Sinodo Diocesano: STRUMENTO DI LAVORO .

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SINODO DIOCESANO

STRUMENTO DI LAVORO DIOCESI DI SAN BENEDETTO DEL TRONTO – RIPATRANSONE – MONTALTO



PRESENTAZIONE

“In tutti i modi, o Signore, hai magnificato e reso glorioso il tuo popolo e non l’hai trascurato, assistendolo in ogni tempo e in ogni luogo” (Sap 19, 22). Veramente il Signore accompagna il cammino della sua Chiesa, con gli interventi più diversi e con le modalità meno prevedibili, volendo sempre sostenere la vita di chi si affida a Lui con una presenza forte e fedele. E’ quanto sta avvenendo all’interno della nostra Comunità Diocesana, da quando è partita l’avventura spirituale del Sinodo, dopo tante incertezze e con non poche difficoltà. Ma lo scopo era chiarissimo: vivere riuniti in un solo corpo dallo Spirito Santo per essere credibili e missionari nel nostro mondo. I termini da usare per tentare una prima descrizione del cammino iniziale potrebbero essere numerosi: sconcerto, imprevedibilità, timore, paura, scetticismo, scoraggiamento. La fatica è stata molta durante l’anno preparatorio, quando la notizia del Sinodo non era passata adeguatamente, quando le finalità rimanevano oscure, quando la nebbia sul cammino era densa e non si intravedeva la luce del futuro. Ma alcuni ci credettero, coraggiosamente e tenacemente, per convinzione e per ubbidienza, sacerdoti innanzitutto e poi i laici, riuscendo poi a coinvolgere tante e tante persone con il loro entusiasmo. Del resto, erano trascorsi più di cento anni dagli ultimi Sinodi, che avevano interessato le nostre antiche Diocesi di Ripatransone e di Montalto, mentre nel frattempo era arrivata nel nostro Paese la Costituzione repubblicana e nella Chiesa si era celebrato il grande evento del Concilio. Bisognava crederci nelle possibilità offerte da un Sinodo. Ricordo il grande entusiasmo vissuto in una Consulta dei Laici molto partecipata, quando annunciai la volontà di indire questo Cammino per rinnovare la vita della nostra Chiesa Diocesana. 3


Ora, dopo l’anno dell’ ascolto, che ha scandito la vita del cammino pastorale 2008-2009, e dopo l’anno del discernimento, dal 2009-2010, siamo arrivati ai momenti decisionali ed entriamo nella fase delle scelte. Si tratta di riflettere su quanto era stato raccolto nel primo anno e di compiere una valutazione ecclesiale sul materiale del secondo anno. In altre parole, adesso occorre discernere come Chiesa, e non più come individui o gruppi di credenti, ed è necessario esprimere scelte e dare indicazioni operative, aventi il valore e la forza di un cammino autenticamente ecclesiale. Le riunioni di vicaria di tutti i nostri sacerdoti hanno anche recentemente confermato la bontà del lavoro compiuto, hanno offerto un confronto costruttivo ed hanno ulteriormente arricchito le riflessioni delle fasi preparatorie. L’anno della celebrazione, che ora inizia, trova qui, nello strumento di lavoro che presento, il risultato del molto cammino finora compiuto specialmente negli otto Laboratori sinodali, ed il punto di partenza per le riflessioni e le scelte dei diversi momenti celebrativi. Ho usato l’espressione “punto di partenza” per definire questo piccolo libro, che ha lo scopo di aiutare le meditazioni personali e comunitarie e di essere lo strumento di riferimento per le assemblee Sinodali. La fantasia pastorale, guidata dall’amore sincero per il Signore e per il bene autentico della nostra gente, dovrà accompagnare il nostro pellegrinaggio sinodale, sostenuto dalla preghiera di tutti, e specialmente dei nostri malati, dei bambini e delle Comunità religiose. Il lavoro compiuto dalla Commissione Sinodale e dalla Segreteria, dai Laboratori e dai Delegati, è stato veramente intenso e produttivo. Il Sinodo ha già avuto finora molte conseguenze positive per la vita della nostra Chiesa locale. Ringrazio sinceramente il Signore e quanti si sono impegnati, con non piccoli sacrifici di tempo e di energie, per condurre il cammino e per partecipare al suo procedere fino a questo passaggio. Ora sono certo che non mancheranno i risultati, quei “frutti evangelici”, che tutti noi ci aspettiamo dalla grazia del Signore. La Madonna di Loreto, la nostra celeste Patrona, ci accompagni con il suo materno affetto. Vi benedico nel Signore. + Gervasio Gestori Vescovo S. Benedetto del Tronto, 1 novembre 2010 Solennità di Tutti i Santi 4


INTRODUZIONE

S

iamo tutti consapevoli del fatto che non solo il mondo è cambiato rispetto ad un decennio fa, ma che i cambiamenti avvengono in modo sempre più frequente e repentino. Risulta alquanto frustrante per tutti, constatare come quelli che appena ieri erano i punti saldi e fondamentali della vita, oggi lo sono meno e, quasi sicuramente, domani non lo saranno più. Se poi, a tutto ciò, aggiungiamo il progressivo avanzare del fenomeno della secolarizzazione e il forte disagio provocato dall’attuale crisi economica, tutto peggiora e diventa così precario e relativo, da rendere piuttosto difficile e complessa sia la vita personale che le relazioni con gli altri, a partire da quelle vissute in famiglia. In questo contesto che appare come un vortice capace di risucchiare ogni cosa, dove tutto pare destinato all’oblio, e in cui anche la fede sembra non essere in grado di dare risposte esaustive e convincenti, l’uomo sperimenta la sua impotenza e fa fatica a dare un senso profondo alla propria esistenza. «Ne sono i sintomi il disorientamento, il ripiegamento su se stessi e il narcisismo, […] l’ansia e la paura, l’incapacità di sperare, il diffondersi dell’infelicità e della depressione».1 Ma tutto questo non deve scoraggiarci, richiudendoci nel lamento! Al contrario, tale cambiamento, «con le sue urgenze e le sue opportunità, provoca la fede e la responsabilità dei credenti»2. Diventa per tutti un richiamo forte alla speranza, a riconoscere i segni della presenza del Signore, a volte misteriosi, nella vita quotidiana, ad essere profeti di un mondo umano e giusto. Solo chi è stolto è incapace di percepire una realtà gravida di novità e di bellezza. Il cristiano non è un illuso, né tantomeno un sognatore, ma una 1

Orientamenti pastorali CEI 2010-2011, 9.

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ibidem, 7.

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persona concreta che non si arrende di fronte alle sfide e desidera guardare ciò che lo circonda, con altri occhi, quelli di Gesù, la vera luce e la vera speranza. Lo dice Paolo nella lettera ai Romani e noi lo affermiamo con convinzione: Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?... Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore (8, 35ss). Non ci è dato di aspettare oziosamente tempi migliori per metterci a servizio del Vangelo. È tempo invece di deciderci a lasciare che Dio sogni il futuro della Chiesa e dell’umanità, è l’ora della testimonianza coraggiosa, visibile e credibile, è l’opportunità che abbiamo di metterci con umiltà a servizio nella vigna del Signore. Sì! Perché c’è una vigna che attende chi la lavora con dedizione, passione e competenza. Ed è questo il momento in cui tutti, ciascuno con il proprio ministero e i propri carismi, con fantasia e creatività, siamo chiamati a gridare al mondo il grande sì che in Gesù Cristo Dio ha detto all’uomo e alla sua vita, all’amore umano, alla nostra libertà e alla nostra intelligenza. Solo la fede nel Dio dal volto umano può sprigionare la gioia nel mondo3. Si tratta in poche parole di aiutare l’uomo a ritrovare in Dio la gioia e la forza di vivere, a rendersi conto che senza Dio egli non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia.4 Ecco il motivo che ha indotto il nostro Vescovo a proporre alla Chiesa diocesana l’esperienza del Sinodo. «Il Sinodo ci domanda un rinnovato modo di essere, come persone, come famiglie, come comunità. Questo nuovo modo di essere va visto in prospettiva grande. Se da una parte dobbiamo considerarci piccoli ed umili discepoli del Vangelo, per altri aspetti vogliamo vivere da credenti ricchi di utopia, che si sentono inseriti in orizzonti di grandezza infinita e che sanno guardare in alto, ricordando che Gesù ci ha assegnato una misura alta di esistenza: siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei Cieli (Mt 5,48)»5. La nostra Diocesi aveva urgente bisogno di una tale esperienza di comunione, per discernere i percorsi pastorali fondamentali, per poter ri3

Cfr. ibidem, 33.

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Cfr. Caritas in veritate, n. 78.

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MONS. GESTORI G., Il nostro cammino nella chiesa, lettera pastorale 2010-2011.

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spondere in maniera concreta al bisogno di ogni uomo e per individuare, alla luce dello Spirito Santo, quei cambiamenti, più che mai necessari, perchè la chiesa si mostri madre accogliente verso tutti e disposta a farsi compagna di strada di tante persone in cerca di Dio e della verità. La situazione attuale evidenzia come assolutamente necessaria, la centralità della persona in tutta l’azione pastorale della Chiesa. Siamo chiamati ad accogliere le indicazioni dell’episcopato italiano dopo il IV Convegno ecclesiale nazionale di Verona: «mettere la persona al centro costituisce una chiave preziosa per rinnovare in senso missionario la pastorale e superare il rischio del ripiegamento, che può colpire le nostre comunità. Ciò significa anche chiedere alle strutture ecclesiali di ripensarsi in vista di un maggiore coordinamento, in modo da far emergere le radici profonde della vita ecclesiale, lo stile evangelico, le ragioni dell’impegno nel territorio, cioè gli atteggiamenti e le scelte che pongono la Chiesa a servizio della speranza dell’uomo. Non si intende indebolire la dimensione comunitaria dell’agire pastorale, né si tratta di ideare nuove strutture da sostituire a quelle attuali, bensì di operare insieme in maniera più essenziale. A partire da queste attenzioni, le singole Chiese particolari sono chiamate a ripensare il proprio agire con sguardo unitario»6. L’attenzione alla persona non intende escludere o accantonare i tre compiti fondamentali della Chiesa (l’annuncio del Vangelo, la liturgia e la testimonianza della carità), che fanno parte del cammino ordinario di ogni credente, quanto piuttosto andare oltre l’attuale impostazione pastorale, che ha il limite di non saper cogliere sempre le domande profonde dell’uomo. «Occorre ripensare l’unità della pastorale articolata nelle funzioni della Chiesa, incentrandola maggiormente sull’unità della persona, sulla rilevanza educativa e formativa che queste funzioni possono avere»7. Proprio perché oggi non si può presupporre più nessun valore, tantomeno la fede, bisogna adoperarsi con una pastorale sempre più missionaria, che sia in grado di condurre l’uomo all’incontro con il Risorto e di renderlo capace di ascoltare la Parola, di celebrare la salvezza e di amare come Gesù ci ha insegnato, mettendosi, senza riserve, a servizio degli ultimi.

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Rigenerati per una speranza viva (1 Pt 1,3): testimoni del grande ‘sì’ di Dio all’uomo, n. 22

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MONS. BRAMBILLA F. G., Partenza da Verona. La Chiesa italiana dopo il Convegno, in “Rivista del clero italiano” 87 (2006) p. 735.

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Lo strumento di lavoro è frutto del Tempo di Ascolto e della collaborazione di molti nel Tempo del Discernimento. Il materiale presentato dai Laboratori, durante l’estate è stato rielaborato per offrire alle comunità parrocchiali, ai presbiteri, ai religiosi e alle aggregazioni laicali una bozza dello strumento di lavoro. Questa redazione finale è stata redatta tenendo conto delle osservazioni consegnate al Vescovo dalla comunità cristiana. Essa mette al centro la persona con lo scorrere delle fasi della sua vita e il riferimento ai momenti forti della sua esistenza per dare credibilità ad una Chiesa che deve e vuole essere sempre più a servizio dell’uomo. Nel ringraziare la Commissione Preparatoria Sinodale e la segreteria per il lavoro prezioso, paziente e costante, auguro a tutti un buon cammino sinodale. Il Tempo delle Scelte non serva per aggiungere un libro in più nella biblioteca diocesana e parrocchiale, ma docili all’azione dello Spirito Santo e rispondendo con convinzione e disponibilità al Signore che chiama, possiamo fare scelte coraggiose e profetiche, finalizzate al bene e alla crescita del Regno di Dio. Alzatevi e non temete!

Don Claudio Marchetti (segretario del Sinodo)

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Laboratorio 1

LA CHIESA A SERVIZIO DELL’UOMO: COMUNIONE, CREDIBILITÀ E MISSIONE



I. Icona Biblica: 1Cor 12, 12-27 Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. 13Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.14E infatti il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra. 15Se il piede dicesse: «Poiché non sono mano, non appartengo al corpo, non per questo non farebbe parte del corpo». 16E se l’orecchio dicesse: «Poiché non sono occhio, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. 17Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l’udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l’odorato? 18 Ora, invece, Dio ha disposto le membra del corpo in modo distinto, come egli ha voluto. 19Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? 20Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. 21Non può l’occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; oppure la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi». 22Anzi proprio le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie; 23e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, 24mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha, 25perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. 26Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. 27Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra. 12

II. Premessa 1. Il Concilio Vaticano II è stato una celebrazione prolungata della liturgia della salvezza per l’uomo d’oggi, in quanto la Chiesa è il grande sacramento, cioè segno e realtà perenne della salvezza operata da Dio nell’umanità1. Il nostro Sinodo diocesano è una pagina che si inscrive nel grande libro del Concilio: anche noi ci sentiamo parte viva di questa Chiesa e desideriamo scoprire ancor più la nostra specifica identità cristiana. Siamo coscienti di essere la storia in atto, scritta da Dio per salvare gli uomini. 1

Cfr. LG 1.

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2. La nostra Chiesa, che è in San Benedetto del Tronto - Ripatransone - Montalto, desidera continuare l’attuazione e la verifica del Concilio, prendendo sempre più coscienza della vocazione alla santità di ciascuno e di tutti i suoi membri. Non possiamo ignorare che i nostri tempi sono difficili: il conflitto con la cultura e la morale del mondo esige che il nostro Sinodo abbia una visione equilibrata, aperta e coraggiosa di tutte le problematiche della nostra realtà. Il tempo che viviamo richiede un nuovo e convincente annuncio, sia alle donne e agli uomini evangelizzati, sia a quelli da evangelizzare poiché: «Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino»2. Questo è il compito che oggi attende la Chiesa pensata da Cristo a servizio del Regno di Dio. 3. Il Concilio Vaticano II, per far conoscere l’intima natura della Chiesa, riporta le varie immagini scritte nei libri sacri: ovile, campo di Dio, edificio di Dio, casa di Dio nella quale abita la famiglia, Gerusalemme celeste, corpo mistico di Cristo3. Sono immagini di questo grande mistero, nel quale si unisce tutta la vita di Dio e tutta la vita dell’uomo, che spiegano come la Chiesa è incarnata nel mondo ed ha nell’uomo lo specifico della sua vocazione. Essa non può esistere senza il confronto e l’agire nella storia. Deve, perciò, imparare a leggere i segni dei tempi e le componenti strutturali della realtà sociale, economica e politica del mondo contemporaneo in modo da scoprire i nuovi terreni di evangelizzazione e di solidarietà4. Ma la Chiesa non si risolve del tutto nell’orizzonte dell’oggi5; il mistero della Chiesa universale, il Regno di Dio portato da Cristo con la redenzione, comprende i sei miliardi di persone che attualmente vivono sulla terra, unitamente a quelle che ci hanno preceduto e a quelle che verranno dopo di noi. Il Sinodo ha, quindi, la finalità di attualizzare nel miglior modo possibile la vocazione storica della Chiesa. 4. A questo mistero, che caratterizza la Chiesa, si lega in maniera imprescindibile ed essenziale, l’immagine di Popolo di Dio: «Tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica unità del Popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace universale, e alla quale in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici che gli altri credenti in Cristo, 2 3 4 5

Mc 1, 15; cfr. Mt 4, 17; Lc 4, 43. Cfr. LG 6; 7. Cfr. Erga Migrantes Caritas Christi, 8-9. Cfr. LG 9.

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sia, infine, tutti gli uomini, dalla grazia di Dio chiamati alla salvezza»6. Non si tratta di semplice «aggregazione»7, ma di qualcosa di più: un popolo voluto e fondato da Dio come particolarmente Suo, frutto del Mistero Pasquale di Cristo, che costituisce per tutta «l’umanità un germe validissimo di unità, di speranza e di salvezza»8. A questo proposito, sono significative le parole di Papa Benedetto XVI: «La Chiesa è un corpo, non una corporazione. Non è un’organizzazione, ma un organismo»9. 5. Tutto questo ci porta ad affermare che la Chiesa è un pellegrinaggio nel tempo presente che si perfezionerà nel futuro. Essa è il Corpo mistico di Cristo in cui la vita del Maestro si diffonde nei credenti per mezzo del battesimo e si prolunga da questa storia fino alla parusìa10. Questo corpo mistico, Popolo di Dio in cammino, è la «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato»11. In esso, tutti i membri sono segnati da una fondamentale uguaglianza in cui la comunione delle persone precede la distinzione dei ruoli. Infatti, nella Chiesa la struttura istituzionale è a servizio della comunione e non viceversa. Come la comunione senza l’istituzione sarebbe un’anima senza il corpo, così l’istituzione senza la comunione sarebbe come un corpo senza l’anima12. La Chiesa non vive in se stessa, né di se stessa, ma è sempre e comunque nel segno della relazione e della mediazione.

III. Riflessione tematica 6. Il Sinodo, chiamato a discernere i segni dei tempi, indirizza la sua cordiale attenzione alla persona umana e ai diversi ambiti della vita sociale, cosciente che la Chiesa ha il compito di anticipare il Regno, ponendosi a servizio dell’uomo. Tale servizio non va inteso esclusivamente come qualcosa da fare, ma presuppone un atteggiamento di umiltà e si oppone 6

LG 13.

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Cfr. DIANICH S., Ecclesiologia. Questioni di metodo e una proposta, Paoline C. Balsamo 1993.

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LG 9. Udienza generale del 10 dicembre 2008.

10 11

Cfr. LG 7. 1Pt 2, 9.

12

Cfr. MONS. LAMBIASI F., Prima di tutto fratelli. Lettera ai Presbiteri sulla comunione, il Ponte 2009, 9-10.

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al dominio. La Chiesa è chiamata a rendere possibile l’incontro dell’uomo con il Signore che parla. Essa accompagna il cammino dell’uomo e lo sostiene con lo stile della gratuità; chi è in ricerca, dovrebbe trovare nella Chiesa la possibilità di diventare liberamente discepolo credente. Come cristiani, possiamo sognare una Chiesa che sia sempre più luogo accogliente in cui ci si sente compresi, amati; uno spazio in cui si vivono buone relazioni, abitato da persone che condividono e testimoniano l’incontro vivo con il Signore Gesù e la passione per Lui13. 7. Il nostro Sinodo, sin dal Tempo di Ascolto, ha individuato e promosso tre possibili stili ecclesiali intrinsecamente legati tra loro: comunione, credibilità e missione. La comunione è la prima missione. Lo scopo dell’azione missionaria della Chiesa è di riunire i figli dispersi in una sola famiglia e di creare delle comunità fraterne che rendono visibile l’amore di Dio per il mondo, un amore che trasforma fin d’ora i rapporti umani: «da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri»14. Dalla comunione, dunque, scaturisce la credibilità nella missione. a. Comunione: «Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo»15. 8. «È lo Spirito a formare la Chiesa per la missione, la testimonianza e l’annuncio. Grazie alla sua forza, la Chiesa diventa segno e strumento della comunione di tutti gli uomini tra loro e con Dio, manifesta l’amore fraterno da cui ciascuno può riconoscere i discepoli del Signore (cfr Gv 13,35) e proclama in ogni lingua le grandi opere di Dio tra i popoli (cfr At 2,9-11)»16. Il termine greco koinonía ci ricorda il senso di quella vita divina alla quale siamo chiamati. Nella persona di Gesù, appare la verità dell’uomo; rivelando Dio come Padre e il Suo amore, Cristo manifesta se stesso come il Figlio e svela pienamente il contenuto dell’altissima vocazione dell’uomo: la filiazione. Da sempre siamo stati chiamati alla comunione con Dio, ad essere Suoi figli nel Figlio17. A questo proposito, il Conci13 14 15 16 17

Cfr. La sfida della fede: il primo annuncio, Lettera dei Vescovi delle Diocesi Lombarde, 40-41. Gv 13, 35. 1 Cor 12, 13. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, 24.

Cfr. GS 22. Il Concilio afferma: «Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima

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lio Vaticano II insegna: «I seguaci di Cristo, chiamati da Dio, non a titolo delle loro opere, ma a titolo del suo disegno e della grazia, giustificati in Gesù nostro Signore, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi. Essi quindi devono, con l’aiuto di Dio, mantenere e perfezionare con la loro vita la santità che hanno ricevuto»18. 9. Essendo Dio una comunione di persone19, la Chiesa è per sua natura relazionale e, nella relazione, ciò che viene prima è l’amore. Essa prende forza dall’amore di Dio e dalla testimonianza della carità dei fedeli. Oggi, senza uno stile di fraternità e di vicinanza, la comunità cristiana non attrae. Se non cura le relazioni, essa assomiglia tutt’al più a un’azienda, dove contano i risultati, l’efficienza, i bilanci. Tra le scelte qualificanti del nostro Sinodo dobbiamo cercare quella di una vera e autentica comunione tra vescovo e presbiteri, tra presbiteri, tra presbiteri e laici e tra laici. «I sacerdoti … costituiscono col loro vescovo un solo presbiterio, sebbene destinato a uffici diversi»20, rendendo visibile la relazione che li lega e la loro collaborazione nel servizio del Popolo di Dio. Come insegna il Concilio Vaticano II, i sacerdoti sono uniti al loro vescovo e ne condividono la missione con una dedizione quotidiana. Sarà cura di ciascuno, quindi, conoscere il magistero del vescovo e impegnarsi a seguire vocazione. Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte in Lui trovino la loro sorgente e tocchino il loro vertice. Egli è l’immagine dell’invisibile Iddio, (Col 1, 15) è l’uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato. Poiché in Lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime. Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, Egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato. Agnello innocente, col suo sangue sparso liberamente ci ha meritato la vita; in Lui Dio ci ha riconciliati con se stesso e tra noi e ci ha strappati dalla schiavitù del diavolo e del peccato; così che ognuno di noi può dire con l’Apostolo: il Figlio di Dio mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me (Gal 2, 20). Soffrendo per noi non ci ha dato semplicemente l’esempio perché seguiamo le sue orme ma ci ha anche aperta la strada: se la seguiamo, la vita e la morte vengono santificate e acquistano nuovo significato. Il cristiano poi, reso conforme all’immagine del Figlio che è il primogenito tra molti fratelli, riceve le primizie dello Spirito (Rm 8, 23) per cui diventa capace di adempiere la legge nuova dell’amore». 18

LG 40.

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Giovanni Paolo II ricavava dalla contemplazione del modello trinitario la «spiritualità di comunione» e la definiva così: «Spiritualità della comunione significa innanzitutto uno sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto» (Novo Millennio Ineunte, 43). 20

LG 28.

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le indicazioni pastorali diocesane. Un’ulteriore spinta alla comunione, viene dalla riscoperta della relazione filiale che lega vescovo e presbiteri; i presbiteri dovrebbero riconoscere nel vescovo il loro padre e il vescovo dovrebbe considerare i sacerdoti come figli e amici, facendoli sentire stimati e amati21. Allo stesso modo, le relazioni tra i sacerdoti e tra i laici siano caratterizzate dalla stima reciproca, dalla benevolenza e dal desiderio di vivere una vera fraternità. Infatti, i cristiani sono testimoni di Gesù non come individui indipendenti, ma come figli radunati e uniti nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. La comunione, pertanto, è la testimonianza fondamentale che i cristiani sono chiamati a offrire al mondo. È proprio nella realizzazione di questa comunione che la Chiesa si manifesta come «segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano»22. Un impegno comune a tutti, presbiteri e laici, potrebbe essere quello di sfruttare maggiormente le occasioni di incontro e confronto per conoscersi, imparare a stimarsi e a collaborare. 10. È urgente un cammino di conversione pastorale nella nostra Chiesa locale, che porti ad una comunione non solo di intenti, ma di scelte, progetti, attuazioni reali e condivise. Non è più pensabile un’azione apostolica circoscritta in rigidi confini. In un tempo di globalizzazione forzata e di mobilità di persone e idee proiettate nella massima espansione, è il territorio, inteso anche come contesto sociale, culturale e religioso, la sfida da raccogliere, in quanto al suo interno si sviluppa la vita della comunità e delle realtà ecclesiali23. Non ha senso attuare una “pastorale solitaria” e “isolata”, pensata e progettata senza riferimento e coinvolgimento degli altri. Il metodo ecclesiale, che permette la realizzazione di scelte innovative, predilige, più che la polemica o il dissenso, un atteggiamento aperto alla comprensione e al dialogo costruttivo. 11. Il cammino verso la comunione fraterna non è facile; esso passa attraverso la croce di Gesù. È necessario imparare a morire per far in modo che Cristo viva in ognuno di noi e per poter condividere i Suoi stessi sentimenti. Quei sentimenti sono l’umiltà: da ricco che era, Cristo si è fatto povero per noi; la gratuità: non ritenne un privilegio l’essere come Dio; la 21 22

Cfr. LG 28. Cfr. LG 1.

23

Cfr. MONS. SIGALINI D., La comunione: la corresponsabilità laicale, S. Benedetto del Tronto, 19 Gennaio 2010.

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carità: ci ha amato e ha dato se stesso per noi; il perdono: mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi24. b. Credibilità: «Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo […] Voi siete corpo di Cristo e sue membra»25. 12. Nell’analogia del corpo ecclesiale viene sottolineata l’unità della Chiesa, pur nella molteplicità delle sue membra, indicando Cristo come principio e fonte di questa unità26. A partire da Cristo e dal desiderio di servire Lui e la Chiesa, le diverse realtà, mettendo in comune i propri carismi, danno origine ad una fisionomia ecclesiale non omologata, non dispersa, né contrapposta, ma animata da uno spirito unitario che sa generare una testimonianza autentica27 e credibile. 13. Gesù Cristo ha voluto la Chiesa unita in un solo corpo per mezzo del Suo Spirito perché fosse creduta e credibile. Creduta in quanto è dono di Dio e mediazione di salvezza, credibile in quanto è la comunità che testimonia il Regno al quale sono convocati tutti gli uomini. La credibilità è inseparabile dalla testimonianza ed è al tempo stesso indispensabile al compimento della sua missione, perché il mondo creda28. La coerenza nel vivere la propria fede personale è un’esigenza che ogni credente deve avvertire per una testimonianza autentica e sempre più fedele a Dio e all’uomo. 14. Quando le relazioni all’interno della comunità cristiana sono regolate e plasmate dalla carità, i credenti vivono un’autentica fraternità e, a partire da questa, si mettono al servizio del mondo diventando missionari. Infatti, la missione è possibile solo dove la comunità è unita. Il Vangelo viene annunciato con la predicazione, attualizzato nell’Eucaristia e nei sacramenti e vissuto nella carità. La comunità cristiana, se vuole essere segno nel mondo dell’amore di Dio, si deve configurare come comunità in cui si vive la fede, si prega e si instaurano rapporti fraterni. A questo proposito sono significative le parole del nostro vescovo: «La testimonian24 25 26

Cfr. Fil 2, 6; 2Cor 8, 9; Ef 5, 25; Rm 5, 8. 1Cor 12, 20.27. Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale del 20 novembre 1991.

27

Cfr. Nota pastorale dell’Episcopato italiano dopo il 4° Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona, 27. 28

Gv 17, 21.

17


za fondamentale da offrire per essere credibili, come già aveva chiesto Gesù ai primi discepoli, è quella della comunione al proprio interno. Questa profonda e vera fraternità trova il suo fondamento innanzitutto nel Signore: la comunione fraterna è soprattutto dono dello Spirito Santo e meno frutto di una nostra volontà di omologazione umana»29. 15. L’essere un solo corpo comporta il rinunciare a qualsiasi forma di personalismo a favore di una visione comune, elaborata attraverso il confronto e la corretta valorizzazione degli organismi di partecipazione. È in essi che il cammino di conversione viene sognato e realizzato per piccoli passi, fino a dare un volto nuovo alla comunità cristiana, che diventa così più credibile di fronte al mondo. c. Missione: «Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui»30. 16. La Chiesa nasce dall’annuncio della venuta del Regno di Dio. «Se quindi la missione ha il suo centro propulsore nell’annuncio, è necessario che essa si misuri continuamente in rapporto al Regno di Dio atteso come mèta ultima della storia e compimento del destino del mondo»31. La missione della Chiesa è quella di offrire ad ogni uomo la fede in Gesù Cristo, giudice e salvatore dell’umanità e di sostenerlo nel cammino della vita con la predicazione, l’assistenza spirituale e i sacramenti perché egli possa condurre una vita onesta, nel rispetto della giustizia e nell’amore di Dio e dei fratelli32. 17. Occorre mettere la persona al centro della missione pastorale delle nostre comunità, condividendone le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce. Questo è il fondamento per far emergere lo stile evangelico che pone la Chiesa a servizio della speranza di ogni uomo33. Essa, sotto la guida dello Spirito Santo, instaura un dialogo con il mondo, dona agli uomini la luce del Vangelo e mette a loro disposizione le energie 29

MONS. GESTORI G., La sfida educativa continua. Il nostro cammino nella Chiesa, Lettera pastorale 2010. 30 31

1Cor 12, 26. DIANICH S. – NOCETI S., Trattato sulla Chiesa, Queriniana, Brescia 2005, 258.

32

Cfr. Dianich S. – Noceti S., Trattato sulla Chiesa, Queriniana, Brescia 2005, 259.

33

Cfr. Nota pastorale dell’Episcopato italiano dopo il 4° Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona, 22.

18


di salvezza che riceve da Cristo. Il Concilio Vaticano II invita la Chiesa a vivere la prossimità: «Soprattutto oggi urge l’obbligo che diventiamo prossimi di ogni uomo e rendiamo servizio con i fatti a colui che ci passa accanto»34. 18. La nostra società non alza mai, o quasi mai, gli occhi al cielo. Molti cristiani oggi lo sono solo di nome o di tradizione sociologica, altri sono risucchiati nel paganesimo. La comunità cristiana deve occuparsi di questa non fede attraverso una nuova evangelizzazione che per molti risulta essere come la prima. Sono terre di missione il mondo giovanile, il mondo del lavoro, il mondo del commercio, il mondo della politica. Sta diventando terra di missione lo stesso mondo dei bambini, per i quali occorre pensare una nuova Iniziazione Cristiana. Infine, è terra di missione anche il mondo migratorio, che nel nostro tempo è diventato una sfida ancora più forte per noi cristiani dato che la pluralità culturale sollecita l’uomo contemporaneo al dialogo e al confronto. Il numero crescente di matrimoni tra italiani e stranieri, comporta, inoltre, la costituzione di famiglie con diversa indole culturale che dovranno essere evangelizzate in modo specifico. Un’ulteriore spinta all’evangelizzazione viene dalla considerazione che, fin dall’inizio, «la Chiesa apre le sue porte e diventa la casa in cui tutti possono entrare e sentirsi a proprio agio, conservando la propria cultura e le proprie tradizioni, purché non siano in contrasto col Vangelo»35. 19. Compito dell’evangelizzazione della Chiesa è di riproporre, senza mezzi termini, con la Parola e con la vita, tutto il Vangelo, privilegiando la testimonianza della carità. Il vescovo, coadiuvato dai diversi organismi di partecipazione, quali il Consiglio Presbiterale, il Consiglio Pastorale Diocesano e la Consulta delle Aggregazioni Laicali, elaborerà i contenuti e le modalità di questa nuova evangelizzazione, perché la nostra Chiesa sia a servizio dell’uomo, come l’uomo è a servizio di Dio. In questo modo si manifesterà al mondo il volto che chiameremo rigenerante della Chiesa.

34

GS 27.

35

Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Redemptoris Missio, 24.

19


IV. Percorsi pastorali 20. La cura delle relazioni. «La comunità ecclesiale considera una testimonianza all’amore di Dio il promuovere relazioni mature, capaci di ascolto e di reciprocità»36. Pertanto è da incoraggiare e promuovere una comune formazione ecclesiologica, che aiuti a realizzare una vera comunione nel presbiterio, nelle parrocchie, nei gruppi ecclesiali. 21. L’appartenenza a Gesù Risorto. Il Convegno di Verona fa notare che «le caratteristiche di colui che testimonia la risurrezione e la speranza si riassumono in un’affermazione essenziale: “il testimone è ‘di’ Gesù risorto, cioè appartiene a Lui, e proprio in quanto tale può rendergli valida testimonianza, può parlare di Lui, farlo conoscere, condurre a Lui, trasmettere la sua presenza”. Proprio perché siamo suoi, uomini e donne di Dio, popolo che egli ama e guida, possiamo rendere le nostre comunità sacramento della risurrezione, presenze capaci di porre germi di vita nuova, convertita e perdonata»37. 22. La formazione del cristiano. La vita cristiana deve avere dei punti di riferimento precisi. Il confronto quotidiano con la Parola di Dio38, i sacramenti39, la cura della preghiera e la direzione spirituale sono fondamentali per il cristiano perché gli consentono di camminare sulla via della santità sotto la guida dello Spirito. L’attenzione alla vita spirituale aiuta i «credenti a vivere la propria fede nei diversi contesti (famiglia, lavoro, scuola, amicizia, sport, tempo libero,…), sentendosi ben equipaggiati nelle personali convinzioni e senza paura di essere cristiani. 36

Nota pastorale dell’Episcopato italiano dopo il 4° Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona, 23.

37

Nota pastorale dell’Episcopato italiano dopo il 4° Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona, 6.

38

Al numero 6 della Nota pastorale dell’Episcopato italiano dopo il 4° Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona si dice a questo proposito: «è necessario riservare il giusto spazio alla Parola di Dio. La fede deriva dall’ascolto: possiamo dunque essere “sale della terra e luce del mondo” (Mt 5,13-14) se ci alimentiamo alla Parola, che dà una forma originale e unica alla vita e alla speranza». 39

Sempre al numero 6 della Nota pastorale dell’Episcopato italiano dopo il 4° Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona, si afferma: «L’Eucaristia, memoriale del sacrificio di Cristo, costituisce il centro propulsore della vita delle nostre comunità. Nell’Eucaristia, infatti, “si rivela il disegno d’amore che guida tutta la storia della salvezza. In essa il Deus Trinitas, che in se stesso è amore, si coinvolge pienamente con la nostra condizione umana”. Per questo, l’Eucaristia domenicale è il cuore pulsante della settimana, sacramento che immette nel nostro tempo la gratuità di Dio che si dona a noi per tutti. L’Eucaristia conduce all’ascesi personale e al servizio ai poveri, segni dell’autenticità del nostro conformarci a Cristo e della nostra testimonianza, perché “un’Eucaristia che non si traduca in amore concretamente praticato è in se stessa frammentata”».

20


La paura nasce quando la fede è debole ed incerta, mentre quando si aderisce al Signore con convinzione, allora ci si sente più sicuri ed anche serenamente fortunati di essere sui discepoli»40. 23. Organismi di partecipazione e corresponsabilità. La comunione si concretizza nella corresponsabilità che comporta la disponibilità a condividere le scelte che riguardano tutti. Per questo è necessario che si valorizzino gli organismi di partecipazione diocesani e parrocchiali: il Consiglio Presbiterale; il Consiglio Pastorale Diocesano; la Consulta delle Aggregazioni Laicali; gli incontri di Vicaria; il Consiglio Pastorale Parrocchiale; il Consiglio per gli Affari Economici parrocchiale e diocesano. Attraverso di essi si esprime la sinodalità della Chiesa, allenandosi nel discernimento, nell’ascolto reciproco, nel confronto delle posizioni, fino a maturare, secondo le responsabilità di ciascuno, decisioni condivise41. 24. Pastorale integrata. Una pastorale integrata pone in rete le molteplici risorse di cui dispone, umane, spirituali, culturali, pastorali, facendole confluire entro progetti comuni. È necessario elaborare un chiaro e definito progetto pastorale diocesano, attraverso l’apporto degli Uffici Pastorali, che hanno lo scopo di coordinare e sviluppare l’attività ecclesiale nei vari settori e ambiti di vita. A tal fine occorre stabilire, per ognuno di essi, un Regolamento che ne chiarisca la natura, le finalità e lo stile operativo di collaborazione all’interno dell’equipe (il decreto di nomina, oltre al Direttore dell’Ufficio, potrebbe elencare anche i collaboratori, specificandone il ruolo), tra i vari Uffici e tra le diverse realtà ecclesiali. È quanto mai urgente, quindi, un’innovazione degli Uffici Pastorali Diocesani; il loro lavoro è un’occasione offerta a presbiteri e laici per condividere la comune passione per l’evangelizzazione, per vivere la comunione e riuscire a rispondere con maggiore efficacia alle domande dell’uomo. I laici, infatti, offrono un contributo prezioso perché aiutano i presbiteri ad ascoltare il mondo, a conoscerlo e a comprenderlo. 25. Unità pastorali. Per la nostra Chiesa diocesana è tempo di sperimentare le Unità Pastorali, non tanto per risolvere l’esiguità numerica 40

MONS. GESTORI G., La sfida educativa continua. Il nostro cammino nella Chiesa, Lettera pastorale 2010. 41

Cfr. Nota pastorale dell’Episcopato italiano dopo il 4° Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona, 24.

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dei sacerdoti, quanto per promuovere un nuovo modo di essere Chiesacomunione. Le Unità Pastorali consentono di mettere in rete i doni e le risorse presenti nel territorio e di riuscire, con maggiore facilità, a porre in atto scelte pastorali urgenti e coraggiose. Esse coinvolgono l’intero popolo di Dio, richiedendo uno spirito di umiltà e di collaborazione, un progetto specifico e un’adeguata ridistribuzione del presbiterio nel territorio diocesano. Le Parrocchie, in tal modo, superano la categoria dell’autosufficienza, decidono di lavorare insieme sul territorio ed elaborano progetti pastorali comuni e condivisi, offrendo la testimonianza di una fraternità concretamente vissuta sia dai presbiteri, che dai fedeli. Si potrebbero pensare progetti di Vicaria per i diversi ambiti di pastorale facendo riferimento agli Uffici di Curia corrispondenti. 26. Aggregazioni laicali. Per una maggiore conoscenza del carisma e del servizio delle aggregazioni laicali presenti in Diocesi, si potrebbero proporre momenti di preghiera comunitari, sia a livello diocesano che parrocchiale, occasioni di riflessione a carattere culturale, incontri ecclesiali da organizzare insieme, eventi itineranti che coinvolgano le Vicarie (concerti, veglie, meeting,…) e contribuiscano ad aumentare la collaborazione e la comunione tra loro e con le parrocchie.

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Laboratorio 2

LA NASCITA: ACCOGLIENZA ALLA VITA E INIZIAZIONE CRISTIANA



I. Icona Biblica: Gn 18,1 -14.16-17.19 Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. 2Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, 3dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo. 4Si vada a prendere un po’ d’ acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. 5Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto». 6 Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce». 7All’armento corse lui stesso, Abramo, prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. 8Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono. 9 Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». 10 Riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio». Intanto Sara stava ad ascoltare all’ingresso della tenda, dietro di lui. 11Abramo e Sara erano vecchi, avanti negli anni; era cessato a Sara ciò che avviene regolarmente alle donne. 12Allora Sara rise dentro di sé e disse: «Avvizzita come sono, dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio!». 13Ma il Signore disse ad Abramo: «Perché Sara ha riso dicendo: Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia? 14 C’è forse qualche cosa d’impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te tra un anno e Sara avrà un figlio». […] 16Quegli uomini si alzarono e andarono a contemplare Sodoma dall’alto, mentre Abramo li accompagnava per congedarli. 17Il Signore diceva: « […] 19Infatti io l’ho scelto, perché egli obblighi i suoi figli e la sua famiglia dopo di lui a osservare la via del Signore e ad agire con giustizia e diritto, perché il Signore compia per Abramo quanto gli ha promesso». 1

II. Premessa 27. Abramo, nonostante la sua vecchiaia e la sua fragilità, non cessa di credere “follemente”, di abbandonarsi alla volontà di Dio e di sperare concretamente nelle Sue promesse. La Chiesa ha così un modello da 25


imitare: non deve aver paura di affidarsi a Colui che l’ha chiamata e guidata. Essa non teme la sua “vecchiaia” e non perde la speranza che la rende credibile. Non smette di osare e di andare oltre le proprie stanche sicurezze di un tempo. 28. Il Signore arriva sempre e, come ad Abramo è giunto nella figura dei tre personaggi misteriosi, oggi continua ad inviare nuovi messaggeri all’umanità in ricerca. Da questa epifania del Signore nasce per l’uomo la possibilità di guarire, sollevarsi e salvarsi. 29. Ad Abramo, che confida totalmente in Dio, nasce Isacco, “colui che fa sorridere”. Nella nostra Chiesa, che continua a credere nella capacità del Signore di sorprendere, deve nascere la gioia di tornare ad annunciare con esultanza ciò che un tempo anche noi abbiamo toccato e veduto personalmente, il Verbo di Dio, e che, da allora, non abbiamo mai voluto smettere di annunciare42.

III. Riflessione tematica a. La nascita: accoglienza alla vita: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio»43. 30. Con l’annuncio della nascita di Isacco, si compie quanto Dio aveva promesso ad Abramo, di dargli non solo un erede, ma, mediante lui, una discendenza numerosa: il popolo eletto. La singolarità e la bellezza dell’incontro di Abramo con i tre uomini, mettono in risalto i temi dell’ospitalità e della promessa di un figlio, visti come accoglienza dell’altro e dono ricevuto. Tale episodio, esalta la vita come dono di Dio, frutto della sua fedeltà e misericordia e come tale è un bene da accogliere e custodire sempre. 31. L’avventura della vita umana inizia fin dalla fecondazione44. Dice la Scrittura: «Prima di formarti nel grembo materno ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato»45. La Vita è un dono e una 42 43 44 45

26

Cfr. 1 Gv 1, 1-3 Gn 18, 10. Cfr Donum Vitae, parte 1 n. 1. Ger 1, 5.


responsabilità poiché Dio ha affidato alla coppia la capacità di continuare il suo atto creativo iniziale. Nessun uomo e nessuna donna sono padroni della vita. I figli non sono un oggetto, né un prodotto confezionato in laboratorio, ma frutto di un atto di amore. 32. La vita va difesa sempre anche quando è debole e sofferente. «Contro il pessimismo e l’egoismo, che oscurano il mondo, la Chiesa sta dalla parte della vita: e in ciascuna vita umana sa scoprire lo splendore di quel Sì, di quell’Amen, che è Cristo stesso. Al no, che invade ed affligge il mondo, contrappone questo vivente Sì, difendendo in tal modo l’uomo e il mondo da quanti insidiano e mortificano la vita»46. Un dialogo ragionevole con il mondo moderno su questo tema importantissimo, ma pur tanto discusso, senza cedere a compromessi, è una sfida da non trascurare. b. Iniziazione cristiana: «Infatti io l’ho scelto, perché egli obblighi i suoi figli e la sua famiglia dopo di lui a osservare la via del Signore e ad agire con giustizia e diritto, perché il Signore compia per Abramo quanto gli ha promesso»47. 33. Abramo, per la sua fedeltà incondizionata a Dio, è da sempre il modello di ogni credente. Egli genera alla fede il popolo affidatogli, attraverso la conoscenza del vero volto del Signore. Questa è l’eredità che, trasmessa di generazione in generazione, conduce all’accoglienza del Messia. 34. La Chiesa, con l’iniziazione cristiana, anche oggi genera i suoi figli e rigenera se stessa, offrendo a tutti la possibilità di accedere alla fede, di crescere in essa e di testimoniarla nel mondo. Essa però deve tener conto dei nuovi scenari culturali e religiosi, che pur conservando larghe tracce della tradizione cristiana, sono segnati da un processo di secolarizzazione e di scristianizzazione, che diffonde una concezione della vita in cui è escluso ogni riferimento al Trascendente. 35. In questo contesto risulta necessario «ricercare percorsi praticabili e rispondenti al cambiamento culturale»48attraverso una conversione di mentalità e di stile pastorale. Si tratta di assumere anche ordinariamente,

46 47

Ger 1, 5. Gn 18, 19.

48

UFFICIO CATECHISTICO NAZIONALE, La formazione dei catechisti nella comunità cristiana, 2.

27


la dimensione della missionarietà. Diventa, così, irrinunciabile orientare tutta l’azione evangelizzatrice della Chiesa nella direzione del primo annuncio. «L’esperienza pastorale attesta, infatti, che non si può sempre supporre la fede in chi ascolta. Occorre ridestarla in coloro nei quali è spenta, rinvigorirla in coloro che vivono nell’indifferenza, farla scoprire con impegno personale alle nuove generazioni e continuamente rinnovarla in quelli che la professano senza sufficiente convinzione o la espongono a grave pericolo. Anche i cristiani ferventi, del resto, hanno sempre bisogno di ascoltare l’annuncio delle verità e dei fatti fondamentali della salvezza e di conoscerne il senso radicale, che è la “lieta novella” dell’amore di Dio»49. Particolarmente significativa, a questo proposito, è l’esperienza dei Corsi di Cristianità. 36. Il primo annuncio non precede solo l’iniziazione cristiana, ma deve attraversare trasversalmente qualsiasi proposta pastorale, anche quelle rivolte ai credenti praticanti50. Esso pone al centro la persona, si propone di rinnovare i contenuti della pastorale, del suo metodo e del suo stile, nell’ottica di un cammino di formazione permanente; richiede, inoltre, parole e gesti con cui proclamare la risurrezione di Gesù, la ricerca di nuovi linguaggi per dire la fede di sempre e soprattutto una prassi di vita che favorisca l’incontro con Cristo51. 37. L’iniziazione cristiana, conseguenza del primo annuncio, una volta riguardava solo i bambini e i fanciulli, era voluta e sostenuta dalle parrocchie, oltre che dalle famiglie, ed era favorita da una realtà socioculturale caratterizzata fortemente dai valori cristiani. In questo contesto non era necessario prevedere iniziative specifiche, se non la catechesi per la preparazione immediata ai sacramenti della Prima Comunione e della Confermazione. 38. Oggi sono in aumento anche gli adulti che chiedono il battesimo, o il completamento dell’iniziazione cristiana, spesso alla ricerca di una qualche integrazione sociale, ma anche mossi dal desiderio di una risposta ai problemi della loro vita. Sono uomini e donne «che provengono da altre culture e da religioni non cristiane, desiderosi di un inserimento de49

CEI, Il Rinnovamento della Catechesi. Documento Base, 1970, 25.

50

Cfr. Annuncio e catechesi per la vita cristiana, Lettera alle comunità, ai presbiteri e ai catechisti nel 40° del Documento Base. 51

28

Cfr. VESCOVI DELLE DIOCESI LOMBARDE, La sfida della fede:il primo annuncio, 2009.


finitivo nel paese che li ha accolti; lavoratori che hanno trovato, insieme al posto, anche un ambiente solidale e comprensivo; giovani che hanno incontrato gruppi ecclesiali aperti e vivaci; fanciulli che frequentano la scuola in un ambiente cristiano e domandano il Battesimo coinvolgendo anche i loro genitori».52 39. Nonostante l’impegno di tanti, risulta evidente la situazione di grave crisi in cui si trova oggi il processo tradizionale di Iniziazione Cristiana. C’è un forte scarto tra le mete ideali dell’iniziazione, le risorse impiegate e i risultati conseguiti. Per molti ragazzi e ragazze la conclusione del processo di iniziazione coincide praticamente con l’abbandono della vita cristiana. Sempre più spesso negli stessi fanciulli battezzati non si può presupporre un’educazione cristiana ricevuta nelle famiglie di provenienza, né si può dare più per scontato che coloro che si presentano siano cristiani consapevoli. 40. La prassi tradizionale dell’Iniziazione Cristiana dei fanciulli e ragazzi battezzati va quindi ripensata. Anche con questi ragazzi si dovrà affrontare un cammino di prima evangelizzazione e di reale iniziazione alla fede che tenga conto dell’unità dei sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Eucaristia, in quanto costituiscono e completano l’unica realtà dell’essere immersi dentro la Pasqua di Cristo morto e risorto. Si tratta di un’unica azione di grazia che parte dal Battesimo e si compie attraverso la Confermazione nell’Eucaristia. È l’Eucaristia il sacramento che, continuamente offerto, non chiude un’esperienza, ma la rinnova ogni settimana, nel giorno del Signore. La celebrazione della Prima Comunione è l’inizio della comunione con Cristo nella Chiesa. 41. Il sacramento della riconciliazione non fa parte del processo dell’iniziazione cristiana e, a seconda dell’età e della situazione delle persone, può essere celebrato in forma comunitaria o individuale al momento opportuno. Il sacramento costituisce l’esperienza fondante per promuovere la dimensione penitenziale della vita cristiana; è il momento in cui la grazia di Dio può agire ristabilendo quel senso di giustizia e libertà che ogni uomo cerca. 42. È importante ribadire che la catechesi non è finalizzata ai sacramenti, ma è un percorso di introduzione globale nella vita cristiana e di 52

CEI, L’iniziazione cristiana 1 - Orientamenti per il catecumenato degli adulti, Roma 1997, 3.

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maturazione nella fede. In tal senso, il ruolo e il coinvolgimento della famiglia è fondamentale; non è più pensabile delegare totalmente il compito educativo e di trasmissione della fede ai catechisti e agli educatori. Famiglia e comunità devono interagire. È necessario, pertanto, uscire dallo schema dell’ora settimanale per ampliare i tempi e i momenti in cui genitori e figli vivono insieme alcune esperienze (va valorizzata l’esperienza dell’Oratorio). In un clima di accoglienza, occorre superare la sovrapposizione dei tempi scolastici con quelli della catechesi per dare visibilità al fatto che si inizia un cammino nella Chiesa, scandito dai tempi liturgici e dalle tappe di maturazione di ogni persona, a prescindere dall’età. 43. Le associazioni, i gruppi ecclesiali e i movimenti costituiscono, particolarmente nell’ambito della formazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi, una realtà ricca di presenza e di valore ecclesiale, pastorale e pedagogico. L’Azione Cattolica Ragazzi e l’AGESCI offrono un servizio ecclesiale che permette una molteplicità di proposte educative sostenute da mediazioni pedagogiche e didattiche. 44. Anche l’esperienza specifica del Cammino Neocatecumenale, con il suo metodo lungo e progressivo, risulta efficace per la riscoperta della fede in molti adulti e giovani battezzati.

IV. Percorsi pastorali 45. Educazione alla vita. «L’accoglienza del dono dello Spirito porta ad abbracciare tutta la vita come vocazione. Nel nostro tempo, è facile all’uomo ritenersi l’unico artefice del proprio destino e pertanto concepirsi “senza vocazione”. Per questo è importante che nelle nostre comunità ciascuno impari a riconoscere la vita come dono di Dio e ad accoglierla secondo il suo disegno d’amore»53. Vanno, dunque, incoraggiate tutte le esperienza di educazione alla vita sia negli incontri per fidanzati sia nei gruppi parrocchiali e realtà ecclesiali. Un’attenzione particolare va riservata all’interno dei cammini di fede per giovani e giovanissimi alle iniziative di educazione alla sessualità. 46. Promozione della vita. Il servizio diocesano di assistenza alla vita, tanto quella nascente quanto quella in difficoltà o che si sta spe53

Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, 23.

30


gnendo, va potenziato e coordinato meglio, in modo da poter rispondere adeguatamente alle richieste di aiuto e di solidarietà. Da non trascurare è la sensibilizzazione e il coinvolgimento delle famiglie all’affido temporaneo e all’adozione. In tal senso, urge un lavoro in rete con gli organismi civili. Sarebbe opportuno, inoltre, adoperarsi per garantire un sostegno economico alle madri incinte. 47. Difesa della vita. Si auspica la creazione di un comitato con particolari competenze culturali e scientifiche, specie nel campo della bioetica, che promuova la difesa della vita collaborando con le realtà locali e facendosi portatore di specifiche iniziative a livello sociale, politico e sindacale. I cristiani sono chiamati a difendere la vita, in ogni sua espressione e in tutti gli ambienti, specie nell’ambito politico, sede decisionale ed esecutiva di problematiche che riguardano proprio l’esistenza di ciascuno. I membri della comunità cristiana hanno la responsabilità di contribuire positivamente alla creazione, alla gestione anche economica e al perfezionamento di tutte le iniziative a sostegno della vita. Particolare rilievo si dia alla giornata per la vita, proponendo due giorni di incontri diocesani di riflessione, invitando degli esperti per dibattiti sulla bioetica e sui progetti di legge in difesa della vita (procreazione assistita, eutanasia, l’accanimento terapeutico...). 48. Servizio diocesano per il Catecumenato. Per aiutare le comunità cristiane a impostare in modo corretto ed efficace gli itinerari previsti per l’iniziazione cristiana, soprattutto il cammino di catecumenato degli adulti non battezzati, o che hanno ricevuto solo il battesimo, e quello dei fanciulli in età scolare non ancora battezzati, sarebbe bene istituire un’apposita struttura denominata Servizio diocesano per il Catecumenato che avrà il compito di conoscere la situazione, avviare nuove esperienze ai diversi livelli, predisporre strumenti e sussidi, verificare ed approfondire quanto si sta operando. Tale servizio potrebbe delineare un percorso diocesano per aiutare le famiglie a prendere coscienza della grazia del Battesimo, soprattutto in occasione del Battesimo dei figli. Esso potrebbe aiutare le parrocchie ad affrontare sia la delicata questione del Battesimo degli adulti, sia quella del Battesimo dei figli di coppie che vivono in situazioni irregolari. 49. Ufficio Catechistico Diocesano. Sarà compito dell’Ufficio Catechistico Diocesano, con la collaborazione di quanti lavorano nella pastorale dei fanciulli e dei ragazzi, supportare le famiglie e le Comuni31


tà Parrocchiali proponendo itinerari catechistici e liturgici a tappe. Esso dovrà, inoltre, favorire l’integrazione delle differenti componenti educative nel progetto catechistico Diocesano, richiamare e verificare le linee comuni della formazione dei catechisti ed educatori in vista del mandato del vescovo. Infine, spetterà a tale ufficio la verifica dei percorsi catechistici delle varie realtà ecclesiali sulla base dei criteri ritenuti fondanti il cammino di iniziazione cristiana proposto dalla CEI. 50. Pastorale catecumenale. è necessario promuovere una “pastorale catecumenale”, sensibilizzando i sacerdoti e gli operatori pastorali alla scelta del catecumenato, favorendo la conoscenza del RICA e stabilendo indicazioni comuni che siano condivise e applicate da tutti. 51. Strutture di supporto. Urge indicare e realizzare strutture di supporto diocesane affinché le parrocchie siano messe in grado, da una parte, di sostenere la difficile opera di accompagnamento degli adulti verso il battesimo, e dall’altra, di seguire con sollecitudine materna i neofiti. 52. Formazione dei catechisti e degli educatori. Al fine di salvaguardare il bene dei fanciulli e dei ragazzi e il rispetto dell’unità interiore delle loro persone, è opportuno seguire con particolare cura, a livello diocesano e parrocchiale, la crescita e la formazione spirituale e culturale dei catechisti. A loro, infatti, è affidato il compito di sostenere, favorire, guidare e indirizzare, tanto nella fase preparatoria quanto in quella mistagogica, il cammino dell’iniziazione cristiana. è importante e decisivo che gli operatori pastorali tengano presente che non vi può essere azione pastorale efficace se non viene continuamente curata la formazione permanente. 53. Insegnamento della religione. è opportuno che gli insegnanti di Religione Cattolica siano aiutati a intendere correttamente il profondo legame tra cultura e fede, evitando sortite improprie sul piano della catechesi, senza dimenticare le fonti bibliche e storiche da cui nasce la cultura cristiana che ha caratterizzato la civiltà dell’Europa e dell’Occidente. Sarà premura della Diocesi discernere i criteri di scelta, e curare la formazione degli insegnanti. Vanno incoraggiati i preti giovani ad intraprendere l’Insegnamento della Religione Cattolica. 54. Scuole Cattoliche. è importante rivolgere una particolare attenzione alle Scuole Cattoliche presenti in Diocesi. Esse possono essere veri

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laboratori di fede. Pertanto, vanno qualificate in tutto ciò che riguarda l’ispirazione cristiana e sostenute in ciò che concerne la questione educativa, che sollecita, da un lato, a non accantonare la grande domanda relativa alla verità e, dall’altro, a trovare un giusto equilibrio tra libertà e disciplina. 55. Centri di ascolto. è necessario favorire e sostenere l’esperienza dei centri di Ascolto della Parola che costituiscono delle strutture permanenti di evangelizzazione, di catechesi, di iniziazione alla preghiera, di testimonianza della carità e di educazione a una rinnovata partecipazione alla vita ecclesiale. Seguendo diverse modalità di attuazione, essi sottolineano che la Parola è alla base di ogni annuncio di fede. 56. I cercatori di Dio. È opportuno riscoprire il valore, l’urgenza, le condizioni di possibilità e le modalità concrete di comunicare la fede a chi sembra mosso da nostalgia, da curiosità o da un desiderio acuto, forse anche da un bisogno inconfessato, di trovare la luce della vita, la sua piena salvezza, il suo significato.

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Laboratorio 3

IL CAMMINO DELL’ADOLESCENZA E LE SCELTE DELLA GIOVINEZZA. I GIOVANI RISORSA DELLA CHIESA.



I. Icona biblica: Lc 19,1-12 Entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, 2quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, 3cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. 4Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, poiché doveva passare di là. 5Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». 6 Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. 7Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». 8Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». 9Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. 10Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto». 1

II. Premessa 57. La vita dei nostri ragazzi e giovani, le loro gioie e scoperte, come le loro ansie e preoccupazioni sono al centro del Sinodo diocesano. «La comunità cristiana si rivolge ai giovani con speranza: li cerca, li conosce e li stima; propone loro un cammino di crescita significativo. […] I giovani sono una risorsa preziosa per il rinnovamento della Chiesa e della società. Resi protagonisti del loro cammino, orientati e guidati a un esercizio corresponsabile della libertà, possono davvero sospingere la storia verso un futuro di speranza»54. Al tempo stesso, la Chiesa è cosciente delle problematiche legate alla situazione del mondo contemporaneo, che chiede risposte precise, chiare e convincenti. 58. La passione educativa nasce da un vero amore per i giovani55, che li accoglie così come sono, proiettandoli verso la vita, la verità, la generosità del dono di sé. La nostra Chiesa vuole abbattere le paure e accettare la sfida educativa; vuol farsi compagna di strada dei giovani attraverso i genitori, gli educatori, gli animatori, la comunità cristiana. Per questo

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Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, 32.

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Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, Orientamenti della CEI per il primo decennio del Duemila, 51.

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sente la responsabilità di non eludere le loro attese e di non deluderli con il proprio esempio. 59. Le nuove generazioni esprimono un anelito profondo verso quei valori autentici che hanno la loro pienezza in Cristo. Egli è il segreto della vera libertà e della profonda gioia del cuore, è l’amico supremo e anche l’educatore di ogni autentica amicizia. Le crisi e le fatiche, che a volte i nostri ragazzi vivono, nascono spesso da una mancanza di coerenza fra ciò che si insegna e i comportamenti di genitori, educatori, uomini di Chiesa. I giovani cercano la verità: è la verità che sfugge ai loro occhi! Occorre, pertanto, che Cristo sia presentato ai giovani con il Suo vero volto, come risposta convincente agli interrogativi di senso dell’esistenza56. Gesù ebbe il coraggio di fare proposte veramente radicali, come nel caso del giovane ricco: «Se vuoi entrare nella vita osserva i comandamenti. […] Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri ed avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!»57.

III. Riflessione Tematica 60. Dall’ascolto delle domande, delle speranze e dei rimproveri dei giovani alle comunità cristiane, si deduce il desiderio di tornare al Vangelo, di riscoprire il tesoro nascosto, di annunciare il Cristo vivente oggi, compagno di strada di ogni fratello. 61. «Entrò nella città di Gerico e la stava attraversando»58. La Chiesa deve tornare ad attraversare la città, calcando le stesse orme del Maestro. Entrare a Gerico significa non rimanere nei recinti sacri delle sicurezze ormai standardizzate, ma accettare i linguaggi poliedrici, spesso riduttivi, dei giovani contemporanei ed il loro modo di essere, per quella profonda solidarietà cristiana, che risponde al principio dell’incarnazione di Cristo che ha amato la città dell’uomo. 62. Zaccheo «cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla»59. I giovanissimi e i giovani, che spesso consideriamo lontani, indif56

Cfr. NMI, 9

57

Mt 19, 17. 21.

58

Lc 19,1.

59

Lc 19,3.

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ferenti, in realtà serbano nella loro vita il desiderio di Cristo, confuso nel bisogno del benessere, imperativo incalzante di questo nostro tempo. La folla dei modi di apparire e di emergere, impedisce l’incontro con Gesù e si pone come filtro, il filtro del «giudizio» altrui, che tanto condiziona i ragazzi. Giovanni Paolo II a Tor Vergata nel 2000 affermava: «In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità; […] è Lui che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna. […] Dicendo sì a Cristo, voi dite sì ad ogni vostro più nobile ideale. […] Non abbiate paura di affidarvi a Lui. Egli vi guiderà, vi darà la forza di seguirlo ogni giorno e in ogni situazione». La nuova folla dinamica, che non opprime, non omologa, ma accompagna, è l’immagine della Chiesa, composta da un insieme di fratelli che camminano fianco a fianco ai giovani col desiderio di amarli e di aiutarli a fare esperienza viva di Gesù. 63. «Per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro»60. Il compito della comunità educante è farsi sicomòro: occorre aiutare i giovanissimi e i giovani a incontrare lo sguardo di Gesù; è necessario stare sul ciglio della strada, su quel confine che unisce la folla che passa e Chi si ferma a guardarla e a capirla. La Chiesa oggi ha più che mai bisogno di uomini e donne testimoni autentici, capaci, come il sicomòro, di essere un po’ più in alto, disposti a far salire anche chi è più affaticato. 64. «Vedendo ciò, tutti mormoravano»61. Il Sinodo desidera valorizzare la presenza dei giovani nella Chiesa diocesana e nel nostro territorio. Non blocchiamo i nuovi Zaccheo con il mormorio sfiduciato e rassegnato di una società, che pretende l’eterna giovinezza ma che spesso è vecchia e sclerotizzata. «Oggi si assiste al fenomeno di una progressiva interruzione del dialogo intergenerazionale: gli adulti stanno costruendo una società che ruba avidamente spazi e tempi ai giovani e non riesce più a prestare sufficiente attenzione né alla loro reale condizione, né alla possibilità del loro futuro sviluppo. In questo modo aumenta una sorta di risentimento da parte degli adulti nei confronti dei giovani, dal momento che gli stessi giovani, con la loro pura presenza, ricordano ciò che gli adulti vorreb60 61

Lc 19,4. Lc 19,4.

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bero ad ogni costo dimenticare: lo scorrere del tempo, l’avvicinarsi della malattia, l’inesorabile ora del congedo da questa vita»62. 65. «Oggi per questa casa è venuta la salvezza»63. L’ingresso di Gesù nella casa di Zaccheo è kairòs, il momento favorevole, forse preparato da una sua lunga simpatia per Gesù e i suoi compagni. Come Chiesa, spalanchiamo la porta della Salvezza, lasciamo entrare i giovani in quella casa che è Cristo, che rende libera la vita di ogni uomo. Il servizio delle parrocchie al mondo dei giovani deve mostrare il volto liberante di Cristo nell’esperienza della comunità cristiana: educheremo alla vera libertà nella misura in cui indicheremo loro la via audace della responsabilità. Bisogna, infatti, che essi assumano tutte le responsabilità della vita umana: studio, acquisizione di una professionalità, impegno nella comunità civile ed ecclesiale. Le esperienze forti da proporre ai giovani devono coniugarsi con i cammini ordinari della vita, affinché possano operare scelte di cui poi si è responsabili. È necessario creare veri laboratori della fede, in cui essi crescano e diventino capaci di testimoniare la Buona Notizia del Signore64.

IV. Percorsi pastorali 66. Dopo aver cercato di entrare all’interno della complessità dell’arcipelago giovani, si pone la necessità di scendere a tracciare alcune linee operative da sottoporre all’assemblea sinodale. Facendo tesoro di quanto finora rilevato, si possono considerare le seguenti possibilità operative. 67. I giovani: soggetti della pastorale nella comunità parrocchiale. Per far sì che la libertà dei giovani si traduca nella scelta profetica della responsabilità, si propongono i seguenti ambiti in cui si ritiene necessaria la loro presenza, affinché essi possano essere aiutati a superare la logica dell’individualismo e a maturare nella consapevolezza della propria fede: animazione dei gruppi parrocchiali dell’Iniziazione Cristiana (bambini e ragazzi); animazione dell’oratorio; volontariato nella gratuità;

62 63 64

MARIO PIZZIGHINI, Settimana, 28/02/2010. Lc 19, 9.

Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, Orientamenti della CEI per il primo decennio del Duemila, 51.

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impegno nella pastorale d’ambiente dove i giovani vivono la maggior parte del loro tempo (scuola, politica, sport e tempo libero…); animazione della liturgia. Purtroppo alcune volte si può far fatica nelle comunità a creare tali occasioni, per questo è auspicabile una “rete delle proposte” tra parrocchie, capaci di creare una profonda comunione ecclesiale tra le comunità e in particolare i gruppi di giovani e dei loro educatori. 68. Equipe del Servizio di Pastorale Giovanile. Occorre un Servizio di Pastorale Giovanile che sia luogo di comunione di tutte le identità diocesane, strutturato come équipe, che si incontri periodicamente e sappia elaborare un ampio progetto pastorale diocesano, coordinato e unitario, dove entri la vita delle comunità cristiane, delle associazioni e movimenti, dove nascano proposte concrete per aiutare le comunità parrocchiali. Si avverte la necessità di favorire un maggiore coordinamento tra la pastorale giovanile, quella familiare, del lavoro e vocazionale. Il tema della vocazione è centrale per la vita di un giovane, affinché ciascuno giunga a discernere la forma di vita in cui è chiamato a spendere tutta la propria libertà e creatività65. 69. Iniziazione Cristiana. Anche se ciò rientra nello specifico del secondo laboratorio, il nostro Sinodo chiede di rivedere il percorso dell’Iniziazione Cristiana dei ragazzi e dei giovani, in modo tale che non tenga conto esclusivamente del criterio cronologico66 nella scansione sacramentale (cioè legare prima comunione e cresima esclusivamente ad un’ètà), che sappia proporre uno sviluppo legato ai tempi di maturazione del ragazzo e alla sua reale situazione di vita, attraverso tappe di traditio e redditio, accompagnate da strumenti catechistici e appuntamenti comuni. Si potrà così rinnovare quel cammino di riscoperta della fede ispirato al RICA. 70. Pastorale di strada. È auspicabile strutturare una pastorale di strada, che sappia dialogare con la movida della riviera, superando l’immagine di una Chiesa «catacombale ed introversa» per quella di una Chiesa «solare ed estroversa», che non teme di vivere la notte, che sa entrare nei pub, negli stabilimenti balneari, negli Happy hour per mostrare in essi uno spazio di preghiera, di ascolto, di silenzio e di riconciliazione. Può 65 Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, Orientamenti della CEI per il primo decennio del Duemila, 51. 66

Cfr. Relazione Mons. Brambilla, San Benedetto del Tronto, 14/04/2010.

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essere interessante destinare una chiesa del centro o della riviera ad una celebrazione eucaristica settimanale in un orario serale (ad es. il sabato notte…), animata nel canto, nello stile del mondo giovanile, un punto di riferimento per tutti i giovani. La pastorale di strada non si esaurisce solo nel confronto con la “notte”, ma si apre anche a quelle “strade” che sono i vari ambienti dei giovani come al n. 67. 71. Oratorio. «Adattandosi ai diversi contesti, l’oratorio esprime il volto e la passione educativa della comunità, che impegna animatori, catechisti e genitori in un progetto volto a condurre il ragazzo a una sintesi armoniosa tra fede e vita. I suoi strumenti e il suo linguaggio sono quelli dell’esperienza quotidiana dei più giovani: aggregazione, sport, musica, teatro, gioco, studio»67. Si propone l’attuazione di un progetto comune per gli oratori, fondato sulla gratuità e sul servizio libero e disinteressato dei giovani, senza cadere in lungaggini burocratiche. È necessario promuovere uno stile condiviso e un lavoro comune tra le varie realtà ecclesiali, attivando una scuola diocesana per gli educatori e avviando queste iniziative anche nelle parrocchie in maggiore difficoltà. 72. Formazione Spirituale. Accompagnare la ricerca di Dio dei giovani con esperienze forti quali: Esercizi Spirituali, Confronto con la Parola, Scuole di Preghiera, realtà capaci di creare spazi personali di approfondimento. A tale scopo, il Servizio di Pastorale Giovanile, potrebbe considerare il progetto di una “Casa Comune dei giovani” (esperienza peraltro già in atto in molte diocesi italiane). Un luogo dove i giovani si sentano a casa, per sperimentare quella scuola feriale della fede che è la vita comunitaria, la traduzione più radicale e bella del Vangelo. Una casa in cui si propone la vita comune ai giovani per un periodo di tempo breve ma qualificante, animato a turno da un sacerdote. Un tempo dove le storie personali di ognuno possano intrecciarsi con quella di Cristo. Questo e molto altro potrà suggerire lo Spirito Santo ai fratelli dell’Assemblea sinodale, con una sola raccomandazione: Non spegniamo lo Spirito! Accettiamo la sfida lanciata dai giovani per una chiesa giovane nelle persone, nei linguaggi e nelle prospettive, che sappia far largo a loro nelle responsabilità sia diocesane che parrocchiali, che non tema i “volti nuovi”, vero segno di vita della chiesa!

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Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, 42.


Laboratorio 4

L’AMORE DI UN UOMO E DI UNA DONNA: LA FEDELTÀ ALLA FAMIGLIA E LA SFIDA EDUCATIVA



I. Icona Biblica: Luca, 10, 30-37 Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e cadde nelle mani dei briganti che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31 Per caso un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. 32 Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. 33 Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 35 Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. 36 Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?» 37 Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così». 30

II. Premessa 73. La famiglia scendeva da Gerusalemme a Gerico per le vie tortuose della storia, quando incontrò i tempi moderni. Non erano più briganti di altri, ma si accanirono contro di essa. Le rubarono la fede, che più o meno aveva conservato, poi le tolsero l’unità e la fedeltà, la fecondità e il rispetto per la vita, la possibilità di educare in casa i propri figli, la serenità del colloquio domestico, la solidarietà con il vicinato e l’ospitalità per i viandanti e i dispersi68. La incontrò un prete e la sgridò: «Perché non hai resistito? Forse eri d’accordo con chi ti ha assalito?». Passò uno psicologo vide la famiglia ferita sull’orlo della strada e disse: «Era oppressiva. Meglio che sia finita.» e continuò il cammino69. Infine passò il Signore, che la vide, ne ebbe compassione e si chinò su di lei lavandole le ferite con l’olio della Sua tenerezza e il vino del Suo amore. Se la caricò sulle spalle70. Egli l’affidò alle cure materne della Chiesa, lasciando ad essa due denari, cioè tutta la ricchezza dei comandamenti dell’amore (amore verso Dio e verso il prossimo). La Chiesa in tal modo è l’albergo in cui la 68

Cfr. SALVINI GIANPAOLO s.j., Conflittualità e riconciliazione in famiglia - Spunti per un Giubileo della famiglia, in La Civiltà Cattolica, 2000 II, 165.

69 70

Cfr. Ibidem. Cfr. Ibidem. 45


famiglia viene curata secondo il modulo della Trinità. Questo «di più»71 lo si può individuare nell’amore infinito delle Tre persone divine: un papà (Dio Padre), una mamma (Spirito Santo), un figlio (Gesù Cristo). La famiglia di Nazareth ha vissuto la perfezione di questo modulo trinitario, in essa si fondono i ruoli di Dio e dell’uomo: una donna è Madre di Dio, un uomo rappresenta in tutto l’autorità paterna di Dio, il Figlio di Dio è contemporaneamente Figlio dell’uomo.

III. Riflessione tematica 74. È innegabile che, in questo momento storico, la famiglia è investita da profonde e rapide trasformazioni. « La vita familiare è soggetta a nuove fatiche, la sua stabilità subisce condizionamenti pesanti, la cultura dominante spesso combatte il sano concetto dell’unione familiare e l’educazione dei figli si è fatta assai problematica»72. Le istituzioni sociali e politiche, che dovrebbero difendere, promuovere e sostenere la famiglia, non sempre sono propense a scelte coraggiose e lungimiranti, preferendo risoluzioni riduttive di assistenzialismo. La Chiesa è consapevole che «il bene della società e di se stessa è profondamente legato al bene della famiglia e sente in modo più vivo e stringente la sua missione di proclamare a tutti il disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia»73. «Le nostre famiglie hanno bisogno del Signore, che vuole la loro unione, il loro benessere umano e spirituale, la loro capacità di affrontare le difficoltà senza perdersi d’animo. […] Gesù non delude mai quanti confidano in Lui, anche se permette certe prove dolorose.»74 a. Educazione all’affettività 75. «Dio iscrive nell’umanità dell’uomo e della donna la vocazione e quindi la capacità e la responsabilità dell’amore»75. Alcune problematiche presenti nel matrimonio e nella famiglia sono legate alla mancanza di una vera e propria educazione all’affettività. È fondamentale per l’uomo e la donna educarsi all’amore perché, da una parte, imparare ad amare decide 71

Lc 10,35.

72

MONS. GESTORI G., Lettera alle famiglie, 2005.

73

Cfr. FC 3.

74

MONS. GESTORI G., Lettera alle famiglie, 2005.

75

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Cfr. FC 11.


il senso di una vita, la felicità o la delusione, dall’altra, i sentimenti, gli affetti che ci legano e le passioni, costituiscono la forza e la qualità dell’amore76. Nel contesto attuale, l’amore rischia di esaurirsi in «un’esteriorità che riduce l’altro a un oggetto o a una parte di se stessi»77e non si nutre della qualità e della profondità affettiva, che «è estremamente ricca di risorse ma anche di ostacoli»78. Pertanto, per vivere relazioni positive con gli altri, per amare ed essere riamati, è necessario partire dalla conoscenza di se stessi. 76. In un incontro con degli sposi, il papa Giovanni Paolo II ebbe a dire: «Imparate ad amare l’amore». L’uomo è chiamato, dunque, innanzitutto a questa vocazione e, successivamente, a conoscere l’amore, a custodirlo, a utilizzarlo in termini di verità, di libertà autentica e di responsabilità79. Amare non è qualcosa di automatico, ma è il frutto di un paziente cammino e richiede un impegno personale, una formazione, un’educazione. Il cristiano impara ad amare soltanto se rimane in profondo contatto con l’amore di Cristo: «Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo»80. È l’insegnamento di Gesù, il Suo esempio, soprattutto la Sua vita, a renderci davvero liberi e, proprio per questo, capaci di amare81. 77. Contemplando il Signore, il giovane, prima di capire se deve sposarsi, o consacrarsi, comprende che il suo corpo, il suo cuore, tutto se stesso sono fatti per spendersi e donarsi gratuitamente alla maniera di Gesù. La Chiesa, pertanto, sente l’urgenza di annunciare il Vangelo perché solo accogliendo Cristo e il Suo amore, ogni uomo trova la piena realizzazione del suo desiderio di felicità. b. L’adolescenza 78. Gli adolescenti sono stati sempre considerati difficili da comprendere e da gestire. «Le richieste a questa età si fanno esplicite e spesso vengono

76

Cfr. PAROLARI E., Un buon rapporto con sé, in AA.VV., Nati per amare, ad amare si impara, in dialogo, Milano 2004, 13.

77 78

Ibidem. Ibidem, 15.

79

Cfr. TETTAMANZI D., Omelia ai giovani, in AA.VV., Nati per amare, ad amare si impara, in dialogo, Milano 2004, 110. 80

1Gv 4, 19.

81

Cfr. TETTAMANZI D., Omelia ai giovani, in AA.VV., Nati per amare, ad amare si impara, in dialogo, Milano 2004, 107.

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formulate in maniera[…] alquanto provocatoria»82. In realtà la differenza culturale tra genitori e figli in cerca di autonomia ha sempre procurato conflitti più o meno evidenti. In questi ultimi decenni si riscontrano novità storiche che richiedono una attenta osservazione. I genitori sono sempre occupati e si interessano poco dei figli, trasformando in delega le loro responsabilità genitoriali: si ritrovano a dare sempre tutto e subito, togliendo il desiderio della conquista, la conoscenza della fatica e dell’attesa. L’adolescenza « è un’età in cui si è bisognosi di apprendere il grande valore di un impegno continuativo e perseverante. Occorre imparare e sperimentare l’enorme funzione educativa del sacrificio.[…] non c’è amore vero senza sacrificio[…] Il sacrificio è il segno concreto che veramente si ama»83. 79. Anche nella Chiesa si avverte la fatica di rapportarsi al mondo giovanile, in parte dovuta alla mancanza dell’equivalente di ciò che rappresentava l’oratorio, punto d’incontro in cui potersi esprimere e realizzare attraverso iniziative di ogni genere. c. Il Fidanzamento e preparazione al matrimonio 80. Il matrimonio cristiano è una vocazione che coinvolge in modo permanente la persona e la coppia. I tempi attuali hanno cambiato il significato e il valore di certi istituti che duravano da secoli. Il fidanzamento, che in passato indicava un tempo piuttosto breve finalizzato al matrimonio e coinvolgeva le due famiglie, oggi assume la dimensione di provvisorietà e si fonda sulla sensazione di star bene insieme. La relazione viene custodita finché dura l’innamoramento. L’esperienza religiosa spesso non è neppure messa in conto. 81. Per i cristiani il fidanzamento è un tempo di preparazione al momento più importante della vita: il sì del matrimonio cristiano. Ecco perché nell’ambito della pastorale dei fidanzati, «i corsi di preparazione al matrimonio devono diventare una proposta di itinerari di fede e quindi di vita cristiana vissuta»84. Sono una proposta educativa/formativa, momento irrinunciabile, che valorizza il fidanzamento come: tempo di crescita nel quale si matura la capacità di vivere insieme, ci si allena alla conoscenza di sé e dell’altro, si inizia a costruire la coppia; tempo di re82

MONS. GESTORI G., Lettera alle famiglie, 2005.

83

Ibidem.

84

48

Cfr. Comunione e comunità nella chiesa domestica, 26.


sponsabilità in cui i fidanzati si interrogano sulla loro vocazione al matrimonio; tempo di grazia nel quale maturare una fedeltà indissolubile ed una dedizione totale all’altro. 82. Gli incontri sono anche occasione per conoscere testimoni della fede e per approfondire gli aspetti del matrimonio canonico a livello sacramentale, liturgico, giuridico, psicologico e medico. L’ideale è che la pastorale familiare cammini in sintonia con la pastorale giovanile della Diocesi. d. Giovani coppie 83. L’evoluzione culturale in vari settori della società, in questi ultimi decenni, è stata imprevedibile e rapidissima ed ha investito principalmente la famiglia in tutte le sue componenti. Alcune cause sono senz’altro di ordine strutturale: ritmi frenetici, perdita del lavoro, senso della precarietà, disordinata divisione dei compiti in famiglia, nascita dei figli ecc. Altre sono di carattere psico-relazionale: scarsa capacità di comunicazione, mentalità diffusa della provvisorietà di qualsiasi legame, mancanza di conoscenza di se stessi. In questo contesto la Chiesa è chiamata a rispondere alle varie esigenze delle giovani coppie. 84. La Chiesa deve seguire non solo i fidanzati, ma anche le coppie giovani che si trovano ad affrontare la prima fase della vita matrimoniale. La comunità cristiana è chiamata ad affiancare con le sue cure materne il loro cammino. Fondamentale è la formazione di operatori scientificamente preparati in una scuola diocesana, diretta possibilmente da presbiteri e laici esperti. e. Educazione e catechesi dei figli. 85. Dal contratto matrimoniale deriva il dovere dei genitori di educare i figli, dal sacramento del matrimonio la responsabilità inderogabile di educarli alla fede. L’amore cristiano comporta generare non solo alla vita, ma anche alla fede. In questo è di aiuto la preghiera per imparare a leggere la propria vocazione di coppia e di famiglia come relazione tra i due e con Dio. Necessaria è anche una adeguata formazione, attraverso un cammino di fede, accompagnato da una autentica testimonianza di vita. f. Accoglienza e accompagnamento di famiglie in situazioni difficili. 86. Per grazia di Dio non mancano nella nostra comunità e nella nostra società esempi luminosi di coppie di sposi che testimoniano una fedeltà 49


nell’amore duratura nel tempo e capace di sostenere insieme le stagioni difficili della prova. D’altra parte, ci sono tante famiglie che vivono una situazione di difficoltà e che chiedono alla comunità cristiana di essere sempre accogliente e particolarmente vicina in modo cordiale e fraterno. A volte ci si trova di fronte a difficoltà morali molto serie, che attraversano e accompagnano la vita di molte persone anche per lunghi anni. In questo caso occorre attivare percorsi di accompagnamento ispirati a saggezza e gradualità, avvalendosi del contributo di persone qualificate nei diversi aspetti, da quello psicologico a quello morale e spirituale. Ai presbiteri è chiesto di rendersi disponibili a svolgere il loro ruolo di guida spirituale dei singoli, delle coppie e delle famiglie che lo richiedono. 87. Sono sempre più in aumento i matrimoni, religiosi e civili, che vanno in crisi. Le famiglie in difficoltà hanno bisogno che altre coppie siano loro vicine e facciano sentire il calore della loro presenza e l’aiuto concreto. Non crediamo che servano molto gli insegnamenti, quanto la condivisione dei loro problemi e la testimonianza di un amore vissuto con gioia. g. Vedovanza 88. È da valorizzare la spiritualità della vedovanza, già messa in rilievo nella Chiesa antica, dove la persona vedova aveva un ruolo di rispetto e di servizio. Degno di nota nella nostra Diocesi è l’operato svolto dal movimento vedovile.

IV Percorsi pastorali 89. Formazione unitaria delle nuove generazioni all’affettività. È quanto mai urgente una sintonia progettuale tra l’Ufficio di Pastorale familiare e l’Ufficio di Pastorale giovanile e vocazionale per educare i giovani all’affettività, proponendo un cammino o all’interno della parrocchia, o nelle varie aggregazioni laicali. 90. Percorsi di preparazione alle nozze cristiane. La preparazione al matrimonio cristiano sia occasione per instaurare relazioni serene di confronto, di dialogo e di amicizia, anche con le coppie conviventi che desiderano consapevolmente celebrare tale sacramento. È auspicabile che nelle parrocchie, o nelle vicarie, come proseguimento del corso prematrimoniale, si promuova un cammino di accompagnamento e di 50


formazione per le giovani coppie per rimotivare e qualificare le proprie scelte alla luce della fede. 91. Gruppi di giovani coppie. Si propongono gruppi post-matrimonio formati da 5/6 coppie che si incontrano a scadenza regolare, preferibilmente in una casa, per la lettura di un passo biblico e per un momento di confronto (guidato da una coppia animatrice e dal sacerdote) sulle varie problematiche familiari. 92. Casa di accoglienza per coppie. Si propone di individuare un luogo, in cui, periodicamente, coppie di coniugi, animatori di pastorale familiare e un sacerdote accolgono per un week-end coppie giovani per momenti di riflessioni e di confronto. 93. Corsi di insegnamento dei metodi naturali. Le coppie giovani, se adeguatamente stimolate, si aprono a un discorso profondo e significativo sui temi della sessualità. Si consiglia la diffusione della conoscenza dei metodi naturali tramite operatori qualificati (a livello diocesano o parrocchiale). Si propone di valorizzare le scuole materne come terreno fertile e vivaio per contattare le coppie giovani e di utilizzare le risorse presenti nei consultori familiari di ispirazione cristiana. 94. Pastorale pre-battesimale e post-battesimale. È necessario ideare un percorso pastorale continuativo che, dopo il matrimonio, accompagni le coppie fino al battesimo dei figli ed anche dopo. Esso va collocato all’interno del progetto pastorale parrocchiale, specificando la tappa pre-battesimale e quella post-battesimale, la quale dovrebbe prevedere l’inserimento delle coppie in cammini parrocchiali specifici, guidati da coppie esperte. Gli incontri prebattesimali, invece, dovrebbero avvenire, preferibilmente, nella casa della famiglia che ha richiesto il battesimo, ponendo una cura pastorale particolare nei confronti di eventuali coppie non sposate o che vivono situazioni di irregolarità. 95. Accompagnamento dei genitori. Nel Battesimo i genitori si assumono la responsabilità di educare i figli alla fede. Per aiutarli a corrispondere a tale impegno, si suggerisce l’attivazione di percorsi formativi regolari, che prevedano momenti di preghiera in comune e la condivisione delle problematiche legate all’educazione dei figli. 96. Attenzioni ad alcune situazioni familiari. La comunità ecclesiale si prende cura delle coppie che vivono situazioni di particolare 51


sofferenza. In particolar modo i presbiteri sono chiamati ad una formazione specifica, che permetta di attivare adeguati percorsi pastorali, incarnati nella concretezza delle varie situazioni. Le coppie senza figli: per aiutarle a comprendere che la sterilità non fa perdere valore alla vita coniugale, ma può essere motivo per allargare il proprio amore al di là dei vincoli della carne e del sangue e per rendere altri servizi importanti alla vita delle persone umane, quali ad esempio l’adozione, l’aiuto ad altre famiglie, l’affidamento di minori. Un’attenzione particolare, attraverso l’apporto di specifiche associazioni, va riservata ai genitori che hanno perso i figli prematuramente. Le coppie che hanno vissuto l’aborto: per i casi di aborto spontaneo è sufficiente l’accompagnamento di una coppia esperta di pastorale familiare, se possibile, che abbia già vissuto tale esperienza. Nel caso di aborto volontario la Chiesa ha il dovere di trasmettere la misericordia di Dio, per la quale non c’è peccato che non possa essere perdonato. Pur ribadendo con forza che l’aborto è un omicidio, un male profondo per tutti, non soltanto per chi lo commette, la Chiesa deve offrire un ministero pastorale di compassione e di misericordia, per curare le ferite spirituali e psicologiche di una madre che ha perso in modo drammatico il proprio figlio. Occorre una formazione adeguata dei sacerdoti per questo tipo di pastorale, perché la cosa più difficile è aiutare la donna a perdonare se stessa, a perdonare il marito o i parenti che l’hanno spinta ad abortire, a lasciarsi perdonare da Dio. Si ipotizza un’èquipe diocesana competente ed accogliente, alla quale ogni parrocchia, che ne abbia bisogno, possa far riferimento. Le coppie che vivono le situazioni irregolari: un aiuto potrà venire da nuove forme di ministerialità, grazie alle quali, coppie di sposi preparati e discreti offrano un accompagnamento e un sostegno per favorire un discernimento di verità, mostrando il volto materno della Chiesa, che accoglie e guida verso cammini di conversione. Ai separati che rimangono fedeli al sacramento del matrimonio va rivolta una cura pastorale particolare, proponendo un percorso di accompagnamento, che rinsaldi e sostenga la scelta della fedeltà matrimoniale, nonostante si viva la separazione. Le coppie in cui uno dei coniugi non è di religione cattolica o è di una nazionalità diversa: esse sono sempre più in aumento, per cui occorre proporre un cammino di formazione specifico, alla luce del Magistero. Nessuna di queste diverse situazioni coniugali deve essere trascurata, ma sia seguita con attenzione sincera e con discrezione rispettosa ed incoraggiante, perché si senta forte che la Chiesa è sempre verso tutti Madre e Maestra.

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Laboratorio 5

LE SCELTE DELLA VITA: LA CORRESPONSABILITÀ DEI LAICI E L’IMPEGNO DI ANNUNCIARE IL VANGELO NEL MONDO



I. Icona Biblica: Mt 5,13-16 Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. 14Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, 15né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. 16Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli. 13

II. Premessa 97. «La valorizzazione del laicato è certamente una delle conseguenze più evidenti del Concilio Vaticano II. La nascita dei diversi movimenti e delle varie realtà ecclesiali, la loro vitalità nelle nostre comunità, il prezioso servizio di annuncio della Parola e di carità verso il prossimo, i numerosi organismi di partecipazione, sono un frutto prezioso ed un dono meraviglioso della presenza dello Spirito Santo nella Chiesa»85. Il termine laico deriva dal sostantivo greco laikòs, che a sua volta deriva da laòs, cioè popolo, laico dunque significa «uno del popolo». Una lunga evoluzione storica ha fatto sì che, nel linguaggio corrente, soprattutto politico, laico abbia assunto un significato di opposizione alla religione e, in particolare, alla Chiesa. Il Concilio Vaticano II ha preferito non dare una definizione ontologica del laicato, ha scelto piuttosto una descrizione ‘tipologica’: «Col nome di laici si intendono qui tutti i fedeli, a esclusione dei membri dell’ordine sacro e dello stato religioso, riconosciuto dalla Chiesa, i fedeli cioè, che, in quanto incorporati a Cristo col Battesimo e costituiti popolo di Dio, e nella loro misura resi partecipi della funzione sacerdotale, profetica e regale di Cristo, per la loro parte compiono nella Chiesa e nel mondo la missione propria di tutto il popolo cristiano»86. Sono altresì chiamati a «rendere operosa la Chiesa in quei luoghi e in quelle circostanze in cui essa non può diventare sale della terra, se non

85

MONS. GESTORI G., La sfida educativa continua il nostro cammino nella Chiesa, Lettera Pastorale 2010. 86

LG 31.

55


per mezzo di loro»87. La loro dignità si manifesta nella fondamentale vocazione alla santità, come «misura alta della vita cristiana ordinaria»88. 98. La riflessione teologica post-conciliare, per collocare il laico nella Chiesa, è giunta al superamento sia del trinomio chierici-religiosi-laici, sia della coppia di binomi gerarchia-laicato e religiosi-non religiosi, a favore del binomio comunità-ministeri e carismi. Tutto ciò è frutto di una rinnovata visione ecclesiologica, non più ‘piramidale’, ma comunionale89. 99. La differenza fra sacerdoti e laici non sta nella mancata partecipazione dei secondi al sacerdozio – o alla profezia o alla regalità – di Cristo, ma nel diverso modo di partecipazione alla triplice funzione: il laico è, come il ministro ordinato, re, sacerdote e profeta. Il ministro ordinato lo è in persona di Cristo Capo, il laico in quanto membro del corpo di Cristo. Non c’è superiorità dell’uno sull’altro (differenza di grado), ma diversa forma di partecipazione al sacerdozio, alla regalità e alla profezia di Cristo (differenza di essenza): la comune realtà, diversamente partecipata, fonda l’ordinazione reciproca fra laico e gerarchia, i rapporti funzionali fra di essi90. Scriveva Sant’Agostino: «Come chiamiamo tutti cristiani in forza del mistico crisma, così chiamiamo tutti sacerdoti perché sono membra dell’unico sacerdote». 100. La dignità cristiana è così «la fonte dell’eguaglianza di tutti i membri della Chiesa, garantisce e promuove lo spirito di comunione e di fraternità, e, nello stesso tempo, diventa il segreto e la forza del dinamismo apostolico e missionario dei fedeli laici»91. Pertanto «diventa essenziale “accelerare l’ora dei laici”, rilanciandone l’impegno ecclesiale e secolare, senza il quale il fermento del Vangelo non può giungere nei contesti della vita quotidiana, né penetrare quegli ambienti più fortemente segnati dal processo di secolarizzazione»92.

87

LG 33.

88

Novo Millennio Ineunte, 31.

89 63 90 91 92

Cfr. MONS. FORTE B., Laicato e laicità, ed. Marietti.

Ibidem.

Christifideles laici, 17.

Nota pastorale dell’Episcopato italiano dopo il 4° Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona, n. 26.

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III. Riflessione tematica 101. «Voi siete il sale della terra […] Voi siete la luce del mondo»93. Le due immagini del sale e della luce, utilizzate da Gesù, sono complementari e ricche di senso. Nell’antichità, infatti, sale e luce erano ritenuti elementi essenziali per la vita umana. Il Signore Gesù, mediante queste metafore, oggi come allora, assegna ai suoi discepoli, ciascuno secondo la propria vocazione, una grande dignità, ma anche una grande responsabilità. a. La corresponsabilità laicale 102. «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente»94. Il sale non esiste per se stesso ma per scomparire e dissolversi, dando sapore a ciò in cui è messo. Come il sale si annulla umilmente, così anche i laici sono chiamati a ridare vitalità e sapore alla vita dell’uomo di oggi, accettando la sfida di entrare nelle trame profonde e spesso drammatiche della sua storia per farsene carico. Scriveva Paolo VI: «Non si salva il mondo dal di fuori; occorre immedesimarsi nelle forme di vita di coloro cui si vuole portare il messaggio di Cristo». L’immagine del sale richiama la grazia battesimale, mediante la quale tutto il nostro essere è stato profondamente trasformato da Cristo, perché condito con la vita nuova che viene da Lui95. Tale grazia rende capace il laico di vivere e pensare in modo diverso il suo essere e servire nella Chiesa, per animare cristianamente la realtà del mondo96. 103. Fino a qualche decennio fa i parroci costituivano importanti figure di riferimento nei paesi e nelle città e tutta l’attività della parrocchia ruotava attorno alla loro persona. I laici impegnati non potevano far altro che essere buoni esecutori. Oggi, invece, essi stanno assumendo il ruolo di collaboratori o, meglio ancora, di corresponsabili della vita parrocchiale, grazie all’affermarsi della dimensione della collegialità nella Chiesa. Per questo motivo «le relazioni tra le diverse vocazioni devono rigenerarsi nella capacità di stimarsi a vicenda, nell’impegno, da parte 93

Mt 5,13.14.

94

Mt 5,13.

95 96

Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Messaggio XVII GMG Toronto, 2002. Cfr. MONS. RABITTI P., Fare di Cristo il cuore del mondo, Lettera ai fedeli laici, 2005. 57


dei pastori, ad ascoltare i laici, valorizzandone le competenze e rispettandone le opinioni. D’altro lato, i laici devono accogliere con animo filiale l’insegnamento dei pastori come un segno della sollecitudine con cui la Chiesa si fa vicina e orienta il loro cammino»97. 104. La collegialità non è un semplice mutamento strutturale per sopperire alla carenza dei presbiteri, ma ha un fondamento sacramentale. Non è competitività, ma complementarietà e corresponsabilità. Non è semplice collaborazione e non è solo espressione di vertice, ma di tutto il Popolo di Dio98. 105. La collaborazione è il primo gradino della collegialità ecclesiale, che ci fa sentire vicini, preziosi e attivi in vista di un progetto comune da realizzare. Tuttavia in questa dimensione resta ancora evidente il divario tra chi pensa e progetta e tra chi esegue e compie. La corresponsabilità, invece, va oltre il puro fare, in quanto entra nella categoria dell’essere. È fatta di cuori e di menti, e non solo di mani. Pertanto, essere corresponsabili significa soffrire insieme, portando i pesi gli uni degli altri99 ed essere responsabili insieme del bene e della gioia dell’altro. Significa, inoltre, saper accogliere i pareri diversi, mettendosi nei panni dell’altro, cercando di capire le esigenze di tutti, accettando di rinunciare talvolta a quelle proprie. Corresponsabilità è, poi, avere animo mite, benevolo, accogliente, come quello di Cristo100, per saper trasformare le situazioni più difficili della vita in occasioni di testimonianza gioiosa101. 106. La corresponsabilità è il frutto più maturo della collegialità: mentre la collaborazione punta sugli strumenti, essa punta sugli obiettivi. Colui che è corresponsabile è capace di coinvolgersi in maniera stabile, continuativa e fedele come pietra viva, nella costruzione dell’edificio spirituale, che è la Chiesa102. I laici, infatti, hanno diritto di parola e di culto davanti al Padre (sacerdoti), hanno dovere di parola davanti agli uomini 97

Nota pastorale dell’Episcopato italiano dopo il 4° Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona, n.23.

98 Cfr. MONS. SIGALINI D., La comunione: la corresponsabilità laicale, Relazione tenuta a S.B.T. il 14.01.2010. 99

Cfr. GS 1. Cfr. Mt 11,29. 101 Cfr. MONS. BREGANTINI G., Tenendo lo sguardo fisso su Gesù, 2009. 102 Cfr. Ibidem. 100

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(profeti), hanno ruolo di servizio nei confronti di entrambi (re). Questo dà origine a una fondamentale uguaglianza, che porta alla visione della «Chiesa del grembiule»103, cioè la Chiesa del servizio e non del potere104. 107. Lo spazio tuttora privilegiato dove vivere corresponsabilmente la comunione è la parrocchia. Dalla clericalizzazione ed autoreferenzialità dei decenni trascorsi, occorre passare alla dimensione popolare, rinnovando il rapporto vitale con il territorio e le altre comunità parrocchiali. Da qui la necessità di un lavoro condiviso, attraverso una pastorale integrata, capace di valorizzare e coordinare i doni e i carismi delle associazioni, movimenti e nuove realtà ecclesiali presenti105. A tal fine, sarà necessario valorizzare al meglio gli organismi di partecipazione ecclesiale, in particolare i Consigli Pastorali Parrocchiali e Diocesano, visti, non soltanto come luoghi di programmazione, ma di educazione alla sinodalità, oltre che alla responsabilità ecclesiale. È importante che ogni laico senta vivo il senso della parrocchia e della Diocesi, non sottraendosi mai a tale appartenenza, in quanto membro corresponsabile, insieme ad altri, della famiglia ecclesiale. 108. La nostra Chiesa Diocesana risulta essere particolarmente ricca di realtà aggregative, frutto maturo della valorizzazione dei laici, nel contesto dell’ecclesiologia di comunione, e della varietà dei carismi che lo Spirito Santo suscita per rispondere alle istanze emergenti dalle situazioni storiche in continuo divenire. Per contribuire all’edificazione dell’unica Chiesa, sono necessarie complementarietà e convergenza di intenti, affinché non ci siano contrasti o contrapposizioni tra le varie realtà. Inoltre è fondamentale un cammino di comunione che implica due azioni: «vivere all’interno, tra credenti, una profonda fraternità; uscire da questa fraternità per servire il mondo»106 . «Chi ama il proprio sogno di comunione cristiana più della comunione cristiana effettiva, è destinato ad essere un elemento distruttore di ogni comunione cristiana, anche se è sincero, serio e pieno di abnegazione»107. Sarà opportuno, dunque, che, 103 104

Cfr. DON TONINO BELLO. Cfr. MONS. SIGALINI D., La comunione: la corresponsabilità laicale, Relazione tenuta a SBT

il 14.01.2010. 105

Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Novo Millennio Adveniente.

106

Cfr. MONS. LAMBIASI F., Fare i cristiani, Lettera Pastorale 2010.

107

BONHOEFFER D., Vita comune, Queriniana, 22.

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mediante la Consulta Diocesana delle Aggregazioni Laicali (CDAL), il cammino di ciascuna aggregazione converga nelle scelte pastorali della Diocesi, offrendo il contributo della loro specifica esperienza108. «La condizione indispensabile richiesta da Gesù con tanta forza prima di morire è quella di “essere una cosa sola”. L’armonizzazione nella Chiesa di tutti i carismi, la cui origine si trova nell’unico Spirito di Cristo, è un’altra prospettiva sinodale che ci viene richiamata dal Concilio!»109. 109. «La generosa disponibilità di tanti laici, donne ed uomini, ad operare nei settori più diversi, domanda tuttavia una valida formazione per vivere quella giusta e doverosa autonomia, fondata sui Sacramenti del Battesimo e della Cresima e frutto di una vera maturità ecclesiale. Dunque, maturità di fede, non soltanto teorica, e preparazione professionale nei diversi settori della vita, sono i due requisiti che fanno del nostro laicato una presenza indispensabile per la Chiesa oggi. Quando queste due dimensioni sono vissute in maniera coerente, allora i nostri laici sono un grande e prezioso dono»110. Occorre, dunque un’adeguata formazione per un laicato maturo e responsabile, che serva la Chiesa con ardore, senza dover attendere particolari mandati dalla Gerarchia111. 110. Una comunità parrocchiale diventa “affascinante”, capace di attrarre coloro che vivono nell’indifferenza o ai margini della Chiesa, quanto più vi sono laici e presbiteri dalla fede matura, che testimoniano la bellezza e la forza del Vangelo nella quotidianità di parole e gesti di carità e di speranza, fondati sulla totale e personale adesione a Cristo112. b. L’impegno ad annunciare il Vangelo nel mondo 111. «Voi siete la luce del mondo; […] Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli»113. Anche la luce non vive per se stessa, ma per illuminare gli 108 109

Cfr. MONS. RABITTI P., Fare di Cristo il cuore del mondo, Lettera ai fedeli laici, 2005. MONS. GESTORI G., La sfida educativa continua il nostro cammino nella Chiesa, Lettera

Pastorale 2010. 110

MONS. GESTORI G., La sfida educativa continua il nostro cammino nella Chiesa, Lettera Pastorale 2010. 111 112 113

60

Cfr. Ibidem. Cfr. Ibidem. Mt 5,14.16.


uomini e le cose. L’immagine della luce richiama il discepolo di Gesù ad essere strumento, affinché risalti nella storia la bellezza dell’opera di Dio. L’incontro personale con Cristo illumina di luce nuova la propria vita, quella degli altri e del mondo. Nel contesto attuale di secolarizzazione, in cui molti vivono come se Dio non esistesse, è urgente che i laici riaffermino con decisione la propria adesione a Cristo, unico Signore e Salvatore, con l’impegno di tutta l’esistenza. Solo così diventeranno missionari, segni tangibili dell’amore di Dio e testimoni credibili della sua presenza114. 112. I fedeli laici, provocati dalla realtà in cui vivono, corrispondono alla loro specifica vocazione, impegnandosi a testimoniare la buona notizia del Vangelo in un mondo che cambia. Essi dovranno dimostrare a tutti la capacità di saper accettare la vita, di trasformarla in meglio, di operare per la giustizia e la pace, di amare le persone e le cose come doni straordinari di Dio. Dovranno trasmettere il valore della fraternità e della vicinanza dimostrando al mondo, globalizzato dall’economia, che i cristiani non hanno la mentalità dell’azienda, dove contano soltanto i risultati e l’efficienza. Per essi ciò che conta è l’uomo, centro di ogni azione pastorale e sociale115. 113. I laici sono credenti che non abbandonano la terra per guardare le cose di lassù, ma vedono quelle di lassù abitando la terra. In virtù della loro vocazione battesimale, essi hanno il compito di declinare nelle più disparate situazioni secolari, il messaggio evangelico. Spetta a loro trovare le parole per comunicare, in modo vero ed efficace, l’unica Parola che salva, e portare l’annuncio della misericordia e del perdono nella città degli uomini. In questo modo contribuiscono ad incarnare nel tessuto della storia la missione della Chiesa come sacramento universale di salvezza. Non vi è luogo, ambito di vita, fascia di età o esperienza esistenziale, in cui il laico non possa portare la luce vitale e salvifica di Cristo116. 114. I laici saranno testimoni della propria fede attraverso la preghiera, la vita sacramentale e la testimonianza della carità, mezzi indispensabili per conformarsi a Cristo ed assimilare lo spirito di comunione. Se non ci si pone in modo nuovo di fronte al mistero di Cristo, contem114

Cfr. GIOVANI PAOLO II, Messaggio XVII GMG Toronto, 2002.

115

Nota pastorale dell’Episcopato italiano dopo il 4° Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona, 22. 116

Cfr. MONS. RABITTI P., Fare di Cristo il cuore del mondo, Lettera ai fedeli laici, 2005. 61


plando la luce che risplende sul Suo volto, il desiderio del rinnovamento, che tutti avvertiamo, può portare al cambiamento delle strutture, delle organizzazioni, magari dei progetti pastorali, ma non di quello spirito di fede che è l’anima di ogni apostolato. 115. La nostra comunità diocesana, pertanto, ha bisogno di laici testimoni autentici e credibili. Essi non vanno collocati dentro una logica strumentale ai bisogni della parrocchia, basata sull’efficienza nell’assolvimento dei vari ruoli, ma sono chiamati a verificare di continuo la coerenza delle proprie scelte di vita e di servizio, fondate su uno stile di vita sobrio ed essenziale, riscoprendo anche la povertà come valore evangelico dell’esistenza. Il linguaggio della testimonianza è quello della vita quotidiana, dove è possibile trovare l’alfabeto con cui comporre parole che dicano l’amore infinito di Dio117. A tal fine sarà necessario programmare progetti pastorali profetici, capaci di abitare i linguaggi della cultura, della socialità, della cittadinanza. I laici sono chiamati altresì ad essere «luce davanti agli uomini»118, per farsi carico della non-fede di tanti, privilegiando sempre la relazione all’altro, oltre che a Dio. 116. La nostra Chiesa diocesana ha bisogno di laici maturi nella loro vocazione, che permetta loro di instaurare, negli ambiti in cui sono chiamati ad operare, un dialogo aperto sui grandi temi della vita, alla luce della verità e carità cristiane. Pertanto, sarà importante predisporre incontri di riflessione e di preghiera, come autentiche esperienze di confronto e di comunione, per acquisire una maggiore consapevolezza della propria chiamata, alla luce della Parola, dell’Eucaristia e degli insegnamenti del magistero della Chiesa. 117. La nostra Chiesa diocesana ha bisogno di laici che non hanno paura di diventare adulti nella fede. «Non annunciamo la fede che abbiamo, ma abbiamo la fede che annunciamo»119. La nuova evangelizzazione passa, non solo attraverso la testimonianza della propria esistenza, ma mediante la lettura dei segni nuovi nella vita della Chiesa. Sarà compito della comunità ecclesiale, accompagnare i laici a vivere la fede come ricerca, impegno e gratuità. La maturità di fede, a sua volta, favorirà il nascere 117 118 119

Cfr. Ibidem. Mt 5,16.

Cfr. MONS. SIGALINI D., La comunione: la corresponsabilità laicale, Relazione tenuta a SBT il 14.01.2010.

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della decisione di consacrarsi a Dio per la missione. È necessario che sempre più laici si sentano chiamati ad essere costruttori di giustizia e di pace, promuovendo nella società civile quei valori non negoziabili, che sono inscritti nella coscienza morale di ciascuno; tra questi un particolare accento va posto sul riconoscimento universale della dignità e delle libertà fondamentali della persona, sulla sacralità della vita e sull’accoglienza ai migranti120.

IV. Percorsi pastorali 118. «Il nostro Sinodo è chiamato a valorizzare i carismi presenti in modo numeroso nelle nostre Parrocchie e ad offrire spazi di giusta autonomia alla matura responsabilità dei laici, perché rendano più vive e più missionarie le nostre Comunità» 121. Pertanto si indicano le seguenti proposte operative: 119. Scuole diocesane di formazione. Si suggerisce di potenziare la Scuola di Teologia dei PP. Sacramentini, o di istituire una scuola diocesana, che curi la formazione antropologico-teologica degli operatori pastorali, e una specifica Scuola sulla Dottrina Sociale della Chiesa, per la formazione di laici all’impegno socio-politico. Si curi anche una adeguata formazione permanente di tutto il popolo di Dio sui temi proposti nei laboratori sinodali, che debbono essere oggetto di riflessione comunitaria anche nella predicazione e nella catechesi. 120. La parrocchia e gli organismi di partecipazione. Gli organismi di partecipazione ecclesiale, anzitutto i Consigli Pastorali, non stanno vivendo una stagione felice. La consapevolezza del valore della corresponsabilità impone di ravvivarli, elaborando modalità originali di uno stile ecclesiale di maturazione del consenso e di assunzione di responsabilità. I Consigli Parrocchiali siano espressione viva della porzione di Chiesa che sono chiamati a rappresentare e ad animare, in quanto strumenti per l’attuazione della comunione organica della Chiesa particolare e mezzo concreto per la partecipazione dei battezzati, ciascuno

120

Cfr. MONS. LAMBIASI F., Fare i cristiani, Lettera Pastorale 2010.

121

MONS. GESTORI G., La sfida educativa continua il nostro cammino nella Chiesa, Lettera Pastorale 2010.

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con la propria vocazione alla missione salvifica della Chiesa. In essi si attui sapientemente il “consigliare” e il “presiedere”. I loro componenti, presbiteri, diaconi, consacrati e laici, siano qualificati non solo da competenza ed esperienza, ma anche da uno spiccato senso ecclesiale e da una seria tensione spirituale. 121. Valorizzazione di tutti i carismi. Le comunità cristiane e i loro pastori, sappiano valorizzare i diversi carismi e ministeri, in particolare si ponga il giusto accento sul ruolo dei responsabili, affinché il loro operato sia sempre segno di vera comunione. 122. Presbiteri, uomini di comunione. I pastori delle comunità non hanno «la sintesi dei carismi, ma il carisma della sintesi». Essi siano aperti ad accogliere e a conoscere meglio la ricchezza dei carismi delle varie aggregazioni laicali, quali risorse concrete a cui poter attingere per l’edificazione della comunità parrocchiale. I giovani candidati alla vita presbiterale siano educati al confronto pastorale, al lavoro d’équipe, alla collaborazione e all’esercizio equilibrato e sapiente del ministero della presidenza come servizio, con particolare attenzione alle dinamiche di conduzione degli organismi di partecipazione ecclesiale e ad un’approfondita conoscenza delle diverse realtà laicali. 123. Pastorale in rete. La Chiesa diocesana censisca e metta in rete tutte le risorse presenti, collaborando con le varie istituzioni, per la crescita del territorio sulla base dei valori cristiani. Consapevoli sempre più di star vivendo un triste periodo di crisi, per la precarietà e la disoccupazione, abbiamo il dovere di rilanciare gli ideali del bene comune, facendoci carico concretamente delle istanze delle famiglie in difficoltà presenti nelle comunità parrocchiali. Aggrappati alla speranza, raccogliendo il monito della recente enciclica Caritas in veritate, occorre impegnarsi per la costruzione di una società più giusta e solidale. 124. Impegno missionario. «La fede si rafforza donandola»122, per cui non può mancare la dimensione missionaria nella vita del laico, chiamato ad animare ciascuna delle realtà in cui è inserito, testimoniando la propria fede. Oltre che sensibilizzare le comunità parrocchiali nel dare visibilità e sostegno alle iniziative del Centro Missionario Diocesano, da sempre impegnato nella elaborazione e realizzazione di progetti 122

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GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Missio, 2.


di gemellaggio con le Chiese più giovani, soprattutto dove sono presenti i nostri missionari (Marajò, Filippine…), si propone la formazione di un’équipe che raggruppi le diverse associazioni di indole missionaria, per poter condividere percorsi e scelte comuni. 125. Salvaguardia del creato. Non è da trascurare l’amore e la cura per la creazione, dono di Dio affidato alle nostre mani. L’ambiente, se rispettato, si fa casa e difende la nostra vita. Si propone di dar risalto alla giornata per la salvaguardia del creato, creando una piccola équipe che coinvolga le aggregazioni laicali e le associazioni territoriali impegnate in questo ambito, per mantenere vivo tale impegno nelle comunità. 126. I mezzi di comunicazione sociale. È necessario investire risorse umane ed economiche nel mondo della comunicazione, in modo particolare occorre una innovazione ed un rilancio della stampa diocesana, proponendo un lavoro di coordinamento tra L’Ancora e In famiglia. La vita diocesana dovrebbe essere maggiormente visibile anche negli organismi locali di comunicazione. Inoltre va potenziato e maggiormente valorizzato il Sito web della Diocesi, che permette di raggiungere tanti ambienti e di mettere in rete le risorse spirituali e pastorali di tutte le realtà diocesane. Si potrebbe dare più visibilità a tutte le aggregazioni laicali mediante link o pagine web aggiornate sulle loro attività diocesane.

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Laboratorio 6

LE SCELTE DELLA VITA: IL SACERDOZIO MINISTERIALE E LA VITA CONSACRATA



I. Icona biblica Luca: 5, 1-11 Mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, 2vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. 3Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca. 4Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». 6Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. 7Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. 8Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore». 9Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; 10così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». 11E tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono. 1

II. Premessa 127. Tirate le barche a terra lasciarono tutto e lo seguirono, senza neppure sapere dove sarebbero andati, dove li avrebbe condotti! Lasciarono il lago e trovarono il mondo. Tutto comincia con una parola: «prendi il largo e getta le reti per la pesca». Un gruppetto di pescatori delusi, con alle spalle una notte buttata, una fatica inutile vede le reti che si riempiono. Dio riempie la vita! Di fronte ai miracoli di Dio, l’uomo si riconosce per quello che è: «Allontanati da me perché sono solo un peccatore!», dice Simone. Gesù guarda al futuro e dà fiducia, non si lascia impressionare dalla fragilità e dai limiti di chi ha dinnanzi, ma gli affida il suo Vangelo: «Sarai pescatore di uomini». Egli invia Pietro e i suoi amici a raccogliere i fratelli e mostrare che sono fatti per un altro respiro, un altro cielo, un’altra vita! 128. Nel suo strato più profondo, ogni vocazione è un grande mistero, è un dono che supera infinitamente l’uomo. All’inizio c’è sempre la Parola

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di Gesù che è viva, efficace, non va mai a vuoto123 e realizza ciò che annuncia. Per scoprire e rispondere alla chiamata del Signore è necessario mettersi in ascolto di Dio che chiama, iniziare un cammino di sequela e lasciarsi trasformare interiormente dalla Parola fino a identificarsi con essa. 129. Ora tutti sono chiamati ad ascoltare e seguire il Signore, ma diverse sono le vocazioni. Ai vescovi e ai presbiteri è chiesto di configurare la propria vita a Cristo Pastore, ai diaconi è chiesto di conformarsi a Cristo Servo. Il nostro Sinodo non intende compiere una trattazione sistematica sul sacramento dell’Ordine e sulla vita consacrata, si propone piuttosto di mettere in luce alcuni aspetti importanti per vivere fruttuosamente il proprio ministero in questo mondo che cambia.

III. Riflessione tematica a. Presbiterato 130. «Il Sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù», soleva dire il Santo Curato d’Ars. Questa toccante espressione ci permette di comprendere l’immensa grandezza del dono del sacerdozio non solo per la Chiesa, ma anche per la stessa umanità124. Il presbitero, infatti, accoglie concretamente il dono di Dio, come segno del Suo amore, e risponde con fedeltà e generosità, mettendosi a servizio della Chiesa e dell’uomo. 131. Ogni presbitero, in virtù del sacramento dell’Ordine, è segnato da uno speciale carattere che lo configura a Cristo Sacerdote e Pastore. Ciò gli consente di poter agire in Suo nome per il bene del Corpo ecclesiale125. Mediante la sua carità pastorale e la testimonianza di una vita totalmente donata agli altri, edifica la comunità cristiana e la vita di ogni uomo, credente e non credente126. La sua missione è quella di proclamare la Parola, di radunare, guidare ed istruire il Popolo di Dio,127 nutrendolo con i sacramenti. 123 124 125 126 127

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Cfr. Is 55, 10-11. Cfr. BENEDETTO XVI, Lettera di indizione anno sacerdotale, 2009.

Cfr. PO 2. Cfr. PO 9. Cfr. LG 28.


132. È possibile essere pastori autentici solo essendo e rimanendo credenti cioè capaci di un vissuto spirituale autentico, non nonostante il ministero, ma proprio nell’esercizio del ministero. La tanto necessaria conversione pastorale di cui spesso si parla nei recenti documenti dei Vescovi, passa attraverso la conversione ministeriale dei preti e con essi anche di tutto il popolo di Dio. Si tratta di essere preti più evangelici cioè, prima che annunciatori del Vangelo di Gesù, destinatari e testimoni della sua grazia. Per questo è necessario vivere la spiritualità del presbitero diocesano, che è stata oggetto della riflessione della Chiesa italiana negli anni ‘70 e ’80, e che spesso aspetta di essere incarnata nel vivo del servizio pastorale in modo che non ci sia nel clero una sottrazione dalle responsabilità quotidiane, una rinuncia al servizio umile e giornaliero, magari alla ricerca di posti scelti e di carriera. 133. Il presbitero, in una società in cui non si può dare più per scontata la fede ed i suoi processi di trasmissione, è chiamato alla paternità pastorale. Egli oggi più che mai deve essere l’uomo che abita la soglia per favorire e facilitare l’ingresso dei propri fratelli nella comunità cristiana. L’essere padri nella fede sarà motivo per scoprire la forma della propria fecondità spirituale e nello stesso tempo l’antidoto capace di correggere l’immagine funzionale e burocratica del parroco. Per esercitare la sua missione di padre e pastore della comunità128, il presbitero deve essere uomo di relazione. Questo richiede capacità di ascolto della Parola di Dio e delle persone e nello stesso tempo lo sviluppo delle virtù umane, alla base di una relazione matura ed equilibrata, come la bontà, la sincerità, l’umiltà, la costanza, l’accoglienza, la gentilezza, la pazienza, la prudenza. 134. Tutti portiamo nella nostra mentalità l’immagine di un prete autonomo e autosufficiente ma in realtà la comune derivazione del sacramento dell’Ordine, il servizio in una comunità e la nuova situazione che oggi viviamo, chiedono che esso diventi sempre di più l’uomo della comunione e delle relazioni. Nel presbiterio non è ammissibile alcun atteggiamento individualista, né a livello spirituale, né a livello pastorale, in quanto l’individualismo si oppone alla radice sacramentale del ministero presbiterale che unisce indissolubilmente in Cristo ogni presbitero con il suo Vescovo e con l’intero Presbiterio. «I sacerdoti, saggi collaboratori dell’ordine Episcopale e suo aiuto e strumento, chiamati a servire il Popo128

Cfr. PO 3.

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lo di Dio, costituiscono con il loro Vescovo un unico corpo sacerdotale»129. Davvero significativa a questo proposito è l’espressione di Sant’Ignazio, vescovo di Antiochia, che nella Lettera agli Efesini scrive: «Ciascuno di voi si studi di far coro». 135. Il Vescovo diocesano, Pastore del gregge a lui affidato, esercita la sua paternità incontrando con assiduità i sacerdoti, per favorirne l’assunzione di una mentalità di comunione, che inglobi mente, cuore, azioni e scelte della vita quotidiana. Ogni presbitero «di conseguenza […] è unito agli altri membri del presbiterio da particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità»130. Il nostro vescovo ha scritto a suo tempo una lettera dal titolo sacerdoti in sinodo131 proprio per dire che, ancora più importante di una celebrazione sinodale, è il camminare insieme come preti e di conseguenza anche come Chiesa locale. 136. Sin dalle origini, il presbitero fu visto nel suo rapporto alla comunità: «Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. In tal modo egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anch’egli rivestito di debolezza; proprio a causa di questa anche per se stesso deve offrire sacrifici per i peccati, come lo fa per il popolo. Nessuno può attribuire a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio...»132. Ecco perché al pastore è chiesto di essere esperto in umanità, solidale con le gioie e le sofferenze di tutti, attento e rispettoso verso ciascuno, ed insieme testimone del dono ricevuto dall’alto, segno vivo del Cristo che offre la vita per i suoi e li riconcilia con Dio. Uomo di frontiera, impegnato nella continua intercessione che, in unione a Cristo Capo, svolge fra gli uomini e Dio, il presbitero è chiamato a vivere la propria esistenza come dono per gli altri, sfida d’amore che sovverte la logica mondana del guadagno e le antepone l’esigente bellezza della gratuità. 137. È sotto gli occhi di tutti l’urgenza della missione. Ha scritto Giovanni Paolo II : «Tutti i sacerdoti sono chiamati ad avvertire la singolare

129 130 131 132

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Cfr. LG 28. PO 8. GESTORI G., Sacerdoti in sinodo, 13/11/2008. Eb 5, 1-4.


urgenza della loro formazione nell’ora presente: la nuova evangelizzazione ha bisogno di nuovi evangelizzatori, e questi sono i sacerdoti che si impegnano a vivere il loro sacerdozio come cammino specifico verso la santità»133. La missione non impone tanto di cambiare le cose ma esige di cambiare prospettiva. Se, come dice il filosofo M. Merle-au-Ponty, «lo stile è una maniera di abitare il mondo», allora si tratta di acquisire uno stile missionario essendo innanzitutto ministri della Parola. 138. I presbiteri hanno il dovere di annunciare il Vangelo e tutti hanno il diritto di cercare sulle loro labbra la Parola di Dio. Di fronte a un mondo, la cui forza ammaliatrice spesso prende il sopravvento su quella del Regno dei cieli, è urgente annunciare Gesù Cristo come il centro della vita umana, personale e sociale. Infatti, solo «in virtù della Parola salvatrice, la fede si accende nel cuore dei non credenti e si nutre nel cuore dei credenti»134. I presbiteri, non possono mai rinunciare ad essere, per il popolo loro affidato, predicatori infaticabili e maestri di vita, con il loro insegnamento e la loro testimonianza. Perché ciò avvenga, è necessario che ogni giorno essi credano ciò che leggono, insegnino ciò che hanno creduto e vivano ciò che hanno insegnato135. 139. Quali che siano i compiti cui attende, il presbitero dovrà dare sempre il primo posto all’intimità col Signore, fonte della carità pastorale: «Il pastore non trascuri la vita interiore a motivo degli impegni terreni e non si sottragga ai compiti temporali per dedicarsi soltanto alle realtà dello spirito, così da non esaurirsi nel fervore per l’assillo delle cose terrene né da togliere al prossimo ciò che concretamente gli deve, per aver scelto di dedicarsi solo alla vita dello spirito»136. Nella preghiera il prete riceve la forza necessaria per vivere il proprio ministero e la capacità di essere sempre fedele alla vocazione ricevuta. Se non fosse fedele alla preghiera e non insegnasse a pregare, anche la sua comunità si impoverirebbe e perderebbe il senso dell’essere in comunione con Dio e con i fratelli137. 133 134 135 136

GIOVANNI PAOLO II, Pastores dabo vobis, 82.

Cfr. PO 4. Cfr. LG 28. GREGORIO MAGNO, Regola pastorale, II, 18.

137

Cfr. D. ANGELO DE DONATIS, presbyteri n.4, ANNO XLIV, Preti, discepoli quotidiani di fedeltà. 73


140. Scuola di preghiera è la celebrazione Eucaristica dove i presbiteri «[…] agendo in persona di Cristo, e proclamando il suo mistero, uniscono le preghiere dei fedeli al sacrificio del loro Capo»138. Attraverso l’Eucaristia, i fedeli sono educati a fare della propria vita un’offerta al Padre, in unione a Cristo nostra Pasqua. Pertanto, è fondamentale la cura con cui ogni sacerdote prepara e celebra l’Eucaristia, coniugando contemporaneamente serietà, senso del mistero e clima di festa. 141. Il presbitero, infine, è l’uomo della fedeltà a Dio e all’uomo, alla Chiesa e a se stessi. La categoria della fedeltà è legata alla categoria sponsale della vocazione. L’aver sposato Dio coincide con lo sposare l’uomo e il suo destino. Il prete è uomo del Dio di Gesù, di quel Padre che serve l’uomo, che lavora per portare a termine la Sua creazione. Egli è fedele alla persona di Cristo, sorgente e pienezza della vita sacerdotale, alla Chiesa, che si concretizza nella comunità affidatagli, e a se stesso, con la sua storia e con i suoi limiti, per evitare la dicotomia tra ministero e vita. b. Diaconato 142. Nel periodo apostolico la guida delle singole chiese era affidata al Vescovo insieme a un collegio di presbiteri e al gruppo dei diaconi. Con il Concilio Vaticano II è stata resa di nuovo possibile l’esperienza del diaconato permanente. Anche nella nostra Diocesi essa si dimostra sempre più valida e nel contempo bisognosa di un ulteriore cammino per comprenderla e integrarla nel tessuto pastorale e comunitario. 143. L’origine del diaconato va ricercata nella necessità della Chiesa apostolica di organizzarsi in modo da garantire il servizio nella comunità cristiana. «Il diacono non è né un laico maggiorato, né un presbitero dimezzato e neanche può essere definito un ministro laico»139. Il Concilio afferma che ai diaconi sono imposte le mani non per il sacerdozio, ma per il ministero della liturgia, della parola e della carità140. Essi, configurati a Cristo secondo una modalità loro specifica, sono costituiti nella Chiesa come segno vivo di Gesù, Signore e Servo di tutti, e sono consacrati al servizio della comunione ecclesiale sotto la guida del Vescovo con il suo presbiterio. 138 139 140

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LG 28.

DARIO CASTRILLÒN HOYOS, Conferenza del 10. 03. 1998. Cfr. LG 29.


144. La vocazione al diaconato nasce normalmente all’interno di una comunità cristiana, dove i singoli credenti cercano di vivere la loro fede nel Dio uno e trino rivelataci da Gesù Cristo e di mettere in pratica il comandamento cristiano dell’amore. La presa di coscienza di essere chiamati al diaconato è certamente il frutto di un cammino in cui sono fondamentali la preghiera, la direzione spirituale, la partecipazione attiva alla celebrazione dei sacramenti, soprattutto quelli della Riconciliazione e dell’Eucaristia. Il ruolo della comunità cristiana e della sua guida è decisivo non soltanto nella nascita della vocazione al diaconato, ma anche nella presentazione al Vescovo e nel suo accompagnamento. 145. I candidati al diaconato permanente devono essere dotati delle virtù umane e cristiane che si addicono a tale ministero. Abbiano un cammino spirituale solido, accompagnato da un’équipe formativa e da un direttore spirituale saggio e sicuro. La loro formazione non deve essere affrettata o superficiale ma sia curata, solida ed efficiente. Se celibi, mostrino di scegliere con chiarezza e maturità il celibato per il Regno e una personalità cristiana armoniosa. Se sposati, abbiano dato buona prova nella vita coniugale e familiare, vissuta come vocazione e scelta non secondaria che intendono accrescere e qualificare. 146. Nella formazione spirituale dei candidati coniugati ha un’importanza particolare il sacramento del matrimonio e la sua spiritualità. E’ bene assicurare una speciale attenzione alle mogli dei candidati, affinché crescano nella consapevolezza della vocazione del marito e del proprio compito accanto a lui. La loro presenza favorirà con sensibilità e discrezione la necessaria sintesi tra vocazione diaconale e vocazione familiare. 147. Il diaconato sia cercato non per interessi personali, ma in una prospettiva di servizio alla Chiesa secondo il piano pastorale della diocesi. Per l’accesso alla candidatura si tenga conto non solo delle intenzioni, ma anche dell’esercizio di responsabilità pastorale, nei quali i soggetti abbiano dato prova affidabile delle attitudini e disposizioni necessarie. Godano della buona stima della comunità, della quale si fa garante il parroco, che li presenta al vescovo per il discernimento e la formazione. c. La vita religiosa 148. Il mondo oggi manifesta attenzione e apprezzamento per la vocazione alla vita consacrata per il suo richiamo profetico del primato

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del Regno e per ciò che concerne la dimensione pastorale e caritativa. La consacrazione, espressa mediante la professione pubblica dei consigli evangelici, è il fondamento dell’identità dei consacrati, che si specifica nel carisma di fondazione degli Istituti. 149. I consacrati vivono il loro impegno quotidiano di conversione attraverso la castità, la povertà e l’obbedienza nella sequela del Cristo, ne proclamano il triplice mistero, partecipano alla sua missione di salvezza nelle diverse forme carismatiche, si dedicano a Dio, l’unico Signore, che per tutti è ragione e scopo della vita. Per realizzare una testimonianza profetica ed escatologica, i consacrati coltivano una intensa vita spirituale che si nutre quotidianamente della Parola, dei sacramenti e della preghiera. Essi contemplano e imitano Cristo, Signore assoluto della loro vita, ricercano costantemente la volontà del Padre, seguono gli impulsi dello Spirito e ne irradiano l’amore. 150. La comunione è la prima testimonianza che i consacrati e le consacrate devono dare alla Chiesa e al mondo: essa si esprime nella vita fraterna all’interno degli Istituti, nel rapporto di collaborazione e di amicizia fra un Istituto e l’altro e nelle comunità parrocchiali in cui gli Istituti sono inseriti. All’interno degli istituti la vita fraterna sia realizzata secondo le modalità proprie di ciascuno di essi (carisma). Fra gli istituti si realizzi un significativo scambio di doni a livello progettuale, spirituale, materiale, nell’aiuto reciproco per quanto riguarda la formazione permanente. Le comunità siano aperte all’ospitalità e all’accoglienza dei fedeli per momenti di silenzio, di preghiera e di mensa comune. 151. I consacrati/e vivono la comunione con la Chiesa particolare oltre che con la presenza e l’assunzione dei diversi ministeri, anche con il contributo specifico negli organismi ecclesiali: Consiglio Presbiterale e Consiglio Pastorale. Il compito di incrementare la comunione tra i consacrati e la partecipazione di questi alla vita e alla missione della Chiesa diocesana è affidato in modo particolare al Vicario Episcopale per la vita consacrata che ha compiti e funzioni di collegamento tra i consacrati e la Chiesa Diocesana. Egli promuove la conoscenza e la stima per la vita consacrata nelle diverse forme, con attenzione alla pastorale vocazionale unitaria, aiuta i presbiteri e i fedeli a comprenderne la natura e la missione, favorisce la partecipazione dei consacrati alla pastorale diocesana attraverso gli organismi già esistenti (USMI, CISM, CIIS).

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152. I consacrati vivono la loro missione attestando il primato di Dio attraverso una coerenza di vita casta, povera e obbediente. Dalla contemplazione di Dio rispondono alle urgenze dell’attuale momento storico: l’opzione preferenziale per i poveri, l’educazione delle nuove generazioni, il dialogo ecumenico, interreligioso e interculturale, l’attenzione ai non praticanti e ai non credenti. L’attività apostolica, vissuta secondo il proprio carisma, va attuata nel contesto della Chiesa particolare secondo il piano pastorale diocesano per il quale sono chiamati a dare il proprio contributo. 153. Nelle Comunità e nelle Chiese da loro animate, i consacrati favoriscono movimenti ed associazioni che si ispirano alla loro spiritualità, incontri di preghiera, accoglienza di gruppi e accompagnamento spirituale. Siano incoraggiate anche forme di cooperazione tra comunità religiose e famiglie, così che si sviluppi un reciproco aiuto e sostegno a vivere ciascuno il proprio carisma nell’ottica di una fattiva collaborazione. 154. Una significativa presenza nella nostra comunità diocesana è costituita dalle comunità chiamate alla vita contemplativa. Esse sono uno dei tesori più preziosi della Chiesa in quanto «hanno scelto la parte migliore»141, quella cioè della preghiera, del silenzio, della contemplazione, dell’amore esclusivo di Dio e della dedizione totale al suo servizio. Le loro case sono centri di preghiera, di raccoglimento, di dialogo personale e comunitario. 155. Un’esperienza di consacrazione presente nella nostra Diocesi è l’Ordo Virginum. È la più antica forma di vita consacrata femminile, nata al tempo delle prime comunità cristiane. La diocesanità costituisce una dimensione qualificante di tale consacrazione. È un carisma e come tale va impegnato a servizio dei fratelli142.

IV. Percorsi pastorali 156. Pastorale vocazionale unitaria. È importante proporre percorsi ed esperienze di orientamento e discernimento vocazionale a livello diocesano, con la presenza e collaborazione dei rappresentanti delle 141

Cfr. Lc 10, 12.

142

Cfr. can. 604, CIC; Vita Consacrata, nn. 7-42; CCC, 922-924; Pontificale Romano, Consacrazioni delle Vergini, premesse 1-2.

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comunità religiose, delle realtà ecclesiali e di qualche famiglia. I percorsi formativi e di accompagnamento siano affidati all’équipe della Pastorale Vocazionale composta da presbiteri, consacrati/e e laici; inoltre si promuovano campi-scuola ed esercizi spirituali diocesani di orientamento vocazionale. La giornata mondiale per le vocazioni e la giornata della vita consacrata possono essere valorizzate attraverso una settimana di preparazione e con il coinvolgimento di tutti i carismi presenti in diocesi. 157. La formazione dei candidati al sacerdozio ministeriale. I candidati al presbiterato necessitano di una formazione umana, spirituale, teologica e pastorale. Essa è affidata a tutta la comunità cristiana e in particolare alla comunità parrocchiale di origine, al seminario e a un’equipe formativa diocesana. In modo particolare, la Diocesi è chiamata a prendersi cura dei seminaristi nei tempi della loro presenza a casa e in parrocchia curando soprattutto la formazione pastorale che non deve ridursi a una sorta di apprendistato ma deve rappresentare un momento di sintesi di tutta la formazione. 158. L’équipe formativa, tenuto conto della personalità di ognuno, affiderà i seminaristi a un parroco e alla sua comunità parrocchiale perché facciano vita comune con i presbiteri ed esperienze pastorali significative. In particolare: i seminaristi dell’anno propedeutico e del biennio, che rimangono gran parte dei fine settimana in seminario, al loro rientro in diocesi, continueranno a frequentare le rispettive comunità di origine; coloro che sono stati ammessi tra i candidati al diaconato e presbiterato e quelli che hanno ricevuto il ministero di lettore e di accolito, saranno affidati a una nuova comunità parrocchiale e al suo parroco, in modo da fare esperienze diverse da quelle già conosciute e che fanno riferimento alla Parola di Dio, all’Eucaristia, all’evangelizzazione e alla catechesi; i diaconi potranno tornare nelle comunità di origine o nella comunità dove svolgeranno il loro ministero in futuro per vivere la loro missione all’altare e al servizio dei poveri. 159. L’équipe formativa curerà, oltre il rapporto con i seminaristi e con i parroci, alcune iniziative diocesane durante l’anno: incontri comunitari specie nei tempi di Natale, di Pasqua e durante l’estate; incontri ‘domenicali’ con alcuni parroci e le rispettive comunità, anche come momento vocazionale e di conoscenza dei presbiteri e della diocesi; incontri di formazione e di spiritualità e partecipazione alle possibili iniziative di pastorale vocazionale. 78


160. Formazione permanente. La formazione umana, spirituale, culturale e pastorale, di un presbitero non può concludersi con il tempo del Seminario. Sarà premura del Vescovo diocesano, coadiuvato dal Consiglio Presbiterale, promuovere, mediante opportuno regolamento, la formazione permanente dei presbiteri e dei diaconi e il loro aggiornamento ai vari livelli esigiti dalla pastorale. Un’attenzione particolare va riservata ai preti giovani il cui accompagnamento nei primi anni di ministero potrebbe essere affidato all’équipe formativa dei seminaristi. 161. Il presbitero, uomo solidale e sinodale. Il Concilio Vaticano II, parlando di collegialità e insieme di corresponsabilità, ha auspicato un ritorno allo stile sinodale e solidale nel governo del popolo di Dio per evitare ogni forma di protagonismo sacrale e mondano ed essere davvero pastori a servizio dell’uomo. Ha pensato un presbiterato composto di uomini adulti e maturi, caratterizzati dalla seria e tenera paternità, con formazione biblica, basata sul ritorno alle fonti, con una coscienza pastorale e missionaria realistica. Non è facile corrispondere individualmente a tali aspettative, per cui è necessario, oltre al rapporto con Dio, vivere la comunione presbiterale. Sono, quindi, da incoraggiare tutte le forme di vita comune e di collaborazione nell’attività pastorale. Perché il presbiterio diventi luogo di fraternità, sono da facilitare sane e vere amicizie tra i preti anche per evitare invidie, concorrenze, competizioni che creano arrivismo, tristezza, delusioni e, alla fine, inevitabili compensazioni di molti tipi. 162. Per crescere nella dimensione della comunione tra i presbiteri, con il Vescovo e con i fedeli laici, è necessario incrementare ogni forma di dialogo e di confronto per vagliare insieme le decisioni da prendere. Sono da valorizzare al massimo tutti gli organismi di partecipazione diocesani e parrocchiali (Consiglio Presbiterale, Consigli Pastorali, Consigli Affari Economici); i ritiri mensili del clero diocesani e di Vicaria, pensati e programmati sulla base di chiari progetti; i momenti di fraternità e di corresponsabilità tra presbiteri e laici, che aiutano a vivere la reciprocità e consentono il superamento delle distanze e degli isolamenti; le esperienze delle unità e comunità pastorali per progettare e lavorare insieme secondo le esigenze di un particolare territorio. 163. L’attenzione e la cura verso i preti anziani. Anche il clero invecchia per denatalità vocazionale. L’applicazione automatica della direttiva che richiede le dimissioni, può far pensare a una professione 79


che cessa. La sistemazione in infermerie attrezzate, se risolve il problema dell’assistenza, non risolve sempre quello della vivacità. È auspicabile allora che il vecchio prete possa rimanere nella propria comunità a fianco del nuovo parroco prevedendo forme di partecipazione, anche limitate, alla vita della comunità attraverso il ministero della confessione e dell’accompagnamento dei gruppi. Importante è che si senta utile, persona che ama ed è amata. La comunità deve creare attorno ai suoi preti anziani un clima di attenzione e di affetto, facendo sì che questi emeriti non siano un problema bensì un dono. La Diocesi studi l’apertura di una casa del clero dove è possibile fare vita comune tra preti giovani e anziani. 164. Diaconato permanente. La nostra Chiesa diocesana da diversi anni ha riscoperto l’importanza del Diaconato permanente ed è chiamata ad essere sempre più aperta e accogliente nei confronti di questa presenza così importante e necessaria per una comunità tutta ministeriale. Fondamentale è il ruolo dell’équipe diocesana chiamata, mediante opportuno discernimento, a verificare l’idoneità dei candidati, richiesta dai Documenti del Magistero, a curarne la formazione a livello spirituale–teologico–pastorale e a seguire quanti hanno ricevuto l’ordinazione, insieme alle loro famiglie. Essa si preoccupa che nello svolgimento del loro ministero siano servi della Parola e annunciatori del Vangelo ma soprattutto svolgano il servizio della carità, in particolar modo nell’attenzione alle nuove povertà e situazioni di solitudine ed emarginazione, curando l’integrazione sociale delle categorie in maggiore difficoltà e la pastorale degli immigrati. A tal fine sarà opportuna una adeguata preparazione coordinata dalla Caritas diocesana. È opportuno prevedere per i candidati al diaconato un periodo propedeutico, il cui scopo è di introdurre gli aspiranti ad una più approfondita conoscenza della teologia, della spiritualità e del ministero diaconale e di permettere un più attento discernimento vocazionale143. 165. La destinazione pastorale dei diaconi, sia a servizio di una parrocchia sia in un incarico sovra-parrocchiale o diocesano, venga curata in modo particolare. L’inserimento del diacono nella comunità o nell’ambito di prima destinazione è un passaggio delicato che richiede di vivere con i presbiteri della parrocchia e con il presbiterio diocesano rapporti 143

Congregazione per l’educazione cattolica – Congregazione per il Clero, Norme fondamentali per la formazione dei diaconi permanenti direttorio per il ministero e la vita dei diaconi permanenti, 40.

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improntati alla stima per il comune dono dello Spirito ricevuto nell’Ordinazione e collaborazione convinta e docile, paziente e costruttiva. È importante attribuire compiti corrispondenti alle capacità personali, alla condizione familiare, alla formazione, all’età, alle aspirazioni riconoscibili come spiritualmente valide. 166. I diaconi abbiano una proporzionata rappresentanza nel Consiglio Pastorale Diocesano e negli altri organismi di partecipazione mentre tutti sono invitati alle assemblee del clero. I diaconi destinati al ministero nelle parrocchie sono membri di diritto, come i presbiteri, del Consiglio Pastorale Parrocchiale. 167. Economicamente i diaconi siano indipendenti, continuando di norma la professione che esercitavano prima del diaconato. Per tutte le questioni relative alla professione e all’inserimento responsabile nella società civile e politica i diaconi si attengano alle direttive della Conferenza Episcopale Italiana. 168. Consacrati e vita diocesana. I consacrati e le consacrate sono soggetti attivi nella vita della nostra Diocesi e partecipano alla crescita e alla formazione della comunità cristiana. Sono chiamati a vivere autenticamente ed esercitare corresponsabilmente il loro carisma, ad integrarsi con il loro apostolato nella pastorale della Diocesi, per essere con il loro esempio fermento di unità e di pace. La presenza di religiosi e membri di società di vita apostolica nel presbiterio diocesano rappresenta una particolare ricchezza per la diversità e specificità dei loro carismi. Sono, quindi, da incoraggiare rapporti di fraterna comunione e collaborazione pastorale con i presbiteri diocesani e con le comunità parrocchiali. 169. Scuola cattolica. Molti istituti di vita consacrata sono impegnati nell’educazione delle nuove generazioni mediante la Scuola Cattolica144. La nostra Diocesi riconosce il prezioso lavoro svolto dalle Scuole Cattoliche presenti nel territorio perché sviluppano una proposta pe144

Negli Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020 si afferma a questo proposito: «Un ruolo educativo particolare è riservato nella Chiesa alla vita consacrata. Prima ancora che per specifiche attività, essa rappresenta una risorsa educativa all’interno del popolo di Dio per la sua indole escatologica. In quanto caratterizzata da una speciale configurazione a Cristo casto, povero e obbediente, costituisce una testimonianza fondamentale per tutte le altre forme di vita cristiana» (cap. 4, 45).

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dagogica e culturale di qualità, radicata nei valori educativi ispirati al Vangelo. «La scuola cattolica costituisce una grande risorsa per il Paese. In quanto parte integrante della missione ecclesiale, essa va promossa e sostenuta nelle diocesi e nelle parrocchie, superando forme di estraneità o di indifferenza e contribuendo a costruire e valorizzare il suo progetto educativo. In quanto scuola paritaria, e perciò riconosciuta nel suo carattere di servizio pubblico, essa rende effettivamente possibile la scelta educativa delle famiglie, offrendo un ricco patrimonio culturale a servizio delle nuove generazioni»145.

145

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CEI, Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, 48.


Laboratorio 7

L’ESPERIENZA DEL DOLORE E DELLA FRAGILITÀ: IL VANGELO DELLA CARITÀ



I. Icona Biblica: Gv 13, 1-15 Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. 2Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, 3Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, 4si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita.5Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. 6Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». 7Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». 8Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». 9Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». 10Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». 11Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri». 12Quando ebbe lavato loro i piedi e riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? 13Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. 14Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. 15Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi». 1

II. Premessa 170. Gesù si fa servo. Il suo posto è accanto all’uomo, per portare a compimento il disegno del Padre. È un progetto d’amore per tutti, da cui nessuno è escluso, nemmeno Giuda. In Gesù, Dio esprime il suo amore ostinato, disposto ad amare oltre ogni misura146. Tale amore si manifesta concretamente attraverso il Mistero dell’Incarnazione. Dio, non si serve più di mediatori, ma si fa carne, calandosi nel profondo della storia dell’uomo147 così, attraverso Gesù, può guardare le persone negli occhi, ascoltarle, farsi carico delle loro gioie e dolori, contagiandole tutte con il suo amore. 146 147

Cfr. Evangelizzazione e testimonianza della carità, 22. Cfr. GS 32.

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171. Come l’amore di Gesù si fa gesto e storia, raggiungendo l’uomo sia nella singolarità della sua persona che nell’interezza delle sue relazioni con gli altri uomini148, anche il discepolo è chiamato a farsi prossimo di ogni uomo fragile e povero. Solo contemplando il Mistero di CristoServo, si comprende cosa vuol dire amare e vivere la carità. Nella carità i singoli credenti e tutta la Chiesa esprimono se stessi, la loro profonda identità. La comunità cristiana deve, quindi, verificarsi costantemente sul comando nuovo dell’amore datoci da Gesù, superando il rischio di ridurre la carità al semplice assistenzialismo o alla filantropia.

III. Riflessione tematica a. L’esperienza del dolore e della fragilità 172. «Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti»149. Durante la cena Gesù si alza da tavola e si predispone al gesto di carità che avrebbe compiuto come anticipazione del suo sacrificio sul Golgota. In tal modo Egli ci sprona ad abbandonare la sedentarietà per spenderci in gestualità dinamiche e missionarie150. Poi Gesù depone le vesti, abbandona nel cuore della Trinità le sue vesti regali per assumere la condizione di Servo151. Egli si fa carico della condizione umana e delle sue particolari situazioni di fragilità e di dolore. Passando «dentro» la sofferenza, assumendola su di sé fino all’atto supremo della morte, Gesù inaugura una speranza che non muore. 173. Il mito dell’efficienza fisica e di una libertà senza regole, che caratterizza il mondo contemporaneo, tende ad esorcizzare le molteplici espressioni della fragilità umana: la sofferenza, la precarietà, il limite, la povertà relazionale152. La sofferenza è una realtà che gli esseri uma-

148 149 150 151 152

Cfr. Evangelizzazione e testimonianza della carità 23. Gv 13,3- 4. Cfr. MONS. TONINO BELLO, Stola e grembiule. Cfr. Fil 2,7-8.

Cfr. Nota pastorale dell’Episcopato italiano dopo il 4° Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona.

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ni non possono evitare, sebbene siano tentati di rifiutarla, pertanto la Chiesa in ogni tempo ha il dovere di incontrarsi con l’uomo proprio su questa via153. Essa deve guardare l’uomo così com’è, con il suo carico di peccato e di miseria e fargli dono della misericordia e del perdono di Dio. «Il male non può essere messo tra parentesi perché ci dà fastidio e ci richiama la nostra immensa fragilità. Non può essere considerato superficialmente come un intralcio nello sviluppo umano, facilmente superabile con il progresso civile e scientifico. Esso ha radici profonde nel cuore degli uomini e ha ramificazioni inestricabili nella vita sociale. La carità sa tutto questo; perciò implora continuamente la misericordia di Dio e si impegna a tracciare le strade del perdono tra gli uomini»154. 174. Affermava Paul Claudel: «A questo terribile problema, il più antico dell’umanità… solo Dio, direttamente richiesto e sollecitato, era in grado di rispondere. E l’interrogativo era così enorme che solo il Verbo poteva soddisfarlo dando non una spiegazione, ma una presenza...». Infatti nel Mistero Pasquale di Cristo il cristiano può trasformare la sua condizione di sofferenza in un momento di grazia per sé e per gli altri «una vocazione ad amare di più, una chiamata a partecipare all’infinito amore di Dio verso l’umanità»155. I cristiani sono chiamati a stare accanto a coloro che soffrono per essere una presenza amica, per sostenerli e accompagnarli. b. Il Vangelo della carità 175. «Prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto»156. Al tempo di Gesù lavare i piedi agli ospiti, come primo segno di accoglienza, era compito dello schiavo; era una delle azioni più “basse” e ingrate, e solo le persone considerate inferiori potevano essere obbligate a farlo. Gesù sceglie di compiere questo gesto per i suoi discepoli, chinandosi sulle loro povertà e fragilità per sanarle con il Suo amore senza misura. Così Egli ci rivela un Dio che serve, che non chiede di essere servito. Indicandoci la via del servizio e del sacrificio di sé 153 154

Cfr. SD 3. CARD. MARTINI C., Farsi prossimo, Lettera pastorale 1986, 18.

155

MONS. FRANCO GIULIO BRAMBILLA, Educati alla carità nella verità: gesti di amore per l’uomo di oggi, XXXIV Convegno Nazionale delle Caritas diocesane, 2010. 156

Gv 13, 4-5

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fino alla Croce, Gesù ci strappa dal ripiegamento su noi stessi per aprirci all’accoglienza e all’ascolto dell’altro. Nella lavanda dei piedi si manifesta la gratuità della carità di Dio, che irrompe nella storia e si propone come lo stile di vita del cristiano e della Chiesa. 176. Educare oggi alla gratuità, al dono, al disinteresse personale, all’essenzialità, alla condivisione, non vuol dire gestire scampoli di assistenza a buon mercato; significa voler contribuire con altri a trasformare il mondo, unito dalla globalizzazione ma ancora fortemente diviso dalle ingiustizie. 177. L’uomo, in tutte le sue dimensioni, è l’obiettivo principale e la priorità che dobbiamo mettere al centro del nostro agire. L’incontro con la vita dei più deboli, nella realtà di ogni giorno, è il cammino paziente che ci fa crescere come cristiani e connota la nostra identità. Ogni volta che ci riconosciamo fratelli e condividiamo i doni che abbiamo, è vinta una scommessa sull’uomo, è la gratuità che trionfa sull’interesse, il seme che genera vita. È da noi stessi che dobbiamo cominciare per riconciliare l’uomo con la sua dignità. «La cura del povero ha a che fare con la piena umanità dell’uomo, con ciò che è degno dell’uomo, con una vita degna di essere vissuta, con il suo essere personale. Educare alla cura del debole è dunque un momento essenziale della crescita personale, della vocazione cristiana, della formazione credente. Non solo nel senso che la relazione di aiuto fa crescere l’altro, ma fa ritrovare anche a noi la nostra piena umanità»157. 178. Un aspetto concreto dell’attenzione al prossimo è il volontariato che si esprime nelle varie organizzazioni umanitarie e assistenziali. Ma i cristiani, pur collaborando alle stesse iniziative, non possono dimenticare che la vera carità ha orizzonti più ampi, esprimibili in un servizio che abbia radici solide in Cristo. Pertanto, il nostro volontariato non può rendersi complice di un mondo che riduce le persone a merce. Non possiamo accettare che sia solo l’economia o il mercato, a determinare la convivenza umana, che la persona sia divisa per categorie economiche e sociali e che venga usata in vista del profitto che se ne può trarre. C’è bisogno di inventare nuove relazioni di comunità, basate sulla responsabilità e sul prendersi cura l’uno dell’altro, per un futuro dignitoso per tutti. 157

MONS. FRANCO GIULIO BRAMBILLA, Educati alla carità nella verità: gesti di amore per l’uomo di oggi, XXXIV Convegno Nazionale delle Caritas diocesane, 2010.

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Si riuscirà a realizzare un progetto davvero innovativo, se saremo capaci di sradicarci dalle pigrizie, anche culturali, delle nostre mentalità ristrette e se attueremo una formazione adeguata e specializzata. 179. Scrive don Luigi Ciotti: «Ci vuole una bella dose di sana follia per occuparsi degli altri, per lasciarsi segnare dalle loro storie, dai loro volti». È una follia fondata sul Mistero Pasquale. Anche nel volontario deve coesistere la dinamica del morire a se stessi per risorgere nella novità del servizio, che viene dalla croce. Il Vangelo della carità è la natura profonda della Chiesa, la vocazione e l’autentica realizzazione dell’uomo. Nella croce di Gesù la carità ci è rivelata e donata in pienezza158. c. La pedagogia della carità 180. «Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi»159. L’esempio di Gesù diventa un gesto pedagogico per i discepoli di ogni tempo. L’amore donato è la dinamica del servizio all’uomo, che rende visibile e credibile la comunità dei credenti. È la carità che educa al dono gratuito di sé. «La missione della carità è di sciogliere i legami di una Chiesa potente per farla serva, di essere rimprovero vivente a una società dell’arrivismo e della concorrenza, del consumismo e dello spreco. La sua missione è prima di tutto di fare la Chiesa comunione, proprio mentre la Chiesa si proietta verso il povero. Senza la carità noi saremmo dei cristiani sognatori, senza la carità la Chiesa sarebbe un’associazione di volontariato e non il regno della libertà, perché è il regno della fede e della prossimità»160. 181. Il credente riceve una forte spinta verso il mondo da una vita di culto sinceramente praticata. La professione di fede e la celebrazione degli atti liturgici lo aiutano a rendersi conto dell’immensa carità di Cristo nei confronti di ogni uomo. Contemplando Gesù che si fa prossimo, egli non può rimanere indifferente e, a sua volta, vuole donarsi totalmente ai fratelli. Scrive il card. Martini: «Questo desiderio ispirato dalla fede 158

Cfr. Orientamenti pastorali CEI per gli anni ’90, Evangelizzazione e testimonianza della carità, 19. 159

Gv 13, 14-15.

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MONS. FRANCO GIULIO BRAMBILLA, Educati alla carità nella verità: gesti di amore per l’uomo di oggi, XXXIV Convegno Nazionale delle Caritas diocesane, 2010.

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entra in risonanza con altri desideri spontanei o riflessi che noi proviamo dinanzi ai problemi dei nostri fratelli. I loro bisogni ci commuovono. Le loro povertà ci spingono a privarci di qualcosa per soccorrerli. I torti e le ingiustizie, che essi subiscono, suscitano in noi dispiacere, sdegno, condanna per chi compie l’ingiustizia, lotta contro la violenza, impegno per rinnovare profondamente la società. I motivi suggeriti dalla fede e i motivi provenienti dai nostri naturali sentimenti si rafforzano reciprocamente verso un’operosità sempre più realistica e costante»161. 182. «La carità, educa il cuore dei fedeli e svela agli occhi di tutti il volto di una comunità che testimonia la comunione, si apre al servizio, si mette alla scuola dei poveri e degli ultimi, impara a riconoscere la presenza di Dio nell’affamato e nell’assetato, nello straniero e nel carcerato, nell’ammalato e in ogni bisognoso. [ … ] Per questo vanno incentivate proposte educative e percorsi di volontariato adeguati all’età e alla condizione delle persone, mediante l’azione della Caritas e delle altre realtà ecclesiali che operano in questo ambito, anche a fianco dei missionari»162. Il progetto pedagogico della Caritas deve, quindi, essere unitario e non pensato come qualcosa di esterno al cammino pastorale parrocchiale o diocesano. Esso deve coinvolgere tutti i soggetti che operano sul fronte del volontariato e confrontarsi con le altre agenzie sociali, in accordo con gli ambiti della formazione cristiana, in modo particolare con la pastorale giovanile163. 183. Il mondo giovanile sperimenta le contraddizioni e le potenzialità del tempo odierno come l’individualismo e l’edonismo. Tuttavia nei giovani albergano gli ideali di solidarietà, di passione per un mondo unito e più giusto, di apertura al dialogo con tutti. Facendo leva sulle loro qualità positive, è possibile accompagnarli in esperienze di servizio, aiutandoli a superare le iniziali motivazioni di tipo opportunistico. Se si vuole dare un fattivo impulso al protagonismo dei giovani, è importante riconoscere il loro ruolo di portatori di novità e competenze, da valorizzare adeguatamente attraverso il coinvolgimento diretto nella progettazione e sperimentazione sul campo. 161

CARD. MARTINI C., Farsi prossimo, Lettera pastorale 1986, 21.

162

CEI, Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, cap. 4, 39.

163

Cfr. MONS. FRANCO GIULIO BRAMBILLA, Educati alla carità nella verità: gesti di amore per l’uomo di oggi, XXXIV Convegno Nazionale delle Caritas diocesane, 2010, 4.

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184. Il regalo più grande che oggi noi possiamo fare alle nuove generazioni è di responsabilizzarle nel servizio e aiutarle ad avere uno sguardo nuovo sul mondo. Gli occhi che abbiamo sono ormai troppo abituati a scorrere indifferenti sui problemi di chi ci passa accanto. Occorre puntare su proposte essenziali, forti e coinvolgenti che permettano ai giovani di mettere a frutto i loro talenti nella più vasta comunità della Chiesa, della società e della mondialità. «Il Vangelo della carità, che racchiude la verità su Cristo, sulla Chiesa e sull’uomo, deve diventare il centro dinamico e unificatore di una integrale pedagogia della fede, nella quale il rapporto dei giovani con gli adulti rimane essenziale»164.

IV. Percorsi pastorali 185. Ministero della carità. La Chiesa è chiamata a camminare sulle strade del mondo accanto all’uomo e, per lui e con lui, farsi povera e serva, come il Cristo. Essa così manifesta la sua scelta preferenziale per i poveri. A tal fine si può pensare a un ministero della carità, per non cadere nel rischio della episodicità degli interventi e della professionalizzazione degli operatori, che ingessi tutta la corrente viva della relazione di aiuto del servizio comunitario165. 186. La caritas. Per un maggiore radicamento a livello territoriale è urgente, laddove non c’è, la creazione della Caritas in ogni comunità e di un Centro d’Ascolto, almeno zonale, per offrire un luogo concreto per l’accoglienza dei poveri. I vari centri parrocchiali siano collegati tra loro e con la Caritas Diocesana, mediante una comunicazione efficace e resoconti periodici, scritti e contabili, che rendano noto a tutti il buon cammino fatto. La Caritas diocesana, per evitare il doppio rischio della delega e della privatizzazione dei poveri, avrà il compito di animare, promuovere e coordinare il servizio della carità su tutto il territorio della Diocesi, mediante progetti articolati e condivisi. Essa mette a disposizione delle varie realtà caritative e delle parrocchie la sua banca dati, al fine di creare una collaborazione efficace tra i vari organismi. È bene instaurare un raccordo tra la Caritas Diocesana, l’Ufficio Migrantes e l’Ufficio 164

Orientamenti pastorali CEI per gli anni ’90, Evangelizzazione e testimonianza della carità, 45.

165

Cfr. MONS. FRANCO GIULIO BRAMBILLA, Educati alla carità nella verità: gesti di amore per l’uomo di oggi, XXXIV Convegno Nazionale delle Caritas diocesane, 2010.

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Missionario per condividere progetti comuni a partire dalla specificità del proprio ambito. 187. Giovani ed impegno caritativo. È bene educare i giovani alla carità aiutandoli ad accorgersi che essa è la legge fondamentale dell’esistenza del cristiano. Il periodo di preparazione alla Cresima e il post-Cresima siano tempi favorevoli per fare proposte coraggiose di approccio con il mondo della sofferenza e della povertà. Sarebbe opportuno inserire nel cammino di Iniziazione Cristiana, oltre la catechesi e la celebrazione, anche esperienze concrete e significative di servizio (partecipazione alle iniziative di UNITALSI e AVULSS, visite ospedaliere, condivisione di esperienze con persone diversamente abili, visita agli anziani, alle case-famiglia, ai carcerati, a coloro che vivono momenti di solitudine, animazione nelle case per anziani, dopo-scuola …). 188. Realtà caritative. La comunità cristiana è chiamata ad incoraggiare e sostenere le varie attività caritative come ad esempio la Mensa Diocesana di Fraternità, le Case di Accoglienza, le Case-famiglia, le varie realtà assistenziali, i gruppi UNITALSI, San Vincenzo, l’AVULSS, ... Per quanto riguarda la Mensa diocesana si propone di affidare il servizio alle parrocchie che, a turno, potrebbero gestirla per una settimana durante l’anno. 189. Operatori della carità. Si propone di affidare la formazione degli operatori della carità alla Caritas Diocesana. Essa potrebbe entrare a far parte dell’équipe della Scuola diocesana di formazione. Tra gli operatori della carità, meritano un’attenzione particolare i diaconi permanenti perché il loro ministero non si riduca al solo servizio liturgico. I diaconi potrebbero sensibilizzare i fedeli a vivere esperienze di carità e aiutarli nella realizzazione della vocazione cristiana dell’accoglienza. 190. Portale della carità. Il sito web della Diocesi dovrebbe accogliere il Portale della Carità, dove mettere in rete tutte le realtà caritative del territorio, ciascuna nella sua specifica struttura di aiuto, con la descrizione dei servizi offerti.

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Laboratorio 8

IL “GIORNO DEL SIGNORE” COME PRIMO E ULTIMO GIORNO DELLA VITA: L’UOMO CHE ASCOLTA, CHE CELEBRA, CHE AMA



I. Icona biblica: Atti 2,42-47; 4, 32-33; 5,12-13 Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. 43Un senso di timore era in tutti e segni avvenivano per opera degli apostoli. 44Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune. 45Vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. 46Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano il cibo con letizia e semplicità di cuore, 47lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati (Atti 2, 42-47). 42

La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. 33Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore (Atti 4, 32-33). 32

Molti segni e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli. Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone; 13nessuno degli altri osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava (Atti 5, 12-13). 12

II. Premessa 191. Le questioni più urgenti sul giorno del Signore emerse nel tempo di ascolto e che chiedono un confronto nell’assemblea ruotano intorno ai tre aspetti fondamentali della liturgia festiva: a. preparazione adeguata (catechesi appropriata attraverso incontri settimanali sulla Parola, sui canti, sui riti); b. degna celebrazione (ruolo del celebrante, dei ministri, ministranti e fedeli nel rispetto delle norme e dei principi liturgici), c. attualizzazione nella vita (offrire ai fedeli indicazioni accurate e sfruttare meglio i sussidi scritti al termine della liturgia festiva per tradurla in una chiara testimonianza di vita cristiana durante la settimana): oggi c’è il pericolo che l’uomo, vestito a festa ma incapace di fare festa, finisca col chiudersi in un orizzonte tanto ristretto che non gli consenta più di vedere il cielo166.

166

CEI, Il giorno del Signore, 5.

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192. Il giorno del Signore è in realtà anche il giorno dell’uomo. In esso è racchiuso il triplice mistero della creazione, della passione-morte-risurrezione di Cristo, dell’effusione dello Spirito Santo. Per questo ogni giorno della vita deve scandire questo triplice mistero, fino all’ultimo giorno della storia quando apparirà il Cristo e ci introdurrà nel giorno eterno di Dio. In questa prospettiva teologica, la formazione liturgica non deve insistere tanto sull’obbligo quanto sul bisogno della domenica e il dono di celebrarla: «Il cristiano non potrebbe più vivere senza celebrare quel giorno e quel mistero. Prima di essere una questione di precetto, è una questione di identità. Il cristiano ha bisogno della domenica. Dal precetto si può anche evadere, dal bisogno no»167. 193. Il giorno del Signore sarà tale se esso esprimerà la verità di tutti e singoli i giorni della settimana, per cui il cristiano diventa egli stesso con la sua vita giorno del Signore: «Se volete essere il giorno fatto dal Signore, vivete bene e avrete la luce della verità, e l’avrete in modo tale che mai tramonti dal vostro cuore»168. Il giorno è una coscienza luminosa e una condotta limpida di vita cristiana: giorno del Signore è colui che vive bene lasciando trasparire la persona e l’opera di Cristo. 194. Questo ricco contenuto teologico può fare da degna cornice all’icona biblica, che ci presenta gli Atti degli Apostoli, quando descrivono i primi giorni del Signore della primitiva comunità di Gerusalemme. Ne viene fuori un trittico molto vivace, che in controluce può aiutarci a capire il senso e la finalità stessa del nostro Sinodo diocesano. 195. Siamo nella fase nascente della Chiesa, ove il timore grande per i prodigi di grazia del Signore Risorto e dello Spirito Santo si mescola al fervore e all’entusiasmo dei credenti: tutti toccano con mano la presenza del Signore in mezzo a loro. Da una parte c’è la catechesi essenziale degli apostoli: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo per il perdono dei vostri peccati; e riceverete il dono dello Spirito Santo… Salvatevi da questa generazione perversa»169; dall’altra la vita della comunità cristiana attorno all’Eucaristia e nella piena condivisione dei beni e dei servizi.

167 168 169

96

Ivi, 8. S. Agostino, Discorso 230, 1. Atti 2, 38-40.


196. La vita della comunità si svolge fra il cenacolo, abitazione degli apostoli, non più con le porte sbarrate ma socchiuse, perché tutti possano almeno osservare la Chiesa all’interno di questa esperienza soprannaturale; il portico di Salomone, spazio aperto a tutti, posto di fronte al mondo e alla vita concreta; le famiglie dei credenti, dimensione domestica della vita cristiana. Di tutta l’icona biblica degli Atti, risuonano con particolare forza alcune annotazioni lucane: erano assidui, tutti stavano insieme, tenevano ogni cosa in comune, secondo il bisogno di ciascuno, ogni giorno frequentavano il tempio per la preghiera e la casa per la frazione del pane, prendevano i pasti con letizia e semplicità di cuore, godevano la simpatia di tutto il popolo, con grande forza, erano un cuor solo e un’anima sola170. 197. Non è difficile proiettare queste annotazioni nell’evento ecclesiale del Sinodo: c’è la nostra cattedrale come il cenacolo; il luogo delle nostre riunioni come il portico di Salomone, un’aula aperta a tutto il territorio diocesano e rappresentata dalla variegata composizione di culture e stili di vita; infine l’abitazione delle famiglie, nella cui intimità deve tradursi ogni attività della chiesa diocesana e parrocchiale.

III. Riflessione tematica a. L’uomo che ascolta. 198. La liturgia non può essere improvvisata né dal sacerdote né dai fedeli. L’unico rimedio è di sviluppare una catechesi e mistagogia appropriata attraverso incontri settimanali sulla Parola di Dio e sui riti liturgici (segni, preghiere e canti). Tutto inizia dal Libro sacro della Parola di Dio: «Nella celebrazione liturgica la sacra Scrittura ha una importanza estrema. Da essa infatti si attingono le letture che vengono poi spiegate nell’omelia e i salmi che si cantano; del suo afflato e del suo spirito sono permeate le preghiere, le orazioni e i carmi liturgici; da essa infine prendono significato le azioni e i simboli liturgici. Perciò, per promuovere la riforma, il progresso e l’adattamento della sacra liturgia, è necessario che venga favorito quel gusto saporoso e vivo della sacra Scrittura, che è at-

170

Cfr. Atti 2,42-48.

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testato dalla venerabile tradizione dei riti sia orientali che occidentali»171. Essa deve essere letta unificando correttamente il senso storico-letterale, il senso allegorico e il senso teologico-spirituale o mistico172. 199. Su questa base deve essere preparata l’omelia a commento della liturgia della Parola, a sua volta collegata con la liturgia eucaristica: «Esse sono così strettamente congiunte tra loro da formare un unico atto di culto: Dalle due mense della Parola di Dio e del Corpo di Cristo la Chiesa riceve ed offre ai fedeli il Pane di vita»173. Ecco perché la liturgia della Parola deve essere sempre debitamente preparata e vissuta: «quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura, Dio stesso parla al suo popolo e Cristo, presente nella sua Parola, annunzia personalmente il Vangelo ai fedeli»174. 200. In relazione all’importanza della Parola di Dio è necessario migliorare la qualità dell’omelia. Essa è parte viva dell’azione liturgica, avendo il compito di favorire la piena comprensione ed efficacia della Parola di Dio nella vita dei fedeli. Per questo i ministri ordinati devono prepararla accuratamente, evitando omelie generiche o astratte. In particolare, facciano in modo che essa ponga la Parola di Dio in stretta relazione con la celebrazione sacramentale e la vita della comunità. Tengano presente lo scopo catechetico ed esortativo dell’omelia; partendo dal lezionario triennale e attingendo al magistero della Chiesa. 201. Non bastano la traduzione dei testi e la semplificazione dei riti a rendere comunicative le celebrazioni e a garantire l’intelligenza del mistero celebrato. La proclamazione della Parola di Dio «non può essere vista solo come narrazione informativa degli eventi della storia della salvezza, né come semplice riaffermazione degli articoli di un codice morale: essa è essenzialmente parola che Dio oggi rivolge all’uomo perché l’oggi dell’uomo ne sia illuminato e salvato. Perciò le Scritture lette nella Liturgia sono sempre accompagnate dalla parola viva, che non solo le spiega esegeticamente, ma soprattutto ne evidenzia l’attualità e ne mostra la realizzazione nel segno sacramentale»175. 171 172

SC, 24. Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 117.

173

Sacramentum Caritatis, 44.

174

Ivi, 45.

175

Nota pastorale della Commissione Episcopale per la liturgia, Il rinnovamento liturgico in Italia,

11.

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b. L’uomo che celebra 202. Chi celebra il mistero del giorno del Signore applica il seguente principio: Mentre la Chiesa offre Cristo, offre se stessa. Sia il celebrante che i fedeli devono identificarsi con il proprio ruolo: il sacerdote attua in persona Christi e rappresenta i fedeli, la comunità si identifica con Cristo, i ministri collaborano come tramite fra l’altare e l’assemblea nel pieno rispetto delle norme e dei principi liturgici. 203. Tutti i fedeli vanno guidati alla piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche richiesta dalla natura della stessa liturgia176. La liturgia, infatti, «è scuola permanente di formazione attorno al Signore risorto, luogo educativo e rivelativo in cui la fede prende forma e viene trasmessa. Nella celebrazione liturgica il cristiano impara a gustare com’è buono il Signore (Sal 34,9; cfr 1Pt 2,3), passando dal nutrimento del latte al cibo solido (cfr Eb 5,12-14), fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo (Ef 4,13). Tra le numerose azioni svolte dalla parrocchia, nessuna è tanto vitale o formativa della comunità quanto la celebrazione domenicale del giorno del Signore e della sua Eucaristia»177. «Per questo la Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli cristiani non assistano come estranei e muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, con una comprensione piena dei riti e delle preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente, siano istruiti nella parola di Dio, si nutrano alla mensa del corpo del Signore, prendano la vittima immacolata, non soltanto per le mani del sacerdote, ma, insieme con lui, imparino ad offrire se stessi, e di giorno in giorno, per mezzo di Cristo mediatore, siano perfezionati nell’unità con Dio e tra di loro, in modo che Dio sia finalmente tutto in tutti»178. 204. La Chiesa celebra il sacrificio eucaristico in obbedienza al comando di Cristo, a partire dall’esperienza del Risorto e dall’effusione dello Spirito Santo. Pertanto la comunità cristiana, fin dagli inizi, si riunisce per la fractio panis nel Giorno del Signore, la domenica, primo giorno della settimana in cui la tradizione veterotestamentaria vedeva l’inizio della creazione. Esso è ora diventato il giorno della «creazione nuova»,

176 177 178

Cfr. SC, 14. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, 39. SC, 48.

99


il giorno della nostra liberazione nel quale facciamo memoria di Cristo morto e risorto179. 205. Poiché la liturgia eucaristica è essenzialmente actio Dei, che ci coinvolge in Gesù per mezzo dello Spirito, il suo fondamento non è a disposizione del nostro arbitrio e non può subire il ricatto delle mode del momento. Anche qui vale l’affermazione di san Paolo: «Nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo»180. Ecco perché la celebrazione dell’Eucaristia implica tutta la Tradizione viva. 206. Nell’insegnamento della Chiesa è stata più volte raccomandata la necessità di superare ogni possibile separazione tra l’ars celebrandi, cioè il celebrare correttamente, e la partecipazione piena, consapevole, attiva e fruttuosa di tutti i fedeli. In effetti, il primo modo con cui si favorisce la partecipazione del Popolo di Dio al rito sacro è la celebrazione adeguata del rito stesso. L’ars celebrandi è la migliore condizione per l’attiva partecipazione. 207. Lo stupore del celebrare deve coinvolgere maggiormente il ministro dell’Eucaristia il quale mette la sua bocca e la sua voce a disposizione di Colui che pronunciò la prima volta nel cenacolo le parole della consacrazione e volle che venissero ripetute di generazione in generazione181. Ogni volta che la Chiesa celebra il sacrificio eucaristico, i fedeli devono rivivere l’esperienza dei discepoli nel cenacolo e ad Emmaus182. Ecco perché è necessario avere la stessa attenzione che Gesù pose nella preparazione della grande sala dove avrebbe istituito il mistero eucaristico, dando indicazioni precise ai discepoli183. 208. E’ necessario anche mettere in risalto la dimensione della festa, della gioia, del celebrare la memoria del mistero della Trinità nell’Eucaristia. La domenica è il giorno del Signore e dell’uomo, giorno di gio-

179

Cfr. Sacramentum Caritatis, 37; Mane Nobiscum Domine, 23; Senza la Domenica non Possiamo Vivere, 1-3.

180 181 182 183

1 Cor 3,11. Ecclesia de Eucharistia, 5. Cfr. Ivi, 6. Cfr. Ivi, 47-51.

100


ia, riposo, solidarietà e di partecipazione alla gioia piena di Cristo184. I cristiani affermavano di non poter vivere senza celebrare il giorno del Signore185. Non è questione di assolvere ma necessità di vivere con gioia il dono prezioso che Dio fa al suo popolo. Si tratta di tornare a far festa e la festa è letizia, volontà di stare insieme, gioia di parlarsi e di prolungare l’incontro, è convivialità, è condivisione, è riposo, è anche sano divertimento. «Il giorno di domenica siate sempre lieti, perché colui che si rattrista il giorno di domenica, fa peccato»186. c. L’uomo che ama 209. Dalla Messa domenicale parte un’onda di carità, destinata ad espandersi in tutta la vita dei fedeli187, iniziando ad animare il modo stesso di vivere il resto della domenica. Se essa è giorno di gioia, occorre che il cristiano dica con i suoi concreti atteggiamenti che non si può essere felici da soli. Invitare a tavola con sé qualche persona sola, fare visita a degli ammalati, procurare da mangiare a qualche famiglia bisognosa, dedicare qualche ora a specifiche iniziative di volontariato e di solidarietà, sarebbe certamente un modo per portare nella vita la carità di Cristo attinta alla Mensa eucaristica188. Il presentare, insieme al pane e al vino, anche offerte in denaro o altri doni per i poveri, ricorda che l’Eucaristia è impegno alla solidarietà e alla condivisione189. 210. Il mandato al termine della Messa è una consegna che spinge il cristiano all’impegno per la propagazione del Vangelo e l’animazione cristiana della società. La domenica è il giorno dell’Eucaristia non solo perché si partecipa alla Messa ma perché in quel giorno il cristiano cerca di fare della sua vita un dono, un sacrificio spirituale gradito a Dio, a imitazione di colui che nel suo sacrificio ha fatto della propria vita un dono al Padre e ai fratelli190. «In definitiva, nel culto stesso, nella comunione eucaristica è contenuto l’essere amati e l’amare a propria volta gli altri. 184

Cfr. Dies Domini, 50-51; Il Giorno del Signore, 15.

185

Cfr. Lettera in preparazione al 24° Congresso Eucaristico nazionale, Senza la Domenica non possiamo vivere, 2005.

186 187 188 189 190

Didascalia degli Apostoli, V,20,11. Cfr. SC, 2. Cfr. Dies Domini, 72. Cfr. Anno dell’Eucaristia, 27. Cfr. Il Giorno del Signore, 12.

101


Un’Eucaristia che non si traduca in amore concretamente praticato è in se stessa frammentata»191. 211. La convivialità eucaristica impone come frutto l’amore che riunisce in un solo corpo192 ed opera all’interno della comunità ecclesiale una mirabile trasformazione che fa diventare la chiesa un cuor solo e un’anima sola193. La comunione Sacramentale è veramente piena solo se ci spinge a farci commensali di ogni uomo, «soprattutto con chi nel mondo, ancora afflitto da disuguaglianze ed ingiustizie, soffre la fame», e ci sostiene nell’impegno quotidiano di condivisione con ogni forma di miseria194, giacché la celebrazione stessa porta come frutti quotidiani «la fiducia, la libertà di spirito, l’impegno sereno a capire sempre più la realtà, il dialogo, la competenza nel lavoro, la gratuità, il perdono, la dedizione nei rapporti interpersonali, la verità verso se stessi»195. 212. È chiaro allora che «l’Eucaristia non è solo un rito, ma anche una scuola di vita. Essa non può esaurirsi entro le mura del tempio, ma tende necessariamente a varcarle per diventare impegno di testimonianza e servizio di carità»196. La celebrazione eucaristica domenicale diviene, così, per tutti noi una preziosa occasione per verificare la nostra conformazione a Cristo e il nostro impegno di imitarlo nel dono generoso della nostra vita. Essa non permette né fughe all’indietro, né sogni evasivi, ma il rimanere in lui e con lui fedeli alla storia, così che la speranza generi le opere dell’ottavo giorno197. 213. L’evangelizzazione e la testimonianza missionaria si dipartono dunque dal convito eucaristico198. La missione è portare Cristo, in modo credibile, negli ambienti di vita, di lavoro, di fatica, di sofferenza, facendo in modo che lo spirito del Vangelo sia lievito della storia e progetto di relazioni umane improntate alla solidarietà e alla pace.

191 192 193 194

Sacramentum caritatis , 82. Eucaristia, Comunione e Comunità, 17. Ivi, 22. Ivi, 51-52 e 104-106.

195

Ivi, 63.

196

CEI, Il Giorno del Signore, 13.

197 198

Cfr. Ivi, 37. Cfr. Dies Domini, 45.

102


IV. Percorsi pastorali 214. Spiritualità liturgica. La prospettiva ultima è una liturgia che nutre e orienta l’esistenza, plasmando il vissuto del credente come autentico culto spirituale199. Senza una spiritualità liturgica, la pratica liturgica facilmente si riduce a ritualismo e vanifica la grazia che sgorga dalla celebrazione. I segni della celebrazione devono essere eloquenti e arrivare alla mente e al cuore dei fedeli: è questo il primo e più efficace linguaggio liturgico, capace di far vivere una vera spiritualità. Ciò vale in modo particolare per l’Eucaristia. Occorre, pertanto, curare il movimento che va dall’Eucaristia celebrata all’Eucaristia vissuta: dal mistero creduto alla vita rinnovata. Inoltre, ogni liturgia va preparata con cura per diventare la liturgia della vita. A questo proposito è opportuno: riscoprire il valore della Messa e la partecipazione attiva di tutte le persone. 215. La Celebrazione Eucaristica. L’Eucaristia è l’evento degli eventi con cui lodare il Signore e vivere il Suo Mistero. Essa è un bisogno, una necessità e non una costrizione. L’obbligo e la fretta non aiutano a gustare il Mistero. Pertanto: le celebrazioni siano sobrie e raccolte: tocchino il cuore dei fedeli e li trasportino in Dio; si eviti ogni forma di recitazione o di protagonismo; l’omelia sia un momento importante della celebrazione: ben fatta e adatta all’uditorio; le corali guidino e aiutino il popolo nel canto, evitando ogni esibizionismo; il luogo della celebrazione sia particolarmente curato perché possa aiutare la gente a pregare. Si prevedano in diocesi incontri di formazione liturgica. Diventa imperativo sviluppare una catechesi liturgica per formare e uniformare comportamenti e gesti, così che sia chiaro quali siano i momenti in cui assumere determinati gesti e atteggiamenti del corpo e risulti evidente quello che è importante e quello che è secondario. La liturgia non deve essere disturbata da parole e gesti inutili o marginali. 216. Ministerialità Liturgica. I ministeri laicali sono espressione essenziale della struttura e della vita della Chiesa, essi appartengono alla natura stessa della celebrazione perciò i ministri devono essere riconosciuti e rispettati da tutti: fedeli laici e membri dell’Ordine Sacro. I ministri devono svolgere il proprio ruolo in tutte e ciascuna delle celebrazioni alle quali sono presenti. D’altra parte i ministranti abbiano una struttura 199

Cfr. Rm 12,1.

103


organizzativa riconosciuta dalla nostra Chiesa Diocesana e i responsabili dei gruppi ministranti siano formati alla scuola teologica diocesana o in modo specifico. 217. Liturgia della Parola. Preparare la liturgia della Parola mediante la Lectio Divina settimanale per l’intera comunità; formare adeguatamente il gruppo dei lettori, proponendo anche corsi di dizione e lettura; fare un uso più adeguato dei sussidi già disponibili (come il foglietto La Domenica o altri) perché i fedeli possano continuare in famiglia la riflessione e condividere le letture con chi non ha potuto partecipare; curare i momenti di silenzio, soprattutto quelli che precedono o seguono l’omelia e il momento della comunione; favorire i gruppi di ascolto della Parola nei condomini; aver cura dei libri sacri (per proclamare la Parola, i lettori non usino i foglietti) e del luogo della proclamazione della Parola. 218. Liturgia e Carità. L’uomo che ha celebrato ama non solo a parole ma con gesti concreti di carità, di accoglienza, di condivisione. Accanto alla preghiera, va posta la carità, segno vero ed efficace della presenza di Cristo risorto tra i suoi200. « Gesù, il Signore ci mostra nell’Eucaristia un amore che va fino all’estremo, un amore che non conosce misura. Questo aspetto di carità universale del sacramento eucaristico è fondato sulle parole stesse del Salvatore che offre il suo corpo e il suo sangue per noi»201. L’Eucaristia è impegno alla solidarietà, alla condivisione e all’accoglienza, ci sprona a impegnarci con fraterna operosità di fronte alle nuove povertà del nostro mondo: ammalati, migranti, nuove schiavitù,… 202. Non si può partecipare autenticamente all’Eucaristia senza un concreto impegno nella carità perciò è bene che la domenica sia il giorno in cui si dedica tempo ai parenti e agli amici, ai più deboli ed emarginati. Un’attenzione particolare va riservata ai malati anche attraverso la visita dei ministri della Comunione. Nei tempi forti si tenga conto delle iniziative promosse dalla Caritas. Le offerte siano destinate alla carità della Chiesa e vengano raccolte velocemente nei momenti previsti. 219. Liturgia e religiosità popolare. La celebrazione Eucaristica deve diventare espressione viva di comunità di fedeli che camminano

200 201 202

Il Giorno del Signore, 37. Cfr. Ecclesia de Eucharistia, 11-12. Cfr. Mane nobiscum Domine, 28; Erga Migrantes Caritas Christi, 39-40.

104


«qui e ora» nelle vie della salvezza. Esiste una grande quantità di devozioni popolari e manifestazioni di religiosità che vanno assunte nella pastorale ordinaria per realizzare su di esse una vera evangelizzazione203. Va rivisto anche l’aspetto devozionale della partecipazione alla Messa e la moltiplicazione di messe. 220. Eucaristia, Sacramenti e sacramentali. Nella celebrazione domenicale si tenga conto del senso comunitario dei sacramenti pasquali e della necessità di evidenziare l’aspetto festoso di ogni celebrazione. Non sembra contravvenire a tali concetti la celebrazione dei battesimi o dei matrimoni durante le messe domenicali anche se sono spesso motivo di disturbo per i partecipanti. Queste celebrazioni abbiano un carattere eccezionale ed educativo. Invece, la celebrazione dei funerali non si ritiene opportuna nel giorno di domenica in cui si celebra il Mistero della Risurrezione. L’Adorazione del Santissimo e le processioni Eucaristiche sono già normate dalla Chiesa, si tenga conto di tali normative per evitare la confusione tra i fedeli e osservare unicità di criteri nelle diverse chiese della Diocesi. 221. Sacramento della Riconciliazione. Si crede necessario valorizzare la confessione attraverso la catechesi. La celebrazione della prima confessione avvenga prima della Pasqua e magari l’anno precedente alla prima comunione in modo che sia percepita come un momento di crescita nella vita cristiana. Durante la celebrazione sacramentale si realizzi un vero confronto con la Parola del signore affinché si risvegli, nei fedeli, la coscienza del peccato e il desiderio di un autentico cammino di conversione.

203

Cfr. Erga Migrantes Caritas Christi, 44-48.

105



3

Presentazione

5

Introduzione

9

Laboratorio 1 LA CHIESA A SERVIZIO DELL’UOMO: COMUNIONE, CREDIBILITÀ E MISSIONE

23

Laboratorio 2 LA NASCITA: ACCOGLIENZA ALLA VITA E INIZIAZIONE CRISTIANA

35

Laboratorio 3 IL CAMMINO DELL’ADOLESCENZA E LE SCELTE DELLA GIOVINEZZA. I GIOVANI RISORSA DELLA CHIESA.

43

Laboratorio 4 L’AMORE DI UN UOMO E DI UNA DONNA: LA FEDELTÀ ALLA FAMIGLIA E LA SFIDA EDUCATIVA

53

Laboratorio 5 LE SCELTE DELLA VITA: LA CORRESPONSABILITÀ DEI LAICI E L’IMPEGNO DI ANNUNCIARE IL VANGELO NEL MONDO

67

Laboratorio 6 LE SCELTE DELLA VITA: IL SACERDOZIO MINISTERIALE E LA VITA CONSACRATA

83

Laboratorio 7 L’ESPERIENZA DEL DOLORE E DELLA FRAGILITÀ: IL VANGELO DELLA CARITÀ

93

Laboratorio 8 IL “GIORNO DEL SIGNORE” COME PRIMO E ULTIMO GIORNO DELLA VITA: L’UOMO CHE ASCOLTA, CHE CELEBRA, CHE AMA


Finito di stampare nel mese di novembre 2010 presso la tipografia FastEdit - Acquaviva Picena


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