Il Fatto Quotidiano (! NOvembre 2009)

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Per D’Alema la nomina a ministro esteri della Ue non prevede alcun inciucio con B. Speriamo non lo giuri sulla Bicamerale

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€ 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009

Domenica 1 novembre 2009 – Anno 1 – n° 35 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230

MARRAZZO: RACCONTO TUTTO I verbali dei pm sul blitz a casa del trans Il ricatto, il video e la telefonata del premier

STEFANO, TROPPI MISTERI Confusione nei referti, racconti dei detenuti. Il pm chiama la famiglia D’Onghia, Zanca pag. 2 e 3 z

In memoria dei diritti umani di Furio Colombo

dc

on leggete le storie di Stefano Cucchi, Mariano Bacioterracino ed Elham come se fossero brutte storie tipiche del caotico vivere di massa. Non pensate che a loro “qualcosa è andato storto”, che succede, che è sgradevole, ma la vita, adesso come nel passato, è piena di brutte sorprese. Le vittime di questo elenco sono un giovane uomo arrestato senza ragione, un pregiudicato nella lista di esecuzione della camorra, un uomo del tutto innocente impigliato nella rete di un’ odiosa burocrazia persecutoria. Sono la stessa persona, privata all’ improvviso di diritti umani e civili. Quella persona siamo noi, mentre moriamo di botte, moriamo uccisi sui marciapiedi, moriamo di sciopero della fame in un campo di concentramento detto “Centro di Identificazione ed Espulsione”. Siamo noi persino nello sdoppiamento da malattia mentale che si vede nel video del delitto di camorra: i passanti scavalcano il corpo della persona appena uccisa fingendo di non vedere. Siamo noi che diciamo per bocca del responsabile carcerario che Stefano Cucchi (faccia sfondata, schiena spezzata) “ ha preferito dormire, rifiutando il ricovero in ospedale”. Siamo noi quando i medici di un grande ospedale civile vedono per due volte il marocchino Elham detenuto senza reato e senza sentenza, senza avvocati e senza tribunale. Nessun medico fa domande, nessuno ascolta, nessuno vuole sapere. Lo rimandano, un essere uma-

N

no ridotto a quaranta chili dal suo ostinato sciopero della fame, nel lager di Gradisca, dove è ancora detenuto e morente, mentre io scrivo e voi leggete. Vorrei essere capito. Sto dicendo che noi, noi tutti vittime, colpevoli e testimoni siamo scesi al livello in cui si pestano a morte i detenuti, si scavalcano di fretta i cadaveri, si lascia morire di fame in perfetta indifferenza l’ immigrato testardo. Siamo la stessa gente che ammazza di botte gli omosessuali e ammazza di cavilli procedurali la legge che difende gli omosessuali in modo che questa legge non ci sia mai. Siamo noi il disperato Elham che muore nel lager costruito per punirlo di essere venuto in Italia in cerca di un Paese civile. Siamo noi il carceriere e il medico senza dignità che- per quieto vivere- lasciano morire chi cerca nella morte l’ unica fuga. Siamo l’uomo abbattuto dalla camorra, con pochi gesti agili, senza concitazione. Siamo l’ assassino che va via senza nascondere la pistola, siamo i passanti che non fanno caso ai cadaveri sui marciapiedi. Siamo i poliziotti che hanno massacrato il giovane Stefano Cucchi e continuano a restare ignoti. Siamo dunque allo stesso tempo il terrore e le vittime del terrore perché i nostri diritti e la nostra decenza sono precipitati in un buco nero immorale e illegale insieme a Cucchi, Bacioterracino, a Elham e ai loro assassini. Poiché ci siamo lasciati degradare fino a questo punto, non ci resta che dire un grazie riconoscente ai genitori e alla sorella di Cucchi che non hanno ceduto; ai giudici del delitto di camorra, che hanno diffuso il tremendo video, affinché tutti vedessero una scena di vita in una città italiana ai nostri giorni; a coloro che hanno fatto arrivare l’ annuncio di prossima morte dell’ immigrato Elham. Queste tre notizie servono almeno a ricordarci quanto siamo arrivati lontani dalla nostra Costituzione e dai fondamenti della Carta dei diritti dell’uomo. In Italia. Oggi.

nberlino 1989-2009 Quella domanda che fece crollare il Muro Telese e Citati pag. 10-11z

ni 70 anni del sacerdote Le generazioni perdute di Don Rigoldi

“I carabinieri erano due, la coca penso l’abbiano messa loro. Ho strappato il numero di telefono che mi avevano lasciato”. I dubbi degli inquirenti e le bufale di Lillo e Gomez pag. 5 z “Libero”.

CATTIVERIE

Dalla Chiesa pag. 6z

Premesso che quella sera lui era solo in transito, aderiamo a iniziativa: regala un Tom Tom a Gaspar ri.

Libera interpretazione del “Napoleone in trono” di Ingres, di Roberto Corradi

GIUSTIZIA x Sicuro dell’impunità

BERLUSCONI: I PROCESSI? IO ME NE FREGO “Anche se mi condannano non mi dimetto”. Il leader del Pdl pensa intanto a nuove prescrizioni e agli spostamenti dei processi. Fierro e Mascali pag. 4 z

Udi Gian Carlo Caselli VOGLIONO TAGLIARE LE UNGHIE AI GIUDICI straordinario. É Uneralinil successo bilancio degli “stati gedell’antimafia” organizzati da “Libera” una settimana fa. Significativa la presenza di Napolitano. pag. 18 z

E IL CAVALIERE SI AUTODENUNCIÒ di Marco Travaglio

uando denunciò per ricettazione il direttore di “Oggi”, Pino Belleri, che nell’aprile 2007 aveva pubblicato le foto del suo harem a Villa Certosa, Silvio Berlusconi non poteva immaginare che due anni dopo avrebbe ricevuto il video di Marrazzo col trans. E che, visionandolo e tenendolo in un cassetto di Palazzo Grazioli, avrebbe rischiato una denuncia per lo stesso reato che lui e l’on. avv. Niccolò Ghedini avevano appena rinfacciato a Belleri (ora imputato a Milano per quelle accuse). Le foto del Cavaliere che, due mesi dopo il Family Day, palleggia e palpeggia sulle sue ginocchia tre procaci “attiviste di Forza Italia” (parole sue), presentano qualche analogia col videotape di Marrazzo. Ma non sono la stessa cosa. La ricettazione scatta quando qualcuno, “al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve o occulta cose provenienti da un qualsiasi delitto o comunque s’intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare”. Pena prevista: “reclusione da 2 a 8 anni”. Ora, le foto di “Oggi” le scattò Antonello Zappadu fuori dalla villa, forse ingrandendole con un teleobiettivo (niente violazione della privacy), o forse usandolo per realizzarle (violazione della privacy). Belleri le acquistò per pubblicarle su Oggi. Secondo Berlusconi e Ghedini, non poteva non capire che le foto erano corpo di un reato (violazione della privacy). Ma, per casi del genere, viste le finalità giornalistiche, il Codice prevede il “reato speciale” (e minore) di pubblicazione di materiale acquisito in violazione della privacy. La ricettazione invece è una fantasia del duo Ghedini-Berlusconi. Ma si applica a pennello al caso Marrazzo. Il video è girato da carabinieri delinquenti che irrompono in casa del trans (violazione di domicilio), filmano due persone seminude (violazione della privacy), costringono con la forza Marrazzo a firmare tre assegni (violenza privata ed estorsione), poi tentano di vendere il videotape a vari giornali (Oggi, Libero, Chi, Panorama), giornalisti ed editori (Feltri, Signorini, Belpietro, famiglia Berlusconi, Angelucci). Chi lo riceve o lo occulta o s’intromette nel farlo acquistare, ricevere od occultare, che intenda pubblicarlo o meno, precipita nella ricettazione: il video infatti deriva da reati ben più gravi della violazione della privacy. Ergo niente reato speciale (e minore). Semprechè, ovvio, si intenda ricavarne profitto e si sappia che il dvd è “proveniente da delitto”. Ma, per capirlo, bastava guardarlo: Marrazzo, in mutande con un trans in una casa privata, implora pietà (“non mi rovinate”) e teme che gli estorsori abbiano chiamato “i giornalisti sotto”. Più chiaro di così… Signorini riceve il video e s’intromette per farlo acquistare da Libero e da Panorama; Marina Berlusconi lo riceve; come pure papà Silvio, che se lo guarda con comodo, lo conserva per due settimane, poi s’intromette nel farlo occultare: infatti chiama Marrazzo per dirgli di comprarselo da Photomasi e farlo sparire; poi avverte Signorini, che mette in allerta l’agenzia: “La chiamerà Marrazzo”. Oltretutto, per non incappare nell’accusa di conflitto d’interessi, il Cavaliere è costretto a dire di aver ricevuto il video dalla figlia non come editore, ma come padre, e di aver telefonato a Marrazzo come premier per fargli “una carineria”. Dunque, almeno sulla carta, ci sarebbero tutti gli estremi per indagare per ricettazione un bel po’ di gente (e non solo il carabiniere che aveva il dvd in casa e lo mostrò il video all’inviato di Oggi). Decideranno i magistrati se l’articolo 648 del Codice penale si applichi al caso concreto e nei confronti di chi. Ma una cosa è certa: per come Berlusconi intende la ricettazione nella sua denuncia a Belleri, Berlusconi ha commesso una ricettazione. Riletta oggi, quella denuncia è un’autodenuncia.

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Domenica 1 novembre 2009

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MISTERI

n seguito alla morte di Stefano Cucchi, il presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale, Ignazio Marino, ha inviato ieri il nucleo dei carabinieri dei Nas nel centro detentivo dell’ospedale Pertini di Roma, dove è avvenuto il decesso, per raccogliere tutta la documentazione disponibile presso il reparto.

Ispezione dei Nas nel centro detentivo dell’ospedale Pertini

“Sarà tutto messo a disposizione dell’ufficio di presidenza della Commissione d’inchiesta per una prima istruttoria - ha fatto sapere Marino e mi auguro che dall’analisi del lavoro effettuato dai medici al momento del ricovero di Stefano Cucchi possano emergere elementi che aiutino a fare chiarezza su cosa sia realmente accaduto. Nei prossimi giorni la

Commissione deciderà anche se aprire formalmente un’inchiesta sulla vicenda dal punto di vista dell’efficienza, dell’efficacia e della qualità dell’assistenza medica. Si tratta ha concluso Marino- di una tragedia che lascia sgomenti e anche per questo serve il massimo rigore nell’appurare la verità e tutte le eventuali responsabilità”.

ALDO, FEDERICO E GLI ALTRI Tanti i casi di presunte violenze delle forze dell’ordine Sentenze spesso morbide, pochi colpevoli

aNTEFATTO$ .IT

aMonopolio della violenza Max TE' ora di finirla con il monopolio della violenza. E' ora di finirla con Pinelli cadde dalla finestra. E' ora di finirla con i caduti dalla scale. E' ora di finirla con una serie di logiche che comportano questi fatti. Questi fatti accadano da sempre e continuativamente, solo ogni tanto la luce del riflettore media si accende su d'essi e così alla pubblica opinione appare il caso abnorme, ma dato che accadono da sempre e continuamente, l'eccezionalità, il caso abnorme, è che ogni tanto vengono illuminati dai media. Meglio tardi che mai PinoT Viva Dio tutti questi articoli, solo mi chiedo perchè adesso, perchè per Stefano, e tutti gli altri... Dove erano tutti questi giornalisti quando morivano Federico, Niki... Ripeto meglio tardi che mai, ma si faccia luce su tutti! “Bassa macelleria” Luigi C Veramente dopo aver letto e soprattutto visto le fotografie di quel povero ragazzo mi sono venuti i brividi. Ma a chi deleghiamo la nostra sicurezza, quella dei nostri figli dei nostri amici, dei nostri concittadini? Voglio sperare che si faccia piena luce sulle responsabilità di quest'atto di “bassa macelleria” perpetrato ancora una volta ai danni di chi oggettivamente è più debole. Vogliamo la verità e subito. Non fatene un martire Aldo Sencio Francamente non capisco il perché di tutto questo baccano. Gliel’aveva ordinato il medico di spacciare droga? Cosa ne penserebbe, invece, il genitore di un consumatore della droga spacciata da questo tizio? Non facciamone un martire, per favore. Fuori i nomi di chi è coinvolto Paolo Sarebbe bello se si iniziasse a fare qualche nome e se si potesse vedere in faccia qualcuno delle persone coinvolte, per cominciare chi ha impedito ai genitori di vedere il figlio o almeno di parlare coi medici e magari fargli la semplice domanda se è stata una sua iniziativa o se era un ordine da chi l'ha ricevuto. Cosa vuol dire indagine verso ignoti? Non si sanno i nomi di chi ha avuto in custodia Stefano?

di Cristiano

Armati

tefano Cucchi, il ragazzo arrestato a Roma il 15 ottobre per il possesso di stupefacenti e trascinato come una cosa tra la camera di sicurezza della Stazione “Tor Sapienza” dei carabinieri e il reparto detentivo dell’ospedale Sandro Pertini, non è uscito vivo dall’impatto con il sistema repressivo. Ora è sulle pagine dei giornali e fissa i lettori con i 37 chili del suo corpo martoriato. Cosa gli è successo? Davvero ha ragione chi ha avuto il coraggio di scrivere che la sua triste fine è da attribuirsi a “presunta morte naturale”? In realtà, negli ultimi anni, sull’altare della sicurezza sono state sacrificate decine di persone. Si è cominciato, per contare le vittime a partire dal 2005, con il diciottenne Federico Aldrovandi, massacrato da quattro agenti di polizia a Ferrara, il 25 settembre di quell'anno. Di lui, i responsabili della sua morte hanno prima detto “che sembrava un albanese”, poi che si era ammazzato da solo prendendo a testate un muro. In gergo viene definita “crisi psicomotoria”: la stessa che è stata affibbiata anche a Giuseppe Casu, sessantenne di Quartu (Cagliari), trascinato via dalla piazza dove vendeva fichi d’india e rinchiuso per un Trattamento Sanitario Obbligatorio nell’ospedale di Is Mirrionis. Nel nosocomio nessuno fa domande. L'ambulante viene sedato e legato al letto. Lo stesso letto dove, il 9 ottobre del 2006, Giuseppe Casu muore.

S

UNA COSA simile succede a Riccardo Raisman, 34 anni, di Trieste. Si tratta di

un ragazzo affetto da una sindrome schizofrenica contratta nel corso del servizio militare, a causa di ripetuti atti di nonnismo: un problema che gli ha lasciato in eredità una fobia nei confronti di chi indossa la divisa. Ebbene, il 27 ottobre del 2006 Riccardo Raisman è felice. Il giorno dopo avrebbe dovuto iniziare a lavorare e festeggia l’avvenimento facendo un po’ di baccano. Qualcuno chiama la polizia ma Raisman si guarda bene dall’aprire. InA destra, i fiori lasciati sotto il negozio della famiglia di Gabriele Sandri. Sotto, Federico Aldrovandi (FOTO ANSA)

tervengono i vigili del fuoco, che sfondano la porta mentre gli agenti irrompono nella casa. Quando Raisman diventa cianotico è troppo tardi. Alcuni vicini di casa riferiranno di aver sentito dei rantoli, poi più nulla: Riccardo è morto. ANCHE PER il falegname Aldo Bianzino, 44 anni, di Pietralunga (Perugia), i familiari e gli amici invoca-

MA-ANCHISMI

no verità e giustizia. Come il romano Stefano Cucchi, Bianzino era stato arrestato per il possesso di stupefacenti e portato nel carcere Capanne. Qui, il 14 ottobre del 2007, Bianzino muore in circostanze quantomeno misteriose viste le lesioni agli organi interni accertate dall’autopsia. Nella macabra lista delle vittime dell’ordine pubblico troviamo poi Giuseppe Tor-

di Luca Telese

DESTRA, SINISTRA E IL PROBLEMA DEL “PERÒ” V edi alla voce salti mortali dialettici carpiati. Mai come sul caso di Stefano Cucchi si è verificato il paradosso della prevedibilità dei politici italiani. Incapaci di dire nulla di veramente impegnativo, i nostri parlamentari si accontentano di mettere in bella calligrafia il buonsenso e la constatazione dell’ovvio. Con alcune lodevoli eccezioni (come i deputati Roberto Giachetti e Rita Berbardini che hanno siglato le interrogazioni sulla morte di Stefano), i parlamentari di destra e di sinistra hanno taciuto per una settimana. Troppo scomodo, esporsi su di un caso non chiaro. Quando poi la cosa è deflagrata, ovviamente, hanno

vergato comunicati di condanna. Ma quando li hanno scritti, poi, hanno fatto attenzione a non scontentare nessuno, secondo un formulario noto: “La vicenda è vergognosa, però....”. Così il “però” è diventato metafora, la via di scampo per sfuggire alle prese di posizione nette. “Però” grande fiducia nelle forze dell’ordine; “però” niente dubbi sull’operato dei carabinieri. Quel che è accaduto è terribile, “però” attenti a non generalizzare.... Viene in mente che la politica dovrebbe fare il contrario: scegliere, piuttosto che cerchiobottare. Siamo lieti che i parlamentari si esprimano. PERO’ se non avendo nulla da dire tacciono è ancora meglio.

risi, 58 anni, un clochard di Milano ucciso a botte da due agenti di polizia ferroviaria alla stazione Centrale, il 6 settembre del 2008. Dopo aver compiuto il misfatto, i tutori dell'ordine hanno pensato di compilare un falso verbale accusando Torrisi di averli aggrediti con un taglierino. Non è la prima volta che accade. Per lo stesso Gabriele Sandri, classe 1981, ucciso da una pallottola esplosa dall’agente Luigi Spaccarotella l’11 novembre del 2007, si è parlato di mistificazione, anche se il responsabile di quell'assurda morte è stato processato e condannato a una pena da molti ritenuta troppo lieve. Per contro c'è anche chi non riesce neppure a sottoporre attraverso un processo il suo caso all’attenzione dell’opinione pubblica. Il discorso vale per il ventiduenne Manuel Eliantonio, un ragazzo di Pinerolo che, la mattina del 23 dicembre del 2007, viene sorpreso dalla polizia alla guida di un auto rubata. Tradotto nel carcere di Marassi, Manuel va incontro a un calvario allucinante. Visitato in prigione, ostenta evidenti segni di maltrattamenti, eppure nessuno riesce a fare nulla finché, il 25 luglio del 2008, la signora Maria non viene messa a conoscenza dell’avvenuto decesso del figlio. A VOLTE, PER incontrare la morte, non è neppure necessario commettere un reato. Il senegalese Chehari Behari Diouf, 42 anni, residente a Civitavecchia (Roma), non ha fatto null’altro di diverso dallo starsene seduto nel giardino di casa sua. L’ispettore di polizia Paolo Morra ha avuto da ridire e, accusando Diouf di schiamazzi, gli ha scaricato

La violenza è figlia della crisi del rispetto dei diritti umani

addosso il fucile, uccidendolo il 31 gennaio del 2009. Più fortunato di lui è stato un altro ragazzino di nome Rumesh Rajgama Achrige, un writer diciottenne di Como che, il 29 marzo del 2006, nel corso di un banale controllo, si è ritrovato ridotto in fin di vita da un colpo di pistola sparato contro di lui da uno dei vigili urbani che, negli ultimi anni, la giunta comunale del comune lombardo ha ritenuto di dover armare. Dalla tragedia di Achrige alla fine di Stefano Cucchi, le similitudini si colgono quantomeno nella difficoltà con cui gli organi preposti diffondono informazioni attendibili sui casi di morti da ordine pubblico. Stefano Cucchi, in attesa di ulteriori accertamenti, potrebbe essere l’ennesimo anello di questa catena. Ma ora che le orbite tumefatte del ragazzo gridano vendetta al cospetto di ogni residuo di coscienza collettiva sarà possibile dare un senso a quegli slogan di “verità e giustizia” che comitati sparsi in tutto il Paese chiedono per le numerose vittime delle forze dell’ordine?


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Custodia in carcere in mancanza di una dimora fissa

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MISTERI

ra tutti i misteri che avvolgono la vicenda di Stefano Cucchi, ce n’è uno forse più inspiegabile degli altri, come segnalato dal fatto Quotidiano nel numero di ieri. Al termine dell’udienza di convalida dell’arresto, il 16 ottobre al Tribunale di Roma, il giudice Maria Inzitari dispone nei confronti dell’arrestato la

misura della custodia cautelare in carcere, e non ai domiciliari. Tra le motivazioni di questa decisione, si legge nella sentenza, “la mancanza di una fissa dimora”, come “risultante con certezza dagli atti”, e la “mancanza di prova della dimora dichiarata”. Un’evidente anomalia, se si pensa che il giudice aveva a disposizione il

DIRITTI E DOVERI

ESCO DI CASA LA POLIZIA MI FERMA

C

osa accade se un giorno esco di casa e, in auto o a piedi, mi imbatto in un controllo delle forze dell’ordine? Per prima cosa gli agenti, o i carabinieri, sono tenuti a chiedermi i documenti e io ho il dovere di esibirli. In collegamento con la centrale questi vengono esaminati, per vedere se ci sono procedimenti penali a mio carico, precedenti o segnalazioni. Nel caso in cui si sospetti che io abbia addosso

verbale di perquisizione domiciliare effettuata la notte precedente dai carabinieri a casa di Stefano. Perquisizione che gli stessi militari hanno confermato nella ricostruzione dell’accaduto. Un’anomalia che il legale ferrarese della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo, non riesce a spiegarsi.

droga, refurtiva, armi, ecc. scatta la perquisizione personale, cui può far seguito quella all’auto o nella mia abitazione. La perquisizione deve essere seguita da un verbale. Altrimenti si potrebbe parlare di abuso. Se mi viene trovato addosso qualcosa, vengo accompagnato in commissariato (o in caserma). Qui viene avvisato il magistrato di turno, che può aprire un fascicolo su di me. A quel punto io ho il diritto di chiamare un avvocato. Nel caso in cui il pm ritenga che io debba essere trattenuto in una camera di sicurezza, chi mi ha arrestato deve contattare anche la mia famiglia. (s.d.)

Un controllo dei carabinieri (FOTO ANSA)

STEFANO, I DETENUTI: NON RIUSCIVA AD ALZARSI DALLA BRANDA La Procura sentirà domani la famiglia Nominati altri periti per una nuova consulenza di Luca de Carolis

e Silvia D’Onghia a prima telefonata dalla Procura è arrivata sabato pomeriggio. Il pubblico ministero Vincenzo Barba ha chiamato il legale della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo, per comunicargli alcune novità. La prima è che domani pomeriggio verranno ascoltati i famigliari del ragazzo morto il 22 ottobre nel reparto detentivo dell’ospedale Pertini di Roma, sei giorni dopo il suo arresto per droga. Racconteranno al magistrato che hanno visto Stefano per l’ultima volta in tribunale, il 16 ottobre, durante l’udienza di convalida dell’arresto. E che già allora lo hanno visto con gli occhi pesti. Gli diranno di averlo ritrovato cadavere, dopo aver tentato invano di avere informazioni sul suo ricovero. La seconda, importante novità dell’inchiesta è che il pm ha nominato altri tre medici legali per un supplemento di consulenza. Nelle prossime ore la famiglia farà la stessa cosa. Proprio ieri Ilaria, la sorella di Stefano, aveva sollevato dubbi sulle modalità di attribuzione dell’incarico da parte della Procura al medico legale per l’autopsia. Ieri a Piazzale Clodio è comparso il personale del 118 chiamato dai carabinieri quando Stefano si sentì male, nella stazione di Tor Sapienza, subito dopo l’arresto. L’infermiere, il barelliere e l’autista avrebbero confermato al pm di non aver potuto visitare il ragazzo, nè di averlo portato in ospedale per il suo rifiuto. Venerdì scorso erano stati ascoltati anche i militari che lo hanno tratto in arresto e gli agenti penitenziari che lo hanno preso in custodia. Così come nei prossimi giorni potrebbero essere sentiti alcuni detenuti, che erano con lui nelle celle di sicurezza del Tribunale di Roma. Per il momento l’accusa rimane quella di omicidio preterintenzionale. Fondamentali nella ricostruzione dell’accaduto continua-

L

no ad essere i referti medici. Ieri, il senatore dell’Italia dei Valori, Stefano Pedica, ha varcato la soglia di Regina Coeli. “Il ragazzo non sarebbe stato sottoposto a consulto psicologico, come da prassi, nè a visita oculistica, nonostante i lividi intorno agli occhi. Emerge poi una forte contraddizione tra due certificati medici ha spiegato Pedica - il primo, redatto dal medico del penitenziario alle 16,35, parla di ecchimosi sacro-coccigee e di algia alla deambulazione degli arti inferiori”. Una diagnosi critica ma non grave. “Il secondo referto, dei medici del Fatebenefratelli (dove Stefano viene portato alle 20, ndr) evidenzia anche le due fratture alle vertebre”. Il senatore Pedica ha visto la foto scattata all’ingresso in carcere (“Aveva il viso leggermente gonfio solo sulla parte sinistra, all’altezza dello zigomo, e il collo arrossato”), ed è riuscito a parlare con i detenuti che erano in cella con lui: “Mi hanno raccontato che Stefano è stato portato in barella all’ambulanza che lo ha accompagnato al Fatebenefratelli, perchè non riusciva a camminare. Ma da lì, nonostante il referto, è usciro con codice verde ed è tornato in cella in sedia a rotelle. Per tutta la notte, avrebbe continuato a lamentarsi e l’indomani non sarebbe riuscito ad alzarsi da solo”. Intanto il mondo politico continua a muoversi: martedì il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, riferirà al Senato sulla vicenda.

Il senatore Idv Pedica è entrato a Regina Coeli: “Grande confusione nei referti”

GLI AMICI

rena: la scuola, gli scout, le partite a calcetto nel campo di San Marcellino, sulla via Casilina. Fino a vent’anni mai toccata neanche una sigaretta. Poi c’è quella macchia, la droga, la comunità. Un passo falso, ma niente di irreparabile. Dalla sua parte, una famiglia solida, “persone di grandissima dignità” che non lo hanno abbandonato mai. Forse è allora che il figlio di Giovanni diventa “il pugile”. Uno gracile, che sognava spalle più grosse. Andava in giro a testa alta. “Un po’ coattello”, lo ricorda con affetto un amico. Qualche volta la sparava grossa. Diceva di fare il pugile, raccontava degli allenamenti. Nessuno ci credeva, ma lo lasciavano dire, era una bugia innocua. Si faceva le canne, sì, qualche volta anche qualche tiro di cocaina. Le pasticche no, quelle che aveva in tasca erano i farmaci per l’epilessia. Ma per fare lo spacciatore non aveva la stoffa. Faceva quello che fanno tutti: di fumo ne comprava un po’ di più, per pagarlo qualcosa meno, e poi lo divideva con gli amici. Nozioni base di economia, altro che grandi giri per fare soldi. Su come sia andata, il quartiere non ha dubbi: “Le guardie lo hanno menato per fargli male – dice un ragazzo – era mingherlino, anche se avesse reagito bastavano due schiaffi per farlo calmare. La verità è che se la prendono con i pesci piccoli, con chi è più debole, perché di quelli che fanno sul serio hanno paura”. “Io non mi sono fatto intervistare dal Tg2 – dice un vicino di casa – perché se no lo dicevo che lo hanno ammazzato i poliziotti”. Non si capacitano: “Possibile che chi dovrebbe difenderci si comporti così? – si chiedono al Bibby Bar – e poi La Russa come si permette di difendere le forze dell’ordine? Lui c’era?”. C’è rabbia, tanta, ma la rassegnazione non abita qui. “Gli è andata male, a quelli che l’hanno ammazzato – dice ancora il barista – hanno trovato una famiglia che non ha niente da nascondere. I Cucchi hanno i mezzi e il coraggio per andare fino in fondo”. “Non si fermeranno – dice anche la parrucchiera a fianco – non finirà tutto in una bolla di sapone”. Neanche il quartiere li abbandonerà. Lo devono al figlio di Giovanni, il geometra. E anche al pugile che non era.

IL “PUGILE” CHE AMAVA SCRIVERE POESIE di Paola Zanca

ario anche quel sabaM to lo ha chiamato. Come al solito, dovevano prendersi un caffè. Si vedevano vicino casa, oppure al parco degli Acquedotti, dove Stefano portava il cane a fare una corsa. Il telefono, però, quel giorno era spento. Pensava a un guasto, anche se sotto sotto la paura che fosse arrabbiato con lui ce l’aveva. Avevano discusso, e non si erano più sentiti. “Invece è arrivato il fornaio, mi ha detto ‘Oh, è morto Stefanino?’. Stefanino chi? Il pugile? Il laziale? Non ci potevo credere”. Mario non si dà pace. Lui e Stefano si sono salutati così, con quel bisticcio che è troppo tardi per chiarire. Per Mario, Stefano era il pugile, il laziale. Per Tor Pignattara, periferia est di Roma, Stefano era il figlio di Giovanni. Una famiglia per bene, i Cucchi, stimata da tutto il quartiere. Che adesso, come Mario, non si dà pace. Stefano l’hanno visto crescere, e non vogliono ricordarselo così, come in quelle terribili foto. Si incrociavano tutti i giorni. E mai una volta che non avesse tempo per un saluto, per una battuta, per una pacca sulle spalle. “Ciao Aldì”, si sente ancora chiamare, il negoziante che ha bottega proprio a fianco al portone di casa Cucchi. “Passava dieci volte, e dieci volte mi salutava”. Un ragazzo educato, corretto: mai uno sgarbo, mai una parola fuori tono. “Se lasciava la macchina in seconda fila si preoccupava, mi diceva ‘Aldì buttace n’occhio’”. Il sorriso sempre sulla labbra. Si scaldava solo quando parlava della Lazio, la sua passione. Al Bibby Bar, sotto casa, ci passava tutte le sere. “Veniva insieme al padre, quando uscivano dallo studio. Stavamo qui a ridere e scherzare – racconta uno dei clienti – parlavamo di calcio, dei viaggi. E ogni tanto mi raccontava anche delle sue poesie. A lui piaceva scriverne”. Uno spigliato, chiacchierone, sempre allegro. Sempre disponibile. Un’adolescenza se-

ANTEFATTO$ .IT

L’era della pietra Marcolino Assassini... assassini e basta. Se la civiltà di un paese si misura anche da come vengono trattati i più deboli, noi stiamo all'era della pietra. Risalto mediatico Pierpaolo Buzza C’è chi ha sostenuto che l'inchiesta non sarebbe mai stata aperta senza il grande risalto mediatico che ha avuto la morte di Stefano. Non sapremo mai se è vero o no ma, se fosse così, sarei costretto a rivedere la mia posizione contraria al pubblicare le foto ieri. Figli e figliocci Grace La morte violenta di Stefano fa paura, ci mette alla pari delle peggiori dittature, vecchie e nuove. I ricchi, politici, vip, immanicati, possono fare quel che vogliono. Un presidente del Consiglio può frequentare un noto spacciatore e continuare ad occupare il suo posto, perchè così vuole il “popolo”. Le persone comuni devono invece rigare dritto, il braccio violento della legge colpirà solo loro. Mi impressiona la crudeltà Giulia P Per la mia modesta opinione avete fatto molto bene a pubblicare quelle foto. Io non mi sono molto impressionata per la crudezza (...) ma mi impressiona molto la crudeltà degli uomini che gli hanno fatto quello. Ma che messaggio mandano con questo atto? Che al prossimo che beccano potrebbe succedergli la stessa cosa? Oppure che gente come loro non dovrebbe stare dove sta? Non ci sono parole Giuseppina Non so se ci sono parole per descrivere questa morte e tutte quelle simili di cui non c’è traccia, è inaccettabile, è una cosa tremenda. La mancanza di prese di posizioni dure da parte dei politici è poi l’apice (...) Le immagini mi hanno molto turbato e dapprima ho pensato se fosse necessario pubblicarle,.. Ma poi quando oggi ho letto sul Fatto che sono servite a smuovere una qualche indagine mi sono resa conto che era necessario, ammiro il coraggio e la forza della famiglia.


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Da Schifani ad Alfano: basta che sia Lodo

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GIUSTIZIA AD PERSONAM

rimo venne il lodo Schifani: proposto in origine da maccanico per evitare che nel semestre di presidenza italiana del Consiglio europeo potesse essere lesa l'immagine internazionale dell’Italia con la condanna del suo premier in un processo, venne dall’autore sconfessata una volta modificata da un maxi-emendamento a firma Schifani che di

fatto lo ridisegnava a misura di Berlusconi. Avanzando il legittimo sospetto che fosse stato avanzato allo scopo non dichiarato di sollevare l’allora premier dalle accuse del processo SME, poi di fatto conclusosi con la sua assoluzione per intervenuta amnistia derivante proprio dall’applicazione del Lodo. Contro il quale poi arrivò la scure della Consulta nel gennaio 2004.

La soluzione Alfano arriva invece nel 2008 - legge votata dal Parlamento e poi firmata da Napolitano - : prevedeva la sospensione del processo penale nei confronti delle “alte cariche dello Stato”. Anche questo provvedimento è stato bocciato dalla Corte Costituzionale lo scorso 7 ottobre: violava il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.

SCASSARE IL PROCESSO MILLS Ecco l’ossessione di B. : tutti i piani per riuscirci “Anche se mi condannano non mi dimetterò mai”

di Enrico Fierro di Benny Calasanzio

BORSELLINO

on mi dimetterò. Mai. Neppure in caso di condanna. Parola di Silvio Berlusconi. Le pagine alle quali il Cavaliere affida l’ennesima sfida alla Giustizia italiana sono quelle del libro di Bruno Vespa, Donne di cuori, in uscita prossimamente ma da giorni oggetto di anticipazioni. “Ho ancora fiducia di magistrati seri che pronunciano sentenze serie basate sui fatti. Se ci fosse una condanna basata su fatti come questi, saremmo di fronte a un tale sovvertimento della realtà che a maggior ragione sentirei il dovere di resistere al mio posto per difendere la democrazia e lo stato di diritto”. Le sentenze, quando sono di condanna, non contano per chi si sente al di sopra della legge. Resistere, resistere, resistere, è il nuovo slogan del Cavaliere. Contro i giudici “comunisti”, le toghe rosse che da anni lo perseguitano. L'unico giudizio che conta è quello del “popolo”. Lo ha detto tante volte Berlusconi: sono stato eletto, quindi solo un nuovo voto potrà mandarmi a casa, altrimenti siamo di fronte ad un “sovvertimento” della realtà. Ma l’avvocato Mills, ricorda Vespa, è stato condannato anche in appello. Berlusconi non fa una piega, “quella sentenza – dice sicuro – sarà certamente annullata dalla Cassazione”. “È una prova di grande sensibilità... “ è il caustico commento di Pierluigi Bersani. “Marrazzo si è dimesso senza essere non diciamo condannato ma neppure indagato. Il presidente del Consiglio ha invece an-

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Ciancimino jr. e l’insolito grazie

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solato, sotto scorta e sotto attacco in vista delle nuove rivelazioni che si prepara a fare ai pm Ingroia e Di Matteo. Nel periodo più difficile per Massimo Ciancimino, il figlio di don Vito che con le sue dichiarazioni ha permesso di far decollare le indagini sulla trattativa Stato-mafia, ieri è arrivata una telefonata inaspettata: Salvatore Borsellino, il fratello del magistrato ucciso in Via D'Amelio lo ha raggiunto al cellulare esprimendogli gratitudine e vicinanza per il lavoro che sta svolgendo, ripetendo che quello che sta facendo per la Giustizia merita il massimo rispetto da parte di tutti, in particolare da chi da anni aspetta la verità sul «patto scellerato costato la vita a mio fratello». «Oggi è un giorno importante” la risposta di Ciancimino jr.

Il premier in un’aula di tribunale (FOTO ANSA)

nunciato che non si dimetterà neppure in caso di condanna. Quelli che hanno legittimamente chiesto le dimissioni di Marrazzo avranno ora il coraggio civile di far sentire almeno un pizzico di sdegno per le affermazioni eversive di Berlusconi oppure fingeranno di non aver sentito?”, si domanda Giuseppe Giulietti, deputato e animatore di “Articolo21”. Parole nette, quelle del capo del governo, che disegnano una strategia di chiara opposizione

ad ogni sentenza e di contrapposizione dura con la magistratura. I grimaldelli dell’operazione sono quelli di sempre: riforma del sistema giudiziario e demolizione degli ultimi residui di autonomia della magistratura e dei suoi organi di autogoverno. Ma l’attenzione delle teste d'uovo del Cavaliere da giorni, da quando il Lodo Alfano è stato bocciato dalla Consulta, si è concentrata tutta sulla ricerca di una soluzione alternativa. Spostare tutti i processi

che riguardino le alte cariche istituzionali a Roma. È questa l’ultima trovata dell’avvocato del premier Nicolò Ghedini, che però raccoglie molte perplessità in diversi settori del Pdl e della maggioranza. In sintesi si tratterebbe di assestare un colpo ai processi Mills e Mediaset cancellando, di fatto, il concetto del giudice naturale. Una via d’uscita secondaria che non piace all’Associazione nazionale magistrati. Nell’ultima assemblea dell’Anm il presidente

Luca Palamara ha detto che i giudici “non possono andare dietro a questi annunci. La giustizia ha bisogno di riforme urgenti e non di soluzioni punitive contro i magistrati”. L’esatto contrario di quello che la

maggioranza di governo si appresta a fare: legge sulle intercettazioni, nuove norme ad personam, ritocchi al ribasso sui tempi della prescrizione processuale e colpo d’ascia su Csm e organismi di garanzia.

Nuovi “messaggi” ai giudici. I suoi a testa bassa su prescrizione e spostamenti di processi

IL DOSSIER

DAI DIRITTI MEDIASET ALLA CORRUZIONE: IL “NOVEMBRE NERO” DEL PREMIER di Antonella Mascali

e qualcuno ha sperato che BerSdimettesse, lusconi, in caso di condanna, si ha sbagliato. Il premier ha chiarito che non lo farà, d’altronde non l’ha fatto neanche quando è uscito dai processi grazie alla prescrizione. A suo carico, il 16 novembre riprenderà il processo Mediaset, il 27 quello per la corruzione di David Mills. Al processo Mediaset Berlusconi è accusato, insieme ad una decina di persone, di frode fiscale. Grazie a una delle sue leggi, la “ex Cirielli” - che ha accorciato la prescrizione - sono state azzerate la frode fiscale per 120 miliardi di lire e l’appropriazione indebita per 276 milioni di dollari, fino al 1999. Il pm Fabio De Pasquale, però, ha mosso una nuova accusa, che ipotizza la frode fiscale fino al 2003. Prescrizione fra un anno e mezzo. Secondo la Procura, Berlusconi a partire dal ‘94, ha accantonato fondi neri, e quindi esentasse, per 280 milioni di euro.

Iscrivendo nei libri contabili “maggiori costi” per i diritti tv , ha gonfiato il valore dei magazzini e quindi di Mediaset, favorendo la quotazione in Borsa del ’96, «con l’intenzione di ingannare i soci e il pubblico circa la situazione patrimoniale della società». L’indagine è stata ostacolata anche con operazioni di “spionaggio”. Nel luglio 2003, il ministero della giustizia, guidato da Castelli, ha bloccato una rogatoria Usa. Dopo mesi, il ministro è costretto però a sbloccarla e il 18 dicembre 2003, i pm De Pasquale e Alfredo Robledo hanno inviato il cancelliere Francesco Santoro e altri due collaboratori a Roma, per acquisire le carte. Arrivati in via Arenula, hanno trovato una funzionaria e un’altra dipendente del dipartimento Affari penali - diretto da Augusta Iannini - che stavano rimettendo i documenti negli scatoloni e sigillandoli con lo scotch. Quindi il ministero ha visionato atti d’indagine di una Procura, che per di più riguardavano il premier.

Costola dell’inchiesta Mediaset è quella, sempre di De Pasquale, su Mediatrade-Rti. Berlusconi, indagato dall’aprile 2007, è accusato di concorso in appropriazione indebita. Con il presunto meccanismo dei costi gonfiati, per l’acquisto dei diritti televisivi, avrebbe accantonato 100 milioni di euro. A stretto giro, il pm invierà alle parti il cosiddetto “ avviso di conclusione delle indagini”, anticamera della richiesta di rinvio a giudizio. Anche dalla Svizzera guai in vista, c’è un’inchiesta su riciclaggio a carico di 4 manager Mediaset. Ma il processo che rende molto nervoso Berlusconi, è quello per la corruzione di David Mills, che per “ aver evitato un mare di guai a mister B”, ha scritto e detto, salvo poi ritrattare, di aver preso 600 mila dollari. Pesano le sue condanne, l’ultima in appello, il 27 ottobre, sempre a 4 anni e mezzo. Tra una decina di giorni sapremo le motivazioni dei giudici, ma già adesso si può dire che anche loro hanno ri-

tenuto Mills colpevole di aver testimoniato il falso, a favore di Berlusconi, al processo Fininvest-Guardia di Finanza, e al processo All Iberian. Nella sentenza di primo grado, i giudici scrivono che la testimonianza di Mills, al processo d’appello Fininvest-Gdf, per il filone Tele+, ha contribuito all’assoluzione per insufficienza di prove di Berlusconi: “Pur fornendo prove dell’esistenza delle off shore non ha indicato alcun elemento idoneo a fondare un giudizio di responsabilità personale di alcuno e in particolare di Silvio Berlusconi…”. Sul processo del mese prossimo al premier, incombe la pronuncia della Cassazione su Mills. Se dovesse confermare la condanna, attualmente (Alfano ha inserito una modifica ad hoc nella riforma del processo penale), quell’eventuale verdetto può essere usato dal collegio che deve giudicare Berlusconi. L’altro incubo del cavaliere, è la Procura di Palermo, che sta indagando sulla trattativa Stato-ma-

fia. Secondo il neo pentito Gaspare Spatuzza dal ’93 e almeno fino al 2003-2004 c’è stata una trattativa di cosa nostra con Dell’Utri e Berlusconi. Il collaboratore verrà ascoltato dalla corte d’appello che deve pronunciarsi su Dell’Utri, già condannato in primo grado a 9 anni per concorso in associazione mafiosa. Il procuratore aggiunto Antonio Ingroia, che coordina l’inchiesta sulla trattativa, quando gli abbiamo chiesto particolari sulle accuse di Spatuzza, ha risposto: “Ci sono approfondimenti, stiamo valutando l’attendibilità delle dichiarazioni”.

Il calendario delle udienze. E a Palermo pronta a esplodere la grana del pentito Spatuzza


Domenica 1 novembre 2009

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Il nastro, i ricatti e le dimissioni: i giorni neri di Piero

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VELENI

l 23 ottobre inizia il terremoto. Un video ritrarrebbe l’ancora presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, in un’abitazione di via Gradoli in compagnia di un transessuale. Come non bastasse, nella scena c’è anche della cocaina. Ma c’è di più: quattro carabinieri hanno tentato un’estorsione, nei mesi precedenti, nei confronti di Marrazzo. Che, si dice, avrebbe pagato una cifra consistente per

impedire l’uscita della notizia. Dapprima il Governatore nega. Sembra incredibile. Sembrano tutte illazioni. Ma alla fine la verità viene a galla: il video c’è. Così come le frequentazioni del Governatore. E due giorni dopo, il 25, Marrazzo ammette. E dice: “dovevo denunciare, ma mi sono vergognato”. Ancora, però, il presidente della regione Lazio non si dimette dalla poltrona. Si autosospende, cosa che avrebbe

evitato il commissariamento della Regione. Si dichiara un uomo distrutto, la moglie lascia la casa (per poi tornare e decidere di sostenere il marito), la sua salute preoccupa. Ma le dimissioni sono richieste da più parti. E in effetti arrivano, il 27 ottobre. “Le mie condizioni personali di sofferenza estrema non rendono più utile la mia permanenza alla guida della Regione”. Così si conclude la carriera politica di Piero Marrazzo.

MARRAZZO: LA MIA VERITÀ

La testimonianza: “Due i carabinieri del blitz a casa del trans Ho buttato subito il numero che mi avevano lasciato” di Marco Lillo

uesta è la testimonianza rilasciata dall'allora presidente della Regione Lazio ai pm romani, il giorno prima degli arresti dei carabinieri che lo ricattavano. Piero Marrazzo viene convocato dai pm romani nella mattinata di mercoledì 21 ottobre. In serata un suo collaboratore doveva incontrare a Milano nello studio legale dell’avvocato Marco Eller Vainicher, i dirigenti dell’agenzia Photomasi per visionare il video che lo ritraeva con il trans. Due giorni prima c’era stata la ormai famosa telefonata di Silvio Berlusconi. Come racconta l’ex presidente.

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Verbale di Piero Marrazzo 21 ottobre 2009 Il giorno 21 ottobre 2009 dinanzi ai pm Giancarlo Capaldo e Rodolfo Sabelli compare Marrazzo Piero in qualità di persona informata dei fatti su convocazione verbale di questo ufficio A domanda risponde. Nei primi giorni di luglio, dal primo al quattro di quel mese, ho deciso di avere un incontro a pagamento con una persona incontrata per strada qualche giorno prima. Questa persona si chiamava Natalie. Le telefonai e presi appuntamento. Andai con l’auto guidata dal mio autista. Adr Nell’appartamento mi sono parzialmente spogliato, ho deposto parte della somma concordata su un tavolinetto. Tale somma era di 5000 euro. Mi sembra di aver lasciato 3000 euro, conservando la rimanente parte nel mio portafogli. Adr Anche Natalie si è spogliata, ma non abbiamo consumato alcun rapporto. Ad un certo punto, ha suonato la porta e sono comparsi 2 uomini in borghese, uno più alto l’altro basso. Mi dissero che erano carabinieri, ma non mi mostrarono alcun tesserino. Adr I due avevano un atteggiamento molto arrogante. Mi chiesero di vedere un documento e presero il mio portafogli. Se ne andarono in un’altra stanza, tenendo separati me e Natalie in stanze diverse. Adr Quello più alto mi chiese di consegnare loro molti soldi e di andarli a prendere. Mi rifiutai dicendo che non ne avevo. Proposi di consegnare loro assegni. Ne compilai 3, mi sembra per importi di 10000, 5000 e 5000 euro. Firmai e li consegnai. Adr Non vi furono esplicite minacce verbali, ma l’uomo mi fece intendere con atteggiamentI e giri di parole che se non avessi pagato sarebbero stati guai. Ebbi paura di essere arrestato e anche per la mia incolumità. Pregai loro di lasciarmi libero. Adr Quando se ne andarono, su un tavolinetto mi accorsi

che c’era della polvere bianca, presumo fosse cocaina. non c’era quando ero arrivato. Preciso che non ne ho fatto uso. Nel mio portafogli non c’erano più i soldi per saldare il prezzo pattuito dell’incontro. Adr Quando sono andati via, Natalie si è mostrata contrariata, come se i 2 uomini si fossero portati via i 3000 euro che le avevo dato in anticipo. Adr Prima di andare via i 2 carabinieri mi diedero un numero di cellulare, dicendo di chiamarli. I 2 uomini non mi hanno detto di aver fatto fotografie, né io mi sono accorto se uno dei 2 avesse qualche strumento adatto allo scopo. Preciso che ero terrorizzato, volevo andar via. Adr Prima di andar via i 2 mi chiesero un recapito telefonico e gli diedi uno dei recapiti telefonici della mia segreteria alla Regione. Dopo alcuni giorni arrivò una telefonata, penso di uno di loro, ma rispose una mia collaboratrice e non seppe dirmi altro. Adr Io subito dopo l’incontro con i sedicenti carabinieri avevo strappato il biglietto con il numero di cellulare che mi avevano lasciato. Adr Natalie era di altezza normale e formosa. Adr Da allora non ho saputo più nulla di questa storia fino a lunedì 19 ottobre. L’unica cosa che ho fatto come conseguenza di quell’episodio è stato quello di pregare uno dei miei segretari, Luciani, che gestisce un mio conto corrente, di fare una denuncia di smarrimento degli assegni. Adr Lunedì 19 ottobre mi è ar-

rivata una comunicazione confidenziale del presidente del consiglio Berlusconi che mi ha telefonato per comunicarmi di aver saputo che negli ambienti editoriali milanesi girava voce che vi fossero foto compromettenti che mi riguardavano. Io ho subito ripensato all’episodio di luglio e ho cercato di saperne di più. Mi è stato dato il numero di telefono di un’agenzia che sembrava interessata alla commercializzazione. Adr Ho telefonato, ricevendo una risposta vagamente positiva. Ho preso appuntamento che poi non è stato rispettato avendo avuto la convocazione del vostro ufficio. Ho così detto ai miei collaboratori di soprassedere. Gli viene poi mostrato il filmato di cui si parla Adr Riconosco effettivamente in tale filmato me e Natalie. Ho notato anche della polvere bianca, accanto ad una mia tessera. Preciso che quando sono entrato nell’appartamento non l’ho notata. Posso azzardare l’ipotesi che sono stati loro a metterla.

Il puzzle

LA VERSIONE DI NATALIE E I DUBBI DEI PM nche Natalie, il trans che è AMarrazzo, costato la carriera a Piero ha raccontato la sua verità. Le due versioni non coincidono a partire dalle date e cozzano ancora più con quelle degli altri protagonisti. Inizia così la testimo-

“Il viados? L’avevo conosciuto due giorni prima Avevamo concordato 5mila euro”

nianza del trans: “era fine giugno (e non i primi di luglio ndr) tra le 15 e le 17. Io ero con Piero e ad un certo punto sono arrivati due carabinieri in borghese, Carlo (Tagliente ndr) e Luciano (Simeone ndr). Hanno bussato, credevo fosse una mia amica”. Così Natalie si tira fuori da ogni sospetto di complicità: “sono entrati dicendomi che ero con qualcuno che a loro interessava molto vedere”. Poi il trans continua: “Piero stava nella stanza in mutande bianche. Loro mi hanno obbligato

Un trans in attesa di un cliente

a uscire sul balcone. Ero lì fuori e si sono parlati per circa 20 minuti. Poi sono tornata nella stanza e ho sentito che minacciavano Piero dicendo che se lo avessero portato in caserma lo avrebbero rovinato dato che stava con un transessuale. Ho sentito che uno dei due voleva 50mila euro, e altri 50mila li voleva l’altro ma Piero non aveva quei soldi”. E’ evidente la differenza con la versione di Marrazzo, che ha negato minacce e ogni forma di trattativa, raccontando addirittura di avere gettato il numero del telefono dei carabinieri. Inoltre, prima che i pm gli mostrassero il video, ha negato di essersi accorto di essere ripreso. I militari arrestati hanno sempre negato di avere girato il video sostenendo che lo aveva fatto invece il pusher Rino Cafasso, autore della soffiata sull’incontro a casa di Natalie. La versione dei carabinieri è stata smentita, oltre che dal trans, anche dall’avvocato di Rino Cafasso. Il tossicodipendente è morto a settembre e su questa morte ora i pm vogliono vedere chiaro. “Cafasso - ha detto il suo legale agli inquirenti il 29 ottobre scorso - mi disse che quel video gli era stato dato dai carabinieri e che il suo compito era quello di commercializzarlo”. A metà luglio Cafasso effettivamente lo propose a “Libero”. La prossima settimana Marrazzo sarà risentito per chiarire tutti i dubbi della sua testimonianza. M.L.

“IL FATTO” E IL GIORNALE DEGLI ANGELUCCI

“LIBERO” FRULLATORE IN LIBERO RICATTO di Peter Gomez

a tesi esposta ieri da Libero è sempliLperché ce. Il Fatto quotidiano, definito chissà “l’ultrasinistra del giornalismo”, segue solo vicende che riguardano Silvio Berlusconi. Tutto il resto lo cestina o lo sottovaluta. E che le cose stiano così, secondo il giornale della famiglia Angelucci, lo dimostra quanto accaduto intorno al caso di Piero Marrazzo. “Il 25 settembre”, scrive Maurizio Belpietro, “un gruppetto di colleghi e politici ricevette un sms che informava dell’esistenza di un video in cui si vedeva Marrazzo ‘che sniffa con due trans’”. Ma i cronisti de Il Fatto, al

L’sms di Crespi che avverte “forse c’è un video, attenti al fango”, le notizie e le manovre

pari di Giuseppe D’Avanzo di Repubblica, non fecero niente, non andarono a “caccia d’immagini come avrebbero fatto se si fosse trattato di Berlusconi”. Alzarono, invece, le spalle e dissero “che la notizia è una bufala”. Chi scrive potrebbe rispondere ricordando di essere uno dei pochi cronisti querelati da Marrazzo per un pezzo sulle spese allegre della sua Regione . O sottolineare che altri governatori “rossi” come, Claudio Burlando, Antonio Bassolino e Nichi Vendola, hanno visto sulle nostre pagine documentate inchieste che li mettevano alla berlina. Oppure potrebbe invitare Belpietro a rileggere i verbali del caso Marrazzo pubblicati ieri da Il Fatto (e non da Libero), da cui emerge come lui e l’editore Angelucci, avvertiti dal direttore di Chi Alfonso Signorini , esaminarono il 12 ottobre il video, ma non scrissero una riga. E cercarono, invece, di acquistarlo per 100 mila euro, pur sapendo che, viste le modalità criminali con cui era stato girato, non lo si poteva pubblicare. Il punto però è un altro. Il 25 settembre, a noi come ai colleghi di Libero, ar-

rivò un sms in cui si leggeva: “Altra spolverata di fango, pare stia per uscire un filmatino con Marrazzo che sniffa con due trans. Ormai siamo nella fogna infognati”. A inviarlo era Luigi Crespi, un tempo sondaggista di Berlusconi e oggi consulente di esponenti di sinistra e destra, tra quali anche alcuni ministri. Il Fatto lo chiamò e apprese che lui non aveva il video, che non lo aveva visto, e che nemmeno voleva svelare chi gliene avesse parlato. La cosa, come si dice in gergo, “puzzava”. Crespi aveva avuto tra i suoi clienti Francesco Storace. Nel 2005 degli investigatori privati legati all’entourage di Storace erano stati arrestati proprio perché spiavano Marrazzo. Dalle intercettazioni, poi, era emerso che una delle idee era quella di infangarlo assoldando un trans da fotografare con lui. Per questo, una volta ricordata la vicenda, anche Crespi concluse che la storia sembrava solo uno molti veleni fatti circolare dopo gli articoli de Il Giornale sul direttore di Avvenire, Dino Boffo. Al Fatto però si ragionò sul da farsi. Dimostrare che gli uomini del premier come ipotizzammo - stessero racco-

gliendo materiale per incastrare gli avversari, era una notizia. Ma l’unico controllo possibile - parlarne con Marrazzo - fu scartato perchè, se la voce fosse stata falsa, il governatore, avrebbe finito per presentare una denuncia, mettendo a rischio l’identità della nostra fonte. Solo ieri, infatti, Crespi ci ha autorizzato a fare il suo nome, peraltro dopo che era già stato spiattellato da Libero, con tanti saluti al dovere di riservatezza. Arrivati a questo punto, il suo ruolo è comunque secondario. Il video, come è noto, fu mostrato per la prima volta a due croniste di Libero, il 15 luglio. L’allora direttore Vittorio Feltri, non lo acquistò e non pubblico una riga. Lo stesso fece Oggi ad agosto. Poi in ottobre il filmato, approdato nelle mani di Signorini, fu a un passo da essere comprato da Belpietro e dal suo editore proprietario di cliniche convenzionate con la Regione Lazio. Fu esaminato più volte. Ma i lettori del quotidiano milanese lo scopriranno solo il 22 ottobre, quando il Ros arresterà chi lo commercializzava. Questi sono i fatti. Le conclusioni sono invece libere. Anzi Libero.


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Domenica 1 novembre 2009

STORIE ITALIANE

LE GENERAZIONI PERDUTE DI DON RIGOLDI DAL CARCERE ALLA VITA Il prete di strada e cappellano del Beccaria compie 70 anni di Nando Dalla Chiesa

ilenzio assoluto. Neanche un “sss…”. E buio totale. La palestra del carcere minorile del Beccaria, un posto lunare nella Milano delle periferie, trattiene il fiato. Volontari, educatori, ispettori della polizia penitenziaria, amici e benefattori guardano in una sola direzione. Dopo una settimana di messaggi discreti tra i suoi collaboratori e la Milano progressista il momento della grande sorpresa sta arrivando. Don Gino Rigoldi fa settant’anni. Ce ne fossero dieci o dodici come lui, si mormora nel buio, Milano sarebbe un’altra cosa. Quando don Gino arriva si accende la luce. Lui vede di colpo i tavoli preparati con cura da signori, strabuzza leggermente gli occhi e poi si commuove. Applausi. Settant’anni dedicati agli altri, ai ragazzi che i reati li fanno e poi li pagano, loro sì che li pagano. Questo è il suo regno. Arrivò al Beccaria, a farci il cappellano, nel 1972 e non se ne è più andato.

questo nuovo dio. C’è una foto drammatica inchiodata nella memoria di chi li visse. Un ragazzo con la testa reclinata dietro la spalliera di una panchina al parco delle Basiliche. Nebbia, primo mattino, e un prete anonimo che dà la benedizione. “Di nuovo capimmo che c’era un problema da affrontare. Andammo da Alberto Madeddu, un grande medico che se ne occupava, andammo da don Ciotti a Torino, per capire. E ci dedicammo agli sconvolti. Una battaglia difficile, quotidiana. Ogni piccola conquista era in realtà un grande successo. Siamo andati avanti a creare strutture nuove, come la birreria del Barrio’s alla Barona, abbiamo attinto a piene mani agli obiettori di coscienza, poi un po’ alla volta abbiamo puntato su degli educatori professionali”. Che erano lì, educatori ed educatrici, venerdì sera, ad accarezzarselo con gli occhi, grati per un’avventura umana straordinaria.

S

el frattempo ha fondato di Nmunità tutto. Centri alloggio, Conuova, che è poi la sua holding dell’accoglienza, luoghi per i minori in Romania. Sigle. Dimore fisiche. E volontari, nella sua vita avrà avuto ormai duecentocinquanta collaboratori. “E’ così, mi sono abituato ad ascoltare, a interessarmi, a provare affetto per il mondo giovanile. Ero in un collegio per giovani vicino a Varese, il “De Filippi”, che trasudava benessere economico. Ma poi vicino alla stazione vedevo i ragazzi senza speranza, quelli con le valigie di cartone, abbandonati. Venivano dal sud. Lì inventai la regola della mia vita. Dove c’è un problema bisogna affrontarlo. Non chiedetemi un giudizio morale, quello lo lascio a Dio. Non chiedetemi di combatte-

re i reati, quello lo lascio ai tribunali. Io so che dietro ogni comportamento c’è un problema, e quello occorre risolvere. Perciò a Varese all’inizio cercavo di ospitare al De Filippi un po’ di quei ragazzi di nascosto. Il rettore faceva finta di non vedere. Ma alla fine fu meglio lasciare. Andai a San Donato, a Metanopoli. La parrocchia certe sere si riempiva di ragazzi a centinaia. Il parroco mi chiedeva: ma lei glielo fa il catechismo? No, dicevo. Ma li porta a messa? No, dicevo pure. A me bastava che venissero, che avessero qualcuno con cui stare. Io non ho mai avuto paura dei ragazzi e delle ragazze. Non gli piacque troppo. Così sono venuto al Beccaria. Dopo una settimana avevo già otto volontari”. busto del grande pensatoIil lrebenvenuto illuminista dà ancora oggi a chi entri nel carcere minorile. Ma chi ci arriva per trascorrerci mesi o anni prende subito nota del “vero” nome che dà identità al carcere. Gino, il prete con la faccia da monello, quello a cui ci si può rivolgere quando gli

Il religioso lombardo ha fondato molte strutture, da centri alloggio a comunità per minori altri ti voltano le spalle, come raccontavano le testimonianze lette da Moni Ovadia l’altro ieri sera nella palestra tirata a festa. “Quando mi sono accorto che, una volta usciti dal Beccaria, non sapevano dove andare a dormire ho incominciato a ospitarli a casa mia. Prima dieci, poi venti. Quando sono arrivato a trenta mi sono detto che così non si poteva andare avanti. Così è nata la prima comunità alloggio. Andammo in affitto al quartiere dell’Isola, dietro la stazione Garibaldi. Poi stando al Beccaria notavo che tutti i ragazzi arrivavano dalle periferie. E quindi mi son

detto che bisognava fare qualcosa nelle periferie. Nacque la Locanda di Baggio. Una cosa stupenda, a pensarci. Era il più grande centro di consumo nazionale di Albano, un vino dei castelli romani. Centinaia di giovani, i bus che dovevano cambiare percorso. Quelli dell’Autonomia operaia non ci sopportavano, anche se poi quando finivano in galera mi mandavano lettere d’amore. Il nemico vero però era l’eroina, quei visi sconvolti.” Anni in cui Milano bruciava centinaia di vite giovanili sull’altare di

oi sono arrivati i giovani imPsbarcati migrati, i nuovi “nessuno” in quantità industriale a Milano e nel suo hinterland dalla miseria e dalla speranza. “Ne ho in mente tanti di ragazzi incontrati. Gaetano per esempio. Era intelligente e deciso, voleva il futuro, un suo futuro, in modo forte. E’ morto di epatite, Aids, e di droga non ne aveva neanche presa tanta in vita sua. Oppure…ma no, lo chiamo Antonio perché se do il suo vero nome si monta la testa, ecco Antonio

è uno forte, è un albanese, lui è un tipo impegnativo, vuole costruirsi un destino, ma ci devo combattere, e penso che vincerò io. E ce ne ho un altro ancora che mi sta mettendo alla prova. Ha vent’anni, un anima da delinquente, è violento, però è come tutti i giovani. Se trova un adulto che lo ascolta, che magari gli dice pirla ma lo ascolta, che sa farsi sentire vicino, entra in dialogo. Questa è davvero una sfida in cui ho deciso di metterci la faccia. Ma vincerò io”. Pazienza, amore, fiducia negli altri e in se stesso. Sembra questa la ricetta del Gino. Un giorno un gruppo dei suoi ragazzi gli portò dalla Sardegna una maglietta. C’era scritto: “Dio c’è ma non sei tu, rilassati”. Lo racconta spesso quell’aneddoto, ogni volta accompagnandolo con un sorriso d’amore per quei simpatici sfrontati. Ma stavolta ammette: “Giusto rilassarsi. Ma quando si fa quel che faccio io, ogni tanto sentirsi Dio serve”. Un pensiero, giunto ai settanta, lo dedica a chi lo ha aiutato negli anni dell’inizio. La Rita Pavesi del Tribunale dei minori, la Brunella Checchi, una mamma che gli ospitava i ragazzi, donna emiliana e generosa, e Genna Bortolotti, un’insegnante che faceva anche lei da chioccia ai suoi minori senza casa. Via via fino a oggi, a Marco Vitale e Lella Costa, a Milly Moratti e Jovanotti. “Ora basta, devo andare a far messa. Se ho ancora un sogno? Certo: vorrei rilanciare gli oratori, metterci dei laici ben formati, vorrei usare i luoghi che ci sono e hanno una tradizione, riempirli di giovani, non importa che vadano a messa. Secondo te, che ne penserà la diocesi?”

Sopra il compleanno di Don Rigoldi (LUCA MEOLA) Sotto le immagini dell’omicidio di Napoli

Il killer della Sanità identificato da un detenuto UNA SOFFIATA PORTA A UN PREGIUDICATO DI SECONDIGLIANO Napoli

stata la ‘soffiata’ Srealearebbe di un detenuto di Poggioa consentire l’identificazione del killer di Mariano Bacioterracino, ucciso il 3 maggio scorso al rione Sanità. L’assassino sarebbe un pregiudicato di circa 30 anni, originario della zona tra Secondigliano e San Pietro a Patierno. L’uomo, probabilmente un affiliato

La svolta dopo la scelta di diffondere il video shock dell’omicidio di maggio

di un clan alleato coi Moccia, è irreperibile. Il dettaglio dell’alleanza col sodalizio criminale dei Moccia ha un suo peso: Bacioterracino nel 1976 venne accusato di aver ammazzato il boss Gennaro Moccia e questa circostanza potrebbe spiegare il movente del delitto di maggio. La Procura guidata da Giandomenico Lepore al momento di andare di stampa preferisce non rivelare il nome del presunto killer. A lui si è arrivati dopo che tre giorni fa gli inquirenti hanno deciso di diffondere il video dell’omicidio, nel tentativo di frantumare il muro di omertà contro il quale si erano scontrate le indagini. Le immagini, riprese da una telecamera di sicurezza, sono state rilanciate dai principali mass media e hanno fatto il giro del mondo. Fotogrammi impressionanti e desolanti

al tempo stesso. Impressionanti per l’efferatezza dell’esecuzione, una scena che sembra tratta da un film di Martin Scorsese, con il killer che individua la sua vittima all’uscita di un bar, entra con calma nel locale, lo perlustra, poi ne esce e fredda Bacioterracino alle spalle, finendolo con un colpo alla nuca mentre con l’altra mano mima il gesto delle corna. Desolanti per la serena indifferenza con cui i napoletani reagiscono a caldo al delitto: chi rimuove il banchetto delle sigarette, chi scavalca il cadavere, chi torna tranquillamente a casa. Solo una signora pare preoccupata, e solleva il volto della vittima per guardarlo in viso. Quando capisce che non è una persona a lei cara, molla il colletto della camicia e va via. Nei giorni tra la diffusione

della cassetta e l’individuazione del presunto assassino agli investigatori sarebbero pervenute solo due segnalazioni anonime e le parole del detenuto, una fonte “confidenziale” ritenuta attendibile. Le sue dichiarazioni sono state raccolte nel più stretto riserbo dagli uomini del pool anticamorra guidato da Sergio Amato, che coordina l’inchiesta condotta dal pm

Sandro Pennasilico. Due segnalazioni anonime sono un po’ poco per parlare di riscossa della società civile napoletana, come ha provato ad affermare qualche politico e qualche esponente dell’associazionismo alla notizia dell’identificazione del killer. Resta ancora pertinente il commento di Roberto Saviano il giorno dopo la visione del filmato: “Tutto normale sca-

valcare un morto per terra, tutto normale vedere un uomo che viene sparato alla testa e non far nulla, nemmeno gridare, o chiamare qualcuno. È tutto normale, non si corre, nessuno sente di dover far niente. La città è in guerra e si agisce come agiscono gli uomini in guerra ossia, strisciare, allontanarsi, non dare nell'occhio. Porta a casa la pelle, il resto vale zero”.


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POLITICA E SOCIETÀ

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RUTELLI SE NE VA VERSO L’UDC CON LA SPINTA DI D’ALEMA

NAPOLI

Influenza, muore bimba di 11 anni

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era ricoverata all’ospedale Santobono dopo essere stata trasferita da quello di Scafati, con una diagnosi di sindrome cardiorespiratoria acuta di probabile origine cardiaca. È risultata positiva all’H1N1. È la dodicesima vittima in Italia ma la prima fra i bambini.

L’ex Ministro farà da ponte tra Pd e centristi. Casini: raddoppieremo i voti di Caterina Perniconi

na scossa al bipartitismo o un accordo premeditato? L’abbandono del Partito democratico da parte di Francesco Rutelli scatena più di un interrogativo. Ieri, dalle colonne del Corriere della Sera l’ex leader della Margherita ha fatto sapere che è deciso a lasciare il Pd. Ma da ambienti a lui vicini si apprende che la volontà di Rutelli non era esattamente questa: avrebbe voluto aspettare, parlare con Bersani in privato per vedere cos’era pronto ad offrirgli e nel caso organizzare le forze con calma per allontanarsi dal partito dopo le regionali. E invece sarebbe stato “fregato” da Bruno Vespa. L’accelerazione è colpa delle anticipazioni del suo libro che lo hanno costretto ad allungare il passo. Il patto col lìder Maximo. A quel punto Rutelli ha deciso di aggirare Bersani incontrando direttamente D’Alema (cosa che ha fatto molto arrabbiare il neosegretario, che ha poi cancellato il successivo appuntamento con lui). Con l’ex ministro degli Esteri ha tirato le somme di una strategia favorevole per entrambi: Rutelli si pone in questo modo come il ponte tra il Pd e l’Udc per tutti gli accordi a partire dalle regionali, acquistando potere e intercettando (spera) i voti dei cattolici delusi da entrambi gli schieramenti. D’Alema si aggiudica il bottino e si fa portatore di un accordo con l’Udc di Casini, che ancora non era riuscito a nessuno nel Pd. I sogni dell’Udc Casini proprio ieri, partecipando ad un incontro della fondazione Liberal con Rutelli, ha espresso l’intento di realizzare un percorso comune per raddoppiare i voti e raggiungere i 5 milioni di consensi, pari circa al 14% dell’elettorato. Un progetto ambizioso, ma che Rutelli non sembra ancora in grado di sostenere: infatti i contatti presi con tutti i parlamentari a lui vicini (ma anche quelli più lontani) per costituire gruppi parlamentari autonomi alla Camera e al Senato, nel nome del “buongoverno”, sembrano non dare i risultati sperati. Dopo il no della Binetti e di Carra i nomi che si fanno sono quelli dei cattolici Bobba, Calgaro, Mosella, Lanzillotta, Vernetti, dei delusi dall’Idv Misiti e Pisicchio, dei liberaldemocratici Antonio Merlo, Melchiorre e Tanoni e di qualche “prestito” da parte dell’Udc per raggiungere i numeri necessari (20 alla Camera, 10 al Senato). Senza dimenticare le possibili deroghe alla norma: ci sono molti precedenti di gruppi formati anche con 11 deputati (deroga concessa dall’allora presidente Casini a Rifondazione comunista). La Margherita e i suoi soldi

U

Ancora incerto sulla strada da percorrere il tesoriere Luigi Lusi. Ma la sua scelta potrebbe dipendere anche da questioni economiche. Perché, a norma dello statuto della Margherita, “spetta al tesoriere la rappresentanza legale e giudiziale, sia attiva che passiva” del partito. E come si fa a rimpiazzare il tesoriere, cioè Luigi Lusi qualora seguisse Rutelli? Lo spiega ancora una volta lo statuto: “L'Assemblea federale elegge il Tesoriere a scrutinio segreto e a maggioranza assoluta dei componenti. Il Teso-

Il tesoriere Lusi probabilmente non lo seguirà: in gioco le proprietà degli ex Dl

riere cessa dall'incarico con la nomina del successore”. Ma Rutelli e Lusi sono davvero intenzionati a lasciare ad altri la partita relativa alla chiusura della Margherita (detentrice della sede nazionale, dei rimborsi delle politiche 2006 e del giornale di partito Europa con i relativi contributi)? Probabilmente no, quindi Lusi resterà al suo posto, a cercare di dividere tra i fondatori ciò che resta, al netto dei debiti e degli stipendi da liquidare, dei rimborsi delle elezioni (circa 24 milioni di euro) e dei contributi parlamentari che ammontano a 150 mila euro l’anno (queste le cifre del bilancio 2008). C’è poi la sede di Largo del Nazareno, proprietà della Margherita alla quale il Pd paga l’affitto. O meglio “non paga”, a giudicare dalle parole di Lusi nell’ultimo rendiconto finanziario: “Emerge l'incresciosa situazione creditoria della Margherita nei confronti del Pd”, scriveva il tesoriere, ricordando che “ogni spesa anticipata dalla Margherita nei confronti del Pd” per

Francesco Rutelli e Pierferdinando Casini (FOTO GUARDARCHIVIO)

la sede nazionale “non è ancora stata restituita da quest’ultimo”. C’è poi la questione del simbolo della Margherita, che non servirà più a Rutelli considerando che la stagione “botanica” è ormai finita, ma potrebbe essere utile per una riconoscibilità sul territorio. Ieri Rutelli ha parlato di “sospensione” dell’attività della Margherita riferendosi al vecchio partito. Cosa che ha fatto stridere le orecchie di molti ex Dl. Significa quindi che si può riaprire? Lo statuto della Margherita parla chiaro: “Tutti gli atti che comportano modifiche di organici, nonché l'acquisizione, la cessione e l'utilizzo del simbolo Democrazia è Libertà, sono adottati congiuntamente dal Tesoriere e dal Presidente del Comitato Federale di Tesoreria". Quindi sempre da Lusi. Salvo, casi particolari, come questo,

riconducibili al presidente della Regione Trentino Lorenzo Dellai: “La Civica per il Governo del Trentino – si legge in una modifica statutaria fatta in concomitanza con la nascita del Pd - in riferimento al patto federativo attualmente esistente con Democrazia è Libertà - La Margherita, ribadisce la volontà di rinnovare e di far salvo in futuro - anche in considerazione delle scelte che verranno definite dal Congresso nazionale del Pd - il ‘Patto di federazione’ che già riconosce alla “Civica per il Governo del Trentino” piena autonomia statutaria, finanziaria e l'utilizzo del proprio simbolo come espressione di una storia e di una presenza politica originale e territoriale”. Guarda caso Lorenzo Dellai è il primo firmatario del Manifesto per il “Buongoverno” di Rutelli.

L’exploit alle regionali 2005 dell’Udeur nelle zone di Camorra di Vincenzo Iurillo Napoli

lle elezioni regionali campane del Ai suoi2005 un clan di camorra convogliò voti sul partito di Clemente Mastella. Lo rivela Michele Froncillo, uno dei cinque pentiti che negli ultimi anni hanno tirato in ballo come referente dei boss casertani il sottosegretario Pdl Nicola Cosentino, il governatore della Campania ‘in pectore’ di Silvio Berlusconi. Ascoltato dagli investigatori che scandagliano il sistema illegale di nomine e appalti targato Campanile, Froncillo dichiara: “L’intero clan di Marcianise si era messo a disposizione delle esigenze elettorali dell’Udeur e di Nicola Ferraro… Mandavamo affiliati a fare attacchinaggio di manifesti, facevamo propaganda in favore dell’Udeur perché Ferraro ci aveva detto che appena eletto avrebbe ricambiato il nostro appoggio cercando di farci avere ‘la nostra fetta di torta’”. La storia dei rapporti oscuri tra camorra e politica in Campania si arricchisce di un nuovo capitolo, mentre mancano ap-

Il pentito Froncillo chiama in causa Ferraro, messo in lista da Mastella per il Campanile

pena sei mesi al ritorno alle urne per scegliere il successore di Antonio Bassolino. Partiamo dai dati. Cinque anni fa il Campanile fece il botto nelle terre di Gomorra: a Casal di Principe schizzò al 20,8%, primo partito in città (nel 2000 aveva raccolto il 4,75%), a Recale raggiunse il 33,4% (cinque anni prima il 4,2%). Chi illustra i dettagli del (presunto) patto tra la criminalità organizzata e un candidato Udeur non è un camorrista qualsiasi. Froncillo è stato uno dei leader del clan Belforte, egemone a Marcianise (l’Udeur, primo partito anche qui, supererà il 20%). Ha organizzato le attività estorsive e ha gestito le risorse economiche per pagare i ‘guaglioni’ e gli avvocati. Le sue parole, al vaglio anche dei pm della Dda di Napoli, sono riportate nell’ordinanza dell’inchiesta che vede indagati Mastella e la moglie Sandra Lonardo, presidente del consiglio regionale, in esilio dalla Campania su disposizione del Gip. E’ lo stesso verbale in cui il collaboratore di giustizia sostiene che la Porsche Cayenne di Pellegrino Mastella sarebbe stata regalata da Ferraro in prossimità delle regionali. Le elezioni in cui Ferraro, dopo trascorsi in Forza Italia, si è candidato in quota Campanile nel vincente centrosinistra. Froncillo registra questa deposizione il 13 agosto 2009. Il pentito chiama in causa Ferraro, lo snodo del sistema Mastella nei dintorni di Caserta, anch’egli sottoposto al divieto di dimora in Campania: “Era in ottimi rapporti con Mastella al quale faceva favori di

ogni genere, sovvenzionando qualsiasi spesa del partito… non escluso l’acquisto di pacchetti di voti nel casertano”. E sull’automobile afferma: “A pagare fu Ferraro, con circa 75mila euro. Non sono in grado di precisare se furono utilizzati assegni o contanti”. Per quale ragione colui che poi sarebbe stato eletto con oltre 12mila preferenze avrebbe donato un auto di lusso ai Mastella? “Ferraro non lesinava alcuna spesa per raggiungere il suo obiettivo politico e ricopriva di attenzioni Mastella, Porsche compreso, per accreditarsi presso di lui e acquisire sempre maggiori benemerenze…”. Una ricostruzione che Mastella smentisce con fermezza, annunciando azioni legali a tutela della sua onorabilità. L’ex Guardasigilli è vittima della sua superficialità o delle calunnie di un pentito? I pm stanno lavorando alla risposta. Mastella non è nemmeno sfiorato da accuse di commistioni camorristiche, è bene sottolinearlo. Ma ha la responsabilità politica di aver voluto in lista Ferraro, un personaggio già chiacchierato in passato. Imprenditore nel settore dei rifiuti, Ferraro ha venduto le quote delle aziende dopo la mancata concessione del certificato antimafia, dovuta alle sue parentele con elementi di spicco dei casalesi. Difficile pensare possa essere ricandidato. Se i suoi legami coi clan dovessero essere provati, che fine farà quel pacchetto di voti? “La camorra fa voto di scambio e punta sempre sui cavalli vincenti – risponde Amato Lamberti, ex direttore dell’osservatorio sulla criminalità organizzata – dunque lavorerà ad accordi con chi oggi presume che vincerà le prossime elezioni”.

STRADELLA(PV)

Strage di famiglia

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nvestigatori e inquirenti stanno cercando di accertare chi sia l’autore del triplice omicidio di Stradella. I carabinieri stanno infatti verificando la posizione di Alfred Melyshi, 24 anni, fratello del padre della bimba uccisa, che sembra abbia già fatto delle ammissioni. È lui l’uomo che è stato trovato ferito nei pressi dell’appartamento e che ora è in ospedale e non il padre della piccola, Anton Melyshi, muratore di 30 anni. Le tre vittime, tutte albanesi, sono intanto state identificate: si tratta di Rina Melyshi, 24 anni, la figlioletta di tre anni e la sorella della madre Ornela Ndoj, 19 anni.

PRATO

Va a prostitute: auto confiscata

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ordinanza antiprostituzione ha colpito a Prato: a un uomo è stata confiscata l’auto per essere stato “beccato” a contrattare ai bordi della strada. Il provvedimento era stato firmato nell’aprile scorso dall’ex sindaco Romagnoli, di centrosinistra, e rimasto in vigore dopo il cambio di giunta, ora guidata da Cenni (Pdl).

NAPOLI

Arrestato il boss Russo

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ra tra i 30 latitanti più pericolosi d’Italia, lo hanno arrestato ieri gli uomini della Mobile di Napoli. Salvatore Russo, capo dell’omonimo clan operante nell’agro-nolano e condannato all’ergastolo per i reati di omicidio ed associazione mafiosa, era ricercato dal 1995.


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Un gioco di scatole cinesi costruito sulla pelle dei dipendenti

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mega ha acquisito anche Phonemedia: dieci sedi in tutta Italia per circa 7000 occupati, senza salario ormai da due mesi. A Biella sono in sciopero da quasi un mese, agitazioni sono in corso in tutte le sedi. Presto i vertici dell’azienda saranno ricevuti, insieme ai sindacati, dal ministro dello Sviluppo Economico, Scajola. Sebastiano Liori, rappresentante di Omega ai tavoli istituzionali,

OMEGA, DIECIMILA A RISCHIO Occupata l’azienda: “Siamo fantasmi” di Beatrice Borromeo

re giorni fa i lavoratori di Agile, con mille e duecento lettere di licenziamento in mano, hanno occupato la sede romana della Omega. Il presidio è in via Giulio Vincenzo Bona, oltre il raccordo anulare, nel palazzo che ancora ha l'insegna di Eutelia sulle pareti. Dalle finestre pendono fantocci fatti da lenzuola e maschere bianche al posto del volto: “Fantasmi. Questo siamo. I fantasmi non si vedono e noi veniamo ignorati dalla politica, dai giornali, da tutti. Siamo trasparenti, soli”. I rappresentanti di Eutelia, in una lettera pubblicata da Il Fatto Quotidiano, avevano chiesto di essere lasciati fuori dai nostri articoli. “Non c'entriamo, la responsabilità di tutto è di Omega, che ha comprato da noi Agi-

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LAVORO

le e i suoi lavoratori”. Ma la gente di via Bona protesta soprattutto contro Eutelia, che li ha ceduti alla Omega per disfarsi di loro e, come ripetono gli impiegati, “per non pagare il trattamento di fine rapporto, per buttarci in mezzo alla strada senza neanche gli ammortizzatori sociali, illegalmente”. In questa storia entra anche l'istituto bancario Monte de' Paschi di Siena: “Sicuramente la banca, cui Eutelia era debitrice per 25 milioni di euro, ha influito nella decisione di tagliare i costi. Perciò spiega il segretario Fiom di Roma Gianni Feccia- hanno ceduto un intero ramo d'azienda alla Omega, risparmiando 54 milioni di euro di tfr”. Ci sono tante donne, nel presidio. Tutte con le giacche a vento, perchè c’è il sole ma fa freddo. Hanno in mano le carte che documentano i

aveva promesso i pagamenti degli stipendi entro il 27 settembre, la stabilizzazione dei contratti a termine più vecchi di un anno con tempi indeterminati (non avvenuta) e il rinnovo dei contratti in scadenza (al contrario 30 persone sono rimaste a casa). Lo scorso 29 luglio Omega, capitale sociale di 3 milioni di euro, annunciava in pompa magna l’acquisizione di Phonemedia, un impero da 15000 dipendenti. Sempre

passaggi di società, sventolano i comunicati aziendali chiamandoli “pizzini”. Dormono lì e non hanno alcuna intenzione di andarsene. Anche se raccontano che “alla Omega non interessa che occupiamo la società. Dà più fastidio a Eutelia, perchè il suo nome continua a uscire. Omega ha già deciso di fallire, così da non pagarci né gli stipendi arretrati né la liquidazione, anche se l’amministratore Claudio Marcello Massa ha avuto il coraggio di dire che si perdono commesse per colpa dei lavoratori”. Gianni Feccia spiega così i timori di Eutelia: “Quando si cede un ramo d’azienda, e la società che lo acquista fallisce entro un anno, si rimette in discussione la cessione. Il problema rischia di tornare di competenza di Eutelia”. E aggiunge: “Se Omega ha tolto il peso di 2000 dipendenti da Eutelia, vuol dire che c’era un accordo. Sicuramente è stato fatto un grande favore, e noi crediamo sia stato ben retribuito”. ieri la regione Puglia, importante cliente di OmePga,roprio ha revocato il contratto con questa motivazione: “Siamo costretti a questo passo per la consolidata assenza di una politica industriale, per la decisione del Gruppo Omega di licenziare la stragrande maggioranza dei suoi dipendenti. Da mesi l'attività è ferma, i lavoratori non vengono retribuiti, i clienti persi e dispersi, manca la volontà”. Firmato, Michele Losappio e Loredana Capone, assessori al lavoro della Puglia. Nel Gruppo Omega lavorano diecimila persone. Tutti rischiano il licenziamento e tutti sono altamente

più esasperati. Per la Cgil “è una situazione molto complicata perché non si riesce a capire chi sia la vera controparte, è un gioco di scatole cinesi”. Al momento dell’acquisizione di Phonemedia, risalendo a monte della catena di controllo di Omega, si arriva fino a Londra, sede di Restform Limited, passando per altre due società lussemburghesi. E “anche le cariche societarie cambiano frequentemente”, spiega la Cgil.

Eutelia-Agile-Omega

CLAUDIO MARCELLO MASSA Claudio Marcello Massa, 62 anni, ligure. É l’amministratore unico di Agile (comprata dall’Eutelia), Omega e Libeccio. É stato ai vertici di sei società che sono fallite e ne ha liquidate dieci.

di Stefano

Santachiara

In alto Claudio Marcello Massa, sotto il presidio dei lavoratori di Omega

specializzati. Ecco cosa fanno negli immensi uffici del call center: assistenza, manutenzione, progettazione. “Siamo quelli che fanno funzionare internet” dicono in coro. “I nostri clienti commenta Mauro, dipendente di Agile - sono importanti. Si parla di ministeri e regioni. Siamo stati noi a realizzare tutti i programmi informatici a supporto del trattato di Schengen”. Rivendicano una storia professionale trentennale, ricordano di aver gestito per 22 anni i sistemi informatici del ministero dei Trasporti. Raccontano di aver pro-

gettato le prime carte d’identità elettroniche. E ora chiedono che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta si faccia garante di un tavolo col governo, perchè “dei lavoratori non ci si può occupare solo in campagna elettorale”. Poi si rivolgono a Pierluigi Bersani, neoeletto segretario del Partito democratico: “Dici sempre di essere nostro amico. Siamo diecimila persone che rischiano, vittime di manovre meschine, fatte sulla pelle di noi dipendenti e delle nostre famiglie. Vieni qui e fai qualcosa”.

Il Gruppo Angelini non paga: sette mesi senza stipendio L’ODISSEA DEI 1.400 OPERATORI DELLA SANITÀ PRIVATA ABRUZZESE di Valentina D’Amico L’Aquila

da sette mesi senza stipendio, ad Strattoono alcuni di loro i servizi sociali hanno soti figli perché non sono più in grado di prendersene cura, altri rischiano di perdere la casa, messa all’asta perché non possono pagare il mutuo. Sono i 1.400 lavoratori della sanità privata abruzzese impiegati nel gruppo Villa Pini di Vincenzo Angelini. Quel Vincenzo Angelini grande elemosiniere della sanità della regione che, da quanto lui stesso ha riferito a suo tempo alla procura di Pescara, ha pagato tangenti per decine di milioni di euro a destra prima (grande finanziatore di Forza Italia) e a sinistra poi, per assicurarsi i fa-

vori della politica. Da quelle dichiarazioni derivò un terremoto istituzionale, esploso l’anno scorso con l’arresto dell’allora presidente della Regione, Ottaviano del Turco, e una decina tra assessori, ex-assessori, consiglieri e alti funzionari regionali. Da martedì sera, a turno, per non compromettere le prestazioni sanitarie essenziali per i pazienti, i 1.400 lavoratori delle diverse strutture sanitarie del gruppo sacrificano ferie e riposi settimanali per presidiare giorno e notte la sede dell’assessorato. Supportati dai sindacati (Cgil, Cisl e Ugl), sono intenzionati a continuare a oltranza nella protesta “fino a quando non ci saranno risposte serie e definitive” dice Carmine Ranieri, segretario generale della Funzione pubblica della Cgil abruzzese.

Vignola: ex assessore di Prc arrestato per tentata estorsione

L’occupazione è scattata dopo l’ennesimo tentennamento della Regione che nell’ultima riunione di una vertenza che va avanti da più di un anno non ha saputo indicare l’ammontare dei debiti delle Asl verso Angelini. “Il presidente della Regione, Gianni Chiodi, ha parlato di una somma prudenziale pari a 6 milioni 350 mila euro. Ma una cifra del genere - spiega Ranieri - consentirebbe di coprire solo i contributi fin qui maturati e al massimo uno stipendio arretrato”. Hanno paura - si sfoga al telefono Carla Di Fabio, da dieci anni fisioterapista della SanSteFar, azienda del gruppo sanitario Angelini - e per questo non intervengono come devono. Il nostro datore di lavoro è riuscito a mandare in galera Del Turco e mezza giunta. Adesso hanno paura di finire allo stesso modo. Ma io chiedo al presidente Chiodi, che parla sempre di rispetto delle regole, se un imprenditore che da sei mesi non paga gli stipendi a 1400 lavoratori è una persona dentro le regole. In tanti anni di servizio non abbiamo mai ricevuto puntualmente lo stipendio, nè un permesso retribuito per i corsi di formazione. Due anni fa i ritardi nel pagamento degli stipendi si sono allungati fino a tre mesi. Fino ad arrivare a sei mesi quest’anno. Solo dopo proteste e solleciti abbiamo ottenuto il pagamento diretto dalle Asl di quattro sti-

pendi arretrati. L’ultimo pagamento è di settembre, a copertura parziale dello stipendio di aprile: 516 euro”. I lavoratori sono allo stremo, non sanno più come andare avanti. “Mia figlia - dice Carla - ha scritto una lettera a Napolitano per chiedere di far prendere lo stipendio alla sua mamma. E ci sono colleghi che se la passano peggio: alcune mamme monoreddito hanno perso l’affidamento dei figli”. Non solo i lavoratori, ma anche le ditte esterne che nelle strutture del Gruppo Angelini garantiscono servizi come quello della mensa o delle pulizie minacciano azioni forti per i mancati pagamenti. “La Regione deve pretendere il rispetto delle regole - afferma Ranieri - altrimenti procedere alla rescissione delle convenzioni affidando la gestione temporanea dei servizi alle Asl in attesa di accreditarli a imprenditori più affidabili. É una procedura già seguita in altre regioni e ha funzionato, consentendo il funzionamento di un servizio essenziale com’è quello sanitario”. Giovedì mattina intanto i sindacati sono stati ricevuti al Senato da Ignazio Marino, presidente della Commissione d’inchiesta sull’efficacia del Servizio sanitario nazionale che già nei mesi scorsi con l’ausilio dei Nas, aveva effettuato un sopralluogo in alcune strutture psico-riabilitative del Gruppo Angelini riscontrando irregolarità presso le strutture “Ex Paolucci” e “Le villette” di Chieti. Mura macchiate di muffa, pavimenti imbrattati di urina e sangue, scarsa igiene nelle stanze e nei bagni. Ne è seguita un’ordinanza del sindaco di Chieti, Francesco Ricci, che in settembre ha disposto la chiusura delle strutture, ancora attive in attesa che si trovi una sistemazione per i pazienti e i lavoratori. Marino ha assicurato che farà tutte le pressioni istituzionali per risolvere la grave situazione in cui si è impantanata la sanità abruzzese.

È stato arrestato per tentata estorsione Antonio Francesco Orlando, fino a due anni fa assessore in quota Rifondazione Comunista nel comune modenese di Vignola, poi candidato sindaco in una lista civica di centrodestra. Orlando, 49enne odontoiatra originario di Messina, è accusato di aver preteso migliaia di euro presso un’agenzia di pratiche auto con cui era in affari, in più occasioni e con metodi convincenti. Secondo le denunce alla base dell’ordinanza di custodia le richieste erano accompagnate da minacce gravi e da due inquietanti personaggi ancora non identificati. Nell’interrogatorio di garanzia Orlando ha negato ogni addebito, citando una serie di testimoni a discarico. L’indagine dei carabinieri, che risale ad alcune settimane fa ma non è arrivata alla stampa neppure dopo l’attenuazione della misura restrittiva (oggi solo obbligo di firma), approfondirà anche queste circostanze. Sul piano politico, l’iperbole dell’odontoiatra si consuma nel giro di due anni: dall’entrata in Giunta nel 2004 come assessore comunista alla sanità e al bilancio alla revoca disposta dal sindaco Roberto Adani nell’ottobre 2006 con motivazioni di carattere tecnico. Prima che il Tar respinga il ricorso, Orlando si candida a primo cittadino nella Lista civica di centrodestra Libertà e Futuro. Ma assicurando sui principi “immutati nel tempo” e respingendo le voci sulla presenza di personaggi della massoneria bolognese nella lista civica. Le elezioni - che vedono trionfare la giovane candidata Pd Daria Denti e riservano a Orlando poco meno del 2% - non placano però le polemiche vignolesi sull’espansione edilizia e sugli intrecci tra politica ed economia. Dalla denuncia del titolare di Esselunga Bernardo Caprotti, autore del libro Falce e carrello, su presunti favoritismi alle Coop, agli abusi edilizi come quello del colosso dei trasporti Galassini. Sullo sfondo le pesanti infiltrazioni delle mafie: il sindaco Adani nel settembre 2006 fu minacciato con un proiettile in busta chiusa. La spartizione sotto l’indiscusso predominio del clan dei casalesi in Emilia assegna la zona sud (Vignola e ceramiche) alle ‘ndrine calabresi operanti nel riciclaggio e nell’usura.


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Un istituto ‘senza legge’ che viene messo o tolto in Finanziaria

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ECONOMIE

stituita in via sperimentale nel 2006, il cinque per mille è la possibilità per i contribuenti di destinare una quota dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (l'Irpef) a enti del no-profit, come le associazioni di volontariato, le onlus, gli istituti di ricerca scientifica e sanitaria, le Università. Dal 2008, ai beneficiari si sono aggiunti anche i Comuni (di

cui si possono sostenere le attività sociali) e le associazioni sportive dilettantistiche. Nonostante le richieste del Forum del Terzo Settore (e un progetto di legge firmato da 200 parlamentari) non esiste una norma che riconosca l'esistenza di questo istituto: ogni volta viene inserito nella Finanziaria. Arrivato al suo quarto anno di vita (con un importo che

mediamente si aggira intorno ai 300 milioni di euro di contributi, per una platea di circa 30.000 enti), il cinque per mille rischia di scomparire. Nella Finanziaria ora all'esame delle Camere non ce n'è traccia, mentre nella bozza del modello Cud diffusa dall'Agenzia delle Entrate per il 2010 la scheda per la destinazione del cinque per mille è stata cancellata.

SE ANCHE IL VOLONTARIATO È VITTIMA DELLA SCURE DI TREMONTI Il cinque per mille destinato al no-profit scompare per il 2010: i soldi servono a coprire altre spese ma gli enti del Terzo settore non ci stanno di Paola

Zanca

on una mano dà e con l'altra leva. Doveva essere una giornata di festeggiamenti, quella di mercoledì. Finalmente, dopo un anno di attesa il ministro Tremonti si era deciso a sbloccare i fondi del cinque per mille del 2007. Peccato fosse l'ennesimo bluff. Da un lato, con dodici mesi di ritardo, il ministro onorava i suoi debiti. Dall'altro la sua stessa maggioranza metteva una pietra tombale sui finanziamenti a sostegno di onlus e ong. L'istituto del cinque per mille nasce in via sperimentale nel 2006: da allora, nella dichiarazione dei redditi, i contribuenti possono destinare quella quota dell'imposta sul reddito a enti senza fini di lucro. Qualche esempio: l'assistenza ai disabili, i doposcuola, il sostegno ai malati, le associazioni sportive, la ricerca. Il cosiddetto Terzo Settore del no profit. Uno strumento che, nonostante i tempi lunghi della burocrazia, ha garantito linfa vitale a tutte quelle realtà che colmano i vuoti del Welfare state tradizionale. Nel 2007 - i dati sul 2008 non sono ancora disponibili - un italiano su due ha fatto la sua scelta: sono più di quindici milio-

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La metà dei contribuenti ha scelto di aiutare le associazioni, senza una norma non potrà più farlo ni i contribuenti (il 55 per cento del totale) che hanno destinato il 5 per mille al no-profit, per un totale di 370 milioni di euro, da ripartire tra più di trentamila associazioni. Insomma, l’esperimento ha funzionato, per questo il Forum del terzo settore da tempo chiede al Parlamento di stabilizzare questa possibilità con una legge vera e propria, che consenta alle associazioni di poter contare su fondi certi e di poter così progettare le proprie attività. Finora, infatti, il vuoto legislativo era stato colmato inserendo

ogni anno in Finanzaria un articolo ad hoc. Il timore che le cose si sarebbero messe male era già venuto guardando la bozza del Modello Cud per il 2010. Sopra la scheda per la destinazione del 5 per mille dell'Irpef è stata tirata una riga nera. Non solo non ci sarà la stabilizzazione (nonostante il progetto di legge fosse stato sottoscritto da più di duecento parlamentari), ma nella Finanziaria 2010 il cinque per mille sparirà. Giovedì scorso la maggioranza, in commissione Finanze al Senato, ha bocciato un emendamento che chiedeva di inserirlo nel bilancio del prossimo anno. “Do-

po il nulla di fatto sulla stabilizzazione - racconta Andrea Olivero, portavoce del Forum Terzo Settore - ci eravamo rassegnati a veder ricomparire la norma in Finanziaria. Con grande stupore, invece, abbiamo visto che non c'era. Così abbiamo chiesto ad alcuni parlamentari ‘amici’ di presentare un emendamento: la maggioranza ha bocciato pure quello”. Olivero ora è in attesa di un incontro con il ministro Sacconi, che nel suo Libro Bianco sul welfare aveva mostrato di apprezzare il lavoro dell'associazionismo. “Vedremo se il governo ha intenzione di abbandonare l'unico strumento di sussidiarietà del nostro sistema. Sarebbe assurdo lasciarci in

mezzo a una strada proprio adesso che, con la crisi, c’è più bisogno di noi”. Il cinque per mille sostiene almeno il 50 per cento delle attività degli enti no profit. “Se non potremo più contare su questo strumento, saremo costretti a ridurre drasticamente la nostra attività - spiega Roberto Baldini, presiden-

L’IRAP DI SILVIO

“TOGLIERÒ QUELLA TASSA”: TREDICI ANNI DI PROMESSE MANCATE di Mario Portanova

ell’anno 2009 i contribuenti italiani pagano l’Irap, Nsa c’èimposta regionale sulle attività produttive. Che codi strano? Tredici anni di promesse del Cavaliere, accompagnati da invettive e proclami su questo iniquo balzello. Berlusconi, infatti, definì l’Irap una “rapina”: da allora ha governato cinque anni filati, dal 2001 al 2006. Poi un altro anno, dopo la vittoria del 2008, sempre con maggioranze solidissime. La “rapina”, però, continua. BERLUSCONI DI LOTTA Sulle tasse, la sinistra cinicamente è pronta a dire tutto e il contrario di tutto. Le imposte che Prodi dichiara di essere pronto ad abolire sono già riassorbite in una nuova imposta che chiama Irap, cioè imposta regionale sulle attività produttive, e già il nome dice che continua l’avversione della sinistra nei confronti del mondo della produzione, nei confronti delle imprese, nei confronti delle aziende. (8 marzo 1996, Tg1, Rai Uno). L’Irap è davvero l’imposta di rapina, cioè una tassa iniqua che va soprattutto contro chi rischia in proprio, i lavoratori autonomi, i commercianti, gli artigiani, i professionisti, aumentando le loro difficoltà in un momento difficile dell’economia. (5 novembre 1997, Tg 5, Canale 5, annunciando la manifestazione contro l’Irap del 13 novembre). Siamo qui per denunciare che questa sinistra usa le tasse per colpire il ceto medio, l’Italia che lavora e che produce: una sinistra che danneggia l’economia. L’Irap è una tassa sulle tasse perché non è deducibile, è un’imposta che impoverisce il ceto medio, vero artefice del benessere nazionale. L’Italia è l’unico Paese in Europa ad aver introdotto una simile imposta. (13 novembre 1997, manifestazione nazionale contro l’Irap). L’Irap farà una brutta fine perché è una brutta imposta.

Penalizza soprattutto l’imprenditore che investe, perché penalizza il costo del lavoro. (8 maggio 2001, Porta a porta, Rai Uno). BERLUSCONI DI GOVERNO. La soppressione dell’Irap è nel nostro programma e non c’è alcuna modifica, non vi abbiamo rinunciato. (12 aprile 2003, risposta a D’Amato presidente di Confindustria ). Posso annunciare sin da ora che con la prossima finanziaria non ci sarà più l’Irap. La cancelleremo. (19 marzo 2005, Bari, assemblea della Piccola impresa).

Irap, come imposta rapina che grava su tutto ciò che le imprese fanno per svilupparsi. […] Noi abbiamo cominciato a ridurla. (17 marzo 2006, intervista al “Gazzettino”). La manovra permette di avere l’Iva di cassa e delle detrazioni sull’Irap ed è una promessa per la futura abolizione di un’assurda imposta che abbiamo solo noi e che è stata introdotta dalla sinistra. (30 novembre 2008, convegno della Democrazia cristiana per le autonomie a Sesto San Giovanni). Da “Dichiarazia”, di Mario Portanova, Bur 2009.

LAVANDERIA DI STATO

COME INVESTE CHI SI “SCUDA” soldi dello scudo fiscale andranno a rafforzare le piccole e medie imprese indebolite dalla crisi, perché gli imprenditori non vedono l’ora di rimpatriare i capitali nascosti al fisco per investirli e creare occupazione. Questo ci ha raccontato il governo e il ministro Tremonti. L’unica cosa vera sembra essere che quei soldi verranno investiti: Abn Amro e Royal Bank of Scotland hanno appena lanciato (tre giorni fa) le “Nuove obbligazioni Royal Welcome per investire i capitali dello scudo fiscale”.

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Spiegano le due banche che “l’obbligazione Royal Welcom costituisce una soluzione di investimento dei capitali rientrati in Italia a seguito della manovra”. Dopo tre mesi, è spiegato esplicitamente, c’è una cedola netta del 5 per cento. Cioè equivalente alla penale da pagare per rimpatriare i capitali dai paradisi fiscali. C’è anche la “Royal Italia 10 per cento”, che investe soprattutto in azioni di Enel, Telecom Italia e Unicredit. Tutte note pmi con problemi di finanziamenti.

te dell'Associazione studio atrofie muscolari infantili - Oltre a finanziare borse di studio per sviluppare la ricerca, abbiamo creato un’equipe di specialisti a domicilio, un call center per dare consulenza a chi si trova ad affrontare queste situazioni, sosteniamo economicamente chi deve acquistare letti, carrozzine, sollevatori, non sempre previsti nel nomenclatore delle Asl”. Anche a Verona, all'Associazione dei genitori di bambini down, sono preoccupati: “È vergognoso dice la presidente Eles Belfontali - negare una possibilità ai cittadini che liberamente scelgono di donare qualcosa. Per noi il cinque per mille è un'ancora di salvezza”. Senza quelle risorse molti progetti diventano a rischio: “Offriamo percorsi per l'autonomia dei down in età adulta: abbiamo due appartamenti dove educatori e psicologici li aiutano a condurre una vita normale”. Dal ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, intanto, cercano di rassicurare. A parlare è il Direttore generale del volontariato, l'associazionismo e le formazioni sociali, Marina Gerini: “Tremonti ci ha spiegato che l'ultima Finanziaria era volutamente stringata e conteneva solo un quadro di riferimento. È per questo motivo che nel modello Cud non è previsto lo spazio, perché nella norma attuale il contributo al no-profit non c'è. Il terzo settore comunque può stare tranquillo, ho avuto rassicurazioni che nella versione definitiva del provvedimento il cinque per mille ci sarà. Me lo ha detto anche il direttore dell'Agenzia delle Entrate”. É chiaro che Tremonti temporeggia per una semplice questione: capire quante risorse arriveranno dallo scudo fiscale. Il cinque per mille allo Stato e ai contribuenti non costa nulla, nel senso che chi compila la dichiarazione dei redditi si limita a indicare come vuole che venga usata una piccola percentuale delle tasse che comunque avrebbe pagato. Ma il progetto di legge bipartisan per l'istituzione di una legge sul cinque per mille è stato fermato in Commissione Finanze per la mancanza di copertura finanziaria: con la scarsità di risorse di questa fase di crisi, il Governo non è disposto a rinunciare neanche alla quota del cinque per mille e, invece che darla al Terzo settore, vuole averla a disposizione per coprire altre spese.


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L’ANNIVERSARIO

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BERLINO 1989, LA DOMANDA CHE FECE CROLLARE IL MURO B di Luca Telese

ERLINO EST, 9 NOVEMBRE 1989. La cosa divertente, con il senno del poi, è che Riccardo Ehrmann sta per arrivare tardi all'appuntamento con la storia. Se non altro perché non può nemmeno ipotizzare di averlo. Non immagina, il pomeriggio 9 novembre del 1989, mentre cerca affannato un parcheggio per la sua piccola Fiat (preoccupato per il fatto che la conferenza stampa a cui sta andando sia già iniziata) che pochi minuti dopo, proprio lui, avrebbe fatto la domanda che ha determinato, quel giorno, la caduta del muro di Berlino. Anche per questo, ancora oggi molti – soprattutto in Germania – faticano ad accettare il fatto che “il Secolo breve” si si chiuso per un incrocio di fattori casuali e ineluttabili: il vento della protesta che spirava nelle piazze della capitale tedesca, gli strappi di Gorbaciov e la sua perestrojka, una Trabant che lascia libero uno spazio nel parcheggio del ministero degli Esteri, un foglietto scritto male, un equivoco, la telefonata di “un sottomarino” e un banale problema di sovrapposizione ferie. E – soprattutto – per la risposta improvvisata di un leader della Germania dell'est alla domanda di un giornalista italiano: lui. Quel giorno Riccardo Ehrmann aveva sessant'anni. Oggi ne ha ottanta, ma la sua memoria pare inossidabile. Si è trasferito in Spagna il paese di sua moglie Margarita, dopo aver girato mezzo mondo. Il suo destino – come scopriremo presto – si è incrociato tre volte con quello della storia tedesca. Dopo aver rischiato di finire nei camini da bambino, e dopo che, seduto sui gradini sotto il tavolo di una sala convegni in quell'indimenticabile 1989 ha incalzato il portavoce del governo Gubnther Schabowski fino a fargli dire ciò che non era preventivato. Per anni – malgrado esista una registrazione televisiva – ben cinque giornalisti hanno rivendicato il merito di quel botta e risposta. Eppure Riccardo ha mantenuto segreto, per due decenni, il retroscena che lo mise sulla pista giusta, per non rivelare la fonte che lo aveva imbeccato quella mattina. Ha raccontato tutto solo un anno fa, quando Gunther Potsche (l'uomo che lo mise sulle tracce della storia) è morto, pur di non infrangere il patto di lealtà con Potsche. Riccardo è leggenda quello che scrivono i libri di sto-

ria sulla caduta del muro: lei stava arrivando tardi? “No, tutto vero. Quel giorno ho girato a lungo nel parcheggio del ministero: non trovavo posto. Ho guardato l'orologio. Mi sono detto: 'Non faccio in tempo'”. E invece? “Invece all'ultimo momento una macchina uscì, liberandomi una piazzola. Per questo, come si può vedere anche nelle foto di quel giorno, non trovai una sedia libera, sedendomi alla base del podio degli oratori, sui gradini”. Avevi avuto una soffiata decisiva, quella mattina. “Oh caspita! Ero nel mio ufficio di corrispondenza, quando il telefono aveva squillato. Dall'altra parte dell'apparecchio una voce: 'Sono l'uomo dell'U-boot!'. Eh, eh..”. Il “sottomarino”. “Già. E io risposi: 'So perfettamente chi sei'”. E chi era? “Era un alto dirigente del partito con cui ero in confidenza. Per venti anni non ho rivelato il nome. Ma ora Gunther Potsche è morto, il mio patto di lealtà si è rescisso”. Che ruolo aveva Potsche? “Era il direttore dell'Adn l'agenzia di informazione della Germania dell'Est. Ma anche uno dei 'rinnovatori': ovvero il gruppo che sperava di salvare la Rdt con le riforme”. Perché quel nomignolo? Vi conoscevate? “Il telefono era sorvegliato, e lo sapevamo entrambi. E poi perché la sede dell'Adn era nei sotterranei del palazzo dell'informazione: senza finestre, dunque lo U-boot! ”. Cosa le disse Potsche di così importante? “Mi rivelò che c'era un grande dibattito nel gruppo dirigente del partito: che il giorno prima si erano decise graduali aperture nella legge di viaggio che di fatto impediva l'espatrio ai cittadini della Ddr”. Chi erano i rinnovatori? “Il gruppo che aveva appena spodestato Eric Honecker. Si rifacevano agli ideali della perestrojka: erano sinceramente convinti di poter salvare il loro regime”. Li conoscevi bene? “Sì. Avevo un rapporto di amicizia con Klaus Gysi, ex ambasciatore a Roma, padre di Gregor, attuale leader della Linke. Poi c’era Egon Krenz: l'uomo che aveva preso il posto di Honecker, era il più ambizioso. Schabowski, l'uomo che mi ritrovai di fronte quel giorno, il più intelligente. Faceva il giornalista, aveva preso in mano Neus Deutchland, l'illeggibile giornale del partito facendone un riferimento: con questi dirigenti era possibile scambiare delle idee”. Ti avevano regalato un scoop di portata mondiale, pochi giorni prima... “Un'altra soffiata di poche parole: Guarda che Honecker non ha accompagnato Gorbaciov in aeroporto...'. La notizia aveva fatto il giro del pianeta”. Era ancora un paese della cortina di ferro, con un clima alla Le Carrè? “C'ero stato, la prima volta, nel 1976. Poi ero andato in India nell'82, nell'85 di nuovo a Berlino, quasi per caso: pare che nessuno dei colleghi trasferibili sapesse il tedesco! Un aneddoto?”.

Certo. “Un giorno uno degli addetti diplomatici dell'ambasciata americana mi dice: 'Vuoi che ti bonifico l'appartamento?'. Risposi di sì, ma non immaginavo di essere così controllato”. Cosa scopriste? “Mi mandò un tecnico con un rilevatore. Trovammo un microfono in ogni stanza. E ben due, chissà perché, in camera dal letto”. La aiuto a rimuoverli? “Scherzi? Non li toccammo. Avrebbe significato diventare sospetti, li avrebbero rimessi subito. Molto meglio sapere dov’erano, per regolarsi. Però...”. Cosa? “Un giorno non resistemmo: io e mia moglie eravamo allora in uno stato di vigore adeguato e, prima di concederci un momento di intimità gridai: 'Adesso aprite il stereofonia che inizia uno spettacolo interessante!'”. Una zingarata. “Pochi giorni dopo un dirigente del ministero dell'informazione mi sussurrò con un sorriso: 'Siamo lieti di sapere che lei ha una vita familiare così vivace, herr Erhmann...'”. Torniamo al 9 novembre La conferenza stampa è in diretta sulla tv tedesca, e tu inizi a martellare il povero Schabowski... “Lo attaccai ripetutamente sulla legge che era in vigore fino a quel giorno: permetteva solo teoricamente l'espatrio 'per chi possedeva un visto e un passaporto'. Peccato che nessuno li avesse. E se li chiedevi, finivi automaticamente sulla lista nera della Stasi”. Lei rimproverò questo a Schabowski. “E poi gli chiesi se ci sarebbero state delle novità nelle regole. Non voglio dire che ci volesse fegato ma...”. Ce ne voleva. Tant’ è che lui in affanno rispose... “Disse la fatidica frase. Che i viaggi sarebbero stati possibili Ad sofort. Ovvero: ‘con effetto immediato”. Sì è scritto che Schaboski aveva ricevuto un fogliettino di Krentz, che lesse male... “L’unica cosa certa è che nessuno era preparato. Luistesso era tornato appena dalle vacanze. Harald Jäger l’ufficiale che presiedeva uno dei varchi più importanti di Bornholmer Straße ha raccontato che apprese tutto dalla tv. E che dopo aver sentito il nostro botta e risposta ordinò: ‘Su la sbarra’”. Avrebbe potuto verificarsi un carneficina. “Invece dopo tre ore il muro non esisteva più”. Quanto contò il caso? “Molto. Ma anche poco. I tempi erano maturi. E i rinnovatori aveva in ogni caso deciso”. Cosa si prova ad aver fatto lo scoop del secolo? (Sorride)“Quel giorno corsi a telefonare. Scrissi nel pezzo che quella frase ‘equivaleva alla caduta del muro’. Sep-

Illustrazione di Emanuele Fucecchi

pi dopo che, comprensibilmente, alla redazione esteri di Roma avevano commentato: ‘Ehrmann è impazzito’”. La fortuna non esiste? “Esiste. Ma quella domanda era anche frutto di una lavoro meticoloso, e di una grande conoscenza della Ddr. Nulla si improvvisa”. Lei ha più rivisto Schabowski? “Sì. E’ finito a fare il cronista locale. Mi disse: ‘Lei mi ha regalato una ispirazione’. In qualche modo è vero”. Eppure, se Riccardo Ehrmann fosse arrivato in Germania da bambino, non avrebbe mai fatto quella domanda. “Sono fiorentino. Ma il mio è un cognome ebrea-polacca. Nel 1942 a 13 anni venni deportato in un campo di concetramento a Ferramonti, in Calabria. Io e i miei genitori Fummo liberati dagli alleati. Il resto della mia famiglia non esiste più”. E possibile che alcuni tedeschi mettano in dubbio il suo ruolo per questa sua origine? “Spero di no. Ma se, è vero, mi fa un piacere immenso aver fatto io quella domanda”.

Un giornalista italiano, Riccardo Erhmann, spinse il portavoce della Rdt allo storico annuncio


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uy IL 13 AGOSTO 1961 INIZIA LA COSTRUZIONE DEL MURO xvy TRA 192 E 239 LE PERSONE UCCISE IN TENTATIVI DI FUGA xwy I PASSAGGI ALL’OVEST SCESERO DA 2.500.000 PRIMA DEL ‘62 A 5.000 FINO ALL’89 xxy IL 23 AGOSTO 1989 L’UNGHERIA SMANTELLA Hagen, Egon Angela e gli altri: LA CORTINA DI FERRO una giornata particolare a Est x

LA CELEBRAZIONE

“NOI, CORAGGIOSI E PACIFICI”

uel giorno fu storico. Per tutti, soprattutto per gli OsQportanti sie, gli abitanti della Germania Est. Che fossero ime influenti, che fossero militari o comuni cit-

na lunga standing ovation ha accolto a Utarono Berlino i tre ex capi di Stato che poralla riunificazione delle due Germanie: Gorbaciov, Kohl e Bush senior. L’ex cancelliere Helmut Kohl ha partecipato su una sedia a rotelle e nonostante le condizioni di salute precarie per una malattia che lo ha colpito un paio di anni fa. Negli interventi l’ex presidente russo Gorbaciov, il padre della glasnost, trasparenza e della perestrojka, l’età delle riforme, ha sostenuto che “anche l'America ha bisogno di una sua perestrojka e di vivere un cambiamento”. “Oggi molte cose dipendono dagli Usa - ha concluso - anche se siamo in una situazione diversa da quella di 20 anni fa”. Da parte sua l’ex presidente americano Bush ha detto: “Voglio esprimere la mia eterna speranza che la Germania, gli Usa e la Russia continuino a trovare strade per costruire un

futuro prospero produttivo e di pace cui nostri i popoli orgogliosi aspirano e che meritano”. “Il punto che bisogna capire è che quell'evento storico non è stato messo in movimento a Bonn, a Mosca, o a Washington, ma piuttosto nei cuori e nelle menti della gente che per troppo tempo era stata privata dei suoi diritti concessi da Dio”.

Kohl, Gorbaciov e Bush sr. si sono ritrovati ieri nella città simbolo della Guerra fredda e della loro carriera

CRONOLOGIA DEL GIORNO

CONTO ALLA ROVESCIA l Il 9 novembre 1989 era iniziato del tutto simile ai giorni precedenti, con una ridda di voci e dubbi su cosa avrebbero deciso le autorità della Germania Est: l’attesa di novità e la tensione per la situazione di stallo crescevano di ora in ora l Nel primo pomeriggio il regime decide di rendere note nuove procedure per il passaggio del confine, senza però far sapere nulla di preciso l Per le 18 viene indetta una conferenza stampa, nella quale viene data la notizia che tutti i berlinesi dell’Est avrebbero potuto attraversare il confine con un appropriato permesso. Inizialmente il provvedimento sarebbe dovuto entrare in vigore nei giorni successivi, dando così il tempo di dare la notizia alle guardie di confine. l Alle 18,53 il corrispondente Ansa da Berlino Est chiede da quando le nuove misure sarebbero entrate in vigore. Schabowski, ministro della Propaganda, cercò inutilmente una risposta nella velina del Politburo e non avendo ricevuto alcuna informazione azzardò: "Per quanto ne so immediatamente". Decine di migliaia di berlinesi dell’Est si precipitarono, inondando i checkpoint e chiedendo di entrare a Berlino Ovest. Fin dalla sera, dopo le 20, le guardie di confine iniziarono a tempestare di telefonate i loro superiori, senza però ricevere risposte certe e univoche. l Tra le 20 e 30 e le 21 nella Waltersdorfer Chaussee inizia il passaggio dei primi cittadini dall’Est all’Ovest l Verso le 22 e 30 si apre il passaggio della Bornholmer Strasse, considerato fino alle ultime rivelazioni di questi giorni il primo varco nel Muro

tadini. Per ognuno di loro quella giornata particolare resta un ricordo fondamentale, comunque sia stata vissuta e qualsiasi siano state le conseguenze, il day after, del 9 novembre. Qui di seguito abbozziamo dei ritratti di personalità più o meno conosciute e cosa accadde loro quel giorno. HAGEN KOCH: cartografo militare, agente della polizia segreta, la Stasi, fu incaricato nel '61 di delineare il tracciato del muro, percorrendo la città con vernice e pennello; nell'89 partecipò allo smantellamento della sua “creatura” e nel 1994 aprì l'Archivio del Muro EGON KRENZ: fu solo per 49 giorni a capo della Repubblica sociale democratica tedesca e del Sed, il partito unico tedesco orientale nelle convulse settimane che precedettero la caduta della Germania Est; arrestato subito dopo la caduta del muro, è stato rimesso in libertà nel 2003; fino alla fine della mia vita – ha detto pochi giorni fa - mi torturerò per non essere riuscito a salvare la Ddr, giudicando Gorbaciov “un traditore” e la riunificazione “un complotto dei servizi segreti occidentali” ANGELA MERKEL: la “ragazza” come Kohl chiamava la sua pupilla che veniva dall'Est, protestante, divorziata senza figli, per la seconda volta cancelliere della Germania unificata, quel giorno invece di attraversare la breccia aperta sull'Ovest fece, come suo solito, una sauna . Dorothea Kasner (Merkel è il cognome del primo marito) nell'anno della costruzione del muro aveva 7 anni. HEINZ SCHAEFER, in quei giorni comandante di frontiera alla Waltersdorfer Chaussee, racconta di aver sentito la notizia del crollo del muro e di aver immediatamente dato l’ordine di lasciare passare i cittadini: “Sono passati da qui fra le 20 e 30 e le 21”, ha raccontato di recente. “Si dice che il primo posto di frontiera attraverso il quale si è passati - continua - è la Bornholmer Strasse verso le 22 e 30, ma a quell'ora da qui erano già passati centinaia di cittadini”. GÜNTER SCHABOWSKI, (80 anni) ministro della Propaganda e membro del Politburo del Partito socialista, era in vacanza prima che venisse presa la decisione di aprire la frontiera e non venne a conoscenza dei dettagli se non il giorno stesso, durante una conferenza stampa convocata per le 18: solo un momento prima gli fu recapitata la notizia che tutti i berlinesi dell’Est avrebbero potuto attraversare il confine con un appropriato permesso, ma non gli furono date informazioni nemmeno su come trasmettere la notizia. Dopo aver lavorato come giornalista, nel 1997 è stato condannato per i crimini commessi dal regime. MSTISLAV LEOPOL'DOVIC ROSTOPOVICH, il violoncellista russo a cui il regime sovietico revocò la cittadinanza nel 1978, la sera del 9 novembre improvvisò un concerto con il suo strumento, un Duport Stradivarius del 1711, davanti al Muro. (S.CI.)


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DAL MONDO

PESHAWAR NUOVA CAPITALE DEI KAMIKAZE I Taliban portano il terrore in Pakistan e guadagnano consenso tra la popolazione di Nadeem

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er Rubina Ajmal la vita si è fermata quando mercoledì un’autobomba ha ucciso oltre 100 persone in un affollato mercato di Peshawar, nel Pakistan nord-occidentale, dove molte donne stavano acquistando vestiti, braccialetti e cosmetici. Prevedendo che nei giorni e nelle settimane successive pochissime donne si sarebbero avventurate fuori di casa, Rubina, 35 anni, ha deciso di chiudere il suo piccolo salone di bellezza, unica fonte di reddito dopo la morte del marito avvenuta tre anni prima in un incidente stradale. “In città hanno tutti paura. Nessuno sa dove e quando esploderà la prossima bomba”, ci dice. “Non ha senso stare aperti quando non ci sono clienti”. A Peshawar, capitale, della Provincia frontaliera di Nord-Ovest, mercati, parchi e ristoranti sono deserti dall’inizio del mese quando i Taliban hanno giurato che si sarebbero vendicati dell’offensiva militare nella loro roccaforte nel Waziristan del sud – la provincia montuosa ai confini con l’Afghanistan. A Peshawar di questi tempi le uniche attività che fanno segnare buoni profitti sono quelle delle pompe funebri e

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delle case farmaceutiche, dicono con un certo sarcasmo i commercianti locali. Nel mese di ottobre quattro grossi attentati hanno fatto circa 170 vittime e centinaia di feriti. Diverse compagnie aeree internazionali hanno già cancellato lo scalo di Peshawar. Con l’eccezione dei giornalisti, praticamente nessun occidentale osa recarsi a Peshawar, un tempo chiamata “la città dei fiori”. Al momento si ha la sensazione che i Taliban stiano vincendo proprio in quanto sono riusciti a instillare la paura tra le gente mentre il governo difficilmente sarà in grado di annunciare una vittoria militare nel Waziristan del sud nei prossimi due mesi. I militanti taliban non hanno certamente la forza di sconfiggere un esercito che può contare su 600.000 uomini e che rappresenta il braccio armato di un Paese che possiede armi nucleari, ma sono riusciti a paralizzare almeno in parte la vita nei centri urbani attaccando obiettivi simbolici come il quartier generale delle forze armate, le accademie di polizie, una università e diversi centri finanziari. La situazione nella capitale federale Islamabad è meno drammatica che a Peshawar, ma la città appare sotto assedio. Le forze di sicurezza do-

tate di armi pesanti pattugliano le strade mentre lungo quasi tutti i viali principali della città lunghe file di automobili attendono i controlli ai posti di blocco. Il 20 ottobre due attentati suicidi che hanno fatto 8 morti, tra cui 4 studentesse, nell’Università internazionale islamica di Islamabad, hanno costretto le autorità a chiudere per oltre una settimana gli istituti universitari e scolastici in tutto il Paese. Nella capitale culturale del Pakistan, Lahore, una città con oltre 7 milioni di abitanti, cinema e teatri si sono praticamente svuotati facendo registrare un calo di presenze dell’80%, ha dichiarato al quotidiano The News, Jahanzaib Baig, presidente dell’Associazione esercenti sale cinematografiche. “Considerato il disprezzo che iTaliban nutrono per qualunque attività culturale come il cinema, la danza o qualsivoglia altra forma di spettacolo, la gente si è convinta che cinematografi e teatri potrebbero essere presi di mira dagli attentatori”, dice Baig. Anche in tutte le altre città più piccole sparse nel Paese si registrano ansia e paura, come leggiamo in un editoriale del giornale progressista Dawn. “La gente sa solo che c’è un nemico sfuggente che si

Militari pachistani durante un’operazione contro i Taliban (FOTO ANSA)

aggira per il Paese e che è in grado di colpire a suo piacimento”. Ayesha Siddiqa, analista del ministero della Difesa, sostiene che la tattica adottata dai Taliban potrebbe complicare l’azione del Pakistan contro il terrorismo. “Per il momento la maggior parte dei pachistani vuole che il governo agisca contro i militanti, ma il moltiplicarsi

La raffica di attentati in risposta all’offensiva militare al confine con l’Afghanistan

bero convincere l’opinione pubblica pachistana a mettere in discussione l’utilità delle operazioni militari contro i Taliban. È anche vero però che la paura potrebbe trasformarsi in una forza positiva. Secondo Ayesha Siddiqa il terrore che i Taliban stanno seminando tra la popolazione finirà per alienare le simpatie delle comunità nelle quali operano. “Più civili muoiono, più persone comuni collaboreranno con le for-

ze di sicurezza per localizzare i nascondigli dei Taliban e smantellare le loro reti”, aggiunge Ayesha Siddiqa. “Senza il sostegno popolare la guerriglia è come un pesce fuor d’acqua”. Sul lungo periodo, gli attentati indiscriminati contro i civili sono una strategia perdente, conclude la signora Siddiqa. Copyright Dpa/Adnkronos Traduzione di Carlo Antonio Biscotto

Kabul

ABDULLAH: PRONTO A BOICOTTARE IL VOTO

degli attentati finirà con ogni probabilità per dividere l’opinione pubblica, in special modo se alcuni media continueranno a sostenere che gli attentati sono il prezzo che dobbiamo pagare per l’alleanza tra Pakistan e Stati Uniti”, dice la signora Siddiqa. Morti e devastazioni potreb-

I grandi fratelli che minacciano la Rete

Abdullah intende boicottare il ballottaggio per le presidenziali di sabato e non sfidare Karzai. Oggi la decisione definitiva. Per la Clinton si tratta solo di una “scelta personale” che non delegittimerà le elezioni.

Nuove regole europee limiteranno il libero accesso del web di Andrea

Cairola

n giorno il vostro provider Internet poUblogtrebbe impedirvi di consultare il vostro preferito, o di usare software di telefonia via Internet come Skype. O immaginate che vi notifichino che non potere più accedere alla Rete, come rimanere senza patente dopo una serie di violazioni del codice della strada. È quello che potrebbe capitare a breve se il “Pacchetto telecom” sarà approvato dall’Ue così come di recente modificato su pressione della potente lobby delle compagnie telefoniche. Il Pacchetto è l’insieme di regolamenti sull’industria europea delle telecomunicazioni e dell’accesso a Internet via Adsl e rete mobile, che secondo gli

Il “Pacchetto telecom” è stato modellato sotto le pressioni della lobby delle compagnie telefoniche

attivisti sarà la Caporetto della libertà della Rete, almeno così come l’abbiamo conosciuta. I principi in ballo sono due e interrelati: la neutralità della Rete e il diritto diaccesso a Internet. La “Net Neutrality” è la neutralità dell’infrastruttura rispetto ai contenuti che vi transitano. Significa accesso allo stesso Internet per tutti gli utenti: i provider e gli altri operatori della Rete non possono discriminare sui contenuti o interferire con la navigazione degli internauti, così come al telefono non c’è un filtro su quello che si può dire. Oggi in Italia un internauta può accedere con uguale facilità al sito del grande media mainstream, così come alle pagine del blogger semisconosciuto. Nel futuro un fornitore non neutrale potrebbe invece, per ragioni commerciali (o altre convenienze, per esempio politiche), velocizzare l’accesso ai siti “amici” e rallentare l’accesso a quelli non graditi. E nell’era dell’Internet multimediale e della banda larga, rallentare equivale a filtrare e oscurare. Se non c’è neutralità della rete, un Internet a due velocità sarebbe come un’autostrada dove le macchine di un certo costruttore che ha pagato viaggino ai 130 nella corsia di sorpasso mentre tutti gli altri debbano rima-

nere nella prima corsia ai 50 all’ora. Altro principio in ballo è l’accesso a Internet, da considerarsi un diritto fondamentale così come il diritto all’informazione in generale. Provvedimenti (come la legge Hadopi in Francia) che vietino l’accesso a chi ha commesso violazioni, sarebbero come dire a chi ha fotocopiato illegalmente un libro protetto da copyright che non può più usare le mani per sei mesi. Decisioni ancora più discutibili se imposte senza l'intervento di un giudice. Torniamo all'elaborazione a Bruxelles del “Pacchetto telecom”, ormai alle battute finali dopo oltre due anni di accese discussioni. La prima bozza è stata preparata dalla Commissione europea e, secondo gli attivisti pro libertà della Rete, risentiva chiaramente della pressione delle lobby delle compagnie telefoniche e non faceva riferimento ai principi fondamentali della neutralità della rete e dell’accesso a Internet. A questo punto, nel tortuoso meccanismo delle decisioni Ue, è intervenuto il Parlamento europeo che la scorsa primavera ha votato a stragrande maggioranza (88 per cento) per l’inclusione di una modifica al testo che riconoscerebbe le libertà fondamentali anche su Internet. Ma il Parlamento europeo conta poco: ai

rappresentanti del Parlamento tocca poi difendere l’emendamento con il Consiglio (ovvero i governi dell’Ue). E la settimana scorsa il testo che tutelava le libertà fondamentali degli internauti è saltato durante le trattative. Nel blog Scambioetico.org Paolo Brini denuncia:“l’istituzione di una giustizia” parallela indipendente dalla magistratura” che colpirebbe i cittadini “sulla base di semplici sospetti”. Brini spiega che giovedì prossimo è prevista la riunione dei delegati parlamentari con i rappresentanti del Consiglio: se ci sarà accordo sul testo senza i diritti fondamentali la frittata sarà fatta. Reporter senza frontiere definisce come “incomprensibile” il comportamento delle istituzioni europee. Negli Usa la questione della neutralità della Rete era esplosa nel 2006 quando i fornitori di Internet cercarono di farsi assimilare a chi offre la tv via cavo. Migliaia di cittadini-internauti del movimento “Salvare Internet” protestarono a Washington davanti al Congresso. Dopo anni di battaglie tra la lobby degli Internet provider e i rappresentanti dei fornitori dei contenuti e dei cittadini, il principio di neutralità della rete è ora una bozza di legge che si prevede sarà approvata a breve.


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DAL MONDO

Amori e dolori degli Obama’s ABBIAMO DIFETTI, COME L’AMERICA

Michelle e Barack sul prato della Casa Bianca. Sotto, Massimo D’Alema (FOTO ANSA) di Angela Vitaliano New York

i ho sposato perché eri carino e intelligente, ma questa è sicuramente la cosa più stupida che potessi chiedermi”. Michelle Robinson Obama, quattordici anni fa, non nascose il suo disappunto per l’idea del marito, Barack, di correre per il Senato degli Stati Uniti. Oggi, seduti nello studio Ovale della Casa Bianca, alla vigilia del primo anniversario dell’elezione che li ha portati a Pennsylvania Avenue, gli Obama si raccontano al New York Times magazine riper-

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correndo le fasi del loro matrimonio. Sì perché la first couple, ha attraversato, come tutte le coppie ‘vere’, momenti di crisi che ne hanno messo a dura prova la stabilità. “Questa è la prima volta in un lungo periodo di tempo - dice Michelle - che viviamo 7 giorni a settimana nella stessa casa, con la stessa agenda e gli stessi rituali’”. Fino allo scorso novembre, dal 1996, gli Obama non avevano condiviso lo stesso tetto per più di tre giorni a settimana, per gli impegni di Barack, completamente assorbito dalla politica. “Questa nuova condizione - aggiunge Michelle - è per me mo-

tivo di grande sollievo”. Uno dei momenti di maggiore difficoltà del loro matrimonio coincise, infatti, con la nascita di Malia e Sasha e con l’amara sorpresa, per Michelle, di trovarsi a vivere come una mamma single, costretta a lavorare per contribuire al bilancio familiare. “Una volta chiamai Michelle da Washington per raccontarle una proposta di legge che avevo presentato al Senato ma lei m’interruppe per informarmi che in casa c’era un’invasione di formiche e che, tornando, dovevo fermarmi a comprare delle trappole perchè lei era impegnata ad accompagnare le bambine dal medico. Le

dissi di sì. Ma, riagganciando, mi chiesi se Kennedy o McCain avessero mai dovuto occuparsi di formiche”. Con quest’episodio, raccontato nel libro L’audacia della speranza, il futuro presidente degli Stati Uniti, offre l’immagine di una famiglia simile a tante altre. “Non ho mai pensato - chiarisce Obama nell’intervista - che il nostro matrimonio potesse finire ma mi sono chiesto spesso se Michelle fosse felice”. Certo a vederli oggi non ci sono dubbi e non si fatica a credere che, alla Casa Bianca, possa capitare di girare l’angolo e coglierli a scambiarsi affettuosità. E si comprende anche perchè la rituale ‘uscita’ del venerdi, iniziata come un rimedio anticrisi, sia diventata uno dei momenti più glamour della loro relazione. “Non vogliamo dare l’immagine di una coppia perfetta - dice Michelle - è importante che chi mette su famiglia sia consapevole delle difficoltà che esistono”. Le relazioni durature, dati alla mano, sono infatti sempre meno frequenti in Usa, condizionate da fattori esterni che ne hanno cambiato completamente la struttura. La monogamia, ad esempio, elemento basilare della favola del ‘vissero felici e contenti’, secondo un’indagine della Cnn, sarebbe ormai “poco realistica”. E non bisogna credere che valga solo per i Vip, da sempre sulle copertine per le loro distrazioni sentimentali: la scappatella è sempre più diffusa

fra le coppie comuni. Se è vero che europei e americani detestino in egual misura il tradimento, ma che i primi lo tollerino meglio, c’e’ da aspettarsi che almeno su questo punto il vecchio continente conquisti una leadership. A favore delle unioni stabili, tuttavia, gioca un ruolo fondamentale proprio la crisi economica che spinge molti a restare insieme per sentirsi meno spaventati di fronte all’incertezza del futuro. La coppia diventa così una sorta di salvagente a cui aggrapparsi nella tempesta dei licenziamenti e di una recessione che sembra non finire mai. Fra l’altro, il ‘dating’ costa e non tutti possono permettersi di offrire una cena e un teatro, come solitamente si fa al primo appuntamento. Tant’è che New York, capitale dorata per i single di tutto il mondo, ha perso recentemente il suo primato proprio a favore di Washington dove, invece, la carriera resta la priorità assoluta. Obama a parte, ovviamente.

“Lo Stato e la Chiesa criticano chi abortisce ma ignorano le famiglie con i nostri problemi”

UNIONE EUROPEA

UNA PARTITA POLITICA E DIPLOMATICA A INCASTRI DI PD E PDL PER D’ALEMA MISTER PESC di Alessandro Cisilin

e Stefano Ferrante a partita ha più incastri del cubo di Rubik, così dopo lo scambio di cortesie bipartisan, l’orgoglio e la gratitudine del candidato alla carica di ministro degli esteri europeo, l’esibizione di fairplay del governo, è il tempo della prudenza. Il primo a chiederne è lo stesso Massimo D’Alema: “Non ho detto che sono ottimista, né che me ne sto per andare. È una questione delicata, difficile. Spero non venga rovinata da noi, perché noi siamo capaci di rovinare tutto… – dice l’ex-premier – ci sono molti candidati , anche autorevoli saranno giornate complicate”. A preoccupare D’Alema è il ritorno del fantasma dell’inciucio, dell’asse con Silvio Berlusconi, di scambi inconfessabili, che rischia di gettare ombre e discredito su un’operazione che si gioca tutta su un piano istituzionale, più a Bruxelles che a Roma. D’Alema lo ha voluto ribadire subito: “Non è una questione tra me e Berlusconi”. E per ora il coro è stato – con l’eccezione di Marco Pannella, che grida al regime – di unanime sostegno. Il governo assicura supporto alla candidatura di D’Alema,

L

Fassino spinge, tifo dei bersaniani, che si libererebbero di un’ombra ingombrante

ma se l’ex ministro degli esteri diven- reign Office, David Miliband. Il mantasse “Mister Pesc”, con i poteri raffor- dato esplorativo, per capire - prima del zati previsti dal Trattato di Lisbona e il vertice europeo straordinario del 12 rango di vicepresidente della commis- novembre - chi dei due ha più chance, sione europea, sarebbe necessario il è stato affidato al cancelliere austriaco sacrificio di Tajani, commissario con socialdemocratico Faymann, in tanMassimo D’Alema (F ) delega ai trasporti. Gianni Letta è al la- dem con il premier spagnolo Zapatevoro: vuole evitare che dal centrode- ro. Fassino li incontrerà. Per l’ex segrestra possano levarsi distinguo e criti- tario Ds – cui non dispiacerebbe il ruo- dice Bersani – sarebbe strabiliante se il che a una candidatura che a Bruxelles lo di capogruppo a Montecitorio - si governo italiano non si mettesse d’acporta il timbro di Palazzo Chigi. Ai le- tratta di una partita importante anche cordo, perché naturalmente per l’Itaghisti e ai perplessi del Pdl Letta ha in chiave tutta italiana, l’occasione di lia sarebbe una cosa di grandissimo spiegato che l’operazione non può riguadagnarsi un posto al sole, di dimo- prestigio”. Perché sotto-sotto cova il non avere un effetto distensivo sui rap- strare che anche la minoranza interna dubbio che Palazzo Chigi non faccia porti tra maggioranza e opposizione, del Pd fa gioco di squadra. Per D’Alema sul serio. Se D’Alema diventasse minifanno tifo da stadio i bersaniani: se va a stro degli Esteri europeo infatti vedere soprattutto in vista delle riforme. La diplomazia del Pd invece sta giocan- Bruxelles l’ombra ingombrante del lì- Mario Draghi alla guida della Bce sarebdo la sua partita tutta a Bruxelles. Nella der Massimo si allontanerà dal neo-se- be quasi impossibile. E anche il Cavaspartizione delle due cariche della Ue gretario: “Bisogna vedere come si liere deve affrancarsi da un’ombra: in ballo infatti la presidenza del Con- muovono le cose a livello europeo, quella delle temute aspirazioni politisiglio europeo (che durerà due anni e perché la cosa non è certo conclusa – che tutte italiane del governatore. mezzo) spetta ai Popolari, il ruolo di “ministro degli esteri euBUONE NOTIZIE a cura della redazione di Cacao ropeo” ai Socialisti e democratici. È stato Piero Fassino a spendersi perché il nome Hai freddo? Prendi una caraffa d’acqua, ci urli lata dal punto di vista acustico, gli ultradi D’Alema fosse ai suoni non sono udibili dalle umane orecdentro e la scaldi! primi posti tra i papachie ma, se non ci fosse un isolamento Non funziona proprio così ma quasi. bili. D’Alema è consiNell’acqua gli ultrasuoni provocano la forma- adeguato, alla lunga creerebbero disagi. derato candidato auzione di microscopiche bolle di vuoto che Il risultato è una caldaia che consuma metorevole ed esperto, implodono producendo calore. La cavitazio- no di una caldaia a gas e non richiede tubi soprattutto per il ruone è un fenomeno noto da oltre un secolo ma per le esalazioni perché non c’è fiamma. lo svolto, ai tempi delpoco utilizzato. Il New York Times ha de- Inoltre queste caldaie non richiedono un la Farnesina, durante dicato una pagina all’argomento, definendo locale apposito né delle misure di sicula crisi libanese, ma la cavitazione una risorsa ma sono ancora po- rezza delle caldaie a combustibile. c’è un altro aspirante Niente fuoco, solo una voce potente. chissime le sue applicazioni. che giornali come FiL’italiana Kwant produce una caldaia che (di Simone Canova, Maria Cristina Dal nancial Times o Le Figaro sfrutta la cavitazione. Ovviamente è ben iso- Bosco, Gabriella Canova e Jacopo Fo) danno in pole position, quello del britannico, titolare del FoOTO ANSA

TECNOLOGIE INCREDIBILI: CALORE DAGLI SCHIAMAZZI

N GRAN BRETAGNA

Oxford: sì al burqa all’università

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università di Oxford ha concesso alle studentesse di fede islamica di indossare il velo o anche il burqa sotto la feluca durante le cerimonie di laurea: “Diamo il permesso di indossare il burqa integrale se la studentessa l’ha indossato quotidianamente”, ha affermato un portavoce.

DARFUR

Massacro di donne e bambini

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lmeno 20 persone, tra le quali 6 bambini e 5 donne, della tribù Burgud sono rimaste uccise negli scontri con i rivali Zaghwa nel nord Darfur. Almeno 39 i feriti. Lo ha reso noto il portavoce della forza mista di pace (Onu-Unione africana) nel Paese, Noureddine Mezne.

IRAN

Arrestato il contestatore

S

econdo quanto riporta un blog dell’opposizione iraniana, rilanciato dal sito iranian.com, lo studente universitario ventenne Mahmud Vahid Nia che aveva contestato mercoledì in pubblico l’ayatollah Kamenei, Guida Suprema del paese, è stato arrestato.

FRANCIA

Nuovo sequestri sul lavoro

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roseguono in Francia i ‘sequestri’ sul posto di lavoro. Un imprenditore di 45 anni è stato rapito da quattro dipendenti ai quali doveva, pare, circa cento mila euro. Succede a Thonon-les-Bains, nella regione della Haute-Savoie. In poche ore i poliziotti hanno localizzato il luogo in cui l’imprenditore era tenuto. I rapitori sono stati arrestati.

CARCERI

Il Belgio affitta le celle olandesi

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arceri sovraffollate in Belgio. E per ovviare alla mancanza di prigioni, chiede in affitto le celle all’Olanda. Grazie a un accordo tra i due paesi, il penitenziario di Tilburg, nel sud dell’Olanda, accoglierà parte dei detenuti del paese confinante. In tutto si tratta di 500 detenuti per un periodo di tre anni.


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Domenica 1 novembre 2009

SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out

CINEMA

L’ultima battaglia di Michael il sovversivo

Naomi “Le modelle verranno studiate nei libri di storia”

Suggestioni Il nipote di Senna, Bruno, dal 2010 In Formula 1,

Corrida In Spagna si vota per la sua eliminazione definitiva

Minacce Clima teso per la Roma: bomba carta esplode a Trigoria

Da venerdi scorso nella sale la recente fatica del documentarista Moore: un duro atto d’accusa contro la moderna religione del capitalismo

di Federico Pontiggia

brica alle case sequestrate dalle banche, e realizzare una cronologia critica della crisi: documentario poco creativo forse, sicuramente utile, se non necessario.

I

l popolo americano ha una grande forza di volontà: nel corso degli anni, abbiamo dimostrato di saper fare l'impossibile, abbiamo uno spirito da Superman, mandiamo uomini sulla Luna, portiamo un afroamericano alla Casa Bianca, pur vivendo in un Paese dove ancora oggi il razzismo prevale. Voi riuscireste ad immaginare un Presidente del Consiglio cittadino italiano, ma di sangue etiope?... Berlusconi? Non è possibile che chiunque incontri mi dica di non averlo votato… Capisco che l'argomento sia imbarazzante, e anche perché molti di voi mi chiedano di venire in Italia a fare un documentario: purtroppo non ho il tempo, ma per fortuna a parlare di queste cose ci pensano già Benigni e Sabina Guzzanti". Parola di Michael Moore, nelle nostre sale con Capitalism: A Love Story, il suo nuovo documentario che prende di mira la crisi finanziaria che dagli Stati Uniti ha contagiato il resto del mondo. In patria, dove è uscito il 23 settembre (a ridosso dell’anteprima mondiale alla Mostra di Venezia), Capitalism non ha fatto sfaceli: 13 milioni e 290mila dollari, risultato inferiore nella sua filmografia a Bowling for Columbine, pamphlet contro le armi che negli States incassò l’Oscar e 21 milioni e mezzo di dollari nel 2002, e Sicko, overview critica del sistema sanitario stelle & strisce attestatasi sui 24 e mezzo nel 2007, e distante anni luce dal blockbuster di Moore, il “terroristico” Fahrenheit 9/11, che tra New Mexico e Alaska realizzò quasi 120 milioni di dollari nel 2004. Dato interessante, questo del box office di Capitalism, perché, in sintonia con i soli 4 milioni totalizzati da Enron: The Smartest Guys in

la politica ha il suo peOsuravvio, so, come altrimenti? Chiu- in campo lungo - di un

Michael Moore davanti a Wall Street (FOTO FILM)

the Room diretto da Alex Gibney nel 2005 e i 2 scarsi di The Corporation, regia a quattro mani di Mark Achbar e Jennifer Abbott (2004), testimonia l’allergia del pubblico americano per il travaso su grande schermo delle proprie disgrazie economico-finanziarie: meglio ambiente ed ecologia (An Inconvenient Truth con Al Gore, che ha messo da parte 24 milioni) o un fazioso e gustoso backstage dell’11 settembre (la Palma d’Oro Fahrenheit) piuttosto che mettere sul banco degli imputati Wall Street, Tesoro and company. Che se la crisi ce l’hai in casa, il colpevole o lo conosci già o te ne freghi: che ti cambia sapere chi è, se comunque – e Moore lo (di)mostra bene - ti è impossibile perseguirlo. Ancora, chi te lo fa fare di pagare il biglietto per capire perché i soldi non li hai più? Riserve e problemi, di cui Moore è perfettamente consapevole, tanto da impugnare la spada piuttosto che il fioretto nell’attacco al neocapitalismo e alla storia d’amore tra capitale e Stati Uniti: “Capisco che per voi europei l'analisi del capitalismo che propongo può sembrare semplicistica – sottolinea il regista - ma era l'unico modo che avevo per arrivare al popolo americano, soprattutto quando si parla del piano di salvataggio di Wall Street, qualcosa che dovrebbero capire anche i bambini di undici anni.

E comunque ritengo sia utile anche per voi sapere come vedo gli Stati Uniti, perché quello che succede lì ha conseguenze a livello planetario".Sebbene l’esito al botteghino americano segnali qualche (im)prevista difficoltà nel fare proseliti anticapitalistici, sullo schermo Moore fa di tutto per tenerci incollati alle poltroncine, saltando tra presa diretta e materiale di repertorio, passando dalla Luna a Roosevelt, dai subprime ai derivati (con sequenze esilaranti di professori ed economisti babbei ), dagli scioperi in fab-

cerchio aperto nel 1988 da Roger & Me, quando l’ex giornalista Moore tornato nella natale Flint, Michigan, a metà degli anni '80 trovò che il presidente della General Motors, Roger Smith, aveva chiuso la grande fabbrica di automobili licenziando 35.000 persone su 150.000 abitanti, Capitalism sferra l’attacco a corporation e banche d’affari, ma non dimentica naturalmente le alte sfere del potere politico, sia repubblicano che democratico: "E’ divertente: in passato i deputati, quando mi vedevano, scappavano - ride Moore ora sembra quasi mi vengano a cercare: questo è il primo effetto del cambiamento portato da Obama, ma spero che, dopo aver visto il film, alcuni di questi politici ricomincino a scappare". Celeberrimo oppositore del governo Bush sin dalla prima ora, Moore si è schierato pubblicamente al fianco di Barack Obama, dandogli il proprio voto ma non lesinando distinguo e punzecchiature, ovvero rivelando come il nemico pubblico N. 1, la banca d’affari Goldman Sachs, sia stato il primo finanziatore privato della campagna elet-

UFFICIO RÉCLAME

torale del leader democratico con circa un milione di dollari (cfr. il sito premio Pulitzer politifact.com; nell’anteprima al Lido Moore parlava addirittura di 17 milioni, dato che poi ha corretto in conferenza stampa): "Gli hanno dato un milione, ed è giusto che tutti lo sappiano. E voglio che anche Obama sappia che ne siamo al corrente, perché il fatto di averlo eletto non esclude la nostra volontà di osservare da vicino tutto quello che farà". passione politica e paUchenatriottica, quella di Moore, a volta trascende nello sciovinismo, seppur retrospettivamente: ottusa e pretenziosa nel film l'asserzione che la Costituzione italiana, ma pure la tedesca e la giapponese, sia così civilmente illuminata perché output diret-

LETTERE Fiorella Mannoia scrive a Fini arta e penna e al posto di una canzone, una lettera. FioCfranco rella Mannoia scrive al Presidente della Camera GianFini. Una missiva aperta, pubblicata da Micromega.net e tratta da Ambasciata teatrale.com, in cui una delle voci più armoniose della musica italiana, concede un’apertura di credito all’avversario di un tempo: “Alcune sue dichiarazioni mi sorprendono, mi pare di trovare in lei quel buon senso di cui abbiamo così tanto bisogno, i suoi interventi spesso lasciano trasparire una volontà di dialogo, un’apertura su temi che ci hanno visti contrapposti”. In chiusura, l’invito a lasciare il Pdl e a fondare un nuovo partito conservatore: “Le daremmo il benvenuto”, la chiosa.

di Roberto Corradi

IL RATTO DELLE SUINE n topo di 30 centimetri che ci fissa con intenzione, se proprio deve far pensare a una malattia non farà venire in mente l’influenza quanto la leptospirosi. Eppure al Ministero della Salute si sono persuasi che Topo Gigio fosse il veicolo migliore per divulgare energiche ovvietà. Non se l’è sentita nemmeno Peppino Mazzullo, la storica voce del pupazzo dello Zecchino d’oro, di doppiare il Topo e così un anonimo imitatore in cinque punti cinque, fa proclamare al ratto di gommapiuma dogmi per dissuadere l’ecumene da comportamenti altrimenti spontanei come 1) il non lavarsi le mani, 2) l’essere sicuri di averle perfettamente lerce

U

to, alla fine della II Guerra Mondiale, dei collaboratori di Roosevelt, che se non fosse morto avrebbe dotato gli Usa di "analoga" carta dei diritti. In fondo, poco importa perché Moore è l’America: ha portato il documentario allo status bigger than life, che a Hollywood era riservato solo alla fiction più ambiziosa, e ha fatto del gigantismo d’indagine, argomentazione e faziosità un punto di non ritorno per la documentazione di origine controllata. A che prezzo? Tanta stanchezza e un po’ di solitudine: “Faccio questi film da 20 anni. Sono un essere umano, e sono stanco. Soprattutto di non vedere risultati positivi immediati. Non può essere tutto sulle mie spalle, Non posso e non voglio bruciarmi, soprattutto non da solo”.

quando ci si esplora le vie respiratorie, 3) avere cura di tossire, starnutire o sputare senza coprirsi in alcun modo e solo quando perfettamente sicuri che qualcuno sia in traiettoria, 4) sigillare le finestre per garantirsi un ambiente veramente fetente, 5) uscire a diffondere debolezza, tristezza e bacilli quando gravati da malattie da raffreddamento o peggio. Per quest’ultimo punto basterebbe la teoria dell’untore di manzoniana memoria ma sorvoliamo. Ci limitiamo a esultare per il finale della pubblicità: l’influenza A è una normale influenza? Tiriamo un sospiro di sollievo. A sentire lo spot c’erano venuti dei dubbi!


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SECONDO TEMPO

PR O SPETTIVE /ALLENAT ORI

TIRI MANCINI

Roberto, l’eterna promessa, punta a Madrid All’ombra del Prado, “cremina” cerca l’Eden di Malcom Pagani

o chiamavano “cremina”. Una pozione per ogni centimetro di pelle. Boccette magiche per allontanare lo spettro dell’età. Capelli, occhi, corpo. Invecchiare, brutt’affare. Finita la partita, tra i vapori dello spogliatoio, Roberto Mancini si tratteneva. Spalmava maniacalmente preziosi ritrovati d’erboristeria, poi usciva per ultimo. Alle prime avvisaglie di decadenza, si operò alle borse degli occhi. Troppo nere, segnate e profonde per brillare congruamente alla luce delle telecamere. Beppe Favalli, il mite soldato che con Mancio aveva un rapporto di fedeltà e amicizia, scorgendo il gonfiore sospetto, azzardò una battuta: “Oh Mancio, ti hanno preso a schiaffi?” Dorian Gray deglutì, si girò dall'altra parte e non lo convocò per due partite. Spiritoso, Mancini non è mai stato. Roberto mastica. La gomma, come la vita. A bocca aperta e polemica spalancata. Litiga, puntualizza, polemizza, epura. “É un bambino viziato”, disse di lui il portiere Fontana, messo ai margini senza un perchè. Diverbi del passato. “Cremina” oggi riprende il volo. I soldi non sono un problema. Dopo la cattività interista, risolto finalmente il pazzo contratto con l’unica squadra al mondo capace di prolungare ad ogni successo del sostituto Mourinho, (grazie a una clausola) di un anno in più la permanenza del vecchio tecni-

L

PALLONATE diPippo Russo

co, Roberto punta altrove. Chiffon, seta, lana merinos. A Madrid avrà modo di riannodare sciarpa e interessi. E dall’altra parte, se non dovessero gradire il cambio di prospettiva, ritmeranno una pañuelada dalla tribuna alla curva. Quando si protesta per la modesta qualità dello spettacolo, e l’estetica, in Spagna, è importante come la religione, si sventolano fazzoletti bianchi. Tutti insieme, da un momento all’altro. E’ una vita che Roberto Mancini è abituato alle bandiere. Al vento che in un istante, determina i destini. Ragazzo prodigio, calciatore fenomenale, allenatore rivoluzionario.Prima degli altri, sempre. Ora c’è la terra che (compli-

ce un’infausta nottata a Villareal) gli costò la rottura con Moratti. La libertà. Il respiro. Quel gruppo di pulcini spaventati. Uno stuolo di figurine da collezione. I migliori, i più costosi. Ronaldo, Benzema, Kakà. L’allenatore indicava la dispensa e Florentino Perez, tra un’ elezione e una battaglia con Calderòn, passava alla cassa. Così da un decennio, con accentuazione della malattia, la scorsa estate. Un nuovo coach, Pellegrini, il mercato affrontato con la boria del ricco parvenù. Così i clamori si alternavano al caldo e sulle rotte più varie (Milano, Madrid, Manchester, Rio De Janeiro) viaggiavano sogni con scudo fiscale sulla moralità. Tanto incatenate al mito di se stesse da aver dimenticato anche i fondamentali, le stelle del circo hanno smarrito la loro costellazione. La dignità, mercoledì scorso, nelle brume di un campo di terza serie, sepolta da un punteggio ridicolo. Quattro a zero. Il Real amato da Javier Marìas, quello di Puskas ma anche di Butragueno, non lo avrebbe mai tollerato. Ultima stazione Alcorcòn, dove lo stadio è meno di un’idea, i calciatori prendono 1.200 euro al mese e i pochi presenti, al pari del rivale del Barcellona Lionel Messi, facevano: “Fatica a crederci”. Ecco, Mancini capiterebbe nel luogo in cui la storia si fonde con la favola. Le fiabe sono cattive. Presentano un monRoberto Mancini in bilico tra Madrid e Liverpool e sotto, Ivano Bordon visto da Fucecchi (FOTO ANSA)

do in cui per gli ingenui, la fine è nota. Dopo quasi diciotto mesi di inattività, bagni di sole a Porto Cervo, interviste annoiate e sedentarietà precoce, anche il ciuffo si è ingrigito. Roberto lo teneva a portata di braccio. Quello cadeva e lui lo riaggiustava. A Madrid non ci sarà tempo. Per rialzarsi, andranno eliminati gli specchi. Per risalire dalla verguenza che non ha bisogno di traduzione ma si è tatuata come un inestinguibile peccato sulla faccia triste di una tradizione cui la fama non basta più per sorreggersi, servirà umiltà. Roberto, ad occhio e croce, non l’ha mai posseduta. Conosce la serie A a 16 anni. Suo padre Aldo, falegname, lo guarda dall’alto. Bologna-Sampdoria. L’origine e il punto di svolta. Dodici settembre 1981. Muore Eugenio Montale e nasce un campione. Nelle anticamere illuminate dal genio, Mancini ha fatto mostra di sé fino alla nausea. Lui con i calzini abbassati e gli altri fermi davanti ai vetri luccicanti. Una poesia. Colpi di tacco, dribbling, qualche vetro spaccato. Nel Bologna del folkloristico Fabbretti e del brasiliano Eneas, che piange dal freddo e sotto la maglietta, indossa la Gibaud, il ragazzino segna nove gol. Da minorenne assiste non senza turbamenti alle preghiere di una città ai suoi piedi. La famiglia lontana, la corte sfrenata di mezzo campionato. Si incendia un’asta. Roberto emigra a Genova. Tredici anni. L’amore e in fondo alla passione, l’odio. Mancio avrebbe spostato il baricentro delle emozioni per collocarle a Torino, all’ombra degli Agnelli. Paolo Mantovani lo convinse al no.

Con Vialli, prima di una separazione dolorosa, da film di Irons, prolungò la fama oltre confine. Fino alla Corea del Nord, dove mancavano riso e infrastrutture ma il Ministro delle Telecomunicazioni del regime, fece stampare una serie di francobolli nostalgica. Pari, Vierchowod, Mannini e in fondo Bobby gol. enza litigare, Mancini non saSallenatori, peva vivere. Direttori di gara, presidenti, difensori. Veniva strattonato e prima che la notte inseguisse il giorno, si bloccava. Mossa teatrale, trovata da primattore. Con l’arbitro Cinciripini di Ascoli, a Udine, nel ‘92, ebbe quasi uno scontro fisi-

Vanitoso, collerico, vendicativo: l’ex tecnico dell’Inter lanciato alla conquista dei blancos co. Era una di quelle domeniche in cui Roberto eleggeva un binario preferenziale con Dio. Sguardo in alto, moccoli senza soluzione di continuità. Dialogo a due. “Eriksonn, sostituiscimi, altrimenti mando a fare in culo Cinciripini e mi faccio cacciare”. Rigore negato, parole eccessive, desiderio esaudito, espulsione. Mancini prova a uscire, poi torna indietro: “Adesso vado in sala stampa e ti massacro”. Un mese di squalifica, querele reciproche, nessun pentimento. Se Brera dubitava del valore effettivo del 10: “Come punta non entra e come mezza punta non difende”, altri si strinsero al suo talento. Mezza squadra con lui, l’altra mezza a tramare per il re-

MORATTI, L’UOMO CHE NON SI TIRA MAI INDIETRO E RISPONDE ANCHE ALLE DOMANDE IDIOTE

S

e c’è da parlare di calcio, Massimo Moratti non si tira mai indietro. Non glissa, non elude i giornalisti, risponde anche alle domande più idiote. Figurarsi se c’è da parlare di una nuova filosofia economica e gestionale adottata dal suo club. È quanto accaduto nell’edizione della Gazzetta dello Sport andata in edicola il 28 ottobre. Intervistato da Antonello Capone, Moratti ha spiegato come procederanno d’ora innanzi le cose in casa nerazzurra per ciò che

L’AULISMO DI BONETTO E LE STRANE “ESCLUSIVE” riguarda il trattamento economico dei calciatori: una base d’ingaggio ridotta e premi legati agli obiettivi da raggiungere. Praticamente, il primo passo verso un risanamento che non riguarderebbe soltanto il club nerazzurro, ma l’intero calcio italiano. È questo il senso dello scambio che concludeva l’intervista. Con Capone che ha domandato: “Allora non è un caso che proprio il suo amministratore delegato, Ernesto Paolillo, sia stato nominato nel consiglio di Lega a capo della commissione per il fair play finanziario e il risanamento del calcio”.

E Moratti che ha risposto: “Appunto. Nell’Inter e nel sistema tutti lavoreremo concretamente per un calcio sostenibile. Con la collaborazione di tecnici, calciatori, governo, parlamento, regioni e comuni. E tifosi. Alla fine tutto gira attorno a loro. E per loro”. Un esempio per tutto il movimento, fuor d’ogni dubbio. E ciò a dispetto di quanto veniva riportato in passaggio precedente della stessa intervista, laddove si metteva in evidenza che il club nerazzurro ha dovuto ripianare una perdita di 154,4 milioni maturata nell’ultimo anno, dopo averne versati 148 l’anno precedente. Questo sì che è fair play finanziario. Ciò che fa di Paolillo l’uomo giusto al posto giusto. Sempre il 28 ottobre, su Tuttosport, Marco Bonetto ha scritto un ispiratissimo articolo su Angelo Ogbonna, difensore del Torino. L’incipit era addirittura lirico: “Ogbonna, come tutti i giovani, ama volare. Tranne quando, con l’auto, cadde dal ponte nel torrente Sangone, in un’alba nebbiosa, dopo una notte di divertimento e un guard-rail divelto nella corsa: inverno scorso. Ama librarsi col pensiero. Ma qui il fotogramma è estivo, quando la retrocessione lo portò a sperare di levar le tende. Come tanti giovani ha

l’ambizione che lo morde dentro, è bruciato dalla smania di stagliarsi tagliando pure cordoni ombelicali: a 21 anni per il compleanno si è regalato un procuratore nuovo, più potente”. Poco più avanti si leggeva: “Non è facile, a 21 anni, imparare anche la virtù di chi sale le scale soppesando la fatica ad ogni gradino: non significa non arrivare in cima, significa arrivarci al momento giusto, con la testa matura e non annebbiata dal fiatone che ti può dare una certa inclinazione a smarrire il senso della realtà”. A giudicare dal senso della realtà di Bonetto nello scrivere l’articolo, quel giorno l’ascensore del suo condominio doveva essere fuori servizio. Nella stessa edizione del quotidiano torinese, a pagina 20, un’intervista con Mike D’Antoni realizzata da Piero Guerrini, avente come tema l’avvio della NBA, veniva presentata come esclusiva. Stesso giorno, Gazzetta dello Sport, pagina 31: intervista con Mike D’Antoni sull’inizio della NBA realizzata da Massimo Lopes Pegna. Esclusiva pure quella? pallonate@yahoo.it

gicidio. Riva lo adottò in nazionale, con la quale Mancini ebbe un rapporto tormentato fin dal princìpio. Enzo Bearzot lo aveva convocato per una tourneè americana. New York, le luci, i locali. Mancini uscì di sera e rientrò all’alba. Dalla strada, fece in tempo a vedere il fumo della pipa. L’igienismo made in Usa non aveva ancora intrappolato le coscienze. E il vècio aspirava in piedi. “Bearzot diventò una bestia. Me la fece giustamente pagare”. Mancini non ignora il senso della gerarchia. Con gli allenatori anziani si intendeva a sprazzi. Con Capello, di cui forse erediterà il timone che dalle parti del Prado, il friulano seppe tenere senza indugi, le tensioni erano latenti. “Sei un maleducato e un presuntuoso”, con Fabio laconico: “In quanto a maleducazione dovresti tacere”. Dialogo civile con Boskov ed Eriksonn, pessimo con Bersellini . “Non parlavamo mai. Ma invece di reagire da uomo, mi allenavo con sufficienza. Avevo l’aria del primo della classe”, tragico con Azeglio Vicini che Mancini bollò come incompetente e cieco. Con i suoi coetanei, esperienze contrastanti. Dissidi con Eugenio Corini e Dossena, rancori con il fratello di Inzaghi. il Muro di Berlino con Simone si allungò ben oltre gli undici metri di Lazio-Reggina, campionato 2000-2001. Roberto aveva appena smesso di giocare. Primi passi al di là delle linee, in panchina. Insofferenza. E quello con il fratello famoso che parte, prende il pallone, ignora Crespo, lo strattona, tiene stretto il trofeo e non lo cede. L’altro, l’ex capitano, è in giacca. Lontano. Si sbraccia, urla, si incazza, agita il braccio, minaccia vendetta. Vorrebbe saltare in campo ma non fa in tempo. Poi Inzaghi, che non è Totti ma neanche Filippo, per stupire, si inventa l’opzione peggiore. Tenta di irridere il portiere Taibi e viene punito. Cucchiaio, parata, scherno, epurazione. L’anno prima, con la Reggina, in un pomeriggio di pioggia, radioline accese sul sovrannaturale e polemiche, proprio contro i calabresi, Mancini aveva dato l’addio alle scene. Passerella trionfale, scudetto inatteso, lampo di gloria a nove anni dal titolo sampdoriano, festeggiato a Roma, anche quello, con l’intera squadra, da Pagliuca a Cerezo, in goliardico biondo platino. Per trovare la pietra filosofale e recuperare lo smalto di un’epoca lontana, Madrid sembra l’ambito ideale. Basta mettere insieme le idee, trovare un filo che leghi i nessi, recuperare le formule di un recente ieri. I tifosi non lo vogliono, preferiscono Laudrup. Lui attende. Per le creme e i saloni di bellezza, eventualmente, solo l’imbarazzo della scelta. Domani, nella battaglia, (se non penserà alle rughe) di organizzare la trincea si occuperà Roberto. Mourinho è distante ma a ben vedere, il Portogallo, non troppo lontano.


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Domenica 1 novembre 2009

SECONDO TEMPO

+

TELE COMANDO TG PAPI

Un Vespa per ogni Tg di Paolo

Ojetti

g1 T Guidato dal volto angelico di Francesco Giorgino, il Tg1 è – per forza – il prodotto di un diabolico disegno professionale che ha come unico fine quello di disperdere e distruggere quel poco di credibilità che ancora alligna in qualche telespettatore di cuore buono. Una delle grandi notizie di ieri era questa: “Se anche mi condannano al processo Mills – ha giurato Berlusconi – non mi dimetto”. A parte il fatto che nessuno si aspetta il contrario, ciò che lascia a bocca aperta è che il Tg1 l’ha raccattata da un’intervista (si fa per dire) rilasciata – magari tre mesi fa – a Bruno Vespa che l’ha ficcata nella solita bibbia che, come sempre, uscirà a Natale. Ora – per assurdo – se nel frattempo Berlusconi scappasse nelle Cayman smentendo se stesso,

Vespa e lasciando tutti a bocca aperta? Lo compriamo ancora questo prezioso volume? Ma il punto vero è un altro: il Tg1 dovrebbe essere la grande, principale e inattaccabile fonte di informazione del paese. Dovrebbe essere Vespa ad attingervi le notizie e non il contrario. Soprattutto – qui il ridicolo – quando si tratta di non-notizie. g2 T Per non essere da meno, anche il Tg2 si abbevera alle “Donne di cuori” di Bruno Vespa. La perla è sempre la stessa: se condannato per corruzione di magistrati, Berlusconi annuncia che non si dimetterà. Il che è tutto da vedere, magari dopo la Cassazione sono previsti i domiciliari (per le persone di una certa età si concedono sempre) ed è impensabile che possano essere scontati a Palazzo Chigi. Comunque,

vista la dipendenza dell’informazione Rai da Bruno Vespa, si potrebbe disdire l’abbonamento, risparmiare il canone e telefonargli direttamente per sapere le ultime novità politiche. g3 T Molta cronaca in apertura, scelta inusuale per questo Tg che privilegia, quando può, la pagina politica. C’erano i primi segni di paura diffusa per l’influenza (chiamiamolo panico almeno negli Stati Uniti), l’identificazione del killer filmato a Napoli mentre uccide un uomo a sangue freddo, le indagini sulla morte di Stefano Cucchi (il Tg3 rivendica la primogenitura della notizia: potrebbe rivendicarla, nella carta stampata, questo nostro giornale). E c’era anche un passaggio su Berlusconi e la sentenza Mills. Con una differenza. Il Tg3 ripete - è vero - che le dichiarazioni arrivano dal prezioso volume di Vespa, ma Alessandra Carli ricostruisce almeno la vicenda e aggiunge: “Berlusconi dice che anche in caso di condanna resterà al suo posto per difendere la democrazia”. Si chiude con uno spot pubblicitario per Bersani “festeggiato nella sua città, Piacenza”. Inizia la costruzione mediatica di un leader.

di Fulvio Abbate

IL PEGGIO DELLA DIRETTA

Lo spot neo-neo realista

e l’arte d’avanguardia nel L’beroomosessualità nostro paese dalle ampie vedute potrebanche gemellarsi. Nel senso che tutti (o quasi) si sentono in diritto di fare ogni genere di battuta brillante sia all’indirizzo di un gay di passaggio (o di una lesbica e, ultimamente, ovvio, anche dei trans) sia dei lavori di un artista, appunto, d’avanguardia, come potrebbe essere il Piero Manzoni della “Merda d’artista” o anche, metti, l’assai più discreto Sol Lewitt, maestro della “minimal art” d’oltreoceano, citato perfino da Woody Allen in una scena-manifesto di “Manhattan”. Dice: che t’importa, è solo una pubblicità, banalità che presto passa. E invece, senza buttarla troppo sull’indignazione rispetto al luogo comune e al qualunquismo trans-culturale, da qualche giorno uno spot Tim con Belen Rodriguez e Christian De Sica non mi dà pace, inzuppato com’è di una ideologia che viene da lontano, condivisa sia da certe barzellette eponime della “Settimana enigmistica” sia dai nazisti che in molti casi parlarono, appunto, di “entartete kunst”, arte degenerata, cioè. É lo spot che mostra i due in Belen Rodriguez una galleria d’arte protagonista di uno spot davanti a un’installacon Christian De Sica zione (si dice così) simile a un cumulo di plastica da imballaggio accartocciato, tipo in attesa dei facchini: scarti, mondezza. Dice Christian, angoli della bocca in giù, quasi come in bilico su una pozza di vomito: “Ma che è,

‘sta robba?” Belen corre ad acculturarlo prontamente: “E’ post-dadaismo”. Di nuovo Christian: “Ma io manco in cantina ‘a metterei!” Le scuse del disinformato sono però d’obbligo quando lei si dichiara autrice del manufatto: “Ma allora non le piace la mia opera?” A questo punto De Sica, cercando di recuperare la faccia, intanto che parla al telefono “con un amico collezionista” cui raccomandare la nuova scoperta, senza mai smettere di puntarne le grazie, le forme: “Mi si chiede se lei ha avuto influenze cubiste?” Pausa, e poi: “Lei è stata cubista, no?” Uno straordinariamente ironico studioso (d’arte), Guido Ballo, anni fa terminò un saggio, “Occhio critico”, con accluso dizionario dei luoghi comuni mai pronunciati in presenza di un’opera (d’avanguardia, appunto), perle nere comuni raccolte da lui medesimo in anni di specifica frequentazione, fosse anche Picasso con “Guernica” o “Quadrato bianco su fondo bianco” del russo Malevic. Su tutto, in ordine d’arrivo: “Ma il mio bambino lo fa meglio!”, “Ci stanno prendendo per cretini”, “Lo vorrei vedere copiare Raffaello, Tiziano e Michelangelo”, “Guardi che sedere, e hanno il coraggio di chiamarla Venere”. Mi direte: ma anche il comunista Togliatti non capiva nulla dei “tagli” di Lucio Fontana, e bollò come “scemenze” un celebre quadro dove le bandiere rosse non erano raffigurate secondo realismo. Eppure, sia pure involontariamente, gli autori della pubblicità Tim vanno benedetti per avere descritto il livello ormai medio-alto dei frequentatori delle gallerie: turisti della cultura, appunto. Forse anche della vita stessa. Il post-dadaismo in questo caso non c’entra, il nostro spot è semmai neo-neo-realista. www.teledurruti.it


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SECONDO TEMPO a cura di Stefano

Disegni - rubrica.sandokan@gmail.com

SATIREu & SATIRIASI Storia dell’arte di Roberto Corradi

Gasparri indignato per le indiscrezioni.

Sono una persona perbene: ai trans, je meno. Ultim'ora. Immediata e decisa reazione del senatore Gasparri contro le voci che lo vorrebbero coinvolto in una retata di transessuali. "Prima di tutto" - ha dichiarato - "io non faccio retate. Sono una persona perbene e ai trans je meno uno per uno, da uomo a omo." A chi gli faceva notare che sarebbe stato lui ad essere stato fermato in compagnia di trans, ha precisato: "Ero invitato ad una festa in un noto circolo sportivo e come spesso accade quando La Russa mi manda in giro da solo, mi sono perso. Allora, ho cercato di avere indicazioni dai passanti ma non passava nessuno, così ho chiesto a quelle signore robuste che attendevano, credo, l'autobus notturno. Ero disposto a pagare l'informazione, avevo i soldi in mano...a quel punto i carabinieri non mi vanno a fermare pensando che fossi un cliente in cerca di trans? Gli ho detto ‘Aho’, so’ un politico’ ‘Allora è proprio vero’ hanno risposto e me se stavano a portà via. Me so’ messo a strillà ‘Chiamate La Russa!’. E’ arrivata Svetlana, uno de Tarquinia, che ha detto ‘noi con uno così neanche per 5000 euro. Se ci fai un filmino, chi se lo compra?’ Così l'equivoco si è chiarito, ho chiamato Ignazio e mi sono fatto spiegare bene dov'era il circolo". Poi, dopo una pausa, il senatore ha aggiunto: "Che, effettivamente, lo potevo fare subito. Ma io so’ come l’Intercity, viaggio sempre col ritardo”. Paolo Aleandri

Ingres – VOX DEI Mirabile esempio del roboante classicismo dell’artista, che qui ritrae il Padreterno mentre detta la sua Legge al mondo. Di grande impatto l’espressione dell’ancella che ne sostiene la veemenza, estasiata per la chiamata divina e l’aumento dell’audience.


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SECONDO TEMPO

FATTI di VITA

PIAZZA GRANDE

É

TRANSE SSUALI E TRANSUMANI C

I Continenti che ignoriamo di Oliviero Beha

n buon numero degli storici italiani, e anche chi ha uno sguardo “diacronico” sulle nostre vicende come il magistrato Roberto Scarpinato, sostiene che i cambiamenti in Italia sono sempre venuti da fuori.Per rimanere al “secolo breve”, decisiva la seconda guerra mondiale per uscire dal fascismo, decisivo il crollo del muro di Berlino vent’anni fa per rimescolare le carte (truccate) della cosiddetta Prima Repubblica. Adesso, in tempi di basso impero, con una classe politica comunque sbrindellata, un capo azienda pregiudicato, prescritto e priapesco e una società fangosamente slabbrata nella “palude Italia”, la domanda che ricorre più di frequente tra gli italiani di buona volontà è: ”Che cosa può accadere per cambiare il corso disastrato delle cose?”. Tradotto storiograficamente, che cosa deve arrivare da fuori per darci una svolta? Bene, questo “qualcosa”da fuori è già arrivato, ed è sotto gli occhi di tutti, tanto evidente da non attirare abbastanza l’attenzione se non per speculazioni politiche di bassa o media lega:dico del fenomeno dell’immigrazione.Vengono da fuori, sono tanti, saranno sempre di più, possono svolgere quel ruolo di cambiamento come fattore esterno che è sempre entrato nella storia/cronaca italiana in qualche modo rivoluzionandola. L’ultimo rapporto Caritas è chiarissimo nei numeri: gli immigrati residenti in Italia sono oltre 4 milioni e 600 mila calcolati probabilmente per difetto, con stime attorno ai 12 milioni nel 2050.Hanno superato la media europea, circa il 7,2 sull’intiera popolazione.Tra i bambini in età scolare salgono al 10 % e sono ovviamente l’altra faccia delle stime sull’aumento percentuale dell’immigrazione prossima ventura.Muoiono sul lavoro come gli italiani nella carneficina quotidiana cui assistiamo più o meno inerti.Non riempiono le galere più degli italiani, come si tende a far credere, giacché se il tasso di criminalità tra i 18 e i 44 anni tra i connazionali è l’1,50 in percentuale, quello tra gli immigrati sale “soltanto” all’1,89 (compresi i reati connessi alla clandestinità) ma scende molto se si considera che tra loro il 63% degli stranieri in carcere sono in attesa di giudizio mentre per i “nostri” dell’inno di Mameli e la mano sul cuore la metà è dentro con una condanna definitiva. Potrei continuare, ma forse il quadro è già significativo.Ed è significativo anche che per lo più se leggi un quotidiano di “sinistra” il ragionamento ha una qualche articolazione e casomai è da approntare realisticamente sul combinato disposto della solidarietà e della “capienza” nostrana.Se invece leggi “Il Giornale”, è tutto un “aita, aita” per lo straniero che ci invade e alla cui invasione non reagiamo abbastanza,anzi opinando colpevolmente da Fini in giù (o in su) quando deve

U

U

poter godere della cittadinanza italiana come se fosse una persona “come noi” che stiamo qui da millenni (io meno,ma insomma…). Sono ovviamente derby di pensiero (pensiero?!?) improduttivi e pericolosi perché di corto respiro.Intendiamoci: problemi economici,logistici, d’ordine pubblico ce ne sono a bizzeffe, con tanti o pochi immigrati in una società sviluppata sulla violenza elevata a sistema in senso stretto o in senso lato, economico, della “struggle for life”.Ma far finta che sia un derby ancora da giocare è un raggiro concettuale, è peggio che un crimine, alla Talleyrand, è un errore.E probabilmente un errore fatale. Infatti ci sono, non se ne andranno, i loro figli multicolore sono nelle nostre strade,case, scuole, e con loro dobbiamo storicamente fare i conti migliori che sappiamo fare, ovviamente a partire dall’integrazione/interazione culturale.Insomma cacciare il futuro nell’imbuto come struzzi la testa nella sabbia, non è di destra, è peggio, è scemo e autolesionista. ppure basterebbe tenere gli occhi aperti sul Econda mondo, anche il piccolo mondo che ci cirquotidianamente: vivo in un quartiere romano più popolato di Livorno e certe mattine, intorno alla piazza del mercato dove tempo fa Menenio Agrippa teneva lezioni buone per Berlusconi,Tremonti e Bersani, sembra di stare in un altro continente.Per le facce, le espressioni, l’abbigliamento, i colori, i rumori:siamo altrove, ma siamo sempre qui, e non succede niente, anzi c’è una ricchezza di umanità a volerla cogliere che certo rimanda più a, che so,un momento di Abijan che a Houston.Eppure non è male, con un po’ di discernimento e consapevolezza, prendi e dai, è tutto apparentemente umano ed umanizzabile.E tutto può prendere una piega positiva o negativa, dipende da noi, nell’immediato futuro. Dipende da noi considerare una ricchezza nei limiti appunto di una capienza logistico-politica (nel senso della Polis, non di Calderoli) queste migrazioni che sono una costante storica, oppure ritenerle una sciagura che ci seppellirà togliendoci il pane di bocca. (Ma come,se lavorano normalmente?Se pagano le tasse,se vogliono stare qui perché a loro piace e non soltanto perché costretti dalla miseria o dalla fame o dalla violenza ad emigrare e in questo caso dovremmo aiutarli lì da dove

vengono?). Non c’è nulla di paragonabile all’immigrazione, all’altro che si relaziona con te in fatto di cambiamenti esterni ed interiori: ti costringe a mediare fuori e ad approfondire dentro di te, è uno specchio della società e insieme della personalità del singolo, gioca sul doppio registro e contemporaneamente.Barbara Spinelli tempo fa su queste pagine ha fatto un discorso serio sullo stato dello Stato, sul rapporto con i cittadini, cioè i sudditi nel nostro caso, che dovrebbero comporlo fornendo un’identità allo Stato e a loro stessi,e di questo hanno parlato qui prima e dopo la Spinelli Bruno Tinti e Sabina Guzzanti.Bene: applichiamo quella serie di domande, questioni, ipotesi di cultura politica e di antropologia culturale alla marea migrante di cui ho fornito i numeri, avendo come obiettivo quello di riempire di carne e sangue le istituzioni che abbiamo sotto gli occhi.Istituzioni così deboli, remote,esangui per noi che qui viviamo,residiamo,votiamo dalla notte dei tempi.Forse questa nuova linfa può coincidere con il cambiamento “dall’esterno” di cui avremmo un fottuto bisogno, prima di venir fottuti impietosamente noi dal precipizio imboccato.Forse i veri “poveri” siamo noi, non loro, cui dobbiamo nei casi migliori-e non sono davvero pochi- una scommessa di allegria e di vitalità leggermente più attendibile della trista/e cronaca di questi giorni.

IL FATTO di ENZO

l

Il sesso, sosteneva Federico Fellini, è un mistero che andrebbe rispettato. Perché la persecuzione, anche verbale, dei ‘diversi’, di persone che hanno poi dato contributi determinanti (1994) alla cultura?

Gli immigrati non se ne andranno. I loro figli sono nelle nostre strade e scuole. E con loro dobbiamo fare i conti

n successo straordinario. E’ il bilancio degli “Stati generali dell’antimafia” organizzati da “Libera” una settimana fa. Significativa la presenza del Capo dello Stato, che ha voluto in particolare esprimere la sua vicinanza ai tantissimi familiari delle vittime di mafia presenti. Bellissime e profonde le parole con cui Luigi Ciotti e Barbara Spinelli hanno concluso la tre giorni. Ma decisiva la partecipazione di un mare di giovani, circa 2500, affluiti a Roma da ogni parte d’Italia, con massicci contributi di ragazzi europei e sudamericani. Una partecipazione attiva, con ben 17 gruppi di lavoro, impegnati su temi articolati in modo da non tralasciare nessun profilo direttamente o indirettamente legato alla criminalità mafiosa. Ecco dei giovani, tanti giovani, capaci vivere il presente con radicalità, senza cedere alla rassegnazione e all’indifferenza. Coraggiosi nel saper respingere gli idoli della seduzione e del consenso, per lavorare invece ad una comunità finalmente capace di vincere le ingiustizie, ripartendo dalla Costituzione. Giovani dotati di un’eccezionale capacità di critica argomentata e intelligente. Percepiscono che la legalità – in Italia – sta passando sempre più di moda. Registrano pessimi esempi in alto loco. Sintetizzati negli scudi fiscali, che sono un grande regalo al grandi evasori e un grande insulto agli onesti. Eppure si rendono conto che senza regole non c’è partita o la partita è truccata: e la vincono sempre i “soliti noti”, quelli che di regole – per conservare i loro privilegi e prevaricare gli altri –non hanno proprio nessun bisogno. Così si spiega perché

IL COMMENTO

osa avrà pensato quel signore di Napoli vedendosi immortalato mentre con noncuranza scavalcava un uomo morto sul marciapiede? Forse la vergogna gli avrà restituito un po’ di umanità. Forse avrà pensato di non averci fatto caso, nella fretta di andare da qualche parte. E forse è vero: il prossimo non c’è più, sembriamo averlo definitivamente smarrito. Nell’ansia antagonista dell’affermazione di identità sempre più caratterizzate dall’essere contro qualcosa, più facilmente contro qualcuno. Il fango nel ventilatore di questi orribili mesi non aiuta, non aiuta la politica che si occupa solo di scandali, calunnie, della prossima vittima da sbeffeggiare, dileggiare, umiliare. Non aiutano quei signori che urlano dalla televisione insulti e sanno parlare solo all’indicativo, meglio se con qualche parolaccia. Non aiuta l’incapacità di articolare discorsi costruttivi. Si è aggiunto un insopportabile chiacchiericcio malizioso e pettegolo. Il darsi di gomito. Le battutine sul boudoir dei governanti. Prime pagine di orge, consigli sulle pratiche erotiche, lettoni comunisti e, pare, molto affollati. Ci mancavano i gusti non proprio ortodossi del governatore del Lazio per tramutarci nel pubblico pagante di un porno-circo. i comprano i giornali come si va sotto il tendone per vedere l’uomo che mangia il fuoco, i nani e le bestie chiuse in gabbia. Un gigantesco buco della serratura. Natalì è la donna cannone. Lui e gli altri trans, il bersaglio perfetto di questo esercizio voyeristico. Diversi, stranieri, non sempre belli. Viventi ma non esseri. Se Natalì fosse stato una comune prostituta nessuno avrebbe obiettato che sì, insomma, non è poi tanto bella. Invece si è scritto: che schifo, ma come è possibile? Cinquemila euro, ed è pure bruttissima. Novella 2000, un giornale di gossip, ha scritto le parole più umane di questa storia, sforzandosi di ricostruire il rapporto tra due persone. Un amico di Natalì, Fabio, ha raccontato come si sono incontrati, cosa si dicevano, cosa facevano. Qualcosa che andasse oltre l’irrisione e la presa in giro. “Quando arrivava, lui si faceva un bagno caldo, al buio le chiedeva di accarezzargli i capelli. Sembrava che ci fosse un principio d’amore. Natalì è un trans atipico, perché è dolce, con lui era molto premurosa”. È una versione della storia. Non importa se è vera, verosimile o edulcorata ad uso dei rotocalchi. Quel che vale non è cosa dice l’intervistato, ma come lo dice. Rispetto a questa vicenda, che tocca aspetti dell’esistenza delicati e complicati, si possono avere opinioni diverse. Quello che non si può fare è trasformare gli individui in bersagli inanimati. Qualcosa che se si colpisce non prova dolore. Natalì, declinata al maschile o al femminile, è una persona. E forse anche non troppo felice, certamente non rispettabile. Era prevedibile tutto questo? Sì, e anche molto tempo fa. Se si conquistano consensi e si convincono gli elettori con il “ce l’abbiamo duro”, o “noi siamo dei tombeur de femmes e freghiamo le donne ai magistrati”, dovevamo aspettarci una deriva in cui la politica è ridotta a caccia alla streghe e si occupa di cosa piace prendere e dare a chi sotto le lenzuola. Mettiamo al muro gli immigrati, i rom, i gay. I transessuali. Noi stiamo diventando transumani.

S

di Gian Carlo Caselli

“Contromafie” libere di gridare questi giovani, pur controcorrente, continuino a battersi per la crescita del tasso di legalità in Italia. I giovani di “Libera” avvertono con chiarezza che vi è uno scarto crescente fra la verità e certa politica, sempre più incline alla propaganda e al disprezzo per la realtà dei fatti. Arrivano a questa constatazione per molte vie. Ad esempio ragionando sul progetto di riforma delle intercettazioni. Ragionando, capiscono che è una falsità dire che in Italia vi sono troppe intercettazioni. Semmai troppe (per un paese normale) sono le manifestazioni del crimine organizzato, della corruzione, della mala-amministrazione, della malasanità, della malapolitica. Troppe sono le attività dei trafficanti di droga, armi, rifiuti tossici, esseri umani…..Troppe sono le attività delinquenziali, non le intercettazioni che cercano di contrastarle. In ogni caso, che le intercettazioni siano troppe non è neppur vero in assoluto: alla Procura di Torino, nel 2008 sono stati trattati 154.232 procedimenti, e solo nello 0,2 per cento di essi vi sono state intercettazioni. Altra falsità è che le intercettazioni costano troppo. In verità, assai spesso esse si ripagano da sole, consentendo di confiscare beni per milioni di euro che rimpinguano le casse dello Stato. Per tacere del fatto che le intercettazioni in moltissimi casi salvano vite umane: e basterebbe una sola vita salvata per ripagare qualunque costo delle intercettazioni. Infine, dire

di Silvia Truzzi

che la riforma delle intercettazioni eviterà abusi ( divulgazione di conversazioni estranee all’oggetto del processo o relative a soggetti estranei al processo) è vero, perché nella riforma sono previsti paletti rigorosi al riguardo. Ma fissati questi paletti, é una falsità presentare la riforma come necessaria anche là dove essa azzoppa le intercettazioni nonostante che il rischio di abusi sia azzerato. Questo azzoppamento serve solo a coprire i vizi (pubblici e privati) di chi impunità va cercando, anche a costo di picconare la sicurezza dei cittadini “comuni”. Ai quali la propaganda nasconde che le intercettazioni ( secondo stime per difetto) saranno ridotte almeno della metà, con la conseguenza che almeno la metà degli assassini, rapinatori, stupratori, pedofili, usurai, estortori, corruttori, bancarottieri e via elencando oggi assicurati alla giustizia la faranno franca: alla faccia – appunto – della sicurezza degli ignari cittadini. Centrale, nel serrato dibattito di “Contromafie”, è stata la questione dell’indipendenza della magistratura. Chiaramente percepita dai giovani di “Libera” non come privilegio di casta dei magistrati, ma come patrimonio dei cittadini tutti. Essendo evidente – a chi sappia dissipare i fumi della black propaganda – che l’indipendenza è premessa indispensabile perché la giustizia possa aspirare a diventare eguale per tutti. Perché se c’è qualcuno che può ordinare ai giudici di

dare addosso a questo e risparmiare quello, la giustizia sarà amministrata per favorire o danneggiare qualcuno, non per assicurare pari tutela ai diritti di tutti. Chi è capace di critica argomentata, avverte con facilità che gli interventi programmati dall’attuale maggioranza (CSM, separazione delle carriere, rapporti PM/PG, nuovo processo penale) non sono riforme della giustizia - condannata da alcuni di questi progetti a funzionare ancor peggio – ma dei giudici, pericolosi soggetti cui chi non ama i controlli vorrebbe quanto meno tagliare le unghie. In attesa di questo, ci si porta avanti col lavoro cercando di spingere i magistrati verso scelte di basso profilo, verso forme di burocratizzazione della giurisdizione. Così il “palazzo” tenta di resuscitare la formula (cancellata da qualche secolo di evoluzione) del giudice “bocca della legge”, traducendola nell’ordine di applicare la legge senza interpretarla, perchè prevalga sempre e comunque la volontà del potere. Così, l’ignoranza del dato di fatto che l’interpretazione è la quint’essenza dell’attività di qualunque giudice onesto e indipendente, si intreccia con lo sprezzo del ridicolo. Perché basta confrontare l’art. 575 del codice penale ( chiunque cagiona volontariamente la morte di un uomo……) con l’art. 589 ( chiunque cagiona per colpa la morte di una persona…) per capire come – senza interpretazione – l’omicidio volontario della donna resterebbe…. impunito. Prova evidente che i problemi della giustizia sono un po’ più complessi di quel che certi disinvolti pseudo-riformatori vorrebbero farci credere.


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SECONDO TEMPO

MAIL Stefano Cucchi, le foto, la verità So che la faccenda di Stefano Cucchi, il ragazzo picchiato e ucciso, ha colpito tante persone. Vorrei solo dire alla famiglia che sono indignata, come cittadina italiana, nel vedere una giovane vita spezzata. E ritengo meschino il tentativo di farlo passare per uno spacciatore. Fumare uno spinello non vuol dire essere un drogato. E comunque, neanche la peggiore delle persone merita di essere ammazzato così. Ho pianto, per Stefano. Le foto del suo corpo inanimato sono state un pugno nello stomaco, avete fatto bene a pubblicarle. Mi hanno fatto capire così che mai avrei realizzato se le avessi solo lette sui giornali. A volte un’immagine racconta più che centinaia di articoli. Alla famiglia dico: non siete soli. L’Italia s’indigna con voi. Insieme cercheremo la verità, e pretenderemo giustizia. Camilla

Sottovalutate il grande centro Ho notato in questi giorni che molti giornali, e anche il Fatto, si dedicano all'analisi della fuo-

BOX A DOMANDA RISPONDO LA LEGA E PEPPINO IMPASTATO

Furio Colombo

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aro Colombo, perché la Lega Nord ci tiene tanto a separarsi dalla lotta alla mafia, che pure nel nord si è già infiltrata da tempo? Prima si fa notare il sindaco leghista di Ponteranica (Bergamo) che cancella il nome di Peppino Impastato dalla locale biblioteca. Poi il consiglio comunale di Bergamo vieta che a Peppino Impastato sia intitolata una strada della città. Come giudicare un simile comportamento: stupidità o complicità? Alessandra

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I LETTORI sanno che la mia avversione alla Lega è quasi tutta dovuta alla barbara e primitiva idea della politica come sopraffazione, una tifoseria brutta e cattiva che intende occupare tutto lo spazio e non lasciare aperto alcun varco al normale scorrere delle informazioni e della cultura. Secessione vuol dire secessione, ideale ottusa di chi pensa il futuro come passato, il passato come esperienza di un solo luogo e il luogo come claustrofobia . La Lega porta rissa, aggressione, espulsione, cattiveria mostrando di non avere o voler

avere alcuna nozione delle condizioni, regole, necessità, di un mondo senza frontiere, odiato ma troppo forte persino per Bossi. Tutto questo, e non la “complicità” con la mafia, spiega la decisione di espellere Peppino Impastato dalla loro tetra e immaginaria Padania. Peppino Impastato è eroe di nulla per quella povera gente (che purtroppo occupa ministeri chiave a Roma) che ignora sia la storia che la cronaca. Peppino Impastato viene rigettato in mare come ogni altro immigrato. Quando il sindaco di Ponteranica e quello di Bergamo si accorgeranno delle salde radici della mafia in Lombardia, ci penseranno poliziotti e giudici meridionali a lavorare, indagare, arrestare, processare, rischiando ad ogni passo la vita, per proteggere i sindaci leghisti impegnati nelle ronde e persuasi che la criminalità non è quella di Badalamenti o Riina ma la condizione di "clandestino". É triste pensare che uno di loro, tale e quale ai due sindaci di cui abbiamo parlato, sia l’attuale ministro dell'Interno italiano. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it

il mio stato d’animo: era ora. Da anni speravo di poter votare la sinistra senza che il mio voto aiutasse l’ala meno laica e più antipatica del partito. Spesso si dà per scontato che chi va a votare lo fa a cuor leggero. Ma non è così: i compromessi fanno male, per chi alla politica crede davvero. Grazie per avermi ascoltata. Antonietta

Persino l’acqua costa troppo

riuscita di Rutelli dal PD. Mi accorgo anche che molti minimizzano, facendo la conta di quanti tra senatori e deputati lo seguiranno, e visto che il numero è esiguo allora sembra che tirino un sospiro di sollievo. Ma forse non è così, forse perchè non avete la dimensione del territorio. Sono mesi e mesi che esponenti PDL e PD passano con l'UDC. Non è il caso di dare il giusto peso al potenziale grande centro? Nello Savo

Nuove elezioni per il sindaco di Roma E' di poco fa la notizia di Rutelli che lascia il Pd per andare a fare compagnia a Casini nell’Udc, Unione dei carcera-

ti”: il partito di Cuffaro (quello condannato in primo grado per associazione mafiosa) e Cesa (il patteggiatore di tangentopoli). Come dovrebbero sentirsi ora i cittadini di Roma che si turarono il naso per votarlo piuttosto che votare un fascista che gira ancora con la croce celtica al collo ? Visto che anche Rutelli dimostra di essere sempre stato di destra, non sarebbe giusto che si ritornasse a votare anche a Roma? Armando Pellicci

Quanto mi dispiace che Rutelli vada via Riguardo alla dipartita di Francesco Rutelli dal Partito democratico, vorrei comunicare

Per favore, lanciate un referendum per l'acqua. Non dico che voglio avere l’acqua gratis, ma chiedo almeno che si paghi il giusto. Io, personalmente (e come me sicuramente tanti altri) alla Gori verso una quantità infinita di euro. Aiutateci! Cosa c'è dietro tutto questo? Perché, ad esempio, in altri comuni della Campania, quello che io pago io in un trimestre viene pagato in un anno? Perché per lo stesso bene le nostre regioni adottano tariffe diverse? Non è un serio problema anche questo? Se non possiamo avere neanche l’acqua, diteci che ci resta. Buon lavoro e grazie per il vostro quotidiano, civile impegno. Giuseppe Ronga

Le occasioni perse del Partito democratico Sono un assiduo lettore del Fatto Quotidiano e, oltre a ringraziarvi per aver creato un giornale libero, scrivo in merito alla vicenda Marrazzo. Io non sono bacchettone, e non esprimo giudizi sui gusti ses-

suali di nessuno, nè mi interessa sapere come le persone amino trascorrere la propria intimità. La cosa che a parer mio è grave è il fatto che l’ex governatore Marrazzo (uomo di Stato), in presenza di un grave reato perpretato ai suoi danni, non lo abbia denunciato, ma abbia preferito cedere al ricatto. Ora, se invece di soldi i ricattatori avessero chiesto altro? Per esempio aiuti per ottenere appalti ? Avrebbe (ha) ceduto? Penso di si, purtroppo. Ha fatto bene a dimettersi, ma avrebbe dovuto farlo immediatamente senza passare dal ridicolo espediente della sospenzione. Non mi è però piaciuto il comportamento della (mia) sinistra che avrebbe dovuto a parer mio chiederne immediatamente le dimissioni a gran voce come giustamente a fatto col “caso escort di mister B.”, ma ahimè ha perso un'altra occasione per rivendicare la propria titubanza quando si tratta di legalità. Purtroppo in Italia la legge è disuguale per tutti.

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“L’Avvenire”delle polemiche compie 113 anni. Anniversario impegnativo per il quotidiano più antico nella storia della stampa cattolica, nato a Bologna nel periodo post-unitario. Motore dell’iniziativa editoriale, Giovanni Acquaderni, gesuita bolognese, protagonista assoluto del laicato cattolico tardo Ottocento oltre che storico precursore dell’Azione Cattolica. Giornale “di mediazione” tra le posizioni integraliste e moderniste del tempo, benedetto pubblicamente da Leone XIII, il Papa della Rerum Novarum, grande traghettatore dalla conservazione alla modernità. Origini lontane per un testata fuori dal coro, pacifista in chiave anti atlantica, spesso critica verso le posizioni della Chiesa tradizionale, portavoce e interprete delle novità del Concilio Vaticano II. Una lunga storia editoriale, passata attraverso la fusione col quotidiano cattolico milanese “Italia”e conclusasi, dopo la chiusura del ’67, con la nascita del giornale unico “L’Avvenire d’Italia”, in edicola dal 4 dicembre ‘68, su forte volontà di Paolo VI. Storia di un quotidiano blasonato, fedele a una propria speciale autonomia di pensiero e proprio per questo finito oggi in uno sporco gioco politico di intimidazioni e ricatti. Giovanna Gabrielli

L’abbonato del giorno GIANMARIA E VALENTINA Gianmaria Cherchi e la sua ragazza Valentina sono due studenti di Giurisprudenza di Cagliari. Ci scrivono: “Siamo quasi i primi ad esserci abbonati! Già pensavamo alle risate nel vedere il Fatto nelle rassegne stampa insieme a Il Giornale e Libero! Comicità assicurata. Finalmente un giornale come si deve! In bocca al lupo dalla Sardegna, vi leggiamo sempre!” Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it

Stato. Spero di sbagliare, però credo che affermazioni di questo tipo alimentino la disobbidienza e il malaffare. Sono molto preoccupato per le razioni edulcorate o addirittura la noncuranza che certi nostri referenti politici manifestano. Come potremmo riuscire a far prendere coscienza di quanto ci sta per capitare se tutti sono così poco interessati alla sorte della democrazia, se non si lanciano messaggi di forte preoccupazione? Credo che indire assemblee pubbliche dove si possa discutere del futuro del nostro paese possa essere un inizio. Le ultime vicende, quella di Stefano, il ragazzo morto mentre era sotto la tutela dello Stato, la dichiarazione di La Russa che difende l'arma, il killer di Napoli, la brutta storia capitata a Marrazzo non fanno altro che alimentare la preoccupazione. Viviamo una brutta epoca. Grazie per l'attenzione e buon lavoro, spero che con l’aiuto del Fatto qualcosa cambi. Mauro Giusti

I nostri errori processo Mills verra' annullato in cassazzione ?! E poi, vi sembra un atteggiamento da presidente? Sandro Carlucci

Quante brutte vicende vive oggi l’Italia Ho lettto che il presidente del Consiglio, anche se condannato, non si dimetterà. Sono sicuro, anche se non sono un giurista o uno storico, che queste affermazioni confermano che non facciamo più in tempo a preoccuparci: siamo nel bel mezzo di un colpo di

Per un inconveniente tecnico l’articolo “Signorini e quelle immagini proibite”, a firma di Marco Lillo, pubblicato ieri dal Fatto a pagina 7, è uscito incompleto e con numerosi refusi. Ce ne scusiamo con i lettori che non hanno potuto leggere la versione integrale e corretta, stampata solo nelle ultime edizioni.

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Ignazio Maddanu

Le gravi dichiarazioni del nostro presidente Questa mattina ho saputo due cosa interessanti dette dal presidente del Consiglio. La prima su rainews24: Berlusconi dichiara che se dovesse venire condannato non si dimetterà. La seconda la dice nell'ultimo libro di Bruno Vespa, dichiarando che il processo Mills verra' annullato in cassazzione. Ma Berlusconi come fa a sapere in anticipo che il

Abbonamenti Queste sono le forme di abbonamento previste per il Fatto Quotidiano. Il giornale sarà in edicola 6 numeri alla settimana (da martedì alla domenica).

IL FATTO di ieri1 Novembre 1896

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Novembre 2009 - PubblicitĂ


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