Francis Bacon

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Politecnico di Milano Facoltà di Architettura e Società Laurea Specialistica orientamento interni AA 2007/2008

Arte contemporanea e comunicazione Prof. Jacqueline Ceresoli Stephanie Carminati n° 708547

Francis Bacon “La bellezza sarà convulsa o non sarà” (André Breton, “Nadja”)


Politecnico di Milano Facoltà di Architettura e Società Laurea Specialistica orientamento interni AA 2007/2008

Arte contemporanea e comunicazione Prof. Jacqueline Ceresoli Stephanie Carminati n° 708547

Francis Bacon “La bellezza sarà convulsa o non sarà” (André Breton, “Nadja”)


Francis Bacon (1909-1992) Francis Bacon, secondo di cinque figli, nasce a Dublino da genitori inglesi il 28 ottobre del 1909. Il padre, Edward Anthony Mortimer Bacon, è un militare puritano che si è trasferito in Irlanda per allevare cavalli da corsa; la madre, Christine Winifred Firth, è erede di una famiglia nota nell’ambito delle acciaierie. È una famiglia piuttosto eccentrica, con la quale avrà un rapporto difficile, trovando conforto e appoggio soprattutto nella nonna. Trascorre un’infanzia tranquilla con i fratelli; a causa dell’asma che lo affligge, studia privatamente con il parroco locale come precettore. Il suo primo incontro con l’arte avviene probabilmente nel castello, presso Newcastle, di una prozia collezionista di quadri preraffaelliti. A proposito di questi anni, l’amico Anthonin Cronin racconta un aneddoto riferitogli dall’artista: durante le assenze dei genitori, la giovane incaricata di occuparsi di lui non esitava a rinchiuderlo in un armadio per avere dei momenti d’intimità con il proprio fidanzato. Nel buio di quest’armadio, il giovane Francis passava minuti e a volte ore ad urlare. Bacon confessò all’amico di dovere molto a questo armadio, forse causa inconscia delle strutture scatolari in cui i suoi soggetti pittorici sono spesso racchiusi. Allo scoppio della prima Guerra Mondiale il padre è richiamato a Londra dal Ministero della Guerra; comincia allora un periodo di continui spostamenti tra Inghilterra e Irlanda, spesso usufruendo delle case che l’eccentrica nonna materna continua a cambiare. Bacon ricorda in particolar modo quella a Formleigh, una casa bellissima con stanze caratterizzate da pareti curve. Più tardi l’artista confesserà che questo dettaglio potrebbe essere alla base degli sfondi curvilinei ricorrenti nelle sue opere. A sedici anni, quando la sua omosessualità diventa manifesta, Francis viene allontanato da casa dal padre. È l’inizio di una vita decisamente movimentata. La madre, grazie alla rendita personale, gli passa settimanalmente una piccola paga, sufficiente per vivere. Ma Francis vuole viaggiare. Comincia così un periodo in cui si muove molto, mantenendosi con svariati lavori (stenografo, domestico, cuoco) e facendosi ospitare e aiutare da amanti maturi. Sono anni decisivi per la sua formazione.

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a sinistra: Roy de Maistre, New Atlantis, 1933 sotto: articolo tratto da The Studio

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Parte inizialmente per Londra. Poi è il turno della Berlino di Otto Dix e di George Grosz, una delle città più libere dell’epoca. Verso la fine degli anni ’20 è a Parigi, dove inizia a disegnare a dipingere acquerelli e ad occuparsi di arredamento. Nella fervente vita culturale parigina frequenta musei e gallerie: è così che alla galleria Paul Rosenberg visita una mostra di Picasso in cui sono esposti i suoi ultimi lavori, di chiara impronta surrealista. Questa esperienza sarà decisiva per le sue future scelte. Ritornato a Londra, a soli diciannove anni, si fa conoscere come designer di arredi dalle influenze moderniste e che molto devono al Bauhaus. La sua capacità è riconosciuta quando nel 1930 la rivista specializzata “The Studio” pubblica uno dei suoi interni nel numero di agosto. Nelle fotografie si possono vedere mobili che abbinano tubi di metallo nichelato e vetro chiaro; strutture tubolari che compariranno anni dopo anche nelle sue opere. Ma la crisi economica che investe l’Inghilterra in quegli anni rende difficile, quando non propriamente impossibile, il mantenersi con questo lavoro. Nello stesso anno incontra Roy de Maistre, pittore che lo avvicina ulteriormente al mondo dell’arte e che gli insegna a dipingere ad olio. Condividono uno studio, alla base del quadro “New Atlantis” di de Maistre. Sebbene poche opere di questi primi anni siano sopravvissute alla sua cronica insoddisfazione, alcune fotografie suggeriscono quanto il suo linguaggio dell’epoca fosse debitore nei confronti del cubismo sintetico di Picasso. Intanto il rapporto con i genitori si fa sempre più difficile: la decisione del figlio di diventare pittore non è per loro assolutamente accettabile. Nel 1933 espone alla Mayor Gallery, in una mostra che presenta anche opere di Dalì, Ernst e Braque. La sua “Crocefissione” viene pubblicata in “Art Now”. In seguito al discreto successo ottenuto tenta di organizzare una personale, improvvisando nello scantinato della Sunderland House di Curzon Street una galleria che battezza “Transition Gallery”. Non ottiene il risultato sperato e il disappunto lo porta a distruggere tutte le opere esposte in quest’occasione e a interrompere per qualche anno la sua attività pittorica. Decisione che diventa ancora più ferma in seguito al rifiuto di un suo quadro da parte degli organizzatori della “International Surrealist Exhibition” che si tiene nel 1936 alla galleria New Burlington. L’opera di


Bacon viene, infatti, esclusa perché ritenuta «troppo poco surreale». Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, è riformato a causa dell’asma e impiegato negli uffici della Difesa Civile. Sono gli anni in cui comincia a dipingere a tempo pieno, in uno studio, al 7 di Cromwell Place, appartenuto anche a John Everett Millais. È dopo questo tragico periodo storico che Francis Bacon si pone di nuovo in primo piano con una delle sue opere più forti: nell’aprile del 1945 presenta, infatti, alla Lefevre Gallery il suo “Tre Studi per Figure alla Base di una Crocifissione” nell’ambito di una collettiva dedicata alle nuove forze della pittura inglese. Dopo questa esposizione, la sua carriera riprende alternando momenti di lavoro assiduo ad altri di calma, dissoluzione ed eccessi. Nel 1948 il MoMA di New York acquista “Painting 1946”, mentre Francis Bacon inizia la sua serie di Teste, la sesta delle quali introduce la serie del Papa urlante. Negli anni ’50 si sposta tra il sud della Francia, Tangeri, dove risiede il suo amante dell’epoca, e Montecarlo. La luce mediterranea è però troppo diversa e troppo forte rispetto a quella a cui è abituato, rendendo poco proficui questi soggiorni. Nel 1953 a New York si apre la sua prima personale in terra americana e l’anno successivo è incaricato di rappresentare la Gran Bretagna alla Biennale di Venezia. In questa occasione viaggia per l’Italia, ma curiosamente non visita la Galleria Pamphilj, dove si trova l’amato ritratto di Innocenzo X di Velázquez. Nel 1956, ispirato da “Autoritratto sulla via di Tarascona” del 1888 realizza la sua serie dedicata a Van Gogh, che segna una svolta nella gamma cromatica della sua tavolozza. Francis ama particolarmente Van Gogh perchè è l’unico artista che è riuscito a rendere la sua visione della realtà rimanendo quasi letterale. È anche l’anno del suo primo autoritratto. L’anno successivo è il turno di Parigi, che ospita una sua personale, la prima in Francia, alla Galerie Rive Droite. Nel 1958 interrompe il rapporto con la Hanover Gallery e si fa rappresentare dalla Marlborough Gallery, che con le sue numerose sedi da una spinta internazionale alla sua fama. È l’inizio di un rapporto che continuerà fino alla morte dell’artista, rendendo la galleria punto obbligato di passaggio per qualsiasi transazione che riguardi un’opera dell’artista.

a destra: Paravento dipinto, 1929 sotto: Guazzo, 1929

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a sinistra: Autoritratto, 1930 sotto: George Dyer nello studio dell’artista

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La direttrice Valerie Beston gli diventa amica indispensabile: è lei a gestire le spese e a saldare i numerosi conti dell’artista presso Harrod’s e ad occuparsi di tutte le questioni pratiche. Ma soprattutto è lei che ha il delicato compito di mandare a ritirare le tele dallo studio di Bacon prima che vengano distrutte dall’artista. Sarà inoltre sempre lei a curare che nessuno si interessi troppo alle modalità di lavoro dell’artista, come da lui richiesto. Arriverà a riempire e a buttare sacchi riempiti di materiale fotografico per impedire ad uno storico troppo curioso di indagare nello studio. Nel 1961 si sposta in quello che sarà lo studio per il resto della sua vita, al 7 di Reece Mews a South Kensington. Nel 1962 si apre la sua prima retrospettiva alla Tate Gallery di Londra: Francis Bacon è già uno degli artisti più importanti del dopoguerra europeo. Nello stesso anno, l’amica Isabel Rawsthorne gli presenta Giacometti, che lui considererà uno dei migliori disegnatori di tutti i tempi. Più tardi nello stesso anno muore l’amico/amante Peter Lacy, il primo di una lunga lista di lutti che colpiranno l’artista. Francis Bacon inizia la serie di interviste con il critico e amico David Sylvester, conosciuto qualche anno prima, che si concluderà nel 1986. L’anno successivo è segnato dalla grande retrospettiva organizzata dal Guggenheim di New York e dall’incontro con George Dyer, “conosciuto” mentre quest’ultimo tentava di svaligiare il suo appartamento. Alla fine degli anni ’60 comincia ad interessarsi maggiormente alle cornici, che diventano sempre più curate, e a presentare le opere dietro un vetro. Gli vengono offerti diversi premi, ma l’unico che accetta è il Rubens Prize conferitogli dalla città di Siegen. Nel 1968 rende visita alla madre malata in Sudafrica, dove la donna si è trasferita dopo la morte del marito avvenuta nel 1937. I venti dipinti esposti alla Marlborough di New York sono tutti venduti nel giro di una settimana. Il 1971 è un anno tragico per Francis Bacon. Nel mese di aprile la madre muore e poco dopo l’amato George Dyer si toglie la vita nella loro stanza d’albergo la sera dell’inaugurazione della sua grande retrospettiva al Grand Palais. Il tragico evento segna l’inizio della serie definita dei “Trittici neri”, che si protrae fino al 1974. Nonostante tutto, per la sua carriera è un anno positivo: la rivista “Connaissance des Arts” lo pone al


primo posto nella sua biennale lista dei dieci artisti viventi più importanti. L’anno successivo lo lascia anche l’amico fotografo John Deakin: Francis comincia a dipingere autoritratti con maggior frequenza. Nel 1974 incontra al Colony Room John Edwards, di quarant’anni più giovane, che gli rimarrà vicino fino alla fine, in un rapporto molto vicino a quello che intercorre tra padre e figlio. Gli anni Ottanta si aprono con una retrospettiva che fa il giro del Giappone, seguita da un’altra sulla sua intera carriera alla Tate Gallery, che gli dedica nel 1991 una stanza, e a Berlino. In occasione dell’inaugurazione Bacon torna nella capitale tedesca dopo più di cinquant’anni di assenza. All’inizio del 1992 muore Isabel Rawsthorne; poco dopo, il 28 aprile, Francis è ricoverato a Madrid per un’infezione polmonare legata alla sua asma. Morirà sei giorni dopo, a 82 anni, in seguito ad un attacco cardiaco. Della sua vita Francis Bacon dirà che è stata vissuta tra le fogne e il Ritz, in uno squallore dorato. Nonostante i soldi non gli mancassero ha vissuto fino alla fine nelle piccole stanze adiacenti al suo studio: il vivere costantemente nel lusso, infatti, non gli interessava, ma amava il fatto di poterselo permettere ogni qualvolta lo desiderasse. Lascia un patrimonio stimato a 11 milioni di sterline in eredità a John Edwards, aprendo una questione legale con la Marlborough che si protrae per anni.

Il suo unico erede, benché certamente non sia un grande intenditore di arte, intuisce la capitale importanza rivestita dal caotico studio nella comprensione dell’opera dell’artista e ne predispone quindi la conservazione. Nel 1998 inizia così un lungo processo di rimozione e catalogazione di tutti i materiali sedimentatisi nello studio nel corso dei decenni di attività di Francis Bacon, con un procedimento non dissimile dalla stratigrafia archeologica. Identificati tutti i materiali, lo studio è stato ricomposto con cura nella Dublin City Gallery the Hugh Lane e aperto al pubblico dal 2001. Sono stati catalogati più di 570 libri, dedicati ai più svariati argomenti tra cui medicina, paranormale,

a destra: Francis Bacon e John Edwards nello studio dell’artista sotto: Francis Bacon alla galleria Claude Bernard

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sotto: lo studio così com’è stato trovato alla morte del pittore

“In fondo, essere un artista è già di per sè una forma di vanità” 6

fotografia, arte, sport e animali, cui vanno aggiunte più di mille pagine strappate, riviste, giornali vari e circa 1500 fotografie. Oltre a questi materiali, molto utili per comprendere i riferimenti adottati nelle varie opere, sono stati rinvenuti tutti gli strumenti utilizzati per dipingere. Molti di questi sono certamente poco ortodossi: stracci vari, pettini e pezzi di pantaloni in velluto a coste di “Marks & Spencer” che sfregava sulle tele, lasciando impronte particolarmente riconoscibili. E ancora: rulli che usava per applicare vernice da parete sullo sfondo di alcune tele e scorte di pennelli nuovi, indispensabili dato che Bacon non li puliva praticamente mai dopo averli usati. E infine, le immancabili bottiglie vuote di vino e champagne, particolarmente rappresentative del suo ben noto lato di bon viveur. Lato questo in apparente contrasto con la diligenza con cui affronta il lavoro. Francis Bacon lavorava la mattina, svegliandosi presto indipendentemente dall’aver fatto o meno festa la sera prima, per sfruttare al meglio la luce naturale proveniente dal lucernario dell’atelier. Si può dire che Francis Bacon abbia avuto un vero e proprio colpo di fulmine per questo posto. Molto sensibile ai luoghi, è subito colpito dall’atmosfera di quest’ambiente, a prima vista poco adatto ad un pittore per la sua dimensione e per il suo orientamento. Problemi di poco conto che Bacon soluzionerà facendo rimuovere il tetto per applicare il già citato lucernario e adattando la dimensione delle tele in modo da avere un margine di manovra di pochi centimetri. Qualsiasi tentativo di lavorare in un altro studio si rivelerà fallimentare. Adiacente all’atelier, si trova il piccolo appartamento in cui Francis Bacon ha vissuto per la maggior parte del tempo. Un appartamento composto da sole due stanze e il cui ordine quasi maniacale sembra essere profondamente in contrasto con il caos dello studio. In realtà Bacon non ama lo sporco, ma trova che atmosfere caotiche siano particolarmente evocative e stimolanti. Anche la polvere, così presente nello studio, lo affascina: è eterna, e questo la rende un materiale unico, che mai modificherà la sua qualità cromatica e tattile. L’artista non esiterà quindi ad utilizzarla, impastandola con il colore umido o applicandola come fosse un pastello, dichiarando che nulla più della polvere è in grado di rendere il colore e la texture di un abito di flanella. Bacon comincia con il tracciare sulla tela un primo abbozzo, un insieme di segni che poi esamina. La forma finale si realizza in seguito, lavorandoci. Il pittore ha più volte negato di partire da schizzi o da


bozzetti progettuali, anche se alcuni disegni preparatori rinvenuti nel suo studio sembrano affermare il contrario. Come già accennato, Bacon utilizza vari strumenti per dipingere, più per un’iniziale ignoranza tecnica (non ha, infatti, frequentato alcuna Accademia) che per velleità rivoluzionarie. Non ha, infatti, mai avuto intenzione di inventare nulla di nuovo dal punto di vista tecnico: si limita ad utilizzare la tradizione per ottenere qualcosa che è invece radicalmente nuovo. Bacon sa cosa vuole fare, ma non sa come ci arriverà. Il caso gioca, infatti, un ruolo fondamentale nel suo modo di dipingere: la volontà non è mai sufficiente. Dall’intenzione alla realizzazione finale si sviluppano una serie di azioni-reazioni assolutamente non coscienti. Questa catena può anche portare a risultati completamente inaspettati: è il caso di “Painting 1946”, il cui risultato finale è notevolmente diverso dall’iniziale intenzione di rappresentare un uccello che si posa a terra. Spreme il colore direttamente sulla mano, per poi gettarlo sulla tela in modo da aprire nuovi orizzonti evocativi alle immagini già formate; unisce e reinterpreta elementi presi in quell’archivio di spunti e di citazioni che è il pavimento del suo studio. Getta trementina sulla tela in modo da spezzare qualsiasi articolazione volontaria dell’immagine, perché essa si sviluppi spontaneamente su una propria struttura. È interessante notare come questi metodi, decisamente poco disciplinati, diano luogo ad una pittura che invece, sommariamente, lo è: Bacon non ama la pittura astratta, che considera meramente estetica. Per gli Informali il caso ha già un valore, mentre per Bacon è solo un mezzo per giungere ad un fine figurativo. La sua è una pittura di intuizione e di senso critico. Tutte le decisioni poggiano sulla pura intuizione. Il senso critico infine governa il tutto; per questo motivo evita di dipingere sotto effetto dell’alcol, che, per quanto renda più liberi in alcune scelte, tende ad offuscare il giudizio finale. Si può facilmente applicare a Francis Bacon il pensiero di Duchamp, per il quale «Secondo tutte le apparenze, l’artista agisce come un essere medianico che, dal labirinto oltre il tempo e lo spazio, cerca la strada verso una radura».

a destra: pavimento dello studio sotto: Francis Bacon nel suo studio

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sotto: Getto d’Acqua, 1988

L’artista lavora su quello che il caso ha lasciato. Bacon non si ritiene dotato ma solo ricettivo.

“Credo di avere, come pittore, un certo tipo di sensibilità per cui le cose mi si presentano davanti e io non faccio altro che usarle”

È esemplificativo il caso di “Getto d’Acqua” del 1988. In origine Bacon voleva rappresentare un’onda che s’infrange su un frammento di riva. Prende un secchio, lo riempie di colore e lo getta sulla tela. L’effetto finale gli piace, anche se ovviamente non ha nulla a che vedere con un’onda: decide quindi di trasformare il quadro, cambiando l’onda con un getto proveniente da una tubatura. È da notare che lo sfondo a carattere industriale è rimasto immutato: forse il getto, in fin dei conti, era inevitabile.

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Lo sfondo è stato affrontato in modo diverso nelle varie fasi del pittore. All’inizio, nelle opere caratterizzate da toni molto scuri, gli sfondi erano realizzati ad olio con uno strato sottilissimo, ottenuto diluendo fortemente il colore con la trementina. In seguito, quando le figure si fanno più complesse e convulse e gli sfondi più piatti e spogli, questi vengono realizzati ad acrilico e rigorosamente in un momento intermedio, poco prima di finire completamente il soggetto. Bacon odia, infatti, dipingere sull’acrilico: ama il modo in cui la tela grezza assorbe il colore ad olio. L’abitudine di usare le tele montandole in modo da dipingere sul lato non trattato nasce negli anni Cinquanta a Montecarlo, periodo in cui non aveva abbastanza soldi per pagarsi tele nuove e si arrangiava “riciclando” quelle già usate. Perennemente insoddisfatto, distrugge le tele che non lo convincono. Sylvester racconta di averlo persino visto acquistare una propria opera per poi buttarla a terra e saltarci sopra appena uscito dalla Galleria. Non è inoltre insolito che si faccia rimandare in studio tele già affidate alla galleria per modificarle o completarle, convinto del fatto che il tempo annulli le intenzioni iniziali e renda più lucidi nel giudizio. La sua insoddisfazione gli rende infatti difficile considerare conclusa un’opera. Si tratta di una tendenza che il pittore sa essere rischiosa dato che egli stesso ha più volte confessato di aver distrutto alcune delle sue opere migliori nel vano tentativo di migliorarle ulteriormente. Questa tendenza si nota anche nei titoli che egli da alle sue opere: raramente definitivi, quasi sempre “studi”. I titoli meno anonimi sono nella maggior parte dei casi attribuiti dalla Galleria Marlborough per questioni pratiche d’identificazione. È bene tenere a mente inoltre che Bacon non vuole dire mai nulla di specifico; non lancia messaggi, è indifferente al pensiero degli altri sulle proprie opere.


Bacon dipinge unicamente per se stesso. L’uomo che ha più volte affermato che il più grande onore sarebbe stato avere una sua opera esposta a fianco di una di Picasso è il primo a dimostrare umiltà meravigliandosi di essere riuscito a vivere grazie alla sua arte.

Tematiche e pensiero L’avvento della fotografia nel XIX secolo ha portato inevitabili cambiamenti nella pittura figurativa. In passato, infatti, la registrazione di un’immagine era il principale compito della pittura, mentre ora il pittore può andare oltre, concentrandosi sull’infinita gamma di sensazioni che un’immagine può produrre. Walter Benjamin afferma inoltre che l’uso della fotografia ha messo in risalto la distinzione tra “realtà” e “verità”. La natura vista attraverso l’obiettivo fotografico è, infatti, diversa da quella percepita dall’occhio, poiché non viene elaborata consciamente dall’uomo. Si individua così una sorta di “inconscio ottico” non dissimile dall’inconscio preso in esame dalla psicoanalisi. Essa offre quindi quel lieve distacco che permette ad ognuno di estrpolare dalle immagini quello si ritiene essere la realtà. Proprio per questo fattore la fotografia assume un ruolo importante nel modo di procedere di Bacon. Dal 1930 l’artista accumula album fotografici di Eadweard Muybridge, fotogrammi presi da film (principalmente di Buñuel e di Eisenstein), immagini mediche (in grande parte prese da “Atlas and Epitome of Diseases of the Mouth, Pharynx and Nose” di Ludwig Grünwald), fotografie di reporter che considera particolarmente indicative della condizione umana. Persino le opere d’arte che ama preferisce guardarle attraverso la mediazione della riproduzione fotografica. Francis Bacon non è certo l’unico nel mondo dell’arte contemporanea ad aver instaurato un rapporto privilegiato con la fotografia. Marcel Duchamp e i Futuristi, in particolare Giacomo Balla, vedono anticipate e confermate nella fotografia le loro concezioni del dinamismo, in particolar modo negli studi sul movimento di Muybridge. Ma loro ne applicano alla lettera i dati esterni, mentre Bacon li rielabora in una chiave del tutto personale. Le posizioni dei corpi di Muybridge vengono così composte con forme michelangiolesche. Bacon deve, infatti, molto del suo modo di pensare la forma a Michelangelo, ben noto per i suoi corpi i cui

a destra: Eadweard Muybridge, Lottatori sotto: pagina strappata da un libro sulle opere scultoree di Michelangelo

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a sinistra: Nigel Henderson, Bagnanti, 1953 sotto: Henri Cartier-Bresson, Francis Bacon nel suo studio, 1971

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muscoli sono contorti al limite del possibile. Si potrebbe dire che le immagini fotografiche hanno una funzione proustiana per l’artista, essendo veri e propri detonatori di idee e suggestioni più che semplici riferimenti. E in questo senso il caso interviene anche sulle fotografie: Bacon non le tratta, infatti, con particolare riguardo, lasciandole in terra e calpestandole, in modo da aggiungere così connotazioni che non appartengono all’originale. Basta osservare la fotografia scattatagli da Henri Cartier-Bresson. Nonostante l’affettuosa dedica sul retro («à Francis, avec l’amitié e l’admiration d’Henri»), la fotografia non ha per Bacon altro valore che quello di utilità: si ritrovano quindi tracce di pieghe, fatte per dare tridimensionalità all’immagine in vista di un eventuale ritratto. Queste pieghe si ritrovano in molte fotografie e sono alla base delle prospettive distorte presenti in alcune opere. È un procedimento questo che ha un precedente in Nigel Henderson, uno dei membri fondatori dell’Indipendent Group. I suoi erano esperimenti realizzati direttamente in camera oscura: procedeva inizialmente usando come ingranditore una vecchia lente da lanterna magica trovata da un antiquario, ottenendo così infinite variazioni, deformazioni e modifiche tonali. Le fotografie così ottenute venivano poi piegate a ventaglio e rifotografate. Essendo la semplice descrizione esteriore ormai compito della fotografia, Bacon si occupa della complessità della personalità dei suoi soggetti. La sua è, infatti, una pittura che si concentra principalmente sull’uomo; i pochi paesaggi che ha realizzato sono stati fatti in periodi in cui gli era impossibile per svariate ragioni affrontare la figura umana. L’arte è per lui ossessione per la vita e quindi, inevitabilmente, è ossessione per se stessi. I volti lo affascinano particolarmente perché vi si ritrovano tutti i cinque sensi; le mimiche facciali sono inoltre il principale mezzo di interazione. Per questo le deformazioni dei volti creano inevitabilmente delle emozioni, innescando un processo di immedesimazione. L’esperienza estetica diventa così esperienza personale. Raramente realizza ritratti su commissione, poiché chi vuole un proprio ritratto tende a voler dettare le regole, seguendo quello che è il proprio ideale di sé. Bacon predilige quindi le persone che già conosce e che apprezza, affermando che per gli altri potrebbe giusto fare delle caricature essendo il fattore cono-


scenza importante per un uomo che vuole dipingere l’energia emanata dai suoi soggetti.

sotto: Dipinto, 1978

“Ciò che voglio fare è distorcere la cosa molto al di là dell’apparenza, ma nella distorsione stessa riportarla a una registrazione dell’apparenza”

Non ritrae praticamente mai i soggetti dal vivo: la fotografia consente, infatti, una maggiore libertà. Davanti alla tela il pittore è solo con il suo ricordo, rendendo così il dipingere un processo di rievocazione. Distorce oltre l’apparenza, partendo dal soggetto che svanendo lascia progressivamente un residuo di realtà. Il suo è una sorta di Cubismo che non rappresenta simultaneamente vari punti di vista ma che scava i vari strati che compongono il corpo umano. Si tratta di un procedimento che risulterebbe inibito dalla presenza in studio del soggetto, poiché le persone si sentono sempre un po’ ferite dalle distorsioni imposte alla propria immagine. Oscar Wilde affermava che si uccide ciò che si ama, ma per Bacon le distorsioni non sono effettuate con l’intento di danneggiare qualcuno. La sua pittura non va vista, infatti, a livello di illustrazione: comunica la sua sensazione della vita nell’unico modo che gli sembra possibile. La sua arte non ha assolutamente intenzioni tragiche, diversamente da quanto molti tendono a pensare. La deformazione in Bacon ha motivazioni estetiche: rende l’immagine finale molto più incisiva. Lui stesso cita Degas, che con i suoi pastelli incideva i corpi striandoli, facendo emergere oltre misura la struttura ossea. Ma come già detto, con l’avvento della fotografia il pittore contemporaneo deve andare oltre, reinventare il realismo portandolo direttamente al sistema nervoso. Per evitare il rischio di cadere nella trappola della narrazione (elemento cardine dell’illustrazione secondo Bacon), l’artista rappresenta quasi sempre figure singole, o in ogni caso fa in modo che esse non dialoghino tra di loro in modo da evitare qualsiasi tentativo di instaurare ipotetiche relazioni da parte dell’osservatore. È curioso notare come a volte queste pitture profondamente anti-narrative nascano da testi letterari. Bacon ama particolarmente T. S. Eliot ed Eschilo, mentre sembra escludere i suoi contemporanei, ritenuti troppo noiosi dato che Shakespeare riusciva ad esprimere con maggior potenza i loro stessi concetti. “La Terra Desolata” è una delle sue letture preferite, da cui spesso scaturiscono immagini particolari: “Dipinto 1978” gli è stato, infatti, suggerito da un passaggio dell’opera («Sentii la chiave / girare nell’uscio una volta e girar una volta sola»).

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a sinistra: Eadweard Muybridge, Infantile Paralysis, child walking on hands and feet sotto: Donna che versa una ciotola d’acqua e bambino paralitico che cammina a quattro zampe

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Gli autoritratti sono un tasto dolente per Bacon. Non li ama particolarmente, ma diventano inevitabili quando i suoi amici cominciano a mancare. Detesta la sua faccia, ma in certi momenti è l’unica che può ritrarre. Se si escludono le opere in memoria di George Dyer, Bacon trova insensato ritrarre i morti. Nonostante si basi principalmente sulle fotografie sente comunque il bisogno di vedere la persona, di parlarle. Benché nella sua vita si sia sempre e solo dedicato alla pittura, Francis Bacon ha sempre pensato alla scultura come ad una possibilità concreta. Anzi, afferma spesso di pensare alle sue opere in termini di sculture trasferite su tela. Pensa a sculture poste su un’armatura sulla quale possano scorrere. Le vorrebbe realizzare in bronzo, rivestite da una mano di calce color carne in modo da ottenere una texture simile alla sabbia. L’armatura, pensata a scala urbana, sarebbe invece in acciaio lucente. Struttura questa che ricorda inevitabilmente alcuni dei suoi quadri… Nella lunga lista dei ritratti realizzati da Francis Bacon, particolare importanza rivestono quelli dedicati alla figura del papa. La scelta di questo tema deriva dalla sua personale ossessione per il ritratto di Innocenzo X dipinto da Velázquez e che considera come il più grande ritratto mai realizzato. L’intervento su un’icona popolare non è certo una novità per il XX secolo: Duchamp e Dalì sono già intervenuti rispettivamente sulla Monna Lisa e sulla Venere di Milo. Ma l’intenzione di Bacon non è quella di creare un falso estetico, bensì di adattare il soggetto e rivestirlo di un nuovo significato. La prima serie dei papi è realizzata agli inizi degli anni Cinquanta, con il precedente costituito da “Testa VI” del 1949. Si tratta di una serie di tre ritratti, ognuno caratterizzato da una deformazione facciale sempre maggiore. In “Papa I” il papa osserva lo spettatore. In “Papa II” il volto è terrorizzato, con la bocca aperta e gli occhiali presi dalla bambinaia de “La Corazzata Potemkin” scivolati sul naso. In “Papa III”, andato distrutto, il volto è completamente scomposto, come in preda ad un attacco di convulsioni. Poco dopo realizza un’altra serie di otto ritratti, tutti intitolati “Studio per un ritratto”. Qui la figura del papa di Velázquez si mischia con quella di Pio XII, riconoscibile nei dettagli della sedia gestatoria e negli occhialini. Questa scelta pone alcune domande: anche se Bacon non è un pittore politico, è un uomo molto attento


e grande osservatore della contemporaneità e questi sono gli anni in cui la figura del papa è rimessa in questione per le sue implicazioni personali nei tragici avvenimenti della Seconda Guerra Mondiale.

sotto: Testa VI, 1949

“Mi piacciono il luccicchio e il colore collegati alla bocca, e ho sempre sperato di riuscire a dipingere la bocca come Monet dipingeva un tramonto”

La figura del papa è poi ripresa saltuariamente negli anni successivi, poiché è un soggetto unico al mondo, anche se sarà sempre più slegata dall’Innocenzo X di Velázquez. Il pittore rimpiangerà sempre di aver realizzato i suoi studi che lui considera fallimentari: il dipinto del maestro spagnolo è assoluto, non è possibile andare oltre. Le diverse serie papali mettono in risalto quello che è forse il tema più noto di Francis Bacon: il grido umano, che compare per la prima volta “Figure in un giardino” del 1936. Il grido è un elemento anomalo per un ritratto convenzionale: il gridare, così come il ridere, deforma i tratti, caricaturandoli. Profondamente colpito da “La Corazzata Potemkin” di Eisenstein, che vede prima di iniziare a dipingere, giunge ad un punto in cui vuole realizzare anche lui la massima rappresentazione del grido umano. Combina i fotogrammi della bambinaia colpita all’occhio sulla scalinata di Odessa con l’immagine della madre urlante del “Massacro degli Innocenti” di Nicolas Poussin del 1630, secondo lui la migliore rappresentazione dell’urlo prodotta in pittura e che ha avuto più volte occasione di ammirare dal vivo nel suo soggiorno nei pressi del castello di Chantilly. Notevole influenza hanno anche le immagini prese dal libro sulle patologie della bocca trovato a Parigi nella sua giovinezza. È importante sottolineare come Bacon si limiti a rappresentare l’urlo, senza riflettere sulle sue cause. Le motivazioni non lo interessano, è solo attratto dalla bocca. Dopo “Studio per la Bambinaia dalla Corazzata Potemkin” del 1957 Bacon sembra mettere da parte questo tema. Nonostante i numerosi tentativi, infatti, si dichiarerà sempre insoddisfatto dei risultati ottenuti, così lontani dalla sua aspirazione “alla Monet”. Il tema del grido è spesso associato all’orrore, dimenticando che urlare, di fatto, è la forma di espressione più elementare che ci sia, il primo segno di vita che ognuno da. L’orrore Bacon nella sua opera non lo vede; egli si limita a mettere in scena la realtà, la vita. Ma la vita è violenta: si sopravvive a scapito degli altri. Le figure di Bacon sono carcasse perché l’uomo è fatto di carne e ossa, né più né meno dei quarti di bue appesi nelle macellerie. La radiografia ha cambiato definitivamente il modo in cui l’uomo moderno percepisce il proprio corpo.

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a sinistra: Diego Velázquez, Innocenzo X , 1650

La morte è l’unica cosa certa nella vita di tutti e Bacon ne ha la piena consapevolezza dall’età di diciassette anni, dal momento in cui osservando un escremento di cane su un marciapiede capisce che la vita è solo questo: esistere per un istante per poi essere spazzati via. La vita in sé non ha senso, siamo noi con le nostre azioni a dargliene uno.

sotto: Papa I, 1951

Francis Bacon è diretto: è questo che la gente percepisce come orribile. Le persone tendono ad offendersi di fronte alla verità.

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“La metà della mia attività pittorica è dedicata a sovvertire quello che so fare con facilità”


a destra: Papa III, 1951

Definire Francis Bacon?

Francis Bacon è stato spesso definito un “Espressionista Surreale”, nonostante abbia più volte affermato la sua estraneità al Surrealismo, pur apprezzandone il valore di rivolta verso l’Establishment, la politica, la religione e l’arte. In realtà, oltre al fatto di dovere molto nelle sue primissime opere al Picasso surrealista, il modo di dipingere di Bacon ha alcuni elementi in comune con questo movimento: ad esempio il fatto di non dipingere alla presenza di modelli o il seguire il caso alla ricerca di una scoperta inaspettata o il rifiuto della mera illustrazione sono caratteristiche comuni a molti Surrealisti. Bisogna inoltre tener conto dello stretto rapporto che intercorre tra questo movimento e la psicoanalisi: cosa avrebbe pensato Freud ad esempio dell’ossessione che Bacon nutre nei confronti della bocca o di Velázquez? André Breton, nel suo Manifesto Surrealista del 1924, si appellava alla più grande tra le libertà: quella della mente. L’immaginazione ha la capacità di mostrare quello che potrebbe essere e la fantasia, l’allucinazione, il sogno e l’irrazionale possono tutti essere una valida alternativa all’amoralità e alla decadenza della società. Al pittore surrealista si richiede quindi un puro automatismo, libero da qualsiasi controllo della ragione e al di fuori da qualsiasi preoccupazione di ordine estetico o morale. Ed è proprio qui che Francis Bacon si distanzia da Ernst, Magritte o Dalì: la spontaneità assoluta non è elemento fondativo della sua opera e non va oltre il primo abbozzo. Bacon procede per errori; il caso di cui parla è strettamente legato all’istinto.

“Ed è questa l’ossessione: quanto puoi rendere questa cosa somigliante nella maniera più razionale?”

sotto: Papa II, 1951

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da sinistra a destra: Studio per un ritratto I, 1953 Studio per un ritratto II, 1953 Studio per un ritratto III, 1953

Bacon è stato anche avvicinato all’Esistenzialismo, che si sviluppa tra l’euforia dettata dalla fine della guerra e la paura per il futuro. Eppure l’Esistenzialismo non ha avuto una grande diffusione sul suolo inglese, quindi le analogie potrebbero essere fortuite o semplicemente dettate dai tempi in cui Bacon evolve.

Studio per un ritratto IV, 1953

Non si può ignorare però che il suo pensiero sulla vita ha molti punti in comune con alcune idee espresse da Camus, per il quale il mondo è inalterabile e gli uomini possono trovare una certa realizzazione personale solamente attraverso la ribellione. Per entrambi Dio è morto: la vita è l’unica cosa assolutamente indiscutibile dell’esistenza .

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Anche i temi che affronta si ritrovano spesso nelle opere di Sartre e di Camus: l’isolamento, la paura, l’immanenza della violenza; ma anche le stanze prive di finestre nelle quali il pittore isola i suoi soggetti.


In conclusione vale la pena di riportare un brano tratto da “La Nausea” di Jean-Paul Sartre, diario fittizio di Antoine Roquetin scritto nel 1938. Nella descrizione di quello che il protagonista vede riflesso nello specchio, è quasi impossibile non intravvedere un ritratto di Francis Bacon: «Il mio sguardo viaggia lentamente e stancamente sulla mia fronte, sulle mie guance. Non trova nulla di fermo […] Quando ero piccolo, mia zia Bigeois mi disse: ‘Se guardi te stesso in uno specchio per troppo tempo, vedrai una scimmia.’ Devo essermi guardato ancora più a lungo: quello che vedo è ben al di sotto di una scimmia, al limite del mondo vegetale, al livello di una medusa. […] Gli occhi specialmente sono orribili visti così da vicino. Sono vitrei, morbidi, bordati di rosso, sembrano squame di pesce […] Mi faccio una smorfia. Un’intera metà della mia faccia cede, la metà sinistra della bocca ruota e si gonfia, scoprendo un dente, l’occhio si apre su un globo bianco, sulla rosa, sanguinante carne. Non è questo quello che stavo cercando: niente di forte, niente di nuovo; morbido, flaccido, stantio ».

da sinistra a destra: Studio per un ritratto V, 1953 Studio per un ritratto VI, 1953 Studio per un ritratto VII, 1953 Studio per un ritratto VIII, 1953

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a sinistra: John Deakin, Isabel Rawsthorn standing in a street in Soho, 1966 sotto: Ritratto di Isabel Rawsthorn in una strada a Soho, 1967

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sopra: Tre studi per Henrietta Moraes, 1969 sotto: Tre studi per un ritratto di Peter Beard, 1975


a destra: Quattro studi per un Autoritratto, 1967

Esposizioni: 1929

mostra dei suoi arredi, 7 Queensberry Mews West, Londra

1929/1930

“Francis Bacon and Roy de Maistre, studio exhibition”, 7 Queensberry Mews West,

Londra

1933

collettiva “Exhibition of Recent Paintings by English, French and German Artists”,

Mayor Gallery, Londra

1934

“Paintings by Francis Bacon”, Transition Gallery, Sunderland House, Londra

1937

collettiva “An Exhibition of Paintings”, Thomas Agnew, Londra

1945

collettiva “Recente Paintings by Francis Bacon, Frances Hodgkins, Henry Moore,

Matthew Smith, Graham Sutherland”, Lefevre Gallery, Londra

1946

collettiva “Recent Paintings by Ben Nicholson, Graham Sutherland, and Francis Bacon,

Robert Colquhoun, John Carxton, Lucian Freud, Robert MacBryde, Julian Trevelyan”,

Lefevre Gallery, Londra

collettiva “British Painters Past and Present”, Lefevre Gallery, Londra

collettiva “The Contemporary Art Society”, Tate Gallery, Londra

1949

“Francis Bacon”, Hanover Gallery, Londra

collettiva “Francis Bacon: Paintings – Robin Ironside: Coloured Drawings”,

Hanover Gallery, Londra

1950

“Francis Bacon. Recent Paintings”, Hanover Gallery, Londra

collettiva “London/ Paris. New Trends in Painting and Sculpture”, Institute of

Contemporary Art, Londra

collettiva “Posters- Francis Bacon: Recent Paintings – Hilly: Paintings”, Hanover Gallery,

Londra

collettiva “Fifteen Contemporary British Painters”, City Art Gallery, Leeds

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sotto: Studio di figura II (La Maddalena), 1945-46

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1951

“Francis Bacon”, Hanover Gallery, Londra

collettiva “British Painting 1925-1950. First Anthology”, Arts Council, Londra

1952

“Francis Bacon”, Hanover Gallery, Londra

collettiva “Pictures from Yorkshire Galleries”, Graves Art Gallery, Sheffield

collettiva “Recent Trends in Realist Painting”, Institute of Contemporary Art, Londra

1953

Durlacher Brothers, New York

“Francis Bacon. New Paintings” , Beaux-Arts Gallery, Londra

collettiva “British Contemporary Paintings from Southern and Midland Galleries”,

Arts Council, Londra. An Anthology”, Institute of Contemporary Art, Londra

collettiva “Wonder and Horror of the Human Head

1954

Hanover Gallery, Londra

Biennale di Venezia

collettiva “Fifty Years of British Art”, Bradford City Art Gallery, Bradford

collettiva “Artists of Fame and Promise”, Leicester Gallery, Londra

1955

“Paintings by Francis Bacon”, Institute of Contemporary Arts, Londra

collettiva “The New Decade. 22 uropean Painters and Sculptors”, Museum of

Modern Art, New York

collettiva “Bacon, Scott, Sutherland”, Hanover Gallery, Londra

1956

collettiva “Summer Exhibition 1956”, Redefern Gallery, Londra

collettiva “Summer Exhibition”, Durlacher Brothers, New York

1957

“Francis Bacon”, Galerie Rive Droite, Parigi

“Francis Bacon”, Hanover Gallery, Londra

collettiva “La Peinture Britannique Contemporaine”, Galerie Raymond Creuze, Parigi


1958

Galleria Galatea, Torino

Galleria dell’Ariete, Milano

Galleria l’Obelisco, Roma

collettiva “Summer Exhibition”, Durlacher Brothers, New York

collettiva “Three Masters of Modern British Painting. Sir Matthew Smith, Victor Pasmore,

sotto: Figure in un Giardino, 1936

Francis Bacon”, Arts Council, Londra

1959

Hanover Gallery, Londra

“Francis Bacon. 12 Paintings 1947-1958”, Richard L. Feigen Gallery, Chicago

V Bienal, Museu de Arte Moderna, San Paolo del Brasile

collettiva “Contemporary Art Society Recent Acquisitions”, Arts Council Gallery, Londra

collettiva “The Romantic Agony”, Contemporary Arts Museum, Houston

II Documenta, Kassel

1960

“Francis Bacon. Paintings 1959-1960”, Marlborough Fine Art, Londra

collettiva “Contemporary Art Society”, Tate Gallery, Londra

collettiva “Works from Private Collections”, School of Fine and Applied Arts, Boston

collettiva “Francis Bacon, Hyman Bloom”, Art Galleries of the University of California,

Los Angeles

1961

Nottingham University, Department of Fine Art, Nottingham

collettiva “A Century of Modern European Paintings”, Rose Art Museum, Waltham

collettiva “Contemporary Art Society Recent Acquisitions”, Whitechape Art Gallery,

Londra

1962

Tate Gallery, Londra

Städtische Kunsthalle, Mannheim

Galleria Civica d’Arte Moderna, Torino

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sotto: Studio per un ritratto di Van Gogh V, 1957

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“Francis Bacon”, Kunsthaus, Zurigo

Galleria d’Arte Galatea, Milano

collettiva “The Dana Collection”, Institute of Contemporary Art, Boston

collettiva “Primitives to Picasso”, Royal Accademy, Londra

collettiva “Arte britânica no siculo XX”, Fundação Calouste Gulbenkian, Lisbona

collettiva “British Art and the Modern Movement, 1930-1940”, National Museum of

Wales, Cardiff

1963

“Francis Bacon”, Stedelijk Museum, Amsterdam

“Francis Bacon. Recent Paintings”, Marlborough Fine Art, Londra

Granville Gallery, New York

collettiva “Bacon-Sutherland”, Galleria Il Centro, Napoli

collettiva “Contemporary Paintings”, Smith College Museum of rt, Northampton

(Massachussets)

1963/1964

Solomon R. Guggenheim Museum, New York

The Art Institute of Chicago

1964

Contemporary Arts Associates, Houston

collettiva “Selezione 5”, Galleria Galatea, Torino

collettiva “Study for an Exhibition of Violence in Contemporary Art”, Institute of

Contemporary Art, Londra

1965

“Francis Bacon. Mälningar 1945-1964”, Moderna Museet, Stoccolma

Kunstverein, Amburgo

Municipal Gallery of Modern Art, Dublino

“Francis Bacon. Recent Paintings”, Marlborough Fine Art, Londra


1966

“Francis Bacon. Mostra di undici dipinti”, Galleria Toninelli Arte Moderna, Milano

Galerie Maeght, Parigi

Marlborough Galleria d’Arte, Roma

1967

“Francis Bacon. Opere recenti”, Galleria Toninelli Arte Moderna, Milano

“Francis Bacon. Recent Paintings”, Marlborough Fine Art, Londra

Oberess Schloss, Siegen

collettiva “Dix ans d’art vivant. 1955-1965”, Fondation Maeght, Saint-Paul-de-Vence

collettiva “Rosc ’67. The Poetry of Vision”, Royal Dublin Society, Dublino

1968

“Francis Bacon. Recent Paintings”, Marlborough-Gerson Gallery, New York

collettiva “Helen Lessore and the Beaux-Arts Gallery”, Marlborough Fine Art, Londra

collettiva “Britische Kunsh heute”, Kunstverein, Amburgo

collettiva “The Obsessive Image, 1960-1968”, Institute of Contemporary Art, Londra

1969

collettiva “Selezione 9”, Galleria Galatea, Torino

1970

Galleria Galatea, Torino

1971/1972

“Francis Bacon. Rétrospective”, Galeries nationals du Grand Palais, Parigi

Städtische Kunsthalle, Düsseldorf

1972/1973

Galleria del Milione, Milano

1973

collettiva “Cuatro maestros contemporáneos. Giacometti, Dubuffet, De Kooning, Bacon”,

Museo de Bellas Artes, Caracas

1975

“Francis Bacon. Recent Paintings 1968-1974”, The Metropolitan Museum of Art,

New York

Galerie Marlborough, Zurigo

sotto: Testa di Van Gogh, 1959

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sotto: Studio dal Corpo Umano, 1949

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1976

“Francis Bacon. Œuvres récentes”, Musée Cantini, Marsiglia

1977

“Francis Bacon. Œuvres récentes”, Galerie Claude Bernard, Parigi

“Francis Bacon. Oleos de 1970-1977”, museo de Arte Moderno, Città del Messico

1978

Museo de Arte Contemporáneo de Caracas

Fundación Juan March, Madrid

Fundació Joan Miró, Barcellona

1978/1979

collettiva “This Knot of Life Paintings and Drawings by British Artists”, L. A. Louver

gallery, Venice (California)

1980

“Francis Bacon. Schreiender Papst 1951”, Städtische Kunsthalle, Mannheim

Marlborough Gallery, New York

collettiva “Zeichen des Glaubens, Geist der Avantgarde. Religiöse Tendenzen in der

Kunst des 20. Jahrhunderts”, Schloss Charlottenburg, Berlino

1981/1982

collettiva “Eight Figurative Painters”, Yale Center for British Art, New Haven

1983

Marlborough Fine Art, Londra

“Francis Bacon. Paintings 1945-1982, The National Museum of Modern Art, Tokyo

The National Museum of Modern Art, Kyoto

Aichi Prefectural Art Gallery, Nagoya

collettiva “Bacon a Brera e quaranta disegni di Grosz in sosta a Milano”, Pinacoteca di

Brera, Milano

1984

“Francis Bacon. Peintures récentes”, Galerie Maeght-Lelong, Parigi

Thomas Gibson Gallery, Londra

1985

“Francis Bacon. Recent Paintings”, Marlborough Gallery, New York

1985/1986

“Francis Bacon. Paintings”, Marlborough Fine Art, Londra

“Francis Bacon. Paintings”, Tate Gallery, Londra


Staatsgalerie, Stoccarda

Nationalgalerie, Berlino

1986

collettiva “Masters of the 19th and 20th Century”, Marlborough Gallery new York

1987

“Francis Bacon. Paintings of the Eighties”, Marlborough Gallery, New York

“Francis Bacon. Retrospektive”, Galerie Beyeler, Basilea

“Francis Bacon. Peintures récentes”, Galerie Lelong, Parigi

collettiva “A School in London. Six Figurative Painters”, British Council, Londra

1988

“Francis Bacon. Paintings”, Central House of Artists, New Tretyakov Gallery, Mosca

1988/1989

“Francis Bacon. Paintings”, Marlborough Fine Art, Tokyo

1989

presentazione della seconda versione del Trittico 1944, Librairie Séguier, Parigi

Galerie Lelong, Parigi

“Francis Bacon.: Loan Exhibition in Celebration of his 80th Birthday”, Marlborough Fine

Art, Londra

1989/1990

“Francis Bacon”, Hirshhorn Museum and Sculpture Garden, Smithsonian Institution,

Washington

Los Angeles County Museum of Art, Los Angeles

The Museum of Modern Art, New York

1990

“Francis Bacon”, Barbizon Gallery, Glasgow

Bogard Fine Arts, Amsterdam

“Francis Bacon. Paintings”, Marlborough Gallery New York

1990/1991

“Francis Bacon. Paintings since 1944”, Tate Gallery, Liverpool

1991

collettiva “Bataille. Une autre histoire de l’œil”, Musée de l’Abbaye Sainte-Croix,

Les Sables d’Olonne

sotto: Ritratto, 1949

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sotto: Figura con Carne, 1954

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1992

collettiva “Le portrait dans l’art contemporain 1945-1992”, Musée d’Art Moderne et d’Art

Contemporain, Nizza

1992/1993

“Francis Bacon. Pinturas 1981-1991”, Galeria Marlborough, Madrid

“Francis Bacon. Paintings 1981-1991”, Marlborough Gallery, New York

collettiva “British Figurative Painting of the 20th Century”, Spertus Gallery, Gerusalemme

1993

“Francis Bacon”, Museo d’Arte Moderna, Lugano

“Figurabile. Omaggio a Francis Bacon” (parte della XLV Biennale), Museo Correr,

Venezia

“Francis Bacon 1909-1992. Small Portrait Studies (Loan Exhibition)”, Marlborough Fine

Art, Londra

1994

“Francis Bacon. Einblicke in das graphische Werk”, Fine Art Rafael Vostell, Berlino

1995

“Bacon – Freud. Expressions”, Fondation Maeght, Saint-Paul

collettiva “Marlene Dumas, Francis Bacon”, Castello di Rivoli – Museo d’Arte

Contemporanea, Rivoli

collettiva “Marlene Dumas, Francis Bacon”, Malmö Konsthall, Malmö

1996

collettiva “Francis Bacon 1909-1992 and Henry Moore 1898-1986”, Fine Art and

Antiques Fair, Olympia, Londra

1996/1997

“Francis Bacon”, Musée National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou, Parigi

“Francis Bacon 1909-1992 Retrospektive”, Haus der Kunst, Monaco

collettiva “Después de Goya. Una Mirada subjetiva”, Palacio de la Lonja, Saragozza

1998

“Francis Bacon”, Louisiana Museum for Moderne Kunst, Humlebæk

“Francis Bacon. The Human Body”, Hayward Gallery, Londra

collettiva “The Edward R. Broida Collection: A Aelection of Works”, Museum of Art,

Orlando


collettiva “Núcleo histórico. Antropofagia e histórias de canibalismos”, XXIV Bienal,

San Paolo del Brasile

1998/1999

“Francis Bacon. Important Paintings from the Estate”, Tony Shafrazi Gallery, New York

1999

“Francis Bacon. A Retrospective”, The Yale Center for British Art, New Haven

The Minneapolis Institute of Arts, Minneapolis

The Fine Art Museum, San Francisco

The Modern Art Museum of Fort Worth, Fort Worth

“Francis Bacon. The Papal Portraits of 1953”, Museum of Contemporary Art, San Diego

“Francis Bacon: Working on Paper”, Tate Britain, Londra

“Francis Bacon. Paintings from The Estate 1980-1991”, Faggionato Fine Art, Londra

collettiva “Surrealism: Two Private Eyes”, The Solomon R. Guggenheim Museum,

New York

1999/2000

“Francis Bacon. Papes et autres figures”, Galerie Lelong, Parigi

collettiva “Contrappunti. Burri, Bacon, Beuys”, Palazzo delle Papesse, Siena

2000

“The Barry Joule Archive. Works on Paper Attributed to Francis Bacon”, Irish Museum of

Modern Art, Dublino

“Francis Bacon in Dublin”, Hugh Lane Municipal Gallery of Modern Art, Dublino

Museu de Arte Moderna – Collecção Berardo, Sintra

2001

Gemeentemuseum Den Haag

“Francis Bacon’s Studio at the Hugh Lane” (mostra permanente), Hugh Lane Municipal

Gallery of Modern Art, Dublino

“Francis Bacon 1909-1992”, Millenium Galleries, Sheffield

2002

“Francis Bacon. Last Paintings”, Faggionato Fine Art, Londra

“Francis Bacon 1909-1992”, Tony Shafrazi Gallery, New York

sotto: Dipinto, 1946

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a sinistra: Trittico, 1974-77

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“Van Gogh vu par Bacon”, Fondation Vincent Van Gogh, Arles

“Francis Bacon. Paintings”, Marlborough Gallery, New York

2002/2003

collettiva “Blast to Freeze. British Art in the 20th Century”, Kunstmuseum, Wolfsburg

2003

“Francis Bacon. Caged. Uncaged”, Museu de Arte Contemporânea de Serralves, Porto

2003/2004

“Francis Bacon und die Bildtradition”, Kunsthistrorisches Museum, Vienna

Fondation Beyeler, Riehen/Basilea

“Francis Bacon. La Sagrado y lo Profano”, Institut Valencià d’Art Modern, Valencia

2004

“Francis Bacon. Le sacré et le profane”, Musée Maillol, Parigi

2005

“Francis Bacon. Studying Form”, Faggionato Fine Art, Londra

“Francis Bacon. Portraits and Heads”, The Scottish National Gallery of Modern Art,

Edinburgo

2005/2006

“Francis Bacon. Die Portraits”, Hamburger Kunsthalle, Amburgo

2006

“Fransis Bacon 1909-1992”, Gagosian Gallery, Londra

“Francis Bacon in the 1950’s”, Sainsbury Centre for Visual Art, Norwich

“Francis Bacon. Bilder des Widerspruchs”, Museum für Gegenwartskunst, Siegen

“Francis Bacon. Triptychs”, Gagosian Gallery, Londra

collettiva “Classics”, Sara Hildén Art Museum, Tampere

2006/2007

“Francis Bacon. Die Gewalt des Faktischen”, K20 Kunstsammlung, Düsseldorf

2007

“Francis Bacon in the 1950’s”, Art Museum, Milwaukee

“Francis Bacon in St Ives. Experiment and Transition 1957-62”, Tate St Ives, St Ives

“Francis Bacon. Paintings from the 1950’s”, Albright-Knox Gallery, Buffalo

2008

“Bacon”, Palazzo Reale, Milano


LE CROCIFISSIONI “C’è odore di sangue d’uomo: un sorriso, per me” (Eschilo, “Eumenidi”)

Il tema della Crocifissione è tra quelli più ricorrenti nella pittura di Bacon: il pittore lo affronta, infatti, nell’intero arco della sua attività artistica. Una sua analisi può quindi restituire un significativo quadro evolutivo del linguaggio pittorico dell’artista. Bacon ha sempre ribadito il fatto di essersi avvicinato lentamente alla pittura, poiché per lui era fondamentale avere un buon soggetto, qualcosa che stimolasse profondamente il suo interesse. Diventa quindi significativo il fatto che tra le poche opere sopravvissute della sua primissima attività pittorica ci siano almeno tre dipinti in qualche modo legati alla Crocifissione. Quando si parla di Crocifissione bisogna però tener conto di un fattore molto importante: Francis Bacon era ateo. È quindi evidente che essa viene affrontata in modo decisamente non canonico. Per Bacon, infatti, la Crocifissione è priva del valore salvifico che l’iconografia cristiana le ha da sempre associato. Non è quasi mai visibile una croce, e le figure rappresentate sono sempre anonime, non c’è mai una figura salvatrice. Essendo un soggetto molto presente nell’intera storia dell’arte dell’Occidente, essa costituisce un’armatura ideale su cui innestare una gamma molto vasta di sensazioni ed emozioni. Bacon stesso confessa di non riuscire ad immaginare un soggetto che abbia una portata emozionale maggiore. Il tema è qualcosa di molto vicino all’autoritratto: l’artista vi traspone i propri sentimenti e il suo punto di vista riguardo alla vita e all’uomo. La Crocifissione diventa così, per quanto la cosa ci risulti sgradevole, semplice comportamento umano e modo con cui gli uomini interagiscono quotidianamente tra di loro. La Crocifissione per Bacon non è quindi simbolo di fede, ma “memento” di un rischio quotidiano da cui nessuno è escluso.

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a sinistra: Crocifissione, 1933

Crocifissione, 1933 60,5 x 47 cm Collezione privata

sotto: Crocifissione, 1933

Pubblicato sul numero di “Art Now” del 1933, è acquistato da Sir Michael Sadler, che nello stesso anno comprerà gli altri due dipinti sulla Crocifissione diventando così il primo collezionista a sostenere l’allora ventiquattrenne Francis Bacon. Nello stesso anno gli manda una radiografia del proprio cranio per un ritratto: l’artista incorporerà l’immagine in un’altra crocifissione.

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Le recensioni dell’epoca sembrano affermare che il linguaggio presente in queste opere sia piuttosto rappresentativo dello stile di Bacon in quegli anni. Si tratta di un’informazione di non poca importanza se si considera che la maggior parte delle prime opere fu distrutta dall’artista stesso. In quest’opera la sagoma di una croce è resa attraverso una figura ectoplasmatica, quasi fosforescente sullo sfondo cupo, che sembra essere sospesa nello spazio. Uno spazio che comincia a definirsi tridimensionalmente mediante flebili linee che nel corso degli anni andranno a definirsi come vere e proprie gabbie che il pittore utilizzerà per isolare e mettere in risalto i soggetti.

Crocifissione/Figure, 1933 Gouache, pastello, penna e inchiostro su carta 53,5 x 40 cm Triton Foundation, Paesi Bassi

Si tratta di uno tra gli esempi più significativi delle prove su carta realizzate nella fase di abbandono della sua attività di designer in favore della pittura. Si individuano chiaramente tre figure antropomorfe, che molto devono al cubismo, e che si sovrappongono l’una all’altra in trasparenza. Lo sfondo è precursore degli interni domestici claustrofobici e alienanti che caratterizzeranno le opere più tarde.


La Danza (Crocifissione), 1933 Gesso, gouache e matita su carta 64 x 48 cm Collezione privata

Si tratta forse dell’opera che affronta il tema della Crocifissione nel modo più canonico. Due figure antropomorfe grigie sembrano danzare attorno al monumentale corpo ocra posto al centro della composizione spaziale, con le braccia levate al cielo, forse in segno di disperazione. La figura centrale richiama la posizione del corpo crocifisso ed occupa l’intera dimensione del foglio. Il personaggio sulla destra è stato spesso identificato con la Maddalena, inginocchiata e con lo sguardo rivolto verso l’alto.

a destra: Figura biomorfica, anni trenta sotto: Crocifissione/Figure, 1933 a sinistra: La Danza, 1933

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sotto: Tre studi per figure alla base di una Crocifisione, 1944

Tre studi per figure alla base di una Crocifissione, 1944 145 x 128 cm Tate Gallery, Londra

Il trittico è da sempre associato alle tematiche religiose; potrebbe quindi sembrare una scelta piuttosto scontata. In realtà questi tre studi sono quanto di più inaspettato. Il riferimento più evidente è il Picasso nella sua fase surrealista che va dal ’25 al ’32; in particolar modo quello delle bagnanti sulla spiaggia. Ma, mentre nelle figure biomorfe del maestro catalano si riscontra una certa gioiosità, le creature di Bacon hanno tutt’altro impatto sul pubblico.

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Presentato ad una collettiva presso la Lefevre Gallery nell’aprile del 1945, il trittico getta nello sconcerto critici e visitatori. Queste tre figure scultoree e organiche certamente non sono né umane né animali. Eppure quelle bocche e quei denti sono inesorabilmente umani. E osservando bene la bocca della figura del pannello centrale si indovina un altro riferimento di Bacon, questa volta più attinente al tema trattato: la Crocifissione di Mathis Gruenewals realizzata nel 1512 a Isenheim, uno dei brani più strazianti dell’arte cristiana. Queste creature prive di occhi sono come bloccate in un urlo forse troppo stridulo perché sia udibile. Gridano vendetta. Ma vendetta per che cosa? O per chi? È il 1945: la guerra è finita. Londra cerca di riprendersi da quello che è stato senza dubbio uno dei periodi più difficili della sua storia recente e cominciano a circolare le immagini dei campi di sterminio tedeschi. La risposta allora appare evidente a tutti: questi esseri urlano contro di noi, contro il degrado e il collasso della nostra civiltà. Bacon non ha mai confermato una tale interpretazione. Quello che è certo è che si tratta di un uomo estremamente ricettivo a quello che gli succede attorno, quindi è piuttosto plausibile affermare che abbia trasposto sulla tela la sua personale percezione della condizione umana. Bacon fa esplicitamente riferimento alle Eumenidi, le divinità greche incaricate di vendicare le violazioni dell’ordine naturale nonché personaggi della tragedia greca di Eschilo che lui tanto ama. Da un punto di vista compositivo le figure saturano completamente le tele, negando completamente anche la sola possibilità di esistenza di una croce, elemento che si penserebbe indispensabile in una Crocifissione. Con Bacon le Furie hanno sostituito Cristo. A tal proposito, in una lettera scritta nel 1959, afferma di voler dipingere una grande Crocifissione in completamento alle Furie, che diventerebbero così, a tutti gli effetti, le figure ai piedi della croce suggerite dal titolo. Restando in tema religioso, in un’altra lettera del 1948 scrive ad un amico riguardo a un piccolo dipinto sulla presentazione alla folla di Cristo su cui starebbe lavorando in preparazione ad un’opera maggiore. Dato l’anno in questione alcuni critici tendono a pensare che potrebbe trattarsi del quadro più conosciuto come “Head I”; se questa ipotesi fosse veritiera, si tratterebbe più di una reinterpretazione sul tema di Salomè e la testa di San Giovanni piuttosto che di un Ecce Homo canonico. Ma, pensando ai meccanismi di azione di Bacon, la cosa potrebbe anche non essere del tutto insensata.

a destra: Pablo Picasso, Nudi femminili sulla spiaggia, 1937 sotto: Testa I, 1948

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a sinistra: immagine tratta da Atlas and Epitome of Diseases of the Mouth, Pharynx and Nose” di Ludwig Grünwald sotto: Mathis Grünewald, Crocifissione, 1512-15

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Frammento di una Crocifissione, 1950 152,4 x 122 cm

La croce è qui effettivamente centrale nella composizione. Si tratta di una croce a T, identificabile con quella di Sant’Antonio, su cui sono visibili due figure. Quella centrale, un ammasso di materia la cui forma riecheggia quella di un gufo probabilmente ripreso da una delle tante fotografie di animali che teneva nel suo studio, presenta una bocca urlante chiaramente umana, che ricorda quella della bambinaia ferita all’occhio della “Corazzata Potemkin”. Sopra, un’altra figura sembra arrampicarsi e protendersi verso questa. Analizzandola bene s’individuano una schiena, una gamba e un abbozzo di gluteo; potrebbe trattarsi di un cane, ma nel punto in cui ci si potrebbe aspettare una testa si scopre con un certo sconcerto una macchia di materia rossa, come se la creatura fosse stata decapitata. Questo dettaglio crea incertezza nell’interpretazione. Se in un primo momento si è tentati di interpretare questa seconda figura come incombente sulla chimera urlante, bloccata nel momento stesso in cui sta per prendere il volo in una fuga disperata, il dettaglio della decapitazione sembra invertire il senso della persecuzione. Lo sconcerto, com’era già successo con i “Tre studi” del 1944, deriva proprio da questo non riuscire a distinguere chiaramente la vittima dal carnefice. L’effetto di questa scena in primo piano è reso ancora più drammatico dall’alienante sfondo, costituito da poche linee tracciate direttamente sulla tela grezza. Si tratta di uno scenario quasi mediterraneo, con una linea azzurra che sembra tracciare un placido pomeriggio sul lungo mare, con qualche macchina e dei personaggi che passeggiano ignari della tragedia che si sta consumando. A ben vedere però questo sfondo non è del tutto slegato dalla scena in primo piano. Se si osserva la base della croce, si individuano due diagonali che sembrano quasi aprire un varco nella croce stessa, in prossimità del quale la scura materia pittorica si dissolve. Una porta che conduce verso il pacifico sfondo, ma che osservando bene ha qualche analogia con la ghigliottina, quasi come se l’orrore soprastante sia passaggio obbligato per raggiungere la tranquillità di cui abbiamo solo un miraggio. Un passaggio che potrebbe anche essere letale.

a destra: fotogramma tratto da La Corazzata Potemkin di Sergej Eisenstein sotto: Frammento di una crocifissione, 1950

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sotto: Tre studi per una

Tre studi per una Crocifissione, 1962

Crocifissione , 1962

197,2 x 147 cm per pannello Guggenheim Museum, New York

In questo secondo trittico, dipinto sotto effetto dell’alcol, non sono più le Eumenidi ad essere protagoniste ma forme altrettanto organiche e primitive: carcasse di carne macellata, che tanto affascinano l’artista. Rispetto ai “Tre studi” del 1944 la composizione è squilibrata: l’azione non è, infatti, equamente distribuita sui tre pannelli e neanche centralizzata come succede nella maggior parte dei trittici successivi.

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Qui, infatti, è il pannello di destra a catalizzare l’attenzione: una carcassa che sembra quasi contorcersi appesa ad una struttura geometrica che si ritroverà nei due trittici successivi. Sembra proprio una di quelle carcasse appese nei macelli, ma la bocca ha, di nuovo, qualcosa di umano. La carcassa sinuosa è ispirata al celebre Crocifisso di Santa Croce a Firenze realizzato da Cimabue nella seconda metà del XIII secolo, che qui Bacon capovolge. Bacon racconta di aver sempre avuto la sensazione, osservando quest’opera, di un verme che striscia giù dalla croce. Interpretazione, la sua, non così blasfema se si pensa che Cristo stesso si definisce <<un verme e non un uomo>>. Il pannello centrale non è meno sanguinolento: un uomo (come reso evidente dalla testa/teschio) su un letto, ridotto ad una poltiglia di carne da una raffica di colpi, forse di mitra. I colpi sono chiaramente visibili nel corpo, nel letto, nella parete, e nella finestra oscurata, dove si confondono con gli spruzzi di sangue. La crocifissione diventa un fatto di cronaca. Nel pannello di sinistra invece il punto di vista sembra essere posto dietro al tavolo che s’intravvede nella parte inferiore; tavolo su cui sono esposti due pezzi di carne. La carne per Bacon è affascinante, non solo per il colore, ma perché per lui rappresenta benissimo la vita, la violenza dell’uno verso l’altro che ha da sempre caratterizzato l’esistenza umana. È un “memento” continuo all’uomo, che altro non è per l’artista che una potenziale carcassa, né più né meno che gli animali esposti nelle macellerie. Nello stesso pannello, due uomini ci osservano con una certa indifferenza, intenti a girare per la stanza o forse nel procinto di uscirne. I tre pannelli sono uniformati dallo sfondo: una stanza curva, un anfiteatro dai toni forti che per la sua forma tende ad inglobarci. E allora, forse siamo anche noi in questa stanza: l’ombra che si staglia sul podio del pannello di destra potrebbe essere proprio la nostra.

a destra e sotto: Tre studi per una Crocifissione, pannello centrale (dettaglio)

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a sinistra e sotto: Cimabue, Crocifisso, 1274 a destra: Tre studi per una Crocifissione, pannello di destra

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Crocifissione, 1965

sotto: Crocifissione, 1965

197,2 x 147 cm per pannello Staatsgalerie Moderner Kunst, Monaco Contrariamente alla precedente opera, questo trittico dai colori più freddi ha una composizione maggiormente pianificata. La composizione è classica: un pannello centrale come elemento di maggior impatto emotivo e due pannelli laterali che dialogano dal punto di vista compositivo. Una parete piana, continua e regolare su tutti e tre i pannelli, fa da sfondo uniforme alla messa in scena di tre differenti forme di morte violenta. Il pannello centrale è forse un’ulteriore elaborazione del già citato Crocifisso di Cimabue. Di sicuro la struttura su cui la figura è fissata è molto simile al podio del trittico precedente.

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a sinistra: immagine tratta da La fugura umana in movimento di Eadweard Muybridge sotto: confronto tra la donna di Muybridge e un particolare del pannello di sinistra

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La carcassa qui è però meno definibile; non si può neanche dire se si tratti di un unico corpo o di due fusi insieme. La parte sdraiata in orizzontale è certamente umana: si vedono chiaramente due mani, due braccia fasciate e una testa rialzata, con lo sguardo rivolto verso di noi, chiusa tra due spalle slogate. La parte appesa in verticale non ha però né aspetto né colori umani; s’intravvede in basso una testa di uccello. Il pannello di sinistra raffigura di nuovo una figura brutalmente uccisa su un letto, con una testa/cranio analoga alla vittima del pannello centrale del trittico del ’62. Bacon vi posiziona anche un nudo femminile, le cui forme sono derivate da una tavola fotografica di Muybridge in cui l’artista ha evidenziato isolandolo dallo sfondo il modello prescelto. La donna, indifferente alla morte drammaticamente presente al suo fianco, sembra avere un dialogo visivo con le due misteriose figure del pannello di destra. Il pannello di destra, per quanto sembri essere il meno cruento, è quello che ha fatto maggiormente parlare. Sono presenti prima di tutto le due figure con Panama inginocchiate e con lo sguardo rivolto verso la donna del pannello di sinistra. Non sappiamo chi sono e se siano o no coinvolte in un qualche modo con le violenze in corso; in ogni caso non sembrano prestarci particolarmente attenzione. Ma la figura più controversa è quella in primo piano. A prima vista potrebbe sembrare come un unico personaggio, la cui sagoma ricorda la figura del Discobolo greco. Osservando bene si individuano due persone, una delle quali nell’atto di uccidere l’altra. Proprio il carnefice presenta un dettaglio per il quale è quasi impossibile non dare interpretazioni: una fascia rossa con svastica, di triste ed inevitabile memoria. Bacon ha sempre negato di aver voluto dare un qualsiasi significato alla cosa: semplicemente cercava qualcosa che rompesse la continuità del braccio e in quel momento gli capitò tra le mani una fotografia a colori di Hitler con i suoi uomini, tutti con questa fascia. Ammette senza troppi problemi che la scelta non è forse stata felice, ma era l’unica possibile in quel preciso momento. È stata una scelta formale e non simbolica. Bacon mette qui in scena la sua personalissima concezione della vita, che è fatta di esibizionismo (il nudo femminile), violenza inferta e subita, indifferenza nei confronti della violenza e voyeurismo (i due uomini).


a destra e a sinistra: Crocifissione, pannello centrale e dettaglio sotto: Tre studi per una Crocifissone 1962, pannello di destra

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sotto: Seconda versione del trittico 1944, 1988

Seconda versione del trittico del 1944, 1988 197,2 x 147 cm per pannello The Francis Bacon Estate

Dopo vent’anni di silenzio sul tema in questione, e oltre quarant’anni dopo la prima versione, Bacon ritorna sul trittico che ha segnato l’inizio della sua vera e propria carriera artistica. Si tratta di una rielaborazione formale: l’arancione acceso è qui sostituito da un rosso pesante, macchiato da ombre fumose nere.

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Le figure sono riproposte come nell’originale, ma la tecnica pittorica dell’artista è nel frattempo maturata, risultando meno grezza. Inoltre queste occupano in proporzione una porzione minore della tela rispetto a quelle del ’44 che saturavano l’intero spazio. Anche lo sfondo è modificato: non si riconoscono più le stanze allucinate e claustrofobiche disegnate dalle sottili linee prospettiche.

a sinistra: Tre studia per figure alla base di una Crocifissione, 1944

Dal punto di vista compositivo, il pannello centrale è messo ulteriormente in risalto dal trattamento diverso del fondale. Qui, infatti, non c’è il trattamento monocromo degli altri due pannelli: la figura è come posta su un podio, forse lo stesso presente nei trittici del ’62 e del ’65. Queste rielaborazioni unicamente formali pongono l’accento sul come per Francis Bacon, più che il soggetto vero e proprio, sia la pittura a contare. Il che non deve stupire per un uomo che ha sempre affermato di voler dipingere una bocca come Monet dipingeva un tramonto.

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sotto: Here I Am - Me as a House, 1990

Se si possono rintracciare dei precedenti, o meglio dei modelli, per Francis Bacon nel passato prossimo o remoto della storia dell’arte, il discorso per quanto riguarda eventuali imitatori nel presente diventa più complicato. Bacon ha infatti elaborato un suo particolare e personalissimo linguaggio che difficilmente lo rende assimilabile ad un movimento o ad un “ismo” passibile di avere seguaci. Più che di epigoni si potrebbe parlare di alleati nella rappresentazione dell’uomo contemporaneo: artisti che condividono con Francis Bacon, consapevolmente o meno, pensieri, procedimenti e tecniche. O semplicemente si può parlare di artisti che gli rendono omaggio, citandolo più o meno esplicitamente.

44 David Lynch Nato nel 1946 a Missoula nel Montana, David Lynch è l’incubo che s’insidia nell’American Dream. Si dedica alla pittura fin dal liceo, finito il quale si iscrive a vari istituti d’arte. Dal ’63 al ’64 è a Washington alla Corcoran School of Art, che lascia l’anno dopo per la Boston Museum School. Dal 1965 e per due anni frequenta la Pennsylvania Academy of Fine Arts di Philadelphia, dove conosce l’arte di Jackson Pollock e di Franz Kline. Dell’Espressionismo Astratto riterrà nella sua arte pittorica l’immersione quasi inconscia nella materia e nel segno. Le sue sono opere che incorporano frasi e vari materiali, in cui le figure, spesso isolate, sono rese da grovigli informi di materia e in cui domina il nero, colore che lui considera onirico per eccellenza. Affascinato dalle texture, in particolar modo da quella della carne, Lynch cerca di sviluppare le sue opere tenendo distanti razionalismi, giudizi o qualsiasi altra forma di interferenza. Reagisce a quello che accade, ottenendo spesso un risultato molto lontano dalle sue previsioni iniziali e non cerca mai di dare un’interpretazione alla sua opera. É evidente come questi elementi lo rendano molto simile a Bacon, almeno per quanto riguarda l’importanza dell’accidentale nella sua opera. Lynch si avvicina al cinema nel ’67: una sera, mentre dipingeva una tela nera con un giardino, afferma di aver sentito come una leggerissima brezza provenire dalle fronde verdi dipinte. Da questo punto


inizia la sua ossessione per il movimento, e il cinema diventa per lui il modo per dare moto e suono ad un dipinto. Proprio in questa sua ossessione è principalmente rintracciabile il rapporto con l’arte di Francis Bacon, artista che lui ha più volte affermato di considerare come il più importante del XX secolo. Se, infatti, nella sua arte pittorica, per molti versi astratta nella sua figuratività e innegabilmente surrealista, non sono rintracciabili analogie evidenti, nel suo cinema sono molteplici i riferimenti al maestro inglese. Il tema del grido, ad esempio, e della conseguente deformazione del viso è ricorrente. Ed alcune scelte di regia sembrano legarlo innegabilmente a Bacon. Si prenda come esempio la sequenza finale di “Lost Highways”: nell’urlare il volto del protagonista Ben si deforma sempre più, il tutto in una luce azzurrognola. Il confronto con “Three Studies of a Human Head” del 1953 è impressionante: Lynch ha letteralmente dato vita all’opera di Bacon. E non è l’unico rimando presente nel film. Gli spazi labirintici hanno sempre un qualcosa di baconiano, ma ecco che all’improvviso, una figura misteriosa (appunto nota come Mistery Man) fissa, senza nessuna apparente ragione, il protagonista attraverso una telecamera. Scena surreale che ricorda, certo non a caso, il pannello di destra del trittico “Marzo, 1974”. Anche nel celebre serial televisivo “Twin Peaks” Bacon sembra dettare alcune scelte, insieme con altri artisti. Se le scenografie della cittadina persa nell’America profonda ricordano i paesaggi degli anni ’50 di Edward Hopper, il grido di Bobby tra le sbarre della prigione alla fine dell’episodio pilota sembra dovere molto agli studi su Innocenzo X. E anche la stanza onirica dell’agente Cooper, con il suo perimetro spaziale definito unicamente da tendaggi, può far sorgere alcuni sospetti. Così come Bacon parte dalla persona per indagarla e scavarla nel profondo, la cinematografia di Lynch parte dal normale e dall’universalmente riconoscibile per trasformarlo in un qualcosa d’inquietante e orrorifico. Portando all’estremo lo stereotipo, dilatandolo temporalmente, lo deforma, introducendo così l’ambiguità. L’effetto prodotto dall’ambiguo che Lynch introduce nel normale è paragonabile a quello prodotto dalle bocche umane che Bacon inserisce nelle carcasse macellate.

a destra: Eat My Fear, installazione per la New York Cow Parade sotto: This man was shot 0,9502 seconds ago, 2004

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a sinistra: confronto tra un fotogramma di Twin Peaks e Studio dal “Ritratto di Innocenzo X�, 1953 (dettaglio)

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confronto tra fotogrammi estratti dalla sequenza finale di Lost Highways e Tre Studi di Testa Umana del 1953


a destra: confronto tra un fotogramma di Twin Peaks e Figura Seduta del 1961 a sinistra: confronto tra una sequenza di Lost Highways e il pannello di destra di Trittico Marzo 1974

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Esposizioni: 1967

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Filmografia: 1967 1968 1970 1974 1976 1980 1984 1986 1990 1990-91 1992 1997 1999 2001 2006

Six figures (corto) The Alphabet (corto) The Grandmother (corto) The Amputee (corto) Eraserhead The Elephant Man Dune Velluto Blu Cuore Selvaggio Twin Peaks (serie televisiva) Fuoco cammina con me Lost Highways Una storia vera Mulholland Drive Inland Empire

personale alla Vanderlip Gallery, Philadelphia, USA

1969

personale alla Paley Library Gallery, Philadelphia

1979

collettiva the International Art Fair, Washington, D.C.

1983

personale a Puerto Vallarta, Messico

1987

personale alla James Corcoran Gallery, Los Angeles, USA

personale alla Rodger LaPelle Galleries, Philadelphia, USA

Pennsylvania Academy of Fine Arts: Fellowship 1897-1987, 90th Anniversary Exhibition,

Philadelphia, USA

1988

personale alla Rodger La Pelle Galleries, Philadelphia

1989

collettiva alla University of Hawaii, Honolulu, USA

personale alla James Corcoran Gallery, Los Angeles, USA

personale alla Leo Castelli Gallery, New York, USA

1990

personale alla Tavelli Gallery, Aspen, USA

personale alla No. 0 Gallery, Los Angeles, USA

1991

personale al Museum of Contemporary Art, Tokyo, Giappone

“Strange Magic: Early Works�, Rodger La Pelle Galleries

1992

personale alla Sala Parpallo, Valencia, Spagna

personale al Palazzo Medici Riccardi Museo Mediceo, Firenze

1993

personale alla James Corcoran Gallery, Los Angeles, USA

1995

personale alla Kohn/Turner Gallery, Los Angeles, USA

personale al Painting Pavillion, Open Air Museum, Hakone, Giappone


1996

personale alla Park Tower Hall, Tokyo, Giappone

personale alla Namba City Hall, Osaka, Giappone

personale alla Artium, Fukuoka, Giappone

1996/1997

“Dreams”, Parco Gallery, Tokyo

1997

personale alla Galerie Piltzer, Parigi, Francia

Salone del Mobile, Milano

collettiva fotografica al Contemporary Arts Center, Cincinnatti

1997/1998

“Night and City”: Homage to Film Noir, Seattle Art Museum, Seattle

1998

“Sinn und Form”, collettiva di arredamento all’International Design Zentrum, Berlino

“Exquisite Corpse”, Ann Arbor Art Center

1999/ 2000

collettiva “So Faraway, So Close”, Espace Méridien, Brussels

2000

collettiva “Let’s Entertain”, Walker Art Exhibition Center, Minneapolis

2001

personale fotografica al festival Le Printemps de Septembre, Tolosa

2001

personale, Centre de Cultura Contemporània de Barcelona, Barcellona

personale fotografica al Center for Photographic Art, Sunset Center, Carmel

2007

“The Air is on Fire”, Fondation Cartier pour l’Art Contemporain, Parigi

2007/2008

“The Air is on Fire”, La Triennale di Milano, Milano

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sotto: Oui!

Ahmed Shahabuddin

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Nato nel 1950 in Bangladesh, negli anni Settanta, a soli ventuno anni, è arruolato nell’esercito di liberazione e prende parte in prima linea ai combattimenti. Questo periodo tragico lascia tracce indelebili in Shahabuddin, autore di una pittura figurativa fortemente espressionista. In seguito alla separazione dal Pakistan occidentale, Ahmed Shahabuddi si trasferisce in Francia grazie ad una borsa di studio messa a disposizione dallo Stato francese per i giovani intellettuali bangladesi. Nella Ville Lumiere studia all’École des Beaux-arts e, in seguito alla notizia delle riprese delle ostilità in Bangladesh, decide di rimanere in Francia. Una sera, nel 1977, passeggiando nel quartiere delle gallerie d’arte e incuriosito dal blocco di folla che invade Rue des Beaux-arts, entra nella galleria Claude Bernard dove c’è il vernissage della mostra di Francis Bacon. Per lui è uno shock: che senso ha dipingere dopo questo? L’incontro è decisivo. Non cessa di dipingere, al contrario diventa ossessionato da Bacon al punto da voler essere rappresentato dalla stessa galleria. Comincia così ad insistere presso la Claude Bernard, che dopo un po’ accetta di venirgli incontro aprendo una sezione dedicata a giovani emergenti. Anche se questa esperienza non ha avuto un esito significativo, Shahabuddi espone ora in tutto il mondo, anche se non può tornare nel suo paese natale dato che la sua pittura figurativa non è particolarmente apprezzata dagli integralisti locali. Nel 1992 è stato definito come uno dei 50 Maestri dell’Arte Contemporanea alle Olimpiadi dell’Arte di Barcellona. Il suo è un Espressionismo carico di energia, così com’è energetica la pittura di Francis Bacon. Nelle sue opere fa trasparire le sofferenze subite e gli orrori visti in prima persona. Eppure non dipinge la guerra; non sceglie di rappresentare la morte. È un ottimista, forse di quello stesso ottimismo totalmente senza speranza che Bacon affermava di avere. Mette in scena con rapidi tocchi di colore corpi che nei loro spasmi muscolari sembrano quasi degli atleti nel massimo del loro sforzo fisico; sembrano fiamme di energia vitale che stagliano su sfondi monocromi che, come per Bacon, mettono in risalto le figure, annullando qualsiasi tentativo di stabilire una eventuale narrazione.


a sinistra: Autoritratto: “Vittoria�,1991 sotto: Il Mondo, 1994

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a destra: La Vita, 2007 sotto: Protezione

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sotto: Gandhi, 1994

Esposizioni:

1985

collettiva alla Gallery 7, Mumbai

1988

personale alla Gallery 7, Mumbai

1990

collettiva alla Gallery Espace, New Delhi

1993

collettiva alla Jahangir Art Gallery, Mumbai

collettiva “Still Life”, Sakshi Gallery, Mumbai

1992

personale alla Gallery 7, Mumbai

collettiva alla Gallery Espace, New Delhi

1993

collettiva “Recent Trends in Contemporary Art”, Vadehra Art Gallery, New Delhi

1994

personale alla Sakshi Gallery, Mumbai

collettiva “New South”, Kapil Jariwala Gallery, London

collettiva “New Shows for Mercury”, Sakshi Gallery, Mumbai e Bangalore

collettiva “Colour of Independences”, Lalit Kala Akademi, Rabindra

collettiva “Gift for India”, New Delhi e Mumbai

1999

personale alla Nazar Gallery, Vadodara

collettiva “Small format”, Art Today, New Delhi

collettiva “Figures in Landscape”, Guild Gallery, Mumbai

9th Asian Art Binnale Dhaka, Bangladesh

collettiva “Edge of the century”, Art Today, New Delhi

collettiva “Icons of the millennium”, lakeeren gallery Mumbai

collettiva “Creative Process”, Guild art Gallery, Mumbai

1998

collettiva “Embarkations”, Sakshi Gallery, Mumbai

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sotto: Runner, 1994

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collettiva “Exile & Longing”, Lakeeran Art Gallery, Mumbai

collettiva “Voices against violence - Artist against communalism”, Faculty Fine Art

Gallery, Vadodara

2002

collettiva “Work on Paper”, Gallery Threshold, New Delhi

2003

collettiva “Painting from National Gallery of Modern Art, Mumbai”, Omani Society for fine

art Muscat, Sultanato dell’Oman

collettiva “Anticipations”, Jahangir Art Gallery Mumbai

collettiva “Tribute of Bhupen Khakhar”, Tao Art Gallery, Mumbai

collettiva “Looking back looking forward”, Sarjan Art Gallery, Vadodara

collettiva “Transgress”, Priyasri Gallery Mumbai

collettiva “A journey, in aid of Cancer patients”, Gallery Art & Soul, Mumbai

2004

collettiva “Templations: Temperaments”, Anant Art Gallery New Delhi

collettiva “The Chair Project”, Sarjan Art Gallery Vadodara

collettiva “Double Enders”, New Delhi, Bangalore e Cochin

2005

collettiva “Noah’s Ark”, Gallery Art & Soul, Mumbai

collettiva “Is my Love like a Red Red Rose”, Sarjan ArtGallery, Vadodara

collettiva “Wise Man’s Drink”, Lemon Grass Hopper, Ahmedabad

collettiva “Panchmadi show”, Lanxes ABS Gallery, Vadodara

collettiva “Painting a New Theatre”, Tao Art Gallery, Mumbai

collettiva “Contemporary Indian Art”, University of the arts, London

collettiva, Bose Pacia Gallery, New York

collettiva “Annual Show”, Birla Academy, Calcutta

2006

personale alla Gallery Espace, Delhi


Michael Ebel

sotto: Collage V

Nato nel 1982, vive e lavora a Dresda. Dichiara di voler fare un’arte che si stagli contro l’elitarietà dell’arte moderna, generalmente destinata ad una cerchia ristretta d’intenditori. Le sue opere presentano un mix di elementi Pop e di fotorealismo, integrati da un colore fortemente espressivo. Per sua stessa ammissione Bacon è tra i suoi modelli e la cosa è palesata in alcuni volti, come quello deformato da una smorfia dell’uomo raffigurato in “Kunstliebhaber”. Arriva fino a fargli un ritratto omaggio, “Bacon 3”, raffigurandolo in una posa presa da una fotografia dell’artista nel suo studio. Nello stesso quadro, sulla destra, un uomo di spalle sembra osservare una parete sulla quale idealmente potrebbe collocarsi un’opera del maestro, in una sorta di doppio omaggio. Ebel inserisce nelle sue opere delle fotografie. Sono fotografie stracciate, stropicciate, piegate e su cui l’artista interviene a volte con l’applicazione di colore. Fotografie insomma che subiscono un trattamento non dissimile da quello che subivano le fotografie presenti nello studio di Francis Bacon.

Esposizioni: 2002

personale alla Galerie Geburek, Dresda

2003

collettiva alla Kusthaus Schächtele, Dresda

2004

collettiva alla Ihlenfeld Galerie für Moderne Kunst, Berlino

2005

personale alla Galerie Geburek, Dresda

2006

personale “Kunst + Kunst – Galerie, Schneide/Lange”, Dresda

2007

collettiva alla Kunstaus Autos

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a destra: Kustliebhaber sotto: Bacon Drei

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Guido Anderloni

a destra: Autoritratto, 1994 sotto: Portrait, 1999

Nato a Milano nel 1960, studia all’Accademia di Brera e lavora tra Spagna e Italia. Le sue prime opere comprendono pittura, installazioni e fotografie. Benché molte delle sue opere, in particolare la sua ultima serie “Still Life”, non abbiano nulla a che vedere con Francis Bacon, una fase del suo lavoro ha in comune con l’artista inglese la concezione del ritratto. Nella serie del 1997 “Personal Details” riduce il ritratto all’essenziale, prendendo in prestito il taglio delle fototessere, la forma più semplice ed immediata d’identificazione. Ma lo scopo non è quello di riprodurre i tratti nel loro dettaglio, cadendo nell’illustrazione tanto esecrata da Bacon; quello che interessa l’artista è la presenza delle persone, la loro aurea anziché l’aspetto. È interessante come anche Bacon persegua questo obiettivo, parlando egli stesso proprio di «aurea». Anderloni parla con i soggetti prima di scattare le foto, in modo da conoscerli un po’ meglio. Dopo questa prima fase di conoscenza, il fotografo lascia aperto l’otturatore per un tempo che può variare da qualche minuto ad un’ora a seconda dei soggetti. L’immagine così ottenuta è fuori fuoco, un’ombra in cui tutti i tratti identificativi sono scomparsi. Eppure, ognuno dei soggetti è stato in grado di riconoscere se stesso o gli amici tra le foto, dimostrando che l’Identità di una persona non si limita al mero aspetto immediatamente percepibile. La sera del vernissage di questa esposizione alla “Care of” di Milano, i visitatori che si avvicinano al buffet sono invitati da un cameriere ad entrare in una stanza per farsi fotografare. Solo così, infatti, riceveranno un timbro sulla mano che permetterà loro di usufruire del buffet. Le fotografie della serata, 103 in tutto, sono state poi sovrapposte e montate da Anderloni in un’unica immagine. L’opera così ottenuta, denominata “103 Africans”, è stata poi esposta l’anno dopo nella medesima galleria. Il titolo dell’opera deriva da un fatto di cronaca motivo di scandalo l’anno prima. Nel 1996 la Spagna espelle dal proprio territorio 103 persone, noncurante dei rischi che possono conseguire al rimpatrio nel proprio paese di origine per alcuni di questi clandestini. Lo scandalo vero e proprio scoppia però quando si viene a sapere che queste persone sono state sedate per evitare incidenti e che lo Stato spagnolo ha versato ad uno Stato africano una cifra attorno ai

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sotto: Portrait, 1996

200 euro per ognuno di loro affinché li accettasse tutti, indipendentemente dal fatto che fossero o meno suoi cittadini. Alla luce di questo avvenimento, Anderloni intende con quest’opera esprimere la sua personale visione della violenza umana, del sopruso dell’uno verso l’altro. Violenza che è ricorrente nell’opera di Bacon, anche se con esito formale diverso.

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Ma l’«emanazione dei corpi» è ancora protagonista in un’altra serie: “Portraits”. In queste fotografie Anderloni cattura la vita come processo, come traccia di un movimento. Trattiene le situazioni e non i soli istanti, come solitamente succede con la fotografia. I gesti e i movimenti che sfumano tra di loro sono ancora emanazione dei corpi che vivono di fronte all’obiettivo. Corpi che sono gli unici soggetti, messi ulteriormente in risalto dallo sfondo monocromo e indefinito.


a sinistra: Personal Details,1996 sotto: 103 Africans, 1997

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sotto: Senza Titolo

Christian Steinhart

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Nato nel 1967 ad Augsburg, dall’89 al ‘90 compie studi magistrali in Arti Plastiche all’Università locale. Nel 1990 si trasferisce a Monaco, all’Accademia di Arti Figurative con R. Tröger (fino al ‘92) e J. Zeniuk (fino al ’94). Nel 1994 entra nell’associazione BBK (Berufsverbande Bildender Kunstler) di Augsburg; si diploma tre anni dopo. Nel ’95 vince il premio d’arte della sua circoscrizione; nel 2000 ottiene il premio speciale della giuria a Marktoberdorf e quello destinato agli artisti emergenti di Augsburg.

Steinhart è autore di un’arte che è chiaramente debitrice a Bacon. I volti sono convulsamente disfatti nella materia pittorica; i corpi bloccati in una lotta già vista ma non per questo meno estenuante. Alcuni soggetti, come il nudo femminile, e alcune scelte cromatiche sono certamente prese in prestito dalle opere di Bacon, ma l’artista tedesco non si limita a farne una copia conforme. In Bacon, infatti, la convulsa rotazione sul proprio asse dei corpi è controbilanciata da uno sfondo definito da ampie campiture piatte di colore. Christian Steinhart, invece, riserva allo sfondo un trattamento altrettanto violento: le rapide pennellate sciolgono l’ipotetica stanza in cui il soggetto si trova in un turbinio di segni, rendendola impercettibile. Steinhart ha inoltre scelto di non dare mai un titolo: anche lui come Bacon non racconta nulla, e forse neanche lui riesce a considerare le sue tele come definitivamente concluse.


a destra: Francis Bacon, Ritratto di Henriette Moraes, 1963 sotto: Senza Titolo a sinistra: Senza Titolo

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a sinistra: Francis Bacon, Tre studi di figere su un letto, 1972, pannello centrale sotto: Senza Titolo

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Esposizioni: -

BBK “Neue Mitglieder 94” da Bert Brechthaus, Augsburg

-

“How to Make a Sexy Painting”, Seidlvilla, Monaco

-

Nordschwäbicshe Kunstausstellung, Donanwörth

-

“Klasse Zeniuk, Works on Paper”, Cincinnati

-

Große schwäbische Kunstasusstellung, Toscan Säulenhalle, Augsburg

-

“Zeichnung, Klasse Zeniug und Reineking”, Galerie Walser, Monaco

-

Sendener Graphikaustellung, Senden

-

Ostallgäuer Kunstausstellung, Modeon, Marktoberdorf

-

Vöhringer Kunstpreis , Vöhringen

-

Bezirkstag Kunstpreisträger 1996-97, Oberschönenfeld

-

Eröffnungsausstellung Gelerie Unartig, Monaco

-

Nationale der Zeichnung, Toscan Säulenhalle, Augsburg

-

“Zeitgenössische Kunst der Bayerischen Schwaben”, Kulturforum, Thierhaupten

-

“Faktor 4”, Ecke-Galerie, Augsburg

-

Schwäbische Künstler in Irrsee, Kloster Irrsee, Augsburg

-

“Schwäbische Landschaft heute”, Kulturforum, Thierhaupten

-

9. Schwabischer Kunstpreis, Kreissparkasse, Augsburg

-

Offene Atelier, AKS, Augsburg

-

Herrmann und Antonia Götz Kunstpreis, Marktoberdorf

-

“Hier und Jetzt”, Galerie Ruetz, Augsburg


BIBLIOGRAFIA David Sylvester, Interviste a Francis Bacon, Skira editore, Milano, 2003 Lorenza Trucchi, Francis Bacon, De Luca Editori d’Arte, Roma, 2005 Mario De Micheli, Il disagio della civiltà e le immagini: Bacon, Giacometti, Cremonini, Ipoustéguy, Jaca Book Maria Müller, Armin Zweite (a cura di), Francis Bacon – The violence of real, Thames & Hudson, Londra, 2006 Rudy Chiappini (a cura di), Bacon, Skira editore, Milano, 2008 Luigi Ficacci, Francis Bacon e l’ossessione di Michelangelo, Electa, Milano, 2008 The South Bank Show – Francis Bacon, di David Hinton, 1988 Palettes - Francis Bacon, di Alain Jaubert per il Centro Pompidou, Parigi, 1996 Passepartout – Questioni Atlantiche, di Philippe Daverio, produzione Vittoria Cappelli s.r.l., prima diffusione RAI 25 aprile 2004 www.francis-bacon.cx

Christian Steinhart:

http://www.myspace.com/moriz67

Michael Ebel:

http://www.ebel-kunst.de

http://micha.artfaceoff.com/biography

Guido Anderloni:

http://www.anderloni.com

Sergio Giusti, Guido Anderloni – Grazie recise, in “Arte”, n°419, luglio 2008, Editoriale Giorgio Mondadori, Milano, pp. 116-121

63


Ahmed Shahabbudin: Gérard Gamand, Shahabuddin, L’elan vital!, in “AZART”, n°33, luglio-agosto 2008, Casta Diva, Parigi, pp. 50-58

64

David Lynch:

http://www.effettonotteonline.com/enol/archivi/articoli/focus- on/200603/200603fo00.htm

http://www.thecityofabsurdity.com/


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