersi in un fitto bosco di conifere, iniziamo la discesa verso Dervaig. La strada raggiunge la baia dove le barche in secca nel loch Chumhainn sembrano adagiate un pò ovunque in maniera disordinata. Passando un piccolo ponte in pietra posto sotto un campanile dalla strana forma cilindrica facciamo altre poche centinaia di metri ed il paese è già un ricordo. Torniamo a percorrere degli stretti tornanti che si arrampicano sulle colline spingendoci verso oriente. La strada è solo una sottile striscia di asfalto che si inoltra nella brughiera dell’isola e la velocità non può essere troppo elevata. Il traffico seppur scarso, non è completamente assente e di tanto in tanto ci dobbiamo fermare in una delle numerose piazzole per permettere il transito degli altri veicoli nella direzione opposta. Viaggiamo con tranquillità e non che sia sempre detto che questo sia un male. Raggiungiamo Tobermory sul fare della sera. Il porto è deserto e in un certo senso persino malinconico, con tutte le barche adagiate sul fondo del porticciolo. Nonostante una continua pioggerella sottile continui a cadere
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incessantemente, decidiamo di fare un giro. Il fronte del porto è costituito da decine di costruzioni colorate in maniera vivace che danno un’aria veramente pittoresca al paese. Capiamo perchè sia considerato uno dei porti più belli dell’intera Scozia. Purtroppo, visto il tempo incerto e l’ora tarda, siamo le uniche presenze umane, solo qualche luce fiocca rischiara l’interno di un pub, qualche macchina sfila veloce e silenziosa mentre qualche gabbiano sfiora la superficie del mare per poi sparire in lontananza. La giornata è stata lunga e ricca di soddisfazioni e solo ora, dopo tanto peregrinare, ci rendiamo conto di essere praticamente digiuni dalla mattina. Diamo una rapida occhiata in giro ma non è che sia molto per soddisfare il nostro appetito. Colori vivaci a parte, tutto il porto, sembra essere un grande diorama del tempo che fu, una
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realtà marinara di inizio novecento ormai a solo uso e consumo dei, probabilmente molti, turisti che, durante la stagione estiva affollano il molo. Numerose nasse per la pesca delle aragoste giacciono ammassate vicino a matasse consunte di grosse cime che danno l’impressione di essere inutilizzate da tempo. Quando la luce del giorno inizia a farsi ancora più debole scorgiamo deboli riflessi sulle placide acque del porticciolo che ci indicano tracce di attività umana. Avvicinandoci scopriamo un chiosco di fish&chips, una visione insperata, in questo luogo deserto. Non ci resta che leggere il menù e scegliere. Gente cordiale, posto semplice, servizio spartano e prezzo onesto, cosa chiedere di più? Finalmente anche il nostro appetito trova la giusta gratificazione con un gustoso e croccante filetto di pesce e patate,
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naturalmente tutto fritto. Una goduria per il palato, un pò meno per la linea ma, dopo una giornata così esaltante, non è il caso di andare troppo per il sottile. La fine della cena porta via anche quello che restava della debole luce del giorno scozzese, la stanchezza comincia a farsi sentire ma non abbiamo ancora intenzione di deporre le armi e siamo ben decisi a continuare l’esplorazione. Riprendiamo la strada che conduce a Dervaig per raggiungere il capo a nord dell’isola. Viaggiamo di notte, ormai anche la poca luce della sera è scomparsa. Imbocchiamo una stretta strada laterale immersa tra i boschi e finiamo per incontrare moltissimi cervi che con il calare delle tenebre approfittano del buio per brucare l’erba verde che cresce lungo la strada. Naturalmente il nostro inaspettato arrivo provoca il panico tra gli animali che, in maniera disordinata, cercano di riguadagnare il fitto del bosco. Qualcuno ci riesce immediatamente, qualche altro solo dopo aver assaggiato le punte acuminate del filo spinato che delimita, per intero, tutta la carreggiata. Dispiaciuti, per aver provocato tanto panico in questi splendidi animali, procediamo lentamente cercando di far percepire, con anticipo, la nostra presenza. Purtroppo la nostra marcia non procede ancora per molto, Calach point è in una tenuta privata ed un cancello ci sbarra il cammino. Delusi facciamo inversione e decidiamo che per questa giornata abbiamo visto abbastanza e soddisfatti decidiamo di raggiungere il piccolo alloggio che abbiamo prenotato tra Salen e Tobermory. Complice la stanchezza e qualche linea di febbre non trascorriamo una notte tranquilla ma al mattino almeno ci svegliamo accarezzati da sottili lame di luce che illuminano il sound of Mull, segno che, finalmente, il tempo sembra voler volgere al bello. Un fatto poco noto a molti dei viaggiatori che si spingono fino a queste lande è che l’isola di Mull è la più piovosa delle isole Ebridi, più di Skye a nord, che però sembra godere di una fama più funesta in fatto di condizioni meteo. Facciamo una ricca colazione, non abbiamo tempo da perdere, dobbiamo spingerci fino a Fionnhport, il lembo più occidentale dell’isola, attraversando il Ross of Mull.
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IONA, THE HOLY ISLAND IONA, L’ISOLA SANTA
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a Salen, quando si raggiunge il Loch of Keal, ci sono solo due possibilità, o si svolta verso nord andando verso Dervaig, oppure verso sud per raggiungere Fionnphort, percorrendo la stretta strada che sfida le impressionanti pendici del Ben More. La montagna incombe dall’alto dei suoi mille metri e precipita direttamente in mare. Viaggiando su questa strada, ci dicono, che se si è particolarmente fortunati, si potrebbe avere la possibilità di avvistare una delle aquile di mare che anni fà raggiunse Mull dall’isola di Rhum e qui, trovando un ambiente favorevole, si stabilì per nidificare. Guardiamo per un pò verso il cielo ma non abbiamo molta fortuna, mentre altri, appostati lungo la strada, restano in fiduciosa attesa di un insperato avvistamento. Più avanti, appena ci liberiamo della presenza opprimente del Ben More e delle nubi che lo incappucciano, il cielo azzurro prende il sopravvento, regalandoci una splendida giornata di sole. Seguiamo il Ross of Mull che si protende verso occidente in un susseguirsi di prati e pascoli mentre vecchi relitti arenati sorvegliano, silenziosi, il nostro passaggio, fino a quando la strada non raggiunge Fionnphort. Oltre con le quattroruore non si può andare. Oltre il granito rosa si tuffa direttamente nel mare turchese del Sound of Iona. Purtroppo, al nostro arrivo vediamo, in lontananza, il traghetto mollare gli ormeggi e allontanarsi al largo. Presto, però, scopriamo come questo non sia un problema; come un gigantesco metronomo infatti, la nave segna il tempo, facendo incessantemente la spola tra le due isole. Sotto un caldo sole primaverile che esalta i colori in un tripudio cromatico che ci fa dimenticare la cinerea opacità che ci ha accompagnati fin qui, esploriamo i dintorni del porticciolo fin quando il traghetto non fà il suo ritorno. Ci imbarchiamo e in pochi minuti siamo sull’isola. Approdare su Iona è come entrare in una dimesione parallela. Il Baile Mor, il grande villaggio, è anche l’unico dell’isola ed è poco più di una stretta fila di colorati cottages adagiati sulla spiaggia che guarda verso Mull. Qui non ci sono auto, c’è solo un taxi e tutti vanno a piedi o in bici. C’è silenzio e in lontananza si ode solo qualche voce che viene portata via dal fresco zefiro occidentale. Iona è l’isola dove sbarcò San Columba dopo aver lasciato l’Irlanda, e sempre qui, su Iona fondò il monastero da cui, in seguito, parti per l’evangelizzazione dei selvaggi Pitti. Nei secoli successivi, ritenendo il suolo dell’isola sacro, numerosi re celti e vichinghi decisero di farsi seppellire qui accrescendo la fama dell’abbazia e l’isola divenne un luogo di pellegrinaggio noto in tutto il mondo nordico, prima di sprofondare nell’oblio e nell’incuria. Forunatamente, all’inizio del novecento, ci fù una nuova rinascita e dopo un restauro, l’abbazia tornò a nuovi fasti.
La visita al complesso monastico è un passaggio obbligato, compiuto il quale ci dirigiamo verso il nord dell’isola, alla scoperta delle sue spiagge. Seguendo il sentiero attraversiamo verdi prati dove le pecore pascolano placide riscaldandosi al sole. Proprio come speravamo le spiagge settentrionali sono selvaggiamente belle e deserte, con un mare che le accarezza con una risacca gentile. Non amo il mare ma queste acque hanno qualcosa di diverso, di stranamente amichevole, quasi avessero un’onirica forza attrattiva. Seguendo il sentiero raggiungiamo le pendici del Dun I e con una breve salita raggiungiamo la cima da dove è possibile avere una visione panoramica che spazia sull’intera isola. E’ una splendida giornata e sulla cima ci fermiamo a riposare riuscendo anche ad abbronzarci un pò. Ormai la pioggia è dimenticata, come ricordo immemore di un’altra Scozia, di un alto paese. La vista dalla tozza cima del Dun I è a trecentosessanta gradi e proprio osservando così dall’alto che lo sguardo cade sul traghetto che, imperterrito, continua ad oscillare tra le due sponde come un pendolo, quasi a volerci ricordare che il nostro tempo sull’isola è quasi scaduto. E’ ora di tornare su Mull. Ad attenderci troviamo un B&B per trascorrere un’altra notte in Scozia ma non prima di correre a cercare un bel tramonto. Arriviamo a Fidden, con il sole morente che prima di scivolare oltre l’orizzonte va a nascondersi oltre le nubi occidentali, regalandoci colori che sembrano uscire direttamente dalla tavolozza di un pittore impressionista. E’ un bellissimo commiato riservatoci da Mull, l’indomani, infatti, ci aspetta il ritorno sulla “terraferma” scozzese.
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THE FORGOTTEN PENINSULA LA PENISOLA DIMENTICATA
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opo una breve attesa ci imbarchiamo per raggiungere Lochaline, in Morven. La nostra metà è la penisola dell’Ardnamurchan con il suo faro solitario e le spiagge deserte. Costeggiamo loch solitari immersi tra boschi di quercie in cui si perdono strette stradine. Oltrepassiamo Strontian e poi giungiamo a Kilchoan, dove troviamo alloggio in un B&B gestito da due simpatici ragazzi Italiani, probabilmente gli unici di tutta la penisola. Non si arriva in Ardnamurchan per caso, bisogna avere la precisa volonta di spingersi fin qui, dove la strada termina, nel lembo più occidentale di tutta la Scozia, isole escluse. Il tramonto è ancora lontano e dopo aver lasciato le valigie nella bella camera, salutiamo, prima di lanciarci alla scoperta della zona. Ci lasciamo alle spalle lo stretto tratto di mare che ci separa da Mull e, attraverso strette stradine, raggiungiamo Portuairk e Sanna Bay. Alte dune di sabbia proteggono gli sparuti cottages dalla prepotenza del mare alimentata da un vento teso che non smette mai di spirare. Seguendo un piccolo ruscello riusciamo a raggiungere la bella spiaggia di Sanna Bay. Sfruttando la bassa marea ci perdiamo tra scogli e 40 calette che nulla hanno da invidiare a spiagge più blasonate. Effimere impronte ricorderanno il nostro fugace passaggio sulla sabbia ancora umida per il ritiro della marea, restando fragili testimoni del nostro passaggio per le prossime ore, almeno fino a che il mare non tornerà a riprendersi la spiaggia nel suo incessante moto di marea. Il sole basso sull’orizzonte, ci annuncia l’avvicinarsi del tramonto ed è ormai tempo di raggiungere il faro. E’ facile, esplorando le mille insenature e baie di questa parte di Scozia, rischiare di perdere la cognizione del tempo, così seguendo una stretta strada che si incunea tra le rocce e protetta dal mare da un alto muro a secco, si arriva all’ultima curva con la vista che, improvvisamente, si apre sul maestoso faro che segna il “finis terrae” della Gran Bretagna. Difficile essere soli, nonostante la distanza infatti, il faro attira anche altri turisti in cerca di qualche scatto da inserire nel loro album dei ricordi. Una scelta giustificata dal fatto che, qui, il tramonto riesce a regalare dei magnifici colori su tutto un tratto di costa ancora poco antropizzato. Purtroppo non avevamo considerato che, a fine maggio, le giornate, a queste latitudini, sembrano non finire mai e così il tramonto si fà attendere, il sole, infatti, raggiunge l’orizzonte verso le ventidue. C’è così il rischio che, la paziente ricerca di uno scatto da ricordare, si possa trasformare in una snervante lotta contro il freddo che attacca da ogni lato. In questi casi bisogna saper tenere duro cercando di non sfidare troppo la sorte, dal momento che, anche la pazienza ha un limite. Ad un certo punto guardando Martinica capisco che è giunta l’ora di chiudere il cavalletto e godersi gli ultimi raggi di luce prima di tornare al B&B per il meritato riposo.
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“Non si arriva in Ardnamurchan per caso, bisogna avere la precisa volontà di spingersi fin qui, dove la strada termina, nel lembo più occidentale di tutta la Scozia”
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DISCOVERING SKYE
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kye se ne sta adagiata, come una farfalla, nel mare delle Ebridi, legata alla Scozia dal profilo sottile di un ponte che come un moderno arpione in ferro e cemento le ha fatto perdere lo status di isola. Eppure Skye un’isola lo è sempre stata, con i suoi numerosi traghetti che percorrevano le rotte da e per la terraferma. Oggi, però, si può arrivare con un grande balzo da Kyle of Lochlash fino a Kyleakin senza dover scendere dall’auto, percorrendo lo Skye bridge. Oltre il ponte, il fascino dell’isola rimane immutato, con le sue brughiere e le sue nebbie, con il granito e i ricordi lontani di antichi vulcani. Questa è Skye, l’isole delle nebbie, come la conoscevano i vichinghi che qui giunsero nell’alto medioevo. Skye è un mondo a parte, romantico e selvaggio. Una terra di confine protesa verso settentrione, una landa assediata da acque burrascose e dai mille colori, dal nero del basalto al verde delle infinite brughiere in continua lotta con lo sferzante
vento che non smette mai di soffiare dal mare. Una landa di tramonti mozzafiato, di baratri, di cascate e di fari sperduti su remoti scogli aggrediti dal mare. Il fascino e la suggestione primordiale di Skye ci ammalia e ci rapisce ed è un piacere perdersi percorrendo le ampie strade solitarie che, come un sistema nervoso, da Broadford si diramano per tutta l’isola. Arriviamo che è pomeriggio inoltrato e lasciati i bagagli in albergo ci lanciamo per la comoda strada che ci porta alla scoperta della penisola di Sleat, la più meridionale dell’isola. Passiamo Armadale, dove attraccano i traghetti provienienti da Mallaig e poi, scavalcando le colline, ci dirigiamo verso ovest, verso il sole che sta iniziando a scendere verso l’orizzonte. I tramonti dovrebbero essere tutti uguali ma questa regola, qui, non vale. Qui la luce sembra avere sempre qualcosa di diverso, qualcosa di stranamente magico ed ogni volta ci perdiamo ad osservare uno spettacolo sempre nuovo. 46
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Sarà la suggestione di aver raggiunto una metà tanto desiderata oppure la magica trama disegnata dalle nuvole trasportate dai venti o forse è solo il colore della luce, calda ed avvolgente, che ci fà perdere in un lunghissimo tramonto che sembra non voler mai terminare. In lontananza, fosserviamo per la prima volta i Black Cuillin, le frastagliate cime di granito che circondano il loch Corusik. Al largo, in lontananza, le Small Isles emergono dal mare cullate nella luce dorata di questo splendido tramonto. Non c’è dubbio, Skye rapisce i cuori e gli sguardi dei viaggiatori, con la sua cruda bellezza arcana. Scendiamo fino al mare per poi riguadagnare quota e tornare verso Broadford, poi puntiamo verso Elgol per continuare ad ammirare il tramonto. Con il sopraggiungere della sera l’aria si fà frizzante, per via della latitudine che qui comincia ad avere la sua importanza. La strada circunaviga il loch Slaohir sfiorando le pendici di altre montagne, i più morbidi Red Cuillin, poi salendo sulle antiche bancate basaltiche attraversiamo la penisola e con una vertiginosa discesa arriviamo fino al molo di Elgol. Il paese è poco più di un gruppo di case che dal mare si arrampicano sulla collina e volgono lo sguardo verso l’austero profilo di montagne perennemente ammantate da una coltre di nuvole. Il mare è tranquillo al riparo del loch e riflette i mille colori di un cielo che si va travestendo delle mille tonalità del tramonto. Siamo soli, nessuno per le poche strade e nessuno nemmeno al porto dove numerose imbarcazioni si lasciano dondolare dal pigro
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ondeggiare del mare. Il sole intanto, pian piano, è sceso e si è nascosto alla nostra vista, riparandosi dietro le montagne che saranno la nostra metà nell’indomani. Ormai la notte è vicina e decidiamo di tornare a Broadford. Abbiamo avuto una giornata lunga, con la pioggia che ci ha inseguito dall’Ardnamurchan fino a Skye, concedendoci una leggera tregua solamente per il breve passaggio a Fort William e durante la fugace visita al Loch Ness. Sul famoso loch non abbiamo avvistato nessun mostro ma solo tanti turisti, anzi troppi per gli standard scozzesi. Quando scende la notte percorriamo gli ultimi chilometri sotto un cielo stellato e arrivati in albergo il freddo è pungente. A Broadford non trascorriamo una notte riposante, d’altronde non si puiò essere sempre fortunati nella scelta di un albergo. Pazienza, una notte quasi insonne può capitare, anche in Scozia. Il mattino seguente, con il sole che splende, sembra poter essere la giornata ideale per una gita in barca. In programma abbiamo l’escursione che, partendo dal molo di Elgol, ci porterà fino allo sperduto loch
Corusik, il più remoto dell’intera isola. Arriviamo con largo anticipo e quando salpiamo con la Bella Jane, con noi ci sono solo un’altra quindicina di escursionisti. Sembra che, anche oggi, non incontreremo troppa confusione. L’imbarcazione attraversa lo stretto braccio di mare che ci separa dalla sponda opposta e raggiunge alcuni scogli affioranti qualche metro dalle acque. Quello che ci attende è una sorpresa; ci avevano promesso l’avvistamento delle foche ma quello che vediamo va oltre le nostre aspettative. Le foche sono ovunque, distese su un morbido letto di alghe mentre, pigramente, cercano di scaldarsi sotto il primo caldo sole di maggio. Placidamente, ci osservano distratte e non sembrano essere troppo infastidite dal nostro passaggio. Probabilmente saranno abituate alle imbarcazioni che giornalmente si avvicinano fino ad una manciata di metri. Dopo poco, sbarchiamo proprio in fondo al loch ed immediatamente ci arrampiachiamo per raggiungere il Corusik. Il lago interamente circondato dalle vette austere dei Cuillin, quel che resta di antichi vulcani estinti.
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NEXT STOP TALISKER BAY PROSSIMA TAPPA TALISKER BAY
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ecidiamo di esplorare il perimetro del lago e, termina in un piccolo parcheggio. Da qui in avanti attraversato il fiume su un guado improvvi- si può andare solo a piedi, così ci incamminiamo su sato, ci arrampichiamo sul granito metamorfizzato una bella strada di campagna protetti dalla piacevfino a raggiungere la cima di una collina che sovras- ole ombra di un fitto bosco di querce. Un cartello ta tutta la valle. Purtroppo il sole ora è un ricordo, ci indica la direzione; oltrepassiamo un cancello e nascosto dietro le nuvole che incappucciano le andiamo ancora oltre una splendida casa in legno, montagne. Dall’alto possiamo vedere preoccupanti proprietà del clan McLeods di Talisker, oltrepassata scrosci d’acqua avanzare attraverso il lago e così, la quale, la vista si apre sul tratto finale della valle prima di essere colti dal temporale, scendiamo per e più giù, verso ovest, fino al mare. Camminiamo raggiungiungere la barca. L’ambiente è maestoso e attraverso verdi pascoli che si arrampicano fin sui siamo consci che le foto scattate, difficilmente, ri- pendii circostanti. Giungiamo così a Talisker Bay, usciranno a rendere la bellezza primitiva di questo una gemma incastonata nel basalto. Grandi massi sperduto angolo di Scozia. Decidiamo di tornare e arrontondati dall’incessante rifrangesi delle onde quando raggiungiamo la barca, il cielo è di un cupo fanno da cornice ad una lunga spiaggia scura imprigrigio che non lascia presagire nulla di buono per gionata tra le verticali pareti del Glen. Verso settenil pomeriggio, anche se, in lontananza, trione le acque del loch an Sguirr l’azzurro ci dà speranze. Ci riposiamo Mhoir precipitano con una cascata Giungiamo così sul prato verde che sovrasta gli scogli, dall’alto della scogliera direttamente in attesa del ritorno della Bella Jane e a Talisker Bay, in mare confondendosi con la spuma una volta a bordo, sfiliamo via veloci e il rumore delle onde. Tra le grosse una gemma intra le foche noncuranti di qualsiasi cosa pietre troviamo i resti di reti, gallegstia accadendo loro intorno. Il motore castonata nel gianti e vecchi tronchi che la marea spinge ed il rientro è veloce. Appena ha trascinato fin qui da chissà dove. basalto tocchiamo terra corriamo a prendere la Stiamo scoprendo una Scozia dalle macchina per raggiungere la prossima infinite bellezze, una terra dal fascino meta. Continuamo a puntare verso nord ben decisi antico e dai mille tesori nascosti. Ogni luogo sema raggiungere la costa nord occidentale dell’isola. bra poter riservare nuove sorprese. Con la mente a Ci lasciamo alle spalle i pesanti nuvoloni che in- divagare tra questi mille pensieri che si rincorrono combono sulle montagne e raggiunta Carbost disordinatamente, non ci accorgiamo delle nuvscarichiamo le valigie presso un B&B per ripartire ole che, silenziosamente, come in un agguato, si dopo alcuni minuti. Dal paese una stretta strada sono avvicinate per spazzare via la pace da questo ci conduce verso occidente, arrampicandosi attra- angolo di paradiso. Con passi veloci cerchiamo di verso colline ancora ingiallite da un inverno che raggiungere la macchina ripercorrendo a ritroso il fatica a cedere il passo alla primavera. E’ una salita sentiero. Guardiamo al cielo dove l’azzurro è ormai che dura poco, non ci sono montagne a separarci scomparso, sostiuito dal preoccupante nero portato dalla costa e ben presto la strada inizia nuovamente dalle grosse nuvole pronte a rovesciare il loro carico a scendere, dapprima leggermente, poi sempre con di pioggia. Purtroppo il temporale si scatena poco maggior decisione fino a quando le morbide col- prima di essere riusciti a raggiungere il parcheggio. line cedono il passo ad un stretta valle, entriamo Fortunatamente, riparati dagli alberi, riusciamo così nel Glen Oraid e dopo poco al giallo si sos- a limitare i danni. Un piccolo inconveniente che tiuisce il verde. Proseguendo, la valle diventa sem- non può cancellare gli splendidi momenti vissuti pre più ampia e quando la discesa finisce, la strada durante tutta la giornata.
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SUNSET AT NEST POINT TRAMONTO A NEST POINT
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agnati ma contenti, risaliamo in macchina per raggiungere la prossima meta. L’ultima destinazione di una giornata che ci ha riempito gli occhi di bellezza. Percorriamo strade solitarie che si perdono verso orizzonti sconfinati, vediamo nubi scaricare temporali all’orizzonte mentre la luce si fa sempre più avvolgente con l’approssimarsi del tramonto. L’estremo ovest di Skye è scarsamente abitato anche per i canoni scozzesi, superiamo di tanto in tanto qualche rara casa ma quando ci allontaniamo dal mare si ha l’impressione di essere gli ultimi esseri umani sulla terra. Pensieri fugaci mentre la macchina corre sulla strada. Non incontriamo nessuno a cui chiedere informazioni così ci fermiamo un paio di volte per consultare la carta geografica fino a quando un cartello ci indica che la direzione è quella giusta. Ormai non dovremmo essere troppo distanti dal nostro obiettivo. Poco più avanti il mare ricompare davanti ai nostri occhi, segno inequivolcabile che siamo ormai prossimi al faro. Arrivare a Nest Point dà la sensazione di essere giunti alla fine di un viaggio. Oltre non si può andare. Oltre la scogliera precipita per oltre cento metri nelle scure e gelide acque dell’oceano Atlantico. Più in là gli uomini devono lasciare il dominio alla moltitudine di uccelli che si lanciano dai loro nidi aggrappati alla roccia e si librano leggeri nell’aria compiendo mille evoluzioni. Spira un freddo vento occidentale che sovrasta il rumore delle onde che, in basso, si infrangono contro il basalto. Il faro, silente, sorveglia il panorama come un comandante che passa in rassegna le proprie truppe, vigilando sul naviglio che dopo lunghi viaggi, combattendo tra i flutti, sceglie la rotta del mare delle Ebridi. Ben presto scopriamo di non essere soli, complice le bella giornata di sole anche altri hanno avuto l’idea di spingersi fin qui.
Probabilmente in maggioranza sono fotografi e poco dopo, alcuni, cominciano ad aprire i loro cavalletti per immortalare uno dei fari più famosi del mondo. Verso occidente la linea continua del mare è interrotta dal profilo morbido dalle isole di South e North Uist. Ci sediamo in attesa proprio sul margine dove l’erba verde cede il passo alle rocce della scogliera prima di gettarsi verso il mare. In basso tra i massi precipitati dall’alto alcune pecore più temerarie pascolano quasi sfidando la gravità per quanto sono vicine al margine del precipizio. Con il giorno che volge al termine giunge anche il momento di mangiare. Prepariamo la piccola griglia che abbiamo portato e ben presto il fumo si alza annunciando il meritato ristoro. Come potevamo ben immaginare non tutti apprezzano il nostro bivacco improvvisato. La piccola colonna di fumo infatti può pregiudicare la riuscita degli scatti fotografici ed alcuni dei presenti radunano le loro cose per spostarsi alcuni metri più in là. Fortunamente la scogliera è ampia e si sviluppa per parecchie centinaia di metri. Nessun problema e pochi minuti dopo gustiamo un’ottima cena al cospetto di un magnifico tramonto che riesce anche, in parte, a far dimenticare il freddo che comincia a farsi sempre più pungente. Una sottile striscia di nuvole incorona il sole che, stancamente, si adagia verso occidente regalandoci un cielo che, man mano il sole si approssima all’orizzonte, sembra volersi incendiare di mille sfumature rosso fuoco. E’ ora di riporre la macchina fotografica, ci sono momenti, che a prescindere dell’attimo da immortalare, vanno vissuti in compagnia, sentendo l’abbraccio e il calore della persona amata. Attimi irripetibili al cospetto di un vero spettacolo della natura. Questo è Nest point, più di un faro, più di un tramonto. E’ l’idea stessa del
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viaggio verso settentrione, di un punto di arrivo, viaggio. Purtroppo, complice il silenzio rotto solo la fine della corsa. Essere arrivati fin qui ci regala dal motore della macchina e della strada percorsa la sensazione di aver raggiunto il traguardo dopo in perfetta solitudine, della luna ormai quasi piena una lunga caccia in cui non serve essere primi ma ma soprattutto di morfeo che, più forte di tutto e conta solo arrivare. Divagare oltre non serve, siamo tutti, inizia ad avvolgerci nelle strette spire del suo già abbastanza entusiasti e felici; volevamo arrivare abbraccio annebbiandoci la vista, confondendoci e e siamo arrivati e non resta che assaporare questa guidandoci quasi inconsapevolmente fino al B&B piacevole sensazione. Verso le ventidue il sole è orsenza quasi farci rendere conto di aver oltrepassato mai scomparso sotto l’orizzonte e dopo che, quasi la svolta per Dunevegan. Ormai è tardi, tornare tutti i fotografi hanno già richiuso i cavalletti e indietro è fuori discussione, troppa tarda l’ora e riposto le macchine fotografiche, decidiamo che, troppo invitante il pensiero di infilarsi sotto le coanche per noi, è giunta l’ora di radunare le nostre perte calde di un morbido letto. Così l’idea di un cose per tornare verso Carbost. Alcuni audaci, sfiritorno, per un rapido passaggio ad ammirare il casdando il vento, continuano imperterriti a scattare tello in notturna, svanisce immediatamente, come foto al cielo stellato che inizia a brillare sfidando il fugace passaggio di una stella cadente. Cinque la penombra del crepuscolo. Facciamo attenzione minuti dopo già dormiamo felici per l’ennesima, a non bagnarci troppo i piedi nel termeravigliosa giornata in queste lande reno fin troppo inzuppato dall’acqua Arrivare a Nest nordiche. Signori, questa è la Scozia. che, nonostante la bella giornata di Il mattino seguente ci svegliamo con sole, continua a scorrere fino a tuffa- Point è come gli occhi ancora pieni dei colori del rsi dalla scogliera per ricongiungersi al tramonto della sera precedente. Come arrivare alla fine mare. Stanchi ma felici raggiungiamo la immaginavamo l’isola si è rivelata uno macchina con la tentazione di ritardare di un viaggio. scrigno pieno di tesori tutti da scoprire, ancora la partenza, ancora sopraffatti Skye meriterebbe molto più tempo per Oltre non si dalle emozioni che ci ha regalato questo essere scoperta ed esplorata in maniera tramonto vissuto insieme. In alto una può andare... più approfondita ma il tempo a disposplendente mezzaluna crescente è apsizione è troppo limitato e non possiaparsa in cielo illuminando con la sua mo permetterci troppe pause. Appena luce cinerea le scogliere e riflettendosi sulle acque sistemati i bagagli in macchina siamo pronti per ferme del lago posto poco distante dal parchegrimetterci in marcia verso settentrione. E’ tempo gio del faro. E’ ora di reiniziare il viaggio che ci ridi salutare Skye, con i suoi antichi graniti forgiati porterà a Carbost dove trascorreremo la notte e con nel cuore della terra, i suoi silenzi, i suoi panorami lo sguardo ancora al faro cominciamo a macinare che rapiscono il cuore e fanno sognare di essere gli i chilometri a ritroso. E’ stata una giornata lunga eroi di un epico mondo fantastico. Prima di partire e ricca di esperienze affascinanti ma ci siamo coosserviamo la cartina, come sospettavamo siamo munque riproposti di passare al castello di Dunevecostretti ad eliminare il passaggio nella penisola del gan durante il viaggio di ritorno. Inutile nascondTrotternish. Una disdetta perchè così facendo non ere che, la stanchezza, dopo tante ore comincia a avremo la possibilità di vedere i caratteristici torfarsi sentire ma l’idea di fare qualche altro scatto rioni solitari dei Quaraig. Comunque siamo ben al castello adagiato sugli scogli dell’omonimo loch lontani dal darci per vinti, prima di salutare Skye, è piuttosto allettante e potrebbe andare ad arricdecidiamo di fare una breve escursione poco dischire ulteriormente l’album dei ricordi di questo tante da Carbost, alla scoperta dell’acqua.
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“E’ ora di riporre la macchina fotografica, ci sono momenti che a prescindere dell’attimo da immortalare, vanno vissuti in compagnia, sentendo l’abbraccio e il calore della persona amata”.
THE FAIRY POOLS COLOURS I COLORI DELLE FAIRY POOLS
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e Fairy Pools, o pozze fatate, sono formate da un torrente che sgorga direttamente dalle spoglie rocce dei Cuillin e si getta nella Glenbritte bay. Lasciamo la macchina in un piccolo parcheggio e seguiamo le indicazioni che ci conducono al torrente. Risalendone il corso giungiamo fino all’ombra delle montagne tra salti, pozze e piccole cascate. Le acque, di uno splendido colore turchese si insinuano nelle fenditure delle rocce creando uno scenario che vale per intero il suo nome: le piscine incantate. Skye continua a stupirci con la sue bellezze grandi e piccole. Il sentiero è solo un primo tratto della fitta rete che conduce ovunque qui su Skye e quando siamo giunti ai piedi dei Cuillin il torrente è poco più di un rigagnolo d’acqua gelida, così decidiamo che è ora di tornare verso la macchina. Ormai il sole è alto sull’orizzonte e non possiamo più indugiare oltre. E’ giunta l’ora di volgere nuovamente lo sguardo a settentrione, al Torridon e al Wester Ross nostra prossima tappa. Arrivederci Skye.
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GOING NORTHWARDS ANDANDO PIU’ A NORD
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ome eravamo arrivati, lasciamo Skye due giorni dopo. Attraversiamo il ponte e meno di un’ora dopo siamo in marcia verso Plockton. Facciamo tappa nel piccolo e pittoresco paesino adagiato in un loch protetto e incorniciato da montagne coperte di fitte foreste di pini. Eseguiamo tutto il periplo del Loch Caron, cullati dal sole che ci accompagna nella nostra corsa verso nord eppoi ci perdiamo verso l’interno. Le foreste lasciano il posto ad una brughiera ancora ingiallita e seguendo la strada, che si insinua in antiche valli glaciali, giungiamo in vista dell’Upper Loch Torridon, uno dei più profondi loch di Scozia e nelle cui acque hanno trovato l’habitat molte specie oceaniche. Il Torridon è una regione molto famosa per le sue montagne e i suoi scorci panoramici. Dalla sommità delle sue vette è possibile volgere lo sguardo dalle Ebridi esterne a Skye e fino a nord nell’Assynt e più a est, fino alla regione di Inverness. Panorami
severi e selvaggi, scavati e scolpiti durante le ere glaciali che qui, seppellirono tutto il paesaggio sotto una coltre di ghiaccio spessa molte centinaia di metri. La strada torna a scendere e raggiunge il livello del mare, qualche curva poi ripieghiamo verso l’interno seguendo il Glen Torridon salutati dalla visione tetra di una foresta di alberi morenti piantati nel terreno spoglio. La strada sale infilandosi tra massi erratici e macchie più scure di boschi ancora intimiditi dal lungo inverno. Irrequiete onde gialle ci segnalano che un teso vento spazza le brughiere rinsecchite. A nord, tra queste montagne, l’inverno fatica a cedere il passo alla primavera. In alto, grandi chiazze di neve, ci ricordano che, nonostante il sole, la natura qui è ancora austera e matrigna. Più ci spingiamo verso nord e meno fà sconti ed è sempre restia a cedere spazio all’avanzare della bella stagione. Poi gradualmente la strada inizia a scendere finchè raggiungiamo le sponde di un grande lago.
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E’ il loch Maree con le sue numerose isole. Siamo nel cuore del Wester Ross e in breve torniamo a costeggiare le rive del mare. Gairloch è adagiata al riparo dell’omonimo loch protetta da verdi boschi che arrivano fin quasi alle spiagge. Troviamo un B&B, l’ennesimo, molto elegante ed accogliente e dopo esserci sistemati, su consiglio del proprietario, ci dirigiamo verso big Sand: la spiaggia oltre la grande duna. Attraversato il campeggio, ci arrampichiamo sopra la sabbia ricoperta d’erba e scendiamo fino al mare. Qui finalmente decido di cimentarmi in un temerario bagno in mare, il tutto sotto lo sguardo severo ed ammonitorio della mia ragazza che sembra avvisarmi che, in caso di malore, sarò lasciato da solo in balia delle onde. Dopo i primi istanti raggelanti sento nuovamente il sangue tornare a scorrere nelle vene ma dalle occhiatacce capisco che è meglio non sfidare oltre il destino ed esco dall’acqua. Dopo alcuni minuti riprendiamo la strada che prosegue verso nord, lasciandoci alle spalle le ultime case e ci facciamo faticosamente strada tra le numerossime pecore che beatamente bivaccano sullo stretto nastro d’asfalto. Appena arrivati ci apprestiamo a cenare
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THE LONG WAY HOME LA LUNGA STRADA VERSO CASA
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nei pressi del faro di Rua Reidh. Dopo i panorami di granito di Skye, il paesaggio è mutato nuovamente, qui la roccia ha assunto una colorazione rosso acceso che, al tramonto, sembra voler incendiare ogni cosa. Purtroppo il faro è privato e quindi non è accessibile a meno di non aver prenotato in anticipo. Nessun problema, ci sediamo sugli scogli, in compagnia di una foca curiosa che, passa oltre mezz’ora ad osservarci, sparendo nell’acqua di tanto in tanto. Trascorrere i tramonti al cospetto dei fari, veri capolavori d’ingegneria, sembra stia diventando uno dei temi del viaggio e la spiegazione è anche piuttosto semplice, queste costruzioni, infatti, sono situate spesso in luoghi spettacolari e altamente scenografici da essere divenute mete da visitare. A Rua Reidh trascorriamo un altro bellissimo tramonto che ci regala l’ennesimo cielo mozzafiato e proprio qualche attimo prima che scompaiano gli ultimi raggi di sole, un branco di delfini ci omag74 gia, saltando fuori dall’acqua proprio di fronte al faro per sparire dietro il promontorio. Non c’è che dire, siamo stati proprio fortunati. Purtroppo al cospetto di questo ultimo tramonto ci rendiamo conto che i nostri scozzesi volgono inesorabilmente al termine e l’indomani saremo costretti a volgere il nostro sguardo verso sud per tornare verso Edimburgo. Passiamo la notte a Gairloch. Al mattino, però, decidiamo di puntare ancora un pò più a nord, verso Ullapool che sarà quindi il punto più settentrionale del nostro viaggio. Una puntata veloce, giusto il tempo di assaggiare uno dei fish and chips più grandi e gustosi di tutta la Scozia. Come in tutti i viaggi, gli ultimi giorni sono i più convulsi e le tappe si allungano per recuperare il tempo e i chilometri persi in precedenza. Ignoriamo Inverness, troppa gente e troppo cemento da sopportare dopo i giorni finora trascorsi in quasi totale isolamento.
Giungiamo così ad Elgin per visitare i resti della famosa cattedrale che, come uno scheletro di pietra, si erge quasi fosse la carcassa di una grande balena spiaggiata. Le pietre mute ancora si ergono, bruciate ma non abbattute dall’incendio che ne decretò l’oblio nel 1390. E’ difficile non restare affascinati e perdersi tra le colonne e le volte crollate, dimenticandosi del tempo che scorre inesorabile, cercando di ascoltare le voci dei fedeli intonare salmi e preghiere. Ormai la
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Scozia occidentale è alle nostre spalle, Elgin è adagiata in una bella pianura tra il mare del nord e le colline dello Speyside, la mitica Whisky trail. Risaliamo verso l’interno scoprendo morbide colline ricoperte di boschi cercando di allontanarci dal traffico caotico che regna lungo la costa. Numerose distillerie costeggiano la valle finchè non decidiamo di raggiungere Dufftown per trascorrere la notte e non senza fatica per trovare
un alloggio. Visitiamo le rovine solitarie di Alchindum castle appena prima che il sole si perda tra i verdi pascoli delle colline. La notte scorre tranquilla tra le colline della Scozia orientale e il mattino decidiamo di percorrere la strada che attraversa le Caimgorms Mountains e il parco nazionale. La strada tortuosamente raggiunge alti passi dove, a parte il vento e qualche albero in costante lotta con gli elementi, difficilmente si
incontra anima viva. Giusto il tempo per qualche scatto ed infreddoliti ci rimettiamo in macchina. Tutte i cartelli ci indicano Balmoral, sede delle vacanze estive della monarchia inglese. Un fiero baluardo inglese nell’irredente terra di Scozia. Ci concediamo una breve sosta a Ballanter per soddisfare le lamentele delle nostre pance, stuzzicate dalla vista di vetrine generosamente riempite di dolci. Poi decidiamo di puntare decisamente
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verso il mare, verso Dunnottar. Visitiamo velocemente Stoneheaven e il suo porticciolo, ma è solo una brevissima sosta per tonificare il corpo dopo i tanti chilometri percorsi in macchina. Ormai il freddo vento dell’ovest è solo un ricordo, qui veniamo accolti da un caldo sole che di scozzese ha ben poco. Dalla piccola marina un sentiero segue il profilo della costa fino al castello ma noi decidiamo di raggiungerlo in macchina. Pochi minuti e parcheggiamo nuovamente. L’imprendibile fortezza se ne stà arroccata su uno sperone di roccia, ghermita e protetta su tre lati dal mare del nord che ne ha fatto la fortezza più inespugnabile di Scozia e Inghilterra. Li furono conservati i gioielli della corona di Scozia al tempo di Cromwell e sempre lì William Wallace arse vivi i soldati Inglesi che, barricandosi all’interno della cappella, rifiutavano la resa. Una stretta scaletta scende fino al mare per poi risalire alla fortezza. Fortificazioni, alloggiamenti, prigioni e magazzini sono ancora qui ad osservare il mare in quella che era un formidabile baluardo a difesa della corona. Ormai sui bastioni di roccia che dalle mura precipitano direttamente nel mare nidificano numerossissimi gabbiani, i veri signori di questo luogo, dal momento che di turisti, oltre a noi, ce ne sono veramente pochi. Una vera stranezza perchè questa fortezza, questo pezzo di storia, suscita fascino ed ogni sua singola pietra emana profumo di storia. E’ ormai ora di ripartire. Seguiamo la dritta strada costiera che da Dunnottar ci porta a Montrose ed oltre fino ad Arbroath. Qui ci fermiamo a gustare gli smookies, pesce affumicato da mangiare con le patate. Ci infiliamo tra le strette stradine che ci portano fino al porto dove troviamo alcuni laboratori dove viene affumicato l’eglifino del mare del nord, un tipo di merluzzo pescato e preparato fin dal medio evo in questi villaggi della contea di Angus. Assaggiamo ed al primo impatto non possiamo non sentire il gusto forte e particolare, irrobustito dal trattamento, prima di salatura e poi di affumicamento con legna
di quercia e faggio, che comunque rende la carne morbida ed appetitosa. Annotiamo sul nostro taccuino di viaggio questa ennesima scoperta, un sapore particolare, nuovo ma non per questo da non apprezzare. Ripartire da Arbroath significa abbandonare quella Scozia rurale che ci ha accompagnato durante tutto il viaggio. In lontananza le acque del firth of Tay si aprono e con loro fanno la comparsa le prime ciminiere e gli stabilimenti industriali di Dundee. Non è che ne sentissimo la mancanza ma l’avvicinamento ad Edimburgo ed al sud industrializzato porta via quei panorami che tanto abbiamo imparato ad amare. Ci rimangono ormai solo poche ore che decidiamo di impiegare girovagando nel Five, nell’estremo tentativo di rimandare, quanto più possibile, il ritorno alla civiltà industriale. Attraversiamo St. Andrews, con il suo bel centro storico medioevale circondato da mura di pietra. Purtroppo cercare un alloggio qui non è possibile, come una nobile decaduta la cittadina convive con la fama di avere la più antica università di Scozia e, soprattutto, è la capitale mondiale del golf, con campi mitici e un turismo di elite che ne ha fatto, inevitabilmente, lievitare i prezzi. Facciamo un tentativo ma, come sospettavamo, non è la destinazione che fà per noi. Prezzi da sceicchi ci spingono a cercare sistemazione altrove, verso sud dove le acque del Firth of Fourth si confondono con quelle del mare. I piccoli paesi del Five si susseguono lungo la costa. Piccoli porticcioli dove potenti maree lasciano adagiate sulla sabbia tutte le imbarcazioni bloccando di fatto ogni attività portuale. Siamo visitatori solitari di piccole città fantasma, anche l’acqua sembra essere fuggita da questi paesi, immersi in un sonnacchioso tardo pomeriggio di maggio. Anstruther è tutta qui, è tutta sul porto, dove i pochi presenti rassettano e riparano le reti mentre altri distrattamente ridipingono una delle imbarcazioni in secca. Un piccolo faro sorveglia l’entrata del porto, mentre molti gabbiani rovistano nel fondale alla ricerca
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di qualcosa da mangiare. Ormai ai giorni si sono sostituite le ore e il nostro viaggio si avvicina alla fine. Un velata malinconia ci assale ma non gli permettiamo di guastarci il nostro ultimo tramonto scozzese. Alte e sottili nubi imperlano il cielo nascondendo il sole. Lo strano silenzio surreale che pervade il porto è rotto solo dai versi, a volte minacciosi, dei gabbiani che spadroneggiano sul molo. Una coppia di innamorati sfila al nostro fianco e si siede ad osservare il mare. Ci fermiamo per qualche minuto ad osservare l’orizzonte che si perde verso oriente, verso la scandinavia. Il mare, ora placido e tranquillo, è così diverso dalle feroci acque che flagellano la costa occidentale. Così è la Scozia, tanti paesi in uno. Un lato duro, aspro, romantico e selvaggio come il carattere indomito dei suoi abitanti, l’altro morbido, agreste ed operoso come i moderni scozzesi. Entrambi uniti indissolubilmente dal mare, questo grande padre e 83 padrone che con il suo avvolgente abbraccio assedia e culla questa terra. Un mare che ruggisce potente ma che è in grado di regalare impareggiabili panorami e tempeste terribili. L’indomani, di buon’ora, siamo di nuovo in macchina. Non abbiamo molto tempo prima di riconsegnare la macchina all’aereoporto di Edimburgo, là dove tutto è iniziato solo undici giorni prima. Undici giorni che sembrano settimane. Giorni lunghissimi trascorsi a scoprire ed esplorare un paese così diverso, appena fuori l’uscio di casa. I cartelli ci indicano la direzione, conducendoci verso il ponte che ci porterà sull’altra sponda del fiume. E’ tempo di tornare, gli ultimi scorci di campagna scorrono fuori dal finestrino mentre Martinica dorme esausta sul sedile al mio fianco, spossata dopo una cavalcata di oltre duemilacento chilometri in undici giorni e cinque passaggi in nave. Un magnifico viaggio attraverso uno dei paesi più affascinanti
che abbiamo avuto occasione di visitare. Una terra in cui storia, cultura e natura si fondono in un spettacolare intreccio che la rende unica. I nostri giorni in Scozia sono giunti alla fine e non ci resta che visitare Edimburgo con il suo castello aggrappato su uno sperone di roccia testimone di quel che resta di un antico vulcano e dei mutamenti geologici che avvennero e plasmarono queste terre circa 300 milioni di anni fa. Dopo esserci riempiti gli occhi dei bellissimi panorami, la città non ci coinvolge molto. Sicuramente è solo una questione di gusti personali ma entrambi preferiamo l’altra Scozia, quella delle coste rocciose, delle spiagge bianche, dei puffins e dei delfini, dei B&B e della cordialità della gente, delle solitarie strade single track e dei tramonti mozzafiato. Beviamo qualche birra tra i pub del Grass Market e ci perdiamo tra le ripide strade che si arrampicano verso il castello, sfilando tra una folla di turisti che si gode la loro Scozia, quella del Royal Mile e dei moderni Highlanders in posa a richiesta. Giunti alla fine del viaggio possiamo dire, con certezza, che ci mancherà questa terra. Portremo a casa i mille ricordi e le immagini di luoghi che rimarranno impressi nella nostra memoria. Conserveremo gelosamente e con un pò nostalgia questa lunga cavalcata fatta inseguendo le luci dei fari come fossimo moderni navigatori a quattro ruote. Siamo così giunti alla fine, seguendo le istruzioni delle hostess non ci resta che indossare le cinture di sicurezza. Quando inizia il rullaggio, il muso si solleva ed infine l’aereo si stacca dalla pista di decollo, infilandosi tra la grigia coltre di nuvole che sovrasta Edimburgo. Così, lentamente, svaniscono anche quelle ultime luci del nord.
INSEGUENDO LE LUCI DEL NORD Alla magica terra di Scozia che, con le sue spiagge, i suoi castelli, i suoi fari e le montagne, ammalia e rapisce gli sguardi e i cuori dei viaggiatori. Alle sue genti fiere e cordiali. Al turista distratto che, limitandosi a scalfire la superficie di queste splendide lande, lascia, fortunamente, ai pi첫 curiosi ed ardimentosi godere delle mille bellezze nascoste di Scozia Ma soprattutto grazie a te, senza la quale, tutto questo non sarebbe mai stato possibile. Ogni viaggio, quando siamo insieme, diventa una nuova avventura. Martinica grazie di esserci
S T E FA N O C H I O R R I
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INSEGUENDO LE LUCI DEL NORD INDICE:
FIRST CONTACT - Primo contatto
pagina 1: La bassa marea sul Firth of Fourth vicino di Culross. pagina 2: Immagini dello Stirling Castle. pagina 3: Vedute sullo Stalker Castle. pagina 4: Il benvenuto sull’isola di Seil. Il Clachan bridge pagina 5: Oban sunset. pagina 6: Scorcio del porto di Oban. Lismore Lighthouse. Lo stemma della Caledonian McBryne. Duart Castle.
THE SURPRISING LUNGA - La sorprendente Lunga
pagina 8: Colonia di sule sull’isola di Lunga. pagina 9, 10,11,12,13,14: Fauna sull’isola di Lunga. pagina 15, 16, 17, 18: Martinica mentre scatta foto su Lunga.
STAFFA, A STONE SYNPHONY- Staffa, una sinfonia di pietra
pagina 19: L’avvicinamento all’isola di Staffa. pagina 21: Particolare del basalto colonnare all’ingresso della Fingal’s cave. pagina 22: Particolari del basalto colonnare sull’isola di Staffa. pagina 23, 24: Isola di Staffa. pagina 25: L’ingresso della Fingal’s Cave. pagina 26: L’interno “brumoso” della Fingal’s Cave. pagina 27, 28: Panorami dalla sommità dell’isola di Staffa. pagina 29, 30: Staffa e la Fingal’s Cave. pagina 31: Relitti “spiaggiati” nei pressi di Salen, isola di Mull. pagina 32: Particolari dei relitti nei pressi di Salen. Nasse sul molo di Tobermory. pagina 33, 34: Scorci dell’isola di Mull. THE HOLY ISLAND - L’isola Santa pagina 35: L’isola di Iona prima dell’approdo. pagina 36: “Pietra miliare” sulla strada per Fionnphort. pagina 37: Immagini dell’abbazia dell’isola di Iona. pagina 38: Vedute dell’isola di Iona.
THE FORGOTTEN PENINSULA - La penisola dimenticata
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pagina 39: Il faro ad Ardnamurchan point. pagina 40: La strada verso Kilchoan, in Ardnamurchan. Ristoro al Kilchoan Hotel. pagina 41: Il mare all’Ardnamurchan point con Coll sullo sfondo. La strada verso il faro. pagina 42: Sanna Bay. La bassa marea a Portuairk. Scogli ad Ardnamurchan point. pagina 43, 44: Tramonto all’Ardnamurchan lighthouse.
DISCOVERING SKYE - Scoprendo Skye
pagina 45: Tramonto ad Elgol. pagina 46: La luna sorge vicino Nest Point. pagina 47: I red Cuillin. pagina 48: Le ultime luci del giorno al Tarskavaig point, penisola di Sleat, Skye. pagina 49, 50: tramonto dal molo di Elgol. pagina 51: Immagini da Elgol. La Bella Jane. Il loch Corusik. pagina 52: Le foche al loch Corusik. Il guado sul fiume. NEXT STOP TALISKER BAY - Prossima tappa Talisker Bay pagina 53: Talisker bay. pagina 55: La spiaggia sassosa di Talisker Bay. pagina 56: La cascata dal loch Sguirr Mohr. Martinica sulla strada per Talisker bay. SUNSET AT NEST POINT - Tramonto a Nest Point pagina 57, 58: Tramonto verso le Ebridi esterne. pagina 59, 60: Promontorio di Nest Point al tramonto. pagina 61: Il faro di Nest point al tramonto. pagina 62: Martinica sulla scogliera di fronte al faro. pagina 63, 64: Aspettando la fine del giorno.
THE FAIRY POOLS COLOURS - I colori delle Fairy Pools pagina 65, 66: Immagini delle Fairy Pools.
GOING NORTHWARDS - Andando più a nord pagina 67: La strada che costeggia il loch Carron. pagina 68: Panorama del loch Carron. Uno spettatore curioso nei pressi di Plockton. pagina 69: La strada verso il Rua Reidh lighthouse. Il faro. Un’attenta vedetta nei pressi di Gairloch. pagina 70: Martinica al cospetto di Rua Reidh Lighthouse. pagina 71: Il faro di Rua Reidh al tramonto. pagina 72: Imbarcazioni al porto di Ullapool. THE LONG WAY HOME - La lunga strada verso casa pagina 73: Il portale d’ingresso della cattedrale di Elgin. pagina 74: I resti della cattedrale di Elgin. pagina 75: Martinica nelle campagne dello Speyside. L’ingreso di Dunnotar castle. L’ingresso della cappella di Dunnottar. pagina 76: La fortezza di Dunnottar castle. pagina 77, 78: Vista panoramica sul Dunnottar Castle. pagina 79: Il porto di Anshrutter. pagina 80: Scorcio di Anshrutter. Ad Arbroath per gli smokies. pagina 81, 82: Panoramica del porticciolo di Anshrutter durante la bassa marea. pagina 83: Cabina telefonica su Mull INSEGUENDO LE LUCI DEL NORD (C) di Stefano Chiorri, scritto e stampato nel 2014. Il testo e tutte le immagini presenti nell’opera sono proprietà dell’autore. La riproduzione, anche parziale, dell’opera è vietata ed è soggetta alla legge sul diritto d’autore. Tutte le foto sono state scattate con CANON 6D, CANON 24-105L, SIGMA 70-200 HSM OS, SIGMA 12-24 EX DG HSM, CANON 35 f2. CANON e SIGMA sono marchi di proprietà dei rispettivi proprietari.