I-AM _ BOOK 1 _ Miami

Page 1

MIAMI



PARTE I

Cenni storici sulla Florida del Sud: nascita ed evoluzione di Miami

Gli inizi Periodo di guerre Mobilità interna: da Nord verso Sud L’arrivo della ferrovia L’inizio del XX secolo La “Magic City” Depressione e II Guerra Mondiale Anni ’60 e’70 Anni ‘80

pg. 4 pg. 6 pg. 9 pg. 11 pg. 15 pg. 17 pg. 23 pg. 26 pg. 30

PARTE II Una storia architettonica

Gli inizi Lo stile Mediterraneo Lo stile Art Deco Lo stile Moderno Anni ‘80 Esplorando le tradizioni regionali Oltre il moderno Ritorno alle origini: l’arte, l’architettura, il paesaggio

pg. 39 pg. 43 pg. 49 pg. 59 pg. 65 pg. 71 pg. 76 pg. 82

PARTE III L’immigrazione a Miami: opportunità e problematiche

1880 – 1900 1901 – 1919 1920 – 1925 1926 – 1940 1941 – 1953 1954 – 1963 1964 – 1974 1975 – 2000

pg. 89 pg. 89 pg. 91 pg. 92 pg. 95 pg. 99 pg. 101 pg. 106

1


2


PARTE I Cenni storici sulla Florida del Sud: nascita ed evoluzione di Miami

3


GLI INIZI Le prime testimonianze della presenza umana in Florida del Sud risalgono a più di 10000 anni fa. Si tratterebbe di popolazioni provenienti molto probabilmente dall’Asia che avrebbero raggiunto il continente americano sfruttando un passaggio, formatosi durante l’era glaciale, tra la Siberia e l’Alaska. Raggiunta l’attuale Florida s’installarono sulle rive dei fiumi, come testimoniano i ritrovamenti di resti di insediamenti su entrambe le rive del Miami River, in prossimità della foce. Anche se i resoconti degli spagnoli parlano dell’esistenza, al loro arrivo nel 1513, di un grande villaggio sulla riva nord del fiume, sappiamo da uno scavo archeologico del 1998 che la riva sud è stata abitata fin dal 750 A.C. In quello che è stato soprannominato il Miami Circle, un insediamento composto da capanne circolari, sono stati rinvenuti oggetti che rendono conto di attività commerciali con altre tribù della Georgia e della regione dei monti Appalachi. Per ragioni a noi sconosciute questo insediamento viene abbandonato verso il 1200. Nei primi anni del XVI secolo, Juan Ponce de Leòn approda in Florida. Nel 1493 si era unito a Cristoforo Colombo, aiutandolo con l’insediamento sull’isola di Hispaniola. Per lui non era abbastanza e, nel 1508, entra anche lui nella storia come scopritore di nuove terre. Giunge, infatti, sulle coste di Porto Rico, di cui sarà governatore fino all’arrivo del figlio di Colombo, Don Diego. Decide quindi di proseguire il suo viaggio e salpa il 3 marzo 1513, fidandosi delle voci che corrono tra i nativi riguardo all’esistenza di un’isola più a nord, chiamata Bimini, sede della magica sorgente dell’eterna giovinezza. Non trova l’isola cercata, ma dopo 25 giorni di navigazione avvista all’orizzonte, verso ovest, un’ampia porzione di terra. Una settimana dopo sbarca in un punto situato tra quelle che sono oggi Saint Augustine e Jacksonville, su quello che è, a sua insaputa, un nuovo continente interamente da esplorare. Ponce de Leòn è convinto di aver scoperto una nuova isola, che battezza Pascua Florida, dal nome di un festa floreale che si svolge in periodo pasquale. Tre mesi dopo giunge all’odierna Biscayne Bay dove scopre l’isola di Santa Marta (oggi Key Biscayne) e l’insediamento di Chequescha, primo nome con cui è nota Miami. I nativi della Florida del Sud sono noti agli spagnoli come Tequestas. Nel 1521, Ponce de Leòn tenta di colonizzare la parte sud-ovest della Florida, ma viene mortalmente ferito dai nativi e gli spagnoli vengono respinti. Nei seguenti quarant’anni sono in molti a tentare la conquista della Florida, ma la loro attenzione si sposta con la scoperta delle ricchezze del Messico e del Perù. Fino a metà del secolo, la forza degli spagnoli è tale che nessuna altra nazione europea osa mettere in dubbio il loro controllo sui territori oltreoceano. Il loro potere comincia a vacillare quando le potenze nemiche si appoggiano ai pirati per rapinare le navi della flotta spagnola. Nel 1562 i francesi riescono a fissare un avamposto che chiamano Fort Caroline, vicino all’attuale Jacksonville. In reazione, il re Filippo II nomina Pedro Menéndez de Avilés governatore della Florida con l’evidente compito di scacciare i francesi. Nel 1565 gli spagnoli attaccano Fort Caroline e vincono, fondando Saint Augustine, il primo insediamento permanente dei futuri Stati Uniti d’America. Per mantenere la posizione riconquistata, vengono costruiti degli avamposti e vi vengono stanziati dei soldati. L’anno seguente Menéndez de Avilés si dirige verso il sud della Florida, segnato da un’aura misteriosa per via dei numerosi naufragi avvenuti in prossimità delle sue coste, in uno dei quali ha perso egli stesso un figlio. Nel febbraio 1566, mentre stanno per gettare l’ancora, gli spagnoli vedono venire loro incontro una canoa con a bordo quello che credono essere un indiano, nudo e con la pelle dipinta. L’uomo agita in aria un crocifisso: è presto chiaro che non si tratta di un nativo ma di un sopravvissuto ad un naufragio, Hernando d’Escalante Fontaneda. Nei 17 anni passati da solo, ha esplorato l’area e registrato i vari villaggi indigeni, entrando in contatto con loro e imparando la loro lingua. La sua esperienza è tale da farlo diventare subito guida ed interprete al servizio del governatore. Menéndez lascia sulla costa ovest due avamposti e torna a l’Havana da dove progetta di dirigersi verso est, dove la sua guida gli ha parlato di un posto comandato da un capo

4


chiamato Tequesta. In realtà a scrivere il primo capitolo della storia di Miami è un gruppo di ammutinati fuggiti dal forte di San Mateo, vicino a Jacksonville. Finita l’acqua potabile, gli uomini gettano l’ancora nella Biscayne Bay. Mentre alcuni scendono sulla terraferma, quelli rimasti sulla nave approfittano di un improvviso vento favorevole per andarsene. Sarà proprio questo vento a portarli dritto verso le navi spagnole che li stanno cercando; riportati all’Havana gli uomini raccontano dei loro compagni rimasti a Tequesta. Pedro Menéndez Marqués, il nipote del governatore incaricato di cercarli, vi arriva nell’ottobre 1566 e trova gli uomini in buona salute e entusiasti della loro nuova vita con i nativi. Gli indiani non vogliono che gli spagnoli vadano via, e per dimostrare la sua buona fede il capo manda a L’Havana il suo stesso fratello affinché inviti il governatore. Nel febbraio 1567, Pedro Menéndez Marqués invia un gruppo di 30 uomini capitanati dal gesuita Francisco Villareal il cui compito è di stabilire una missione per pacificare e convertire gli indigeni. Nel primo periodo tutto sembra andare bene, ma la situazione degenera rapidamente: i soldati spagnoli detestano la Florida, con il suo caldo umido e i suoi insetti. Annoiati e scontenti, molestano le donne e infastidiscono gli uomini, insultano e prendono in giro la popolazione locale. Esasperati gli indigeni chiedono loro di partire. Villareal cerca di convincere i soldati a comportarsi correttamente, mentre le sue illusioni riguardo alle conversioni crollano sempre più. La situazione diventa insostenibile quando un soldato uccide un anziano, scatenando la risposta violenta degli indiani che uccidono quattro soldati. Una nave arriva giusto in tempo per salvare e riportare indietro gli spagnoli ancora presenti nella missione. Pochi mesi dopo gli spagnoli guadagnano un alleato inatteso: il fratello del capo di Tequesta torna dalla Spagna come Don Diego e convince il suo popolo a dare una seconda possibilità agli spagnoli. La missione è riaperta nel 1568, anche se non durerà a lungo: due anni dopo le attenzioni dei gesuiti si rivolgono altrove, fuori dalla Florida, verso gente più propensa alla collaborazione. Questa breve esperienza fu comunque positiva: gli spagnoli fecero molto per mantenere rapporti amichevoli con i locali, guadagnandosi il loro soccorso in caso di naufragio. Nel XVIII secolo l’Inghilterra ha già stabilito sul territorio americano tredici colonie stabili, nucleo di base dei futuri Stati Uniti. Dalla Georgia l’espansione verso la Florida, in gran parte ancora non colonizzata, è rapida. La situazione per gli indigeni è in ogni caso già precaria: le nuove malattie, le continue lotte tra le varie tribù, i sacrifici umani e il dilagare dell’alcool li hanno già drasticamente debilitati. L’avanzata degli inglesi non trova quindi grossi ostacoli: man mano che penetrano nei territori distruggono i villaggi e riducono in schiavitù le popolazioni locali. Gli indiani ripiegano quindi verso sud, sulle isole Keys; disperati, molti capi tribù si recano a L’Havana per chiedere il permesso di ritirarsi su Cuba. Da Cuba partono diverse navi in soccorso alle popolazioni indigene, ma per una qualche ragione gli indiani abbandonano le navi. I cubani, offesi da questo comportamento, cambiano il loro punto di vista: per gli spagnoli è più conveniente da un punto di vista strategico aiutare gli indiani direttamente sul territorio della Florida, mantenendoli così come baluardo contro l’avanzata dei Creeks, gli indigeni favorevoli agli inglesi. Nell’estate del 1743, i religiosi Joseph Maria Mónaco e Joseph Xavier de Alaña tornano a Tequesta con alcuni soldati. Vi ricostruiscono una nuova missione, battezzata Pueblo de Santa Maria de Loreto, il secondo nome con cui ci è nota la futura città di Miami. Nell’area circostante sono rimasti circa 180 indiani; ormai non più amichevoli come un tempo, essi insultano, chiedono alcool e soldi. I preti sono ancora fiduciosi nel futuro della missione, ma dalla Corona spagnola arriva l’ordine di abbandono. Due decenni dopo gli spagnoli rinunciano anche al resto della Florida. Il 1763, con il Trattato di Parigi, vede infatti la fine di una guerra durata sette anni e che ha visto fronteggiarsi francesi e indigeni. La Spagna cede la Florida a patto di mantenere il controllo su L’Havana, caduta nel frattempo in mano inglese. Il passaggio di potere è un colpo letale per i nativi: sono rimaste solo un’ottantina di famiglie, concentrate a Key West e pronte ad abbandonare la loro terra per seguire gli spagnoli verso Cuba. Gli inglesi sono i veri vincitori del Trattato: ottengono infatti sia la Florida che il Canada. Agli spagnoli ancora presenti sul territorio floridese è lasciata libera scelta sul restare o meno, ma la maggior parte è fermamente convinta dell’impossibilità di coabitare con l’eresia inglese. L’Inghilterra prende quindi possesso di una vasto territorio praticamente spopolato, fatta eccezione di qualche gruppo di Creeks, ora chiamati indiani Seminoles (termine

5


della loro lingua indicante i “rinnegati”). La Florida viene divisa dal punto di vista amministrativo in due parti: la East Florida, che si estende dall’oceano Atlantico fino al fiume Apalachicola, e la West Florida, che prosegue fino al Mississippi. Dal 1765 in poi, John William Gerard de Brahm, un cartografo tedesco, si occupa di redigere nuove mappe della zona, cambiando numerosi toponimi. È così che Biscayne Bay diventa temporaneamente nota come Sandwich Gulf, mentre Rio Ratones (nome spagnolo per il Miami River) è rinominato Garbrand River. Bernard Romans, un altro cartografo e naturalista mandato dalla Corona, riscopre i resti del Pueblo sulla riva nord del fiume che lui chiama Ratton. Entrambi gli uomini si lamentano dell’assenza di insediamenti permanenti e prendono nota della frequente presenza di pescatori e navigatori provenienti dalle vicine Bahamas, già di proprietà inglese dal 1647. Intanto, a Londra, il governo inglese fa pubblicare sui giornali annunci che invitano al trasferimento nei nuovi possedimenti oltreoceano, regalando appezzamenti di terreni agli interessati. La maggior parte di questi terreni costituiscono oggi il territorio della Greater Miami. I nuovi proprietari terrieri si organizzano in una comunità dotata di proprie regole, attirando Protestanti da tutta Europa, un po’ come era già successo nel secolo precedente con il Mayflower Compact. Le intenzioni erano buone e se tutti i proprietari coinvolti avessero rispettato le regole, la città di Miami si sarebbe sviluppata con almeno un secolo di anticipo. Nella realtà invece non ci sono notizie di veri e propri insediamenti durante il periodo inglese, estesosi dal 1763 al 1783. Proprio nel mezzo di questo periodo scoppia la guerra d’indipendenza in America e le due parti in cui è divisa la Florida (14 colonie regali e 15 americane) giocano un ruolo insolito, diventando il rifugio per i realisti. Quando questi, infatti, diventano impopolari quanto l’esercito inglese si vedono costretti a scappare, ripiegando verso la Florida. Saint Augustine vive un vero e proprio boom demografico: 12000 realisti vi si riversano da tutte le altre colonie. Senza alcun preavviso, l’Inghilterra annuncia di aver preso la decisione di scambiare la Florida con le Bahamas, nel frattempo conquistate dalla Spagna. Ancora una volta i residenti si trovano a dover prendere una decisione; molti decidono di partire, con il conseguente aumento della popolazione delle Bahamas. La florida entra quindi nel suo secondo periodo di dominazione spagnola, che si protrae dal 1784 al 1821. Viene adottata una politica territoriale più liberale, consentendo anche agli stranieri e ai non-cattolici di ottenere terre in cambio della loro lealtà alla Spagna. L’area di Miami rimane piuttosto deserta, poiché troppo vicina (e quindi non immune alle influenze inglesi) alle Bahamas, rifugio dei realisti che si stanno riorganizzando per riprendersi la Florida. Dalle isole partono in continuazione navi britanniche per compiere attacchi contro gli spagnoli, mentre alcuni una volta sbarcati sulle coste della Florida decidono di rimanervi. È il caso di Charles Lewis, che installa la sua famiglia nell’attuale Fort Lauderdale. Nei primi anni del XIX secolo si sposta nell’insediamento che sorge sul Miami River, vicino all’odierna Vizcaya. Presto sono raggiunti da altre famiglia bahamiane che si installano su entrambe le rive del fiume e su Key Biscayne. La Nassau Royal Gazette ne parla come del Cape Florida Settlement, rendendo conto dell’opinione comune secondo cui la Florida del sud farebbe praticamente parte delle Bahamas. Il numero sempre più alto di naufragi (che siano per cause naturali o provocati) alimenta l’economia locale: si creano vere e proprie squadre di salvataggio sempre pronte ad intervenire. Per la Spagna le Bahamas sono l’ultimo dei problemi. Gli americani premono sempre più sui confini settentrionali, mentre gli schiavi in fuga oltrepassano i confini, stabilendosi in Florida in villaggi che ancora oggi ospitano i loro discendenti (è il caso di Red Bay, sull’isola Andros). La pressione è tale che gli spagnoli abbandonano la penisola nel 1819; due anni dopo la Florida entra a far parte ufficialmente degli Stati Uniti.

PERIODO DI GUERRE In seguito a questo storico cambiamento si pone il problema di come comportarsi con le varie proprietà terriere. Gli Stati Uniti si impegnano a rispettare e a confermare tutte le proprietà antecedenti al 24 gennaio 1818; dai documenti risulta però

6


chiaro che praticamente nessuno sembra prendere in considerazione le terre della Florida del Sud o essere a conoscenza dell’insediamento nato lungo il Miami River. Ben presto però le famiglie bahamiane vengono a sapere dell’esistenza di una Commissione incaricata della questione fondiaria e mandano al Congresso una petizione in cui rivendicano il loro diritto di proprietà su quelle terre dove ormai vivono da 15 anni. Questi appezzamenti di terra costituiscono il nucleo della futura città di Miami. Il primo vero e proprio centro abitato dell’area rimane Key West, in origine Cayo Hueso. Nel 1823 gli Stati Uniti vi stabiliscono una base portuale, quartier generale temporaneo della lotta alla pirateria. Nello stesso anno viene ufficialmente istituita la Contea Monroe, che comprende gran parte del sud della Florida e di cui Key West è capoluogo. Rapidamente vi si costruisce un faro, una dogana e, nel 1828, diventa un Distretto Giudiziario degli Stati Uniti. Ben presto anche l’insediamento di Cape Florida sembra attrarre l’attenzione: nel 1825 gli Stati Uniti acquistano tre acri di terra sull’isola di Key Biscayne. Vi viene costruito un faro, che entra in funzione nel dicembre 1825. Intanto Jacob Housman, arrivato da Staten Island, prende possesso di 12 acri sull’isola di Indian Key dove realizza un piccolo impero personale fatto di negozi, un hotel, sale da gioco e numerose abitazioni. Ovviamente questa nuova e invitante cittadina attira ben presto nuovi residenti. Fitzpatrick, memore della sua grande piantagione di famiglia nella Carolina del Sud, sogna di ricrearne una proprio sulle rive del Miami River e vi acquista parecchi terreni. Lo sconosciuto insediamento diventa ben presto un alveare produttivo. Vengono piantati canna da zucchero, mais, patate e zucche e vengono ampliate le esistenti piantagioni di lime e di cocco. Una grande casa e varie abitazioni per gli schiavi completano il quadro di quella che è per l’epoca una piantagione dalle dimensioni mai viste prima in Florida. In un certo senso Fitzpatrick è anche il primo promotore di Miami: riesce, infatti, a fare leva sul governo in modo tale da garantire la nascita di nuove piantagioni da parte di terzi. I problemi sono però dietro l’angolo: nel 1835 gli indiani Seminole uccidono, in un agguato teso tra Tampa e Ocala, il Maggiore Francis Langhorne Dade e 109 dei suoi uomini. Le motivazioni degli indiani non sono difficili da individuare: al momento della cessione della Florida agli Stati Uniti il governo aveva garantito ai Seminole terre che fossero unicamente di loro proprietà, ma l’avidità degli uomini aveva ben presto fatto saltare i patti. Lo stesso presidente Jackson considerava i nativi pericolosi, un ostacolo a quello che lui pensava essere il Destino dell’America. Per questo non fu un problema per lui appoggiare il piano che prevedeva la loro deportazione in apposite riserve ad ovest. In un primo momento molti indiani accettarono il trasferimento, ma quando un gruppo si ribella e ripiega verso sud inizia una vera e propria guerra con i proprietari terrieri. Il 6 gennaio 1836 i Seminole attaccano una famiglia residente in una delle piantagioni di Fitzpatrick. Uno schiavo riesce a fuggire e a dare l’allarme, in seguito al quale la gente si rifugia presso il faro, in attesa delle navi inviate in loro soccorso da Key West. La Marina manda alcune navi in ricognizione: le piantagioni di Fitzpatrick sono distrutte ma non c’è più traccia degli indiani. Nell’autunno del 1837, sulla riva settentrionale del Miami River, viene ricostruito un nuovo forte, denominato Fort Dallas. Poco dopo la costruzione, un orticoltore di New York, il dottor Henry Perrine, è mandato in Florida con il compito di catalogare campioni di piante tropicali. Nelle sue escursioni si rende conto del fatto che l’area è ancora sotto stretto controllo degli indiani e si trasferisce quindi con la sua famiglia sulla Indian Key, in attesa della fine della guerra Seminole. A Fort Dallas sono troppi i problemi per preoccuparsi seriamente degli indiani: le navi per il rifornimento sono infatti bloccate alla foce del fiume a causa della troppa sabbia. Dalla disperazione l’esercito abbandona il forte ripiegando su Key Biscayne, già adeguatamente attrezzata per i rifornimenti. L’anno successivo riprovano ad occupare Fort Dallas, la cui posizione più vicina alle Everglades è strategicamente più interessante. Poco dopo si decide di posizionarne un altro sul secondo ramo del fiume, in una posizione più adatta al controllo e alla difesa dell’accesso alle Everglades: nasce quindi Fort Miami. L’anno successivo i soldati abbandonano di nuovo la zona per tornare su Key Biscayne, dove nel frattempo la postazione si è stabilizzata sotto il nome di Fort Russel. Con l’aumento delle battaglie, nell’ottobre del 1938 si vedono costretti a riaprire Fort

7


Dallas. Molti indiani sono stati catturati e deportati verso ovest, ma quelli che sono riusciti a scappare si sono rifugiati nelle paludi delle Everglades. Nell’agosto del 1840, nonostante gli avvertimenti giunti a Fort Dallas, riescono ad attaccare Indian Key e a radere al suolo l’impero di Housman. Il 4 dicembre 1840 parte dell’esercito stanziato si dirige verso il campo indiano del capo Chakaika, situato nel profondo delle Everglades. Lo raggiungono dopo giorni di marcia e sferrano l’attacco, uccidendo il capo e i suoi uomini e deportando donne e i bambini nelle riserve ad ovest. Nonostante il continuo aumento dell’attività a Fort Dallas, le Everglades non vengono conquistate del tutto. Nel 1842 il Governo, frustrato dagli insuccessi, abbandona l’idea: la guerra è finita e i legislatori cercano ora modi alternativi per contenere gli indiani. L’Armed Occupation Act garantisce la proprietà di 160 acri ad ogni famiglia che accetti di stabilirsi sul territorio indiano, di coltivarne la terra e di rimanervi per almeno cinque anni. Questa legge da una nuova scarica allo sviluppo della Florida: sono infatti in molti ad arrivare speranzosi. William F. English , nipote dell’ormai stufo Fitzpatrick, si trasferisce nel 1842 nelle sue piantagioni con in mente un sogno ben definito: fondare una nuova città. L’anno seguente da vita al Village of Miami, sulla riva meridionale del fiume. Lungo la via che battezza Porpoise Street, mette in vendita parecchi lotti al prezzo decisamente allettante di 1$; come unica condizione agli acquirenti viene imposto di costruirvi un bell’edificio. English è il primo ad usare il nome Miami per identificare l’area, che viene descritta dal Saint Augustine News come adatta ad ospitare una città per via della sua vicinanza al mare, della presenza di terre fertili e per l’aumento degli abitanti. Nel marzo del 1844 il capoluogo della neonata Dade-County viene spostato proprio qui, mentre English viene nominato Senatore. L’anno successivo la Florida diventa ufficialmente uno Stato degli Stati Uniti. Intanto nella cittadina aprono negozi, una base commerciale e un mulino ad acqua. Nel 1849 un gruppo di uomini della U.S. Coast Survey visita le piantagioni di English e realizza la prima vera mappa della città. Ma proprio quando questa inizia a prosperare arriva la voce dell’uccisione di uno degli ispettori da parte degli indiani nei pressi dell’Indian River. La reazione della gente è immediata: di nuovo tutti fuggono verso il faro. Quando il gruppo di cartografi ritorna, trova la città completamente deserta. Come risposta alla nuova minaccia il Governo invia nuove truppe e riapre per l’ennesima volta Fort Dallas. I soldati vi rimangano per un anno intero, senza avere alcun contatto con gli indiani. Nel frattempo English si trova in California, dove in quegli anni dilaga la Febbre dell’oro, alla ricerca di nuovi capitali da investire nella sua nuova città. Città che in realtà non vedrà mai più: muore infatti il 27 agosto del 1852, in seguito ad un incidente piuttosto sospetto (caduta da cavallo seguita da accidentale scarica di colpi dalla sua stessa arma). In città gli succede George Ferguson, che manda subito al Governo una petizione richiedendo un intervento diretto per la rimozione degli indiani dalla Florida del sud. Ha inoltre piani ben chiari per lo sviluppo della zona: richiede migliaia di acri di terre delle Everglades in cambio della promessa di una loro bonifica in vista di future lottizzazioni. I legislatori ignorano completamente le sue richieste. Il Governo si preoccupa piuttosto di riattivare Fort Dallas, ampliandolo con un ospedale e altre strutture: l’operazione ha, se non altro, il merito di rassicurare la popolazione locale. Nel gennaio 1956 gli indiani attaccano e uccidono molti dei residenti di Coconut Grove. Chi riesce a scappare si rifugia nel forte, ma per molti è la goccia che fa traboccare il vaso. Molte famiglie lasciano la città. La maggior parte dei soldati è impiegata in varie missioni di “cerca e distruggi” nelle Everglades, mentre viene finalmente realizzata la strada di collegamento tra Miami e Fort Lauderdale. Dal 1860 il nome di Miami scompare dai registri pubblici: si fa giusto qualche accenno alla presenza di una sessantina di persone nell’area di Fort Dallas. Con la fine della terza guerra Seminole, protrattasi dal 1955 al 1958, arrivano ancora un po’ di persone, ma si tratta in gran parte di ex-soldati che hanno deciso di rimanere nella zona. Nel 1861 scoppia la Guerra Civile. La guerriglia ribelle attacca il faro di Cape Florida e lo distrugge. Ben presto i federali

8


isolano dal resto del mondo i residenti di Miami: il servizio della nave postale che mensilmente raggiungeva Key West è sospeso. La Florida raggiunge infatti la Confederazione ma Key West rimane fedele all’Unione, condannando quindi il sud della Florida ad una condizione di frontiera. Gli abitanti di Miami tentano di rimane il più possibile neutrali. Con la fine della guerra la città vede il passaggio di ogni genere di persone; il Governo Federale invia una nave armata a Key Biscayne in modo da impedire la fuga dei leader della Confederazione. Miami intanto si ritrova di nuovo al punto di partenza. Dopo la fine della guerra civile l’insediamento lungo il Miami River vive infatti uno dei suoi momenti più bassi: i sognatori e i militari se ne sono andati, mentre chi rimane sceglie di vivere una vita semplice e selvaggia. Nel 1865 un gruppo del Freedmen’s Bureau, istituito da Lincoln e il cui compito principale era aiutare gli ex-schiavi a farsi una nuova vita, propone un piano volto a trasformare il Sud della Florida in meta preferenziale per questa nuova fetta della popolazione americana. Seguendo l’atto emanato nel 1862 (donazione di porzioni di terra a chi rimane in Florida per almeno cinque anni), viene proposto il trasferimento di 50000 ex-schiavi. Nel 1866 vengono inviati due uomini con il compito preciso di analizzare per bene l’area, ma il piano non va in porto proprio perché uno del Bureau, William H. Gleason, ha altri piani in mente per Miami. Vi torna infatti ben presto con la moglie e i due figli, oltre alle famiglie di quattro suoi dipendenti, trasferendosi nell’allora abbandonato Fort Dallas. Figura controversa per via del notevole potere che ha, nel bene e nel male, esercitato negli anni sulla contea, Gleason, informa gli altri abitanti sulle leggi americane e li aiuta a formulare le loro richieste, facendo si che sempre più gente arrivi a Miami. Continuano intanto i saccheggi delle navi naufragate al largo della Florida e la situazione è tale che il Governo tralascia la questione indiana per concentrarsi su questo flagello. Dal 1860 poche centinaia d’indiani Seminole vivono tranquillamente e liberamente nelle Everglades, ma settimanalmente in molti si recano al trading post indiano di Miami dove ormai sono una vera e propria attrazione. In città il commercio più prospero all’epoca è quello dei Brickell, dove si può trovare di tutto. Il contatto con questi empori cambia radicalmente lo stile di vita degli indiani e l’abuso di alcool diventa un serio problema. Intanto nuova gente arriva a Miami. La Biscayne Bay Company, fondata da un gruppo di georgiani, acquista Fort Dallas e nel 1874, dopo una serie di pressioni sul dipartimento postale, riesce a far riaprire l’ufficio postale, denominato Maama, secondo la corretta pronuncia indiana. Tra gli immigrati del Nord sono in molti a coltivare il sogno di mettere in piedi una piantagione tropicale e a piantare, speranzosi, palme da cocco. I ratti, i conigli e gli orsetti lavatori divorano rapidamente le tenere piantine e molti abbandonano l’idea. Alcune di quelle piante sopravvivono e daranno a Miami negli anni successivi l’aspetto di isola tropicale. Nel frattempo il Sud Florida rimane in gran parte selvaggio e inaccessibile. È tanto isolato e sottosviluppato che nel 1875 il Governo ritiene necessario realizzare una serie di rifugi lungo le spiagge in grado di fornire riparo e soccorso in caso di naufragio su quelle coste dai quali, dopo ogni tempesta, gruppi di guardiani partono alla ricerca di superstiti. A Miami il punto di soccorso era situato all’altezza dell’attuale SeventyFirst Street ed era un noto luogo di svago diurno per i cittadini.

MOBILITÀ INTERNA: DA NORD VERSO SUD Gleason non ha smesso di esercitare il suo controllo sulla città: da supervisore delle elezioni della Dade-County trova sempre un modo per inserire i suoi pupilli. Nel 1876 gli abitanti della contea riescono finalmente a organizzarsi contro di lui, che immediatamente contesta il risultato del regolare voto. Quello che gioca contro di lui è che questo è anche l’anno delle elezioni presidenziali: all’appello mancano tre Stati decisivi, tra cui la Florida che per ovvie ragioni tarda a mandare i voti della Dade-County. Questo ritardo attira l’attenzione di tutta la stampa americana. Nel 1877 si indicono nuove elezioni

9


e vengono rimossi tutti gli uomini di Gleason; la sede della Courthouse viene riportata sulle rive del Miami River e la città ricambia il nome da Maama a Miami. Ormai non più accettato, Gleason lascia la città per un altro suo feudo nella contea di Brevord. Ralph Munroe arriva a Miami per curiosità nel 1877, senza alcuna intenzione di trasferirvisi. Nel 1880 la moglie si ammala però di tubercolosi e la decisione è presto presa: si trasferiscono a Miami, dove gli inverni sono rinomati per il loro tepore. In un primo momento si stabiliscono nell’attuale Coconut Grove; sentendosi troppo isolati si trasferiscono sulla riva nord, di fronte all’edificio della Biscayne Bay Company. Isabella Peacock, che vi risiede con il marito e i tre figli, si lega alla famiglia appena arrivata e tenta di accudire Eva Munroe, che non sopravvivrà alla malattia, morendo nell’aprile del 1882. L’anno seguente, ormai solo, con i Peacock acquista terreni sulla baia e vi costruisce la Bay View House, il primo hotel di Miami. Più simile ad una grande casa, l’edificio da il via alla prima vera comunità dell’area. Neri provenienti dalle Bahamas vengono assunti come regolare personale e vengono alloggiati in un piccolo insediamento di nuova realizzazione poco distante. Noto come Kebo è il primo insediamento nero sul territorio della Florida del Sud. Un po’ per caso Ralph Munroe riscopre il vecchio ufficio postale di Horace Porter a Coconut Grove, abbandonato una decina di anni prima. Per comodità (è più facile riaprire un ufficio esistente che crearne uno nuovo) la comunità si ribattezza Coconut Grove, anche se ormai di palme da cocco nell’area ne sono rimaste ben poche. Come promesso, Ralph Munroe convince molte delle sue conoscenze a visitare la Florida e l’hotel diventa ben presto una tappa imperdibile per le vacanze invernali di nobili, scienziati di fama mondiale, scrittori e predicatori. I Peacock si impegnano anche nella promozione di insediamenti stabili. Donano a Munroe una parte delle loro terre per convincerlo a rimanere in Florida per la durata dell’intero anno e molti dei loro più celebri clienti diventano i primi residenti di Coconut Grove. L’arrivo via mare, a bordo di yacht personali, di molti dei turisti porta alla fondazione della prima organizzazione della zona: il Biscayne Bay Yacht Club, nel 1887. Isabella Peacock raccoglie intanto abbastanza fondi per la realizzazione di una scuola domenicale. Nel biennio seguente questa diventerà la prima Public school della DadeCounty, fornendo così una sede ufficiale alla scuola istituita l’anno precedente in una casa privata. Nel 1891 Ralph Munroe cede una parte dei suoi terreni per la realizzazione di una chiesa, la Union Chapel. In un primo momento bianchi e neri pregano insieme; più tardi viene realizzata la Saint Agnes Baptist Church (l’attuale Macedonia Baptist) , la prima dedicata alla comunità nera. Nello stesso anno Flora McFarlane, l’insegnante della scuola di Coconut Grove, organizza il primo Housekeepers Club dedicato alle donne della comunità. È un’ottima occasione per favorire l’incontro tra le donne pioniere cresciute con scarsa educazione a Biscayne Bay e le signore acculturate formatesi nei salotti degli Stati del nord. Il club raccoglie inoltre fondi da dedicare al miglioramento della comunità, organizza eventi culturali e sponsorizza la maggior parte degli eventi sociali di Coconut Grove. Tutti questi cambiamenti fanno sì che il giornale di Lake Worth, il Tropical Sun, si riferisca a Coconut Grove definendola la più ampia e la più influente comunità del Sud della Florida (1894). Nel frattempo a sole cinque miglia più a nord, nel Billy Mettair’s Bight, si sviluppa altrettanto rapidamente un’altra comunità. “Buffalo Bill” Mettair è una leggenda: da sedici anni è sceriffo della Dade-County. Lemon City nel 1895 conta tre vie commerciali, una quindicina di edifici tra case e negozi. Conta anche tre piccole comunità di neri: Nazarine, Knighville e Boles Town. Il suo principale vantaggio è l’accessibilità: oltre ad avere un discreto porto è la prima comunità, nel 1892, ad essere collegata al resto dello Stato da una strada, la Lantama-Lemon City, con relativo servizio di diligenza. Nella parte sud della contea, un altro piccolo insediamento, Cutler, comincia ad emergere. Nonostante tutto questo, il sito della futura Miami rimane in gran parte selvaggio.

10


L’ARRIVO DELLA FERROVIA Nel 1891 Julia Tuttle, vedova di Cleveland, acquista i 640 acri di Fort Dallas e vi si trasferisce. Anche lei ha il sogno di edificare una città sulle rive del Miami River ma, contrariamente a tutti quelli che l’hanno preceduta, lei riuscirà a realizzarlo. Julia Tuttle scopre Biscayne Bay nel 1875, giovane ventiseienne in visita al padre Ephraim Sturtevant. L’arrivo della donna con il suo entourage da Cleveland fece subito notizia nel piccolo insediamento dove le donne erano poche e sicuramente non tanto raffinate. Dopo questa prima visita fa ritorno dal marito, la cui famiglia è ben inserita nella società e con una partnership in una fiorente industria del ferro. Cleveland è una città all’epoca in piena espansione industriale, con industrie che puntano su ferro, carbone e petrolio. Sarà proprio una compagnia petrolifera, tra i cui fondatori si trova Henry Flagler, ad entrare in contatto con Julia Tuttle in seguito ad una serie di sfortunati eventi. Flagler, a causa della malattia della moglie, si ritrova a soggiornare a Jacksonville dal 1878. Rimasto vedovo, si risposa con l’infermiera della defunta moglie nel 1881 e trascorre il viaggio di nozze a Saint Augustine. È proprio in questo periodo che s’innamora della Florida. Nel 1885 vi costruisce il lussuoso hotel Ponce de Leon; lo stile spagnolo dell’edificio fissa un Julia Tuttle modello architettonico che da questo momento sarà proprio della Florida. Acquista poi un tratto di ferrovia e lo amplia in modo da poter raggiungere Saint Augustine con il proprio vagone privato. Questo fattore attira altri milionari e Flagler capisce che il binomio ferrovia e resort di lusso è vincente e gli sono subito chiare le potenzialità di un territorio in gran parte sottosviluppato come quello che si estende a sud di Saint Augustine. Nel frattempo a Cleveland Frederick Tuttle è deceduto, lasciando la moglie in una situazione finanziaria precaria. Julia Tuttle si vede costretta ad affittare parte della sua casa e scrive all’amico di famiglia Rockfeller chiedendogli di raccomandarla a Flagler come capo del personale al Ponce de Leon. La richiesta cade nel vuoto e alla morte della madre Julia Tuttle eredita metà della proprietà degli Sturtevant in Florida. Nel 1891 la donna decide quindi di rifarsi una vita in Florida, a Miami, dove arriva con i suoi due figli il 13 novembre. Non si trasferisce però nella sua proprietà ma acquista delle terre sulla riva nord, di cui la Biscayne Bay Company sembra essere felice di fare a meno. Ovviamente non si muove a caso: a Cleveland ha infatti avuto modo di conoscere James Ingraham, presidente della Henry B. Plant’s Florida Railroad e principale costruttore ferroviario a cui lei ha promesso di cedere metà delle sue proprietà alla compagnia che vi costruirà una rotta ferroviaria. Dopo solo quattro mesi dal suo insediamento arriva la notizia che lei attendeva: Ingraham e il suo gruppo ferroviario hanno dato il via alle operazioni di ricognizione attraverso le Everglades in vista di un collegamento tra Fort Myers a Miami. Le cose però non procedono per il verso giusto: dopo un mese estenuante nella vegetazione arrivano finalmente a Miami, dove Julia Tuttle li accoglie con entusiasmo, fuochi d’artificio e bandiere americane. Benché colpiti dall’entusiasmo della donna, quando il gruppo fa ritorno a Tampa viene loro comunicato che Henry Plant non è interessato ad affrontare lavori resi eccessivamente complicati dal terreno paludoso solo per raggiungere un insediamento tanto piccolo. Julia Tuttle non demorde e si rivolge ad un concorrente, Henry Flager che ha appena iniziato ad espandere la sua linea ferroviaria a sud di Saint Augustine. Per anni lei gli scrive regolarmente, vedendosi continuamente respingere le richieste. Intanto le linee di Flager si avvicinano sempre più: nel 1893 raggiunge quasi Palm Beach. Con sole 66 miglia di distanza gli

11


attacchi di Julia Tuttle si fanno ancora più insistenti: alla fine la sua perseveranza, con il piccolo aiuto di un colpo di fortuna, avrà successo. L’inverno tra il 1894 e il 1895 fu talmente rigido da distruggere le piantagioni di limoni della Florida settentrionale e centrale. Julia Tuttle coglie subito l’occasione per scrivere a Flagler per ricordargli che la Florida meridionale non è stata toccata dal freddo. Questo argomento sembra funzionare e Ingraham, che nel frattempo ha cambiato compagnia, viene mandato ad incontrare la donna che gli si presenta con un ramo di arancio in fiore come prova. Informato della cosa e incuriosito dalle fotografie dell’area Flagler decide di recarvisi in prima persona. Arriva a Miami nel giugno del 1895: Julia Tuttle lo invita a pranzo al Peacock’s Inn e prima della fine della giornata i due hanno un accordo. La Tuttle cede 300 acri in cambio della promessa della realizzazione di un lussuoso hotel e della definizione urbana dell’intorno. Nella mente di Julia Tuttle è necessario che si sviluppi un nucleo economico e per assicurarsi che questo accada cede a Flagler una serie di lotti alternati compresi tra il Miami River a sud e a sud-est e le attuali NE e NW Eleventh Street a nord. Flagler stipula accordi anche con gli altri proprietari e promette la costruzione di un ponte. La diffusione della notizia dell’arrivo della ferrovia ha lo stesso effetto della corsa all’oro in California: la gente comincia ad arrivare in Florida da tutti gli Stati Uniti. Nel 1895 il negozio Henry Flagler di Brickell, l’unico a Miami in quel periodo, è letteralmente preso d’assalto e svuotato dai nuovi arrivati. Stessa sorte spetta all’emporio dei Peacock a Coconut Grove e a quello di Lemon City. Nel settembre di quell’anno la ferrovia è ancora a sud di Palm Beach; in attesa dell’arrivo del gruppo di Flagler, Julia Tuttle assume per conto suo un gruppo di lavoratori per iniziare le operazioni di disinfestazione da zanzare e insetti vari. Finalmente, il 3 marzo 1896 la rete ferroviaria arriva a Miami. Julia Tuttle ha definito una strada, da lei denominata Avenue D (attuale Miami Avenue), dove sono in fase di completamento una serie di negozi. A capo degli uomini inviati da Flagler si trova John Sewell, che ha il compito di ripulire l’area per un nuovo hotel, il Royal Palm. Il fotografo pionieristico Chamberlain immortala questo evento: Miami si avvicina sempre più. Nei mesi seguenti arrivano molte novità nella vita della futura cittadina: si insediano i primi commercianti, i primi banchieri, i primi stampatori, i primi farmacisti e così via. Isidor Cohen, una dei primi rappresentanti della comunità ebraica residente, rende conto di questo periodo affermando che “gli edifici saltano fuori ovunque come per magia”. L’evento più importante è senza dubbio l’arrivo del primo treno: il 13 aprile 1896 l’intera popolazione cittadina (circa trecento persone) si precipita ad assistere all’arrivo di Flagler e di numerose personalità. Il mese successivo vede la nascita del primo giornale, The Miami Metropolis, che dedica la prima pagina alla neonata Bank of Bay Biscayne. L’8 luglio 1896 i 344 elettori (neri inclusi) eleggono a sindaco John Reilly. Miami è passata direttamente a rango di City (almeno 300 elettori) senza essere mai stata Town: questo fu proprio il primo motto cittadino. La nuova città si estendeva su due miglia quadrate, a cavallo del fiume. I primi pianificatori commisero però un errore nel meccanismo di attribuzione della numerazione delle strade: posero la First Street sul confine settentrionale (attuale NW Twelfth Street) e nominarono le avenue in ordine alfabetico partendo dalla strada lungo la baia (attuale Biscayne Drive). Ovviamente l’espansione della città mise ben presto in crisi questo sistema. In questo periodo elettorale emergono chiaramente due fazioni: la Flagler

12


Gang e gli Antis. Questi ultimi non amano molto il fatto che gli uomini della compagnia ferroviaria abbiano tanto potere e le loro paure non sono certo infondate dato che Flagler controlla saldamente l’esito delle elezioni. Nonostante tutto Flagler si comporta come una sorta di dittatore benevolo e fornisce la città di qualsiasi cosa abbia bisogno: crea compagnie per la gestione dell’elettricità e dell’acqua; rende più profondo il canale in modo da facilitare la navigazione; dona terreni per un municipio, un mercato, una prigione e una scuola; crea nuove strade e abitazioni per le classi medie e realizza un ospedale. Nonostante la sua situazione “di frontiera” Miami è una città segnata da una rigida moralità: Julia Tuttle ha infatti inserito una clausola anti-alcool in tutti i suoi contratti e ha convinto Flagler a fare altrettanto. Ogni volta che qualcuno tenta di aprire un saloon in città questo viene prontamente chiuso dallo sceriffo. Questo genere di attività finisce quindi con il concentrarsi al limite nord della città: North Miami diventa nota per i suoi saloon, bordelli e altri stabilimenti tipici della frontiera. Molti dei nuovi residenti di Miami sono devoti ma fino a questo momento non ci sono veri e propri edifici per il culto. I primi ad averne uno sono i Presbiteriani, di cui fa parte Flagler; ma la sua visione ecumenica fa sì che aiuti anche le altre comunità. I pochi ebrei osservano la loro ritualità nel privato delle loro case. Sebbene poco numerosa, la comunità ebraica è molto influente all’epoca: su sedici commercianti dodici ne fanno parte. La prima scuola apre nell’autunno del 1896: il primo giorno si contano 38 alunni, destinati a raddoppiare nel giro di un mese. Viene aperta anche una scuola per la comunità nera, nell’area a loro destinata, a ovest della ferrovia. La notte di Natale del 1896, alle 4 del mattino, un incendio si propaga sulla Fourteenth Street all’altezza della Avenue D (attuale Miami Avenue, SW Second Street): in poche ore quasi l’intero distretto economico di Miami è completamente distrutto. La popolazione non si perde però d’animo: il fuoco ha distrutto edifici in stile di frontiera e questa è vista come l’occasione per ricostruirne di nuovi e di più belli. Tre settimane dopo si inaugura ufficialmente il Royal Palm, realizzato in stile coloniale. Oltre ai sui cinque piani, l’hotel possiede una torre belvedere che permette di ammirare una panorama che si estende dalle Everglades al faro di Cape Florida. Una grande veranda si sviluppa attorno all’ala est; centinaia di palme da cocco, piantate già sviluppate, danno al tutto un aspetto tropicale. Con le sue 350 stanze (a cui vanno aggiunte altre 100 destinate al numeroso personale), la sua sala da pranzo da 500 coperti e i numerosi ambienti dedicati alla clientela e ai loro domestici il Royal Palm è senza dubbio una delle principale ragioni d’essere di Miami. Per tutto il 1897 la città continua a crescere; il freddo porta sempre più gente in quella che è ormai nota come America’s Sun Porch. Per incoraggiare l’immigrazione la Florida East Coast Railroad rimborsa il biglietto a chiunque acquisti dei terreni. L’agricoltura è vista ormai come una parte integrante dell’economia: viene organizzata una fiera per mostrare i prodotti locali e per sponsorizzare la città come il luogo dove è possibile coltivare anche in inverno. La principale fonte economica rimane comunque il turismo: il tempo in città è scandito in base alla stagione turistica (da gennaio a marzo) e il resto dell’anno passa alla ricerca di migliorie in vista della stagione successiva. Si costruisce finalmente il primo ponte all’altezza della Avenue G (ora SW Second Avenue) e molte delle strade vengono pavimentate. Il centro della città risulta ora spostato sulla Twelfth Street e quando il Royal Palm inaugura la sua seconda stagione Miami ha superato il livello a cui era giunta prima dell’incendio. Il periodo di calma dura ancora per poco. Il 7 febbraio 1898 la U.S.S. Maine salta in aria nel porto di L’Havana: gli Stati Uniti sono ora in guerra contro la Spagna. Gli abitanti di Miami, data la loro vicinanza geografica alla zona critica, cominciano ad agitarsi. Il sindaco Reilly scrive prontamente a Washington richiedendo la costruzione di un forte difensivo. Aspettando la risposta ufficiale un gruppo di 150 uomini, the Miami Minutemen, si organizza autonomamente per la difesa della città. Dopo le pressioni di Flagler presso un amico influente a Washington, il Governo accetta di costruire il forte, a sud dell’attuale Fifteenth Street. Flagler vede questa situazione di crisi come l’occasione ideale per attirare ancora più gente a Miami. Scrive a Washington promuovendo la città come il luogo ideale per installare un accampamento militare, omettendo ovviamente il fatto che in estate la gente tende a fuggire dal caldo soffocante. Il 24 giugno arrivano in città i primi 7000 soldati: sbarcando dal treno si rendono velocemente conto della realtà. Il Royal Palm è sì riaperto come quartier generale ma è destinato agli ufficiali e ai giornalisti.

13


I militari sono invece installati in accampamenti in cui la vita è resa infernale dal caldo soffocante e dagli insetti. Un soldato riassume in modo piuttosto chiaro la situazione affermando “se possedessi sia Miami che l’inferno, darei in affitto Miami e vivrei all’inferno”. I militari stanziati portano una serie di problemi: alle chiese preferiscono North Miami. La gente impaurita gira armata, ogni notte si contano omicidi e le donne non possono girare da sole per strada. Ma quelli ad avere più paura sono i neri: ogni volta che un soldato si annoia se la prende con loro. La comunità si sposta allora verso Coconut Grove. Fortunatamente la guerra dura poco: dopo appena due mesi dal loro arrivo i soldati lasciano Miami. Un mese dopo Julia Tuttle muore: il lutto colpisce profondamente la città; centinaia di persone seguono il corteo funebre fino al cimitero che lei stessa ha donato alla sua città. Nel 1899 Miami riesce a strappare il ruolo di capoluogo della Dade-County. Ma di nuovo un evento sfortunato si abbatte sulla città. In autunno dilaga la febbre gialla e Miami è messa in quarantena per tre mesi. Un privato cittadino, W. W. Prout, erige sulla sua proprietà un piccolo ospedale, il primo pubblico. Chiunque voglia abbandonare la città deve prima sostare per due settimane in campi di detenzione controllati giorno e notte da uomini armati. Quando una persona si ammala la famiglia ha l’obbligo di issare sulla casa una bandiera gialla; in caso di decesso tutti i beni vengono bruciati. All’inizio del nuovo secolo si verifica un altro incendio di origine sospetta lungo la Twelfth Street che distrugge di nuovo il centro economico della città. Per tenere alto il morale della gente Flagler investe nella costruzione di nuove strade, marciapiedi e di nuove migliorie. Il 15 gennaio 1900 la crisi termina e la quarantena è levata: in tre mesi ci sono stati duecento casi di contagio e solo quattordici decessi. Si apre così una nuova stagione turistica, ma questa volta sono in pochi ad essere ottimisti.

14


L’INIZIO DEL XX SECOLO Nei primi anni del XX secolo Miami perde parte di quell’atmosfera tipica dei luoghi di frontiera: la nuova Courthouse di contea le ha donato una certa rispettabilità. Le abitazioni e le attività economiche delle famiglie fondatrici della città sono tutte concentrate attorno all’attuale nucleo centrale di Downtown: la Twelfth Street (attuale Flagler street) era allo stesso tempo il centro degli affari e l’indirizzo più chic dove risiedere. Gran parte della città in quegli anni è chiusa tra il Miami River e la stazione ferroviaria, sull’attuale NE Sixth Street. Quando viene realizzato il ponte sulla Avenue D, Mary Brickell inaugura la Brickell Avenue e trasforma la riva sud in un’area residenziale molto popolare. Ben presto la nuova avenue diventa una delle zone più chic e può essere considerata la prima Millionaire’s Row di Miami. Il Southside si sviluppa ulteriormente quando i fratelli Tatum, nel 1905, sviluppano il Riverside costruendo un ponte a pedaggio sulla Flagler Street, liberamente accessibile a chiunque comprasse un lotto nel nuovo quartiere. Nel luglio 1906 i Tatum inaugurano anche la prima linea tranviaria di Miami: una carrozza che si sposta su rotaie di seconda mano dalla stazione al Miami River. Il servizio verrà interrotto dopo un solo anno di esercizio a causa di una serie di incidenti. Il commercio è particolarmente fiorente, con l’apertura di numerosi nuovi negozi. Nel 1904, nonostante siano in pochi a possederne una, viene fissato il primo limite di velocità per le automobili ad 8 miglia orarie. La nuova moda del momento è la bicicletta. Intanto le banche rivaleggiano tra di loro nell’ambito dell’architettura delle loro sedi. Con la morte della Tuttle viene rimossa la clausola antialcool da alcuni lotti e i saloon non tardano ad arrivare, tra le proteste degli oppositori. Ma la lotta tra wets (favorevoli all’alcool) e drys (contrari) è una costante per tutti gli Stati Uniti in quegli anni. Nel 1913 Miami è diventa ufficialmente una città Dry: la vendita di alcolici, almeno sulla carta, è bandita del tutto. Intanto il fronte mare si popola di moli, alcuni dei quali comprendono edifici su pilotis. Per quattro

Manifesto della Florida East Coast Hotel Company, 1904

15


volte al giorno un servizio di vaporetti copre la tratta tra il molo situato alla fine della Twelfth Street e lo Smith’s Casino situato sulla punta sud di quella che è oggi Miami Beach. Il casinò offriva ai suoi clienti spiagge e piscine di acqua salata. Altri battelli portavano i turisti su e giù lungo il Miami River inoltrandosi nelle Everglades. Fino al 1909 la maggior parte degli abitanti di Miami è tutta concentrata sulla fascia costiera, nettamente delimitata dalle terre acquitrinose delle Everglades. Nel 1904 Napoleone Bonaparte Broward è eletto governatore soprattutto in base alla sua promessa di risanare le paludi. L’idea è molto semplice: scavare una seria di canali fino al lago Okeechobee e lasciare che le acque defluiscano naturalmente verso il mare, nei pressi di Fort Lauderdale. I cittadini premono anche per avere un porto più profondo: il governo accetta di scavare lungo 700 piedi su una striscia sabbiosa lungo la penisola della futura Miami Beach. Nel giro di mezzora dallo scavo un piccolo flusso di acqua dalla baia raggiunge l’oceano; in poche ore la pressione è tale da aver allargato il canale di 500 piedi. Il così creato Government Cut, oltre a creare la Fisher Island, garantisce ancora oggi l’accesso al porto. Intanto, nel 1909, iniziano le operazioni di drenaggio nelle Everglades: si ottengono così nuove terre edificabili, ma la falda acquifera secca, così come gran parte della vegetazione. Poco dopo l’avvio di queste operazioni, Mary Barr Munroe del Coconut Grove Housekeeper’s Club fa pressione sulla Florida Federation of Women’s Club affinché venga salvata Paradise Key, sorta di oasi naturale nelle minacciate Everglades. La Federazione finisce con l’acquistare 4000 acri che ribattezza Royal Palm State Park on Paradise Key, nucleo centrale del futuro Parco Nazionale delle Everglades. Intanto ponti e strade avanzano collegando una ad una le isole Key; con l’arrivo della ferrovia su Knight’s Key si iniziano i lavori per la costruzione del Seven Mile Bridge, inaugurato nel settembre 1912. L’anno seguente Miami perde un altro pilastro della sua comunità: il 20 maggio 1913 muore infatti Henry Flagler. La città può sempre contare sui sogni di altri promotori che nel frattempo vi si sono trasferiti. Negli anni Ottanta del XIX secolo John Collins aveva investito nelle fallimentari piantagioni di cocco dei Lummus sull’attuale Miami Beach e per il 1909 è l’unico proprietario di quelle terre che lui stesso chiama Ocean Beach. Inizialmente interessato alla piantumazione di avocado, pianta un filare di pini australiani lungo la spiaggia per rompere il vento e proteggere le coltivazioni: è l’attuale Pine Tree Drive. Il suo figliastro, Thomas Pancoast, più lungimirante, pianifica la vendita fondiaria di terreni fondando la Miami Beach Improvement Company. Nel 1912 Collins decide di finanziare dei lavori per la costruzione di un ponte che colleghi la penisola alla città. I fratelli Lummus, presidenti della Miami’s Southern Bank and Trust Company e della Bank of Key Biscayne, prestano capitali e investono su 580 acri sulla punta meridionale, nelle vicinanze dello Smith’s Casino. Fondano anche loro una compagnia immobiliare che inizia a vendere lotti edificabili prima ancora che la fine della costruzione del ponte sia vicina. Collins ha nel frattempo terminato i fondi e di conseguenza i lavori si interrompono. L’incontro con Fisher è provvidenziale: dona i 50000$ necessari al completamento dei lavori in cambio di una fascia di terra di 1800 piedi di profondità attraverso l’isola. Terreno che amplia poi in seguito acquistando altre terre dai Lummus. Mentre Collins inaugura il suo agognato ponte, Fisher è impegnato a ridisegnare il landscape di Miami Beach: nell’estate 1913 gruppi di operai scendono tra mangrovie e insetti per bonificare la zona, in seguito riempita con milioni di metri cubi di sabbia. Una volta avviate le cose nel verso giusto, Fisher torna ad Indianapolis per curare l’altra sua creatura, la Lincoln Highway, la prima strada a collegare coast-to-coast gli Stati Uniti. Una volta raggiunta San Francisco Collins ne pianifica una seconda, che colleghi Chicago a Miami: la Dixie Highway. Sempre nello stesso periodo viene promosso la realizzazione di una strada che, tagliando le Everglades, colleghi Tampa a Miami: i lavori per la Tamiami Trail iniziano nel 1915. La cittadina di Miami Beach, con i suoi 33 elettori, elegge a sindaco J. N. Lummus: la strada per il suo sviluppo è ora indirizzata verso il diventare il parco giochi invernale d’America. Al sempre attivo Smith’s Casino si affiancano ora altre strutture oltre a una linea di piccole case lungo la spiaggia. I fratelli Lummus, poco interessati alla creazione dell’ennesimo

16


resort vendono alla città 20 acri di terreno fronte mare destinato a parco, che ancora oggi porta il loro nome. Miami Beach si arricchisce ulteriormente con campi da golf, da tennis, da polo e con la Lincoln Road che nei sogni di Fisher è destinata a diventare la Fifth Avenue del sud. Se possibile, Miami si sviluppa ancor più rapidamente. Nel 1915 trova infatti nel figura di E.G. Sewell che monta un vero e proprio piano pubblicitario che attira sempre più turisti, puntando tutto sull’aspetto colorato e tropicale della città. Ma il crescente afflusso di gente crea inevitabilmente dei problemi, in particolare per quanto riguarda la disponibilità di alloggi. I giornali amano elencare quotidianamente i nomi dei notabili in visita, molti dei quali fanno costruire palazzi sulla Brickell Avenue e a Coconut Grove. Sena eguali rimane Villa Vizcaya, la dimora voluta dal miliardario James Deering in stile mediterraneo, con giardini e villaggio con fattoria annesso, il tutto immerso in una lussureggiante vegetazione parzialmente conservata. Vizcaya detta ancora oggi legge in materia di linguaggio architettonico. La stagione 1916-1917 fu la più importante per Miami: 87 nuovi negozi aprono a Downtown; un nuovo sistema tranviario collega varie parti della città, i cui confini si espandono. Viene inaugurato ai piedi della Twelfth Street l’Elser Pier, il più grande molo ricreativo della costa sud-atlantica degli Stati Uniti. Nel frattempo, a nord-ovest, un altro centro si sviluppa: Colored Town, voluta da Flagler e Tuttle nel “lontano” 1896 tra l’attuale NW Sixth e la Twelfth. Vi si possono trovare numerose attività commerciali e la comunità può vantare un certo numero di professionisti, club civili e centri dedicati alla cultura. Nel 1915 la maggior parte dei 5000 neri di Miami vi risiede (anche a causa di specifiche leggi in materia); altri distretti a loro dedicati si trovano all’altezza dell’attuale Calle Ocho, a Coconut Grove e a Lemon City. Nell’aprile 1917 il Presidente Wilson chiede al Congresso di dichiarare guerra alla Germania. L’entrata in guerra pone un freno allo sviluppo, anche se Sewell continua instancabilmente a promuovere la città. Riesce anche a convincere la Marina ad aprire una scuola aeronautica su un terreno a Dinner Key. Nonostante la capacità della neonata base fosse di 750 persone, nel 1919 erano in 1367 a viverci. I residenti di Coconut Grove, infastiditi dal rumore continuo si uniscono in modo da formare una città indipendente ed avere maggior potere contro la crescente Miami. I militari oltre a creare problemi portano anche un lato glamour, grazie ai numerosi eventi organizzati per gli ufficiali. Nell’ottobre 1918 la febbre spagnola colpisce la città: tutti i luoghi di aggregazione vengono chiusi. Il nuovo ospedale, sul sito dell’attuale Jackson Memorial Hospital, inaugura giusto in tempo per far fronte all’epidemia. Nei primi giorni di novembre il peggio è ormai passato e la vita ritorna a scorrere come sempre. L’11 novembre Miami si sveglia su un’ottima notizia: la guerra è finita.

LA “MAGIC CITY” Gli anni Venti a Miami sono straordinari: la città non sarà più la stessa. I confini esplodono: nuove strade attraversano quelle che un tempo erano fattorie e mangrovie e il problema della numerazione delle vie si fa sempre più concreto. Per porvi rimedio il Comune adotta il Piano Chaille: la città viene divisa in quattro sezioni (nord-est, nord-ovest, sud est e sud ovest) e le sigle cardinali prima del numero delle Street e delle avenue individuano i quadranti in cui queste sono localizzate. La Twelfth Street è rinominata Flagler street e diventa l’asse divisorio nord-sud, mentre la Avenue D denominata ora Miami Avenue diventa l’asse est-ovest. Nei primi tre anni del decennio la popolazione raddoppia e il volto di Downtown cambia: dato che per i canoni locali un edificio che abbia più di 10 anni è decisamente fuori moda le demolizioni sistematiche ridisegnano per l’ennesima volta la città. Nella corsa al profitto i prezzi lievitano vertiginosamente. Per fortuna ci sono persone che guardano oltre la prospettiva di un guadagno immediato: il dr. John DuPuis punta a fondare una Pan American University; altri finanziano un conservatorio e un teatro civico. Questo grande boom economico non è certo casuale: il clima,

17


Pianta della cittĂ con la vecchia nomenclatura stradale, 1919

18


la grande disponibilità di terre e un gruppo molto folto di promotori visionari ne sono alla base. Uno dei più importanti è senza dubbio George Edgar Merrick, il pianificatore di Coral Gable, sobborgo principale di Miami fatto di ampi boulevard, piazze, ingressi decorati, vegetazione tropicale e stile mediterraneo. Merrick era giunto in Florida a 13 anni nel 1899 a seguito del padre, interessato a mettere su una piantagione di pompelmi. Terminati i suoi studi di giurisprudenza fa ritorno nella da poco completata casa di famiglia costruita su quella che i nativi chiamavano coral rock e per questo battezzata Coral Gables. Alla morte del padre nel 1911 la piantagione è la più grande e più prospera di tutta la Florida del sud. Merrick ha in mente altro: per fare esperienza nel settore immobiliare crea una società e raggiunge la Realty Securities Corporation, forse la più importante società dell’epoca. Nel frattempo acquista acri di terre confinanti con la sua proprietà. Nel 1921 alcuni operai cominciano a smantellare la piantagione per fare posto alla prima strada di Coral Gables, Coral Way. Questa si incrocia con Granada Boulevard definendo la Ponce de Leòn Plaza, la prima di una serie di piazze con fontane, pergolati e piante tropicali. Nel 1925 la popolazione di Miami Beach supera la quota di 15000 abitanti, mentre lussuosi hotel l’hanno ufficialmente trasformata nel Winter Playground tanto sognato. Nel dicembre dell’anno prima si era dato il via all’ennesimo sviluppo, forse l’unico in gradi di competere con Coral Gables: Miami Shores, detto il Mediterraneo d’America. Hugh Anderson, Ray Wright, Ellen Speard Harris e James B. Jeffries, già promotori delle Venetian Isles, formano la Shoreland Company e aprono allo sviluppo immobiliare 2800 acri di spiaggia. Questa vera e propria mania costruttiva era iniziata qualche anno prima per la Star Island di Fisher, realizzata nel 1918 con la sabbia rimossa per lo scavo del Government Cut. L’iter burocratico da seguire era semplice: si acquistava un pezzo di baia dallo State Internal Improvement Fund, si richiedeva poi il permesso di dragare al Corpo degli Ingegneri e una volta ottenuto si recintava il lotto con una serie di pali, si applicavano paratie e si iniziava a pompare via l’acqua. In questo modo nascono Palm Island, Hibiscus Island, Fair Isle, La Gorce Island, Sunset Islands e le Venetian Isles. Il masterplan per Miami Shores prevedeva anche un ponte stradale che collegasse la OneTwentyThird Street alle isole proposte: il ponte non verrà di fatto realizzato fino al 1950 e le isole sono oggi note come Indian Creek e Bay Harbor Islands. Merrick si sente sfidato e accetta la competizione: acquista alcune proprietà sul fronte mare e scava una serie di canali in modo da poter creare dei lotti con accesso diretto all’acqua. Denominata Biscayne Bay, questa sezione può ora vantare sette miglia di lotti sul mare; con l’acquisto successivo di Key Biscayne l’ammontare complessivo passa a quaranta miglia, un pregio che Coral Gables potrà vantare fino agli anni Quaranta, decennio in cui l’isola diventa amministrativamente indipendente. Benché questo boom investa tutta la Florida, Miami ne rimane l’epicentro indiscusso. I suoi confini si espandono ulteriormente con il referendum del 5 settembre 1925 in seguito al quale vengono annessi a Miami una serie di piccoli centri periferici, dando vita alla Greater Miami. Il boom economico entra in crisi: la Florida East Coast Railroad annuncia la chiusura delle linee per manutenzione e questo rallenta i rifornimenti in materiali edili. Una forte campagna anti-Florida prende piede un po’ in tutti gli Stati Uniti; i giornali e le principali riviste fanno numerose inchieste sulla speculazione selvaggia a cui sembra dedito lo Stato. Come se non bastasse la sfortuna perseguita Miami: nei primi giorni dell’anno 1926 la Prinz Valdemar si rovescia nel mezzo del Government Cut bloccando così per giorni l’ingresso al porto. Con la chiusura della ferrovia il trasporto via mare era rimasto l’unico mezzo per il rifornimento edile e la frenesia costruttiva subisce un arresto forzato. Per l’estate dello stesso anno la crisi immobiliare arriva anche a Coral Gables e per farvi fronte Merrick cede sulla clausola che imponeva lo stile mediterraneo a tutte le costruzioni. Nel frattempo il terreno per la nuova università è pronto e iniziano i lavori per l’edificio principale. Sempre in questo periodo Curtis annuncia quella che è l’ultima follia immobiliare del periodo: Opa-locka, una nuova città interamente incentrata sul tema de Le Mille e una Notte fatta di palazzi con cupole, minareti e decori arabeggianti. Nonostante tutto, come sempre, a Miami si resta ottimisti ignari della prossima sventura che sta per abbattersi sulla città.

19


A luglio un uragano di 100 miglia orarie colpisce Miami, il primo in 14 anni. I danni sono limitati per cui quando viene avvistata dopo due mesi, un’altra tempesta, l’allarme non viene preso sul serio. La sera del 17 settembre 1926 la vita scorre come al solito, nonostante la messa in guardia da parte di tutti i giornali. Il vento inizialmente soffia rumoroso e a mezzanotte la città piomba nel buio completo: per otto ore la tempesta infuria. Alle prime luci della mattina il vento tace, il cielo è sgombro e la gente esce di casa. Ovunque ci sono vetri rotti, edifici crollati e palme spezzate. Quello che la popolazione non realizza è che Miami Beach si trova in questo momento nell’occhio del ciclone: improvvisamente il vento torna a soffiare con maggiore violenza. Poi arriva l’acqua: l’oceano supera Miami Beach e si riversa nella baia puntando su Downtown. Nel tardo pomeriggio la tempesta si calma, definitivamente. La distruzione è quasi totale: Miami è in ginocchio. Tutti gli edifici di Downtown sono stati danneggiati, relitti di imbarcazioni varie ingombrano Biscayne Boulevard. Una folla di disperati erra per la città alla ricerca di dispersi, acqua e cibo; tutte le strutture cittadine, pubbliche o private, li accolgono. La situazione a Miami Beach è anche peggiore: l’oceano ha portato via gli edifici lasciandosi dietro sabbia e carcasse di pesci. Coral Gables, con i suoi edifici di pietra, è stata meno martoriata, riportando danni soprattutto sulle coperture e sulla vegetazione. Incredibilmente la popolazione si fa forza ed inizia a ripulire tutto. L’università, sebbene non sia stata ancora completata, viene inaugurata il 15 ottobre. Nonostante la buona volontà dei cittadini, per ogni edificio che viene completato o ristrutturato ce ne sono almeno due o tre che vengono abbandonati. Il boom economico è ormai solo un ricordo e per la prima volta sono più quelli che lasciano la città che i nuovi arrivi. Con l’approvazione del XVIII emendamento gli Stati Uniti diventano ufficialmente dry: inizia l’epoca del proibizionismo. Se un po’ ovunque è difficile far rispettare la regola, a Miami, dove i Rum-runners in poche ore coprono la tratta Miami-Bimini, è del tutto impossibile. La città ben presto subisce la triste reputazione di “punto più evasivo d’America”. La popolazione poi simpatizza con i contrabbandieri, ostacolando le attività della guardia costiera. Gli speakeasy, stabilimenti in cui si vende illegalmente alcol, sorgono un po’ ovunque, anche negli hotel di lusso. Il Comune vive sulle multe per cui non s’impegna a fondo nella lotta al contrabbando, rilasciando puntualmente i colpevoli che tornano indisturbati alle loro attività. Alla fine degli anni Venti però, quello che era sembrato tutto sommato solo un innocuo gioco d’inseguimenti si trasforma in una vera e propria guerra. Horace Alderman, noto come il “pirata della corrente del Golfo”, uccide parecchi uomini della guardia costiera: i cittadini si vedono costretti a rivalutare seriamente la loro posizione liberale.Inoltre la reputazione di città aperta ha attirato a Miami numerosi personaggi di dubbia fama. Nel 1928 Al “Scarface” Capone si trasferisce in una mansion su Palm Island. Ignorato in un primo momento, quando il suo ruolo nella strage di San Valentino a Chicago diventa di dominio pubblico diventa persona non gradita alla cittadinanza. Il processo che lo vede coinvolto va avanti fino al1932, anno in cui il governo federale riesce ad incastrarlo e ad arrestarlo almeno per evasione fiscale. Il danno ormai è fatto: il crimine organizzato controlla i numerosi stabilimenti illegali che offrono divertimenti vari a Miami. Il gioco d’azzardo è ormai legale, così come le slot-machine. Con l’inizio del decennio successivo gli effetti della crisi sono ben visibili: molte banche sono fallite a causa del ritiro dei depositi da parte dei cittadini impanicati e molte delle fortune che tanto avevano investito in Miami sono ormai solo un ricordo. Le scuole sono in una situazione disastrosa a causa della mancanza di fondi; molta gente perde la casa e i terreni si svalutano rapidamente. Curiosamente l’industria dell’aviazione sopravvive al periodo nero: nel 1925 il Governo federale ha approvato il Kelly Air Mail Act, stabilendo contratti postali con diverse rotte e garantendo così delle entrate alle varie compagnie aeree. A Key West la Pan American Airways stipula il primo contratto internazionale per la tratta Key West-l’Havana. Il 28 ottobre 1927 si inaugura quindi la prima tratta regolare tra le due città. Ben presto la Pan Am trasferisce la sua sede centrale a Miami e tra il 1928 e il 1930 aggiunge numerose rotte verso mete caraibiche, facendo della città la “Porta per le Americhe”.

20


Scenario post-uragano, 1926 Miami Beach all’altezza di Lincoln Road, 1927

21


Vista aerea di Downtown Miami, 1930

22


Alle elezioni presidenziali del novembre 1932 il democratico Franklin Delano Roosevelt vince nettamente grazie al suo New Deal. Poche settimane prima del suo insediamento ufficiale il neo-presidente è in vacanza proprio a Miami; la sera del 15 febbraio 1933 18000 cittadini si riversano su Biscayne Boulevard per acclamarlo. Tra la folla, Giuseppe Zangara esplode cinque colpi nel tentativo di assassinare il presidente: Roosevelt rimane illeso, ma quattro colpi colpiscono e feriscono altrettante persone. Una di queste morirà nei giorni successivi, condannando così alla pena capitale l’attentatore squilibrato. Il 4 marzo 1933 Roosevelt si insedia alla Casa Bianca e come prima cosa mette in atto il suo New Deal. Miami beneficia del programma noto come Alphabet Soup Agencies, istituito affinché l’economia si possa rimettere in sesto. La FERA (Federal Emergency Relief Agency) stanzia fondi per i 16000 disoccupati di Miami mentre la PWA (Public Works Administration) fa in modo che la città acquisisca una serie di nuovi edifici pubblici (tra cui il Miami Beach Post Office). I veterani della Guerra Mondiale vengono impiegati nella costruzione della Overseas Highway che apre al pubblico nel 1938. La Florida è stata colpita per prima dalla depressione, ma è anche la prima a mostrare i segni di ripresa a metà degli anni Trenta. Come già accennato, la Pan Am fa di Miami un punto di partenza internazionale, portando in città migliaia di turisti sudamericani. Come conseguenza a questo cominciano a comparire in molti negozi cartelli bilingue. La Eastern Airlines attira invece turisti dal nord, mentre la National e la Delta Airlines, due nuove compagnie, fanno il loro ingresso sul mercato.

DEPRESSIONE E II GUERRA MONDIALE Intanto, a Miami Beach si sono ricostruiti un centinaio di edifici tra hotel e residenze ad appartamenti, tutti con linee più moderne. Una lieve ondata di antisemitismo si fa sentire, ma non è una novità. Gli ebrei erano relegato al di sotto della Fourteenth Street, ma il loro drastico aumento alla fine del decennio crea qualche malumore. Nel frattempo la guerra esplode in Europa e prima della fine del 1940 Miami ne è in qualche modo coinvolta, data la sua vicinanza geografica alle Bahamas, territorio inglese e quindi già in guerra. All’epoca il governatore delle isole è il Duca di Windsor, nonché ex sovrano di Inghilterra; con la moglie Wallis Simpson (causa della sua abdicazione) si reca spesso a Miami per promuovere le azioni britanniche e un certo numero di soldati della RAF si addestrano proprio nella città americana. Il 7 dicembre 1941 il Miami Herald annuncia entusiasta l’arrivo della miglior stagione turistica a venire; sfortunatamente la sua previsione viene smontata dall’annuncio alla radio, alle due del pomeriggio, dell’attacco giapponese a Pearl Harbor. Data la sua posizione, il Dade-County Defence Council si organizza e gruppi di soldati armati sono di pattuglia lungo il litorale. Ovviamente la guerra ha un effetto negativo sull’economia turistica; come se non bastasse un sottomarino tedesco a febbraio abbatte una petroliera inglese a poche miglia dalle spiagge di Miami, facendo ovviamente fuggire in preda al panico i bagnanti. Miami non è una città che si arrende: se la stagione turistica non va perché non trasformare la città in un centro di addestramento per soldati? Nell’aprile del 1941 l’esercito arriva e si installa nelle 70000 camere d’albergo rese disponibile dall’assenza dei turisti. In totale un quarto degli ufficiali della Air Force e un quinto dei soldati impegnati nella II Guerra Mondiale si sono formati a Miami Beach. Gran parte della U.S. Navy è stanziata sul fronte Pacifico, per cui i tedeschi agiscono quasi indisturbati sulle coste caraibiche: nel solo 1942 riescono a far saltare in aria 25 petroliere tra Cape Canaveral e Key West. Le fiamme che si sprigionano dalle navi sono difficili da nascondere, e il timore è sempre più quello che prima o poi tirino sulla città. Con la maggior parte degli uomini arruolati, sono le donne a mandare avanti la città svolgendo anche i lavori tradizionalmente maschili. Il razionamento comincia fin dal 1942 e il rigido coprifuoco ha almeno il lato vantaggioso di porre termine al racket mentre la Polizia Militare chiude i bordelli e le case da gioco. Nel maggio 1945 si festeggia il V-E Day (Victory in Europe), ma il fronte Pacifico è ancora attivo, con un Giappone che non si arrende. Il mattino del 6 agosto 1945, un B-29

23


con al comando Paul Tibbits (originario di Miami) decolla dalle isole Marshall: il suo nome è Enola Gay e la sua destinazione è Hiroshima. Il suo è un appuntamento tristemente noto: alle 8:15 del mattino Enola Gay sgancia, infatti, la prima bomba atomica della Storia. In pochi secondi la città è annientata e il futuro del Giappone segnato: tre giorni dopo una seconda bomba è sganciata su Nagasaki. Una nuova spaventosa era si apre per il mondo intero. Il 14 agosto, il presidente Truman annuncia la resa ufficiale del Giappone e in 30000 scendono euforici nelle strade: la guerra è finita e i combattenti di Miami possono finalmente tornare a casa. La II Guerra Mondiale ha cambiato Miami: gli abitanti possono percepire che qualcosa sta cambiando. Il Miami Herald nel 1942 afferma che “fattori politici, economici, e geografici stanno lentamente spingendo Miami in una posizione tale che le guerre indiane, l’arrivo della ferrovia, il boom delle vendite immobiliari e l’attuale calderone militare sembreranno una tranquilla domenica pomeriggio sulle Alpi svizzere”. Allo scoppio della guerra Miami si stava liberando dell’atmosfera di piccola città. Molti dei giovani che vi si erano addestrati decidono di trasferirvisi: la popolazione raddoppia tra il 1940 e il 1950. La G.I. Bill of Rights provoca uno dei più grossi cambiamenti sociali nella storia degli Stati Uniti: nota per permettere ai veterani di farsi una casa fa anche in modo che dei ricchi Uncle Sam finanzino loro una formazione universitaria, una nuova attività e una nuova casa. È così che file di pulite e colorate casette compaiono su terreni in precedenza agricoli. Le nuove opportunità di studio trasformano la University of Miami in una delle principali istituzioni universitarie dello Stato, con un numero maggiore di iscritti rispetto a quanti ne possa effettivamente ospitare. Le strutture abbandonate incomplete alla fine del boom economico vengono ora completate ed inaugurate. Anche Overtown si riprende: ormai i neri ricoprono anche cariche fino a quel momento impensabili. I grandi interpreti di colore che si esibiscono nei club per bianchi si esibiscono anche nei piccoli club locali, sempre calorosamente accolti. Fra il 1945 e il 1950 ben sei uragani colpiscono Miami, alcuni a poca distanza l’uno distanza l’uno dall’altro. Quello che colpisce nell’autunno del 1947 trasforma l’80% della Dade-County in un lago: non si è mai vista così tanta pioggia. Le Everglades si estendono ben oltre il confine umanamente definito i sobborghi occidentali di Miami. Tutto il sud della Florida è duramente colpito e richiede l’aiuto del Governo Federale, che l’anno successivo autorizza in Corpo degli Ingegneri a condurre un’analisi. L’anno dopo prende il via un piano di controllo delle inondazioni da 208 milioni di dollari che si propone di scavare ulteriori canali di drenaggio. Una volta completati una buona parte delle Everglades orientali si sarebbero prosciugate; per proteggere il delicato ecosistema da ulteriori disastri il presidente Truman crea il Parco Nazionale delle Everglades. Verso la fine degli anni Quaranta Miami riscopre la sua magia, purtroppo anche in senso negativo. La sua lunga e nota apertura al gioco d’azzardo attira ancora molti malavitosi che riprendono il controllo dei casinò. I nuovi, e indesiderati, arrivati sono esperti nel corrompere le forze di polizia, che sempre più spesso se la prendono con le case da gioco indipendenti spingendole a chiedere la protezione mafiosa. Nel 1948, un gruppo di cittadini influenti decidono di porre un freno a tutto questo: conosciuti sotto il nome di Secret Six assumono l’agente FBI Daniel P. Sullivan perché investighi sulla situazione. Poco dopo fondano la Crime Commission of Greater Miami e con l’appoggio del Miami Herald e del Miami Daily News pubblicano nominativi, indirizzi e dettagli sui crimini commessi di chiunque sia stato scoperto a delinquere, senza distinzione tra gangsters, politici o poliziotti corrotti. La pressione sulla malavita è tale da convincerà la gang di Capone a chiudere le attività e a spostarsi a Cuba. La vicenda tocca il suo apice nel luglio del 1950: le audizioni della Crime Commission vanno in onda in televisione (che ha fatto la sua comparsa l’anno prima) e tutti i livelli del governo locale sono esposti alla pubblica vergogna. Con l’inizio del nuovo decennio una nuova paranoia si diffonde tra la popolazione: la guerra fredda. Nel 1949 la Russia si è dotata della bomba atomica, mettendo in crisi la convinzione della superiorità militare americana. L’espansione dell’ideologia

24


sovietica in Europa e in Asia, unite alle parole allarmanti riguardo alle infiltrazioni comuniste del senatore Joseph McCarthy diffondono un sentimento di sospetto e di paura mai visto fino ad ora. A farne le spese è ancora una volta le comunità nera, la più attiva nella ricerca di cambiamenti; la NAACP (National Association for the Advancement of Colored People) diventa particolarmente sospetta. Nel 1951 l’intolleranza si trasforma in violenza: i segregazionisti attaccano i quartieri neri e il Ku Klux Klan innalza croci infuocate. In realtà tutte queste azioni sono controproducenti: Miami si vergogna di tali azioni e i cittadini si organizzano nel primo Consiglio per le Relazioni Umane della contea tentando di porre rimedio ai problemi sorti in cinquant’anni di segregazione. In contrasto con i suoi colleghi degli altri stati del sud, il Governatore della Florida LeRoy Collins afferma pubblicamente che la segregazione è moralmente sbagliata. Nel 1954 la Corte Suprema degli Stati Uniti dichiara fuorilegge la segregazione nelle scuole; è solo il primo passo in una serie di eventi che rapidamente porterà alla fine di questa vergogna. Nello stesso periodo la contea cerca di sviluppare le istituzioni culturali della città: vengono aperti due auditorium, uno dei quali è l’Ocean Auditorium al centro del Lummus Park. Miami è talmente cresciuta e i costi governativi sono talmente elevati da portare alla ribalta la questione dell’istituzione di un Governo Metropolitano. Basata su uno studio appositamente commissionato alla University of Miami, la proposta di legge viene approvata nel 1957 tramite referendum. Miami entra nel nuovo decennio con una popolazione prossima al milione di abitanti, mentre l’avvento dell’aria condizionata l’ha trasformata nella Mecca del turismo estivo: il parco giochi non è più solo invernale.

Due usi molto diversi della spiaggia: balneazione e addestramento soldati, anni ‘40

25


ANNI ’60 E’70 Il primo gennaio 1959 non c’è solo il nuovo anno da festeggiare a Miami: Fulgencio Batista, dittatore cubano, è finalmente caduto con la conseguente ascesa al potere del trentaduenne rivoluzionario Fidel Castro. Miami è già da anni rifugio per gli esiliati cubani; molti di questi si affrettano a tornare a casa, saturando i voli per L’Havana. Per poco in America sono in molti ad inneggiare a Castro riferendosi a lui come al “Nuevo Amigo”. Ben presto le immagini dei processi e delle esecuzioni cominciano a diffondersi e gli entusiasmi si raffreddano. Rapidamente un flusso continuo di profughi si riversa su Miami, che li accetta senza troppi problemi. Nel periodo fino all’estate 1960 arrivano in città sei aerei pieni al giorno: gran parte dei rifugiati ha perso tutto e il Governo viene loro incontro offrendo ad ogni capofamiglia una modesta assistenza. I rifugiati cubani si dimostrano lavoratori dediti, che puntano a diventare autosufficienti al più presto. Si trasferiscono in zone decadenti, come il vecchio quartiere Riverside tra la Flagler e la Tamiami Trail. Nei primi anni gli abitanti di dimostrano molto solidali alle loro sventure, ma le cose cambiano quando i flussi aumentano drammaticamente. I lavoratori cubani finiscono con l’occupare i posti che in precedenza spettavano ai neri e questo crea inevitabilmente frizioni tra i due gruppi. Inoltre il sistema scolastico fatica a stare dietro così tanti studenti per i quali la lingua inglese e del tutto sconosciuta. Fino al 1961 la maggior parte dei cubani esiliati crede fermamente che questa sia solo una situazione temporanea. Questa speranza diventa sempre più forte quando la CIA organizza li organizza in una forza di invasione per liberare Cuba. Membri del Fronte Democratico si addestrano nelle Everglades sotto la supervisione della CIA e dell’esercito americano. Quella che è nota come Brigata 2506 composta da meno di 1300 uomini parte prima per il Guatemala per poi sbarcare, con l’aiuto della Marina americana, il 17 aprile del 1961 sulle coste cubane nei pressi della Baia dei Porci. La missione è un fallimento: gli Stati Uniti non forniscono l’appoggio aereo promesso e 1180 uomini sono fatti prigionieri. Il buio cala sulla comunità cubana a Miami, convinta sempre più di essere stati traditi dagli americani. La situazione precipita ulteriormente nell’autunno del 1962: aerei da ricognizione denunciano la costruzione di piattaforme per il lancio missili da parte dei russi. Prima che la crisi dei missili diventi di dominio pubblico Miami si trasforma di nuovo in un campo militare. Il 22 ottobre, John F. Kennedy annuncia in diretta TV le motivazioni di tali azioni. Quando ordina alla Marina di bloccare gli accessi a Cuba nel tentativo di bloccare i rifornimenti bellici russi gli Stati Uniti sono in pieno allarme guerra. Con il fantasma di una III Guerra Mondiale che aleggia nell’aria alcuni abbandonano le città, altri costruiscono rifugi antiatomici mentre i negozi alimentari vengono presi d’assalto. Il 28 ottobre, dopo un negoziato senza precedenti tra Nikita Khrushchev e Kennedy, i russi accettano di smantellare le postazioni missilistiche in cambio della rinuncia da parte americana a qualsiasi tentativo di invasione dell’isola. L’accordo è devastante per la comunità cubana in esilio, ma informazioni riservate riveleranno quanto il mondo sia stato vicino ad una guerra nucleare. I prigionieri della Baia dei Porci vengono liberati alla fine dell’anno, in cambio di 62 milioni di dollari in cibo e materiale medico. Dopo ulteriori negoziati dell’amministrazione di Lyndon Johnson, nel dicembre 1965 cominciano a partire i “voli della libertà”: fino all’aprile 1973 due voli al giorno sponsorizzati dal Governo portano via da Cuba 150000 persone iscritte su una lista redatta dagli esiliati stessi e dal Dipartimento di Stato. Nei tardi anni Settanta, giunge a Miami un rifugiato ogni sette minuti; i nuovi arrivati, spesso parenti dei cubani che da tempo risiedono in città, si mettono in coda per essere recensiti. Con la morte dei Kennedy il paese entra in un periodo di profonda disillusione, divisione e proteste. L’impopolare guerra del Vietnam getta benzina sul fuoco; Coconut Grove si riempie di giovani che si proclamano “figli dei fiori”, non senza un certo sconcerto da parte dei residenti anziani. Molti giovani iniziano a consumare droghe; con la crescita della domanda di stupefacenti Miami si ritrova a dover fronteggiare una situazione impossibile come quella degli anni Venti. Il traffico di droga risulta essere pure più difficile da controllare rispetto a quello dell’alcool: droga e soldi investono in pieno la città.

26


Nello stesso periodo la comunità nera comincia a perdere la pazienza: le promesse fatte tardano ad essere mantenute e le ultime speranze sono svanite con gli omicidi di Martin Luther King e Robert Kennedy. La violenza esplode in tutta la nazione. Il Civil Rights Act va cadere gli ultimi baluardi della segregazione. A Miami intanto il rinnovamento urbano voluto da Johnson, Great Society, comporta nuovi problemi. Ad Overtown molti neri perdono la propria casa e si vedono costretti a trasferirsi in ghetti sovraffollati; Liberty City accoglie una buona parte di questi abitanti, diventando una vera e propria bomba ad orologeria man mano che la frustrazione aumenta. Intanto, nell’agosto 1968, il Partito Repubblicano tiene la sua convention proprio a Miami Beach: il suo candidato alla Presidenza, Richard Nixon, è quasi un figlio adottivo per la città. Proprio durante il suo discorso a Liberty City scoppia la prima rivolta razziale, che viene rapidamente confinata. Tutto sommato gli anni Sessanta rimangono un decennio positivo che vede l’apertura del Dade Junior College, permettendo così praticamente a tutti di accedere ad un livello di istruzione alto. Il porto sulla Dodge Island è pienamente operativo, facendo di Miami un porto di prima classe in cui ben presto fanno scalo le navi da crociera. Per la prima volta i developers diventano sospetti e gli ambientalisti, da poco comparsi sulla scena politica e sociale, sfidano il laissez-faire del Governo sulle questioni ambientali, ponendo così un freno ai drenaggi sfrenati. I cittadini si organizzano in gruppi locali per la bonifica delle acque mentre il Governo Federale istituisce il Biscayne National Monument in modo da evitare che le Upper Keys si trasformino in una seconda Miami Beach. Con il finire del decennio gli abitanti della Florida si sentono parte della Storia: il 16 luglio 1969 viene lanciato da Cape Canaveral l’Apollo 11. Cinque giorni dopo Neil Armstrong compie il piccolo “grande passo per l’umanità” sul suolo lunare. Nei primi anni Settanta Miami è di nuovo in espansione. Richard Nixon sceglie una casa su Key Biscayne come residenza presidenziale per le vacanze: Miami assume così rilevanza nazionale. Molti dei primi profughi cubani hanno ormai raggiunto il livello di vita sognato, mentre la SW Eighth street diventa nota come Calle Ocho, la vibrante Little Havana. Con grande ottimismo la Dade-County si dichiara ufficialmente bilingue e biculturale. La comunità nera sembra essersi calmata, anche grazie alla fine delle divisioni scolastiche. Il sistema culturale si amplia: il Lowe Art Museum è il primo museo d’arte al quale ben presto si aggiungono il Bass Museum a Miami Beach e il Miami Art Center. Tutti i mesi di febbraio i marciapiedi di Coconut Grove si trasformano in una galleria a cielo aperto di fama nazionale, mentre gallerie private aprono un po’ ovunque. Arriva però di nuovo la recessione, la più grave dagli anni Trenta, e tutti si ferma di nuovo. Nel 1972, a Washington la polizia arresta quattro uomini di Miami intenti a rubare documenti nella sede del Partito Democratico. Scoppia il caso Watergate, e prima della fine delle indagini Nixon è coinvolto e costretto a dimettersi. Il 1976 e l’anno del bicentenario degli Stati Uniti e Miami è tra le tre città scelte per i festeggiamenti ufficiali. Il 4 luglio, nel corso della cerimonia 7300 immigrati, molti dei quali cubani, ottengono la cittadinanza americana. Durante il periodo peggiore della recessione, Alvah Chapman, direttore del Miami Herald, riunisce ventisette leader nel capo dell’educazione, degli affari e di governo in una riunione destinata a dover trovare un piano per la rivitalizzazione di Downtown. Per le 16.30 hanno un piano e un nuovo comitato, il Downtown Action Committee of the Greater Miami Chamber of Commerce. Lo scopo principale che inseguono è quello di dare a Miami un ruolo centrale nel sistema turistico e commerciale dell’America Latina. Alla fine del 1975 si richiede alla popolazione di suggerire un logo che rifletta lo status internazionale della città: viene selezionato il concept “New World Center” del pubblicitario Hank Meyer, che ritrae Miami come centro del Nuovo Mondo Colombiano. In puro stile Miami, nel 1977 la recessione si trasforma in boom economico. Con l’ingresso negli anni Ottanta il progetto del New World Center sembra

27


prendere forma; scheletri d’acciaio dominano lo skyline di Downtown, dove compagnie aeree e banche internazionali vi installano li loro quartier generali per l’America Latina. Parte il cantiere per il nuovo complesso culturale pensato da Philip Johnson destinato ad ospitare l’Historical Museum of Southern Florida, il Center for the Fine Arts e la nuova biblioteca centrale. La comunità nera perde il suo cuore geografico: Overtown è ormai morente. La scuola è completamente integrata, molti dei commercianti hanno chiuso o si sono trasferiti altrove; i rinnovamenti urbani e le vie a scorrimento rapido hanno mutilato la città. La comunità nera non si sente a suo agio in una società per molto versi cubanizzata.

Viste aeree di South Beach, anni ‘60

28


29


ANNI ‘80 Un ennesimo trauma arriva dal mare: il 4 aprile 1980 Castro, come risposta al Perù, colpevole di aver dato asilo ad alcuni cubani, rimuove la guardie dall’ambasciata peruviana a L’Havana. In pochi giorni più di 10000 cubani invado l’edificio richiedendo asilo politico. Improvvisamente Castro annuncia che chiunque voglia lasciare l’isola può farlo liberamente dal porto di Mariel. Jimmy Carter offre a tutti i cubani una politica “cuore aperto e braccia aperte”, ponendo le basi di quella che è stata la più grande operazione di salvataggio in mare dalla II Guerra Mondiale. La popolazione di Miami risponde subito all’appello: in poche ora una flotta composta da qualsiasi tipo di imbarcazione è pronta a salpare. In realtà il piano di Castro è presto evidente a tutti: oltre ai famigliari i cubani di Miami si videro costretti a caricare a bordo anche quelli che lui definiva “scoria”, feccia. Risultato dell’operazione: dei 125000 nuovi arrivati, almeno 25000 erano delinquenti presi dalle strade, dalle prigioni e dai manicomi di l’Havana. Intanto la situazione tra la comunità nera degenera nuovamente, anche in seguito ad alcuni verdetti non propriamente corretti nei loro confronti. La peggior rivolta che la città abbia visto esplode e dilaga per tre giorni, facendo morti e 1000 feriti oltre a 50 milioni di danni. Miami è sotto shock: la sua aura cambia, non è più solo sole e divertimento. Il Governo Federale da ben poca assistenza ai nuovi rifugiati e per l’ennesima volta la città è costretta ad arrangiarsi da sola. Inoltre, l’insediamento dei criminali di Mariel ha come conseguenza diretta l’aumento vertiginoso delle statistiche dei crimini. Incredibilmente l’economia continua a crescere. Il morale tocca il fondo quando nell’autunno 1981 una barca haitiana affonda e, sotto gli occhi terrorizzati dei turisti, i cadaveri arrivano sulla spiaggia di Palm Beach. La notizia raggiunge Miami, dove all’epoca un migliaio di haitiani è detenuto in attesa di espatrio poiché non viene garantita loro la condizione di rifugiati politici. Nel bene o nel male, Miami continua ad attirare l’attenzione nazionale. Nella primavera del 1983 molti politici si preparano a quella che secondo loro sarà una nuova figuraccia su scala nazionale: un pazzo vuole avvolgere in plastica rosa qualche isola della Biscayne Bay. Fin dal 1981 l’artista bulgaro Christo Javacheff ha cercato in ogni modo di ottenere i permessi necessari ad avvolgere le isole in milioni di metri quadrati di polipropilene rosa. Gli ambientalisti fanno fronte contro di lui, mentre i critici d’arte rimangono allibiti. Christo non si arrende e dopo un infinito iter burocratico inizia a creare le sue “Surrounded Island”. In centinaia si offrono volontari per portare a termine l’operazione e continuano ad avvolgere le isole nonostante le proteste. Quando la città, scettica, osserva il risultato succede una cosa incredibile: Miami si ritrova a sorridere di nuovo dopo tre anni. Nel frattempo, in California i due produttori televisivi Peter Yerkovich e Michael Mann pensano a Miami come scenario per una nuova serie televisiva. Mentre Yerkovich la vede come una specie di Casablanca tropicale, piena di intrighi

30


e di dramma, Mann ha in mente una città bella e brillante: un vero e proprio paradiso rosa, con fenicotteri rosa, tramonti rosa ed edifici rosa. Nella realtà Miami ha ancora quelle tinte terracee in voga nel decennio precedente. Beth Dunlop, critico dell’architettura per il Miami Herald, sta già combattendo una sua personale crociata contro questa palette cromatica. Il 16 settembre 1984 l’immagine voluta da Mann e Yerkovich va in onda: Miami Vice è un successo nazionale. Nella sola sigla riescono a condensare tutto quello che Miami ha da offrire in termini di luce, colori e divertimento; nelle due ore dell’episodio pilota la città è completamente reinventata. Miami, come sempre, se mette subito all’opera per plasmarsi a questa nuova immagine: si tinge di colori pastello; si installano neon e vetrocemento; si piantano palme. Purtroppo anche la Miami di Yerkovich, quella legata ai vizi e ai crimini, è tragicamente reale ma per i turisti questo sembra aggiungere quel brivido in più. Con il finire del decennio Miami ha una nuova presenza architettonica di impatto: tutto il mondo si rende conto che è una città nuova. Dalla sua fondazione ha fatto scarsamente attenzione al suo passato, ma negli anni Ottanta la filosofia della demolizione sfrenata vacilla: per la prima ci si rende conto della pesante alterazione che hanno subito gli edifici storici e di quanti siano scomparsi del tutto. Coral Gables grazie alla sua Preservation Ordinance varata nel 1973, è il solo luogo in cui questo non è accaduto; anzi si spinge sempre più verso una ri-mediterranizzazione della città. Nel 1979 Barbara Capitman e la Miami Design Preservation League si organizzano per fare iscrivere nel National Register of Historic Places una lista di edifici Art Deco di Miami Beach. Per anni le amministrazioni hanno mostrato scarso interesse in materia di tutela; nel 1981 la Dade-County impone alle 27 municipalità che la compongono di dotarsi di un’ordinanza per la salvaguardia del patrimonio architettonico. Anche in questo campo “Miami Vice” fa molto: all’epoca l’area dell’Art Deco District era ancora un enclave abitata da anziani ebrei che vivevano in piccoli hotel decadenti. In pochi e speranzosi iniziano a rinnovare l’aspetto delle facciate, e grazie alle telecamere e alle riprese dei dettagli Deco una sfilza di turisti riscopre e si innamora della Miami Deco. Un censimento del 1990 rivela una importante novità: South Beach non è più la “sala d’attesa di Dio” come la si era soprannominata negli anni ma è ora un area abitata da giovani. Non sono certo gli unici cambiamenti demografici che riguardano Miami: in dieci anni la popolazione di origine ispanica è diventata il gruppo etnico predominante. La maggior parte di quelli che arrivano negli anni Ottanta non provengono da Cuba ma da altri paesi, tra i quali principalmente Colombia e Nicaragua. Il sindaco Maurice Ferre, di origini portoricane, è ponte tra le varie culture, ricevendo il supporto anche dei neri e degli angli.Sono in molti a temere per quella che vedono come la “cubanizzazione” di Miami. T.D.Allman propone una visione diversa: è Miami ad aver “americanizzato” i cubani. Solo qui, infatti, un largo gruppo immigrato è passato nell’arco di una sola generazione dallo stato di rifugiati senza beni a quello di leader influenti. Quella dei cubani a Miami è una vera e propria storia americana. Certamente i cubani sono arrivati con la loro intelligenza, voglia di lavorare e la loro determinazione, ma è stata l’America, con il suo sistema economico, politico, educativo e la sua stabilità a rendere possibile la realizzazione dei loro progetti. E Miami, città che tradizionalmente ha sempre potuto vantare una grande apertura mentale verso le nuove culture e le nuove idee, ha reso possibile quello che la comunità cubana stessa chiama il ”Miracolo di Miami”. Verso la fine del decennio in tutti gli Stati Uniti alcuni neri cominciano a definirsi “afro-americani”; questa identificazione è meno sentita a Miami, dove una larga parte della popolazione di colore non è ne americana, ne originaria dell’Africa. Negli anni ‘80 il risentimento dei neri, o afro-americani, nei confronti della comunità cubano-americana si intensifica. La rabbia, la frustrazione, la disoccupazione e il problemi percepiti nel sistema giuridico provocano, tra il 1982 e il 1989, altre tre rivolte etniche. Bisogna dire che gli anni ‘80 fanno poco per far fronte alle notevoli disparità economiche esistenti tra le varie comunità. Fino a questo periodo Miami era considerata un deserto dal punto di vista culturale, avendo speso gran parte delle sue

31


risorse nel settore ricreativo e turistico. Nel 1981, Lynn e Ted Arison fondano la National Foundation for the Arts, il cui compito principale è premiare i giovani talenti dell’intera America. L’anno seguente, Fred Cooper inaugura il New World Festival of the Arts, che apre la porta ad una serie di festival a sfondo culturale. La Dade-County aveva già adottato nel 1971 un’ordinanza sull’arte nei luoghi pubblici, ma il boom edilizio degli anni ‘80 moltiplica le possibilità: per la fine del decennio la legge ha dotato la città di oltre quattrocento nuove opera d’arte sparse sul territorio urbano. L’impressionante Holocaust Memorial di Ken Triester attira l’attenzione internazionale. La Florida del Sud ospita una delle più grandi comunità di sopravvissuti alla tragedia; nel febbraio 1990 il monumento è inaugurato con un discorso del premio Nobel, e residente di Miami, Eli Wiesel. La scena artistica di Miami si amplia con l’apertura di nuove gallerie. Nel 1984 si inaugura il nuovo centro culturale che ospita l’Historical Museum of Southern Florida, un Centro per le Belle Arti (attuale MAM) e la nuova biblioteca centrale. Nello stesso anno, Mitchell Wolfson Jr. apre una sua galleria al Wolfson Campus per espore la sua personale collezione di Arti Decorative e Propagandistiche. La mostra ha un succeso tale da convincerlo a fondare nel 1986 la Wolfsonian Foundation e a trasformare un vecchio magazzino sella Washington Avenue in nuova sede museale. Ma in questo periodo, in cui tutto evolve rapidamente, la vita rimane confusa e disordinata, a tratti spaventosa. Ma con l’inizio degli anni ‘90 la gente può guardarsi alle spalle e dirsi fiera della propria città, che in un solo decennio è riuscita a far fronte e ad assorbire il trauma di migliaia di rifugiati e delle rivolte etniche. Riuscendo sempre a trarre il meglio dalle sventure, Miami è una città che combatte e sopravvive. Le ragioni per rattristarsi non mancano: molti dei giganti che hanno contribuito a rendere grande la città muoiono; il Miami News edita la sua ultima edizione il 31 dicembre 1988, dopo 92 anni di esistenza; altre pietre miliari dell’economia chiudono o sono in bancarotta. Con il nuovo decennio Miami deve ancora trovare risposte ad alcuni problemi: la questione linguistica, ad esempio, rimane aperta; i tassi dei crimini e del consumo di droga, benché in discesa, rimangono intollerabilmente elevati. Con l’ingresso nel nuovo secolo, alcuni rimpiangono la scomparsa della città della loro giovinezza, resa ormai irriconoscibile dagli ultimi anni. Ma la nuova Miami è bella, viva e piena di promesse; non è più alla fine di qualcosa, ma al centro di tutto e connessione tra le Americhe. Ma, come sempre, una nuova Miami è probabilmente dietro l’angolo, in attesa.

32


33


South Beach oggi...

34


35


...e com’era poco meno di un secolo fa ( altezza Lincoln Road,1914)

36


PARTE II Una storia architettonica

37


38


Miami è la più grande invenzione urbana americana del XX secolo, per i suoi primi 100 anni un sogno per gli agenti immobiliari pendolari del midwest abitanti a New York. Le migliori città sono quelle che hanno inventato se stesse, e Miami è una di queste: letteralmente emersa dalle paludi, non solo Miami si è auto-costruita fisicamente ma anche psicologicamente. La sua architettura culla e stimola contemporaneamente abitanti e turisti sia con le visioni di un passato mistico sia con un sogno di modernità. Le fantasie mediterranee sono state costruite per sottintendere una storia coloniale spagnola che non vi è mai stata. Nuove avventure di sviluppo periferico a Coral Gables e ad Opa-locka hanno disegnato remoti precedenti per creare alcuni dei più sofisticati panorami cittadini americani, trascinando piccole città americane “a cavallo e calesse” nel ventesimo secolo delle auto veloci. Anche il suo paesaggio è spesso soggetto di sogni, con vegetazione esotica importata per trasformare un’afosa e ventosa palude di mangrovie in un paradiso tropicale. Sorprendentemente tutta questa finzione funziona perché è tutto vero, Miami è un’onesta espressione dell’America del ventesimo secolo. E’ la quintessenza del fenomeno capitalistico democratico. Miami, ovviamente, non è Firenze o Roma: è poco rilevante per le architetture “significative” e praticamente fino a poco fa priva anche di significative opere d’arte. E’ comunque forte di architetture “rappresentative”. Gli architetti di Miami hanno ampiamente seguito le mode ma, liberati dal clima favorevole e da un clima di sviluppo comune spesso irrazionale ed esuberante, hanno portato le tendenze a raggiungere un’ulteriore espressione.

GLI INIZI Per Miami il territorio è sempre stato legato alla terraferma, il punto in cui si incontrano mare e cielo. Persino adesso che è una città molto costruita dalla mano dell’uomo, la terra e il paesaggio, il mare e il cielo detengono ancora il potere. Per molti anni il cielo fu lo skyline di Miami, ancor più degli edifici alti che vi sono cresciuti. Ma la Miami del nuovo millennio è un posto molto diverso, una città con un accecante skyline di edifici alti tipo Manhattan, molti di questi rivestiti in acciaio e vetro, o meno frequentemente, nei più tradizionali materiali locali, ovvero stucco e pietra. E’ una città dal passo veloce, che talvolta sembra essere stata progettata per essere vista a 65 miglia orarie, o forse piuttosto da un aereo mentre sta atterrando. Ma se si cercano maggiori dettagli ovviamente bisogna atterrare: la storia di questo posto si spiega nella sua architettura e nel suo paesaggio. La storia procede, partendo dai primi baraccamenti pionieri originari e cambiando continuamente da decennio a decennio. Benché si possa trovarvi dei rari esempi di edifici in stile Tudor o Revival coloniale e una manciata di bungalow, il più dell’architettura di Miami è attualmente connotata da una certa omogeneità, disegnata solo da quattro tradizioni e limitata nei materiali. Il legno arriva per primo e non dura come la pietra, ma il favoloso calcare olitico non era sufficientemente abbondante per costruire più di qualche casa in una città di rapida espansione. Con gli inizi del XX secolo, il legno cominciava ad essere sostituito dal calcestruzzo e lo stucco applicato sui mattoni: fu così fino alla fine degli anni ’50, quando fu costruito il primo edificio a facciata continua. E’ ancora prevalentemente una città di intonaco, come nelle più tradizionali città mediterranee che hanno ispirato l’architettura della Florida nei anni primi del XX secolo. Questa non è una terra ordinaria ma piuttosto qualcosa di strano ed esotico, a differenza di altri luoghi che si affermarono maggiormente in questo periodo. Inizialmente non c’era molto più che pinete, arbusti, boscaglia e giungla (il sudiciume e le mangrovie) e l’enorme cielo blu con le sue quasi palpabili nuvole che formano un quadro vuoto. La storia ci dice che Ponce De Leon fu il primo a vedere questo posto nel 1513, quando si fermò a Biscayne Bay vicino a

39


quello che diventerà poi il Miami River, nel suo risalire la costa alla ricerca della fonte della giovinezza. Vi fu una missione gesuita sulle sponde del Miami River per breve tempo nel XVI secolo, ma il governo spagnolo non riusciva ad attirare residenti in questa calda e apparentemente improduttiva parte meridionale della penisola della Florida. Anche quando la Florida divenne territorio americano nel 1821, lo sviluppo dell’afosa e “zanzarosa” sud-Florida non fu intenso. Fu il nipote di Fitzpatrick, William English, che fondò la città di Miami nel 1842. Per molti anni, infatti, circa due secoli, la riva nord del fiume fu segnata da un cimitero di 12 per 22 metri che la famiglia indiana Tequesta si lasciò alle spalle quando fuggirono a l’Havana nel 1763. Fino a metà degli anni Settanta, gli archeologi trovarono evidenti tracce dei primi insediamenti indiani, ossa, cocci di ceramica, artefatti, così come l’evidente uso del territorio lungo il fiume come luogo sacro. Quello che oggi è chiamato Miami Circle fu scoperto nel 1998 così come la terra a sud della foce del fiume fu salvata dall’ennesimo progetto per condomini; i cimiteri recentemente scoperti, rimangono di pubblico dominio, all’ombra di una città che circa 200 anni dopo raggiunge inevitabilmente (a volte grandiosamente e a volte goffamente) il cielo, abbandonando spesso ogni nozione di spiritualità. Altre città erano già diventate dei centri abbastanza sofisticati di architettura e commercio quando Miami era ancora un avamposto inesplorato. Molte mappe dello stato del XIX secolo, quando lo fanno, mostrano la parte a sud come selvaggia. Il nome di Miami appare almeno su una mappa datata 1885, lo stesso anno in cui l’edificio della compagnia di assicurazioni di William Le Baron Jenney fu considerato il primo grattacielo costruito. Uno dei primi ad insediarsi, William Wagner, mise in gioco a Miami la sua affermata fattoria nel 1855, costruendo una casa con mulino sul fiume. Altri, anche se lentamente, seguirono il suo esempio. Il villaggio di Cocoanut Grove (oggi nei pressi di Coconut Grove) ebbe il suo ufficio postale nel 1873. Il commodoro Ralph Munroe vi arrivò per la prima volta nel 1887, ma fu solo nel 1889 che decise di stabilirsi definitivamente a Miami, dove iniziò a costruire il suo tuttora straordinario Barnacle su cinque acri di terra lungo la striscia calcarea di Biscayne Bay. Munroe usò legname locale per costruire questa casa che ancora oggi è un modello di costruzione tropicale. Il suo tetto discende a gradini per permettere alle piogge torrenziali estive di defluire, un’ampia veranda doppia per disegnare nelle brezze tropicali e ombreggiare l’interno dal sole. I primi ad insediarsi a Miami come Munroe, non furono solo avventurieri ed esploratori; ci furono anche studenti, scienziati, intellettuali, dediti al paesaggio naturalmente esotico, incolto e vergine che vi si poteva trovare. Geologicamente parlando, il territorio è marcato da una porzione calcarea che si protende alta sulla baia, visibile attraverso molte delle parti settentrionali di Coral Gables, che a volte corre lungo lo scenico lato a sud della strada di South Bayshore Drive. L’area era coperta da mangrovie, pinete, distese di latifoglie e giungla: per molti versi un paesaggio aspro e duro da domare, che cede al paludoso, vasto, lento fiume che noi conosciamo come Everglades. Se inizialmente non c’erano insediamenti coesivi, ma solo una manciata di contadini pionieri sparsi su tutto il territorio, presto si crearono piccoli insediamenti, vicino alla foce del Miami River, a Coconut Grove, Cutler più a sud mentre Buena Vista e Lemon City a nord del fiume. Solo pochi resti di quest’era, tra cui il Barnacle e la fattoria Wagner, esistono ancora oggi per dirci che la vita in questi ultimi anni della crescita immobiliare è stato l’adattamento dell’architettura ad un clima torrido. Molte di queste ultime case sono marchiate dalla tradizione vernacolare del sud, “classic cracker” come veniva chiamato da Ronald W. Haase, che lavorò nel corso di questi anni alla Florida University documentando molti resti di questo stile architettonico. I Cracker Cottage furono spesso costruiti crudamente con i materiali disponibili, ma raramente erano sufficientemente eleganti. I sopravvissuti restano, come fece Haase, quando per primo incontrò questo prototipo di Florida, “ancora bella ma colpita dalle intemperie e dalla biodegradazione nell’inarrestabile clima della Florida”. Il Barnacle di Munroe eleva lo stile Cracker a qualcosa di molto più alto, molto più sofisticato e bello, con le sue ampie verande e i tetti sovrastanti molto ripidi, il Barnacle, adesso sito storico nazionale, è rimasto il prototipo di costruzione per il clima, la topografia e l’essenza del luogo. L’edificio Pagoda alla Ransom Everglades School a Coconut Grove, fondata nel 1903, è un altro notevole esempio di abilità

40


nel mestiere; un’altra struttura dell’era pioniera sul campus della scuola che fu cautamente restaurato da Rocco Ceo. Dal 1890, la “città di Miami”, era pronta a fiorire. Le sue origini come città sono leggendarie fino ad essere considerate, ironia della sorte, un mito. La storia racconta che durante l’inverno particolarmente freddo del 1895, quando la raccolta di agrumi, linfa vitale dell’economia della Florida, fu rovinata quasi completamente, una donna chiamata Julia Tuttle mandò all’imprenditore ferroviario Henry Flagler un rametto di fiori d’arancio per provare come il clima di Miami fosse più clemente. Meno di un anno, nel luglio del 1896, Miami fu proclamata ufficialmente città. L’anno dopo Flagler costruì il suo Royal Palm Hotel; demolito nel 1930, il lotto rimase inutilizzato, eccetto che come superficie a parcheggio, per sette decenni sino a che un progetto chiamato Metropolitan Miami prese il via. Vedere la città alla foce del Miami River nel 2006 è come vedere quella città che nessuno dei primi esploratori e nessun insediamento di pionieri avrebbe potuto anticipare. E’ una città di calcestruzzo, vetro, acciaio e intonaco. Lo skyline della città è forte e pronunciato, e incide spesso contro un cielo blu e profondo, che cambia velocemente. Non c’è modo di vedere il genuino, resistente, primordiale paesaggio incontrato da Ponce de Leon, o anche da William Wagner, ma uno può ancora vedere le mangrovie e il loro groviglio di radici fuori nella baia e incontrare le Everglades in una condizione che, sebbene ben lontano dalla loro originaria verginità, ancora somigliano alla loro storica forma. Il paesaggio restante, anche nel suo essere selvaggio (e ce n’è una piccola parte a ovest che ancora lo è) è un paesaggio artificiale. Anche se fosse stato del tutto cancellato, il paesaggio è il punto di partenza per capire il fascino di Miami. Non fu tanto la condizione dura che convinse i primi coloni, ma la possibilità di creare un luogo paradisiaco da un luogo tropicale ed esotico, non diverso dai disegni realizzati dai primi esploratori o dai romanzi d’amore illustrati (Ramona, talea of the Avambracci) nel quale gli americani del XIX secolo si immersero. Miami era selvaggia, un posto dove il cielo sembrava spesso impassibilmente blu, la luce profondamente brillante, le nuvole enormi e drammatiche. Il romanticismo è stato un richiamo innegabile, ma fu così, per molti, l’opportunità di esplorare le possibilità botaniche e orticolturali. Sia Miami Beach che Key Biscayne occupano il suolo precedentemente sede delle piantagioni fallite di cocco o ananas. Al Barnacle, Ralph Munroe, un esperto fotografo, fu affascinato dalle piante e dagli alberi attorno a lui e iniziò a documentare la varietà botanica offerta dal sud della Florida. Egli non ha solo fornito un registro botanico, ma le sue foto, come documentò la storica Arva Moore Parks, ci mostrano una Miami sia ingenua che ingegnosa. Infatti, dalla fine del XIX secolo, Miami fu una calamita sia per i botanici professionisti che per gli amatori e orticoltori intrigati dal mondo delle piante tropicali. A proposito fu più significativo l’apporto di David Fairchild, che diresse il Plant Introduction Program per il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, viaggiando attraverso i primi anni del secolo per il mondo in cerca di specie finora sconosciute. Tradizionalmente è accreditato per aver introdotto sul suolo americano 77.500 esemplari, incluso Soia, pistacchi, Cachi ed Avocado. Attirati a Miami, Fairchild e la moglie Marian, la figlia di Alexander Graham Bell, acquistarono terreni a Biscayne Bay nella parte sud di Coconut Grove e vi costruirono una casa chiamata Kampong. Ci fu Charles Deering, che nel 1902 divenne presidente del consiglio dell’International Harvester, dopo una fusione con l’azienda a conduzione familiare McCormick Harvesting Machine Company. Originario del Maine e presidente della compagnia madre a Chicago, Charles Deering fu attratto da Miami e costruì la sua prima casa in quello che diventerà la porta della comunità di Bay Point vicino a Buena Vista. Questa residenza fu poco conosciuta fino a che l’architetto e storico del giardino Joanna Lombard riscoprì documenti che mostrarono il progetto di una casa in stile spagnolo. Esiste una documentazione più consistente sul paesaggio. Deering poi si spostò a sud verso l’insediamento di Cutler, dove visse nella vecchia locanda Richmond, costruita nel 1899, mentre costruiva la sua “casa di pietra” progettata dall’architetto Phineas Paist. S’insediò a Miami, a partire dal 1914, da suo fratello James, di cui Vizcaya resta oggi uno dei lavori di architettura e paesaggio che meglio gli siano riusciti. A Cutler, Deering, botanico amatoriale, usò la terra della baia per i suoi esperimenti botanici, introducendo e coltivando rare ed esotiche piante ed alberi, molti dei quali sono ancora lì (la proprietà Deering, come oggi è ancora chiamata, è

41


42


un luogo pubblico). La casa non divenne pubblica sino alla metà degli anni ’80, quando fondi dello stato e della contea vennero usati per comprarla dalla famiglia. Sia l’edificio che il territorio furono restaurati, un compito reso ancor più formidabile dai gravi danni subiti dall’uragano Andrew nel 1992.

LO STILE MEDITERRANEO L’architettura Mediterranea, in Florida, ha dominato la prima parte del ventesimo secolo; era al tempo stesso pittoresca poiché spesso determinata da illustrazioni e da progettazioni che erano tuttavia particolarmente adatte per luogo e tempo. Lo stile di Coral Gables, così riccamente descritto in promozioni, opuscoli e articoli di giornale, è stato in particolare un’invenzione del suo tempo: miscela di arte spagnola, italiana, francese, veneziana, moresca, bizantina, mesoamericana e di elementi tropicali, diventa una tipologia localmente affermata. Secondo una fonte è stato volutamente così, “nel suo futuro avrebbe avuto la possibilità di sviluppare una grande nuova architettura, perché era viva e originale, unica, perché avrebbe potuto esprimere la regione più unica dell’America subtropicale, la Florida”. L’architettura non senza rigore, dalla romantica attrattiva, l’esecuzione poteva variare da eccessiva a sontuosa. L’obiettivo dell’architettura, secondo la storica Arva Moore Parks, era quello di creare edifici con “sostanza, bellezza, e un senso di permanenza”. Questa particolare Florida Mediterranea è spesso considerata come lo stile spagnolo, ma questo può trarre in inganno: i cosiddetti edifici spagnoli, non risalgono alla Spagna all’occupazione della penisola, ma all’arrivo di Henry Flagler a St. Augustine. L’architettura del Mediterraneo del 1920 non è necessariamente legata ad un solo stile, ma piuttosto ad un assortimento di stili provenienti da Nord Africa, Spagna, Francia, Italia e Grecia. Nelle loro indagini, gli architetti urbanisti Andres Duany e Elizabeth Plater-Zyberk hanno individuato un’ulteriore influenza nel Neoclassicismo tedesco. Le case di Coral Gables, quindi, sono degne di nota, come un nuovo sviluppo dell’architettura americana. Esse rappresentano la soluzione di un problema unico. Sarebbe stato più facile per gli architetti copiare le cose belle che generosamente sono state costruite nei luoghi più antichi. Avrebbero potuto mescolare i portici coloniali del New England mettendoli accanto a villette svizzere adatte alle sporgenze rocciose delle Alpi. Avrebbero potuto mischiare insieme Bungalow Californiani, con pilastri resi massicci per contrastare i terremoti e cottage Elisabettiani in legno a titolo di sobborghi di Philadelphia, e alternare l’intero Hodge-podge con il cemento grezzo e scatole d’imballaggio che sono stati l’abitudine del costruire economico della Florida. Coral Gables da tale metodo avrebbe potuto fare il centesimo museo di architettura anomalo, un glorificato zoo architettonico. Ma in quel modo, non avrebbe mai potuto essere Coral Gables. Facendo un passo indietro agli inizi, Flagler, la cui fortuna derivò dal suo collega John D. Rockefeller nella Standard Oil, aveva rivolto i suoi interessi alle ferrovie, e inevitabilmente al loro sviluppo. A partire da Jacksonville si diresse verso sud fino all’accampamento spagnolo di St. Augustine, che prima del suo arrivo era stata una piccola ma interessante città, trasformata alla fine del 1880 in una destinazione alla moda, il primo vero Resort della Florida. L’architettura di Flagler nei due hotel di St. Augustine, il Ponce de Leon e l’Alcazar, ha attribuito a St. Augustine un reale e immaginario passato spagnolo. Gli architetti Thomas Hastings, figlio di un amico di vecchia data di Flagler, e John M.

43


Carrere avevano appena iniziato una collaborazione, piuttosto interessante, con Bernard Maybeck e in questi due alberghi gli architetti fecero volare la propria immaginazione. I risultati furono un’architettura fittizia, più spagnola della Spagna stessa, ed edifici che raccontano storie calde con notti stellate e cortili pieni di fontane e fiori profumati. La Florida è il luogo ideale per tali edifici elogianti. Soprannominata vacationland, un’architettura della fuga e del sogno risultava del tutto appropriata. Aveva un passato, più o meno sconosciuto, spagnolo (non molti edifici,sopravvivevano per raccontare la storia) e un paesaggio coltivato con palme, alberi da fiore e arbusti venuti da lontano, da luoghi esotici. A Miami, i primi edifici spagnoli di nota sono stati fatti in stile missionario o in stile coloniale spagnolo, molto in voga nei primi decenni del ventesimo secolo, in particolare grazie alla World Columbian Exposition del 1893 e alla Panama Pacific International Exposition, tenutasi sia a San Diego che a San Francisco nel 1915 in onore del completamento del canale di Panama. Interi quartieri sono stati costruiti in una sorta di stile missionario, il più semplice dei due da eseguire. Architetti come August Geiger e Harold Hastings Mundy hanno lavorato in stile coloniale spagnolo, anche se per edifici di gran lunga più spogli di dettagli ornamentali, analoghi a quelli visibili in California. Il Miami City Hospital di Geiger (da tempo noto come Alamo) e la sua Miami Beach Municipal Clubhouse (ora chiamata 21st Street Community Center) offrono esempi dello stile coloniale spagnolo adattato al clima e ad un ambiente più duro. La Villa Vizcaya di James Deering, iniziato nel 1914 e completato nel 1917, ha offerto un’alternativa alle interpretazioni più o meno letterali di architettura coloniale spagnola , aprendo alla possibilità che un palazzo italiano possa essere tropicalizzato. Che non vi fosse alcuna reale architettura “Mediterranea”, su cui basare questo nuovo stile significava che era un’invenzione. In una lettera ai suoi genitori, l’architetto svizzero Maurice Fatio (che è conosciuto soprattutto per il suo lavoro a Palm Beach, ma in realtà ha progettato una serie di importanti case a Miami) ha osservato che “non ci sono tradizioni da seguire qui”. Fatio ha continuato a dire che: “ Si è costretti, per gli americani che non vogliono l’arte moderna, a diventare eclettici, e a prendere la propria ispirazione dagli esempi più significativi dei periodi migliori di ogni paese europeo.” Proprio mentre Vizcaya era in fase di completamento, l’architetto Tedesco Kiehnel Richard arrivò a Miami per la progettazione di una casa sulla baia per l’industriale di Pittsburgh John Bindley. Kiehnel aveva lavorato a Chicago e Cleveland prima di trasferirsi a Pittsburgh per formare lo studio Kiehnel & Elliott; anche se lo studio ha lavorato in una varietà di stili di alla moda, è stato noto soprattutto per i suoi edifici scolastici in stile Prairie. A Miami, Kiehnel ha adottato un approccio molto diverso. Nel suo El Jardin ha incorporato elementi del barocco, Mori e spagnoli basandosi non solo su un buon artigianato, usando nuove tecnologi per ottenere una patina di età, come strati di vernice applicati con cura per rendere alla casa un’aspetto antico e ossidato dal tempo. Anche se la sua sala da pranzo Adam (così chiamata perché il suo soffitto e il suo ornamento evocavano immagini degli architetti inglesi Robert e William Adam) si colloca esattamente nel regno di altre case Gilded Age, El Jardin (ora parte della scuola del Sacro Cuore di Carrollton), segue Vizcaya, nel senso che trae ispirazione dalla tipologia della villa veneta. Alcuni dettagli, come le colonne decorative, derivano dalle case moresche della regione spagnola dell’Andalusia. Questa mescolanza di metafore è molto importante. Quasi allo stesso periodo in cui Kiehnel stava completando El Jardin, l’architetto Addison Mizner iniziava a lavorare su quello che sarebbe poi diventato l’Everglades Club a Palm Beach. Mizner era un californiano di ricca e agiata famiglia, che prima

44


di trasferirsi a Palm Beach aveva progettato grandi case a Long Island. A Palm Beach venne corteggiato da Paris Singer, il più giovane dei diciannove figli (molti dei quali illegittimi) di Isaac Singer, inventore della macchina da cucire. Paris Singer aveva già costruito due ospedali per la convalescenza dei feriti della I Guerra Mondiale in Francia, ed ora voleva costruirne uno a Palm Beach. La prima visita a Palm Beach di Mizner fu nel 1917: portò con sé il suo amore per l’avventura e una valigia piena dei suoi studi fatti nei suoi viaggi in Guatemala, Spagna, Hawaii e Samoa, oltre ad un background professionale nell’architettura che l’aveva visto coinvolto in una partnership con Willis Polk a San Francisco. Aveva un senso innato del teatro, e un gusto sia per il raffinato che per lo spettacolare. Il suo Everglades Club fu un successo immediato che gli portò subito ulteriori commissioni su Palm Beach, a partire da El Mirasol, commissionato dalla società regina Eva Stotesbury e completato nel 1921. L’architettura di Mizner è stata a lungo marchiata come stile spagnolo, anche se questa è una definizione piuttosto limitata. Mentre la Palm Beach di Mizner stava prendendo forma, il terreno era stato predisposto per Coral Gables. George Merrick, figlio di un ministro della Congregazione, si era trasferito all’età di dodici anni con la sua famiglia in quella che allora era la periferia di Miami. Ha frequentato la Stetson University e poi la scuola di legge di New York, ma nel 1911 torna a gestire la piantagione di avocado e pompelmi della famiglia. Già allora, osserva la storica Arva Parks, aveva cominciato a sognare di costruirvi una città. “E’ difficile separare George E. Merrick da Coral Gables così come separare Coral Gables da George E. Merrick” ha scritto Virginia Robie in una brochure promozionale dal titolo Coral Gables - Miami Master Suburb. La madre di Merrick, Althea Fink Merrick, proveniva da una famiglia di artisti, e fu in questo periodo che il suo talento entra in gioco. Merrick stesso era poeta e scrittore, quindi era del tutto naturale che la città che aveva in mente fosse nata prima nelle sue parole e nelle immagini della madre ancora prima della vendita dei terreni del 1921. Se l’architettura mediterranea, così come diffusa in Florida, è al tempo stesso arte e artigianato, è certo che l’arte è venuta prima. A Denman Fink (zio di George Merrick) è stato dato il titolo di direttore artistico per la città che stava disegnando con un team di architetti che crescerà fino ad includere il nipote George H. Fink, così come Kiehnel e Walter C. DeGarmo, Martin Luther Hampton e Harold Hastings Mundy, ciascuno dei quali ha lasciato un impatto duraturo non solo su Coral Gables, ma anche in generale sul sud della Florida. Furono raggiunti dal paesaggista Prank Button, il cui contributo incommensurabile trasformò questa zona in una città immersa in un giardino. Button era giunto a Miami per aiutare Charles Deering nella sua tenuta prima a Buena Vista e poi a Cutler. Una caratteristica singolare del piano di Coral Gables è stato l’utilizzo di portali, fontane e di altri monumenti cittadini, dal design classico e accuratamente battuto per dare alla città un senso di maestà e di statura e per trasmettere, in modo convincente, la sua qualità vecchio mondo. Anche le torri dell’acqua (in origine erano tre, anche se solo una è visibile ancora oggi) erano concepite come opere d’arte civica. Tra gli esempi più sublimi di questo vi è la piscina comunale, originariamente conosciuta come il Venetian Casinò (ora la Venetian Pool), costruita a partire da una cava di roccia. Il non luogo è un posto dove nuotare che è stato costruito indubbiamente con un lavoro di grande arte. E’ la grande l’arte, in primo luogo, perché si compie uno dei bisogni fondamentali dei tropici, come l’acqua soddisfa l’obiettivo di un giardino, e poi perché in un edificio il signor Fink ha risolto il suo problema locale con una struttura bella e dignitosa e ben congegnata fino al suo ultimo dettaglio. La piscina veneziana di Coral, non si concentra solo su se stessa, con le sue ampie logge verdi, portici ombrosi e viti coperte, le sue grandi torri spagnole, le sue sale da tè e pista da ballo e spogliatoi, la vita agiata di un’intera regione, ma fornisce tutta l’America con un unico e nuovo sviluppo architettonico di altissimo valore artistico. L’artista ha voluto creare

45


46


una struttura maturata nell’atmosfera, come uno di quegli antichi palazzi veneziani, vestito di vecchie pietre, sognante per secoli tra il luccichio del sole e del mare, ma non a tutti, in alcun modo servile, riesce esattamente l’imitazione del veneziano. Un’analisi del testo della descrizione della Venetian Pool fornisce molte informazioni circa le numerose idee in merito a Coral Gables e all’architettura mediterranea: l’arte e la praticità vanno di pari passo con una sublime romanticità; con attenzione artificiosa le allusioni e le metafore sono mescolate in modo da rendere le origini non del tutto identificabili. Anche il Biltmore a Coral Gables, inaugurato nel 1926, mescola le metafore: è una villa toscana sormontata da una versione della famosa Giralda di Siviglia. Il Biltmore è parte del magistrale piano di vendite di Merrick per Coral Gables, un grande albergo per i futuri acquirenti. Il programma di vendita è basato in parte sul ricorso a idee utopiche (una città concepita con viali costeggiati da alberi da frutto, le scuole e le università, negozi e botteghe artigiane, parchi e campi da golf, così come alloggi per ricchi e anche meno ricchi) e a promotori, come il grande oratore William Jennings Bryan. La politica pubblicitaria funziona e la folla accorre. Il boom immobiliare della Florida del 1920 è stato reale, anche se in alcuni punti le promesse non sono state mantenute (questo si ripeterà più e più volte negli anni a venire). Coral Gables è stata una delle offerte autentiche. Entro la fine del 1926, un embargo ferroviario di materiali da costruzione, un uragano assassino e una serie di pratiche territoriali discutibili (la speculazione aveva gonfiato artificialmente i prezzi dei terreni e con conseguenza impossibilità per molti investitori di svilupparle) portarono alla catastrofe statale che ha preceduto la Grande Depressione. Merrick terrà a malapena testa alla crisi, ma Coral Gables aveva raggiunto molti dei suoi obiettivi, se non tutti. Coral Gables è stata l’apoteosi dello stile mediterraneo,dal punto di vista filosofico e costruttivo. Questa architettura ha preso, comunque, piede in tutta la Florida, in particolare nel sud. Basta osservare la suddivisione di Morningside, tracciata nel 1922, o il nuovo quartiere a nord di Miami Shores. Entrambi sono stati resi possibili dalla costruzione di Biscayne Boulevard, un progetto della famiglia Phipps, gli investitori originali del Miami Shores, che hanno tracciato la strada durante la notte, aprendo cantieri davanti alle case senza chiedere il permesso. Le case di Morningside e Miami Shores sono state, in generale, progettate dagli stessi architetti che erano al lavoro a Coral Gables e hanno le stesse caratteristiche. Dei due quartieri, Morningside è più eclettica, con stili storici che vanno dal Revival Tudor al primo modernismo, conservando ancora la lucentezza e il fascino proposto dal numero di case mediterranee della Florida e dalla concomitante ed attenta pianificazione urbana. A Morningside, ora un quartiere di circa duecento case, gli investitori hanno fatto piantare più di quattromila alberi. “Ogni caratteristica che potrebbe tendere verso la comodità, la convenienza, la dignità e la bellezza è stata incorporata nel piano di sviluppo, e nessun dettaglio è stato lasciato incustodito”, annunciava un opuscolo promozionale di quel periodo. La Coral Gables di Merrick prevedeva anche l’inserimento di una serie di “villaggi” dall’architettura tratta da luoghi esotici. Sette di questi sono stati effettivamente costruiti, tra cui uno cinese, uno italiano, uno olandese-sudafricano, uno francese cittadino, uno normanno, uno francese rurale e uno coloniale americano. Per queste iniziative, Merrick si era avventurato più lontano alla ricerca di architetti, molti dei quali, come Mott B. Schmidt e Philip L.Goodwin, erano ben noti agli operatori della sua società. In Opa-locka, nell’angolo nord-occidentale più lontano di quella che allora era la Dade County (attualmente la Miami Dade County) la tematizzazione è stata di gran lunga più stravagante: vi è, infatti, stato pianificato un vero e proprio Arabian Nights fantasy.

47


48


Opa-locka è stata una delle tre città sviluppate dal pioniere dell’aviazione Glenn H. Curtiss. Curtiss iniziò a lavorare con James Bright su Opa-locka e alla fine del 1925 aveva già avviato altre due città in stile missione, Miami Springs e il Pueblo Revival, e Hialeah, il cui fulcro era il Miami Jockey Club, che nel corso degli anni è stato ricostruito e reso grandioso (ora è un monumento storico nazionale) ed è rimasto a lungo inutilizzato e in stato di abbandono. Per Opa-locka, Curtiss ha scelto un’architettura, ispirata in gran parte ai film, ufficialmente chiamata Revival moresco, ma più nota come stile “Sceicchi d’Arabia”.Questo esercizio stravagante di architettura è combinato con un piano per una città giardino. Frank S. Fitzgerald-Bush, in una memoria personale su Opa-locka, ha scritto che l’architetto F. Bernhard Muller aveva inizialmente proposto un tema alla Robin Hood, ma Curtiss scelse il moresco, attribuendo questa scelta, forse ipocritamente, alla propria madre, Irene Bush, che desiderava vedere una città da sogno che fosse una fantasia da Mille e una Notte. Catherine Lynn, dopo aver esaminato i rapporti sui giornali del tempo, ha offerto la spiegazione più plausibile secondo cui Muller avrebbe letto un’edizione dell’opera letteraria uscita poco prima che affrontasse il progetto. Lynn cita Muller in un articolo dell’Opa-locka Times del 23 febbraio 1927: “avrebbe definito la città sulla base delle storie, utilizzando una storia per ciascuno degli edifici più importanti, così come i nomi per le strade. In ogni edificio avrebbe raccontato una storia per mezzo di decorazioni murali e con il ferro battuto avrebbe rappresentato le varie funzioni della storia”. In Opa-locka, una città molto degradata dalla povertà presa in una spirale verso il basso dal l960 in poi, un certo numero di edifici (tra i quali il municipio, la stazione ferroviaria, e molte piccole case) sono ancora in piedi con l’originario sfarzo e prosperità, con minareti, cupole e quant’altro. Rimangono pochi resti dell’epoca Curtiss: sia Hialeah che Miami Springs, in seguito ai rapidi cambiamenti demografici nel mondo del periodo post-guerra, e l’arrivo di centinaia di migliaia di immigrati cubani a Miami nel 1960 hanno profondamente modificato il loro aspetto. Per Miami Shores, Morningside, e Coral Gables la situazione è, finora, più felice: le case mediterranee in questi settori (e altri, tra cui Miami Beach) sono molto apprezzate e i quartieri residenziali tenuti in ordine.

LO STILE ART DECO L’architettura Art Deco di Miami Beach nacque durante la depressione e venne costruita con un passo così rapido da sembrare che un’intera città sul mare sia emersa in una notte. L’architettura deriva, in minima parte, dal Bauhaus (questa è una continua fonte di discussioni accademiche), ma soprattutto dall’Esposizione Internazionale delle Arti Decorative e Industriali Moderne del 1925 di Parigi. Altrove, in particolare nelle città americane più grandi e più a nord, l’Art Deco era uno stile per grattacieli, e gli esempi più famosi sono l’Empire State Building e il Chrysler Building di New York. A Miami Beach la situazione è diversa: un Deco ad intonaco con abbondanza di immagini nautiche e tropicali. I pinnacoli e le guglie di Miami Beach, in piccola scala negli edifici Art Deco, fanno riferimento ai grattacieli delle altre città. Ampie terrazze con ringhiere metalliche ed oblò sono metafora delle navi da crociera dell’epoca. Fregi di stucco, finestre in vetro acidato, e murales che rappresentano fogliami tropicali, uccelli esotici ed intense scene di vita del sud della Florida. Oggi, in quello che prima del XX secolo era il National Historic District, così chiamato nel 1979, gli edifici intonacati luccicano al sole, simboli celebrativi della riscoperta urbana e della trasformazione. Ma quando l’area venne inserita nel National Register of Historic Places, era oppressa e spenta, un distretto di un miglio quadrato di sporcizia e hotel e appartamenti dilapidati, color grigio beige e velati di marrone. Ha subito la doppia umiliazione dell’insensibilità politica e dell’abbandono

49


economico, intraprendendo una lunga e lenta scivolata verso il basso. L’Art Deco District (ufficialmente è il Miami Beach Architectural District e in gergo comune South Beach) era florido nella jazz-age del 1930 e divenne la casa di migliaia di militari durante la II Guerra Mondiale e fu dove molti di questi ritornarono con le famiglie. Negli anni cinquanta, l’idea americana delle vacanze invernali iniziò a cambiare e le spiagge più a nord offrivano sfavillanti hotel che portavano la firma di architetti come Morris Lapidus e Melvin Grossman, e moderni hotel kitsch. La vecchia Miami Beach cominciò a cadere in rovina, almeno sino a quando Barbara Capitman e la sua Miami Design Preservation League la riscoprirono come celebrazione e collezione straordinaria di Art Deco. Nella loro abbondanza (ad un certo punto erano più di un migliaio, sebbene il numero sia sceso al di sotto di ottocento), questi edifici si unirono per creare una notevole circoscrizione urbana, a bassa scala, con tre strade all’ombra ed edifici di 2 piani intonacati (erano alti solo nelle strade principali, Ocean Drive e Collins Avenue). Ci sono dei veri gioielli tra di loro, troppo numerosi per essere elencati tutti, ma includono il Crescent, il McAlpin, il Winterhaven, il Colony, il Century, il Cardozo, l’Essex House, il Tudor, the Hotel (in passato il Tiffany), lo Sherbrooke e la Haddon Hall. Ma il valore complessivo è maggiore della somma di tutte le parti; molti degli edifici dell’Art Deco District sono semplici, carini e a volte indescrivibili. Insieme, tuttavia, hanno una presenza potente. Sono piani, geometrici e grafici, funzionano bene sia bidimensionalmente (in fotografia, nei film ed anche nei dipinti), sia in tre dimensioni. Questi edifici sono stati concepiti come scenografie per le azioni che si svolgono attorno ad essi e così sono rimasti sino ad oggi. La Miami Beach degli anni Trenta era un nuovo fenomeno in America. Un resort di medio livello per persone dai sogni illimitati ma con possibilità limitate. Così gli hotel vengono allineati come fossero navi da crociera al porto: i loro portici frontali, i ponti, le lobby, i saloni, le camere e le cuccette. Se la tematica dell’architettura Mediterranea degli anni Venti deriva da un impulso narrativo, dal desiderio di raccontare una romantica e a volte esotica storia, l’Art Deco è diverso. Gli edifici erano spesso scenografici e teatrali, un nuovo modo di vedere una località e quindi l’architettura. Molti degli edifici Art Deco di Miami Beach furono costruiti al culmine della depressione anche in seguito alla totale distruzione dovuta all’uragano del 1926. Miami è entrata in crisi all’inizio della depressione, già nel 1926 con il collasso del mercato immobiliare. Dalla metà degli anni Trenta, con il resto del paese ancora alle prese con le estreme difficoltà economiche, l’economia della Florida inizia a riprendersi. Da nessun’altra parte questo era tanto evidente quanto a Miami Beach. La popolazione crebbe rapidamente: in soli cinque anni, tra il 1930 e il 1935, il numero crebbe da 6.500 a 13.500, innescando una serie di nuove costruzioni che raggiunse il suo picco negli anni tra il 1935 e il 1941. Fu “una visione del XXI secolo”, come disse Chester Liebs, che dirigeva il programma di conservazione presso l’Università del Vermont, sottolineando che l’Art Deco District di Miami Beach “riflette la tarda depressione e le aspirazioni del periodo di guerra dei nostri genitori e nonni, la grande fuga, una possibilità di vedere ciò che le città americane desideravano sembrare durante un’era dove c’erano pochi soldi per rinnovarle”. Nella sua ampiezza Miami Beach non è più di due miglia di lunghezza: un lungo e stretto pezzo di terra trasformato da selvaggio deserto di fango e sabbia in una famosa destinazione internazionale per turisti ed una delle poche località balneari urbane degli Stati Uniti. Una storia che ha sia gloriosi che improbabili momenti. Fu nel 1870 che padre e figlio Henry e Charles Lum acquistarono 165 acri su questa stretta striscia di isola per piantarvi una piantagione di cocco. Dal 1849, in seguito all’abbandono dei fratelli Lum , John Collins, dal New Jersey arrivò ad analizzarla. Comprò molta terra e si alleò con l’azienda dei Lum, aiutando nei finanziamenti. Su quella terra sperava di poter coltivare avocado, mango, banane e altri frutti tropicali. Nel 1902-1906 si trasferì in quella che sarebbe diventata Miami Beach e presto fu seguito dalla famiglia, che crebbe fino ad includere un genero, l’architetto Russell Pancoast, che avrebbe lasciato un segno indelebile su Miami come progettista di numerosi ed importanti edifici (il Bass Museum del 1931 e l’originaria

50


51


52


Miami Beach Public Library vicino ad esso, tra i più belli della città). Dal 1912 Collins possedeva la spiaggia, dall’oceano alla baia, dalla Fourteenth Street alla Sixtyseventh Street; il sogno di una vasta piantagione di frutta tropicale era sfumato e Collins iniziò a lavorare a due progetti ambiziosi: un canale che collegava un lago interno (ora chiamato Pancoast Lake) con la baia, e un ponte sino alla terraferma. Sebbene iniziò a suddividere e vendere la sua terrà per pagare i progetti, presto finì i soldi. Entrò in scena Carl Fisher, un audace investitore che fece milioni vendendo la sua Prest-o-Lite Company (produttrice di fanali per auto) alla Union Carbide oltre ad esser colui che realizzò la pista di Indianapolis. Nel 1913 arrivò a Miami, comprò una casa insignificante, e presto unì le sue forze a quelle di Collins, prestandogli 50.000 dollari per completare il suo ponte di legno alla terraferma, quella che ora si chiama Venetian Causeway. In cambio Fisher ottenne i 200 acri più a sud della proprietà di Collins. La terra più a sud di Miami Beach non era di proprietà né di Collins né di Fisher, ma dei fratelli J.E. e John N. Lummus (da non confondere con la precedente famiglia Lum). Come Collins, avevano bisogno di investitori per i loro progetti; la loro Ocean Beach Realty Company comprendeva la punta a sud di Miami Beach nel 1912, ma la maggior parte di questa era paludosa. Fisher prestò loro i soldi in cambio di 210 acri lungo Biscayne Bay. I Lummus vendevano piccoli lotti senza discriminazioni religiose: aprirono agli ebrei Miami Beach. I lotti di Fisher erano più grandi e più costosi e soggetti a parecchie limitazioni; i suoi hotel erano rigidamente antisemiti. Fisher era un perfetto venditore ed era come se avesse avuto una visione: “guardare alla paludosa massa di terra aggrovigliata nel mezzo di Biscayne Bay come se fosse uno schermo vuoto sul quale proiettare in un glorioso technicolor la quintessenza del parco giochi milionario, una produzione che si chiamerebbe Miami Beach”. Lui vendette Miami Beach come un circo di prosperosi showman, che portarono fenicotteri, cavalli ed elefanti, così come bellezze al bagno, star del cinema e gente a cui piaceva la mondanità. Sebbene la vendita della sua terra fosse lenta, iniziò un’ambiziosa attività edificatoria: campi da polo, da tennis, casinò da spiaggia e hotel, incluso il King Cole, il Nautilus, il Flamingo ed il Floridian. Riempì le aree di mangrovie con la sabbia del fondo della baia per creare una striscia di isola artificiale, che divenne la zona residenziale più esclusiva di Miami Beach. Pianificò anche Lincoln Road come un ampio boulevard che portava dall’oceano alla baia. Qui costruì il suo edificio per uffici, il Van Dyke Building: i potenziali acquirenti di case venivano portati in ascensore nel suo ufficio-attico per ammirare il panorama della città , quindi li induceva rapidamente a concludere l’affare. Rapidamente altri investitori seguirono l’esempio, incluso N.B.T. Roney, che ingaggiò Schultze & Weaver, per progettare la sua Roney Plaza; Russel Pancoast progettò il Pancoast Hotel. Solo pochi edifici restano di questo periodo: una manciata di piccoli hotel e la city hall del 1925, ora utilizzata per servizi municipali complementari. Tra le case dell’epoca resta il palazzo italiano con la torre di Fisher, sulla North Bay Road. Alla fine del 1926, Fisher (e con lui Miami Beach) cedette alla devastazione e fallimento del mercato immobiliare della Florida e ovviamente all’uragano. Dai primi anni Trenta, Fisher era più o meno fuori dal disegno immobiliare di Miami Beach, ulteriormente devastato dal crollo del mercato azionario. Dai primi anni Trenta nuovi investitori si trasferirono a Miami Beach; molti fra di loro erano proprietari di hotel che evitano di raccontare la propria esperienza in un clima più docile. Altri sono stati ispirati a Baltimora, Cleveland e Chicago. Dalla metà degli anni Trenta una visione molto diversa emerse da quella di Carl Fisher: multiproprietari terrieri costruiscono a piccola scala e soprattutto hotel per la classe media e medio-bassa. Molti degli hotel portavano il nome della loro controparte a nord. “Mio padre era nel business degli hotel prima che io nascessi”, scrisse lo storico di architettura e fotografo Jewel Stern nel saggio “Artist’s Statement” che accompagnava le squisite fotografie in bianco e nero che fece nel suo lavoro, Project

53


Skyline. “Nel 1935 lui e mia madre decisero di trasferirsi a Miami Beach per la stagione turistica invernale. Ogni inverno seguente della loro e della mia vita, fu speso in Florida. Le estati venivano generalmente trascorse a New York dove la famiglia aveva una residenza estiva. Papà lavorò con gli hotel a Miami Beach fino alla sua morte nel 1977”. Lo storico d’arte e critico Helen L. Kohen sottolineò che molti dei nuovi arrivati erano famiglie che avevano successo a New York, e che investivano semplicemente la loro pensione nelle più salubri aree montane. Dai primi anni Trenta iniziarono ad investire al sud per le “opportunità che la terra offriva e le opportunità che l’architettura presentava. Ciò che rese tutto questo possibile fu l’architettura”. Un nuovo gruppo di architetti arrivò durante questo periodo, la maggior parte newyorchesi o di scuola europea, portando con sé la sensibilità moderna architettonica del periodo che noi ora chiamiamo Art Deco. E’ importante notare che l’intero distretto era il prodotto di una manciata di architetti, primi fra tutti L. Murray Dixon e Henry Hohauser, che non erano solo i più prolifici, ma in molti casi i talenti più sublimi. Tra gli altri, elencati in ordine alfabetico, Albert Anis, Roy France, V.H. Nellenbogen, Anton Skislewicz e B. Robert Swartburg. E’ interessante notare che il primo edificio dell’Art Deco fu presso Biscayne Bay a Miami nella nuova fiorente sezione cittadina, lungo una striscia di Biscayne Boulevard che già vantava saloni di automobili ed altri negozi al dettaglio. Il primo edificio che possiamo considerare Art Deco, lo Scottish Rite Temple di Richard Kiehnel del 1921, era veramente un precursore, nato diversi anni prima che l’esposizione di Parigi diede il nome allo stile. Fu seguito nel 1929 dal Sears Building, con il marchio della sua torre. Il Delano in stile “tardo Deco” è tra gli esempi dell’ultima decade. Lo Shelborne Hotel di Igor Polevitzky sulla Eighteenth Street, segna il primo degli edifici moderni dopoguerra, ora è chiamato Collins Waterfront Historic District, delineato da strutture degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta, con un numero di tragiche incursioni, come la vasta e monolitica Roney Plaza, costruita sull’elegante sito del Roney Hotel di Schultze & Weaver. All’interno dell’Art Deco District stesso, ci sono chiare distinzioni tra strada e strada. Se lo sviluppo cronologico di Miami Beach può essere percorso da sud a nord, la striscia est-ovest è uguale da Ocean Drive e Collins Avenue verso la più commerciale Washington Avenue (una volta era il fornaio di quartiere, ora casa del nuovo Miami-Dade Performing Arts Center, progettato da Cesar Pelli) e verso il Mahi Strine Building, progettato da Robert Law Weed progettato nel 1930. Quell’anno, il capolavoro di Russell Pancoast, la Miami Beach Public Library, fu completata, nel calcare olitico locale più utilizzato chiamato Keystone, un lavoro di insuperabile bellezza (l’edificio è ora il retro del Bass Museum). Alla fine di ciò che noi ora chiamiamo periodo Art Deco, vengono realizzati una serie di begli edifici dalla Works Progress Administration e dalla Civilian Conservation Corps, incluso il Miami Beach Post Office, una stazione di polizia e la stazione dei vigili del fuoco di Coral Gables e un edificio per Greynolds & Matheson Hammock Parks; esempi residenziali di Art Deco si possono trovare nei quartieri più vecchi. Ma ultimamente, l’architettura e lo stile sembrano appartenere quasi esclusivamente a Miami Beach. Ci sono numerosi modi per capire Miami Beach e la sua architettura Art Deco. Il primo in modo geografico. È stato un lungo assiomatico viaggio attraverso il tempo, decennio per decennio, partendo dal Joe’s Stone Crab e il Brown’s Hotel (dal 1910, ora cautamente restaurato dall’architetto Allan Shulman) alla punta sud. Attraversando i quartieri più a sud si trovano una piccola manciata di edifici pre-boom che restano in bilico tra la struttura mediterranea del 1920 e l’Art Deco del 1930; appena a nord c’è la Lincoln Road dove trovano spazio soprattutto ristoranti, negozi, nightclubs e altri segni di un’economia turistica. Ad ovest di Washington Avenue ci imbattiamo in un distretto residenziale a scala più piccola, dominato da case bifamiliari con finitura a stucco. Ocean Drive è ora, e sempre sarà, la strada principale con i più grandi e imponenti hotel; fra questi il Park Central, il Century, il Breakwater, il Victor, il Cardozo, il Tides, il Netherlands, ed altri. Costruiti per i vacanzieri invernali, dagli anni Sessanta e Settanta, hotel e appartamenti diventano case vicine all’imbarco,

54


55


56


case stagionali o permanenti si trasformano in migliaia di rifugi dai freddi inverni del nord. Il vicinato è sempre più degradato, scarso in termini di sicurezza o di servizio ai cittadini. Da allora, l’attenzione (e gli impegni economici) si sono spostati a nord, a servizio della nuova linea di torri-condominio che crescono lungo la striscia più a nord di fronte all’oceano, rendendo South Beach, come disse Lenny Bruce ”il posto dove i neon vanno a morire”. Nei tardi anni Settanta, una politica propositiva cittadina fu tesa a peggiorare le condizioni a sud della Fifth Street per fare spazio agli ambiziosi (e strampalati) progetti di rinnovo urbano chiamato South Pointe. “La comunità dell’isola lunga 7 miglia, che una volta era un luogo glamour di vacanza, e che vanta ancora miglia di spiagge assolate, ha sofferto per molti anni i cambiamenti demografici, il declino economico e l’apatia. I battibecchi politici, la diminuzione delle tasse e la scarsa pianificazione, hanno esacerbato il problema” scrisse David Morton in Progressive Architecture nel 1982. Così la metamorfosi di questo storico distretto non è avvenuta senza la sua parte di travagli, tribolazioni, confronti ed incendi (ad esempio il pregiato edificio White House Hotel andò in fiamme nel bel mezzo della notte), proteste e demolizioni. La linea di battaglia era stata elaborata negli ultimi anni Settanta con la riscoperta dell’Art Deco District, ma la guerra del fuoritutto inizia nel 1981 quando Abe Resnick, un proprietario di hotel e commissario della città, con due partner Dunaevsky e Isaac Fryd) demolì lo squisito e simmetrico New Yorker Hotel di Henry Hohauser. Nonostante l’atto di insolenza, fu lasciato deteriorarsi dai proprietari, che lo smantellarono per provare che erano determinati a far valere il diritto alla proprietà privata, ottenendo come risultato l’intensificarsi della determinazione a proteggere il resto dell’Art Deco District. Fu a metà degli anni Settanta che Barbara Capitman scoprì queste svariate miglia quadrate di sporco, edifici sciatti oscurati da decenni di abbandono e strati di pittura scrostata. Capitman era appena rimasta vedova e la sua famiglia aveva deciso di supportarla nel suo nuovo tentativo di migliorare gli errori urbanistici americani; trovò la sua causa in Miami Beach. Suo figlio, Andrew William Capitman, lo raccontò così: Il metodo per risparmiare, restaurare, rivitalizzare e onorare ciò che venne conosciuto come l’Art Deco District… nasce dal colore. Mia mamma, Barbara Baer Capitman, ha sofferto per la perdita di suo marito e mio padre, William Capitman, che morì inaspettatamente nell’estate del 1975. Aveva 54 anni. Lei era scrittrice, artista, storica dell’arte e designer, poliedrica e brillante di base, e allo stesso tempo spinosa, dalla voce graffiante e persistente. La città di Miami Beach aveva uno schema ad ampio raggio da riequilibrare, partendo dalla punta a sud salendo a nord fino alla Fifth Street, continuando poi su Lincoln Road. Sembra chiaro che non era solo la predominanza di popolazione anziana ebrea di South Beach ad essere minacciata (molti dicono di essere sopravvissuti all’olocausto), ma lo era anche la sua notevole quantità di edifici. Per la nascente Miami Design Preservation League, un gruppo che conta fra i suoi membri architetti, designers, artisti, scrittori e altri devoti alla conservazione storica il primo passo, nel 1979, fu quello di elencare gli edifici meritevoli di questo miglio quadrato da inserire nel National Register of Historic Place. Fu un tour-de-force poiché la maggior parte degli edifici non era vecchio neanche di 50 anni. Essere elencati nel National Register of Historic Place è una nomina d’onore, ovviamente, ma non un’efficace protezione contro la demolizione, abbandono o abusi; questo richiede leggi locali ed erano molto più difficili da trovare. In effetti ci sono voluti svariati anni di moine, proteste, persuasioni e molto altro prima che la prima ordinanza di conservazione storica fosse emanata a Miami Beach. La Lega quindi affidò alla società di Boston Anderson, Notter, Finegold la stesura di un master plan strategico per il distretto: ”Collettivamente, l’architettura del distretto presenta uno stile riccamente decorato che riflette la transazione tra gli anni Venti e Trenta. La scorrevolezza e le ripetute geometrie della forma degli edifici, oggi come allora, creano delle vie coese e attraenti rappresentative del glamour e dello stile che ha sempre simboleggiato Miami Beach”. Il piano getta le basi per il resort e per l’intrattenimento lungo l’Ocean drive, Collins Avenue e Washington avenue, per la ristorazione lungo Espaňola

57


way e Lincoln Road, ed illustra molte altre idee che non andranno a buon fine. L’Art Deco District, allora, era un luogo di fantasie dimenticate, un prodotto della jazz-age e dell’epoca d’oro del cinema. Un altro fra i primi membri della Design Preservation League fu Leonard Horowitz, che nel 1982 ottenne una sovvenzione, insieme all’architetto Charles Harrison Pawley, per ridipingere i 700 blocchi di Washington Avenue; la riverniciatura fu parte della sovvenzione del dipartimento per le residenze e il risviluppo, la cui maggior parte dei lavori furono eseguiti da Denise Scott Brown della Ventury Scott Brown and Associates. Horowitz non ricercò tra i suoi colori, ma più nella sua immaginazione, il cielo estivo al tramonto, il cielo invernale all’alba. Pennello alla mano iniziò a lavorare, esaltando i dettagli architettonici che erano stati coperti, rivelando i dettagli a lungo nascosti: fronde di palma stilizzate e foglie di banano, motivi Maya geometrici, bassorilievi con fantasie subacquee. Horowitz prese frammenti di pittura degli edifici (molti dei quali, sebbene non tutti, originariamente erano bianchi con finiture vive) e spese molto tempo a studiare le pitture, le grafiche e i disegni dei tessuti dell’era Art Deco. Si guardò anche attorno per ricercare idee. L’intento era quello di fare eco ai colori del mare e del cielo (i colori dell’alba e del tramonto così come il blu chiaro brillante del mezzogiorno) illuminando i dettagli architettonici degli edifici, ma gli ultimi risultati furono migliori: una tavolozza che guarda all’architettura e ai tropici. I colori erano divertenti, gelati e torte di compleanno tonalità rosa pallido o azzurro cielo, viola pervinca e verde lime. L’effetto era magico. I colori dettavano le differenze per chi non era capace di vedere dietro la pittura e lo stucco, e capire il fascino dei dettagli divertenti dell’architettura, le fronde di palma stilizzate e foglie di banana, aironi e fenicotteri, e altro ancora. L’edificio all’angolo tra la Seventh Street e la Washington Avenue, quello che una volta era il panificio di Friedman, apparì sulla copertina di Progressive Architecture, aggiudicandosi in qualche modo la serietà dello sforzo. Capitman, un brillante venditore, sapeva che la maggior parte delle persone ha solo esperienza di architettura in due dimensioni, (come in fotografia, nei film e in televisione), così portò questa intuizione a supporto dell’Art Deco District. Lei allettò i fotografi, fra i più noti Bruce Weber, che fece scatti per Calvin Klein con gli edifici Art Deco come sfondo. A sua volta, una legione di riviste europee di moda lo seguirono. Dato che si faceva sempre più colorato, avvolto in vivaci colori pastello, il Miami Beach Art Deco District iniziò a catturare l’attenzione di tutto il mondo. La grafica e geometrica qualità dell’architettura cambiò velocemente la raffigurazione bidimensionale, prima su progetti di moda, poi, ipnoticamente sul piccolo schermo con Miami Vice. La famosa citazione del produttore Michael Mann fu “niente toni color terra”. Gli show televisivi permisero a Miami di vedersi con un’altra forza; presto la vita iniziò ad imitare l’arte e quello che una volta era un distretto sciatto, fiammeggiò nel colore. Ironicamente, l’Art Deco District ottenne un riconoscimento mondiale ancor prima che il suo fascino (la scala, il ritmo, l’architettura e l’urbanistica) venisse riconosciuto localmente. Infatti i primi e la metà degli anni Ottanta furono densi di battaglie contro la demolizione di importanti edifici storici, compreso il New Yorker Hotel e il Senator Hotel, schiettamente bello, nella sua porzione d’angolo tra la Twelfth Street e la Collins Avenue, progettato da L. Murray Dixon. Alla fine la Miami Beach’s City Commission emanò la prima ordinanza di conservazione, ma non prima del 1986, sette anni pieni dopo la designazione come Art Deco District e come National Historic District. Da allora una generazione di imprenditori iniziò a rinnovare molti degli edifici del distretto, spesso con budget tirati, ma con fiducia nel futuro. La fiducia, ovviamente, è stata ripagata nel tempo, dato che il Miami Beach’s Art Deco Distric crebbe e prosperò. Ultimamente, la battaglia per la conservazione è diventata più complicata e gli edifici, e i loro occupanti, più sofisticati. Nel tempo, i fiduciosi rinnovi di Capitman e Doyle (insieme ad altri) diedero il via ad interpretazioni più artistiche, benché storicamente in accurate. Il distretto iniziò a guadagnare briosamente, in parte grazie a Miami Vice, ma più per il suo inevitabile ed attuale fascino, il mercato immobiliare acquistò valore e gli investitori (inclusi i maggiori albergatori) iniziarono ad aggiungere hotel al loro portfolio. Ian Schrager comprò il Delano e ingaggiò Philippe Starck per ridisegnarne gli interni, trasformando il Delano in uno dei più rinomati hotel del mondo. Il design è una strana forma di Alice nel paese

58


delle meraviglie con prospettive forzate e manipolazioni di scala. Ci sono pavimenti e muri di legno e un’abbondanza di bianco (tappezzerie, tende, colonne verniciate) come sfondo per arredi di diverse misure e proporzioni (“una pillola ti rende più grande, l’altra ti rende più piccola”) tutto questo conduce a una lunga e veramente bassa area esterna per la piscina, un’altra forzatura della prospettiva. Ma il progetto di Starck annulla anche lo storico ingresso del Delano, portando ad un cambiamento nell’ordinanza della conservazione storica della città che ora consente grande libertà di decorazione, ma che richiedeva misure più coerenti con l’architettura originale. Quindi, alcuni hotel tra cui lo Shore Club e il Raleigh, hanno un taglio più simile alla loro originarietà, piuttosto che avere innovativi design d’interni; al Raleigh, Alison Spear fa tornare la piscina al suo splendore originale, con bordo nero e aggiunge grandi arredi in rattan all’ingresso. Il Victor Hotel fu inizialmente rinnovato da Capitman e Doyle, ma fu lasciato incompiuto per anni; finalmente nel 2005, fu restaurato e rifinito, con un’aggiunta che unisce semplicemente il vecchio e il nuovo e non cerca di distendersi alle proporzioni o alla scala di altri edifici. Il restauro e l’aggiunta arrivano da Perkins & Will, il cui approccio fu rispettoso e confidente, prendendo elementi dell’edificio originale, (gli oblò e le finestre a nastro) e li utilizzano con sottile differenza. Ad esempio, le “sopracciglia” (le finestre a nastro) dell’edificio originario diventano balconi nel nuovo. Il restauro dell’Art Deco District, in aggiunta ad esso, è diventato una baldoria nei primi anni del XXI secolo, con la costruzione e ricostruzione ad una velocità tale che Barbara Capitman non avrebbe mai previsto. È una testimonianza di architettura e urbanistica, un prodotto della visione e della tenacia di pochi, che è emersa da una vita e da un secolo in un’altra vita e in un altro secolo.

LO STILE MODERNO L’era del dopoguerra a Miami fu caratterizzata da emozione, fermento, cambiamento e dall’afflusso d’immigrati. In parte questo si è verificato per mezzo dei veterani, che hanno trascorso a Miami parte del tempo durante la II Guerra Mondiale, schierati in attesa di partire via terra o via mare e che decisero infine di restare. Si stabilirono prevalentemente nei nuovi sobborghi, che furono costruiti il più velocemente possibile per accontentare la richiesta del mercato immobiliare. La popolazione nella Contea di Miami crebbe da 267.500 a 495.000 tra il 1945 e il 1950. “Miami ha fatto in modo che tramite le pressioni provenienti dal nuovo ceto medio e medio-alto degli Americani si creassero luoghi di villeggiatura.”. Dal 1959, il paese riemerse da quasi due decenni di stenti, di guerra, di crescite economiche e la nuova generazione era pronta a “divertirsi”. La moderna Miami che stava per emergere, manteneva in parte la tradizione del passato ma gli architetti guardavano altrove, prendendo ispirazione dal Bauhaus (razionalismo e funzionalità, Germania 1919-1933), dalla tecnologia, dall’emergente mercato dell’automobile e il suo fascino per l’industria aerospaziale, vista come l’industria del futuro. Fu un periodo di svolta, pieno di promesse con il futuro sempre più presente. La gente andava in luoghi tipo “dai sobborghi alla luna”: è questo che dicevano gli edifici. Si poteva notare in sbalzi audaci; in facciate che appaiono piuttosto impertinenti; in torri che sembravano razzi pronti a partire dalla nave di Roger Buck; in aerodinamiche pinne e prue che sembravano voler far decollare gli edifici da terra. E perciò gli edifici iniziarono a esprimere l’esuberanza, l’energia e la fede nel futuro se erano sobri, sondando l’esplorazione di nuove tecnologie e di nuove idee sulla costruzione, o sull’eccentricità, o sul coinvolgimento, o sulle strutture commerciali con il caratteristico appeal del porta a porta. Furono i primi edifici che si sono “auto-datati”, senza menzionare l’era “spaziale”. A Miami emersero due correnti simultanee: una tracciata da alcuni importanti e avventurosi architetti che han lavorato in

59


60


gran parte su case private e l’altra con una tecnica più appariscente, da architetti che hanno realizzato la “grande macchina commerciale“ di hotel, alberghi, edifici commerciali e uffici. Le due sono legate all’uso di un linguaggio modernista, ma riflettono anche diversi approcci all’architettura e due sentieri separati: una radicata nelle tradizioni ambientali di Miami e l’altra più modernista e più commerciale che è stata soprannominata MiMo. Quest’ultimo fa pienamente parte dell’architettura più teatrale che emerse nel 1930, con edifici cinematografici, in quanto dovevano comparire in film, ed altri (specialmente i lavori di Morris Lapidus) a pieno titolo di scenografie tridimensionali. La fonte d’ispirazione per i primi modernisti che lavorarono sulle case è tipicamente di stile americano, in modo che l’architettura di questo paese si potesse adattare ai siti europei. A Miami i lavori non furono influenzati solo dallo stile Bauhaus, ma anche dal lavoro di Frank Lloyd Wright. Alcuni architetti si sono ispirati più al primo e altri invece a Frank Lloyd Wright, ma si può vedere una continuità, da quelle case pionieristiche insediate così gentilmente nel paesaggio: il Barnacle, la scuola di pagoda Ramson Everglades, il Cracker Cottage, anche se è difficile da trovare nell’epoca post-millennio, ci furono ancora in abbondanza nei decenni successivi alla II Guerra Mondiale. Fu un forte impulso ambientale nel metodo di lavoro, il desiderio di lavorare con la terra, il paesaggio e il clima. Molte di queste prime case moderniste apparivano con un’architettura pionieristica fino alla fine del XIX secolo e l’inizio del XX, in particolare l’ampiamente ammirata Barnacle, per le sue idee e l’ispirazione e per il lavoro svolto in altre sedi contemporaneamente in America e nel periodo anteguerra in Europa. Nonostante questa non sia una lista all-inclusive, il gruppo includeva Robert M. Little, Wahl J. Snyder, Rufus Nims, Alfred Browning Parker, e tutti i successivi, tra cui Robert Bradford Browne, George Reed, e Peter Jefferson (e un po’ più tardi, Mark Hampton, la cui carriera iniziò a Tampa, e Donald I. Singer, che fece praticantato in Fort Lauderdale, ma ebbe sempre clienti, ed anche case, in Miami). In tutto la contea di Sarasota, Paul Rudolph e i suoi seguaci avevano iniziato a progettare case da spiaggia “fragili”, che richiamarono l’attenzione e il plauso; queste erano le case “posate sul terreno in maniera armonica” con padiglioni di legno e vetro per permettere il passaggio della luce e dell’aria. I primi lavori a Sarasota, sono stati dominati da una serie d’idee che, anche se di grande d’impatto, non influenzarono troppo il caso di Miami, dove le case spaziavano dagli avventurosi progetti sperimentali di Igor Polevitzky ai romantici ed elaborati lavori di Alfred Browning Parker. Mentre il modernismo in Florida era all’apice, altrove si affrontavano altre sfide: caldo, piogge torrenziali e forti temporali, in forma così evoluta rispetto a quella vista altrove, tanto che Kenneth Frampton lo soprannominò “regionalismo critico”. Polevitzky studiò presso l’università della Pennsylvania, immigrato dalla Russia, arrivò a Miami nel 1934 e inizialmente lavorò su una serie di strutture Art Deco prima dell’arrivo del modernismo a Miami Beach, con i progetti dell’Albion e degli hotels Shelborne. Dalla fine della guerra, egli esplorò nuovi modi per incoraggiare l’architettura nell’ambiante tropicale della Florida meridionale, primo nelle sue case “prototipo” (essenziali case plurali con avvolgenti verande) e più tardi nelle sue “gabbie per uccelli” che erano circondate su tutti i lati da due intrecci di riparate verande. Le case (più particolarmente il loro uso dello spazio di Living esterno) hanno ricevuto una menzione di rilievo a livello nazionale incluso nell’Architectural Forum. Parker si trasferì a Miami all’età di otto anni, studiò all’Università della Florida e poi a Stoccolma e in Messico, per poi tornare a Miami e fondare uno studio di architettura nel 1946. Fin dall’inizio ebbe un gran seguito e una spiccata attitudine per la progettazione di case che catturarono la curiosità della stampa: molte delle sue case furono selezionate come “punti fissi” per la pubblicazione sulla rivista House Beautiful. Avido seguace di Frank Lloyd Wright usò materiali naturali (lussureggianti e vegetali, prevalentemente pietra e legno) creando lunghe lastre orizzontali e sottili colonne. Le sue case erano ventilate perpendicolarmente, dove non è stato usato vetro poiché il tutto è basato su schermi di legno e feritoie. “La casa ideale ci permette di vivere una vita semplice e naturale”, scrisse nel suo libro You and Architecture. Rufus Nims, la terza forza in architettura nel corso di questo periodo, nacque a Pensacola e studiò all’Università del Nord Carolina. Arrivò a Miami subito dopo la fine della II Guerra Mondiale e diventò (in un primo momento in collaborazione con Wahl J. Snyder e poi per conto suo) un architetto con uno stile minimalista per la progettazione di case tropicali. L’ufficio di

61


Nims fu terreno di formazione per la prossima generazione di modernisti “tropicali”. Ma per la maggior parte delle centinaia di nuovi arrivati a Miami, la casa era un blocco di cemento, dipinta con colori pastello senza tracce di architettura. La progettazione era standard: tre camere, due bagni, una cucina, soggiorno/pranzo e un patio. Il patio era talvolta progettato come una sorta di camera aggiuntiva chiamata Florida room, nata per soddisfare le esigenze delle famiglie in crescita nel dopoguerra. Ma per molti americani la vera Florida room era a bordo piscina in un motel lungo la strada o meglio sulla spiaggia. Nel periodo dopo guerra e pre-Disney, la Florida, con i suoi piccoli motel, paesaggi lussureggianti e turismo poco convenzionale, era la strada per il sogno americano. “Nel 1950 un nuovo concetto di alloggio per il viaggio, cominciò ad emergere su scala nazionale”, scrisse Norman Giller nella sua autobiografia del 1976, “il motel doveva prendere il posto delle vecchie corti turistiche e case vacanza”. La nascita di questo tipo di impianto ebbe luogo lungo una striscia di sabbia 4 miglia a Nord di Miami Beach. Dal 1952, furono creati 11 motel lungo la striscia di sabbia conosciuta come Sunny Isles, 7 dei quali disegnati da Giller, e questo tipo di aggregazione cominciò ad attirare l’attenzione. La rivista specializzata Tourist Court Journal scrisse che “l’architettura era sgargiante e super moderna. L’atmosfera era di lusso e piacevolmente snob”. Un anno più tardi, il NY Daily News scrisse che la caratteristica di Miami era di essere uno “smagliante parco giochi invernale” e di aver moltiplicato a migliaia i motel sottolineando che alcuni erano sontuosi e completi di piscine. Gli architetti modernisti sono stati lasciati apparentemente liberi di esprimersi con “l’ordine di procedere come pazzi, a loro piacimento pur di sbalordire gli occhi”. I motel riempirono la riviera di Sunny Isles dilungandosi sul Biscayne Boulevard attraverso le città con meno sbocchi sul mare di North Miami, Miami Shores, e Miami (dove il waterfront, lungo Biscayne Bay fu ampiamente riempito di quartieri residenziali di case mono-familiari. Così come era appariscente (ed anche molto vistoso) la loro vista sull’oceano, questi motel avevano neon e simboli giganti per attirare gli automobilisti di passaggio. Molti di questi motel, tra i quali il Vagabond, il Simbad e il South Pacific sono sopravvissuti fino al XXI° secolo, anche se non con l’attrattiva di una volta. Nel 2006 la città di Miami approvò un distretto di conservazione MiMo lungo Biscayne Boulevard, il primo nel suo genere con la speranza che il suo carattere commerciale della metà del secolo, potesse mantenere la strada così com’era. Il destino non era quello per gli altri, fu “spogliato” attraverso la baia di Sunny Isles. Con questi edifici appariscenti e un po’ kitsch, Sunny Isles era affine a Las Vegas e alla vicina Atlantic City. Il Castaways fu demolito nel 1980 e fu il primo di una serie che per venticinque anni richiedeva la demolizione e la ricostruzione “senza protezione”, dove fino al 2005 l’edificio più giovane era stato progettato nel 1930. Dal 2006, la Sunny Isles degli anni ’50 con edifici innocenti, goffi e vertiginosi non aspirava all’arte che era praticata dagli architetti che lavoravano ai lotti residenziali, ma erano stati progettati per catturare la fantasia momentanea del turista. La stessa sorte toccò ai più grandi hotel dell’epoca, costruiti a Miami Beach, dove due quartieri storici hanno rappresentato negli anni successivi al millennio la difesa dalla demolizione degli edifici. Queste furono le più grandi e sostanziali evoluzioni degli hotel in stile Art Decò che diventarono più snelli. Lo Shelborne Hotel di Igor Polevitzky, costruito nel 1940, impostò un’impronta che in molti seguirono. Tolta la decorazione (la geometria, i bassi rilievi e altri dettagli) che era il marchio degli hotel in stile Art Decò, lo Shelborne Hotel sfoggiava un parapetto fuori misura, gli autori Eric P. Nash e Randall C. Robinson Jr suggerirono che fu il primo hotel a Miami Beach ad ispirarsi ad un’automobile in movimento. Lo Shelborne Hotel contrassegnò in sostanza l’inizio di un nuovo decennio di architettura. Polevitzky e il suo socio Trip Russel, puntualizzarono che l’edificio non era Art Deco, ma piuttosto “progettato in modo semplice come nello stile Bauhaus, quindi privo di ornamenti inutili, per sfruttare al massimo la sua area”. L’architetto Allan Shulman, che studiò il lavoro di Polevitzky in modo approfondito (insieme a quello di altri modernisti), sottolineò che il suo ingresso carraio con una parete di vetro, aveva lo scopo di fornire una vista panoramica e una lobby arretrata rispetto alla piscina e alla spiaggia.

62


Lo Shelborne rappresentava un’evoluzione profonda nell’architettura delle costruzioni oceanfront. Negli anni dell’immediato dopoguerra, Miami Beach ha visto la ripresa del boom edilizio, con gli hotel come lo Shelborne prendere il via senza soluzione di continuità, per smontare l’estetica dell’Art Deco rendendola molto più minimalista, spesso stranamente accoppiato con un design d’interni piuttosto elaborato, che riflette sempre di più i gusti dei turisti della Miami dopoguerra. Geograficamente parlando, gli hotel furono costruiti in due quartieri: uno a Nord del quartiere Art Deco lungo Collins Avenue (e ora conosciuto come il Collins Waterfront District) e l’altro nella parte nord della città anch’esso lungo Collins Avenue (e ora conosciuto come il North Shore Resort Historic District). Questi sono quartieri storici lineari, lunghe strisce di hotel di fronte all’oceano, compreso lo Sherry Frontenac che si trova ai piedi di quello che in genere è conosciuto come North Beach. Lo Sherry Frontenac, che è stato progettato dal grande architetto Art Deco, Henry Hohauser nel 1946, è stato inaugurato nel dopoguerra, arredato con grande gusto e verve, le sue torri gemelle sono sormontate da “ciminiere” con delle grandi insegne luminose sulla facciata (rimasta più o meno intatta nelle sei decadi successive). Cronologicamente è stato seguito dal Saxony, progettato da un altro esponente dell’Art Deco, Roy France nel 1948. Il Saxony, fu il primo hotel a Miami Beach ad avere l’aria condizionata e sul tetto un nightclub e una piscina olimpionica. Gli altri che furono costruiti dopo, inclusi il Seville di Melvin Grossman nel 1955, il Carillon nel 1957 di Giller e il Douville (progettato da Grossman nel 1957), divennero di fama nazionale e internazionale nel 1964 quando i Beatles non solo soggiornarono presso l’hotel ma si esibirono nella Napoleon Room. Per la maggior parte, gli architetti di questi edifici, non solo non raggiunsero fama nazionale di lunga durata, ma nei decenni dopo la metà del secolo caddero nel dimenticatoio, per essere poi riscoperti molto più tardi. L’eccezione più grande a questa regola, fu Morris Lapidus, il cui lavoro ha raggiunto notorietà e fama duratura. Nacque nel 1902 a Odessa, Russia, ma fu portato a New York alla tenera età di nove mesi. Lapidus studiò design presso la New York University e si laureò in architettura presso la Columbia University. Dopo aver lavorato sul glamour della Belle Epoque delle casa di Long Island come giovane designer al servizio degli altri, ben presto colpì con un’estetica più moderna clienti interessati all’arredamento dei negozi. Questa vocazione lo portò a Miami Beach, dove alla fine lasciò un’impronta indelebile con edifici come il Fontainebleau e l’Eden Roc Hotel, (rispettivamente del 1954 e del 1955), e una serie di condomini nel 1960. “Nessun architetto americano del XX° secolo abbracciò più vistosamente l’aspetto palesemente commerciale del design come Morris Lapidus”, scrisse lo storico d’architettura Christopher Gray. Nel suo periodo di massimo splendore, Lapidus, fu discusso e aspramente criticato da architetti, suoi colleghi, che erano scioccati da quello che consideravano sfacciataggine e ostentazione del suo lavoro. Nel 1990 era diventato un’icona, simbolo di un’intera epoca. Nel 2000 Lapidus ricevette lo Smithsonian Cooper Hewitt National Design Award, come “americano originale”, e la citazione fu: “una volta veniva criticato per i suoi eccessi stilistici, oggi Lapidus è venerato per la sua sovversione gioiosa del modernismo europeo attraverso un unico vernacolare americano di animazione, spettacolo e fantasia”. L’originale Fontainebleauu, (fu aggiunta la seconda torre nel 1995 e una terza, da Nicholas Partenship, che fu completata nel 2005, quattro anni dopo la morte di Lapidus), fu di gran lunga la sua opera più famosa, anche se ce ne sono state molte altre degne di nota. Il Fontainebleau occupa una posizione tale nel paesaggio di Miami Beach che non è semplicemente un hotel, ma è anche inciso in modo indelebile nel panorama della cultura americana, in particolar modo in quella degli anni ‘50/’60. Questo hotel appare in film come Goldifinger e the Bellboy e fu lo stage di show come the Jackie Gleason Show e the Ed Sullivan Show. Come accadrà con il telefilm Miami Vice e l’Art Deco District, film e telefilm furono realizzati facendo diventare famoso il Fontainebleau Miami Beach non conobbe mai questo tipo di eccesso o di glamour. Lapidus fu originariamente contattato da Ben Novak, l’ideatore del Fontainebleau, per arredare gli interni dell’hotel che stava progettando sul sito della lussuosa Firestone Estate, una delle case che poi rivestì la Collins Avenue. Lapidus decise subito che sarebbe stato l’architetto dell’hotel, e di non associarsi a nessuno. Diminuì la sua parcella di un tozzo di pane e prese il lavoro.

63


Per l’edificio progettò un’elegante struttura curva d’avanguardia, non dissimile dal lavoro svolto da Oscar Niemeyer in Brasile, uno sforzo che realmente dimostrò il suo gusto e la sua competenza. All’interno, tuttavia, la progettazione di Lapidus splendeva di dettagli kitsch (e per tutta la sua carriera lo dimostrò attraverso le sue opere). Il Fontainebleau doveva essere il “grand hotel” per coloro che non avevano mai visitato una castello, ma volevano sentirsi come dei re per una notte o per una settimana. Era lussuoso e sontuoso, ma in una maniera che ne ha sfidato la definizione e per anni la perplessità dei critici. I pavimenti erano in marmo bianco con inserti di giganteschi archi di legno. Le colonne di marmo scanalate erano state progettate per non avere né una base né un capitello, per non essere ne moderne ne classiche. Un’enorme candelabro pendeva dal soffitto, che non era esattamente ad arco ma piuttosto scavato con una forma che Lapidus più tardi chiamò “fermacravatte”. C’era una scala verso il nulla e serviva alle donne che, dopo essere scese al primo piano con l’ascensore, potevano fare l’ingresso nella grande hall dalle scale, un ingresso da Hollywood, se mai ve ne fu uno. La Venetian Room era piena di vetro di Murano (ancora presente oggi) il cui motivo era un giardino formale “alla francese”. La lobby aveva un murale Piranesiano lungo la scala verso il nulla ed è stata arredata a profusione con mobili provinciali francesi. “Io studio le persone non le geometrie” disse Lapidus in un’intervista tenutasi poco prima della sua dipartita. “Guardo come la gente reagisce alle forme di architettura e ho notato alcune cose; alle persone piacciono i colori brillanti, sono molto attratte da loro. Le persone sono come le falene, sono attratte dalla luce. Senza saperlo le persone gravitano di più attorno ai luoghi più brillanti/lucenti in una stanza. Alle persone piace vagabondare senza meta, noi non camminiamo come soldati in linee serrate. Così mi hanno da sempre ispirato a cambiamenti radicali, curvature, interni organici e mai rettilinei. So che la gente ama gli ornamenti ed io glieli dono, per me ornamento non è mai stata una parola sbagliata.” Nel 1956 Lapidus ebbe una nuova commissione da parte di Harry Mufson, ex-socio di Novak: progettare un hotel vicino al Fontainebleau. Questa commissione per l’Eden Roc Hotel fece talmente infuriare Novak che ruppe i suoi rapporti lavorativi con Lapidus, e in seguito costruì una seconda torre con un modello “a muro” di fronte all’Eden Roc. Con la sua ciminiera di pannelli alti e lineari, l’Eden Roc, s’ispirò di più agli hotel che lo precedettero come lo Sherry Frontenac. Dotato di un bar sommerso e di scale “vedo non vedo” (un segno distintivo di Lapidus, di cui godono gli ospiti dell’albergo) a nulla erano paragonabili gli interni dell’Eden Roc, se non con il Fontainebleau, almeno per quella miscela di trame kitsch. Dopo alcuni decenni di “poco pregevole” uso, sia il Fontainebleau che l’Eden Roc, sono ora apprezzati, il primo con un lungo progetto di ristrutturazione degli interni volti a riportare l’hotel con uno sguardo molto simile all’originale (anche se non identico), e il secondo con un rinnovamento simile a quello avvenuto nel 1999 a cura di Spillis Candela/DMJM. Non ci fu la stessa sorte per il terzo del triumvirato trionfante di hotel anni ‘50 di Lapidus, l’Americana, a lungo conosciuto come Sheraton, poco sopra Collins Avenue su Bal Harbour. Lapidus progettò l’Americana nel 1956 per la famiglia Tisch, impregnandolo con molte delle sue idee e aggiungendone ancora di più, tra cui un gigantesco terrario con tre piccoli coccodrilli, liberi di strisciare attraverso la flora, nel bel mezzo della lobby. Lapidus, nei suoi ricordi, disse che la famiglia Tisch lo assunse e poi lo licenziò e per poi riprenderlo e tenerlo al lavoro, a condizione di mettere più spirito e impegno, nel limite del possibile, come fece per il Fontainebleau e per l’Eden Roc. Dal momento in cui l’Americana aprì, Lapidus era ormai diventato un’icona nazionale e soggetto di un articolo di Gilbert Millstein del NY Times Magazine a cui disse memorabilmente: Gli hotel di Miami Beach nel ramo dello showbiz sono così intensi come per esempio una grande fontana moderna, molto larga, creata a sbalzo dal pasticcere Antoine Cardem, Chef per Tallyrand, Giorgio IV d’Inghilterra, Francesco II d’Austria e Alessandro I di Russia. Non molto tempo fa questi hotel stagionali hanno raggiunto il loro apice, l’Americana, un struttura con una storia quindicennale… C’è così tanto di più nell’Americana, il tutto segnato e disegnato, senza lasciare nulla al caso da parte di Lapidus, non escluse le uniformi dei Bellmen e delle Bellgirls… La hall, per esempio, è di 50 metri di lunghezza e 30 metri di profondità, in alcuni punti, nel centro si erge un terrario. Le sue misure sono 10 metri di diametro e 12 metri di altezza, completamente in vetro, tranne che sulla parte superiore,

64


in modo tale che nella hall può piovere senza bagnare gli ospiti. Lapidus continuò a progettare numerosi altri edifici nella sua prodigiosa carriera, ma nessuno fu mai così famoso come i tre alberghi completati nel 1954, 1955 e 1956. Progettò hotel a New York e all’Havana, numerosi condomini a Miami, singole case e una piccola sala concerti all’università di Miami. Nel 1959 avviò un progetto che alla fine avrebbe avuto lo stesso impatto degli altri: il re-design di Lincoln Road, tenuto come viale commerciale, una sorta di centro commerciale pedonale, uno dei primi del paese. Lapidus lastricò la strada in bianco e nero a strisce e aggiunse una serie di fioriere futuristiche e padiglioni che ad oggi sono ancora tutti presenti tranne uno. Lincoln Road Mall si ampliò (includendo Saks Fifth Avenue, Bonwit Teller e Cartier), ebbe una caduta negli anni duri, cioè tra il 1970 e il 1980; i commercianti lasciarono spazio ai più facoltosi e divenne così un vero e proprio shopping di lusso all’aria aperta, come il Bal Harbour Shops (un gioiello progettato da Mark Hampton). Oggi Lincoln Road Mall prospera, dopo una ristrutturazione avvenuta nel 1990 ad opera di Ben Wood e Carlos Zapata con un intervento paesaggistico di Martha Schwartz, che richiamò la briosa progettazione di Lapidus (anche se uno dei pezzi del progetto di Lapidus è stato sostituito da un padiglione scultoreo di Zapata, ampiamente considerato un fallimento). La sequenza degli eventi è degna di nota: un gruppo di artisti ha cominciato ad acquistare spazi del centro commerciale, che furono poi convertiti in atelier aperti al pubblico; sotto sovvenzione questo centro diventò il South Florida Art Center. Inizialmente sono stati seguiti da un rinnovamento del Colony Theatre, e l’apertura della libreria indipendente Book&Book, che portò molta vita per le strade. Poco dopo il Miami City Ballet fu spostato nella ex Bonwit Teller Store, seguita dalla New World Symphony, che convertì un ex cinema in un teatro, il Lincoln, in una piccola sala da concerto. Più di ogni altro, Lincoln Road, racchiuse in se tanta storia architettonica di Miami, una strada dell’era del boom che conservava alcune belle strutture di stile Mediterraneo (soprattutto l’edificio di Carl Fisher il Van Dyke) e fu anche la patria di alcuni straordinari edifici dell’Art Deco, tra i quali lo Sterling. Il progetto di Wood/Zapata per Lincoln Road Mall, alla fine aprì la strada per accogliere caffè all’aperto, mercatini di agricoltori, delle pulci e molto altro ancora. È uno spettacolo intrigante, in una strada sola è possibile rintracciare la crescente e talvolta decadente fortuna non solo di una città, né di una regione, ma della stessa architettura.

ANNI ‘80 Per la maggior parte dell’America, gli anni ’60 e ’70 furono un punto basso in architettura, e Miami non fa eccezione. Questo fu il decennio in cui le più alte aspirazioni del primo modernismo diedero il via ad un più intellettuale, per non dire morale modernismo commerciale fallimentare, tralasciando ideali utopistici e principi artistici. Questo ovviamente non significa che tutta l’architettura fosse cattiva, ma è certo che la forma dominante degli edifici tralasciava il design. A Miami, i modernisti tropicali (i più noti Alfred Browning Parker, Rufus Nims, George Reed, Robert Bradford Browne, Peter Jefferson e Donald Singer) sono ancora al lavoro, per produrre notevoli e affascinanti case e piccoli edifici commerciali. Un edificio che attrasse sia l’attenzione che le critiche positive fu il campus Miami Dade Community College in centro alla città. Questa singola struttura progettata da Hilario Candela, che iniziò la propria attività sotto l’auspicio di Russel T. Pancoast, il genero del pioniere di Miami Beach John Collins, sino a trasformarsi nel più famoso studio del sud della Florida, poi conosciuti come Spillis Candela & Partners. Candela ha progettato anche il campus a sud del college, ma fu l’edificio del centro, finito con calcestruzzo non tinteggiato e con smusso a 45°, ad attirare l’attenzione. L’ampio atrio dell’edificio si apre sulla strada e sulla piazza, lasciando che la brezza lo attraversi e crei una piazza interna dove gli studenti si raccolgono,

65


66


al riparo dal sole e dalla pioggia. Fu un’intrigante impresa, specialmente in una città in cui incrementavano i cubani: l’unione della pesante estetica dichiarata di allora con le idee che erano al contempo radicate nella vita latino-americana e impregnate della sensibilità dei tropici. Verso la fine degli anni Settanta, tre architetti che si erano staccati da Spillis Candela presero le loro idee per esplorare oltre, in attesa di trovare un appropriato stile moderno regionale. Donald Bouterse, nativo di Miami, lavorò a lungo in Francia e fu, più delle generazioni che lo precedettero, influenzato dalle idee e dall’estetica di Le Corbusier e dal Bauhaus. Andres Fabregas, nato a Cuba, fu un fervido conservatore, così come i primi membri attivi della Miami Design Preservation League. Disegnò il logo della lega e addirittura inserì la prima iconica sedia da spiaggia. Si unirono ad un terzo architetto, David Perez, anche lui cubano ed ex impiegato di Spillis Candela, per creare una nuova società chiamata Bouterse Perez & Fabregas. La composizione della società riflette ad ogni modo ciò ce stava emergendo a Miami, una città in cui architetti latinoamericani (anche se spesso di scuola americana) iniziano a dominare la scena. Loro si differenziano per la loro sensibilità dettata da una profonda e radicata conoscenza della storia e un acuto senso dell’arte edificatoria in Miami, dell’estetica costruttiva dello stile mediterraneo e dello stile Art Deco che offrono enormi possibilità scultoree che possono essere adattate in un’espressione più contemporanea. Negli ultimi anni Settanta e nei primi anni Ottanta, Bouterse Perez & Fabregas iniziano a progettare edifici che tengono conto sia del luogo che dello spazio. Uno sforzo iniziale (fatto con altri partner prima che la società prese forma) fu la Miami Beach City Hall, che, come l’edificio del Community College a downtown, si svolge attorno ad una lobby all’aria aperta, sebbene ad una scala considerevolmente più piccola. La City Hall fu poi rinforzata dall’acquisto della smisurata Mermaid di Roy Lichtenstein, che si adagia dietro l’edificio. L’idea della società di una romantica architettura radicata nei tropici, (progetti che abbracciano la luce del sole e sperimentano diverse soluzioni in un vocabolario di murature nel denso paesaggio in rapida crescita) prende forma in una serie di edifici che includono l’abitazione di Bouterse (molto in stile Le Corbusier) a Coconut Grove e due edifici pubblici, il Little Havana Community Center e l’Opa-locka Community Health Center. Il primo di questi, a Little Havana, fu concepito come una serie di cubi che possono essere percepiti rotolare sulla strada, ma la sua geometria seghettata deriva dalle ziggurat degli edifici Art Deco. È incuneato in uno spazio stretto della zona ad alta densità edificatoria, presso la South-East First Street; inizialmente era colorato di grigio, blu e corallo. L’Opa-locka Health Center è un edificio pubblico in una città costruita negli anni Venti con motivi da notti arabe, ma non ha specifici emuli o riferimenti diretti. I suoi muri ondulati e le sue curve sinuose richiamano il ritmo e la romanticità del primo Opa-locka, con il suoi edifici a minareti ispirato ai mori. Questo fu un edificio significativo, un punto di svolta, per essere stato tra i primi ad amalgamare le varie voci del passato cercando un nuovo linguaggio per il futuro. Tragicamente il lavoro di Bouterse Perez & Fabregas fu troncato prima che una buona parte dei lavori fu ultimata. Tra gli altri edifici della società, la caserma dei vigili del fuoco di Miami rimase intatta così come una casa a Coral Gables , il French Country Village, ma il bellissimo intervento di architettura d’interni al Concourse B dell’aeroporto internazionale di Miami era già stato alterato. La Miami degli anni Settanta era lontana dalla città che il mondo conosce oggi. Nonostante la tripla etnia e l’aumentare della popolazione, l’integrazione si stava ancora sviluppando ed era ancora provinciale sotto molti aspetti, una città senza istituzioni culturali di rilievo. Uno sforzo iniziale per cambiare questa visione, venne con un piano per la costruzione di un centro culturale a Downtown come sede di una nuova biblioteca pubblica, del Historical Museum della Florida del sud e una kunsthalle per le esibizioni temporanee d’arte chiamato Center for the Fine Arts. Una commissione culturale scelse Philip Johnson nella speranza che facesse un edificio elegante e moderno. Nonostante tutto, dal momento che iniziò a progettare, Philip Johnson ha attraversato la soglia verso la sua fase storicista. Adesso è spinto dalla necessità di esplorare il contraddittorio impulso dentro di se, alla sua licenza artistica, che al momento gli dice che non può rompere nessuna

67


regola perché non crede che ci siano regole per l’architettura. Fu una rivelazione shock per i primi anni Ottanta, un’era in cui molti architetti continuavano a lavorare con una molto stretta (e restrittiva) serie di regole. Per il centro culturale, Johnson, studiò principalmente Vizcaya, e in misura minore Coral Gables, entrambe per ispirarsi e più probabilmente per capire l’impulso narrativo che ci fu nell’architettura negli anni Venti e in quelli subito seguenti. Il risultato sembrano lo stile spagnolo e italiano. I tre edifici del Miami-Dade Cultural Center sono impostati su un livello secondario al piano terra. Il piano terra (per carico, parcheggio e magazzino) è nascosto dietro un drammatico a volte anti-urbano muro malconcio. Una magica galleria ad archi sale lungo la strada, portando dal marciapiede sino alla piazza del secondo livello. La piazza è il vero tour-de-force di Johnson, vista con prospettive forzate che la rendono più larga di quanto realmente sia: è ariosa, come un dipinto di Giorgio De Chirico, un’immagine ancor più rafforzata dal grande cavallo in bronzo di Raymond Duchamp-Villon, l’unico pezzo d’arte in uno spazio grande altrimenti disadorno fatta eccezione per i lampioni decorati tipo Siviglia. L’edificio soffre di una certa rozzezza di artigianalità (non atipica nell’arte edificatoria di Miami) e da una serie di dettagli distratti e una singolare spartanità di materiali. Delle tre strutture che insistono su di esse, la biblioteca è quella di maggior successo; è classica nella sua esecuzione, non diversa dalla libreria pubblica di Boston di Johnson, con una cupola sopra il banco principale ed una scalinata che scende lungo uno dei muri della hall centrale. Ancora una volta l’arte esalta l’architettura, qui è un “word mural” di Ed Ruscha ad evidenziare le linee della rotonda il tutto adattato alla biblioteca, che riporta una frase del monologo di Claudio nell’Amleto: ”le parole senza pensiero non andranno mai in paradiso” Il complesso culturale di Johnson, è allo stesso tempo perfetto ed imperfetto: ha aperto le porte per una maggiore libertà di architettura che non era mai esistita prima. Ancora una volta, come nel caso dell’impatto Miami Vice sull’Art Deco District, è stato un caso di vita che imita l’arte. Egli non era da solo in questo, naturalmente, e in retrospettiva, è stato semplicemente all’avanguardia di una tendenza, così come lo è stato con la sua casa di vetro che seguì così da vicino l’esempio della Farnsworth House di Mies van der Rohe, ma in un certo senso è eclissato in fama. Allo stesso modo, egli non fu il primo a reintrodurre l’idea di tradizione mediterranea di Miami, ma lui è stato il primo a farlo apertamente e con entusiasmo. C’è una sua foto famosa sulla piazza, l’uomo piccolo con le braccia spalancate in segno di auto-ammirazione e soddisfazione: davvero un’immagine che vale più delle proverbiali mille parole. Ancora una volta fu negli anni di transizione dal 1970 al 1980, che l’architettura di Miami effettivamente cambiò corso, anche se attualmente passava inosservata. La fondazione dello studio di architettura Arquitectonica nel 1977, e la successiva creazione dell’ufficio di pianificazione urbanistica (e architettura) di Duany e Plater-Zyberk nel 1980, erano stati poco notati; ma l’arrivo dei giovani architetti di istruzione Ivy League che divennero i principali delle due società ha avuto un impatto irrevocabile sul futuro. Parte di questo è spazzatura sociologica. Laurinda Spear, uno dei due partner di Arquitectonica, era cresciuta a Miami, Andres Duany, originariamente parte di Arquitectonica, ma ben presto nel proprio studio omonimo, era un esule cubano, formatosi principalmente in Spagna e nel Nord-est. I primi edifici di Arquitectonica a Miami sono stati una rivelazione, esempi di un altro genere di modernismo tropicale, diverso da ciò che è stato costruito su scala più grande, come il lavoro di Morris Lapidus e di altri modernisti della metà del secolo. Il primo e il più piccolo in scala, era il Babylon, inserito in un sito ristretto appena fuori Brickell Avenue, la strada che divenne distretto urbano finanziario e dove fu eretto il primo grattacielo residenziale di Miami. Il Babylon è un edificio di stucco a tre piani con una parte superiore a ziggurat piena di immagini di nautica e allusioni a epoche precedenti, un edificio che non fa tanto riferimento all’architettura Art Deco di Miami Beach. Si tratta di un lavoro compiuto che, sebbene circondata dai più grandi (e minori) edifici, ancora oggi regge. La Spear House, più comunemente chiamata Pink House, risale al primo periodo e ancora oggi rappresenta una testimonianza di certe idee salienti di architettura di Miami. La casa si trova ai margini di Biscayne Bay nel quartiere prevalentemente mediterraneo di Miami Shores, ed è dipinta di rosa, in una gamma che passa da un rosa vibrante quasi rosso ad un rosa

68


polvere pallido quasi bianco. La casa è lunga e stretta per permettere alla brezza di fluire attraverso, con piscina frontale all’ingresso. Questa casa ha un impatto enorme. Nel 1984 il Center for the Fine Arts (ora il Miami Art Museum) aveva organizzato una mostra (si potrebbe quasi chiamare una retrospettiva) sul lavoro di Arquitectonica, che successivamente raggiunse il Walker Art Center di Minneapolis e poi altre destinazioni in tutto il mondo. Ci sono molti modi per guardare i tre edifici di Arquitectonica su Brickell Avenue, il Palace, l’Imperial e l’Atlantis. Gli edifici sono alti, tozzi e dai colori vivaci, progettati per essere visti facilmente da un’auto in corsa o da leggere come un’immagine grafica in due dimensioni. L’idea che nacque in loro era avventurosa, a differenza del condominio più tipico o palazzo di uffici a grattacielo, si tratta di edifici che sono allo stesso tempo artistici e intellettuali, e molto radicati in Miami, ma abbastanza all’avanguardia per provocare l’attenzione nazionale ed internazionale. Il Palace ingloba due strutture che si intersecano, una di quarantadue piani di altezza e l’altra molto più bassa, che sono state progettate come se fossero in collisione l’una con l’altra. L’Imperial, rosso acceso su un lato e sottile come carta, con la sua facciata ripetitiva ha offerto una potente immagine grafica. L’Atlantis aveva un’apertura nel centro dell’edificio (è stata soprannominata la “corte nel cielo”), ed era sormontato da un triangolo rosso e caratterizzato da un reticolo blu su un lato. Spear aveva lavorato con Lapidus e debitamente appreso le sua idea astratta di edifici come scenografia, trasformandoli in scenografie di un’epoca successiva, cioè edifici che erano molto più che cinematografici. Divennero fondali, letteralmente, per la televisione e il cinema: la “corte nel cielo” dell’Atlantis divenne il fermo immagine per la sigla di Miami Vice e le facciate di ciascun edificio venivano spesso filmate e fotografate, diventando immagini di copertina per libri e periodici. Anche in questa prima fase, il lavoro di Arquitectonica ha dimostrato che lo studio ha avuto un occhio per l’architettura di notevole altezza; i suoi edifici si elevano al di sopra, sia in senso letterale che figurato. Parte di questo è sempre derivato da una comprensione implicita delle possibilità grafiche dell’architettura,una comprensione affinata attraverso l’osservazione degli edifici della metà del secolo, dall’Art Deco in su, e da una preoccupazione che gli edifici soddisfino sia la terra che il cielo con un grado di grazia troppo di rado concesso a edifici alti a Miami. Sebbene le innovazioni più profonde di Arquitectonica fossero date dalla forma degli edifici, il pensiero comune di audacia era legato all’uso di colori primari (rosso, blu, giallo) che ha fatto si che gli edifici spiccassero in mezzo a un mare di cemento grigio e bianco. I tre edifici di Brickell sono nati al momento del boom edilizio contemporaneo di Miami grazie, in parte, anche all’aumento del settore bancario, poi il crollo di molte istituzioni finanziarie e le fusioni di altri. Nei primi anni Ottanta arriva l’elegante Flagship Bank Building da Hellmuth, Obata & Kassabaum, una struttura abbastanza bella anche se non particolarmente originale, seguita da altri incluso un secondario HOK Building (che iniziò come Sun Bank, ma divenne nota come 701 Brickell). C’era un’offerta intrigante chiamata One Brickell Square dall’ufficio di New York di Skidmore Owings & Merrill; aveva avuto un inizio positivo alla partenza del complesso ma solo uno degli edifici promessi fu costruito. Dall’altra parte del Miami River, una serie di nuovi progetti hanno fatto vedere contemporaneamente il peggio e il meglio di Miami. Il primo (e peggiore) di questi era soprannominato Miami Center, un doppio edificio più garage che si trova alla foce del Miami River su un terreno saturo proprio di fronte a dove Henry Flagler ha costruito il suo Royal Palm Hotel. Il Miami Center è stato progettato in origine da Vlastimil Koubek, un architetto di Washington DC che era diventato noto per gli insignificanti monconi privi di fantasia che aveva progettato lungo la K Street. Alla fine l’imprenditore Theodore Gould ha contattato Pietro Belluschi, l’ex preside di architettura al Massachusetts Institute of Technology, per rifare il progetto. Belluschi suggerì il nuovo rivestimento per gli edifici, dentro e fuori, in travertino italiano marrone, la stessa pietra usata per San Pietro a Roma, ma qui sarebbe stata applicata verso l’esterno quasi come sfondo. Il Miami Center è un complesso a due edifici e Gould aveva in programma uno sviluppo molto più grande, ma è andato in bancarotta, lasciando tutto a metà. Ciò significava che il progetto avrebbe compreso solo ciò che era stato costruito: un hotel di trentacinque piani, simile a

69


70


un triangolo con gli angoli esterni dentellati e un edificio per uffici di trentaquattro piani, una lastra senza articolazioni; il travertino marrone è scandito solo da finestre con vetri a specchio color oro con finiture in alluminio bronzato, e un garage a podio alto ventidue metri. I due condomini proposti, uno di quarantuno e l’altro di quarantotto piani, non sono mai stati costruiti. Il risultato è imbarazzante, sembra scuro per lo sporco, con pietra applicata in modo poco efficace perché le venature corrono orizzontalmente sui pannelli di grandi dimensioni. Un secondo fallimento di quell’epoca, parlando in termini di architettura e non di utilità, è stato il Metro-Dade Government Center di Hugh Stubbins, accanto al centro culturale di Philip Johnson. Stubbins fu scelto per il successo del Citicorp Center di New York, ma la sua offerta a Miami era per una struttura molto minore, poco elegante nelle sue proporzioni e goffa nel suo profilo, con finestre tristi e attraversate ripetutamente da un nastro, con un effetto simile ad un carcere. In quel periodo, inoltre, arriva la risposta di Miami a un bayfront poco vivace e poco redditizio: un centro commerciale Rouse Company, che seguì i successi del Faneuil Hall Marketplace di Boston, L’Harborplace di Baltimora e il South Street Seaport di New York. Chiamato Bayside, sorge a nord di Bayfront Park, anch’esso rimesso a nuovo, con successo marginale, per opera dello scultore Isamu Noguchi. La Torre CenTrust (è diventata il Miami World Trade Center e ora è la torre della Bank of America), fu progettato da Harold Fredenburgh, che all’epoca era socio nello studio di architettura di I.M. Pei. È allo stesso tempo elegante e sconcertante: una vera e propria torre che si siede in cima ad un garage e quindi ha una presenza solo nello skyline, ma che è comunque una presenza forte. Un lato della torre, la cui facciata è una semplice composizione di bande di metallo e vetro, è curvo e arretra man mano che sale. Di notte l’edificio è illuminato con una matrice mutevole di colori e modelli, per riflettere la stagione, o occasionalmente un evento. L’illuminazione eleva l’edificio a un altro livello, senza la quale, sarebbe un altro bel campanile modernista che potrebbe essere ovunque, ma una volta acceso, è veramente teatrale. L’edificio originariamente noto come Southeast Financial Center, sede centrale della Southeast Bank, è stato senza dubbio il pezzo più significativo di architettura societaria del suo tempo. Progettato da Edward Charles Bassett, dell’ufficio di San Francisco di Skidmore Owings & Merrill, è un complesso di due edifici: una torre ed un garage, uno di fronte all’altro, collegati da una piazza coperta. È anche significativo che il presidente della banca, Harry Hood Bassett, sia stato sposato con il celebre architetto e designer Florence Knoll Bassett, che con il suo primo marito fondò la società di design Knoll. Ella fu incaricata degli interni, il che significava che il Southeast Financial Center in termini di architettura degli interni è stato di prim’ordine (l’interior designer fu Dennis Jenkins). L’edificio di cinquantacinque piani è rivestito in granito bianco, e risulta sia educato che intricato, con una facciata seghettata modificata a ziggurat nella parte alta, un’allusione sia agli edifici Art Deco di Miami sia, più in generale, ai grattacieli americani della prima metà del ventesimo secolo. Per la sua altezza, l’edificio ha una qualità stranamente evanescente, a volte è talmente pallido che quasi scompare, in altri momenti è di un sobrio grigio, e in altri ancora sembra un prisma che con la luce del sole brilla grazie alle sue migliaia di lastre di vetro. Edward Charles Bassett, una volta giustamente l’ha definito come un “edificio sfuggevole”, che da certe angolazioni, in determinate ore del giorno, è quasi trasparente. Eppure, in altri momenti della giornata e sicuramente da vicino, l’edificio ha una forte presenza: decenni più tardi, è difficile concepire il centro di Miami senza.

ESPLORANDO LE TRADIZIONI REGIONALI Miami ha raggiunto la sua maturazione a scatti e le sue fortune erano altalenanti. Il ricco mix della popolazione, l’arrivo di

71


nuovi immigrati dall’America Latina e dai Caraibi e la fusione delle culture tropicali hanno dato una sensibilità diversa da quella di qualsiasi altra città. Ne consegue che l’architettura di Miami è anche diversa da quella di qualsiasi altro posto, il prodotto di una confluenza particolare della geografia e della popolazione. Ci sono momenti nella recente storia architettonica di Miami, che valgono la pena di essere osservati per capirne il percorso. Tra di loro c’è il Carribean Market di Charles Harrison Pawley: si tratta di un singolare edificio unico che rappresenta un’ode all’arte dei mestieri di Haiti, concepito come il futuro di una comunità in esilio e destinato ad evocare immagini di un altro luogo e di un altro tempo. Il progetto è stato concepito nel 1984, dopo un concorso nazionale per un mercato che sarebbe diventato il centro culturale e sociale per la crescente comunità di Little Haiti. Pawley, un abitante di Miami da tutta la vita, membro di una famiglia con profonde radici nella città, nacque ad Haiti, e nel corso degli anni è stato punto di riferimento come collegamento con il suo paese,che ha intriso il suo design con una profonda conoscenza che andava ben oltre la nostalgia. L’importanza di questo collegamento è molteplice. La costruzione accenna ai Ginger-Bread dei famosi edifici di Haiti, la sua tavolozza è l’intensità luminosa dei Caraibi. Si tratta di un edificio che trapianta le vibranti e tradizionali architetture artigianali da un luogo all’altro e le modifica di nuovo. Per una nuova generazione di architetti a Miami, molti dei quali nati in paesi come Cuba o Colombia, diventò una preoccupazione, una sfida, la comprensione sia della tradizione che dell’artigianato, e la sua espressione in modi che erano allo stesso tempo contemporanei e “senza tempo”. L’architettura stessa si liberò delle catene del modernismo: la ricca possibilità di fondere la tradizione con idee di architettura portate dai Caraibi o dal Centro e Sud America, era a portata di mano, aprendo la possibilità per una nuova generazione, o forse più generazioni, di architetti di Miami. In prima linea, anche se per quanto educatori e professionisti, sono stati Andres Duany ed Elizabeth Plater Zyberk, che presto iniziarono a teorizzare sui poteri architettonici antecedenti di Miami e postulare che cosa poteva emergere da questo nuovo lavoro, “che parlò a suo tempo” con le sue altrettanto potenti composizioni architettoniche e linguistiche. Il loro lavoro in questo settore iniziò, non tanto a Miami, ma nella Clary House a Sanibel Island, in Florida, dove progettarono una casa che raccontava direttamente lo stato della tradizione architettonica “cracker”. Questa casa fatta tipo capanna di legno era un’unica stanza ampia sollevata da terra; il suo spazio vitale era racchiuso dietro portici riparati. A Miami Andres Duany ed Elizabeth Plater Zyberk, cercarono una forma più urbana, una join-venture in primo luogo, la Hibiscus House, in una strada secondaria a Coconut Grove, sembrava un po’ più distante e più formale per le sue idee passate. In un approccio generalizzato dello stile Mediterraneo, i dettagli vengono eliminati per creare una casa che ricorda i primi lavori modernisti europei, nella sua sensibilità, formale e informale e al tempo stesso tradizionali e moderni. Andres Duany ed Elizabeth Plater Zyberk, hanno continuato a studiare l’adattamento dei diversi stili storici, passando dal classico e dal “cracker” ad un’esplorazione del volgare stile caraibico. Case come Punta Alegre (De la Cruz House) e la Vilanova House, entrambe a Key Biscayne, riflettono l’approccio basato sullo stile classico Mediterraneo, mentre in altre, tra cui Sokol House a Coral Gables, furono rielaborati i primi vernacolari della Florida. Nelle case di Smulian & Higgins utilizzarono dei precedenti stili tropicali dei Caraibi, ma sotto una nuova espressione. Le idee rappresentate nella storia dell’architettura di Miami e nelle sue fonti, i Caraibi, l’America centrale e l’Europa, fornirono un’ispirazione crescente ad un gruppo di giovani architetti i cui lavori cominciarono ad avere maggior risonanza su una scala più ampia. Molti di questi architetti, anche se non tutti, erano cresciuti a Miami, molti si stabilirono presso la facoltà di architettura dell’Università di Miami, dove hanno avuto modo di studiare con Andres Duany ed Elizabeth Plater Zyberk, e la facoltà crebbe fino a comprendere lo stimato storico dell’architettura Vincent J. Scully, che , pur in pensione ha continuato ad insegnare per un semestre all’anno presso l’Università di Yale e poi a Miami. Le lezioni non sono sempre state dirette, ma piuttosto sono state impostate per un più profondo studio della storia, osservazioni acute e attese che gli architetti avrebbero imparato a disegnare non solo bene ma brillantemente.

72


Per Cà Ziff, Maria De la Guardia e Teofilo Victoria indagarono nella storia in modo diverso. Cà Ziff si trova a Biscane Bay a sud di Vizcaya. Il suo litorale, terra che offre un’ampia vista sulla spumeggiante baia turchese da una parte, e dall’altra la fitta giungla di vegetazione lussureggiante, richiama alla mente due fonti primarie: le case di Venezia e dei Caraibi. La casa è austera e abbraccia ancora l’ultraterreno poiché in qualche modo sembra più prodotta su un mito che su una storia. La casa si sviluppa attorno ad un atrio incorporato, ha il soffitto dipinto di blu, con le stelle, per dare l’idea del cielo notturno. Una casa per gli ospiti si trova sul lato della strada, separato dello spazio principale di vita da un cortile. Il risultato è quasi primordiale: spogliata di ornamenti, rende l’architettura come se fosse quasi “trovata” ancora una volta a partire da un passato più lontano. Non è altrettanto chiara la realizzazione profonda che comunica l’essenza del passato, senza ribadirlo specificatamente. La Tigertail House dei Trelles Architects lo fa con facilità ed eleganza. Una casa urbana su un terreno stretto, si basa su una serie di precedenti, particolarmente sui dettagli delle case dei Caraibi. Tuttavia si tratta di una casa con il cortile laterale e con la base che richiama lo stile del Charleston, della Carolina del Sud. Il suo tetto è in lamiera, screziato, e dipinto con stucco, il che si riferisce specificatamente all’architettura più sperimentale dei pionieri di Miami (per il tetto) e a Vizcaya o El Jardin (per i profondi muri di corallo, con la loro patina del tempo). Il lavoro di questo studio , che viene eseguito da Luis Trelles, Jorge Trelles e sua moglie Martere Cabarrocas-Trellesc, è in qualche modo quasi archeologico nella sua attenzione ai dettagli, alle tradizioni artigianali e alla costruzione. Questo può essere definito il marchio dell’impresa; l’attenzione ai dettagli di Duchesne Building a Carrolton nella scuola del Sacro Cuore, dove ogni percorso processionale e assiale è considerato con attenzione. L’edificio fu rinominato Pelican Lodge, il nome della casa originale costruita sul sito della famiglia Matheson nel 1907 fu sostituito nel 1964. Le colonne e il tetto di tegole della loggia, ricordano direttamente la Matheson House, così come i dettagli di cemento sopra le aperture delle finestre e i dettagli degli interni impregnano l’edificio con una profonda connessione con la storia. L’idea che il tempo si è fermato si infonde ancora nell’architettura di questi ed altri architetti come Frank Martinez, Ana Alvarez, e Juan Caruncho, i cui edifici di nuova costruzione (un centro di assistenza per gli studenti e una portineria) per il Florida Memorial College, diedero al campus la nuova sensazione di essere radicato sia cronologicamente che geograficamente. Gli edifici sono gli studi di storia e metafore, delicatamente in scala, finemente dosati, e con attenzione ai parapetti in stucco dettagliati che hanno una semplice dentellatura barocca con archi e logge. Per molti il contesto dell’arte del design non è quello che richiede l’interpretazione letterale ma piuttosto una comprensione di scale e proporzioni, così come un occhio pittorico di uno stile che è allo stesso tempo “sia di base che pittoresco”. Una struttura semplice come il Trinity Air Conditioning di Brown Demandt Architects a South Miami può evocare una maggiore sensibilità di uno stile elaborato, un esaltato McMansion. Infatti Brown & Demandt hanno una comprensione innata delle sfumature e della cadenza dell’architettura storica di Miami, la Smith Robinson House a Coral Gables, dimostra ampiamente il modo in cui una casa comunque moderna sia in grado di raccontare chiaramente il suo passato e il suo contesto. La Alter House a Miami Beach Sunset Island ad opera di Jorge Hernandez parla ai sensi alla stessa maniera. Con le sue pareti bianche ed eleganti sculture in stucco è destinata a provocare una sensazione alla gestione di alcuni timori reverenziali e di meraviglia. Hernandez che studiò a Miami a presso la Virginia Univerisy e fu professore presso la Miami University of Architecture, iniziò con un rigoroso e intellettualizzato punto di vista puramente classicista nelle case che ha progettato. Ma molti dei suoi lavori più recenti, che si sono “rilassati” un po’ come lui stesso ha cercato, proprio come fecero gli architetti del 1920, per evocare altri luoghi e altri tempi, pur rimanendo ben radicato a Miami. Come nei decenni passati, emerse una nuova generazione, non solo quella firmati da Duany & Plater - Zoyberk (accanto ad altri tra cui Lombard) però prima di questa generazione. Così si può vedere la preoccupazione di continuare con le sfide della fusione della tradizione e della creazione della nuova casa tropicale nelle opere dei soci Hersh, Vitalini e Corazini la cui Johansson House attraversa una forma più tipica della casa del sud con un’influenza caraibica. Allo stesso modo gli

73


architetti Molina e Narcisse non solo si sono cimentati con la narrazione pittorica e gli aspetti dello stile mediterraneo come hanno fatto nella Garcia House a Coral Gables, ma con le vaste potenzialità di rifusione dello stile caraibico in modo più urbano o suburbano impostandolo come nella Sugranes House a Key Biscayne. Questa fusione di stili architettonici è attenta alle forme e ha prodotto un prodigioso corpo di lavoro che comprende case, edifici universitari, strutture pubbliche e civili. Per Miami Beach, più particolarmente nello storico Art Deco District, l’incarico di trovare un linguaggio architettonico adeguato (uno che era nello stesso tempo contestuale e contemporaneo) è stato più arduo, sia per il design degli edifici civili e culturali e le aggiunte inevitabili per alberghi e condomini. In nessun luogo c’è qualche edificio che punta in alto più del Museum District, questa porzione del National Historic District, è ubicata presso il Bass Museum of Art, un edificio del 1931 progettato da Russel Pancoast con un’aggiunta di Arata Isozaki; la sede del Miami City Ballet di Arquitectonica; e la nuova Miami Beach Public Library di Robert A.M. Stern. L’aggiunta al Bass Museum completato nel 2001, è nella migliore delle ipotesi una “calzata scomoda” più di un appendice all’edificio di Russel Pancoast, un elegante edificio adibito a biblioteca ( in seguito trasformato in un museo). La biblioteca ha presieduto con dignità su Collins Park, dove l’aggiunta di Isozaki porta l’edificio indietro, né nel suo ingresso sulla strada né nel parco. L’edificio stesso, due scatole rettangolari collegate (una caratterizzata da pilotis, l’altra dal motivo) esprimono sia la verve audace che il tranquillo controllo di Isozaki, due tratti non sempre contradditori che hanno reso l’architettura significativa. All’interno una grande rampa a destra taglia attraverso una stanza, una volta bella (prima una sala di lettura poi galleria) fino alle nuove gallerie ordinate cronologicamente, con le finestre a lucernario ariose che fanno entrare luce diretta, motivo per cui fu presa la decisione di sacrificare l’architettura storica ed aggiungere lo spazio su larga scala. Il “quasi grosso” blocco del Miami City Ballet di Arquitectonica è un edificio a tre piani, in scala appropriata per il quartiere. Al suo inizio il balletto era stato ospitato in un’ex edificio di Bonwit Teller sulla Lincoln Road in cui gli studios avevano finestre “open air”. Questa tradizione è stata mantenuta anche nel passaggio al Museum District, dove la sala al piano terra è stata trattata come “tappe di città”. La facciata est del palazzo ondeggia con grazia, una metafora architettonica per l’oceano Atlantico che dista solo due isolati, mentre la facciata più angolare lungo la Twenty-second Street, con la sua geometria seghettata, propone ritmi di danza jazz. Anche se l’ingresso principale si trova dietro, l’edificio non si allontana dalla strada, ma offre invece una piccola piazza che dona riparo sia dal sole sia dalla pioggia. Stern ha scelto di rendere contestuale la biblioteca optando per una sorta di classicismo rilassato. Ha cercato di rendere la costruzione sia grande che accessibile. Egli ha anche scelto di farne un edificio di conversazione come se fosse il partner sobrio del Miami City Ballet (“il nostro Fred e la nostra Ginger” disse in riferimento alla coppia degli anni ’30 Fred Astaire e Ginger Rogers). Nonostante un solo gesto di bravura, (una colonna con un cartello con scandito L-I-B-R-A-R-Y) questo non è un edificio vistoso, ma rende omaggio al tempo e al luogo. Si tratta di una distinzione importante per i quartieri storici, in particolare il Miami Beach Art Deco District, di avere un edificio sia con un classicismo rilassato che una dignità, ma una dignità adeguata alla persone che arrivano scoordinatamente in un edificio che è grande e accessibile”. In un certo senso, questi tre edifici offrono due diversi approcci alla costruzione all’interno di un contesto storico (ignora o abbraccia il pensiero stilistico). Anche se l’edificio di Isozaki è in scala con quelli vicini e utilizza materiali comuni agli edifici storici che lo circondano, cioè il cemento e lo stucco, esso rappresenta comunque un punto di vista opposto, il che rende l’edificio meno appropriato alla strada. Nella sfera pubblica più ampia, sia le opportunità sia le sfide abbondano. Di fronte alla necessità di creare una sala comunale per la Florida City (il comune più meridionale di Miami Dade City) dopo che i suoi edifici pubblici sono stati devastati dall’uragano Andrew nel 1992, Duany e Plater-Zyberk optarono per un’estetica con uno stile mediterraneo nudo, che racconti contemporaneamente l’orgoglio del passato e del futuro. Per il nuovo edificio della Miami School of Architecture, l’edificio Jorge L. Perez, l’architetto Leon Krier, nato in Lussemburgo, ha scelto di tornare ad uno stile mediterraneo più autentico nella realizzazione dell’edificio, da una costruzione che si staglia con determinazione sul proprio sito; un omaggio

74


75


al passato e anche a mondi sconosciuti. E’ circondato da ben più fragili strutture, un’aula magna ispirata allo stile Bauhaus disegnata da Marion Manley, dopo la II Guerra Mondiale, e il contrasto è sorprendente. La città di Coral Gables ha affrontato questo problema, così come molte città della California, mediante l’adozione di linee guida di progettazione rigide che richiedono edifici di nuova costruzione, in particolare edifici pubblici, ma le case sono anche messe alla prova in riferimento alla città mediterranea, questo potrebbe essere successo nell’edificio Quirogas di Rodriguez Khuli per la Books&Books, che avvolge una struttura storica e crea un ampio cortile, tutto fatto con una tranquilla grazia. Coral Gables è stata vista come la quota di nuovi edifici commerciali, ciascuno con una misura del successo e fallimento di architetti alle prese con i modi di acquisire una sensibilità, l’architettura del passato e la sua applicazione è più volte, di un design meno dettagliato, eseguito da artigiani atti a lavorare con le tecniche di epoche passate. Tra le più famose in questo campo sono le aggiunte al Palazzo Colonnade di Spills Candela/DMJM (la torre notevolmente superiore alla struttura adiacente). Tra gli altri il Columbus Center di Mitchell/Giurgola su Douglas Road che ha dei richiami allo stile mediterraneo e di Frank Lloyd Wright, pur prendendo da entrambi è diventato comunque bello. In generale, la traduzione della storia nelle case, nonostante le proporzioni sovradimensionate, è più facile. L’estetica nell’Art Deco District (più moderno e meno legato agli schemi) dà un’attenta e più facilmente ampia costruzione su scale commerciale. Ancora una volta tre esempi fianco a fianco. Nichols Brosch Wurst Wolfe Associates’s Loews Hotel è la “torta nuziale” di un edificio in molti modi letterale e certamente ispirato alla fila di grattacieli Ritz Plaza, National e Delano che sono su Collins Avenue. Al contrario, Michael Grave al 1500 di Ocean Drive è il meno letterale, è un edificio che richiede particolari elementi di Art Deco e li riapplica ad un tipico condominio che è comunque ribadito nel suo modo più astratto e pittorico. Il terzo di questi (che è stato l’ultimo ad essere completato ma si trova tra gli altri due) è il Royal Palm Hotel di Arquitectonica. Questo avrebbe dovuto essere un completamento, oltre allo storico Royal Palm nel 1939, ma come costruzione iniziò a diventare evidentemente un edificio storico troppo deteriorato (i rinforzi interni in acciaio erano stati corrosi al di là della stabilità, da ristrutturare, e fu così che è stato ricreato con il lavoro di conservazione fatto a Miami dall’architetto Thorn Gragton. Il Royal Palm è in realtà un complesso di cinque edifici, comprese le due torri che “esultano” nella loro verticalità (una provocazione diretta ai modi tozzi dell’Art Deco) di spinta verso il cielo. Nel Royal Palm, Arquitectonica ha eliminato l’aspetto più letterale dell’Art Deco di Miami Beach, in favore di una maggiore astrazione, ma l’idea degli edifici e del luogo è tuttavia chiara. Ciò che è vero per ciascuno di questi tre edifici è che essi sono, come i loro predecessori, pieni di buon umore, sono vivaci e ottimisti, progettati non solo con l’estetica dell’Art Deco in mente, ma l’etica essenziale dell’architettura, che ha celebrato la sua epoca, la sua impostazione e le possibilità che si manifestavano.

Oltre il moderno I costruttori delle prime case pioniere di Miami capirono davvero le esigenze del luogo e del clima, per non parlare della primitiva architettura della costruzione dei vicini tropici. Un particolare ceppo del modernismo di Miami fu una naturale conseguenza di queste case che ricordano quei primi anni d’insediamento. Ca’ Florida a South Miami, è stata progettata da Teofilo Victoria e Maria De La Guardia, che furono veramente dei pionieri per aver prodotto una casa che rimane fresca in estate e calda in inverno, senza una pesante dipendenza dall’aria condizionata. A Coconut Grove, Maricarmen Martinez, la cui azienda si chiama Upstairs Studio, adattato ad una cracker house di due piani, con un tetto a doppio spiovente e doppi portici, semplici e puliti all’interno, ma perfettamente contestualizzati nel denso paesaggio. Sulla Miami Beach

76


77


Sunset Islands, l’architetto William Taylor ha imparato a conoscere tutta la vita della Florida, applicandone i frutti ad un casa per la propria famiglia, una cracker house in stucco giallo, spoglia e graziosa, contemporaneamente connotata nella sua precedente storia, ma anche saldamente legata al suo luogo. Ancora un altro approccio può essere visto nella Meyersohn House di Brown e Demandt a South Miami, una versione austera del prototipo di sud America e dei Caraibi, allo stesso tempo moderno, ma anche profondamente radicata nei primi decenni della storia di Miami. L’architetto Max Strang ha lavorato con il prototipo pioniere in diverse varianti, tra i quali piccoli cracker style, case progettate per il tradizionale quartiere Bahamiano all’interno di Coconut Grove. In casa sua a Coconut Grove, Strang, come Ralph Munroe a Barnacle e David Fairchild a Kampong (ora parte del National Tropical Botanical Garden) prese ispirazione da luoghi più lontani ed esotici. La Strang House è essenzialmente un corpo basso appeso con un altro piano openspace sotto un tetto ampio, un’altra derivazione contemporanea dell’architettura da testare nel tempo. Che il ceppo del modernismo tropicale si sia evoluto in Florida dopo la seconda guerra mondiale si sa, e se ha tenuto il suo fascino per mezzo secolo, è solo testimonianza del potere permanente di alcune idee importanti. Queste idee salienti hanno fatto grande e significativa la carriera di alcuni architetti, tra i quali George Reed e Donald Singer. La Marquez House a Coral Gables segna un’avventura di seconda generazione per Singer che anni prima aveva trasformato la casa di un imprenditore di periferia per i genitori di Margret Màrquez, Harvey e Betty Fleisher, a North Miami. Per questa casa ha trasformato il posto auto in un ingresso ed ha aggiunto un soggiorno vista lago, uno spazio a volta con travi a vista e una parete di vetro rivolta verso l’acqua. La seconda generazione mostra i segni del cambiamento: la casa è più grande e un po’ più grandioso, ma riflette anche la costanza di approccio di Singer all’architettura, nell’uso onesto di materiali di base in un modo che eleva il loro stato da grezzo e fondamentale ad un livello artistico più alto e si adattandolo a queste persone e sia al sito che al clima. La preoccupazione per l’uso di semplici, moderni materiali è un marchio di fabbrica di Igor Polevitzky, il cui lavoro si sta accattivando una nuova generazione di architetti. Nella sua Birdcage House, e in altre, Polevitzky si basa su di una semplice schermatura come dispositivo per confondere i confini tra esterno ed interno. Le prime opere di Chad Oppenheim sondano questa idea, in maniera molto efficace, ma su scala urbana. Tra i primi lavori di Oppenheim, troviamo il Llona di due piani e il Meridien di quattro, entrambe a Miami Beach, ed utilizza una rete metallica come schermatura e come dispositivo per la privacy. Un terzo progetto al 2228 di Park Avenue utilizza pannelli metallici tagliati al laser più come espediente decorativo, infatti nei pannelli vi è intagliato un disegno di fiori tropicali. Il metallo non è un materiale facile per i tropici. Invecchia rapidamente, si corrode e scolorisce. Come il legno, meglio utilizzato su interventi residenziali a piccola scala, è problematico, un materiale che in qualche modo si scontra con il clima. Per Miami, la muratura è stata la risposta, più specificamente e più comunemente intonaco su calcestruzzo. Non fu fino ai primi decenni del ventesimo secolo, quando divenne ampiamente disponibile il calcestruzzo, che Miami divenne in grado di trasformarsi da città a metropoli. Questa estetica costruttiva Modernista commerciale dominò Miami, (meglio conosciuta come MiMo) come l’architettura degli anni del dopoguerra. Dal 1960 e 1970, gli architetti avevano anche iniziato ad adeguarsi alle idee di Le Corbusier. Aggiungete a questo mix il lavoro svolto in Messico e altrove in America Latina da Luis Barragán, con le sue luminose pareti dipinte. La Bouterse House a Coconut Grove, completata a metà 1970, fu un’ode a Le Corbusier in intonaco bianco lucido, mentre la Pink House di Laurinda Spear e Bernardo Fort-Brescia ha portato, in modo controverso, colore al discorso. Al momento, fu un punto interrogativo, ma entro la fine del prossimo decennio o giù di lì, il colore diventò il punto esclamativo di Miami, prezioso e indispensabile, anche per il nascente linguaggio architettonico. Lo si può vedere in progetti come la Fiorentino House di Maricarmen Martinez e il suo ufficio Upstairs Studio. Con le sue profonde pareti in stucco color corallo e lavanda, si perde in una vasta gamma di influenze, dai primi modernisti tropicali al Bauhaus a Barragán, in una casa relativamente compatta. Il favoloso Museum of Contemporary Art di Charles Gwathmey a North Miami, si basa sulla semplice bellezza delle pareti in stucco.

78


L’aggiunta alla Pinecrest School di Suzanne Martinson deriva più direttamente dal primo modernismo, come se l’architettura fosse effettivamente seguita da un continuum. Raggiunge una leggerezza che elude molto la costruzione contemporanea. Quel tocco abile (così evidente, ad esempio, nelle case del Bauhaus a Dessau e ritrovato ancora nelle prime fragili imprese del 1950, siano esse in Florida o in altri centri del modernismo da New Canaan, Connecticut a Palm Springs), anzi sembra spesso scomparso. Quando a Terence Riley, al tempo curatore della sezione architettura presso il Museum of Modern Art di New York e successivamente direttore del Miami Art Museum, fu offerto un sito adiacente al Miami Design District, si approcciò con una progettazione di villette a schiera con quel tocco di luce, così caratteristica dei primi anni del movimento moderno. Le sue case sono fragili e sottovalutate, un’ode alle idee importanti, detto sottovoce. Come un architetto, Riley ha anche avuto una certa influenza nel Design District, con una ristrutturazione fatta da lui. L’intenzione di architettura (gran parte della quale consiste nel rinnovo e nell’adeguamento di vecchi showroom) è stata una delle più raffinate, tranquilla e discreta (anche se talvolta esuberante) invenzione, dall’autorevole lavoro minimalista di Alison Spear per Holly Hunt o Stephanie Odegard per Walter Chatham, il più vivace ingresso tra la Thirty-ninth Street e la Northwest Second Avenue. L’ideatore del Design District, che, una volta inaugurato, cadde in disuso dal 1990, fu Craig Robins, che lavorò con Elizabeth Plater-Zyberk allo sviluppo di un piano di progettazione urbana. Un mecenate d’arte, Robins commissionò anche una serie di dipinti di grandi dimensioni, tra cui un murale di Jose Badia sulla parete del Cadillac Building e una scarpa gigante, l’opera di rilievo al centro pezzo del Melin Building, di Antonio Miralda. In effetti, l’arte diventò una forza dominante, sia come compagno che come propulsore per l’architettura, sotto tanti punti di vista, Miami offre tela bianca da dipingere. E’ quasi assiomatico che dove c’è arte, lo sviluppo (e l’inevitabile gentrification) seguirà. Questo è certamente il caso in Wynwood, il longevo quartiere della moda di Miami, che per molti anni fu conosciuto come il quartiere portoricano di Miami, che si differenziava dalla maggior parte dei primi quartieri latina che furono di dominio cubano. Wynwood ora è sede di due importanti collezioni d’arte e di un magazzino trasformato nel Museum of Contemporary Art. La collezione Margulies, che include fotografia, videoart, e installazioni, si trova in un grande deposito costruito sulla Twenty-seventh Northwest Street, l’architettura è basilare e consente all’arte di coinvolgere e stupire i suoi spettatori. Don e Mira Rubell non solo scelsero di dare casa alla loro significativa raccolta (nota come Rubell Family Collection, in un ex magazzino per i beni confiscati Drug Enforcement Administration), in seguito commissionarono una casa per loro stessi, abilmente eseguita da Allan Shulman. Un altro deposito è stato trasformato da René González nel quartier generale per la floricultrice e production designer Karla Dascal. Questo complesso sorge dietro una parete di acciaio Corten arrugginito. Una scultura di un divano (che è un pezzo unico) del designer Ross Lovegrove, è posizionato nella piazza, che si raddoppia nei giorni di lavoro diventando un parcheggio. Le pareti sono fatte di un luminoso, retroilluminato acrilico inciso; la resina epossidica riveste i pavimenti che sono lucidati sino a risplendere. Spazi per l’arte possono diventare arte, come dimostra la trasformazione del Washington Storage Building di Miami Beach nel Wolfsonian Museum. Il Wolfsonian è una casa per l’arte, per gli oggetti e i manufatti, ma l’architetto Mark Hampton ha attentamente incorporato un certo numero di frammenti di grandi edifici da collezione, tra cui un pezzo di una facciata del Norristown Teathre (Pennsylvania), trasformato in una fontana nella hall. Nel 2006 Hampton, collaborando con il designer dell’esposizione del museo Richard Miltner, creò una nuova piccola ala ricavando dalle vetrine esistenti una libreria e una caffetteria. Questo fu anche il caso del Miami Art Central (o MAC) a South Miami, un museo fondato da Ella Fontanals Cisneros, che è stato adattato da un ex edificio della Bell Telephone di Alessandro Fiorentino nel 2003. Fiorentino conservò la facciata austera mediterranea, una porta di colore rosso vivo è l’unico accenno di architettura di ciò che potrebbe aver luogo all’interno, ma trasformò la facciata posteriore del palazzo in un moderno impianto d’arte a sé stante, una scalinata nera sale verso il tetto accostandosi ad un muro rosso brillante. Lettere giganti, due nere ed una bianca, dichiarano l’acronimo MAC.

79


80


Miami ha cominciato a maturare, sia in termini di architettura sia in termini di arte, nei primi anni Ottanta. Con l’inizio del 1984, l’artista Christo e sua moglie Jeanne-Claude fecero avanti e indietro, avvolgendo le piccole isolette di Biscayne Bay con tessuto in polipropilene rosa shocking, richiamando l’attenzione del mondo alla bellezza naturale e al persistente pericolo di inquinamento delle acque. L’artista Rockne Krebs iniziò a rivestire un ponte del Metrorail con dei flussi di neon colorati per creare la sua Miami Line, uno dei pezzi forti dell’Arts Program promosso dal Miami Dade County, un esemplare intervento pubblico, chenon solo definisce il ponte, (uno stretto attraversamento impennato sul fiume), ma definisce anche l’idea del ponte e l’idea di città (fu anche l’anno in cui Miami Vice diede al mondo l’immagine stilizzata di architettura della città di Miami). Appena al di sotto, sul bordo del fiume c’è la gigante M rossa di Roberto Behar e Rosario Marquardt, un simbolo, un segnale, un punto di riferimento architettonico. E’ memorabile di questo luogo, così come la brillante Dropped Bowl with Scattered Slices and Peel di Claes Oldenherg e Coosje van Bruggen, posata su una distesa di erba appena superato il Miami Dade Cultural Center, nel Government Center Park. Il pezzo è esuberante, giocoso e la dice lunga sulla Florida, su Miami e sui tropici. In maniera molto diversa, l’armonica Runaway di Christopher Janney (ora demolita) ha dato una nuova dimensione al concetto di Miami, in questo caso per mezzo del suono e della luce, piuttosto che della metafora e dell’immagine. Janney avvolse un passaggio del Miami International Airport con dei pannelli di vetro color nuvole, aggiungendo una serie di suoni registrati (dai rumori delle Everglades ai suoni degli abissi oceanici) per impregnare i sensi e iniziare a percepire di più, a vedere di più, ad ascoltare di più. L’arte può far aumentare le percezioni. L’appalto privato Living Room, un altro contributo di Robins al Design District, è una piazza d’angolo, (ma anche un commento vivace all’arte, all’architettura e domesticità), una divano rosa in calcestruzzo, posizionato davanti ad una parete decorata con “carta da parati floreale”, dipinta sul calcestruzzo. Simboleggia il porsi in ascolto di un semplice e calmo tempo in cui le case sono accoglienti e confortevoli, ironia della sorte sorge nel bel mezzo di un quartiere in cui è promossa quasi esclusivamente la vendita di mobili di alto design per case che, spesso, non prendono ispirazione da un passato più idilliaco. L’architettura come l’arte, può offrire metri di paragone, che è in larga misura ciò a cui ha puntato Robins per il suo sviluppo dell’Aqua, il New Urbanist, nella metà meridionale della Allison lsland, ex sede del St. Francis Hospital, chiuso da lungo tempo. Con un progetto di Duany e Plater-Zyberk, l’Aqua è immaginato come un’ode ai primi anni modernisti di Miami Beach, tra l’epoca in stile Art Deco, con l’architettura che è un po’ più europea, e questo forte contrasto con la spinta modernista americana nella maggior parte dell’architettura residenziale della Miami del primo dopoguerra. Tre palazzi di media altezza progettati da Walter Chatharn, Alison Spear e Alexander Gorlin, delineano un lato dell’intervento. L’altra metà è dedicata alle case a schiera, con un prototipo da ripetere disegnato da nove diversi architetti di New York e Miami: Brown e Demandt, Martinson, Shulman, Gorlin, Chatham, Albaisa Musumano Architects, Emanuela Frattini Magnusson, Hariri & Hariri. È un’architettura affascinante, al tempo stesso innovazione e ricordo, una suggestiva esperienza urbana in miniatura. Si tratta di un equilibrio difficile da affrontare. Gli Arquitectonica l’hanno fatto con successo nel loro quartier generale a Miami Beach (ora sede della Estefan Enterprises), un edificio che è un omaggio a certi modernismi degli anni Cinquanta. William Lane l’ha fatto in maniera molto più leggera con le sue bizzarre torrette per bagnini a Miami Beach. Un altro edificio Miami Beach, il Publix Supermarket di Carlos Zapata, è elegante e scultoreo. La sua prua risale curva verso il cielo, ricordando astrattamente dei transatlantici in ormeggio, nello spirito, se non nello stile, degli hotel Art Deco. Scale mobili e ascensori tagliano lo spazio, un passaggio di giorno e un teatro di notte, animano la strada e il quartiere in modi inaspettati. Un contesto di campus suburbano è ciò che esattamente Bernard Tschumi ha sperato di trovare nella sua sede della scuola di architettura per la Florida International University: progettare un edificio che potesse promuovere l’attività, la comunicazione e l’interazione. Due ali delle aule hanno i fianchi rivestiti di piastrelle dai colori primari, una sala di lettura su

81


un lato e una galleria d’arte dall’altro, si affacciano su di un cortile. Per gli edifici abitativi tardo-moderni, l’idea generale è quella di un gran parlare del luogo e del tempo in un modo che rifletta le aspirazioni e un ricercato look proiettato verso il futuro. Arquitectonica e Spillis Candela/DMIM entrambe fecero i loro municipi per le città di nuova nascita: Aventura e Sunny Islands, entrambe distaccate dalla Miami-Dade County, ed entrambe infilate nello scarso spazio disponibile in un’area desolata piena di condomini altissimi e dedita allo sviluppo commerciale. Ma gli architetti hanno saputo estrarre il meglio da essa, basandosi su astrazioni e metafore per esprimere il loro punto di forza. Il municipio di Aventura è un imponente struttura in vetro che sorge da una solida base in cemento dall’aspetto solido, metafora traslata in architettura, e sembra librarsi sopra una strada che collega la terraferma al mare. Il municipio di Sunny Isles è una struttura brillante in cemento bianco, con le sue pareti ruvide, come se si trattasse di un tono su tono, con i vetri oscurati verde pallido. Le stanze del consiglio comunale sono a forma curvilinea a spirale rivestite in mosaico astratto blu e bianco (che allude l’idea di un mare schiumoso) e scivola sotto la struttura principale. Le metafore vanno ancora oltre nel nuovo palazzo di giustizia federale di Arquitectonica, che si basa sull’idea che ogni piano (e quindi l’edificio) può avere due versioni, due torri affiancate lateralmente rappresentano il punto e il contrappunto di una argomentazione giuridica, ma le torri sono collegate da un unico volume di vetro che simboleggiava la giustizia, e forse anche la verità. L’edificio è stato completato nel 2006 e quindi ha dovuto sopportare il peso di essere non solo tecnologicamente avanzato, ma anche pienamente in sicurezza, una fortezza per una città in cambiamento e in forte crescita, con più turbolenze che calma.

RITORNO ALLE ORIGINI: L’ARTE, L’ARCHITETTURA, IL PAESAGGIO Gli edifici che simboleggiano più appropriatamente Miami, nel suo momento nel tempo, parlano di arte architettonica, il mestiere dell’architettura, il compito dell’architettura di comunicare, insegnare e di lasciar vedere ciò che non abbiamo mai visto prima, elevando e saziando le nostre anime. Si tratta di edifici che non esistono nella scala più ampia e nel rapido ritmo della maggior parte della Miami post-millennio, ma sono l’élite di Miami, l’architettura da assaporare lentamente con cui è cresciuta con il passare degli anni. In contrasto con la rapida crescita di torri-condominio, che delineano la riviera e la spiaggia, vi è ancora una raffinata Miami che si è evoluta nel tempo ed è ancora in divenire. Il centro turistico Jean du Pont Shehan al giardino botanico tropicale Fairchild di Coral Gables e la fondazione internazionale Cisneros Fontanals nel centro di Miami, più comunemente conosciuta come CIFO, sono molto diverse tra loro, uno in assetto naturalistico in un giardino di periferia, l’altro in un grintoso e scoraggiato quartiere urbano. Ma entrambi questi edifici affrontano l’idea di territorio e di paesaggio, e del luogo ove gli edifici sono all’interno di un sistema più grande. Entrambi guardano l’architettura come arte e come mestiere, e ci permettono di vedere il mondo come non lo abbiamo forse mai visto prima. Il centro turistico Jean du Pont Shehan, di Andres Duany ed Elizabeth Plater-Zyberk con la collaborazione di Joanna Lombard, è un edificio che offre allo stesso tempo raffinatezza, semplicità e grandezza. L’architettura si basa sulle grandiose case tradizionali caraibiche e sulle piantagioni dei paesi minori della Carolina, ma soprattutto per il Fairchild, quasi ogni dettaglio deriva dal giardino stesso, dalle finestre oculari alle colonne in calcare olitico che accompagnano i cancelli in ferro battuto, che furono ripresi dai cancelli originari del giardino di William Lyman Phillips. L’edificio stesso è rivestito con la pietra delle Keys, che, come le colonne di calcare, è un materiale da costruzione locale e storico che si è fatto onore nel tempo, ma è anche una parte profonda della storia geologica della regione. Il centro turistico, nella migliore tradizione narrativa dell’architettura di Miami, è stato concepito come pezzo mancante del giardino, come se fosse la casa attorno al quale tutto il resto è stato piantumato, e non viceversa. L’architettura, quindi, è

82


per molti versi quasi impossibile da collocare nel tempo, nonostante le sue specificità geografiche e culturali concordate. L’edificio, che è in realtà sono tre padiglioni collegati, ha una eleganza misera e adattata alle intemperie, come se fosse stata una villa privata che in un secondo momento è divenuta pubblica, come è ovviamente accaduto a molti dei grandi giardini del mondo. Questo sembra un po’ come il residuo di qualcosa di più grande. Per la maggior parte, l’edificio è ordinato e sobrio, la facciata anteriore è piatta, il retro si apre su due piani di portici coperti, tutto lasciato disadorno, fatta eccezione per la grandiosa presenza della scala che apre verso il giardino, un elemento preso dalla proprietà del giardino Bailey Palm Glade. All’interno, il secondo piano destinato a sala da ballo dispone di murales di Henri Rousseau ispirati da Roberto Behar e Rosario Marquardt, che ha soprannominato lo spazio “La Stanza del Paradiso”. CIFO è un intervento urbano, la ristrutturazione di un’ex palestra di pugilato in un quartiere vicino al centro lasciata in stato di abbandono. E ‘essenzialmente un gesto ampio, che copre quasi una parete vuota con un murale di piastrelle che trasforma magicamente l’edificio in un giardino ed ancora il giardino in un’opera d’arte. E ‘un lavoro mozzafiato che allo stesso tempo ha finezza, grazia e bellezza. Per questo murale, Gonzalez cercato immagini multiple di fogliame tropicale, quindi ha stratificato quelle immagini, trasformandole in collage, e le ha lavorate fino a diventare un disegno piuttosto che realtà, un’astrazione che impartisce l’idea del complesso, espressi con oltre un milione di tessere di vetro da un pollice. Da lontano si legge come una scena di giungla tropicale, ma a ben guardare, si dissolve, cambia, si ricompone. L’edificio stesso è situato dietro la strada, seduto, appropriatamente, nel proprio giardino, come una piazza costellata di piantagioni di bambù. Il nuovo giardino vicino al Design District Moore Building di Enzo Enea si basa sul concetto dell’architetto paesaggista italiano che ogni piccolo paesaggio può essere un passo verso il paradiso ritrovato. Come CIFO, si tratta di un giardino urbano basato su impulsi tropicali, come se la civiltà si è improvvisamente ritagliata una striscia attraverso la fitta vegetazione. Un basso baldacchino di tela rappresenta verosimilmente la crescita naturale della canapa (anche se non realizzato dall’uomo), piscine e piante di bambù si trovano tra posti a sedere in cemento e piante a basso fusto. Con obiettivi molto diversi, ma non meno legato all’idea di riconquistare l’Eden è il giardino Douglas Duany realizzato presso la casa McClary a Coconut Grove; la casa stessa è stata progettata dai Trelles architects. Il giardino muta tra terreno e vegetazione, come se passasse da un mondo più addomesticato ad uno meno addomesticato. Il bosco di frutti tropicali di Sud-Dade, un microclima come nessun altro negli Stati Uniti continentali, offre un altro panorama non meno suggestivo. Ha filari di mango e alberi di avocado, piccoli e frequenti frutteti di carambole e lychee; oltre ad una moltitudine di campi di piante ornamentali. I boschi cedono alle Everglades, un paesaggio celebrato dal Marjory Stoneman Douglas nel suo volume del 1947 Everglades: River of Grass. Un milione e quattrocentomila acri pieni che si trovano a metà strada tra l’oceano Atlantico e il Golfo del Messico, le Everglades sono in gran parte deserte (comprese le pinete e le paludi di cipressi), il suo “fiume d’erba” profondo sei pollici che si muove lentamente, il flusso d’acqua superficiale in discesa dal Lago Okeechobee alla Florida Bay. Le Everglades ospitano la maggior parte della popolazione di alligatori della Florida ed una serie di uccelli tra cui fenicotteri, spatole rosa, garzette, aironi, pellicani, cicogne e gru. E’ nelle Everglades che Miami trova ancora delle popolazioni indigene, la tribù Miccosukee vi vive ancora e si possono vedere dei primi esempi di architettura indigena, il Chickee dal tetto di paglia. Con il mare a est e le Everglades a ovest (gran parte delle quali è protetto come parco nazionale), questa è una lunga e lineare regione con molti punti irraggiungibili. Di per sé pone problemi giacché la città e la regione sono alle prese con un boom edilizio che presagisce la crescita della popolazione, ma mancano delle infrastrutture urbanistiche che avrebbero portato alla vera urbanizzazione. Entro la metà del 1990, lo skyline e il litorale hanno cominciato a riempirsi di edifici alti, molti dei quali banali, altri pignoli ed esagerati, ma solo una manciata di essi sono degni di nota architettonica. Le torri di Arquitectonica si distinguono in larga misura perché entrambi incontrano la terra e il cielo. Altri, come il Setai (originariamente progettato da Carlos Touzet per la Schapiro Associates, ma attribuito ad Alayo and Denniston Limited e Jaya Pratomo

83


84


Ibrahim della Jaya & Associates) lo fanno con successo (anche se il Setai è l’unico edificio alto contemporaneo all’interno dell’Art Deco Distric, una distinzione acquisita da un anticipo di approvazione dei regolamenti zonizzazione più severi e si distinguono come il proverbiale mal di pollice). L’edificio Espirito Santo sulla Brickell di Kohn Pedersen Fox s’innalza verso la sfida più difficile di tutti, l’aumento delle imprese ad alto rendimento, e supera le aspettative. Si tratta di una semplice lastra di vetro a specchio, ma la facciata ha la rientranza concava di una vela, astratta e quasi mitica. L’American Airlines Arena è un altro dei molti contributi di Arquitectonica alla vita civica architettonica della città. Si tratta di un edificio a forma ellittica, proprio di fronte al porto turistico di Miami, che trae gran parte della sua immagine dalla sua vicinanza alle navi e l’acqua. Un vivace turbinio di vele di calcestruzzo che si innalzano verso il cielo, avvolgendo l’edificio; luci colorate sulla parte esterna (dello stesso colore dei sedili in campo) formano una “Heat wave”(ondata di calore), un doppio senso, sia per i Miami Heat, la squadra di NBA che occupa l’edificio, sia per il calore effettivo di Miami. All’interno, il tabellone segnapunti è una realizzazione di Christopher Janney, lo stesso artista che decorò l’aeroporto con la sua Harmonic Runaway, un evento multimediale, con la forma di un anemone di mare (o forse una creatura marina) che scendeva dal soffitto e, a volte esplodeva con i colori, i suoni e a volte anche con effetti pirotecnici. L’enigmaticità può essere una forza potente. Il Museo dei Bambini di Miami su Watson Island si rivela lentamente, una finzione che cambia la sua forma man mano che viene messa a fuoco. Sembra essere un castello di sabbia astratto, forse, un prestigiatore tridimensionale che lascia molto all’immaginazione. Pareti che si piegano e si spiegano, si ondulano e cambiano forma. La luce filtra attraverso le finestre in vetro trasparente dell’ingresso a forma di cono (si tratta di una conchiglia gigante? Un cappello da mago?) e rimbalza sul soffitto blu cielo e le pareti verde turchese, all’esterno le terrazze sono a modello di una vorticosa conchiglia Nautilus. I materiali sono della Miami di ieri, ma le geometrie inaspettate e la complessità della costruzione parlano della Miami di oggi, e domani, un presagio di un futuro che non nega il passato, ma non si sofferma su di esso. Miami è partita da un’idea di paradiso, e anche se la più recente corsa alla costruzione l’ha presa molto meno in considerazione, l’idea di paradiso ha guidato gli architetti nel corso dei decenni. La si può vedere nelle impostazioni delle case dei primi pionieri, nei disegni romantici di Coral Gables (per non parlare dell’effettiva esecuzione) e nei bassorilievi di piante tropicali e affreschi su vetro acidato che adornano gli hotel Art Deco e i condomini. Si può vedere nel primo dopoguerra le case che si aprono alle brezze. Dalle prime case insediate nei boschetti lungo la riviera come se fossero in una giungla alle sofisticate interpretazioni contemporanee trovate oggi, l’idea del paesaggio è stata una parte importante della tradizione architettonica di Miami. Guardando la città si capisce che troppo è stato progettato e costruito troppo in fretta, un’altra storia ricorrente di Miami degli anni precedenti al boom degli anni ‘20, anche se in questi anni post-millennio, si è spesso costruito senza reale riguardo all’esperienza architettonica, per i dettagli e le proporzioni che elevano gli edifici da mondani a sublimi o almeno di portarli da qualche parte nel mezzo. Ancora, ci sono molti strati da togliere, per vedere cosa c’è sotto il glitter a volte accecante e sfarzoso. La storia appare spesso troppo precaria a Miami, il territorio sembra sempre avere più valore di quello degli edifici che giacciono su di esso, un valore ordinato dagli edifici più grandi che potrebbero ancora essere costruiti. E’ anche questo il vero l’equilibrio tra architettura e natura, così importante per l’essenza di Miami in un’epoca di sempre più rapida crescita. Spesso è nel rapporto tra ambiente costruito e non costruito che si comincia a comprendere la condizione umana, a comprendere il significato di architettura.

85


pg. 38: The Barnacle pg. 42: Villa Vizcaya pg. 46: Venetian Pool pg. 48: municipio ad Opa Locka pg. 51: Sherbrooke Hotel pg. 52: Carlyle Hotel pg. 55: Jerry’s Famous Deli

86

pg. 60: Fontainebleau Hotel pg. 66: Luci Deco sulla Ocean Drive pg. 70: Atlantis building pg. 75: Miami Beach Public Library pg. 77: Royal Palm Hotel pg. 80: MOCA pg. 84: Giardino nel Design District


PARTE III L’immigrazione a Miami: opportunità e problematiche

87


ComunitĂ nera di Coconut Grove, 1880

88


1880 - 1900 Nonostante i limiti legalmente imposti, i residenti neri giocarono un ruolo centrale nello sviluppo della città. All’inizio del 1880 molti uomini e donne arrivarono nel sud della Florida dalle Bahamas, alla ricerca di lavoro. Maria Brown ne è un esempio. Nata nell’isola di Eleuthera, la Brown arrivò a Key West nel 1880. Infatti, con sole 96 miglia di distanza tra Nassau a Key West, viaggiare dalle Bahamas agli Stati Uniti non era più difficile che muoversi tra le varie isole bahamiane. Maria Brown trovò lavoro come domestica in un hotel di Key West, dove conobbe Charles Peacock, proprietario Peacock Inn a Coconut Grove. Lui e sua moglie, Isabella, erano inglesi, e forse fu questo il motivo che spinse Maria a seguirli, data la preferenza manifestata per i lavoratori bahamiani. Più tardi sposò un connazionale, Ernest, con il quale si trasferì in una casa di proprietà in stile bahamiano, costruita dietro l’hotel. Si tratta della proprietà nera più antica di cui si ha notizia nella Dade-County. Le capacità lavorative degli uomini delle Bahamas erano elogiate da molti dei fondatori della città e le donne svolgevano lavori come domestiche, lavandaie e sarte anche negli hotel di Henry Flagler. Per questo il ruolo della comunità di colore nello sviluppo di Miami non può essere ignorato. Il voto era riservato agli uomini che vivevano all’interno dei limiti della città, e che risiedevano nella contea da almeno sei mesi. Nel 1896 i votanti erano 424, 181 dei quali erano neri. Le donne, anche se erano escluse dal voto, usarono una combinazione di strategie femministe per formare la città; a Coconut Grove, donne bianche e nere lavorarono insieme per fondare le prime chiese. Nel 1880 convinsero uno dei maggiori proprietari terrieri della zona a donare loro un lotto per la costruzione di una Chiesa Cristiana. Per un certo tempo sia i bianchi che i neri frequentarono la stessa chiesa, ma nel giro di pochi anni i neri costruirono le proprie cappelle. Le donne bianche e nere badavano l’una all’altra e alle loro famiglie in caso di malattia. Questa vicinanza tra bianchi e neri, bahamiani e nativi, faceva ben sperare, ma alla fine del XIX secolo, questo senso di comunità condivisa cominciò a rompersi, dividendo la società in linee di provenienza, razza e classe sociale. Nel 1892 gli Stati Uniti entrano in guerra, e a causa della vicinanza con Cuba, Miami diventa un punto strategico per la difesa militare. Ma lo spostamento di truppe nella zona, insieme alla crescente migrazione dagli altri Stati e paesi confinanti, portò tensioni nei quartieri di Miami. La città cominciò ad essere divisa dalle differenze razziali. A giugno del 1898, alcuni soldati dal Texas linciarono un uomo di colore colpevole di non essersi spostato per dare spazio a due donne bianche. Quella notte i soldati tornarono a Coconut Grove, e andando avanti e indietro per la strada, spararono ad ogni lampada a cherosene. Questo intimorì la comunità nera di Coconut Grove e la costrinse ad abbandonare temporaneamente il quartiere.

1901 – 1919 Tra il 1900 e il 1910 la popolazione della Dade-County crebbe più del 50%, diventando così l’area con la crescita demografica più rapida del paese. Nel 1920 la popolazione crebbe più drasticamente aumentato di cinque volte nell’arco di dieci anni, questa rapida crescita fece di Miami una città unica tra le città degli Stati Uniti. L’inizio del ventesimo secolo è conosciuto come il periodo della “Grande Migrazione Afroamericana”, quando molti neri del sud lasciarono la campagna per i lavori industriali nel Nord del Stati Uniti. A Miami tra il 1900 e il 1910 gran parte della sua nuova forza lavoro e dei suoi residenti era costituita dagli immigrati neri, stranieri e non. Gli afroamericani provenivano dal nord e dagli Stati vicini come l’Alabama e la Georgia; i lavoratori bahamiani continuarono ad arrivare in città. C’era poi una fetta nettamente minore di immigrati bianchi, provenienti dagli stati del nord o dall’Europa. C’erano diverse ragioni perché Miami fosse desiderabile: numerose terre e lo sviluppo di progetti come l’estensione della ferrovia, i lavori per lo sviluppo del porto, la costruzione di case e la sicurezza degli imprenditori immobiliari. Anche l’attività agricola si sviluppò in Florida, ma a Miami la domanda di lavoro restava incentrata sulla costruzione e sui servizi, nel crescente numero di hotel, lavanderie e abitazioni private. Chi ricoprì questi ruoli diede a Miami un carattere unico. Più del 20% dei suoi residenti neri era straniero. Tra il 1905 e il 1917 Miami diventò la destinazione di migliaia di migranti neri bahamiani. La migrazione del 1900 ebbe le stesse motivazioni che spinsero quella alla fine del diciannovesimo secolo. La condizione economica delle Bahamas peggiorò e il lavoro era sempre più scarso. Il fatto che i bahamiani arrivassero direttamente a Miami anziché passare prima da Key West, indica i limiti fin dove l’immigrazione si spinse. Dopo il 1905, il porto di Miami era tanto accessibile quanto quello di Key West, diventando un punto importante per il commercio di beni materiali e umani. Più hotel si costruivano, maggiore era l’offerta di posti di lavoro per le donne, soprattutto come domestiche e lavandaie. Gli uomini bahamiani lavoravano come agricoltori, cuochi, camerieri, portinai, carpentieri, pittori, panettieri, muratori e

89


pompieri. Molti lavori erano offerti dagli hotel sparsi sul lungo mare di Miami. La migrazione dei bahamiani dopo il 1945 si differenzia dalle precedenti: questa seconda ondata migratoria non è più a scala familiare, ma sono soprattutto uomini soli ad arrivare. Nel 1910, i migranti europei costituivano solo il 6% del totale della popolazione della Dade-County. Il maggior numero di stranieri era di origine caraibica, e nel 1920 costituivano quasi un quarto della popolazione. Nonostante le ondate migratorie, la crescente ostilità spinse i bahamiani a considerare la Florida solo come residenza temporanea. Gli uomini che lavoravano nel settore agricolo potevano facilmente partire dalle Bahamas ad ottobre e farvi ritorno a marzo. Così come i pescatori potevano ritornare dopo la fine della stagione di pesca. Mentre gli uomini viaggiavano a Miami per lavoro, le donne crearono un nuovo mercato nell’ambito dei beni di manifattura artigianale. Mentre la forza lavoro di Miami restava legata ai Caraibi, i modelli residenziali e della vita di tutti i giorni si avvicinavano alla cultura e alle abitudini del sud degli Stati Uniti. La Florida stabilì una serie di leggi che separavano i neri dai bianchi, cominciando dal divieto di matrimonio tra una persona bianca e una di colore, fino alla quarta generazione. Negli anni vicini alla I Guerra Mondiale i residenti di Miami erano concentrati in cinque quartieri principali. I residenti di colore, indipendentemente dalla classe sociale o città di provenienza, vivevano lungo i confini a nord e sud della città, e nei quartieri storici di Coconut Grove e Lemon City. I residenti più benestanti della città che a quel punto erano per la maggior parte residenti nativi, vivevano vicino alla Biscayne Bay e all’Oceano Atlantico, includendo Miami Beach e Coral Gables. I residenti bianchi e neri di Miami vivevano generalmente separati, ma in quartieri come Coconut Grove, il quale includeva molti dei beni immobiliari più desiderabili, vivevano ancora uno vicino all’altro. Coconut Grove accoglieva un gran numero di famiglie delle Antille, sia di classe media sia di classe benestante. I migranti bahamiani costruirono case nello stesso modo in cui lo facevano nelle Bahamas e a Key West. Coral Gables era tra i quartieri residenziali più ricchi di Miami. George Edgar Merrick disegnò l’impianto. All’inizio Merrick possedeva 160 acri confinanti con Coconut Grove, i quali venivano usati per coltivare pompelmi. Tra il 1910 e il 1919 Merrick acquistò più di 2000 acri. Lui lavorava per sviluppare quest’area in ciò che lui chiamava “Master Suburb”, la grande periferia. Il piano per Coral Gables includeva numerosi terreni edificabili per residenze, negozi e piccole attività per servire la comunità. I lotti erano generalmente più grandi rispetto a quelli degli altri quartieri. Spazi verdi e piccoli arbusti con giardino erano previsti nel piano. Coral Gables era concepita come un nuovo modello per le città degli Stati Uniti, e considerata come uno spazio urbano dove i residenti potessero fruire di un ampio spazio verde, avendo anche accesso alle risorse economiche e culturali che una città può offrire. Era anche “altamente limitato”, così come i cartelli pubblicitari annunciavano, il che significava non avere industrie, e c’erano requisiti ben specifici sul tipo di case che potevano essere costruite, le facciate e il tipo di attività che poteva essere svolta nei dintorni del quartiere. Il quartiere è stato incorporato alla città in aprile del 1925. Un lussuoso hotel, il Miami Biltmore, aprì le sue porte nel gennaio 1926. Mantenendo l’idea di creare una città autosufficiente, Merrick convinse un gruppo di sponsor ad aprire un college a Coral Gables, anziché nella città di Miami. Lui contribuì con un’importante somma di denaro e terre per la costruzione del college, il quale aprì come University of Miami nel 1926. Il Downtown di Miami era la residenza della maggior parte di lavoratori e persone della classe media, bianchi, neri e immigrati. Conosciuta come “overtown” da quelli che ci abitavano, e come “central negro district” dalla maggior parte dei residenti bianchi, questo quartiere si estendeva al nord-ovest del Downtown, nonché il centro direzionale. I lavoratori neri avevano fornito quasi tutto il lavoro per costruire il Downtown. Tuttavia nessuna persona di colore poteva avere un’attività in qualunque strada del Downtown, ai residenti neri era vietato acquistare in questi negozi, mangiare nei ristoranti o usufruire di qualsiasi altro servizio. E nessuno poteva avere attività che servisse la comunità bianca. Così le comunità afroamericana e bahamiana crebbero e svilupparono la propria economia e fondarono istituzioni dove poter soddisfare le proprie necessità. Si creò un’economia chiusa dove i dollari dei residenti neri restavano sempre nella comunità. Mentre le attività dei bianchi furono ricostruite in mattoni, la struttura di Overtown rimasse per la maggior parte in legno per tutti gli anni Venti. Le strade erano sterrate e spesso si allagavano; e ciononostante si sviluppò una forte e avviata comunità nera. La zona crebbe rapidamente con i nuovi arrivi in città. Questi nuovi arrivati cambiarono il volto della Miami; 17 negozi alimentari e 14 sartorie aprirono nella comunità, e in giro per la città si poteva trovare ogni tipo di negozio. Geder Walker, un afroamericano costruì il Teatro Lirico nel 1917, che rimane uno degli edifici più singolari del cuore di Overtown, nonché importante eccezione alle costruzioni in legno. Le case di Overtown, in stile bahamiano, erano fatte in modo tale che dalla porta d’ingresso si riusciva a vedere tutta la casa fino la porta sul retro. Erano dette “a colpo di pistola” perché si diceva che se si tirava con un’arma nel fronte della casa, la pallottola sarebbe sicuramente uscita dalla porta posteriore. Un piccolo numero di migranti cinesi si spostò a Overtown, e come i residenti neri erano costretti a vivere e a lavorare nelle

90


zone designate, i Color Districts. Più tardi si aprirono ospedali, cimiteri, giornali per la comunità nera. Il Downtown ospitava anche la maggior parte dei residenti ebrei. L’onda migratoria ebrea verso gli Stati Uniti ebbe inizio nel 1880 fino al 1920. Provenivano dall’Europa dell’est, particolarmente da Russia, Romania, Lituania, Ucraina. Parlavano tutti l’ebraico ed erano molto religiosi. Nel 1941 a Miami c’erano solo cinque famiglie ebree stabili in città; nel giro di pochi anni furono raggiunte da altre famiglie, aumentando il numero di residenti ebrei. Così il centro di Miami era un mosaico di residenti e di culture: ebrei, afroamericani, antillani, italiani, greci, cinesi, cubani, e nativi angloamericani.

1920 – 1925 La spinta per limitare la quantità e la mobilità della comunità nera di Miami aumentò tra il 1920 e il 1925. I bahamiani continuavano ad arrivare a Miami. Molti immigrati bahamiani neri avevano alle spalle molti anni di scuola, e sapevano leggere e scriver, fattore non trascurabile per l’epoca. I legislatori cominciarono a concentrarsi sull’immigrazione internazionale: molti si preoccupavano del fatto che il crescente numero di stranieri stava intaccando il “Carattere Americano”, producendo una generazione “tratteggiata” di americani. Il governo commissionò uno studio a grande scala sull’immigrazione. La commissione posò le basi per una serie di restrizioni alla migrazione nazionale, cominciando con un test di cultura generale nel 1917. Così La Florida, analogamente ad altri stati come l’Alabama e il Mississippi, punta sugli europei per rimediare alla sua forte dipendenza dalla forza lavoro nera. I bahamiani neri e gli altri migranti Caraibici erano spesso al centro di questi dibattiti. Qualcuno propose di bloccare le ammissioni sul territorio americano degli immigrati di colore, indipendentemente dalla nazionalità. La Florida, insieme al console inglese e a quello cubano, si oppose facendo notare come la cosa avrebbe portato nefaste conseguenze sull’economia del Sud della Florida, poiché avrebbe significato bloccare l’immigrazione dall’America Latina e dai Caraibi. Così, mentre nel 1917 le restrizioni sull’immigrazione ponevano un freno all’immigrazione asiatica, quella Latino Americana venne esonerata dal sottoporsi a tutti quegli strumenti mirati alla riduzione degli ingressi. La legge approvata tra il 1917 e il 1924 creò sei nuove categorie in base alle quali gli immigranti potevano essere esclusi e una gamma di sanzioni più severe per chi violava le leggi locali, regionali o statali. Dopo il 1917 i nuovi arrivi furono soggetti alla deportazione per almeno cinque anni, e le persone deboli di mente, epilettici, alcolisti, “mendicanti professionisti”, tutte le persone fisicamente e mentalmente malate, poligamie anarchici, sarebbero stati soggetti alla deportazione definitiva. Pochi bahamiani fecero richiesta per diventare cittadini americani: prima del 1917 almeno la metà di quelli residenti a Miami mirava a ottenerla, ma dopo il 1920 in molti preferirono conservare la nazionalità britannica. Le ragioni di questa scelta erano legate alla sempre peggiore qualità di vita e alla poca protezione per i residenti neri offerta dalla città. Per la prima volta nella storia di Miami, i bianchi nativi erano più della metà dei residenti della Dade-County, e la proporzione di residenti neri scese. Questo cambiamento nella popolazione non fu il risultato solo dell’immigrazione di nativi bianchi, ma soprattutto del fatto che molti neri cominciarono ad abbandonare Miami, così come altre comunità del Sud. La grande sfilata del Ku Klux Klan nel centro di Miami nel 1921 dava una pubblica indicazione di quanto severa fosse diventata l’ostilità etnica e razziale. L’estate del 1920 marcò un punto di svolta per la comunità nera di Miami. La sera del 1 aprile, un ex vigile del fuoco, nativo di Miami, si ubriacò e sparò sul quartiere che divideva Overtown e Downtown, centro di affari dei bianchi. Un afroamericano rimase ucciso all’entrata del suo negozio da una delle pallottole. L’aggressore fu portato in prigione in attesa del processo, ma la giuria lo dichiarò non colpevole e fu rilasciato. Questo incidente fu il primo di una serie di conflitti tra i residenti bianchi e neri nei mesi successivi. Gli attacchi alle abitazioni e alle attività commerciali erano indirizzati all’intimidazione e alla limitazione della solidità politica ed economica delle comunità nere di Miami. Queste operazioni subdole ebbero solo in parte successo sperato. L’UNIA era tra le associazioni più aggressive operanti negli Stati Uniti e nei Caraibi in quel periodo. Fu fondata da Marcus Garvey nel 1914 nella sua nativa Giamaica. Quando nel 1916 si spostò a New York portò con sé la sua associazione. Dedita all’internazionale e indipendente nazionalismo nero e all’autosufficienza economica, l’UNIA possedeva e operava la propria flotta, la Black Star Line. Queste imbarcazioni erano usate per facilitare lo scambio di persone e beni tra gli Stati Uniti, Caraibi, America Latina e Africa occidentale. Propose anche la creazione della Union Mercantile Association, una compagnia di fabbriche di neri, e una pressa da stampa privata. I reverendi John Davis e Robert Burno Brooking, sebbene fossero nativi bianchi, si unirono alla lotta dell’UNIA, fondando a Coconut Grove la prima scuola nera. Le iscrizioni all’UNIA a Miami crebbero velocemente, e nel giro di un anno poteva contare su più di mille membri e una sede propria, la Liberty Hall. I membri davano trentacinque

91


centesimi per mese, dieci dei quali andavano alla sede centrale di New York, mentre il resto serviva a mantenere la struttura, pagare gli oratori e le attività. Gli incontri solitamente iniziavano con preghiere e canzoni, seguite da una serie di discussioni e performance musicali. L’UNIA di Miami si concentrava sul promuovere l’investimento imprenditoriale della classe media nera. Insegnava a uomini e donne come usare armi, i comandi militari e la difesa personale. L’impatto più forte dell’UNIA su Miami era senza dubbio di tipo culturale. Annidata nel cuore di Overtown, la Liberty Hall diventò un centro d’incontri importante. Attraeva persone da ogni comunità nera della città, dai professori ai negozianti, dagli uomini alle donne comuni, e vi si ascoltavano sermoni e discussioni, si partecipava ai vari programmi per i bambini e per la famiglia. Estese inoltre l’eredità bahamiana e il senso d’identità culturale alla seconda generazione d’immigrati unendo la comunità e dando le basi per un legame comune. L’UNIA diventò sin dall’inizio, per i suoi scopi sociali e politici, una forza importante a Miami. Enfatizzando l’eredità africana comune, condivisa da tutte le persone nere, l’organizzazione unì un gruppo di residenti neri di Miami prima divisi da differenze nazionali. Così diventò una delle istituzioni nere più riconosciute. In Florida le autorità si concentrarono sulla questione della cittadinanza dei membri dell’UNIA. Lavorando insieme agli Ufficiali Federali d’Immigrazione, all’Agenzia di Investigazione, tentarono di impedire ai membri espulsi dell’UNIA di rientrare nel paese attraverso la Florida. A Coconut Grove un reverendo predicava alla gente di dare una buona educazione ai suoi figli in modo di evitare che lavorassero nelle case dei bianchi e che potessero trovare un lavoro migliore. Questo era esattamente il tipo di messaggio che molti datori di lavoro bianchi temevano. Il reverendo fu rapito, picchiato e, dopo avergli legato una corda al collo, venne buttato nel centro di Coconut Grove. Questo causò ovviamente panico tra la comunità nera di Miami. Anziché scoraggiare le attività dell’UNIA, questi atti incrementarono le sue attività politiche. Ciononostante nel 1922 il numero dei membri afroamericani scese drammaticamente. La tensione era scoppiata tra bahamiani, che per la maggior parte promuovevano forme dirette di azione politica ma che potevano usare la loro cittadinanza britannica per lasciare gli Stati Uniti, e afroamericani che avevano buone ragioni per temere le risposte violente da parte dei bianchi. Le differenze a livello di educazione e sicurezza economica tra i residenti neri, nativi e stranieri giocavano un ruolo importante. Le famiglie bahamiane continuavano a predominare tra i residenti di classe media di Miami, e a ottenere livelli di alfabetismo più alti a causa delle risorse didattiche disponibili per loro nelle Bahamas, le quali non erano disponibili per gli Afroamericani. L’UNIA a Miami continuò ad acquisire membri e fama internazionale nel 1925. Non riacquistò mai lo stesso tipo di unità multietnica che ebbe nel 1920. Nel 1926 un uragano devastò la città di Miami. Con le sue strade non asfaltate, le sue deboli strutture in legno e l’inesistente sistema fognario, Overtown fu una delle zone più devastate della città. La seconda area più devastata fu Miami Beach, dove molti dei più lussuosi hotel si allagarono o furono completamente distrutti. Dove solo dieci anni prima, Miami sembrava un’inarrestabile città nuova; alla fine del 1926 il futuro della Magic City era incerto.

1926 – 1940 Un numero sempre maggiore di ebrei-americani visita Miami nelle vacanze, ormai parte importante della cultura americana, ma particolarmente sentita da questo gruppo. Nessun’altra classe povera avrebbe pensato di mandare la moglie e i figli in vacanza in estate, mentre i lavoratori ebrei lo facevano ogni anno. Molti credevano che le vacanze personificassero il “sogno americano”. Così come le vacanze diventavano possibili per un numero maggiore di ebrei, anche gli ostacoli aumentavano. Gli hotel di New York cominciarono a dettare norme che specificatamente escludevano gli ebrei, che erano considerati inferiori ai bianchi in un’epoca che privilegiava gli anglosassoni su tutti. Gli ebrei occupavano un posto ambiguo nella gerarchia razziale, trovandosi spesso impedito il possesso di attività, proprietà, o il vivere in certi quartieri. Situazione nota anche in Europa. A metà degli anni Venti, la popolarità della Florida come meta di vacanza era cresciuta velocemente. A differenza del nord-est, Miami era calda e soleggiata tutto l’anno, e un soggiorno portava anche benefici per la salute. I lussuosi hotel di Miami Beach richiamavano tutti quelli che desideravano una vacanza confortevole. La vicinanza di Miami ai Caraibi significava anche, nonostante il divieto, facile accesso al rum e ad altri liquori. Così molti vacanzieri alla fine decidevano di rimanerci e cominciavano a cercare lavoro. Nel 1926 Miami fu colpita dal peggior uragano. La tempesta interruppe tutti i servizi nella città, strappò le facciate degli edifici, aprì case, lacerò tetti, e rase al suolo gran parte di Miami Beach e di Overtown. L’inondazione distrusse gli edifici rimasti in piedi. Molti commercianti si trovarono economicamente devastati, e i proprietari di case persero tutto. Un nuovo tipo di migrazione e insediamento si sviluppò negli anni successivi. Nel 1930 la comunità ebraica era triplicata. Mentre sempre più vacanzieri ebrei diventavano residenti permanenti, si formava una comunità forte, con negozi, hotel e ristoranti emergenti a South Beach. Questo portò più ancora

92


più “turisti permanenti”. L’uragano segnò un punto di svolta per la città di Miami. Per alcuni, come i residenti e turisti ebrei di Miami fornì un importante inizio; ma per i residenti neri le conseguenze dell’uragano furono devastanti. Il New York Times raccontò le cause della rivolta razziale che scoppiò in città. La polizia, composta unicamente da bianchi, andava per case e negozi di Overtown e Coconut Grove, radunando tutti gli uomini neri che trovava. Questi erano poi costretti a lavorare in tutta la città, senza essere pagati, per ripulire e riparare i danni causati dalla tempesta. Mentre le condizioni sociali peggioravano per i residenti neri di Miami, le condizioni economiche nelle Bahamas miglioravano. Il proibizionismo giocò un ruolo fondamentale. Nel 1919 gli Stati Uniti approvarono la legge che vietava la vendita di bevande alcoliche. La legge era raramente attuata. Invece l’importazione di alcool diventò un grande affare e una notevole fonte di commercio tra la Florida e i Caraibi. Si vedevano limousine allineate ai moli, pronte per ricevere le barche che portavano liquore illegale provenienti da L’Havana, Bimini e Nassau, e la gente che se ne andava con i suoi “pesci” perfettamente avvolti in carta marrone. La manifattura e il commercio di liquore, durante il proibizionismo, fu una delle risorse primarie per l’economia delle isole. Così come le condizioni economiche miglioravano, meno bahamiani avevano bisogno di trovare lavoro a Miami. Anche l’economia di Miami si trasformò in questo periodo, facendosi più attraente per gli immigrati di lingua spagnola. Prima del 1926 l’economia della città era fondamentalmente stagionale e attraeva lavoratori che principalmente interessati al lavoro temporaneo in limitati settori. Questi includevano edilizia, servizi, agricoltura, che erano considerati lavori da neri. A differenza di altre città del sud della Florida, Miami aveva poche occupazioni o opportunità di investimento che avrebbero potuto attrarre nuovi arrivi da Cuba o Puerto Rico. I primi tentativi per costruire una manifattura per la produzione di sigari o altri beni, fallirono. Nel 1925 la Pan American World Airways, stipulò un contratto per diventare il primo servizio postale per l’America Latina. Come risultato la compagnia ampliò le sue rotte internazionali. Così dove gli affari di Miami prima si concentravano nel commercio lungo la costa est degli Stati Uniti e i Caraibi, dopo il 1926 gli obiettivi si ampliano a includere la maggior parte dell’America e dell’Oceano Atlantico. Le nuove industrie puntavano a sostituire il turismo, senza riuscirci. Si presero in considerazione le sole industrie che non intaccassero l’immagine di paradiso tropicale della città: abbigliamento, produzione farmaceutica, modiste, produzione di scarpe. Era particolarmente gradita la flessibilità di queste industrie che richiedevano pochi capitali e poco spazio per iniziare. Potevano rispondere velocemente ai cambiamenti richiesti dalla domanda e in più potevano trasferirsi con relativa facilità. Il piano ebbe successo. Nel 1938 la Eastern Airlines e la National Airlines cominciarono ad operare a Miami, facendo della città la sede delle tre compagnie aeree più grandi in America. Il nuovo aeroporto internazionale di Miami di 846 acri fu completato nel 1941. Dopo la catastrofe economica dell’uragano, molti di quelli che avevano tenuto lontano gli ebrei come soci, cominciarono a riconsiderarli. Gli imprenditori ebrei colsero la grande opportunità offerta dal calo dei prezzi. I proprietari di hotel lungo la costa del New Jersey aprirono hotel a Miami e a Miami Beach. Come risultato la classe imprenditoriale e la classe lavoratrice furono trasformate. Tra il 1915 e il 1940 la comunità ebrea di Miami crebbe da 50 a quasi 8000 persone. Con i legami economici nella regione incrementò anche il flusso di persone provenienti dai Caraibi. Alcuni arrivarono come lavoratori per il crescente numero di industrie a Miami, mentre altri arrivarono come rifugiati politici. Nel 1930 il presidente cubano Mario Menocal, trovò rifugio a Miami, raggiunto ben presto da centinaia di seguaci. Molti rimassero per poco tempo. Nel 1940 i residenti di lingua spagnola erano solo il 4% degli stranieri della città. Tuttavia, in relazione ad altre città industriali la popolazione straniera di Miami si poteva dire di dimensioni contenute. Il 34% della popolazione di New York era nata fuori gli Stati Uniti, a Chicago il 25%. Quello che rese notevole la migrazione ebrea a Miami fu la velocità con cui ricostruirono Miami Beach: un solo decennio. Gli ebrei che arrivarono a Miami Beach prima del 1926 dovettero confrontarsi con una serie di divieti: potevano acquistare proprietà solo nella terza parte più al sud di Miami Beach, a sud del terreno sviluppato da Flagler e Lummus. Nel 1930 s’istituì un sistema di lasciapassare: tutti gli impiegati che non risiedevano nella Beach dovevano presentare delle tessere di identificazione, le quali venivano rilasciate dal Dipartimento di Polizia di Miami Beach. Il lavoratore era identificato con una foto, descrizione fisica includendo età, altezza, peso, descrizione dei capelli e costituzione fisica, impronta digitale del pollice. Anche l’occupazione svolta e il datore di lavoro venivano menzionati. Il divieto agli ebrei di possedere terre o attività nella maggior parte di Miami Beach era l’estensione di questi ideali e del desiderio di un controllo sociale. Si vedevano spesso dei cartelli all’ingresso di negozi o ristoranti recanti l’avviso“Non sono accettati ebrei o cani” e gli ebrei erano anche esclusi dagli hotel più grandi della spiaggia. Quando l’opportunità per gli ebrei di acquistare terre e attività si fece concreta, molti di loro la videro come un modo per creare una città ideale. Nathan Stone, russo trasferitosi a New York nel 1914, aveva accumulato una piccola fortuna con la costruzione di hotel a New York. Il medico di famiglia gli aveva consigliato di portare sua moglie in Florida per questioni di salute. Arrivarono a Miami ma furono respinti dai migliori hotel. Stone vi

93


vide una grande opportunità di lavoro e nel 1927 acquistò un lotto e progettò il suo hotel: il Blackstone, una meraviglia in tutti i sensi. La costruzione durò solo sei mesi e all’epoca era l’edificio più alto dell’isola. Aprì nel 1928 ed era non solo il primo edificio moderno costruito e appartenente a un ebreo-americano, ma era anche uno dei punti di riferimento più riconoscibili di Miami Beach. Il numero di ebrei che decisero di restare a Miami e a Miami Beach crebbe notevolmente. Nel 1930 costituivano il 25%del totale della popolazione di Miami Beach. Gli hotel che prima respingevano la clientela ebrea cominciarono a pubblicizzarsi sui loro giornali. Così gli imprenditori ebrei, tanto bistrattati, portarono il secondo boom economico di Miami. I proprietari delle principali industrie della città cambiarono velocemente tra il 1926 e il 1940. Questo non significò un gran cambiamento nelle opportunità di lavoro per la classe lavoratrice nera. Prima del 1953, uno dei lavori più pagati per i lavoratori di colore era il ruolo di Chef nei ristoranti degli hotel. Ma quando il turismo diminuì negli anni della grande depressione e negli anni della II Guerra Mondiale, i lavoratori bianchi cercarono impiego proprio in questo tipo di lavori pagati meglio sostituendosi ai neri. La disponibilità di lavoro per le donne nere nel settore dei servizi aumentò con la proliferazione di alberghi lungo Miami Beach. A differenza del lavoro nelle case private, gli hotel pretendevano più ore di lavoro con stipendi minori. Il risultato fu un mercato del lavoro fortemente suddiviso in sesso e linee etniche. La proliferazione di lavori manifatturieri e nel campo dei trasporti aiutò poco al cambiamento. Le donne nere erano quasi completamente escluse dalla manifattura. Il 66% lavorava in servizi domestici, paragonato al 5% delle donne bianche. I lavori per le donne bianche erano incentrati sulle vendite, l’infermieristica e l’insegnamento. La crescente upper class della città era ebrea e la sua nuova forza lavoro era latina, anche se non esistono dati precisi sulla quantità di lavoratori latini in questo periodo, la loro presenza era notevole. Gli imprenditori videro i vantaggi della prossimità di Miami ai Caraibi: i lavoratori potevano tornare a casa dopo il lavoro stagionale. Mentre il dibattito pubblico continuavano a girare attorno al tema dei giochi d’azzardo e della prostituzione nei quartieri neri, la piccola comunità Latina di Miami era ben vista. Tuttavia, solo una piccola parte di questi nuovi lavoratori latini erano immigrati. Così come le ditte dove lavoravano, la maggior parte proveniva dal nord-est degli Stati Uniti. Molti erano portoricani e quindi cittadini americani, o immigrati cubani che lavoravano da anni a New York o nel New Jersey. La fine degli anni Trenta significò profitti per gli ebrei, e opportunità sempre più limitate per gli afroamericani e bahamiani di Miami. C’erano anche molti residenti nativi bianchi che si sentivano minacciati da queste trasformazioni e tolleravano poco entrambe le categorie. I negozi ebrei si localizzavano in aree dove ormai da tempo altri ebrei avevano avviato attività, che generalmente rispecchiavano quelle che avevano guidato nel nord-est, oppure in aree della città considerate meno desiderabili. La particolarità di questa discriminazione razziale, etnica, e sociale portò agli ebrei e afroamericani a un rapporto più stretto. Il collasso dell’UNIA lasciò un vuoto politico difficile da riempire nella comunità nera di Miami. Nonostante la serie di club sociali e civici di Overtown e Coconut Grove, nessuno riusciva a unificare la comunità, abbastanza per reagire ai seri problemi in corso, come la persecuzione e la brutalità della polizia. In molti casi, afroamericani e bahamiani si appellavano alle sedi nazionali del NAACP (National Association for the Advancement of Colored People). Per un breve periodo la legge sembrò fare giustizia, ma ben presto i coprifuochi per i residenti neri diventarono più rigidi: nessuna persona di colore era ammessa nei quartieri dei bianchi dopo le nove di sera. Nonostante i bahamiani e gli afroamericani fossero vulnerabili in ugual misura alla brutalità della polizia e soggetti alle stesse limitazioni nelle attività, case e spostamenti, difficilmente si reputavano uguali. Per gli afroamericani, gli immigranti afro-caraibici erano intrusi. Solo quando la loro presenza in città diminuì, gli afroamericani cominciarono a credere in un vero cambiamento sociale. Nonostante gli sforzi delle varie associazioni, la legge andava sempre e comunque a favore dei bianchi. I delitti della polizia erano giustificati, e i colpevoli dichiarati innocenti. Il Ku Klux Klan promise di ripulire i luoghi immorali della città in modo di preservare “lo stile di vita americano”. Alla vigilia della II Guerra Mondiale, il processo di segregazione razziale, iniziato nel 1896, era ormai completato. Rimasero importanti fratture nel sistema, rese critiche dallo spostamento delle persone dentro e fuori la città. Meno antillani arrivarono a Miami, e i residenti afroamericani si spostarono a nord e a ovest. La proporzione di residenti neri diminuì drammaticamente, così come quella dei nativi bianchi aumentò, e con essa il numero di latini ed ebrei. Nel giugno del 1939 un’imbarcazione arrivò sulle coste di Miami Beach: proveniva da Amburgo e portava 937 passeggeri, la maggior parte ebrei che fuggivano dal regime nazista. Fecero richiesta al Presidente Roosevelt per rifugiarsi negli Stati Uniti: fu respinta perché la quota annuale d’immigranti era ormai raggiunta per quell’anno. I passeggeri furono rimandati in Germania. Così come la proporzione di residenti neri diminuì, e il numero di ebrei e latini aumentò, si crearono opportunità per fare nuove alleanze. Anche se la segregazione razziale era cronica, la questione dei diritti civili cominciava a farsi sentire.

94


1941 – 1953 Il periodo della II Guerra Mondiale ebbe un ruolo fondamentale. Tra il 1940 e il 1960 arrivarono a Miami 14000 ebrei in fuga dall’Europa. Il clima mite della Florida era ideale per allenare i militari. La sua posizione geografica la faceva anche un punto vitale per la difesa. Quando la guerra scoppiò in Europa, il governo s’impegnò a costruire le infrastrutture necessarie al trasporto in modo da supportare la nazione nello sforzo bellico. Il Dipartimento di Guerra degli Stati Uniti investì molto negli aeroporti di Miami. I critici presero subito di mira il porto di Miami dicendo che era inferiore se paragonato ad altri lungo la Costa est. Alcuni analisti previdero che alla fine della guerra, l’industria aerea avrebbe superato il turismo come prima risorsa di lavoro ed economica di Miami. Il viaggio aereo fece di Miami uno dei punti d’ingresso più importanti della nazione. La compagnia aerea tedesca KLM aumentò i voli diretti a Miami, incrementando così i voli tra gli Stati Uniti ed Europa, rispetto alle sole tratte della Pan American Airways nel 1930. Tra il 1940 e il 1960 più di 80000 europei si spostarono in città, e per la prima volta la proporzione di stranieri residenti a Miami si rispecchia con quelle delle città industriali del nord. Anche se il numero d’immigrati europei aumentò, i legami con il resto dell’America si rafforzarono. Diciotto compagnie aeree a Miami coprivano rotte nell’emisfero occidentale e offrivano voli giornalieri a più di venti paesi. Mentre la maggior parte degli europei che arrivavano a Miami in quel periodo, non potevano ritornare a casa, i latino-americani erano liberi di andare e tornare quando volevano. Durante la II Guerra Mondiale la Camera di Commercio di Miami stimò che tra 200000 e 300000 latino-americani visitarono la città ogni anno. Tuttavia pochi avevano bisogno di emigrare realmente. Man mano che la guerra dilaniava l’Europa, gli affari con le Americhe acquistavano sempre più importanza. Da tempo Miami si era conquistata la posizione di “porta verso le Americhe” in termini di commercio e turismo. I legami economici diventarono più forti con il taglio delle relazioni con Europa e Asia. Si aprirono venti consolati latinoamericani e un ramo della Camera di Commercio Venezuelana stabilì la propria sede a Miami. Nel 1940 gli Stati Uniti fornivano più beni all’America Latina rispetto a qualsiasi altra nazione, guadagnandosi il 33,9% delle importazioni nella regione. Germania, Italia e Giappone erano i principali avversari degli Stati Uniti, per questo il rapporto stretto con l’America Latina diventò un indicatore chiave della posizione degli Stati Uniti nel mondo. I leader politici, scolastici e degli affari incoraggiavano i giovani professionisti a imparare lo spagnolo o il portoghese. Lo studio della storia latinoamericana e lo spagnolo vennero sponsorizzati nelle università e nelle scuole nel sud degli Stati Uniti. L’università di Miami accolse studenti e professori da ogni parte delle Americhe in modo da creare un miglior accordo tra i due gruppi. Queste connessioni aiutarono a supportare Fulgencio Batista, che dopo un colpo di stato finì il suo primo mandato come presidente di Cuba nel 1944 e cercò rifugio a Miami. Alla fine della II Guerra Mondiale Miami aveva sviluppato un sapore latinoamericano. Il fatto che pochi latinoamericani emigrassero significava che le politiche elettorali della città non necessariamente riflettevano i comuni cittadini. La maggior risorsa di crescita tra il 1941 e il 1953 proveniva dagli stati vicini. Circa 50000 persone si spostarono nella Dade-County, tra il 1940 e il 1945, rendendola l’area più popolata dello stato. Alla fine della II Guerra Mondiale più di due terzi dei residenti di Miami era nato fuori dalla Florida. Il rapido afflusso di nuovi arrivati da tutte le parti degli Stati Uniti rafforzò l’immagine di Miami come un posto insolito e creò un mix politico. Il capitalismo e l’importanza dello sviluppo economico significavano una grande opportunità per i residenti di Miami. Mentre la popolazione cresceva del 10% ogni anno, la proporzione di afroamericani nella città continuava a diminuire. Da un punto di vista politico Miami mostrava elementi del nord e del sud, entrambi, però, sfavorevoli era per gli afroamericani. Da un lato la limitazione del voto, dall’altro gli afroamericani che si spostavano a Miami dagli stati vicini come Georgia, South Carolina e Alabama, facevano sì che la comunità si trovasse con un potere politico più debole. Così Miami continuava ad avere un livello molto alto di segregazione, rinforzato da norme culturali e restrizioni legali a livello nazionale. Il mantenere Miami attraente per i turisti giustificava un’intera gamma di decisioni urbane. La Camera di Commercio sosteneva che al contrario di altre città degli Stati Uniti, Miami quasi non aveva quartieri poveri, ma era una cosa del tutto falsa. Un’attenta pianificazione urbana faceva sì che i turisti e persino alcuni bianchi benestanti e della classe media non se ne rendessero minimamente. I dibattiti sull’espansione metropolitana si centravano sul tema dello sgombero dei quartieri poveri. Le condizioni abitative delle “aree di colore” a Miami erano inammissibili per qualsiasi standard. I quartieri neri avevano le strade non pavimentate, l’impianto idraulico era all’esterno della casa, le strutture in latta che servivano come bagni si vedevano nei cortili di Overtown e Black Grove. La densità abitativa era quasi il doppio dei quartieri residenziali bianchi confinanti. La qualità delle costruzioni era più bassa. I bar e stabilimenti di gioco si trovavano accanto alle abitazioni e alle scuole. Nel 1950 Miami aveva “l’onore di essere la città più segregata degli Stati Uniti”. Per indirizzare l’attenzione ai

95


problemi dei residenti neri di Overtown, il reverendo bahamiano Culmer, cominciò a scrivere una serie di articoli sul Miami Times e sul Miami Herald. Gli articoli si focalizzavano sui morti per tubercolosi e sulle scarse condizioni di vita degli abitanti di Overtown. Nel 1934 il Presidente Franklin Delano Roosevelt inviò un gruppo di esperti in sondaggi per studiare i quartieri di Miami. Tre anni dopo il Liberty Square, il primo progetto statale di abitazioni per neri fondato nel sud, e il secondo in tutta la nazione, era completato e apriva le sue porte ai nuovi residenti. Liberty Square includeva trentaquattro unità abitative ed era situato lungo la periferia nord-ovest della città. A differenza delle vecchie case di Overtown, Liberty Square aveva cucine moderne e bagni, acqua calda e fredda, gas ed elettricità. Le case erano costruite attorno ad un cortile che aveva giochi per bambini. Le pareti esterne erano in cemento, ma dipinte di un colore rosa tropicale. Altri tre progetti si crearono intorno agli anni Quaranta. I progetti avevano l’approvazione e supporto pubblico almeno inizialmente. Nessuno si preoccupava della separazione abitativa tra bianchi e neri, sembrava che si preoccupassero piuttosto di ridurre il sovraffollamento. Nel 1942 si fece uno studio sulle case a basso costo di Miami, e un secondo studio venne realizzato un anno dopo. Nel 1948 il comitato per l’ampliamento della città di Miami e sgombero di quartieri poveri, pubblicò un rapporto sulle condizioni abitative di Coconut Grove e Overtown, rilevando i rischi per la salute pubblica dati dalle condizioni di vita di queste comunità. Sebbene quasi tutti concordassero sul fatto che i residenti neri di Miami vivevano in condizioni estreme, non erano d’accordo sul come risolvere il problema. Ai fini di liberare le aree etichettate come “quartieri poveri”, i residenti furono costretti a partire. Il basso tasso di proprietà in molte di queste aree sottometteva gli affittuari alla volontà dei padroni di casa, avendo come risultato uno spostamento di massa forzato. I progetti di ricollocazione erano anche pensati ai fini di mantener le rigide linee razziali di separazione. I limiti razziali erano segnati da ostacoli fisici, alcuni dei quali erano la linea della ferrovia o strade. Dove questi limiti non erano sufficienti per fermare l’espansione dei quartieri neri, lo zoning prevedeva un altro metodo. Il consiglio della città usava delle restrizioni per bloccare la costruzione di abitazioni per neri dove i terreni erano più desiderati o dove bianchi e neri avessero condiviso le abitazioni nella stessa strada. Il tema delle case popolari era controverso anche tra i partiti politici. Agli inizi degli anni Cinquanta, Miami era diventata il centro di dibattito nazionale per quanto riguardava l’espansione metropolitana e le politiche urbane. Miami aveva raggiunto i livelli di città come Columbia, Los Angeles, Houston, Boston, Pittsburgh che erano tra le città più grandi, ma che avevano il 50% della loro popolazione metropolitana dentro i limiti urbani. Il governo locale usò una combinazione di ordinanze di ricollocazione, sistemi di trasporti e piani per ristrutturare lo spazio urbano, mantenendo sempre e comunque le linee di separazione razziale. Alcuni argomentavano che sotto il principio della libera iniziativa, i residenti neri avrebbero potuto esercitare i loro poteri economici dove e come volevano. Contemporaneamente a questi dibattiti, la Camera di Commercio continuava attivamente la sua ricerca di nuove industrie. Vennero identificate varie zone industriali periferiche all’area metropolitana. La prima industria di abbigliamento della città e altri piccoli impianti manifatturieri erano raggruppati in un’area vicina al Centro Amministrativo e Overtown. Nel 1950 le industrie si erano spostate al margine nordoccidentale, vicino all’aeroporto internazionale. L’indirizzarsi verso una produzione a basso costo fece cercare affitti più economici e modi per pagare salari minori. Il numero di industrie triplicò tra il 1930 e il 1940. Quella dell’abbigliamento era la più facile da aprire, poiché lo spazio e l’attrezzatura potevano essere facilmente affittati. Un’immigrata del dopo guerra, Daisy Orvieto, rivoluzionò l’industria tessile, creando un metodo per cui l’abito poteva essere usato da entrambi i lati, facendo due vestiti in uno. Questo sistema ebbe un tempismo perfetto. Con l’ingresso degli Stati Uniti nella II guerra mondiale, il consumismo tipico americano veniva drasticamente ridimensionato. Agli inizi degli anni Cinquanta più di 200 manifatture di abbigliamento erano situate nella città. Miami vantava anche più di 150 fabbriche di mobili, case editrici, e una serie di industrie minori, diventando così il più importante centro manifatturiero dello stato. Chi lavorava negli stabilimenti d’abbigliamento di Miami rispecchiava i grandi cambiamenti nell’industria della moda del nord dell’America. Si cominciò a reclutare forza lavoro da Puerto Rico, con un salario più basso. Come i lavoratori messicani che entravano negli Stati Uniti sotto il Bracero Program, e i britannici, giamaicani, bahamiani, delle Barbados, Honduras, reclutati nel programma Emergency Farm, si moltiplicarono le iniziative statali che incoraggiavano gli imprenditori a prendere portoricani per riempire la domanda di lavoro durante la II Guerra Mondiale. A differenza degli altri migranti latinoamericani e caraibici, i portoricani erano cittadini statunitensi fin dal 1917. Migliaia di uomini portoricani erano assunti come lavoratori non specializzati in aree urbane come Boston o Chicago. Le donne lavoravano come domestiche, infermiere, cameriere e sarte. Anche alcuni imprenditori ricchi emigrarono, e per la fine della II Guerra Mondiale possedevano grandi quantità di terreno coltivabile nel sud della Florida e aprirono la Pan American Bank a Miami. Nel 1950 c’erano più di 200000 portoricani che abitavano negli Stati Uniti, paragonato alle poche migliaia del 1940. Gli sforzi di reclutamento vennero incentivati da un

96


nuovo programma chiamato Operación Manos a la Obra. Sotto il comando del governo portoricano, il programma mirava a modernizzare l’economia dell’isola attraverso l’industrializzazione. Si prevedeva l’esenzione dalle tasse per le nuove industrie, che venivano aiutate per ottenere prestiti. Le energie si concentrarono anche nell’ampliamento dei sistemi d trasporto, energia e di comunicazione ai fini di supportare questa nuova crescita industriale. I risultati di queste politiche furono due: un ampio numero d’industrie tessili si sviluppò subito lungo l’isola, quasi tutte di proprietà statunitense o europea; l’aumento del flusso migratorio dei portoricani verso gli Stati Uniti. Tra il 1945 e il 1953 quasi 40000 persone emigravano ogni anno, come risultato di queste politiche di cambiamento statali. Gli uomini portoricani lavoravano in industrie agricole mettendosi al centro della dicotomia razziale tra bianchi e neri. Man mano che diventavano più numerosi non era strano trovare aree segregate, divise in tre, sia nei teatri, bar, aree di ristoro nei campi di lavoro agricoli. Nelle aree urbane come Miami, le donne portoricane lavoravano nella crescente industria, specialmente nella produzione d’abbigliamento. Prima del 1970 l’etnicità non era registrata nei censimenti degli Stati Uniti, perciò il numero totale di portoricani nelle varie città è impreciso. La loro importanza nelle industrie di Miami è chiaramente testimoniata da giornalisti e imprenditori. I lavoratori agricoli, che erano la maggior parte uomini, passavano l’estate a lavorare nel nord-est, per poi spostarsi di nuovo al sud nell’inverno, raccogliendo fagioli, avocado, pomodoro, e lattuga. A Miami, l’atteggiamento positivo iniziale verso la comunità cominciò a cambiare drammaticamente. Alcuni sostenevano che il problema dei portoricani veniva dal grande numero di “braceros” (lavoratori) che, con poca educazione scolastica e costretti ad abitare in quartieri malfamati, parlavano poco l’inglese, e si chiudevano in gruppi che non ammettevano nessun esterno. Quando il numero di latini aumentò, molti si spostarono in aree che in precedenza erano aperte soltanto ai residenti neri, comprese Overtown e la vicina Wynwood. Il Miami Daily News annunciava la presenza di un quartiere malfamato portoricano a Miami, argomentando che le condizioni abitative erano peggiori che nel distretto per neri. Alcuni residenti bianchi non potevano capire perché i latini scegliessero di abitare a fianco a fianco con gli afroamericani. Altri lo vedevano come una sfida alle tese politiche residenziali di segregazione o come l’inizio di una nuova era interraziale. Le battaglie legali contro lo spostamento di famiglie di colore in quartieri in precedenza riservati ai bianchi diventarono ogni volta più frequenti. La città rispose costruendo vari muri in cemento che demarcavano la separazione tra bianchi e non bianchi di Miami. Ancora una volta la città pensava a una pianificazione urbana e alla possibilità di creare ulteriori città satelliti ai limiti esterni della città. Questa volta i rappresentanti neri di Miami rifiutarono la proposta. La rivolta arrivò veloce e violenta. Nel settembre del 1951 una bomba scoppiò a Carver Village, disegnata e costruita come una suddivisione nera. Gli imprenditori misero un gran muro intorno al progetto e poi costruirono un secondo gruppo di alloggi per la classe lavoratrice bianca, chiamato Knight’s Manor, il primo si riempì subito mentre il secondo rimase quasi per metà vuoto e quindi rinominato e offerto alle famiglie afroamericane ancora senza casa. I residenti bianchi che si erano spostati nel quartiere subito si organizzarono e presentarono il caso alla commissione della città, la quale si rifiutò di spostare i residenti neri. Due mesi dopo fecero esplodere negli appartamenti due scatole di dinamite di 100 libbre l’una. Il Ku Klux Klan continuò con i suoi attacchi: chiese, sinagoghe, scuole, e abitazioni dei neri furono colpite. La polizia chiuse il caso dicendo che i bombardamenti erano causati della comunità stessa per spingere l’odio razziale. La spinta per i diritti civili a Miami prese il via nell’immediato dopoguerra e fu aiutata dalla crescente diversità della popolazione della città. I latini cominciarono ad arrivare a Miami, attratti dai numerosi lavori industriali. L’espansione delle rotte di trasporto, commercio e i legami culturali erano fattori che favorivano lo spostamento. Centinaia di migliaia di latinoamericani visitavano la città ogni anno, ma arrivavano anche lavoratori portoricani; a causa di questi migranti e non, gli studiosi ignoravano la loro critica presenza nella città che si vendeva come il “centro dell’emisfero occidentale”. L’abitazione diventò un tema sensibile. Coprendo le loro azioni con il linguaggio dello sgombero dei quartieri malfamati, il consiglio della città e altri rappresentanti spingevano per radere al suolo grandi porzioni di quartieri neri della città. Al loro posto, una varietà di cittadine venne creata ai margini esterni della città. Il risultato di una serie di politiche di apartheid che separavano Miami in tre gruppi: bianchi, neri e latini. Mentre i residenti neri furono costretti ad andare nei crescenti progetti residenziali, sia pubblici sia privati, i portoricani entravano negli appartamenti e nelle case multifamiliari che si erano appena liberati. Come risultato non si ebbe lo spostamento dei bianchi alla periferia, ma una ristrutturazione economica di Miami e la forzata ricollocazione dei residenti neri.

97


Arrivo di rigugiati cubani, anni ‘60

98


1954 – 1963 Molti studiosi hanno enfatizzato la latinizzazione di Miami dopo gli anni Sessanta. Questa trasformazione cominciò approssimativamente due decenni prima come risultato del grande afflusso di turisti latinoamericani e delle trasformazioni industriali. A metà degli anni Cinquanta, funzionari locali stimarono che 46000 cubani, 30000 portoricani, 3500 colombiani, 2000 venezuelani, 1200 ecuadoriani, 800 messicani e altre 2000 persone dell’America centrale si stabilirono nella DadeCounty a Miami. Molti erano arrivati negli ultimi cinque anni. Un giornalista locale addirittura proclamò che Miami era diventata la città più bilingue del paese. I cartelli che segnalavano “se habla español” nelle vetrine di negozi e hotel, i segnali stradali in spagnolo e gli impiegati bilingue convinsero molti che ciò fosse vero. Per la prima volta in cinquant’anni, molti paesi latinoamericani, come Argentina, Brasile, Venezuela cominciarono a vietare la migrazione internazionale. In Ecuador il presidente populista José Maria Velasco Ibarra ancora una volta abolì la costituzione, costringendo all’esilio i molti sostenitori del governo precedente. I colombiani che si spostavano ormai da decenni verso Panama alla ricerca di lavoro, subito iniziarono a spostarsi più a nord. Il 10 marzo 1952 Fulgencio Batista, che abitava a Miami, tornò a Cuba e con un colpo di stato destituì il presidente Carlos Prìo Socarràs. Molti sostenitori di Batista ritornarono a Cuba con lui. L’opposizione, compreso il giovane Fidel Castro, si trasferisce negli Stati Uniti. Durante gli anni Cinquanta la migrazione aumentò rapidamente facendo diventare Miami un importante centro non solo per turisti ma anche per migranti. Miami ostentava un’alta percentuale di persone che palavano lo spagnolo, più di qualsiasi altra città degli Stati Uniti, compreso Los Angeles. Solo San Antonio, El Paso e Houston vantavano una percentuale maggiore. Ciò che faceva diversa Miami da queste città era che i latini provenivano per la maggior parte dai Caraibi. Dei 15000 impiegati degli hotel a Miami la metà erano portoricani e cubani che lavoravano nel nord-est durante la primavera e l’estate, e arrivavano a Miami per lavorare nell’alta stagione invernale. Esempi simili di movimento stagionale nord-sud si svilupparono anche nelle città manifatturiere. Club e bar latini spuntarono ben presto nella città. A Wynwood, l’Organizzazione Democratica Portoricana lavorava per migliorare le pubbliche relazioni e incoraggiare i migranti portoricani alla partecipazione al voto. I cubani americani vantavano una serie di organizzazioni, alcune vecchie quanto la prima ondata di rifugiati politici dopo la rivoluzione cubana del 1882. I locali che vendevano piccole tazzine di caffè forte e dolce si trovavano ovunque ad Overtown e a sud lungo la SW Eighth Street. La vista di uomini seduti uno a fianco l’altro su tavolino da gioco, intenti a giocare a domino fumando sigari era ormai parte del sapore di Downtown. Quando si cominciò a parlare di “preservare l’ordine pubblico” si capì che si parlava di mantenere la segregazione. Tra i primi cartelli pubblici scritti in spagnolo e in inglese, si trovano quelli che separavano i bagni nella stazione d’autobus di Miami. Alcuni gruppi di volontari che lavoravano nel CORE (Congress of Racial Equality) scoprirono che molti negozi lungo Flagler Street e a Miami Beach, nonostante i divieti, servivano volentieri sia clienti neri sia bianchi perché erano abituati ai turisti. Quelle distinzioni tra i privilegi offerti alle persone non bianche che parlavano inglese e spagnolo, portò una nota amara tra gli afroamericani, molti dei quali sentivano ancora una volta di essere in fondo a una tripla gerarchia dove le persone di lingua spagnola, indifferentemente dal colore della pelle, avevano un trattamento migliore rispetto ai cittadini neri di lingua inglese. Così mantenere l’ordine sociale era sinonimo di segregazione. Come disse uno studioso, la situazione a Miami sembrava peggiore rispetto ad altre città. Le industrie tessili dicevano di essere limitate solo dalla quantità di lavoro disponibile a Miami. Assicurarsi un lavoro in un’industria era spesso molto complicato. Come molte industrie, quella dell’abbigliamento badava soprattutto alle capacità e contava su una varietà di reti per reclutare lavoratori. Le industrie lavoravano a fianco a fianco con la città per aiutare nella formazione dei lavoratori, fondando un corso di cucito industriale presso la Technical High School di Miami e offrendo borse di studio agli studenti della Dade-County High School dell’Università di Miami che formava giovani alla carriera di modisti e designer. Il reclutamento informale di lavoratori era certamente importante: compagnie manifatturiere spesso assumeva membri di uno stesso nucleo familiare, così come amici o vicini di casa nella speranza di trovare così impiegati disposti a lavorare più ore e “costretti” a rimanere legati all’azienda per via dei legami personali. Per i nuovi arrivati trovare un mentore che fosse disposto a insegnare il lavoro e ad investire il suo tempo era molto difficile e richiedeva un grande impegno. Molti lavoratori di una stessa ditta abitavano uno vicino all’altro. Con l’aumento dei lavoratori di lingua spagnola nel mercato dell’abbigliamento della città, i sindacalisti cominciarono a riconoscere l’importanza del modello di Miami anche per le altre organizzazioni nel sud e nei Caraibi. Per alcuni anni i lavoratori ispanici avevano mantenuto incontri separati nella loro lingua, per aiutare a costruire fiducia tra lavoratori e i responsabili latini. In seguito questo tipo di incontri vennero cancellati del tutto perché non c’erano più leader di lingua spagnola. Gli afroamericani avevano incontri separati oppure erano esclusi da questi, ma per un motivo diverso: a loro

99


non era permesso di trovarsi con gli impiegati italiani o ebrei. Anche il codice sanitario dello stato della Florida imponeva che, nel caso fossero impiegate sia persone bianche che di colore, ci fossero attrezzature separate per razza e sesso, per l’acqua da bere e di servizio. Nel 1950 lo stato approvò un’altra legge che dava agli imprenditori la possibilità di rifiutare chiunque ritenessero “discutibile”. Nel 1954 la International Ladies Garment Workers Union (ILGWU) considerava la situazione di Miami imbarazzante. Costernato per i problemi che colpivano i cittadini, l’ufficio di New York decise di inviare due persone per aiutare. Le barriere linguistiche tra donne di lingua spagnola, nelle industrie di abbigliamento di Miami, e i loro datori di lavoro, furono abbattute con l’istituzione di corsi di lingua per i lavoratori. L’associazione lottava anche contro lo sfruttamento dei lavoratori portoricani da parte degli imprenditori locali. L’approccio dell’agenzia d’impiego Caribe Agency fu particolarmente subdolo. Il proprietario era William Campbell, e faceva pubblicità tramite radio e giornale per reclutare lavoratori portoricani per una serie di lavori in Italia, sia in ambito agricolo sia in campo tessile. In cambio della promessa di lavoro e libero passaggio negli Stati Uniti, molti uomini e donne erano disposti a spostarsi. Agenti della compagnia incontravano le donne all’aeroporto, meno controllato rispetto al porto, e le portavano in un albergo, dove erano rinchiuse e da dove potevano usciere solo per andare al lavoro, sotto la rigida sorveglianza di uomini armati. In due occasioni, nella primavera del 1954, rappresentanti dell’ILGWU salvarono alcune donne portoricane sottoposte a queste condizioni. Solo quando l’associazione inviò un avvocato all’albergo e cercò di fare causa alla Caribe Agency, questa rilasciò i beni che le donne avevano portato con loro. Anche se il caso della Caribe Agency fu estremo e terrificante, molti lavoratori latini erano vulnerabili in diverse maniere. Alcuni datori di lavoro cominciarono ad assumere solo persone che parlavano lo spagnolo in modo di inserirle come principianti a prescindere dall’esperienza lavorativa precedente. Le associazioni promettevano di migliorare le condizioni di lavoro, e anche di ridurre le ore lavorative settimanali portandole da quaranta a trentacinque ore la settimana. L’incoraggiamento alla cooperazione tra i diversi interessi di Miami non era sempre facile. Nel 1955 i lavoratori cominciarono a fare pressioni sull’Associazione della Moda di Miami richiedendo l’adesione alle nuove regole e minacciando scioperi nel caso contrario. Un imprenditore dichiarò che se l’associazione lo avesse costretto a cedere avrebbe semplicemente spostato le sue manifatture nei Caraibi. Anche se la comunità portoricana era il gruppo latinoamericano con più la crescita più rapida a Miami, il numero di nuovi immigranti cubani aumentò con la Rivoluzione Cubana del’1 gennaio 1959. In poco più di due anni, circa 248070 cubani entrarono negli Stati Uniti. I primi a lasciare l’isola furono quelli legati al governo di Batista: politici, militari e funzionari. Questa fu l’immigrazione più grande della storia di Miami. L’afflusso di massa di rifugiati cubani arrivò nel peggior momento per gli attivisti dei diritti civili di Miami, e catturò l’attenzione della stampa e dei politici. Il continuo afflusso di cubani, molti senza risparmi e senza lavoro, spinse i servizi locali e gruppi di assistenza al limite. Nel dicembre del 1960 il governo americano investì un milione di dollari, sotto pressione del presidente John F. Kennedy, per stabilire il Centro di Emergenza dei Rifugiati Cubani a Miami. Uno dei suoi primi atti come presidente fu di costituire un programma diviso in salute, educazione, assistenza, con un ulteriore fondo di quattro milioni di dollari. Questi gruppi aiutavano nella ricerca della casa, del lavoro e provvedevano al cibo e all’assistenza medica per i bisognosi. Si prendevano cura anche dei bambini soli, più di 8600, che erano stati inviati dai genitori, che li avrebbero raggiunti in seguito, bloccati dall’annullamento dei voli diretti da Cuba. L’esodo cubano fece storia in due modi: il primo perché venne affrontato diversamente, anche in seguito all’esito negativo delle esperienze con i campi per rifugiati ungheresi del 1950; e il secondo perché gli immigrati cubani si identificarono subito come esiliati, pensando di poter ritornare sull’isola appena Castro fosse stato rimosso dal potere. Questo fece lavorare il governo a fianco a fianco con le associazioni. Questo marcò anche la più grande immigrazione di massa degli Stati Uniti in cinquant’anni, e la più grande della storia di Miami. Le scuole di Miami cominciarono a offrire corsi di lingua spagnola agli imprenditori locali e ai loro impiegati, compresa la Pan American Airways, Sears Roebuck, Southern Bell Telephone. Con più di 100000 latinoamericani abitanti nella città, e molti altri turisti e residenti, lo spagnolo diventò necessità una sempre maggiore in molti settori terziari. Pochi cubani vedevano somiglianze tra la propria situazione e quella degli immigrati europei d’inizio secolo. Non importava quale definizioni legali il governo assegnasse loro; i cubani si identificavano come esiliati politici, e vedevano il loro soggiorno negli Stati Uniti come temporaneo. La breve distanza, novantotto miglia, tra Cuba e Miami, portava un duplice beneficio: il clima della città, lo stile delle case e il crescente numero di compaesani, faceva sentire i cubani a casa; e il viaggio di ritorno sarebbe stato breve, una volta rimosso Castro. I residenti di Miami si rendevano conto che i cubani si vedevano come turisti: molti pensavano che questo avrebbe evitato problemi e incoraggiato i cubani a comportarsi come ospiti in casa altrui. Veniva fornito aiuto perché la permanenza era considerata temporanea: una volta diventata permanente le cose sarebbero cambiate. Tra l’incidente della Baia dei Porci, nell’aprile 1961 e la Crisi Cubana dei Missili dell’ottobre del 1962, diventò presto chiaro

100


che un ritorno imminente a Cuba non sarebbe stato possibile. La Crisi Cubana dei Missili segnò la fine dei voli commerciali diretti tra gli Stati Uniti e Cuba e la sospensione dell’afflusso di rifugiati. Con la possibilità di un imminente ritorno, ogni volta più lontano, molte associazioni umanitarie, datori di lavoro, politici e gli stessi cubani cominciarono a modificare le loro strategie. Così come i turisti antillani ed ebrei della generazione precedente, era chiaro che i cubani erano diventati la nuova classe di ospiti permanenti di Miami. Il 14 ottobre 1960, un giudice decise che la città doveva abolire la segregazione razziale nelle attrezzature pubbliche di ricreazione. Studenti di colore erano ammessi a tutte le scuole pubbliche dei bianchi e a quelle cattoliche della città. Nel 1962 quasi 1000 bambini di colore erano iscritti alle scuole in precedenza riservate ai bianchi. Gli attivisti per i diritti civili riuscirono ad abolire la segregazione nei ristoranti e fondarono una sede per la registrazione degli elettori alla quale aderirono 5000 nuovi neri. Nei giornali locali la cronaca sui diritti civili condivideva spazio con il continuo esodo cubano. I giornali erano pieni di richieste di donne cubane per lavorare come domestiche o bambinaie. I cubani per la maggior parte rifiutavano questi lavori, e la ragione era che anche loro avevano le loro famiglie e non potevano abbandonarle per lavorare come governanti. Molti esiliati presero lavori molto diversi da quelli che avevano svolto prima, gli uomini che avevano lavorato come insegnanti, avvocati, e medici a Cuba, venivano impiegati come tassisti, custodi, magazzinieri, manutentori e molti altri lavori con salari bassi. Il predominio del turismo e dell’industria leggera a Miami aprì un gran numero di opportunità alle donne, coloro che prima non avevano mai lavorato, diventarono il sostegno principale della famiglia. Molti imprenditori assunsero più cubane che potessero reclutare. Mentre prima la percentuale di lavoratori cubani era del 50 - 60%, ora era del 90%. Mentre prima si cercava una forza lavoro specializzata, nel 1962 si cercavano persone senza esperienza in modo di inserirle come principianti e pagarli una frazione di ciò che altri lavoratori facevano per la stessa quantità e tipo di lavoro. Ovviamente il lungo praticantato dentro le industrie lasciò dei dubbi tra le associazioni, causando proteste. I proprietari si difesero dicendo che gli indumenti ora erano montati a pezzi e non interi, quindi il lavoro era meno specializzato. Il concetto di lavoro specializzato fu rivalutato in termini di sesso ed etnicità. Cominciarono ad arrivare obiezioni riguardo allo sforzo dello stato e della città nel trovare lavoro a questi immigranti, mentre molti afroamericani e portoricani erano disoccupati. La causa era che i cubani percepivano stipendi più bassi. A Miami, l’opportunità per incrociare alleanze etniche e ampliare la base dei diritti deragliò quando cominciò a prendere impulso. La migrazione cubana a Miami era imparagonabile. In termini demografici, fu l’afflusso più grande di stranieri nella storia della città. La mobilitazione per supportare questi nuovi arrivati fu unica. Tuttavia non furono gli emigrati cubani che minarono i diritti civili a Miami, bensì gli imprenditori e politici che sfruttarono la vulnerabilità della popolazione. Così come i decenni della segregazione furono smantellati nelle città del sud, era chiaro che la stessa trasformazione sarebbe arrivata presto a Miami. L’intervento del governo giocò un ruolo importantissimo. La risposta nazionale ai bisogni dei migranti cubani fu veloce e vasta. Arrivando al periodo della guerra fredda, le loro condizioni difficili furono subito trattate come tema di politica internazionale e sicurezza nazionale. Così fu il sostegno del governo sotto forma di programmi scolastici, un aiuto finanziario mai offerto prima a un gruppo immigrante, in modo che potesse adattarsi il più velocemente possibile. Questo aiuto statale, più di ogni altro fattore, rese l’inserimento cubano del 1959 diverso da quello antillano, ebreo o qualsiasi altro. “Latino” diventò sinonimo di “cubano” e i nativi americani diventarono “anglos”, creando differenze dentro i due gruppi incrementando le diversità etniche. La frase “Voglio vivere negli Stati Uniti, non ad Avana” diventò frequente tra i residenti bianchi a metà degli anni Sessanta. Un’indagine stimava che 123000 persone si spostavano verso l’area metropolitana di Miami, per ogni 244000 nuovi arrivati. Alcuni dicevano che era una “invasione cubana” riferito alla grande quantità di negozi e attività latine che si sviluppavano sull’ottava strada (SW Eigth street), poi trasformata in Calle Ocho. Furono chiari i segni che avrebbe lasciato la migrazione cubana.

1964 – 1974 Una seconda ondata d’immigranti, spesso scuri di pelle e dai capelli ricci, lasciò Cuba per andare a Miami dove c’era una comunità sempre più in crescita. Ma i livelli sociali, le professioni e la demografia di questa comunità erano molto diversi da quelli dell’isola. Gli afro-cubani erano in minoranza rispetto a Cuba, e anche se la proporzione d’immigrati provenienti da Cuba che occupavano lavori di servizio era ogni volta maggiore, questo sviluppo era sempre nuovo. Ciò che sorprese i nuovi arrivati fu l’ostilità trovata a Miami. Al tempo c’erano divisioni per razza, classe e provenienza; per la prima volta Miami era una città d’immigrati, molti dei quali erano dei Caraibi e Latino Americani. Gli afro-cubani erano il centro di una crescente diatriba tra avvocati dell’immigrazione e attivisti dei diritti civili.

101


Gli avvocati dei diritti civili e dell’immigrazione non sono sempre stati in disaccordo tra loro. Tuttavia c’erano persone che continuavano a opporsi a una politica di porte aperte all’immigrazione, il NAACP (National Association for the Advancement of Colored People) era uno dei maggiori sostenitori delle frontiere aperte, dovuto al gran numero di antillani tra i membri. I cittadini di Trinidad e Giamaica e altre colonie antillane, molti dei quali di colore, avevano libero accesso agli Stati Uniti. Con l’approvazione di una legge che bloccasse il passaggio, l’immigrazione nera si sarebbe ridotta del 90%. Notando che le restrizioni dell’immigrazione federale avevano significanti implicazioni razziali, il punto di vista di organizzazioni con la NAACP, diritti civili e diritti dell’immigrazione s’intrecciavano. A metà degli anni Sessanta questi legami cominciarono a sciogliersi. La preoccupazione era che i rifugiati cubani stavano occupando i lavori degli afroamericani facendo crescere il vuoto tra classe operaia e ceto medio nero. In Florida, la NAACP si unì agli attivisti per i diritti civili filippini e all’AFL - CIO (American Federation of Labor – Congress of Industrial Organizations) per porre fine ai Programmi Bracero e Antillani. Quando finalmente gli Stati Uniti abolirono i programmi, la NAACP della Florida vantò il fatto come una delle loro vittorie più importanti. La Florida era sul punto di diventare un modello nazionale di opportunità economiche nere. Il turismo dello stato e le industrie dell’intrattenimento pubblicizzavano una terra d’incontro dei diritti civili. Nello stesso periodo, nessun altro stato sperimentò l’immigrazione nella scala in cui lo fece la Florida. Mai, nella storia degli Stati Uniti, l’immigrazione ebbe tanta forza da mobilitare il governo per aiutare un singolo gruppo di nuovi arrivati. Nell’agosto del 1965 la città di Miami programmò una nuova estensione della strada interstatale NS Ninetyfifth Street. I piani per l’estensione dell’autostrada erano in corso dal periodo della II guerra mondiale. Inizialmente la rotta proposta era seguire il percorso della Florida East Coast Railway, il che avrebbe mantenuto i quartieri preesistenti di Miami intatti. Gli avvocati per lo sgombero dei quartieri poveri erano contrari; così la città approvò un piano proposto dalla Florida State Road Department reindirizzando la nuova autostrada direttamente attraverso il cuore dell’Overtown. Si sosteneva che questo cambiamento era necessario per dare spazio a una crescita futura. In una delle ricollocazioni forzate del 1930 e 1940 i residenti che abitavano sul percorso pianificato per l’autostrada furono avvisati poco tempo prima, per cui ci furono anche poche alternative dove andare. Il governo aprì un ufficio per le opportunità economiche a Miami per aiutare gli sfrattati, ma quell’aiuto era troppo poco e arrivava troppo tardi. Molti afroamericani erano molto arrabbiati riguardo al potere che i bianchi continuavano ad avere sullo sviluppo urbano e alla facilità con la quale spostavano i residenti neri. Le richieste di un cambiamento diventarono più militanti. Nel 1965 i lavoratori afroamericani responsabili della spazzatura fecero il primo di molti scioperi in città, che andavano dalle industrie a portinai, domestiche e personale dei ristoranti, il cui lavoro era imprescindibile per mantenere la buona immagine di Miami per i turisti, anche se questa importanza non si rispecchiava nei loro salari. I Dipartimenti del Lavoro Pubblico trovarono subito dei lavoratori sostitutivi, cercando tra i disoccupati in tutta la città. La polizia armata vigilava questi nuovi posti di lavoro dalle rappresaglie da parte dei manifestanti. In seguito l’uragano Betsy distrusse Miami. Una tempesta di categoria tre, con venti sopra le 130 miglia orarie che rimase tra gli uragani più potenti che abbia mai colpito la città. Senza lavoratori che aiutassero a ripulire i danni della tempesta, i sindaci di Miami e Miami Beach dichiararono lo “Stato di emergenza”. Il giorno dopo Fidel Castro aprì le porte a tutti i cubani che volevano lasciare l’isola e che avevano parenti negli Stati Uniti. Ancora una volta, una delle più grandi dimostrazioni dei diritti civili coincise con un afflusso massiccio di nuovi immigrati. Migliaia di cubani residenti a Miami arrivarono agli uffici del Ministero degli Interni di Cuba, richiedendo dei visti per i loro famigliari. Molti cubani agirono da soli prendendo qualsiasi tipo d’imbarcazione con lo scopo di portare i membri della famiglia fuori da Cuba, verso gli Stati Uniti. Grazie alla pressione pubblica e alla paura che la nuova ondata migratoria potesse occupare i loro posti di lavoro, gli addetti alla pulizia, ritornarono a lavorare. La nuova legge sull’immigrazione stabilì un sistema a sette livelli di preferenza per determinare l’ammissione negli Stati Uniti. La professione e specializzazione era il primo criterio. Professionisti, scientifici e artisti avevano anche la precedenza. Si dava vantaggio anche ai parenti, bambini e mogli di immigrati già residenti negli Stati Uniti. I rifugiati politici erano in fondo alla lista di preferenze. La paura più grande per i residenti era che i nuovi immigranti potessero sostituire gli afroamericani in lavori come camerieri, portinai e domestiche. Dai 50000 rifugiati previsti, la metà sarebbero state donne, le quali ovviamente avrebbero occupato il mercato tessile. Tuttavia gli immigranti cubani erano euforici. Migliaia di persone lavoravano per portare amici e parenti da Cuba nonostante il processo fosse molto difficile. I cubani residenti degli Stati Uniti prima dovevano contattare il Centro per Rifugiati Cubani a Miami e compilare una richiesta; il personale confrontava queste richieste con le liste di cubani che avevano richiesto visti di uscita ed erano stati approvate dal governo cubano. Se i nomi coincidevano, l’ufficio di Miami informava i migranti cubani che i loro familiari erano stati accettati per l’immigrazione. La radio in lingua spagnola leggeva i nomi degli immigranti imbarcati verso Miami ogni giorno. Le liste venivano anche pubblicate quotidianamente sui giornali.

102


Il numero d’immigrati arrivò a 4000 persone per mese. Sin dalla I guerra mondiale, le politiche d’immigrazione ponevano l’accento sulla necessità di riposizionare gli immigranti in diverse aree, in modo da facilitare l’integrazione. Tra il 1959 e il 1965 il Centro di Rifugiati Cubani ricollocò circa 200000 cubani in aree fuori Miami, come New York, New Jersey, Puerto Rico, California, Illinois, Massachusetts, Texas, Pennsylvania, Louisiana, Ohio, Maryland; ma dopo il 1965 migliaia di cubani cominciarono a ritornare a Miami. Nonostante i cubani fossero in prima pagina, non erano gli unici stranieri a cercare rifugio a Miami. Nell’aprile del 1965 si organizzava un colpo di Stato nella Repubblica Dominicana da parte dei gruppi che volevano al potere il presidente Juan Bosch. Il governo americano intervenne subito inviando delle truppe, per evitare un’altra faccenda uguale a quella di Castro. I dominicani cominciarono a lasciare l’isola cercando rifugio negli Stati Uniti, arrivando a 18000 persone ogni mese. Nel 1964 molti haitiani fuggirono dalla loro nazione dopo che François “Papa Doc” Duvalier si dichiarò “Presidente a Vita”. Come a Cuba, i primi ad uscire furono i politici dell’opposizione, ma le estreme condizioni economiche dell’isola, che non dava segni di miglioramento, spinse le persone a cercare opportunità migliori. L’età media di vita per gli haitiani era di 32 anni, la più bassa di ogni altra nazione dell’emisfero occidentale. Circa l’80% della popolazione era analfabeta; la densità era di 415 persone per miglio quadrato, la più alta in America Latina. A Dicembre del 1965 uno dei primi gruppi rifugiati arrivò a Pompano Beach, appena a nord di Miami. Per tutte queste ragioni il 1965 fu un anno cruciale. A dicembre sembrava che le comunità etniche di Miami fossero divise in due gruppi: da un lato c’erano quelli che lottavano per la parità dei diritti economici per tutti i cittadini statunitensi, e dall’altro c’erano quelli che discutevano per il diritto degli stranieri di avere delle opportunità. Nel frattempo gli attivisti continuavano a raggiungere importanti obiettivi. La NAACP della Florida lanciò una campagna per migliori opportunità lavorative, sottolineando la necessità di aumentare il lavoro in aree dove gli afroamericani prima erano stati esclusi. Per la prima volta un afroamericano era nominato come coordinatore del Metropolitan Dade-County. Questo fu il posto più alto mai occupato da una persona nera dentro il governo metropolitano di Miami. A differenza delle città nordiche, dove il periodo del dopoguerra creò un grande ghetto nero, le nuove politiche urbane di Miami cercarono di distribuire la comunità nera della città, spargendola lungo l’area metropolitana. Lo sgombero dei quartieri poveri continuava a corrodere le basi degli afroamericani in città, rovinando quartieri e spostando i residenti neri ogni volta più lontano l’uno dall’altro. Ogni volta diventavano meno tolleranti verso le politiche d’immigrazione. Si diceva che se la stessa quantità di denaro investita per i rifugiati cubani fosse stata data alla comunità nera, non ci sarebbero stati problemi per i residenti neri di Miami. Nel 1967 era chiaro che i cubani stavano emergendo nelle attività di abbigliamento, non solo come lavoratori, ma anche come proprietari, perché spesso il lavoro nell’industria era fatto di nascosto. Anche i portoricani, come gli afroamericani, credevano che i cittadini statunitensi dovessero essere tutelati con protezioni base e diritti economici, a differenza di ciò che realmente accadeva. Fu un momento critico quando la SEIU (Service Employees International Union) fondò e organizzò una campagna a Miami. Nel 1921 integrarono nell’associazione lavavetri, domestiche, e ogni tipo di lavoro di servizio, sia che fossero donne o uomini. Loro sostenevano che i portinai non erano importanti solo per i datori di lavoro ma anche per la salute e la sicurezza pubblica. Così la SEIU mise in legame bidelli, impiegati ai servizi pubblici e le agenzie di servizi sociali. Quando molte associazioni di lavoratori si scioglievano, la SEIU era completamente integrata; nel 1961 fu una delle prime associazioni ad organizzare e tramandare la propria Commissione dei Diritti Civili. Si spinse oltre, stringendo legami tra cubani, afroamericani e antillani. Un metodo era di stabilire un salario minimo, e l’altro era di unire gli immigranti cubani che accettavano lavori di servizio per la città, anziché permettere ai datori di lavoro di mettere in conflitto i lavoratori di diverse etnie. In molti casi i datori di lavoro minacciavano i lavoratori afroamericani e portoricani dicendo che i loro lavori sarebbero stati dati agli stranieri se loro si organizzavano in associazioni o chiedevano uno stipendio più alto. Le stesse tecniche erano usate con i cubani, dicendo che i loro lavori sarebbero andati agli americani. Le associazioni incoraggiavano le varie etnie a lavorare insieme per un stesso obiettivo, stipendio più alto in base all’esperienza, meno ore di lavoro, e migliori condizioni lavorative; questi sforzi coincisero con una lotta attivista sul lavoro tra i lavoratori neri nella città. Nel 1967 i bidelli della Greyhound Lines, la compagnia di autobus interstatale, scioperarono; anche gli spazzini e i conduttori di autobus della città scesero per le strade. Ciò che iniziò come una manifestazione pacifica, deteriorò in una rivolta. I manifestanti non cercavano di provocare l’azione della polizia. Gli studiosi locali conclusero che si era rispecchiata una frustrazione locale, perdite di lavoro, sgomberi forzati e l’accumulazione di ingiustizie. Nel 1970 più del 50% dei nuovi immigranti arrivati a Miami apparteneva alla classe lavoratrice, paragonato a meno del 5% di un decennio prima. Gli uomini in età militare erano spesso trattenuti a Cuba, perciò la proporzione di donne e vecchi tra i nuovi immigranti cubani incrementava. Anche quando finirono i “voli della libertà” nel 1973 i cubani che erano stati ricollocati

103


altrove negli Stati Uniti, tornarono a Miami. Il 40% dei residenti di Miami era straniero, paragonato al 12% del 1960. Questo incremento massiccio di immigrazione fece di Miami un caso a parte rispetto a tutte le altre metropoli degli Stati Uniti. Non era solo la scala, ma era la forma in cui queste nuove ondate migratorie trasformavano ed erano trasformate da Miami che la facevano unica. Anche se nei primi periodi una vastità di immigranti poliglotta fece di Miami la sua casa, questa diventò una città Caraibica americana. I messicani americani, che costituivano il secondo gruppo etnico più grande negli Stati Uniti, formava solo una piccola parte dei latini di Miami. Cubani, dominicani, haitiani, e antillani comprendevano più dei tre quarti della popolazione straniera della città. Un altro 15% era costituito dagli ebrei e per la prima volta in molte decadi, il numero di residenti neri aumentò. Ora non era più solo una città d’immigranti, ma era una città dove latini e afroamericani superavano in numero gli anglo. Con l’abolizione della segregazione molti anglo sentivano di aver perso protezione e vantaggi nella gerarchia sociale, così si spostarono a nord, in altre città della Florida e in altri stati vicini. Nella generazione predente furono gli ebrei a spostarsi dai margini socio-economici di Miami verso il centro, e nel 1970 i cubani sorpassarono ogni altro modello. L’insieme del supporto dello stato, dei forti legami di Miami con i Caraibi e dell’educazione alla quale molti cubani avevano avuto accesso prima di spostarsi negli Stati Uniti, aiutarono alla fattibilità della trasformazione. La metà degli immigranti cubani aveva lavori professionali a Cuba, ma solo il 13% riusciva a trovare lavori simili negli Stati Uniti. Anche le rappresentazioni politiche fecero un passo avanti. Nel 1973 Miami elesse il primo sindaco latino, un portoricano di nome Maurice Ferré, un discendente da una delle più vecchie famiglie portoricane del sud della Florida. Tuttavia gli afroamericani continuavano a lottare; la disoccupazione per i residenti neri di Miami arrivava al 10,2% paragonato al 5,8% dei residenti bianchi e 6,2% dei latini. Così come Miami si trasformava in una città internazionale, molti si meravigliarono della persistenza del razzismo verso gli afroamericani in una città dove i residenti anglo stavano diventando una minoranza. Gli afrocubani sperimentarono questa discriminazione, ma quelli di lingua spagnola avevano un trattamento migliore rispetto a quelli di lingua inglese. Così sempre meno afrocubani sceglievano di insediarsi a Miami. Solo il 55% dei cubani s’identificava come afrocubano o di razza mista. Tra i lavoratori di servizio, le donne comprendevano il 60% della forza lavoro della città, la maggior parte erano nere o latine; erano molto vulnerabili per gli stessi motivi di sfruttamento usati per dividere i lavoratori etnicamente diversi. Quando i “voli per la libertà” finirono nel 1973 molti degli imprenditori di Miami si lamentarono della scarsità di operai. La nuova ondata d’immigranti diede una risposta: “Grazie a Dio per i nicaraguensi e per i Centro Americani”. A Miami era garantito il salario minimo in 2,60 dollari per ora, mentre nei paesi Latino Americani e Caraibici era di 20 centesimi. A differenza della manifattura, le industrie di servizio rimasero ferme. Era qui che le unioni di lavoratori si resero conto di dover unire le loro energie per costruire nuove alleanze. Le agenzie d’impiego e le organizzazioni degli operai diventarono il nuovo centro dell’attivismo della comunità nei decenni successivi.

104


Rifugiati haitiani

105


1975 – 2000 Nel 1971, dopo la morte del padre, Jean-Claude Duvalier prese il potere di Haiti, ma le condizioni economiche dell’isola peggiorarono e l’insoddisfazione riguardo al suo mandato crebbe ogni volta di più. Rapimenti, maltrattamenti e arresti verso i non fedeli, diventarono comuni nel 1980. Gli stupri contro le donne erano una forma per punire o intimidire le loro famiglie; tutte queste torture segnarono la comunità, ragione per cui molti decisero di andarsene. Centinaia di persone viaggiarono su di una barca a vela di 8 metri lungo le coste dell’Atlantico. Questo viaggio illegale costava grandi somme di denaro agli haitiani, cui veniva assicurato che il viaggio sarebbe durato solo due giorni, ma spesso non era così, le persone erano assetate, affamate, esposte al caldo del sole dal quale non si poteva fuggire e di sera si potevano vedere gli squali circondare l’imbarcazione. Si stimava che 50000 persone arrivarono negli Stati Uniti nelle stesse condizioni del 1972. Dal 1980 le imbarcazioni degli haitiani sbarcavano quasi tutti i giorni sulle coste del sud della Florida. Solo una piccola percentuale viaggiava in aereo perché era più costoso e quasi certamente era catturata dalle autorità. Anche se gli haitiani facevano solo il 2% del totale degli immigranti degli Stati Uniti, furono il centro di una serie di nuove politiche create per limitare i viaggi illegali. Nel 1981 il presidente Ronald Reagan approvò una serie di leggi che autorizzavano la Guardia Costiera a intercettare le imbarcazioni che portavano haitiani, senza l’autorizzazione ad ascoltare ogni caso. Molti, dopo essere arrivati a terra, venivano portati in carcere dove le condizioni di vita umana erano pessime tanto da far conoscere i casi alle associazioni per i diritti umani. Nel 1975, l’immigrazione verso gli Stati Uniti aumentò molto, grazie in gran parte alla revoca delle quote nazionali. A Miami non fu l’immigrazione volontaria la più importante o la più controversa, ma quella di persone e famiglie che chiedevano asilo politico. Dopo che le truppe statunitensi si ritirarono dal Vietnam, il Congresso degli Stati Uniti approvò nel 1966 un nuovo atto per gli immigrati dell’Indocina e l’assistenza per i rifugiati cubani, la normativa diede un aiuto economico sottoforma di prestiti statali e sussidi. Il governo aprì un nuovo campo per rifugiati alla base aerea Eglin in Florida. Ancora una volta sembrava che la Florida stesse diventando una delle più grandi mete di migrazione nel paese. Nel frattempo a poco più di 600 miglia della costa, si stava evolvendo una nuova crisi. A differenza di Cuba, Vietnam o l’Unione Sovietica, gli Stati Uniti erano alleanza amichevole con il regime del presidente Jean-Claude Duvalier. Dichiaravano che ogni eccezione alle regole poteva produrre un’inondazione di rifugiati economici da tutti i paesi dei Caraibi. Quando i primi haitiani cominciarono ad arrivare senza documenti nel 1976, tutti quelli che non erano stati incarcerati, erano detenuti in attesa di espulsione. Le organizzazioni dicevano che gli haitiani dovevano essere liberati senza vincoli e doveva esser loro concesso il diritto di lavorare negli Stati Uniti finché le loro petizioni non fossero ascoltate. Il caso fu portato davanti alla Corte Suprema nel 1977. Quando lo stato della Florida annunciò pubblicamente il rilascio delle autorizzazioni al lavoro, trascurarono di specificare che solo gli haitiani che avevano in sospeso casi di asilo avevano diritto ai permessi. Così 3000 haitiani arrivati illegalmente si fecero avanti. Lo stato revocò del tutto le autorizzazioni di lavoro, arrestando e deportando tutti quelli che si fecero avanti, solo il 1% delle richieste di asilo furono accettate e almeno 600 persone furono deportate nonostante la loro documentarono il loro terrore di persecuzione nella loro patria. Gli 8000 richiedenti che arrivarono da Haiti illegalmente nel 1979 costituivano un numero molto minore alle centinaia di migliaia di cubani che arrivarono senza autorizzazione negli anni precedenti. Era anche minore, paragonato al crescente numero d’immigranti indocinesi, nicaraguensi, salvadoregni che fuggirono dalle rivoluzioni comuniste e dal socialismo. Gli haitiani erano trattati con un altro standard rispetto a qualsiasi altro gruppo. Quello che era chiamato “Programma haitiano” adottava intercettazioni, detenzioni e deportazioni, ragione per cui si distingueva da tutti gli altri gruppi. Il caso degli immigranti haitiani rinvigorì una moltitudine di attivisti sull’immigrazione e sui diritti civili a Miami. A marzo del 1980 si approvò una legge nella quale il concetto di “rifugiato” includeva tutti quelli che avessero una ben fondata paura di persecuzione dovuta alla razza, religione, nazionalità, appartenenza a un gruppo sociale od opinione politica nella loro patria; e inoltre si duplicarono le ammissioni annuali di rifugiati. Poche settimane dopo, la nuova legge fu messa alla prova. Il 14 aprile 1980, 10000 cubani raggiunsero l’Ambasciata Peruviana all’Avana chiedendo asilo. Sei giorni dopo Fidel Castro aprì le porte, ancora una volta, a tutti i cubani che volevano lasciare l’isola. Questa volta Castro svuotò i carceri e ospedali psichiatrici di Cuba e li mise su navi dirette agli Stati Uniti. Gli studiosi stimano che più del 70% degli immigranti che entrarono negli Stati Uniti provenienti da Cuba nel 1980, erano criminali. Castro rinforzò la visione negativa dei “Marielitos” nome derivante da Porto Mariel, punto da dove partirono, dichiarando nel suo discorso che “la feccia del paese, gli antisociali, gli omosessuali e i drogati erano liberi di lasciare Cuba se qualsiasi altra nazione fosse stata disposta ad accoglierli”. Il discorso fu trasmesso nelle radio in lingua spagnola a Miami e su tutta Cuba. Quando le ondate di rifugiati cominciarono ad arrivare, il governatore della Florida dichiarò lo stato di emergenza. In un mese, altri 51000

106


cubani arrivarono a Miami. I cubani residenti a Miami e i gruppi di esiliati come la Giunta Patriottica Cubana donarono cibo, vestiti, pannolini e soldi per i nuovi arrivati. I mass media locali istallarono centralini telefonici per rispondere a domande e aiutare i nuovi arrivati. La chiara differenza restava su come immigranti haitiani e cubani venivano accolti, incrementando l’amarezza di molti residenti neri che vedevano il trattamento degli haitiani come un prolungamento del razzismo che loro avevano sperimentato per così tanto tempo. Solo nell’ottobre 1980 la Corte dello Stato restituì i diritti agli immigranti haitiani per lavorare in Florida. Era chiaro che qualcosa doveva cambiare. Gli attivisti dei diritti civili erano discordi e le alleanze con i sostenitori dell’immigrazione e le organizzazioni di lavoro erano ancora deboli. La recessione economica stava stringendo la nazione e ancora una volta gli afroamericani erano tra i più colpiti. A Miami, le condizioni per i residenti neri e latini peggiorarono, andando sotto la media nazionale. Il 40% dei residenti dichiarava redditi annui che andavano al di sotto del livello di povertà nazionale. Mentre a livello nazionale il 34% degli afroamericani e il 26% dei latini viveva in povertà, a Miami le disparità tra i gruppi etnici erano ben più drammatiche. Circa la metà dei residenti neri e latini vivevano sotto le soglie di povertà. Questo faceva di Miami la sesta grande città più povera degli Stati Uniti. Gli afroamericani e bahamiani che crebbero a Miami ricordavano la forza economica della quale la comunità nera della città avesse goduto due generazioni prima, quando era sorta Overtown nel 1940. Il PUSH (People United to Serve Humanity) promosse l’aiuto per i latini e per i neri, in modo di raggiungere la parità socio-economica, appellandosi a ciò che Jeasse Jackson chiamava “La Coalizione Arcobaleno degli svantaggiati e rifugiati di tutte le razze e religioni”. Il governo di Reagan promosse un controllo più severo dell’immigrazione illegale, diminuendo le quote annuali di immigranti; si prevedevano sanzioni per chi assumeva immigrati senza documenti e penalità più severe per chi violava la legge sull’immigrazione vigente. La Coalizione di Emergenza Nazionale per i Rifugiati Haitiani e i sostenitori dei diritti degli afroamericani si unirono ai latini ed agli asiatici, ad associazioni di lavoro e ad una serie di organizzazioni religiose e dei diritti umani, per opporsi alle proposte dell’amministrazione Reagan. Il lavoro rimaneva un punto cruciale. I latini, soprattutto i messicano-americani si opponevano alle sanzioni per paura che questa diventasse discriminazione verso i lavoratori di lingua spagnola. Molti cubani in un sondaggio dichiararono che c’erano troppi cubanoamericani nella Dade-County; anche gli afroamericani, come i cittadini americani e portoricani, credevano che le sanzioni gli avrebbero lasciato un po’ di spazio sul mercato del lavoro. Le relazioni internazionali continuarono a essere divise, gli afroamericani si sentivano ignorati del tutto. Nel 1987 il censimento nazionale stimava che vivessero quasi 60000 haitiani nella Dade-County, paragonato a solo 1000 del decennio recedente. Alcuni nuovi arrivati s’insediarono a Opa-locka, a Homestead, a Florida City e a Miami Gardens. Questi quartieri erano per la maggior parte della classe media afroamericana, a nord, ovest e sud della città. Gli haitiani trasformarono il centro di Miami e anche uno dei più vecchi quartieri afroamericani, conosciuto come Lemon City. I nuovi arrivati presto diventarono parte di una nuova enclave chiamata Little Haiti, la quale si estendeva a nord dalla Fiftyfourth Street fino alla EightySixth Street, ai limiti della città di Miami, tra la linea della Florida East Coast Railway a est e l’interstatale NinetyFifth a ovest. Le attività haitiane come ristoranti, alimentari, e altri negozi lungo la NE Second Avenue, portarono un po’ di vita a ciò che rimaneva di Overtown. Haitiani di un’ampia fascia socio-economica vivevano uno vicino all’altro, cercando nuovi mezzi di sostentamento, aggiungendo un altro strato alle comunità multietniche di Miami. La caduta dal potere di Duvalier un anno prima, creò aspettative e speranze tra molti haitiani sulla possibilità di un eventuale ritorno. I dirigenti di Miami speravano giorni migliori per Haiti e così evitare ulteriori immigrazioni; ma gli haitiani continuavano a lasciar l’isola. Quasi 23000 haitiani furono fermati in alto mare tra 1980 e 1990, e tutti tranne undici furono forzati a tornare a Port-au-Prince. Nel 1990 6800 nicaraguensi s’insediarono nella Dade-County, molti scelsero il sud-ovest di Miami, lungo il Miami River, in un quartiere subito soprannominato “Little Managua”. Altri si spostarono a Little Avana, oppure sul lato est di Coral Gables, vicino al Miami International Airport, a Hialeah e a Sweetwater. Miami fu nuovamente trasformata, in solo dieci anni, il numero di residenti anglo nella Dade-County scese del 25%. Allo stesso tempo la popolazione della città aumentò, avvicinandosi al milione. I latini superavano in numero tutti gli altri gruppi etnici, includendo anglo-americani e afroamericani insieme. Anche un’ampia fascia di antillani fece di Miami la loro casa, arrivando a circa 110000 persone nel 1990. Dove i bahamiani predominavano negli anni precedenti, i giamaicani erano il nuovo gruppo più grande delle Antille. I cubani formavano l’80% degli stranieri di Miami, e un numero non indifferente di portoricani, colombiani, venezuelani, messicani, salvadoregni e nicaraguensi si aggregarono alla diversità della comunità latina di Miami. Loro diversificavano anche la struttura politica di Miami. La crescente varietà di immigranti della città aiutò a trasformare l’economia della città. Nel 1970 i nuovi arrivi provenienti da Cuba, lanciarono la manifattura tessile, l’industria alimentare e le compagnie di trasporto; mentre a metà degli anni Novanta gli immigranti da Cuba, Colombia, Messico, Venezuela e altri paesi aprirono

107


le telecomunicazioni, banche e industrie high-tech o si spostarono a Miami perché costretti dalle loro professioni. Più di 100 ditte multinazionali, (compresi Exxon-Mobil, Gulf Oil, Texaco, Dow Chemical, International Harvester, ITT, DuPont, Alcoa, General Electric, Goodyear, Uniroyal, Lockheed-Martin e American Express) stabilirono sedi regionali nell’area metropolitana di Miami. La città diventò anche il quarto centro bancario internazionale nel mondo. Miami non era più un luogo esotico che si stava rovinando a causa del crimine, della violenza e del mercato della droga, com’era conosciuta negli anni Ottanta. Negli anni Novanta la città sembrava brillare come nuova. La rinascita economica giocò un ruolo fondamentale, tuttavia era paragonata a Rio di Janeiro, dove la ricchezza conviveva con l’estrema povertà. Il 40% dei ragazzi sotto i sedici anni viveva sotto gli standard di povertà. Nel 1990 il 66,5% dei lavoratori erano impiegati nei servizi, variando dal 20,4% di impiegati nelle pulizie, al 46,1% impiegati in posti come dirigenti, insegnanti o nella sanità. Gli impiegati erano sparsi, mentre la povertà della città era profondamente localizzata. Una forma per risolvere i problemi era creare delle organizzazioni di lavoratori; alcuni lavorarono molto per aumentare il numero di donne, immigranti e afroamericani nei ruoli di dirigenza. La sanità era tra i settori di maggiore crescita dell’economia di Miami. Lavori come assistenti sanitari privati e aiutanti infermieri (CNAs - Certified Nurse Assistants) attraeva un gran numero di donne immigranti e afroamericane. Quando i produttori tessili cominciarono a chiudere nel 1990, molte sarte cubane e haitiane si qualificarono per lavorare come infermiere e CNAs. Le elezioni presidenziali del 2000 misero Miami in prima pagina, ancora una volta evidenziando le divisioni tra i neri e latini della città, particolarmente con i residenti cubani. Nel 2000 Miami diventò la grande città più povera d’America. Così come avevano previsto i sostenitori dei diritti civili più di mezzo secolo prima, l’emancipazione politica ed economica sono due lati della stessa medaglia. La povertà non era più limitata esclusivamente alla comunità nera di Miami, così com’era stato nei primi decenni. L’impoverimento si diversificava così come cambiavano le etnie che si concentravano nei lavori sottopagati. Latini e altri immigranti dei Caraibi formavano più di un terzo della popolazione povera di Miami, la quale aveva anche una delle più piccole classe medie, il 15% rispetto a qualunque città nel paese, uno dei livelli più bassi di educazione media ed un’alta percentuale di lavori sottopagati. Il 75% dei residenti di Miami parlava un’altra lingua rispetto all’inglese, paragonato a meno del 25% in tutto il resto dell’America. Quasi il 60% degli abitanti era straniero, paragonato a una media dell’11,1% a livello nazionale; il 65% erano latini, rispetto al 14,4% della nazione. Anche se i cubani formavano la maggioranza, una grande varietà di Latino Americani si stabilì a Miami, seguiti da una gran numero di europei e immigranti asiatici, così la città sta diventando non solo una metropoli internazionale, ma una vera città globale. All’inizio del XXI secolo i nuovi modelli di attivismo del lavoro creati nel XX secolo cominciarono a dare frutti per i lavoratori della città. Nel 2001 la legislatura della Florida approvò la prima legge di sicurezza per infermiere private nel paese. La Florida aveva la peggiore assistenza sanitaria per i residenti nella nazione, così la legge stabilì nuovi standard, molto più elevati che in ogni altro stato degli Stati Uniti. Lo stesso anno l’AFL-CIO avviò un nuovo programma chiamato Progetto Immigrante Lavoratore, disegnato come uno sforzo specifico per reclutare nuovi immigranti. Con l’attacco terrorista dell’11 settembre 2001 a New York e Washington DC, la nazione passò momenti di diffidenza verso l’immigrazione, ragione per cui mise nuove restrizioni. L’AFL-CIO rispose con dei piani per una serie di “viaggi per la libertà degli immigranti”, con cui mostravano la discriminazione tra stranieri e persone di colore. Invece le campagne del SEIU enfatizzavano la differenza tra chi a Miami possedeva troppo e chi non aveva nulla. La campagna del 2007 si focalizzò su Fisher Island, una piccola isola Key nella Biscayne Bay, localizzata tra Miami Beach e la terra ferma. L’isola mostrava, in miniatura, la disparità nazionale tra ricchi e poveri. I residenti avevano il tasso pro-capite più alto degli Stati Uniti; la media di ogni adulto si stimava sui dieci milioni di dollari. Accessibile solo con barca o elicottero privato, l’immagine dell’isola ricordava i primi tempi di Miami Beach. L’inaccessibilità dell’isola richiamava idillicamente l’isolamento dalla circostante povertà. Molte persone del posto continuavano a lasciare Miami. Studi pubblicati nell’estate 2007 mostravano che quasi 160000 perone lasciavano la DadeCounty a Miami; molti di questi residenti erano di classe media e si insediarono a nord nella Broward-County. La storia dell’immigrazione di Miami e delle comunità etniche mostravano anche gli effetti di una politica internazionale, attraverso contesti locali e regionali. La posizione di Miami nel sud degli Stati Uniti giocò anche un ruolo importante nello sviluppo e l’istituzione di segregazioni razziali lo metteva molto in evidenza. L’impronta di queste restrizioni lasciò un segno nelle strade e nei quartieri. Anche se le restrizioni legali che vennero usate per separare i bianchi dai neri furono disfatte una generazione prima, oggi uomini e donne di colore sono ancora l’ultima fetta dell’industria dei servizi a Miami. La povertà rimane concentrata nei quartieri non-neri della città, i quali sono etnicamente molto diversi rispetto ai periodi precedenti, ma il pregiudizio e la sfiducia ancora sono vigenti. Il risultato è un mix di vecchio e nuovo, nazionale ed internazionale, portato a casa nella vita di tutti i giorni. Le loro esperienze ci fanno pensare alla storia della Florida e dell’America, in forme che riflettono queste connessioni.

108


109


110


RINGRAZIAMENTI I nostri ringraziamenti vanno sicuramente al professor Luca Basso Peressut, che ci ha portato ad affrontare tematiche ben poco sviluppate nei nostri anni passati passati in università e a definire un progetto di tesi di cui ci possiamo dire pienamente soddisfatti. Ringraziamo Matteo Sacchetti per la grande attenzione che ci ha sempre dato e Cristina Colombo per la sua disponibilità ed il suo entusiasmo. Ringraziamo inoltre Jacqueline Ceresoli che si è sempre dimostrata molto disponibile nei nostri confronti, fornendoci spunti e consigli preziosi. Senza dubbio il primo e più grande ringraziamento è diretto alla persona che mi ha sostenuta in tutti i singoli momenti della mia vita, a colei che con affetto ha saputo essere la mia guida e la mia luce, a colei senza la quale questo lungo e faticoso percorso non sarebbe stato possibile, GRACIAS Lulù. Non posso non ringraziare a Bortolo per la sua fiducia in me; agli amici del San Leo per aver condiviso tanti momenti tra studio e divertimento, e per essere stati una famiglia; alla Negra per ascoltarmi e darmi tanti punti di vista diversi, e per “las tertulias” che tanto mi mancano; a Fede e Macella per essere stati così gentili da ospitarmi ogni volta che avevo bisogno. Un ringraziamento speciale a Silvio per la sua pazienza, comprensione e appoggio anche su scelte non condivise. A Stephanie per essere stata l’immancabile compagna di gruppo, a Daniele per la calma portata nei momenti di panico; e a tutt’e due per il tempo e la volontà dedicata a questo lavoro. Gabriela Ringrazio Stephanie e Gabriela per essere state ottime compagne di viaggio e di lavoro; Alessandra, mamma, papà, Ilaria, Daniele e tutto l’ufficio per il supporto ; Ilaria e Ale per le traduzioni; tutte le persone che sono state pazienti con me e ultima, ma solo per questioni cronologiche, mia figlia Linda (e suo fratello o sorella) a cui personalmente dedico questo infinito lavoro. Daniele Ringrazio i miei genitori, i quali mi sono sempre stati vicini e mi hanno sempre appoggiato: vi devo tutto e senza di voi non sarei quella che sono oggi. Un pensiero va a chi non c’è più ma che sempre rimarrà nei miei pensieri, accompagnandomi in questa nuova fase della vita che si apre. Ringrazio i miei amici, e mi scuso per essermi eclissata in questo ultimo periodo. Non faccio elenchi, mettervi in un qualche ordine sarebbe farvi un torto: sono certa che sapete bene chi siete. Infine ringrazio Gabriela e Daniele, con cui ho condiviso mille laboratori e mille esami: senza di voi tutto questo lavoro non sarebbe stato possibile. Vi ringrazio infinitamente per aver reso questi ultimi anni universitari un periodo che ricorderò sempre con piacere. Stephanie

111


112


BIBLIOGRAFIA -

Laura Cerwinske, Tropical Deco: The Architecture and Design of Old Miami Beach, New York: Rizzoli International, 1991

-

Maurice Culot, Coral Gables, une ville jardin en Floride, Paris: Norma, 1997

-

Beth Dunlop, Miami: Trends and Traditions, New York: Monacelli, 1996

-

Beth Dunlop, Miami: Mediterranean splendor and Deco dreams, New York: Rizzoli International, 2007

-

Jean-Francois Lejeune, Allan Shulman, The Making of Miami Beach: 1933 1942 - The Architecture of Lawrence Murray Dixon, New York: Rizzoli International, 2001

-

Arva Moore Parks, Miami: the Magic City, Miami: Community Media, 2008

-

Kevin Plotner, Rebecca Plotner, Ocean Drive Guidebook: Ask a local, Atglen: Schiffer Publishing, 2008

-

Melanie Shell-Weiss, Coming to Miami: a Social History, Gainesville: University Press of Florida, 2009

-

Michael J. Crosbie, Designing the world’s best museums and art galleries, Mulgrave, Vic. : Images Publishing Group, 2003

-

Simon H. Adamson, Seaside piers, London : B. T. Batsford : in association with the Victorian society, 1977

-

James S. Russell, Twentieth Century museums 1, London : Phaidon, 1999. - 1 v.

-

Col-legi d’arquitectes de Catalunya, La arquitectura del sol, 2002

-

Dan Kiley and Jane Amidon, Dan Kiley in his own words : America’s master landscape architect, London: Thames & Hudson Ltd, 1999

-

Michael Balston / edited by James Grayson Trulove, Ten landscapes, Rockport Publishers, 2001

-

John Howey, The Sarasota school of architecture : 1941-1966, The MIT Press, 1997

-

Kenneth Frampton e David Larkin (a cura di), Capolavori dell’architettura americana : la casa del 20° secolo, Milano: Rizzoli-Skira, 2002

-

Elizabeth A.T. Smith, Case study houses : \the complete CSH program 1945-1966, Taschen, 2002

113


RIVISTE MUSEO - Williams, Edwin. “César Portela: Galicia Sea Museum, Vigo, Spain 1992-2002”. A+U: architecture and urbanism, 2003 Luglio, n.7(394), p.110-119 -

“Cadice, il Museo del Mare = Museumtime: the Maritime Museum, Cadiz”. Abitare, 1990 Settembre, n.288, p.256-261

-

“Loose sand and sturdy concrete”. Scape, 1, 2006, p.64-67

-

“Marcio Kogan, Museo di Microbiologia. Trasformazione di un rudere per un museo a San Paolo”. Lotus, 2000, 131

-

“Shigeru Ban: Nomadic Museum. Pier 54, New York”. Casabella, 2005, n.735, p.40-45

-

“Una nave vitrea, Museo del mar, Gènova”. Arquitectura Viva, 2004, n.148, p.98-101

-

“Mares Muertos”. AV Monografias, 2003, 99-100, p.198-201

-

“Museo e sistemazione del fronte mare”. Casabella, maggio, 1999, v.63, n.667, p.10-15

-

“Museo abitabile in riva al mare”. Architettura:cronache e storia, 1991, v.37, n.423, p.48-49

-

“Museo di terra e mare, Norvegia”. Architettura: cronache e storia, 1998, ottobre, v.34, n.396, p.720

-

“Underwater Architecture”. L’Arca, 2008, v. 235-7, p-58

-

“Ocean Pavilion”. Architectural Review, 1998, v.1214, p.139

-

“Padiglione Spagnolo Expo 2008, Saragoza”. Casabella, 2008, v.72, n. 768, p.8-20

-

“Pavilion a Roosendal”. Artificial Landscape, 2010

-

“Wood in it’s ultimate expression”. Ottagono, ottobre, 2009, n.224

-

“Peter Zumthor: Expo 2000 Hannover”. Casabella, n. 681, 2000, p.62-69

-

“Padiglione svizzero all’Expo 2000 di Hannover”. Domus, 2000, n.828, p.24

-

“Una piazza coperta = A covered plaza (Portugal Pavilion, Expo 98, Lisbon)”. Lotus international, 1999, n.99, p.16-22

-

“Rural Studio, Alabama, USA”. A+T, 2005, N.25, p.12-26

-

“The Cardboard Pod:Newbern, Hale County, Alabama”. Bauwelt, 2004, n.8, p.16-23

114


-

“Rural Studio Alabama”. Blueprint, 2009, n. 274

-

“Rural Studio”. Lotus, 2005, n.124, p.116-129

-

“Rural Studio: Taboo Landscape”. Abitare, 455, 2005, p. 152-159

-

“Arboreal Arbour: Pavilion, Perry county, Alabama, USA”. The Architectural Review, 2005, n.1306, p.80-81

-

“Rural Studio, servizi nel parco a Marion, Alabama”. Lotus, 2007, n.131

MOLO -

Skaarup, Preben. “Albuen i Vejle”. Landskab, 2005, 4/05 p.95-98

-

“Una voce sul molo: Great Harbor Design Center, Brooklyn”. Arca, 2000, maggio, n. 148, p.36-38

-

“Deal Pier Cafè and Bar”. Architectural Review, 2009, febbraio, v.225, n.1344, p.90

-

“Beside the sea side: designs for a new café-bar at Deal Pier”. AT, n.171, p.32-36

-

“Danish Dipping: Sea bath, Kastrup, Denmark”. Architectural Review, 2006, n 1318, n. 12, p.75-77

PARCO - “Parco di pietra calcarea”. Architettura del paesaggio”, 14, maggio-ottobre, 2006, p.96-97 -

“Ville Hara/HUT Wood Studio. Torre panoramic a Helsinki”. Lotus, 2007, n.131

-

“Il Giardino dei Passi Perduti”. Abitare, 2004, n.442, p.144-150

-

“Architectural time warp: Eisenman lays his own planes of meaning onto a historic site”. Architectural Record, dicembre, 2004, p.77-95

-

“Rambla de Mar”. Domus, luglio-agosto, n.784.

-

“Padiglione e ingresso al vulcano Sao Vincente, Madeira”. Casabella, 2009, febbraio, v.73, n.774, p.80-85

-

“Paseo Altamirano, Valparaiso – Chile”. CA: revista officia del colegio de arquitectos de Chile”, 2008, junio-julio, n. 135, p.64

-

“America’s Cup spurring major changes in Valencia”, Architectural Record, 2005, agosto, v. 193, n.8, p.39

-

“Luce e movimento: view wave ways”. Arca, 2001, settembre, n. 162, p.76

-

“Parco de Cabecera”. Architectur d’aujourd’hiu, 2006, marzo – aprile, n. 363, p.94-99

-

“Promenade in verde sul fiume”. Architettura del Paesaggio – Paysage, 2001, 6, giugno, p.63-64

115


-

“Central de Matarò”. Architettura del Paesaggio, 2007, 16, maggio-ottobre, p.57

SITI WEB City of Miami – Historic Preservation: www.historicpreservationmiami.com UNESCO – Migration Institutions: www.migrationmuseums.org Immigrant Archive Project: www.immigrantarchiveproject.com Americas Society: as.americas-society.org Boomor Bust – Miami: bobmiami.com Official Website of the City of Miami Beach: web.miamibeachfl.gov City of Miami: www.miami.gov.com Miami-Dade County: www.miamidade.gov University of Miami Libraries – Digital Initiatives: merrick.library.miami.edu/digital_initiatives.php Archivio foto d’epoca: www.pbase.com /donboyd/memories Arts and Architecture: artsandarchitecture.com/case.houses Havana Cultura: www.havana-cultura.com Cuba Transition Project: ctp.iccas.miami.edu

116


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.