Il Fatto Quotidiano (11 Nov 2009)

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Tremonti dice: fin quando ci sarò io, le pensioni non si toccano. Bravo. Sempre che non pensionino lei

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€ 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009

Mercoledì 11 novembre 2009 – Anno 1 – n° 43 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230

LA COSCA

Augusto menzognini di Marco Travaglio

Vogliono arrestare Cosentino per camorra ma B. lo lascia al governo. Intanto il premier concorda con Fini u n’altra legge che lo salva dai processi assieme a corrotti e bancarottieri. E chiede anche l’immunità parlamentare

Ci prendono per scemi? di Bruno Tinti

Il gip: il sottosegretario era il referente dei Casalesi. L’affare rifiuti, i voti spartiti. A Gomorra il patto clan-politica

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osì avremo il processo breve per gli incensurati; per gli altri, non li finisco in tempo. Solo che gli quelli già condannati, mettia- incensurati, in genere, non stanno in moci pure tutto il tempo che ci galera in attesa del processo; sono, vuole. Entro 6 anni per l’incensurato come si dice, a piede libero; proprio deve arrivare la sentenza definitiva: perché sono incensurati. E tuttavia colpevole o innocente; se non arriva, prima si processeranno gli incensurachissà quale sarà la formula? Prescri- ti perché poi non si può più; e dopo i zione, fuori tempo massimo, squali- detenuti, che c’è tempo. Intanto se ne stanno in galera, magari da innocenti. ficato (il giudice…). Come al solito, pur di cavare Berlu- E se si tratta di mafiosi che escono per sconi dai guai, un sacco di delinquen- decorrenza termini, pazienza. ti resteranno impuniti, le parti offese Se poi scomodiamo un po’ di dialetto, saranno fregate alla grande e la povera viene da dire guagliò, accà nisciuno è fesso. Perché, in 6 anni, per una guida gente resterà a marcire in galera. Fino ad ora i processi che si facevano senza patente, uno scippo, un oltragper primi erano quelli con detenuti. gio al vigile urbano un processo lo si Sei dentro? Ti processo subito. Per- fa di sicuro. I problemi cominciano ché magari sei innocente, anzi sei quando si tratta di processare un incensurato (ma guarda senz’altro innocente fiche combinazione, Berno alla sentenza definitilusconi, con le sue sei va di condanna; e allora prescrizioni, è incensunon devi stare in prigiorato) per falso in bilancio ne un minuto di più di o frode fiscale. Perché, se quanto strettamente necominciamo con le rogacessario; alla sentenza torie alle isole Cayman e i definitiva ci dobbiamo sequestri di documenti Berlusconi (F A ) arrivare nel minor tempo possibile. Anche perché ci sono i ter- in qualche caveau dell’Ossezia, in sei mini massimi di carcerazione preven- anni arriviamo sì e no al primo grativa; e se non mi sbrigo a farti il pro- do. cesso, finisce che esci per decorrenza Ultima chicca: con questo sistema, termine e poi tutti si indignano per i Berlusconi & C. sempre incensurati giudici fannulloni che scarcerano i saranno perché un processo per i reamafiosi. ti che commettono loro non si riusciAdesso, però, i processi che si deb- rà a fare mai. E così sempre al procesbono fare per primi sono quelli per gli so breve avranno diritto; in un circolo incensurati: perché più di 6 anni non infinito. potranno durare e se non mi sbrigo Ma proprio per scemi ci prendono?

EUTELIA x I dipendenti chiamano la polizia

Padrone e finti agenti raid nell’azienda occupata

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Tongzhi Beijing story Una storia d’amore gay che emoziona, coinvolge e commuove L’espresso In italiano il libro che ha fatto scandalo in Cina La Repubblica Un vero e proprio caso scoppiato sul web Corriere della sera

www.edizioninottetempo.it

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Borromeo pag. 10 z

In questa immagine, ripresa da un filmato trasmesso ieri dal Tg3, l’ex amministratore delegato di Eutelia Samuele Landi (secondo da sinistra) tra alcuni degli uomini che hanno fatto irruzione nella sede romana di Omega, presidiata all’interno dai lavoratori (FOTO ANSA)

REGIME x Contro i giornalisti scomodi

RAI, ARRIVA IL COMITATO DEI CENSORI

Nuova trovata firmata Agcom Un organismo scelto dal governo sostituirà la Vigilanza Tecce pag. 9 z

Udi Piergiorgio Odifreddi Udi Malcom Pagani

nRisanamento

CARO LA RUSSA, PAPÀ SANDRI: CUCCHI COME LA CROCE NON MIO FIGLIO È DI TUTTI

I giudici salvano Zunino e le banche

aga per tutti. Come ieri, ignor ministro, il 4 Novembre lei è intervenuto su P non diversamente da doSRaiuno in occasione della mani. Offre caffè, sigarette, Giornata delle Forze Armate. Mi permetta, anzitutto, di esprimerle il mio apprezzamento per essersi esibito con il suo solito, invidiabile, autocontrollo. pag. 18 z

sorrisi che non compensano il vuoto. Lo salutano, anche da lontano. “Ciao Giorgio, come stai?” La disperazione non è un quadro impressionista. pag. 15 z

Bonazzi pag. 11z

CATTIVERIE I vescovi italiani: "Non c'è bisogno di nessuna esplicita scomunica: i mafiosi sono fuori dalla comunione della Chiesa". Per esserlo anche "formalmente" devono abortire.

l problema non è se Augusto Minzolini possa o non possa fare editoriali: che dovrebbe fare il direttore di un telegiornale? Il problema è che, in quella Pravda ad personam che è diventata il Tg1, roba da far rimpiangere Mimun e persino Riotta, Augusto Minzolini mente. Racconta balle. In continuazione. A furia di menarla con la par condicio e il contraddittorio, si è perso di vista il nucleo centrale dell’informazione: che non è accontentare la destra o la sinistra o tutt’e due, ma appunto informare. Due mesi fa, quando Menzognini attaccò i manifestanti per la libertà di stampa difendendo il suo mandante che aveva appena denunciato le dieci domande di Repubblica, disse che anche Tony Blair aveva querelato la Bbc: non era vero, Blair non ha mai querelato la Bbc. Fu nominata una commissione d’inchiesta indipendente che accertò un errore commesso dalla Bbc sulla manipolazione governativa delle notizie sulle armi di Saddam. Il presidente e il direttore generale della rete pubblica si dimisero. Senz’alcuna denuncia. L’altra sera Menzognini ha accusato il pm Ingroia di aizzare la gente a ribaltare la maggioranza democraticamente eletta. E’ falso: Ingroia non l’ha mai detto. Poi Menzognini ha sostenuto che l’immunità copre i deputati anche in Germania, Inghilterra, Spagna e Parlamento europeo. Non è vero. In Inghilterra non c’è alcuna immunità parlamentare, né per le indagini né per gli arresti (l’anno scorso un deputato finì in carcere). In Germania l’immunità, pur prevista, non viene mai esercitata, tant’è che il Parlamento all’inizio di ogni legislatura autorizza preventivamente e automaticamente le eventuali indagini a carico di suoi membri (due anni fa un deputato fu addirittura perquisito nel suo ufficio al Bundestag). Idem in Spagna, dove mai in trent’anni le Cortes hanno negato un’autorizzazione a procedere (tranne nel caso di un ex giudice divenuto deputato, accusato di aver diffuso per sbaglio la foto del fratello di un indagato al posto di quella dell’indagato). Gli europarlamentari godono delle immunità previste (le rare volte che lo sono) nei rispettivi paesi di provenienza. Menzognini racconta che i nostri Padri costituenti avevano previsto l’immunità per sottrarre gli eletti dallo strapotere della magistratura. Falso anche questo: prevedevano l’autorizzazione a procedere per evitare che giudici troppo vicini al governo (si veniva dal fascismo) perseguitassero esponenti dell’opposizione per reati politici, tant’è che era consentito negarla solo in caso di evidente persecuzione politica (fumus persecutionis). Nessun Padre costituente poteva immaginare che quello strumento eccezionale sarebbe stato abusato per proteggere esponenti della maggioranza da processi per reati comuni e gravissimi, per giunta commessi al di fuori delle loro funzioni, e addirittura prima di esercitarle. Mentre l’altroieri Menzognini sproloquiava, il suo Tg1 ometteva la notizia del giorno: la richiesta d’arresto per camorra del sottosegretario Cosentino. Cioè: Menzognini commenta le notizie che censura. Ieri, finalmente, anche il Tg1 delle 13.30 s’è accorto del caso Cosentino. Titolo: “Polemiche su Cosentino”. Ecco: una richiesta d’arresto diventa una “polemica”. Per nascondere i fatti, si cambiano le parole. Come domenica, quando il TgPravda ha descritto l’ennesima legge salva-premier per mandare in prescrizione i processi Mills e Mediaset con queste soavi paroline: “La maggioranza è tesa a cercare soluzioni che consentano al governo di lavorare con tranquillità”. Naturalmente Menzognini continuerà a raccontare frottole senza tema di smentita, forte dell’appoggio dei suoi mandanti e del fatto che i milioni di telespettatori del suo tg, nel 70-80 per cento dei casi, non hanno altri strumenti per informarsi. Resta da capire quale sanzione sia prevista in Italia per i giornalisti che mentono sapendo di mentire. A parte, si capisce, la direzione del Tg1.

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Ex An ed ex di Fi di nuovo in lotta per l’alternativa alla Regione Campania

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CAMORRA DI GOVERNO

asquale Viespoli, oppure un esponente della società civile, che dia un forte segnale di discontinuità con il caso Cosentino. Sono le ipotesi più accreditate nel Pdl sulla candidatura alternativa al sottosegretario dell’Economia in Campania. Perché, al di là della solidarietà di rito e del rinserrare le fila su Cosentino, sono in diversi

ad ammettere che l’ordinanza cautelare lo escluderà dalla corsa alle Regionali. Serve un altro nome, inattaccabile sul piano giudiziario. Il 54enne Viespoli, ex An, sottosegretario di Stato al Lavoro, è il primo della lista. Innanzitutto per il curriculum: sottosegretario al Lavoro anche nel terzo governo Berlusconi, Viespoli fa parte dell’Ufficio di presidenza del

partito. A favorirlo potrebbe essere anche lo spostamento degli equilibri per le Regionali nel Pdl. L’aumento delle quotazioni di Antonio Tajani come candidato nel Lazio per l’ex FI, al posto della sinora favoritissima Renata Polverini, apre varchi importanti per candidature targate An in Campania e Calabria. Non solo: Viespoli sarebbe gradito anche ai

VOTI E VELENI: È COSENTINO

di Enrico Fierro e Marco Lillo

a società Eco4 songh’io”. Così si esprimeva il sottosegretario all’economia Nicola Cosentino mentre parlava con l’imprenditore camorrista Gaetano Vassallo. Il colletto bianco dei casalesi, definito il ministro dei rifiuti del clan Bidognetti, si è pentito e ha raccontato ai pm napoletani che così il politico definiva la società che raccoglie i rifiuti in Campania. Come fosse cosa sua. Vassallo è solo uno dei nove pentiti che tirano in ballo Nick “’o mericano”. Siamo nel 2007, la Campania è sprofondata nei rifiuti, i cassonetti sono in fiamme mentre politici, imprenditori e camorristi vanno all’assalto del nuovo business. Ancora Vassallo: “Raffaele Bidognetti, (reggente del clan omonimo, ndr), riferì che gli onorevoli Italo Bocchino, Nicola Cosentino, Gennaro Coronella e Mario Landolfi facevano parte del nostro tessuto camorristico. Non era la prima volta che sentivo parlare di queste personalità come politici che potevano favorire gli interessi del clan e che per questo stavano a nostra disposizione”. Tutti insieme appassionatamente, Cosentino e il suo rivale, Bocchino, che però non è mai stato indagato. Nelle 370 pagine della richiesta di autorizzazione all’arresto presentata ieri dai giudici napoletani alla Giunta delle autorizzazioni della Camera, che ora si dovrà esprimere, è ricostruita tutta la carriera dell’uomo che Berlusconi voleva mettere alla guida della Campania. In quelle carte c’è anche la spiegazione al giallo del lungo periodo trascorso tra la richiesta dei pm e la decisione del gip. L’arresto è stato proposto per la seconda volta nel febbraio 2009 dopo un primo rigetto. Ma ci sono state ben 4 integrazioni con nuovi verbali d’accusa di pentiti. Una carriera nel segno di Gomorra quella di Cosentino, dagli inizi. Alla prima elezione, negli anni ottanta, ha raccontato Domenico Bidognetti, un boss di prima grandezza del clan, l’enfant prodige della politica casalese è già portato dal clan Bidognetti: “Il padre di Cosentino ci chiese di aiutarlo e in cambio donò cinquanta litri di benzina a testa”. Ma Cosentino era appoggiato anche dall’altro clan casalese, gli Schiavone, diretti da Francesco, alias Sandokan. Alle provinciali del 1990, secondo il cugino pentito Carmine Schiavone, il clan sostiene Cosentino. Stessa musica alle regionali del 1995. Stavolta lo raccontano ben tre pentiti: Dario De Simone, Raffaele Ferrara e Domenico Frascogna. Arriviamo alle elezioni politiche del 2001, i camorristi si mobilitano. Perché, come racconta Gaetano Vassallo, “se cresce lui, cresciamo anche noi”. E va proprio così. Cosentino da consigliere comunale di provincia diventa sottosegretario con deleghe prestigiose, addirittura alle frequenze tv e al Cipe, il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica. Ma cresce nel frattempo anche la camorra che lo appoggia e le sue imprese. A partire dalla famosa Eco4, la società per azioni che gestisce la raccolta dei rifiuti e che per Vassallo, il sottosegretario considera – come detto sopra – cosa sua. Il presidente del Consorzio Ce4, Giuseppe Valente, posto su quella poltrona con accordo bipartisan e con la benedizione di Cosentino, interrogato dai magistrati, racconta una realtà drammatica: “Cosentino voleva che tutto quello che si faceva doveva passare attraverso di lui. Non era pensabile che la Fibe (Impregilo, ndr) potesse realizzare un termovalorizzatore a Santa Maria La Fossa”. Era il periodo in cui tutti parlavano degli inceneritori come via di uscita dall’emergenza rifiuti, il sottosegretario era contrario. Ma poi, spiega Vassallo, quando Sandokan decise per il via libera a Santa Maria, si adeguò immediatamente.

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NICOLA, “IL PADRONE” Il controllo di Eco4 era talmente ferreo che il suo amministratore, Sergio Orsi, intercettato al telefono mentre rispondeva alle lamentele di Cosentino per i ritardi nell’assunzione di un suo raccomandato, diceva all’assessore Franco Mercurio: “Nicola Cosentino è il mio padrone!”. Quello che fa impressione nella ricostruzione dei magistrati è la descrizione di un vero e proprio sistema. Il politico, Nicola Cosentino, comanda sugli imprenditori camorristi che fanno la raccolta dei rifiuti, Sergio Orsi e Gaetano Vassallo, entrambi rendono conto all’autorità primaria: i boss, prima nella persona di Francesco Bidognetti, alias Cicciotto e mezzanotte, e poi, quando

Sono 9 i pentiti che accusano il sottosegretario all’Economia: nei verbali il racconto di un vero e proprio sistema tra affari e rifiuti. Il ruolo di Landolfi

IL GIP: “ERA IL CANDIDATO DEL CLAN DEI CASALESI” Illustrazione di Marco Scalia. Nelle foto a destra, Giulio Tremonti e Nicola Cosentino (FOTO ANSA)

B. lo chiama: “Non ti preoccupare” Ma Fini ci mette una pietra sopra ì, capisco, ma non ti preoccupare” ha “S detto il premier a Cosentino, in una delle prime telefonata ricevute dal sottosegretario. Una chiacchierata secca, dove Berlusconi gli ha anche fatto capire che la situazione non è ancora pregiudicata, ma certo, sì, è più complicata. A partire dalle dichiarazioni di Gianfranco Fini: “Valga la presunzione d'innocenza ma la sua candidatura non è più nel novero delle cose possibili”. Differente la posizione di Ghedini: “Ha sempre svolto con passione ed onestà l’attività politica. Tutto ciò serve solo a screditarlo e impedire una fisiologica e ottima candidatura alla guida della regione Campania”. Angoli opposti del ring. È la storia di Cosentino, generare tali divergenze, come sa bene anche il Pd: ottobre 2008, le notizie sui rapporti tra i clan Casalesi e l’importante uomo politico sono già noti. Walter Veltroni, allora leader del Pd, rilascia una dichiarazione di fuoco. “Cosentino è bene che si dimetta”. Silenzio. Passano tre mesi e alla Camera viene presentata una mozione di sfiducia contro Cosentino. Primo firmatario Antonello Soru, capogruppo del Pd. Finisce male. Laura Garavini, alla sua prima esperienza da parlamentare impegnata sui temi della lotta alle mafie, pone una domanda all’Aula. “In un paese democratico, può un rappresentante del governo continuare a ricoprire un incarico così

delicato nonostante gravino su di lui sospetti di collusione con clan criminali?”. Parole al vento, che i parlamentari non ascoltano neppure. E la mozione viene bocciata: 236 no, 138 sì, 33 astenuti. Sono passati solo tre mesi dall’appello di Veltroni. A votare a favore sono 105 deputati del Pd, 22 sono assenti (tra questi D'Alema, lo stesso Veltroni e Bersani), 7 sono in missione. La lotta ai rapporti tra camorra e politica non è proprio al primo posto dell’agenda. Ma è il computo degli astenuti e dei voti contrari a riservare più d’una sorpresa. Perché sono ben 26 i deputati del Pd che decidono di non schierarsi contro Nick Cosentino (tra questi Parisi, Cuperlo, Bachelet, Madia), due (Sposetti e Capano) votano contro, 47 decidono di non partecipare al voto. Quel voto specifico, visto che dopo su votazioni che impegnano l'Aula su altri tempi, faranno rientro e voteranno. Lanfranco Tenaglia, all’epoca ministro ombra della Giustizia del Pd, lascia l’Aula per “altri impegni”, Enzo Carra, invece, si astiene. “Dobbiamo essere garantisti, la richiesta di dimissioni dal governo è talmente grave che va sostenuta da un impianto solidissimo”, commenta più tardi. Per Giovanni Bachelet, invece, l’astensione è giustificata dal fatto che “la richiesta di dimissioni è velleitaria, sproporzionata”, manca “una inchiesta giudiziaria”. Insomma, il Pd sconfessa Vel-

troni, il suo capogruppo Soro e salva Cosentino. Che stringe mani e si congratula. Da quel momento Nick “o mericano”, potrà iniziare la sua corsa verso la poltrona più alta della Campania. Giù a Caserta, a Casal di Principe, militanti ed elettori del Pd, soffrono in silenzio. Da anni gente come Lorenzo Diana, ex senatore e nemico giurato dei Casalesi (vive sotto scorta), Renato Natale (unico sindaco comunista di Casale, secondo i piani dei “casalesi” doveva essere ucciso fingendo un incidente stradale), lottano contro la camorra e i suoi rapporti con la politica. Resteranno delusi. Ancora di più alle elezioni europee, quando, per lanciare un chiaro messaggio di lotta ai clan della camorra, il Pd sceglie un candidato simbolo: Rosaria Capacchione. La giornalista minacciata dalla camorra. Capolista e.f. per l’intero sud non verrà eletta.

Gennaio 2009, alla Camera c’è una mozione di sfiducia: non passa anche per il Pd


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CAMORRA DI GOVERNO sostenitori di Cosentino. Tanti, potenti e trasversali a FI e An. Uomini come il presidente della provincia di Napoli, il deputato Luigi Cesaro (ex FI) e il presidente della provincia di Salerno, Edmondo Cirielli, ex An. Aperti all’ipotesi Viespoli, nettamente contrari alla candidatura di Stefano Caldoro. L’ex ministro all’Attuazione del programma, ora deputato, è

appoggiato dal finiano Italo Bocchino e da Mara Carfagna, rivali storici di Cosentino. La sua candidatura sarebbe quindi un totale cambio di rotta rispetto a quella del sottosegretario. Una virata troppo vistosa per i maggiorenti del Pdl in Campania, e che per di più all’esterno verrebbe percepita come una netta presa di distanza dal sottosegretario all’Economia.

“Serve un’altra soluzione, più condivisa”, ragionano alcuni. Che non chiudono la porta a una candidatura non politica. In quest’ottica, torna d’attualità il nome di Giovanni Lettieri, presidente dell’Unione industriali di Napoli, da tempo corteggiato dal centrodestra. Lettieri, fondatore della società per azioni “Investimenti e sviluppo del Mediterraneo”, è noto anche

come promotore del “Patto per la legalità”, in base a cui l’Unione industriali si costituisce come parte civile in tutti i processi contro gli estorsori. A sostegno della sua candidatura a presidente della regione Campania esiste anche un gruppo su Facebook, con oltre 800 iscritti. Tutti in fiduciosa attesa. Luca De Carolis

L’UOMO DI GOMORRA questo cade in disgrazia, direttamente il capo supremo, Sandokan. La società Eco4 e tutto il sistema dei consorzi, sono solo le ruote ma alla guida c’è la politica camorrista. La società Eco4 per il gip di Napoli Raffale Piccirillo, è quindi semplicemente “un’impresa mafiosa”. E Cosentino le ha delegato la raccolta dei rifiuti e la gestione degli appalti. Se è chiaro quale sia il guadagno della camorra, cosa ne ricava il politico? Sono tre le contropartite individuate dai magistrati. Innanzitutto le assunzioni per i propri amici, dai posti dirigenziali all’ultimo netturbino; poi il voto a tutte le tornate elettorali. Infine, e questa è la pista ancora da esplorare, i soldi. Secondo il pentito Vassallo, il politico sarebbe stato socio occulto di un’azienda della galassia Eco4. Sul sistema di raccolta dei voti è impressionante il racconto di Michele Orsi, ucciso un anno dopo queste dichiarazioni: “Io e mio fratello Sergio ci sentivamo persone importantissime, prima dell’arresto, io mi sentivo talvolta un Dio, controllavo fino a 250 dipendenti e i loro familiari, voti”. “L’Eco4 - racconta sempre Orsi - si rivelò una società che faceva comodo a tutti: circa il 70 per cento delle assunzioni erano inutili ed erano motivate per lo più da ragioni politico-elettorali, richieste dal presidente Giuseppe Valente, da Nicola Cosentino e dall’onorevole Mario Landolfi”. Ovviamente i politici locali volevano la loro parte: “Vi erano poi alcune assunzioni che furono motivate dalla necessità di assecondare gli interessi delle amministrazioni comunali, utili per ottenere gli affidamenti degli appalti”. Così Orsi descrive il sistema Cosentino: “Ricordo ad esempio le assunzioni di Picone Nicola, vicesindaco di Trentola, e quella di Oliviero, consigliere di Villa Literno, entrambe richieste dall’on. Cosentino”.

trollati attraverso la Eco4 era persino superiore a quello della GMC, potendo contare su circa 250 dipendenti e loro familiari”. Per non parlare dei consiglieri di amministrazione nominati nei consorzi, come il CE4, controllati dalla politica, essendo questi ultimi società miste pubblico-privato. Ancora Orsi: “I politici si spartirono il consiglio di amministrazione: ricordo che l’on. Mario Landolfi scelse quale componente del Cda dell’Eco4 D’Alonso. Mentre Cosentino individuò il suo uomo nel sindaco di San Nicola la Strada”. Nulla di male se almeno i nominati avessero usato le loro poltrone non solo per percepire lauti guadagni e fare assunzioni. Continua Orsi: “L’andamento gestionale della società rimase sostanzialmente nelle mie mani e in quelle di Sergio e di fatto l’Eco4 faceva capo a noi ed era da noi controllata”. Ovviamente la Eco4 e il Ce4 stavano stretti al gruppo casalese. Dice Vassallo: “Il progetto di Sergio Orsi era volto ad appropriarsi di tutti i consorzi dell’area casertana aggiungendo al Consorzio CE4 che già sostanzialmente dipendeva da lui, i consorzi CE1, CE2, CE3. Cosentino, all’epoca coordinatore provinciale di Forza Italia, controllava tutti i consorzi e Sergio si rivolse a lui per perorare il suo interesse a espandersi”. Cosentino aveva tutto l’interesse ad appoggiare l’ascesa delle società dei clan. Secondo Vassallo, infatti, il suo ritorno non sarebbe stato solo di politico: “Faccio presente che Cosentino, per quel che mi disse Sergio Orsi per dimostrarmi la solidità del suo legame con il politico, aveva una quota azionaria all’interno della srl Enterprais, società acquirente di quote della Flora Ambiente a dire dell’Orsi, attraverso il prestanome Luigi Caterino”. I carabinieri hanno verificato alla Camera di commercio. “Enterprais Srl, ha tra i suoi proprietari, la Florambiente Srl – che detiene il 50%, e Caterino Luigi, nato a San Cipriano D’Aversa che ha il 47%”. LE GARANZIE DI FORZA ITALIA I pentiti che lo accusano però non si occupano soltanto degli affari dei rifiuti. A sentir loro il rapporto di Cosentino con i casalesi sa-

CHIESA E VOTI E la Chiesa? Ce n’è per tutti. “Sempre Cosentino - prosegue Orsi - ci richiese l’assunzione di due nipoti del Cardinale Crescenzio Sepe, da noi regolarmente attuate. Faccio presente che molte delle assunzioni, quali ad esempio quelle di Picone e Oliviero, erano non solo inutili ma sostanzialmente fittizie, dato che questi praticamente non svolgevano alcuna attività continuativa”. La gratitudine per Cosentino non si esprimeva con un pacco a Natale ma con una scheda alle elezioni. Racconta sempre il solito Orsi (prima di essere ucciso): “Posso dire che, attraverso il controllo di una sola società, la GMC, disponevamo di un pacchetto voti pari alle 60 unità impiegate, in aggiunta ai loro familiari; ma il nostro sostegno principale era la nostra partecipazione attiva durante i comizi, le cene elettorali e gli incontri (...) .Il bacino di voti con-

Appalti in cambio di assunzioni, specie in periodo elettorale: “segnalati” anche due nipoti del cardinale di Napoli, Crescenzio Sepe

Un “amico degli amici” al Tesoro E Tremonti nicchia sul suo vice di Francesco Bonazzi

e Stefano Feltri un film già visto, al Tesoro, E’ quello del sottosegretario che finisce nei guai per mafia. Era il 25 aprile del 1999 quando il mastelliano Stefano Cusumano, per gli amici “Nuccio”, finì in manette con l’accusa di essere un uomo a disposizione dei clan catanesi. A Palazzo Chigi c’era Massimo D’Alema, ma soprattutto al ministero c’era un signore per bene come Carlo Azeglio Ciampi. Il futuro presidente della Repubblica non ebbe un secondo di esitazione e tolse ogni delega al suo sottosegretario. Cusumano è stato poi scagionato dall’accusa di concorso esterno con la mafia (mentre da una condanna per turbativa d’asta l’ha salvato la prescrizione), e ha anche fatto a tempo a passare nuovamente alle cronache politiche nel gennaio del 2008, quando un compagno di partito (Udeur) gli sputò addosso in Senato urlandogli “frocio, checca, squallido mafioso” solo perché si era ri-

fiutato di tradire l’agonizzante governo Prodi. Dieci anni fa, però, Ciampi non ebbe dubbi nel decidere che un indagato per mafia non potesse occupare serenamente una poltrona di governo al Tesoro. Chissà invece che cosa starà pensando oggi il suo erede Giulio Tremonti, gran fustigatore di pubblici costumi e “cleptocrati di Stato”, molto duro ai tempi dell’affaire della cocaina al ministero (l’imbarazzante caso Micciché-Martello). Ieri, a Bruxelles, il tributarista di Sondrio si è nascosto dietro un dito: “Non è che non voglia parlare di Cosentino, ma davvero oggi conta solo l’Europa”, ha detto ai cronisti delle agenzie. E amen. Ma Tremonti sapeva da tempo con chi aveva a che fare e lo teneva alla larga. Cosentino non ha deleghe decisive: nel 2008 sembrava potesse toccargli quella alla Finanziaria, ma è andata al viceministro Giuseppe Vegas. A lui è rimasto il compito di fare da raccordo tra il ministero dell’Economia e il Cipe, il comitato interministeriale

rebbe ben più stretto. Serrato anche da legami familiari. Cosentino infatti, come era già noto, è cognato di un boss, Giuseppe Russo, detto “O padrino”, arrestato in Germania nel 2003. Finora però, ogni volta che qualcuno rinfacciava la parentela, il sottosegretario rispondeva per le rime sostenendo che era poco più di una casualità. Leggendo le carte dell’inchiesta si scopre, ora, che non la pensa così Michele Froncillo, esponente del clan Belforte: “Quando fu arrestato Peppe ‘o padrino’, gli è subentrato il fratello Massimo, attraverso il cognato: l’onorevole di Forza Italia, Nicola Cosentino”. Ancora più pesante e circostanziata l’accusa del pentito Dario De Simone, rilasciata nel 1996, finora solo in parte nota: “L’onorevole Cosentino, consigliere regionale in carica presso la Regione Campania e anche assessore, ha sposato Marisa Esposito, nipote di Gaetano De Cristofaro, il cugino della moglie di mio fratello Aldo. Ho trascorso una parte della latitanza a casa di Gaetano De Cristofaro, in Trentola Ducenta e molto spesso mi sono incontrato in quell’abitazione con l’avvocato Cosentino Nicola anche durante il suddetto periodo” Quindi l’allora consigliere Regionale incontrava un latitante a casa di un lontano cugino comune. Non solo, sempre a detta del pentito, gli chiedeva anche il voto: “In occasione delle elezioni regionali del 1995 Cosentino Nicola mi chiese espressamente di aiutarlo nell’imminente campagna elettorale … Il Cosentino mi riferì tra l’altro che la vittoria della coalizione di Forza Italia avrebbe sicuramente comportato un alleggerimento della pressione nei nostri confronti e in particolare si riferiva alle disposizioni di legge sui collaboranti di giustizia”. Il boss Domenico Bidognetti ha ricordato l’appoggio del suo clan dagli esordi del politico. E ha raccontato: “Ho conosciuto personalmente l’onorevole Cosentino, in quanto sin da piccolo ho frequentato la sua famiglia e in particolare i fratelli minori (...) Il, padre dell’onorevole, che conoscevo personalmente, durante una campagna elettorale negli anni ’80 ha regalato buoni di 50 litri di carburante a chi gli assicurava che gli avrebbe votato il figlio”. Invece la moglie del boss, Cicciotto Bidognetti, Anna Carrino, ha raccontato che il genero di Cicciotto, su suo incarico, andò a casa di Cosentino per chiedergli di aiutare il figlio del boss Raffaele Stolder, recluso, a entrare nell’esercito.

per le infrastrutture, e al personale. E finora non ha lasciato tracce indelebili del suo passaggio da via XX Settembre. Nelle ultime settimane il ministro dell’Economia, però, ha un po’ abbassato la guardia. L’anno scorso, quando venne fuori che una cinquina di pentiti della camorra stava parlando non troppo bene del suo collega Cosentino, Tremonti si affannava a prenderne le distanze con tutti coloro, amici leghisti in testa, che gli chiedevano un giudizio. “Lo vedo poco, al ministero com’è noto non amo troppo delegare e con me uno così non tocca palla”, ripeteva il ministro. E liberarsi politicamente, e non giudiziariamente, di un signore sospettato di essere a disposizione dei Casalesi? “Sono un garantista, ma il paragone con Cusumano non regge perché Cosentino, che io sappia, manco è indagato”. Ancora recentemente, Tremonti spiegava, non senza qualche imbarazzo, che “lo stesso Cosentino aveva offerto subito le dimissioni, ma senza neppure

un avviso di garanzia come si fa ad accettargliele?”. E, alla fine di settembre, a Napoli, Tremonti spiegava in pubblico: “Nicola è l’uomo più importante, vorrei che continuasse a lavorare con me ma è probabile che non riesca a trattenerlo”. Alludeva però alla candidatura alla guida della Campania, non ai problemi giudiziari. Ma ora c’è una richiesta d’arresto e si suppone che un avviso di garanzia ci fosse già da qualche settimana. O no? Forse a trarre in inganno Tremonti e il suo più fidato consigliere, quell’onorevole Marco Milanese che è eletto in Campania e con Cosentino aveva stretto un patto di ferro sul territorio, è stata proprio questa “inazione” della procura napoletana. In via XX Settembre dovevano aver pensato che ormai “don Nicola” l’avesse sfangata, la frana giudiziaria, e allora sono arrivati gli onori. Coinvolto politicamente nella creazione della “Banca del Mezzogiorno”, creatura tremontiana della quale Cosentino è un grande fan

IN PARLAMENTO

di Peter Gomez

DALLA CASTA ALLA COSCA a solidarietà espressa nei confronti di Nicola Cosentino da Silvio Berlusconi e dagli altri maggiorenti del Pdl dimostra come la nostra politica sia passata dalla Casta alla Cosca. Il principio di elementare prudenza che porta, nelle democrazie mature, a escludere ed emarginare chi ha amicizie discutibili, chi tiene comportamenti non trasparenti, in Italia non scatta mai. Eppure rappresentare gli elettori non è un semplice diritto: è un onore, ma anche un onere. Il garantismo deve valere nelle aule di tribunale, dove l’imputato va condannato solo se è colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio. In politica e nella società civile invece deve prevalere il buon senso. Per questo in Sicilia la Confindustria espelle non solo i collusi, ma anche chi paga il pizzo: imprenditori che la legge non considera complici, ma vittime. I partiti dicono invece di attendere le sentenze. E continuano a demandare agli “odiati” giudici il compito di selezionare le classi dirigenti.

L

(“una felice intuizione del ministro”, squittì il 15 ottobre a Napoli, mettendoci su il cappello), il vero orgoglio romano di Cosentino è stato l’inserimento nella famosa “cabina di regia” per l’economia – da lui stesso sostenuta come mediazione – con cui Giulio Tremonti ha salvato la poltrona dagli

appetiti dei vari Scajola, Fitto, Micciché e Fini. Ed è stato uno spettacolo memorabile, nei giorni in cui il Pdl sembrava volesse fare nuovamente la forca al suo “supergenio” dell’Economia, vedere Cosentino e Milanese andare a trattare con Denis Verdini e Gasparri per conto di Tremonti. Un vero onore.


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IL DOSSIER

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“Cosentino? Non solo, anche Landolfi e Bocchino facevano parte del tessuto camorristico”. Le accuse dei pentiti –ma il sottosegretario è l’unico ad essere indagato. La guerra tra bande e il sistema bipartisan del potere a “Gomorra”

SOLDI, SANGUE E RIFIUTI: ONOREVOLI CASALESI “R di Antonio Massari

AFFAELE BIDOGNETTI riferì che gli onorevoli Italo Bocchino, Nicola Cosentino, Gennaro Coronella e Mario Landolfi facevano parte del nostro tessuto camorristico”: era l’estate del 2008 quando Gaetano Vassallo, uomo legato al clan Bidognetti, iniziava le sue rivelazioni tirando in ballo l’ex numero uno di An in Campania, il sottosegretario all’Economia - che al momento è l’unico indagato - , il senatore Pdl di Casal di Principe e il coordinatore vicario in Campania per il partito del premier. Tutti respingono le accuse. Ma da allora, i “pentiti” che parlano di camorra e politica, sono diventati sei. Parole inquietanti. Cosentino - che è anche coordinatore regionale del Pdl in Campania - è un referente del clan dei Casalesi, un concorrente esterno: questo sostiene l’antimafia di Napoli. E quindi: la piovra di “Gomorra” è cresciuta. I suoi tentacoli hanno afferrato le poltrone di governo. E il triangolo della camorra – Casal di Principe, San Cipriano d’Aversa, Casapesenna – s’è trasformato in una

PROVINCIA DI NAPOLI

capitale della politica. Il tutto ruota intorno a soldi, sangue, immondizia. E a un immenso potere. In questa storia, se fosse dimostrata, dovremmo focalizzare delle scene. Gli uomini che ci governano frequentano gli ambienti di cruenti criminali: i Casalesi. Gente con le mani sporche di sangue. Alcuni li ricevono in casa. Con altri spartiscono tangenti. Gestiscono insieme l’affare dei rifiuti. Cercano e ottengono i loro voti. Per ora è soltanto un’ipotesi d’accusa, ma è da tempo, ormai, che la procura di Napoli lavora su questo scenario. Cercava riscontri alle dichiarazioni dei pentiti che da almeno un anno, alcuni addirittura da dieci, stanno svelando il secondo livello, quello politico, del clan dei Casalesi. A quanto pare, quei riscontri, li avrebbe trovati. Se i pentiti parlano, però, e se dicono il vero, allora diventa inquietante un altro “dettaglio”: il silenzio dell’opposizione in questi anni. Altro “dettaglio” interessante: pure l’ex presidente della provincia di Caserta, il rutelliano Sandro De Franciscis, è stato travolto dagli scandali legati alla camorra. Nelle intercettazioni del suo braccio destro, Anthony Acconcia, la polizia giudiziaria ha sentito frasi sospette, legate alla presenza dei clan. Non solo. Sono risultati poco chiari gli affari di alcune ditte,

di Vincenzo Iurillo

CLAN E MOZZARELLA: LE DOTI DEL DEPUTATO CESARO L

uigi Cesaro. Vanta un appellativo curioso: onorevole mozzarella. Perché almeno una volta ogni due mesi il parlamentare 57enne rifornisce le ville di Silvio Berlusconi di una ventina di chili di latticini. Anche così si entra nelle grazie del Cavaliere, che nel gennaio scorso lo ha investito della candidatura a presidente della Provincia di Napoli. Elezioni vinte facilmente contro un centrosinistra locale depresso e in frantumi. Cesaro, che da presidente della terza provincia d’Italia non si è dimesso da deputato e nemmeno da coordinatore provinciale del Pdl, è stato in passato consigliere comunale, assessore, sindaco, eurodeputato. È laureato in giurisprudenza e fa parte di una famiglia di Sant’Antimo, comune a nord di Napoli, che gestisce in loco un grande centro diagnostico, impianti sportivi, ditte edili, un albergo a quattro stelle che qualche mese fa ha ospitato il Milan. La relazione prefettizia che nel 1991 determinò lo scioglimento del Comune di S. Antimo per infiltrazioni camorristiche accertò il coinvolgimento di Cesaro e di due suoi fratelli nelle vicende oscure dell’amministrazione. Su Cesaro i sospetti di collusioni con la camorra si sono aggravati in seguito alla diffusione dei verbali di Gaetano Vassallo. Secondo Vassallo, uno dei sei pentiti che accusa Nicola Cosentino, Cesaro sarebbe stato vicino al clan di Francesco Bidognetti. I contatti sarebbero avvenuti in occasione dei lavori di riconversione degli stabilimenti della Texas di Aversa. “In quell’occasione – dice il pentito - si era quantificata la mazzetta che il Cesaro doveva pagare ai clan. Inoltre gli stessi avevano parlato con il Cesaro per la spartizione degli utili e dei capannoni che si dovevano costruire a Lusciano attraverso la ditta del Cesaro sponsorizzata dal clan Bidognetti”. Vassallo riferisce anche di un incontro tra il parlamentare e Luigi Guida, detto ‘o Drink’, un elemento di primo piano del clan Bidognetti. “Attacco vigliacco, non conosco il signor Vassallo” fu la replica di Cesaro, che annunciò querela contro il pentito.

legate al boss Peppe Setola, l’ala stragista del clan. De Franciscis non è mai risultato indagato, ma il punto non è giudiziario, bensì politico: l’opposizione sapeva oppure no, della crescita esponenziale dei Casalesi, e dei loro affari “pubblici”? E se lo sapeva, perché non ne ha parlato? Al momento, De Franciscis, ha lasciato la politica. Ora ricopre un incarico prestigioso: presiede il “bureau medical” di Lourdes, che si occupa di valutare, in maniera scientifica, le miracolose guarigioni. Ma di miracoloso, a questo punto, nel triangolo della camorra, non resterebbe che un dato: il pentimento di alcuni Casalesi. Che stanno facendo luce sui colletti bianchi.

VASSALLO: L’AFFARE È ORA DI QUELLI DI SANDOKAN La versione di Vassallo, quella dell’estate 2008, è interessante perché spiega l’assetto politico-mafioso: il “livello politico”, rappresentato da Cosentino, si sarebbe adeguato alla geografia criminale. Siamo nel settore dei rifiuti. A detta di Vassallo, la società “Eco4”, era controllata da Cosentino e anche “l’onorevole Landolfi aveva svariati interessi in quella società”. Vassallo parla di tangenti da 50 mila euro, consegnate a Cosentino, nella sua casa di Casal di Principe, dall’imprenditore Sergio Orsi. Dice di aver visto la scena con i suoi occhi. Parliamo dello stesso Orsi che fu poi ammazzato dal clan Bidognetti. Ma soprattutto, Vassallo, racconta che gli accordi politici, presi con il clan Bidognetti, vengono meno: mutano in ossequio alle strategie dei clan, ai rapporti di potere mafiosi, che vedono salire le quotazioni degli Schiavone e precipitare, invece, proprio quelle dei Bidognetti. “Avevo sostenuto Cosentino anche nelle elezioni del 2001 (…)”, dichiara Vassallo nell’agosto 2008. “Subito dopo le elezioni, telefonai personalmente all’onorevole Cosentino (…) e gli dissi “Onorevole, vi devo chiedere una cortesia”. Mi fissò un appuntamento presso la sua abitazione in Casal di Principe (…). In quell’occasione chiesi all’onorevole Cosentino d’essere inserito nella compagine del Consorzio pubblico CE/4, che a sua volta faceva parte della società mista Eco/4 (…). “L’onorevole – continua Vassallo – mi disse che, a causa dei miei precedenti penali e poiché erano ‘cambiate alcune situazioni’, non poteva aiutarmi. Mi specificò di essere dispiaciuto di dirmi di no, perché io ero un suo ‘buon elettore’. (…). Insistetti nella mia richiesta, perché tenevo molto a non rimanere fuori dalla gestione dei rifiuti, anche perché una mia esclusione significava perdita di prestigio, sia a livello imprenditoriale, sia a livello di ‘sistema’. Per ’sistema’ intendo gruppo criminale-camorristico. L’onorevole Cosentino mi spiegò, vista la mia palese delusione, quali erano le vere ragioni del suo diniego, e quindi della mia esclusione dal Consorzio”. La spiegazione fornita da Cosentino, secondo Vassallo, è la seguente: “Mi spiegò (…) che ormai, gli

interessi economici del clan dei Casalesi, si erano focalizzati, per quanto riguarda il tipo di attività in questione, nell’area geografica controllata dagli Schiavone (…) e che, pertanto, il gruppo Bidognetti era stato ‘fatto fuori’, perché non aveva alcun potere su Santa Maria La Fossa; ne derivava la mia estromissione. (…) L’affare Consorzio CE4/ECO4, nato per favorire il clan Bidognetti, era diventato un ‘affare’ del gruppo Schiavone”. Ma come stanno andando, in questo momento, gli affari dei Casalesi? Nonostante l’intervento dello Stato, le perdite, per le famiglie Iovine e Zagaria, sono state meno ingenti. Michele Zagaria e Antonio Iovine, le due primule rosse, sono ancora potenti. Gran parte dei guadagni, ormai, sono stati investiti nell’economia “legale” di altre regioni: Emilia, Toscana, Lombardia, Lazio, persino Sardegna. L’impero dei Casalesi, ora, è soprattutto loro. Per gli Schiavone, invece, gli affari non vanno più bene come prima.

NICOLA PANARO, PROFESSIONE CONTABILE Ottobre 2008: un centinaio di arresti, effettuati tra carabinieri e polizia, tra i quali molti capi zona, furono un brutto colpo per il clan. Che però resta in piedi, ancora ben saldo, sotto la guida di un reggente: Nicola Panaro, tra i primi 30 latitanti italiani, ritenuto dagli investigatori, ormai, un boss equiparabile ai capi dei capi, Antonio Iovine e Michele Zagaria. Panaro è diventato sempre più potente grazie alla gestione economica del clan: secondo gli investigatori è lui il contabile degli Schiavone, un clan che ogni mese “deve” sborsare 900 mila euro di stipendi, che oscillano, nella gran parte dei casi, tra i 1000 e i 4000 euro. Le attività sono sempre le stesse: estorsioni, innanzitutto, poi affari nel “movimento terra”, nell’edilizia, nello smaltimento dei rifiuti. Affari chiusi anche nel resto d’Italia. Polizia e carabinieri continuano la loro opera di contrasto. E

Le grandi famiglie criminali si mandano messaggi a colpi di kalashnikov L’ala militare e il prezzo della strategia stragista


Mercoledì 11 novembre 2009

uy PROCESSO “SPARTACUS”: OLTRE 115 PERSONE SOTTO ACCUSA xvy 27 GLI ERGASTOLI OLTRE 750 GLI ANNI DI GALERA xwy NEL PERIODO STRAGISTA DEL 2008: 17 MORTI IN SOLI CINQUE MESI xxy GLI SCHIAVONE: 900 MILA EURO DI STIPENDI AL MESE x

I boss a processo nell’illustrazione di Luca Zanenga. Sotto un’immagine del film “Gomorra”

Casal di Principe trasformata in una piccola capitale della politica: i voti scambiati, il business delle discariche, i colletti bianchi e sporchi a volte sembra d’assistere al gioco del gatto con il topo. Il 3 novembre, su mandato del questore di Caserta, Guido Longo, vengono chiusi due bar a Casal di Principe: erano frequentati da pregiudicati. Poche settimane prima, il 13 ottobre, ne erano stati chiusi altri due. Sono piccoli, importanti segnali della guerra quotidiana dello Stato a “Gomorra”, dove la zona grigia, il confine tra legalità e illegalità, è però ancora troppo labile. Da una recente inchiesta, condotta dalla procura di Napoli, e dai carabinieri di Caserta, tornano a galla storie che risalgono al 2006. Un carabiniere ferma per strada Oreste Iovine, nipote del boss latitante Antonio Iovine, detto “o ninno”, per avvertirlo di non frequentare una sala giochi dove era previsto l’intervento dei militari. Il carabiniere gli chiede d’avvertire il figlio del boss: “Perché dovrei fare uno sgarro alle famiglie tue?”, avrebbe detto al nipote di ‘o ninno. I carabinieri di Caserta, guidati dal comandante Costantino Airoldi, il militare che catturò Setola, scoprono persino che ‘o ninno, in qualche modo, è entrato in contatto anche con un uomo legato ai servizi segreti, che opera su Roma.

GIUSEPPE SETOLA E GLI ALTRI IMPUTATI Il 3 novembre, l’aula bunker di Santa Maria Capua a Vetere, si riempie d’un rumore freddo – porte d’acciaio e chiavistelli – che anticipa l’arrivo dei Casalesi di “Gomorra”. Qui diventa chiaro: l’impero criminale raccontato da Roberto Saviano è in costante trasformazione. L’esercito dei camorristi ha già patito la sua “Norimberga” con il processo Spartacus, a partire dal 2005, e gli equilibri mutano. La disfatta si vede sul piano militare: quest’aula bunker, nella prima udienza d’un processo stralcio, lo dimostra: 38 imputati di estorsioni, tentati omicidi, evasioni, rapine, riciclaggio. Ventidue sono detenuti: soltanto un anno fa sembravano bestie impazzite, dal 2 maggio al 5 ottobre 2008 il clan ammazzò 17 persone, sei immigrati africani furono uccisi in un colpo solo, nella strage di Castel Volturno. Oggi quel

clan può contare, secondo gli investigatori, su una sessantina di soldati. Non di più. La mandria selvaggia, che al suo passaggio lasciava decine di morti, ora procede ordinata: nell’aula bunker. I loro passi si fermano nelle gabbie. Le mani stringono le sbarre. Il boss Giuseppe Setola, l’ex comandante, è il più silenzioso di tutti. Tredici capi d’imputazione in questo solo processo. La sua è una cella dentro la cella: un riquadro sfocato, nel dispositivo per l’audio conferenza, lo ritrae dal carcere di Opera, a Milano, e a malapena s’intravede il viso. Setola: la mente stragista. Ha appena compiuto 39 anni, molti li ha già trascorsi in carcere, altri li ha vissuti da latitante, il resto li passerà all’ergastolo. Resterà nella storia criminale per essersi beccato, da capo di camorra, anche l’accusa di terrorista, al prezzo d’una ventina di lapidi scolpite in pochi mesi. Una disfatta. Per il clan Bidognetti, i tempi d’oro di “Gomorra”, sembrano lontani. Decine di arresti. Molti pentiti. Sempre meno soldi. A quanto pare, già nell’estate 2008, il clan Bidognetti aveva seri problemi di liquidità. Anche per questo, Setola, dopo la sua evasione, sparava e ammazzava: era il suo marketing. Un pentito di rilievo, Oreste Spagnuolo, racconta agli inquirenti il sistema di potere, gli stipendi, le esigenze di cassa: “Il clan, prima dell’evasione di Setola, si trovava in un periodo stagnante (…). Evase quando ritenne che la gestione del clan non lo convinceva (…). La strategia di Setola fu evidente, decise di incutere terrore sul territorio e uccidere i familiari dei pentiti (…). Non v’era alcuna possibilità di discutere delle sue scelte (…). Il clan si strinse attorno al Setola, che scelse Alessandro Cirillo, Giovanni Letizia e me (…). Eravamo noi quattro a fare tutto, ma ovviamente avevamo una rete di persone che agivano per noi, una dozzina di persone; alcuni di questi erano affiliati – stipendiati per poco meno di 2000 euro al mese – e altri erano semplicemente “a disposizione” (…). La cassa era gestita direttamente da Setola, e ammontava a 90 mila euro al mese (…). Setola decise d’attuare questa strategia di terrore (…) il capo disse che era stata autorizzata dal capo detenuto, Francesco Bidognetti; pochi mesi fa, quando erano stati già consumati molti omicidi, il figlio di “Cicciotto”, Gianluca Bidognetti ci disse (…) che non aveva mai visto il padre così contento come lo era allora. Peppe Setola s’occupava personalmente di far recapitare una quota destinata alla famiglia Bidognetti – ossia al padre Cicciotto e ai figli Aniello e Raffaele, tutti detenuti (…). A “Cicciotto” venivano recapitati 5000 euro mensili, mentre ai figli Aniello e Raffaele venivano dati 3500 euro ciascuno (…)”.

Schiavone, ma del clan Bidognetti. Siamo al corto circuito. I tre estorsori muoiono ammazzati. Secondo l’accusa, gli assassini sono affiliati del clan Schiavone. Ed è lo stesso Corvino, intercettato dalla polizia, a paventare l’idea di una guerra. Parlando con gli amici domanda “chi siano, e quanti siano, gli adepti del gruppo Bidognetti ancora in grado di impugnare le armi e affrontare uno scontro”. “Se succede una guerra, chi ci sta?”, chiede Corvino. “Antonio, a fianco a te chi ci sta? Ma come cristiano positivo che ha racimolato qualcosa per menare le botte a chi teniamo?”. L’intera vicenda, quindi, crea problemi al clan Schiavone: perde cinque uomini, tre uccisi e due arrestati, che si aggiungono alle centinaia arrestati nell’ottobre 2008. Il peggio, però, è che qualcuno inizia a collaborare con lo Stato.

BIDOGNETTI IN CRISI PER ARRESTI, LOTTE E MANCATI INTROITI Secondo la Dda di Napoli, dalle conversazioni intercettate a maggio, emerge che il clan Bidognetti “versa in una profonda crisi per svariate ragioni”. Eccole. Primo: le imprese criminali di Setola hanno attirato le attenzioni delle forze dell’ordine. Lo “sfogo” di Antonio Caterino, uomo del clan Bidognetti, è chiaro: “Peppe (Setola, ndr) ha avuto la distruzione, la distruzione di massa (…) devo andare a fare io la guerra?”, dice, intercettato dalla Polizia. “E tu che dici, vuoi venire insieme a me? Andiamo…chi dobbiamo uccidere, chi ci apre la porta? (...) ti devi far dare i soldi dalla gente… eh, ma solo io non posso combattere…ci dobbiamo chiudere…e ci dobbiamo armare…”. Secondo: il clan è decimato dagli arresti. È sempre più difficile reclutare nuove leve. Dice sempre Caterino: “Stanno i guaglioni, chi ci sta? …no, adesso mi faccio tutto quanto io…e ce la posso mai fare?… Solo io a battermi, come Mussolini…”. Terzo: le difficoltà nel raccogliere le estorsioni e “l’incapacità di versare gli stipendi a tutti gli affiliati”. Proprio questo, annotano gli inquirenti, è l’elemento più esplosivo: gli affiliati, “venuto meno il vincolo associativo, che li legava al clan di appartenenza, proprio a causa della mancata corresponsione degli stipendi, potrebbero dare vita a una forte conflittualità, se non addirittura una vera e propria guerra”. Caterino, intercettato, confesserà ai suoi interlocutori che, a fronte di una “previsione di cassa pari a 250 mila euro”, riescono a incassarne soltanto 50 mila. È questa la situazione in cui versa il clan Bidognetti, quando il giudice Lello Magi apre l’udienza.

BUSINESS MONNEZZA: E LA POLITICA DICE (O FINGE) DI NON SAPERE

Un’inchiesta condotta dalla Guardia di finanza e dal pm, Roberto Lenta, della procura di Nocera Inferiore, però, sta svelando l’esistenza di una sorta di “banca nera” dei Casalesi, che porta proprio a un fedelissimo di Setola, l’“insospettabile” Gabriele Brusciano. Secondo gli investigatori, Brusciano favorì la latitanza di Setola con soldi e automobili, e la “banca”, scoperta dall’inchiesta “Woody Cash”, disponeva di 85 milioni di euro, frutto di una maxi frode, realizzata, da una quindicina di società, nella provincia di Salerno. L’indagine ha inferto un altro colpo alle casse e alla forza del clan. Sono stati scoperti altri appalti, vinti da ditte legate a Setola, nel salernitano. Ora che il boss è in isolamento, e i suoi sergenti sono dietro le sbarre, la situazione è peggiorata. Il vecchio esercito, ormai, s’è trasformato in una truppa di carcerati. E sin da maggio s’è sfiorato il rischio di una guerra. Un rischio scoperto, dalla polizia, intercettando alcuni affiliati.

“SE SUCCEDE UNA GUERRA, CHI CI STA?” Le indagini della squadra mobile di Caserta, coordinate dal vicequestore Rodolfo Ruperti, pochi mesi fa hanno svelato uno scenario molto pericoloso. Gli inquirenti, nel maggio di quest’anno, scrivono di “un concreto rischio, derivante dalla debolezza del clan Bidognetti, e dall’eventualità che si giunga a una guerra aperta con il gruppo Schiavone”. L’8 maggio accade un fatto strano: qualcuno uccide tre uomini del clan Schiavone. Avevano tentato un’estorsione al caseificio Dea. Il caseificio, però, secondo gli investigatori, è “protetto” proprio da Nicola Schiavone, il figlio di “Sandokan”. Qualcosa non torna. Il punto è che Carlo Corvino, l’uomo che ha deciso l’estorsione, non è un referente di

Il soldato del clan deve essere innamorato della ragazzina dai capelli neri. L’accarezza con gli occhi. Lei avrà vent’anni. Non di più. Un sorriso bianco incantevole. Lui ricambia. Non soltanto è disarmato, ora, ma è persino disarmante, per la sua dolcezza. Tutti qui mostrano dolcezza. E non te l’aspetti. Per tutti c’è una moglie, una mamma, un padre, un fratello, una sorella. In gabbia pure loro: l’area destinata ai parenti è transennata dalle sbarre. Va in scena una drammatica finzione. I soldati sorridono, per tranquillizzare i parenti. I parenti sorridono, per tranquillizzare i soldati. Tutti fingono un sorriso. E la finzione deve essere un atto d’amore, più che una sfida allo Stato, o forse entrambe le cose, ma a intensità alternata. Il contrappasso di questi sorrisi è comunque atroce: qualcuno dovrà pagare. In soldi. Servono gli stipendi, per i soldati in cella, per i parenti a casa. E questa è un’economia sanguinaria. Fino a pochi anni fa, il clan era potente e godeva d’importanti appoggi politici, di livello nazionale, almeno a sentire i collaboratori di giustizia. L’affare dei rifiuti ingrassava i capi e sosteneva i soldati, allora, sotto gli occhi di tutti. La gente, i cronisti, i magistrati, i pentiti: tutti hanno visto il legame tra sangue e “monnezza”. Tutti, tranne la politica. Eppure, a detta dei pentiti, la politica non soltanto sapeva, ma le stringeva, quelle mani sporche di sangue e monnezza. Le stringeva, per mettersi in tasca soldi e potere.

E poi gli arresti, gli “stipendi” dati a vedove e orfani, un vero e proprio welfare criminale Ma i “soldati” dei boss sono sempre meno


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Mercoledì 11 novembre 2009

Casini e Berlusconi: tra gli ex alleati un futuro possibile

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GRANE DI GOVERNO

essuna alleanza tra Udc e Pdl per le regionali del 2010. Alla fine del faccia a faccia tra Pierferdinando Casini e il premier Silvio Berlusconi dello scorso 6 novembre, questo è il dato politicamente più rilevante. I due ex alleati hanno deciso di non ‘tornare assieme’, anzi il leader dell’Udc ha affermato che dalle ultime elezioni del 2008 “le posizioni si sono divaricate ancora di

più”. Casini, che ha chiesto al presidente del Consiglio di sostenere la candidatura di D’Alema a ministro degli Esteri dell’Ue, ha detto che l’Esecutivo deve aiutare le famiglie e non solo le imprese e che in Finanziaria non ci sono risorse adeguate per le Forze dell’Ordine. E sulla giustizia, l’ex presidente della Camera ha ammonito: “serve una riforma complessiva della giustizia nell’interesse di tutti e

non per evitare processi al premier”. Alla fine, quello di venerdì scorso è stato un incontro interlocutorio, che per il momento non prefigura un avvicinamento, ma che certo non esclude neppure un cambiamento di scenario nel futuro. Per ora l’Udc mantiene la propria posizione di variabile indipendente e Berlusconi dà il proprio placet, sperando che Casini alla regionali non danneggi troppo la maggioranza.

MAGGIORANZA BLOCCATA Saltato il vertice sulle regionali. Bersani: “No a norme salva-Berlusconi”

di Stefano

Ferrante

leghisti sono abbottonatissimi: “Parla solo il capo, è lui che tratta con Berlusconi…”. Bossi tace. Il rinvio del vertice a tre con il cavaliere e Fini è il segnale tangibile che la soluzione del rebus delle regionali è in alto mare. Il senatur diffida delle trattative separate, sa che se Berlusconi deve fare concessioni agli ex di An sulle candidature al sud, in cambio di maggiore disponibilità sulla giustizia, gli spazi per il Carroccio al nord rischiano di ridursi. Anche la vicenda Cosentino non dà una mano alla Lega, perché rischia di stimolare la revanche berlusconiana. Il no di Fini al sottosegretario sotto inchiesta è perentorio. Gli ex di An pensano di lanciare per la Campania il sottosegretario al welfare finiano

I

Viespoli. Si tratterebbe del terzo aspirante governatore dei finiani, insieme a Scoppelliti in Calabria e alla Polverini nel Lazio. Troppo per i fedelissimi di Berlusconi che esigono un ridimensionamento delle pretese dell’ex delfino e non vogliono cedere spazio alla Lega al nord. Se D’Alema diventerà Mister Pesc alla regione Lazio, l’ipotesi è quella di ricollocare alla regione Lazio il commissario europeo Tajani, con buona pace della Polverini. E i forzisti della prima ora sono decisi a non mollare sulla candidatura di Galan in Veneto: è ancora vivo per Berlusconi il ricordo della candidatura imposta dalla Lega in Friuli- Venezia Giulia di Alessandra Guerra che portò il centrodestra a dividersi e Illy a vincere contro i pronostici. Bossi sa che per spuntarla in Veneto e in Piemonte –

Nella foto, Gianfranco Fini. Sotto, Augusto Minzolini (FOTO ANSA)

dove la battaglia contro la governatrice uscente del centrosinistra Bresso è apertissima - deve alzare il prezzo proprio sulla giusti-

zia e prima che Berlusconi possa trovare la sponda dei centristi. L’unica su cui punta davvero il premier per puntellare

DIRETTORI SCHIERATI

IL CDR DEL TG1 CONTRO MINZOLINI E INGROIA: STO CON LA COSTITUZIONE di Paola

Zanca

cchio e croce, lunedì sera, tra i cinque e i sette milioni di italiani per un minuto e mezzo si sono dilettati ad ascoltare il Lodo Minzolini. Per la terza volta da quando è diventato direttore, meno di sei mesi fa, il direttore del Tg1 ha scelto di puntare le telecamere su di sé. La prima volta per spiegare che l’affaire D’Addario “non è una notizia”, la seconda per dare contro alla manifestazione per la libertà di informazione indetta dall’Fnsi. Questa volta per difendere l’immunità parlamentare. Più che di argomentazioni, però, Minzolini si è avvalso di un’altra facoltà. Quella di puntare il dito contro un magistrato, il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia. La sua colpa? Aver partecipato sabato scorso ad una tavola rotonda organizzata dall’Idv a Napoli sul tema della questione morale nelle istituzioni. In quella occasione, Ingroia ha denunciato “l’emergenza democratica” che sta vivendo il nostro Paese a causa dell’“attacco sistematico” alla “magistratura e alla libera informazione”. Ne parla come di una sua opinione, ma sottolinea che è “assistita dai fatti”. Le querele ai giornali, il ddl intercettazioni, le “riedizioni” del Lodo Alfano, i quotidiani attacchi ai giudici. Per Ingroia,

O

la differenza con la Prima Repubblica sta proprio qui: nel fatto che le “istituzioni sono state occupate da interessi privati”. Fumo negli occhi per Minzolini, secondo il quale invece l’equilibrio tra i poteri si è rotto a causa “dell’abolizione dell'immunità parlamentare”, che avrebbe provocato “una sorta di atto di sottomissione alla magistratura”. Ingroia, interpellato da Articolo21, dice che il suo pensiero è sta-

lini è la “manifestazione unilaterale di una tesi al di fuori del pluralismo”. Il Comitato di redazione del Tg1 non l’ha mandata giù: “Anche questa volta non siamo d'accordo – scrivono in un comunicato i giornalisti – Anche questa volta il direttore ha schierato il Tg1 attraverso un editoriale sul contestato tema della riforma della giustizia sposando esplicitamente le posizioni della maggioranza di governo”. “Ci preoccupa –

dice ancora il Cdr – la caratterizzazione politica che la direzione sta imprimendo al Tg1”. Per il deputato Pdl Italo Bocchino Minzolini è stato “politicamente, storicamente e giuridicamente perfetto”. D’altronde, lo spiega bene il segretario nazionale dell’Usigrai, Carlo Verna, “c'è solo una semplice coincidenza senza precedenti fra le opinioni di Berlusconi e quelle del direttore del principale Tg della Rai”.

la maggioranza in parlamento. Perché il Pd non è disponibile a soluzioni che possano mascherare provvedimenti a favore del premier. Bersani lo dice chiaramente: “ Se la maggioranza vuole migliorare il servizio giustizia siamo pronti a dire sì. A presentare le nostre proposte. Ma se vogliono bloccare i processi in corso, noi diciamo di no. Tocca a loro togliere dal tavolo delle questioni che non hanno niente a che fare con quello che interessa ai cittadini”. Un Bersani pragmatico, deciso a tenere lontano ogni possibile equivoco e il fantasma dell’inciucio che anche una dichiarazione di D’Alema come quella pronunciata in un convegno sulla riunificazione della Germania ( “sbagliammo a cavalcare l’antipolitica durante Tangentopoli”) rischia di far riaffiorare. Anche per questo a giorni il

leader del Pd presenterà le sue proposte sulla giustizia e sulle riforme. Spazio per l’immunità parlamentare non ce ne è. E neppure per risolvere i problemi “ dell’ora e dell’uomo” cioè dei processi in corso a Berlusconi. Semmai Bersani punta sulla riduzione del numero dei parlamentari e del costo della politica, su misure a favore di processi civili e penali più rapidi. D’altra parte Di Pietro ha lanciato la carica: “ La legge che abbrevia i processi è un atto criminale che solo questo parlamento può pensare di emanare, così rimarranno tutti incensurati perché nessun processo si potrà concludere nei tempi previsti. Tutto questo per favorire un individuo formalmente incensurato, ma sostanzialmente corruttore quale è Silvio Berlusconi”. E anche i centristi – favorevoli all’ipotesi di reintroduzione dell’immunità parlamentare – sono diffidenti sul testo “abbrevia processi”. A Vietti Fini ha espresso tutte le sue perplessità. “ Vederemo che scriverà Ghedini”- dicono i centristi.

Il Cavaliere cerca la sponda dei centristi per puntellare la sua maggioranza

IL FUTURO DI BERTOLASO

MR PROTEZIONE CIVILE CAMBIA VITA, DA VOLONTARIO di Sandra Amurri

avesse fatto domanda per la penCda hesione era una notizia nota. Così nota aver destato non poche preoccupato “stravolto, al punto di attribuirmi un programma politico, mentre le mie dichiarazioni erano semplicemente un richiamo ai principi fondamentali scritti nella Carta costituzionale”. Il caso, come ovvio, ha suscitato un polverone. Se il presidente della Rai (che aveva commentato il precedente come “irrituale”) si limita a dire che “repetita non juvant”, si arrischia di più il presidente della commissione di Vigilanza Rai, Sergio Zavoli, secondo il quale l’editoriale di Minzo-

zioni al Presidente uscente delle Marche Gian Mario Spacca per una sua possibile candidatura per il Pdl che rappresenterebbe il solo pericolo per la sua riconferma. In una Regione dove Guido Bertolaso trascorre molto del suo tempo libero assieme alla moglie in una villa nelle campagne di Santa Vittoria e dove gode di una popolarità capillare tanto da essere stato insignito della cittadinanza onoraria in molte città, non ultima Recanati. Di certo, Guido Bertolaso, ha deciso: nel 2010 non sarà più il capo della Protezione Civile. E, come lui stesso ha precisato, non si tratta di dimissioni, né tantomeno di una scelta dettata dall’inchiesta di Napoli che lo vede coinvolto tanto da esprimere ai

magistrati partenopei in particolare, ma alla magistratura nel suo insieme, massima fiducia definendola: “Uno dei pochi baluardi nella persecuzione della illegalità che purtroppo affligge molte regioni di Italia”. Parole tali da provocare un attacco di orticaria a Berlusconi. “Posso avvalermi di una legge, la cosiddetta legge anti-fannulloni voluta dal ministro Brunetta, che consente ai funzionari dello stato di andare in pensione con anticipo rispetto alla scadenza naturale”, ha spiegato Bertolaso che di certo non resterà con le mani in mano. Potrebbe anche decidere di tornare alla sua prima passione, il mondo del volontariato, che lo ha impegnato fin da quando era un giovane medico e prestava la sua opera nelle missioni. Così come è chiaro che l’esperienza della ricostruzione post terremoto dell’Aquila tutta combattuta sull’onda dell’emergenza che legittima ogni cosa

deve averlo esposto non poco mettendo spesso a repentaglio la sua credibilità personale a cui Bertolaso dice di tenere sopra ogni altra cosa. Sono molte le situazioni critiche e poco chiare a restare sul terreno aquilano, a cominciare dai fondi messi a disposizione da molti Paesi stranieri che sono stati misteriosamente rifiutati e alla drammatica situazione in cui sono costretti a vivere gli studenti universitari ancora sotto le tende nonostante il gelo. Dunque le Marche restano una possibilità concreta dove andare a vivere e dove potersi candidare alla guida della Regione potendo contare sull’appoggio di una Chiesa lì molto forte anche grazie al suo stretto legame di parentela con il Cardinale Sergio Sebastiani, Presidente emerito della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede, nativo di Montemonaco ai piedi dei Sibillini.


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Dissociazione dei boss, il procuratore Grasso: mi sono sempre opposto

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GRANE DI GOVERNO

i sono sempre opposto con forza a qualsiasi ipotesi di dissociazione dei boss, ogni qualvolta ne sono venuto a conoscenza, sia in forma ufficiale che riservata. Non sono mai stato costretto da alcuno, e soprattutto dai sostituti della Procura di Palermo, quando ne ero a capo, a fare dichiarazioni pubbliche contrarie al mio effettivo pensiero”.

Questa la reazione del procuratore nazionale Antimafia, Pietro Grasso, dopo l’articolo di Marco Travaglio (comparso ieri su Il Fatto quotidiano) nel quale si riportavano le dichiarazioni di Alfonso Sabella. Secondo l’ex pm di Palermo, Grasso sarebbe stato al corrente della trattativa sulla dissociazione, partita dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio, ma non ne aveva informato i suoi

sostituti. “Un conto – prosegue Grasso – è dissociarsi dal perseguire un’ideologia in nome della quale si sono compiuti dei delitti, come nel caso dei brigatisti, e un altro conto è dissociarsi a parole da un’organizzazione criminale come Cosa Nostra che ha compiuto omicidi e stragi di innocenti e di coloro che, seguendo il proprio alto senso del dovere, avevano osato contrastarla”.

IL FATTO POLITICO

INCIUCIO A DESTRA: PROCESSO BREVE Fini stoppa, ma B. si salverà

dc

Comincia un’altra guerra di Stefano Feltri

giornata di ieri sarà Ltraaricordata per l’accordo Silvio Berlusconi e

lo stesso. Ira della Bongiorno di Wanda Marra

n incontro di due ore, teso, nervoso, quello tra il presidente della Camera, Gianfranco Fini e il capo del Governo, Silvio Berlusconi (presente oltre a loro - il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta). Si vedono a Montecitorio alle 9 e 30 e non escono prima delle 11 e 30. Un faccia a faccia lungo, dunque, al termine del quale entrambi si affrettano a sottolineare che è andata bene e che l’accordo si è fatto. In gioco, c’è, d’altra parte, la tenuta del Pdl. In realtà, quello che è uscito fuori è un compromesso, prima politico, e poi di merito, sul processo breve ma non sulla prescrizione e sui reati tributari. Un passo avanti, secondo quanto detto da Berlusconi a chi glielo ha chiesto. Mentre Fini cerca di far passare il messaggio di non aver ceduto sul punto essenziale, ovvero la prescrizione. In realtà è una mediazione che non accontenta nessuno dei due. Tutto sta ora a capire quale sarà il vero testo sul processo breve e fino a che punto ac-

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contenterà le richieste del premier. Il Cavaliere, comunque, ieri mattina ai giornalisti ha dichiarato: “È andata bene”. Molto più dettagliatamente si è espresso Fini: “Nei prossimi giorni sarà presentato un disegno di legge di iniziativa parlamentare, quindi senza nessun intervento diretto del governo, per garantire che i tre gradi di giudizio si svolgano in tempi certi, unicamente per gli incensurati, in un tempo massimo di sei anni per arrivare al terzo grado di giudizio". Questa la mediazione raggiunta. Mentre la prescrizione breve, è“un’ipotesi considerata impraticabile da me e Berlusconi, perché danneggerebbe i cittadini". Su questo punto, Berlusconi si sarebbe a lungo battuto durante il vertice, senza spuntarla con l’alleato. Fini ha escluso anche l’ipotesi di un emendamento sui processi tributari che favorisca Mondadori nel contenzioso con l'agenzia delle entrate. In realtà, Fini ci tiene moltissimo a giocarsi il ruolo dello statista e la faccia del buon senso ("E' una questione innegabile, che la durata media dei processi in Italia è troppo lunga”, di-

chiara infatti), ma alla fine il processo breve finirà comunque per essere l’ennesima legge ad personam, che salva il Cavaliere dal processo Mills e da quello su Mediatrade. E se per Berlusconi non è tutto, ma è qualcosa, in questo senso sembra Fini ad aver ceduto di più. Senza contare che il testo al momento non c’è e che dunque in questo momento si ragiona su un’ipotesi, che va messa sul tavolo. E dunque, la mediazione è solo all’inizio. La dice lunga la reazione di Giulia Bongiorno, in prima linea per arrivare a un accordo accettabile: "Non sarò io a mettere la firma su quel provvedimento, anzi, da quello che ho capito, il testo può partire dal Senato", dichiara. E alla specifica domanda se sia soddisfatta dell’esito del vertice si limita a dire: “È una valutazione troppo complicata da fare in poco tempo”. Sulla reintroduzione dell’immunità parlamentare, invece, i due sembrano d’accordo. Si tratta di una prospettiva, che "non deve destare scandalo", secondo Fini, anche se "l'immunità non deve essere impunità”. Parla anche della candidatura di Cosen-

tino il Presidente della Camera: "Credo non sia più nel novero delle cose possibili". Ci tiene anche a precisare Fini che “gli italiani non vogliono il derby permanente, una perenne disfida di Barletta". E anche in questa frase c’è la chiave per capire com’è

LE CONSEGUENZE

DA TANZI A VITTORIO EMANUELE: I SOLITI CONDONATI di Gianni Barbacetto

olitici e colletti bianchi, liberi tutti. La legge che Plusconi nascerà dall’accordo raggiunto ieri tra Silvio Bere Gianfranco Fini riuscirà a centrare l’obiettivo principale, e cioè liberare il presidente del Consiglio dai suoi processi. Ma otterrà, come effetto collaterale, la salvezza di tanti imputati eccellenti e, in prospettiva, l’impunità permanente di uomini dei partiti, amministratori pubblici, imprenditori, finanzieri, banchieri. Le nuove norme stabiliranno infatti che, per gli incensurati, il tempo massimo del processo dovrà essere di sei anni, due per ognuno

VALUTAZIONI

di Antonella Mascali

PALAMARA: UNA RIFORMA TOMBALE N

on ha ottenuto tutto quello che avrebbe voluto da Fini, la prescrizione ancora più corta di adesso, ma Berlusconi, approvata l’ultima legge ad personam, avrà raggiunto il primo obiettivo: cantare il requiem ai dibattimenti Mediaset e Mills. Se fossimo in un film di Paolo Sorrentino, i giudici potrebbero soltanto dire “il processo è finito, andate in pace”. Berlusconi non vuole neppure rischiare una sentenza di primo grado e quindi, anche se la legge “processi brevi” non lo immunizza dall’inchiesta “Mediatrade-Rti”, o da quella eventuale per le stragi mafiose, ha accettato il patto con Fini. A discapito di tante parti civili che vedranno svanire i processi, dice a Il Fatto Luca Palamara, presidente dell’Anm: “È difficile dire a una vittima in attesa di giustizia che il processo non va più avanti. Per garantire tempi brevi, bisogna informatizzare il processo penale, sospendere quelli per i contumaci e accorpare i tribunali inutili. Questa riforma, invece, i processi non li fa celebrare”.

dei tre gradi di giudizio. Saranno esclusi i reati di mafia, terrorismo e di grave allarme sociale, come rapina, omicidio ed estorsione. In compenso, un codicillo renderà la norma applicabile ai processi già iniziati, purché siano in primo grado. Così saranno azzerati i due processi in corso a Milano che hanno per imputato Berlusconi, sei volte prosciolto per prescrizione, ma ancora tecnicamente incensurato: quello sulla corruzione del testimone David Mills (il tempo scadrà il 13 marzo 2010) e quello sui diritti Mediaset (tempo scaduto tra pochi giorni, il 21 novembre 2009). Per il resto, il risultato sarà comunque che la mannaia della prescrizione si abbatterà sulla gran parte dei processi complessi con molti imputati. A partire da quello per il crac Parmalat, con Calisto Tanzi principale imputato, fino a quello Why not iniziato a Catanzaro da Luigi De Magistris. A rischio tutti i processi sulla pubblica amministrazione. E anche quelli, sempre più frequenti, per fatti che avvengono all’estero (con la possibilità per la difesa di chiedere rogatorie anche durante il dibattimento), come quello dell’imprenditore della Cogim Leopoldo Braghieri, accusato a Milano di aver ottenuto appalti corrompendo un funzionario dell’Onu. Vittorio Emanuele, recentemente rinviato a giudizio, può tranquillamente aspettare la prescrizione, visto che la sola udienza preliminare è durata un anno. Già fuori tempo massimo il dibattimento di primo grado sulle tangenti Eni-Agip, nato dalle indagini di Henry Woodcock, che è in corso a Potenza da ben quattro anni. «Dicono di volere, con questa norma, abbreviare i processi», spiega un magistrato in servizio a Roma, «ma in realtà abbreviano solo i tempi di prescrizione, mentre i processi saranno allungati a dismisura dalla norma del nuovo codice di procedura che impedirà al giudice di rifiutare prove e testimoni manifestamente superflui. Così la durata del dibattimento sarà consegnata nelle mani dell’imputato». Nel

andato davvero il vertice: ha portato all’unico compromesso possibile per non arrivare alla vera resa dei conti nel Pdl, ma senza sciogliere quasi nessun nodo. Tanto è vero che il vertice delle regionali previsto per stamattina non si farà.

LA SCHEDA

SARANNO PRESCRITTI MILLS E MEDIASET

L

a bozza del disegno di legge del Pdl prevede che un dibattimento non duri più di sei anni per reati fino a 10 anni, a eccezione di quelli per mafia, terrorismo, omicidio e rapina: due anni il primo grado, due l’appello e due il giudizio in Cassazione. I processi che non rispetteranno questi tempi cadranno in prescrizione. La nuova normativa si applica agli imputati incensurati anche per i processi in corso, soltanto di primo grado. Un disegno di legge perfetto per Berlusconi. Potrà godere, anche questa volta, della prescrizione al processo di primo grado per i presunti costi gonfiati da Mediaset per l’acquisizione dei diritti Tv. Il dibattimento è cominciato il 21 novembre 2006 e anche se nel 2008 c’è stata la pausa forzata di oltre un anno, causa lodo Alfano secondo questo disegno di legge, il processo, che riprenderà il 16 novembre, (Berlusconi ha già annunciato legittimo impedimento), sarebbe già prescritto. Stessa sorte toccherà al processo per la corruzione di David Mills. Se ci basiamo su questo disegno di legge, il dibattimento, che in teoria riprende il 27 novembre, (anche in questo caso è stato presentato legittimo impedimento), dovrebbe concludersi nella primavera 2010. Al momento la prescrizione è tra febbraio e marzo 2011. A. Masc

palazzo di giustizia di Milano, un procuratore aggiunto formula l’ipotesi di un colletto bianco che abbia organizzato truffe, come capita, in diverse parti d’Italia: processato in tre o quattro sedi giudiziarie diverse, avrebbe la garanzia dell’impunità, perché in ognuna di esse risulterebbe incensurato. «Nascerà la nuova figura dell’incensurato a vita», dice un altro giudice, «perché l’imputato, grazie alla prescrizione, uscirebbe pulito dal primo processo e poi, via via, dagli eventuali processi successivi: sempre incensurato, dunque sempre prescritto, dunque sempre incensurato e così via...». Le nuove norme («incostituzionali», secondo un altro procuratore aggiunto di Milano) inaugureranno la giustizia a due velocità, con processi rapidi e a prescrizione garantita per gli eterni incensurati, e processi invece lunghi, con probabile condanna finale, per gli imputati dei reati di strada, per i cosiddetti recidivi e delinquenti professionali o abituali. In realtà, però, anche qualcuno di questi potrà sperare di farla franca. Racconta infatti un magistrato di Milano: «I casellari giudiziari dei tribunali vengono aggiornati in ritardo. E non esiste un sistema nazionale unificato per conoscere i carichi pendenti. Così già oggi concediamo la sospensione condizionale della pena a condannati che non la meriterebbero, perché già raggiunti da condanne non ancora registrate o registrate in sedi giudiziarie non prese in considerazione. Risultare incensurati, in Italia, non è poi così difficile».

È un via libera al doppio binario: salvezza garantita ai big, galera per i pesci piccoli

Gianfranco Fini sulla riduzione dei tempi dei processi per gli incensurati. Cioè sul compromesso per salvare Berlusconi dai giudici salvando (un po’) le apparenze. Ma è stato anche il giorno in cui è ricominciata - strisciante - la guerra sui conti e la legge di bilancio che ha come protagonista Giulio Tremonti. Il ministro dell’Economia era arrivato a un passo dalle dimissioni, due settimane fa, accettando di essere ridimensionato in un comitato di politica economica dentro il Pdl (e considerato, di fatto, ministro in quota leghista, non più supertecnico intoccabile con l’avallo di Berlusconi). sue dichiarazioni di ieri, Lcheeperò, lasciano percepire il clima è cambiato e Tremonti si sente meno debole: “Se la parola è tagli, mai finché ci sarò io”, ha detto a proposito di un possibile intervento sulle pensioni per trovare un po’ di risorse da spendere in Finanziaria. E poco importa che Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia, lo chieda da mesi: il messaggio arriva chiaro, Tremonti il guardiano dei conti è tornato. “Non dobbiamo fare nuove manovre, ma dobbiamo confermare la Finanziaria che c'é”, ha ribadito ieri il ministro, nonostante l’Europa sia scettica sulla tenuta dei nostri conti pubblici (deficit e debito stanno salendo) e le pressioni del Partito della Spesa Pubblica che fa capo ai membri del governo più interessati al Mezzogiorno. a nuova sicurezza di Lderivare Tremonti sembra da tre elementi. Primo: nel comitato di politica economica del Pdl non è entrato nessuno dei suoi nemici diretti (da Raffaele Fitto a Stefania Prestigiacomo) e quindi la gabbia è meno stringente del previsto. Secondo: la tregua tra Berlusconi e Fini denota che il presidente della Camera ha rinunciato ancora allo scontro finale per la successione, salvando la faccia ma rientrando nei ranghi. Ed essendo Fini (con i suoi parlamentari) uno dei principali contropoteri a Tremonti insieme a Gianni Letta, il ministro dell’Economia si sente più forte. Terzo punto: come ha ammesso anche Maurizio Gasparri, capo dei senatori Pdl, la Finanziaria non dovrebbe essere toccata al Senato. Alla Camera è un altro discorso. Ma per ora: Tremonti 1, Partito della Spesa 0.


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POLITICA

ITALIA DEI VALORI gente che viene e gente che va LASCIA L’EX CAPO DEI GIOVANI: “QUA DENTRO ENTRANO TUTTI” di Caterina Perniconi

ieci domande ad Antonio Di Pietro e ai parlamentari nazionali ed europei dell’Idv. Sulla falsa riga dei dieci quesiti a Berlusconi, il direttore di MicroMega, Paolo Flores d’Arcais, è tornato all’attacco del partito di “Tonino”. Ma in ballo questa volta non c’è nessuno scandalo sexy, bensì la bufera politica che ha investito l’Idv e il suo leader, accusato di poca trasparenza nella gestione del partito. E sulla quale, secondo la rivista “dai vertici non sono arrivate fin qui risposte sufficientemente chiare”. Sul territorio, infatti, continuano le fuoriuscite: dopo le manifestazioni autoconvocate, l’ultimo scossone arriva proprio dalla roccaforte dipietrista, il Molise, che aveva regalato all’Idv il 28 per cento dei consensi alle elezioni europee contro il 12,7 per cento del Partito democratico. Lasciano l’Italia dei valori importanti esponenti del partito come il fedelissimo Giuseppe Astore (il senatore passerà al gruppo misto), il braccio destro di Antonio Di Pietro, Massimo Romano, ventisettenne ex coordinatore nazionale dei giovani dell’Idv, cinque consiglieri in forza all’assise consiliare di Campobasso e oltre 30 dirigenti di partito. Assenza di democra-

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zia interna, gestione personalistica del partito e mancanza di un progetto politico, le accuse mosse dai dirigenti in fuga. Le stesse denunciate da Pino Pisicchio e Aurelio Misiti, deputati con un piede fuori dall’Idv. “La mia scelta non è personalistica, anzi, è autolesionistica – spiega Massimo Romano – ma di fronte a un partito che fa entrare tutti indiscriminatamente, compreso Domenico De Angelis, uno dei candidati a segretario regionale Pd nelle primarie di tre settimane fa, senza dare spiegazioni, era l’unica scelta possibile”. Ma Antonio Di Pietro minimizza sui fuorisciti: “Chi vuole andarsene se ne vada ma perché non si parla mai di tutti quelli che arrivano?” chiede Di Pietro, che ieri per la prima volta ha aperto ad una sua possibile candidatura (della quale si parla da qualche settimana), come governatore della regione Lombardia: “Se ci fossero le condizioni mi candiderei – ha detto Di Pietro – perché un governatore dev’essere voluto da tutta la coalizione. Per ora non mi sembra ci sia un accordo, ma con Bersani ci rivedremo tra qualche giorno”. E ci tiene a rispondere “eccome” a MicroMega: “L’Italia dei valori – dice Di Pietro – non è più il partito del padre. Bisogna aprire alla competizione democratica e noi lo abbiamo fatto. Il

6 e 7 febbraio c’è il congresso nazionale. La classe dirigente, quindi, verrà eletta dagli iscritti”. Dello stesso avviso è Pino Arlacchi eurodeputato nelle file dell’Idv, uno dei massimi esperti mondiali di criminalità organizzata: “Quello che sta succedendo nell’Italia dei valori è in buona parte fisiologico. Se un partito del 2 per cento, composto all’inizio solo dai fan di Di Pietro, si struttura e si trasforma in un partito dell’8 per cento e oltre, non può essere più lo stesso. Non c’è alcuna spaccatura e nessun dualismo tra Di Pietro e De Magistris, sono solo congetture di chi spera che ciò si verifichi. E’ stata montata una tempesta in un bicchier d’acqua da chi ha dei risentimenti interni e spera di ricattare i vertici dell’Idv sparando un bel titolo

Intanto il leader Di Pietro parla di una sua possibile candidatura a governatore della Lombardia

N SCUOLA

Occupato il liceo Tasso a Roma

A

lcune decine di studenti hanno occupato ieri pomeriggio il liceo classico Tasso, a Roma. Gli studenti protestano contro i tagli della Gelmini. Molto spesso, l’occupazione del Tasso ha dato il ‘la’ alle occupazioni nella Capitale e poi in tutta Italia. Vedremo se l’onda si farà lunga anche quest’anno.

Il leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro

in prima pagina, con la complicità di qualche testata. La situazione è molto migliore di quella che c’è nel Pd o nel Pdl”. Arlacchi, coinvolto in prima persona nella questione calabrese, dove il partito è stato commissariato da Di Pietro causando la fuoriscita di Misiti, ritiene che quello è stato “l’unico modo per salvare il partito gestito da chi la pensa diversamente dai vertici su tutto”. L’unico avvertimento che Arlacchi fa a Di Pietro è quello di “essere all’altezza della sfida delle Regionali: cioè confermare con la compilazione delle liste il salto di qualità che si è compiuto con le elezioni europee, senza

fidarsi dei navigatori di lungo corso della politica che cercano di salire sul carro del vincitore per poi scendere alla prima fermata”. Anche Maurizio Zipponi, europarlamentare responsabile Welfare e lavoro dell’Idv, ex sindacalista della Fiom ed ex deputato di Rifondazione riduce il problema: “Mi sono avvicinato a Di Pietro perché questo partito ha concentrato su di sé un’idea di cambiamento che ha attratto le giovani generazioni. Io sto lavorando pancia a terra sul territorio per far diventare l’Idv un partito di governo che rappresenti tutti i luoghi di lavoro e non vedo i problemi che si raccontano”.

Dissesto ambientale

FRANA A ISCHIA: MORTA UNA RAGAZZA DI 15 ANNI

Il Pd siciliano sceglie un amico dell’Udc di Giuseppe Lo Bianco

l rilancio del Partito democratico in Inumerario Sicilia è affidato da domenica a un dell’Opus Dei, che otto anni fa votava per Totò Cuffaro, e che ha raccolto il 60 per cento dei suoi voti a Messina con centinaia di schede contestate e il fortissimo sospetto di brogli. Un fedelissimo di Franceschini eletto con i voti del candidato di Bersani, Bernardo Mattarella, nel silenzio dei dirigenti nazionali del Pd. Scenari pirandelliani sullo sfondo dell’elezione di Giuseppe Lupo, 43 anni, una vita nella Cisl e ora nuovo segretario regionale. Eletto con 122 voti su 123 dopo che Beppe Lumia, già presidente dell’Antimafia nazionale, ha abbandonato l’assemblea con parole molto dure: “Abbiamo impedito che nel Pd avvenisse una regressione. E quello che sta avvenendo in queste ore ne è la prova. L’alleanza con il cuffarismo è ormai alle porte’’. Parole che rilanciano l’antico progetto secessionista di Lumia, promotore della lista Pd Sicilia collegata a Bersani. E che fotografano la partenza del Pd siciliano con il piede sbagliato. L’accusa, nelle parole di Lumia, è che a sostenere Lupo ci siano i professionisti dell’affarismo politico che ai tempi di Cuffaro dettava-

no legge dalla sanità ai rifiuti, dall’emergenza idrica alla formazione professionale e che oggi si nascondono dietro l’opposizione “a tutti i costi” nei confronti di Lombardo. “Il Pd rischia di scivolare indietro – dice l’ex presidente dell’Antimafia – di essere il difensore del vecchio sistema”. E per rafforzare il concetto, va notata la presenza attiva a sostegno di Lupo di Mirello Crisafulli, ras del Pd dell’ennese, sorpreso qualche anno fa dalle telecamere della polizia a colloquio con il boss della zona. Ombre proiettate anche recentemente sul Pd siciliano dopo l’arresto di un estortore mafioso, diviso a metà tra i suoi impegni di autista del boss della zona e factotum nella villa di Scopello del senatore del Pd Nino Papania. Un altro grande elettore di Lupo che ad Alcamo, feudo elettorale del parlamentare, ha fatto il pieno di consensi superando – caso rarissimo – gli altri candidati. Appena eletto, Lupo ha “mostrato i denti” contro gli avversari interni chiedendo le dimissioni di Antonello Cracolici (vicino a Lumia) da capogruppo del Pd

Una ragazzina di 15 anni è morta, venti persone sono all’assemblea rimaste ferite e una bambina è ricoverata in gravi regionale sicondizioni. A Ischia, ieri mattina, una frana si è staccata ciliana e predal monte Epomeo. Fango e detriti hanno investito la sentandosi strada. Oltre cinquanta vetture coinvolte, molte come un setrascinate in mare in questo nuovo capitolo sul dissesto gretario che ambientale italiano. Per Legambiente, in Campania punta al gol’86 per cento dei comuni sono a rischio idrogeologico. verno del partito piuttosto che alla sua unità. Non un bel segnale. Considerando inoltre Sicilia ha scelto un sindacalista l’esclusione dalle liste siciliane di Nan- dell’Enel che otto anni fa era nel cendo Dalla Chiesa, candidato di Bersani trodestra, nell’Udc, a sostenere la cane quindi di Bernardo Mattarella. Dalla didatura di Cuffaro. All’ex governatoChiesa oggi dice: “Molti dell’associa- re, e alla sua gestione disastrosa zionismo antimafia non hanno votato dell’amministrazione regionale, Lupo Mattarella per la mia esclusione. Pro- ha riservato un affettuoso silenzio nel babilmente con quei voti sarebbe ar- suo discorso di presentazione della rivato al ballottaggio e, forse, avrebbe candidatura. In cui, invece, ha attacpotuto farcela con qualche attenzio- cato duramente Raffaele Lombardo, ne in più per la questione morale. Non attuale governatore. Un discorso apsanno neppure fare i conti”. plaudito e un segretario votato anche Questione morale è la parola magica dai delegati della mozione Marino. che i dirigenti nazionali del Pd non Decisi ad affidare le istanze di difesa pronunciano in riferimento alle vi- del testamento biologico in Sicilia ad cende siciliane. Non commenta Anna un numerario dell’Opus Dei che riFinocchiaro. E D’Alema, a Palermo il 9 schia di trasformarsi nel ‘Binetti’ sicinovembre per un liano. Contraddizioni che scivolano convegno, si appella sull’elezione di Lupo che non si scomgenericamente al “ri- pone e rassicura: “Certo, sono cattocambio della classe lico, ma l’Opus Dei non ha una sua dirigente per racco- teologia morale o politica. Dentro gliere le opportunità l’Opera c’è assoluta libertà e ci sono e i cambiamenti’’ per persone politicamente molto diverse un partito che oggi in fra loro”.

Lupo, membro dell’Opus Dei con un passato da sostenitore di Cuffaro, è stato eletto segretario regionale

MARRAZZO

L’ex presidente tornerà in Rai

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iero Marrazzo nella primavera 2010 tornerà a fare il giornalista. Quando sarà sostituito da un nuovo governatore, il dimissionario presidente tornerà in Rai perché quando fu eletto si mise in aspettativa e quindi “ha conservato il diritto al posto”, come ha detto oggi l’avvocato di Marrazzo Luca Petrucci. “La carriera politica di Marrazzo è finita – ha detto il legale – ma ha diritto a riavere il posto di lavoro che aveva lasciato temporaneamente”.

CUCCHI

Famiglia ascoltata in Senato

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n attesa delle novità giudiziarie (un detenuto sarebbe testimone del pestaggio subito dal ragazzo), intorno al caso Cucchi continua a muoversi la politica. Ieri la famiglia è stata ascoltata dalla commissione sull’Efficacia ed efficienza del Servizio sanitario nazionale al Senato. La sorella Ilaria ha nuovamente risposto alle dichiarazioni del sottosegretario Giovanardi, secondo cui Stefano sarebbe morto perché drogato: “Parole menzognere”. Intanto si è costituito un “comitato per la verità su Stefano Cucchi”, al cui interno ci sono anche molti parlamentari. Oggi il senatore dell’Idv, Stefano Pedica, terminerà la sua ispezione visitando le celle di sicurezza del tribunale di piazzale Clodio.

CEI

I mafiosi esclusi dalla chiesa

I

mafiosi e quelli che fanno parte della criminalità organizzata “sono automaticamente esclusi dalla Chiesa cattolica”. Lo ha detto il segretario generale della Cei, monsignor Crociata, presentando ad Assisi il documento su chiesa e Mezzogiorno.


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REGIME

Rai, nasce il Comitato di controllo OGGI IN CDA LE NUOVE LINEE GUIDA APPROVATE DALL’AGCOM UN ORGANISMO POLITICO SANZIONERÀ LE VOCI FUORI DAL CORO di Carlo

Tecce

a rinascita del MinCulPop fascista è nascosta tra le pagine delle linee guida approvate dall’Agcom. Senza perifrasi. L’Autorità allarga la sua influenza per restringere la libertà della Rai, subordinata al controllo di un comitato esterno all’azienda, e selezionato su parere del ministero dello Sviluppo economico. Volontà di Claudio Scajola. Comando del governo. Articolo 3, punto 31: “Il sistema di valutazione della qualità dell’offerta – si legge – dovrà essere realizzato sulla base degli appositi indicatori previsti dal contratto di servizio e dovrà essere sottoposto alla vigilanza di un organismo esterno, composto da esperti qualificati in materia, scelti dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni d’intesa con il ministero e nominati dalla Rai”. Entro tre mesi dall’entrata in vigore del contratto di servizio, oggi sul tavolo del Cda. Da marzo e per tre anni, agitando la sciabola della censura e delle sanzioni, questi “esperti” dovranno stabilire i labili confini della qualità. Il presidente Corrado Calabrò intende picchettare il deserto, ridisegnare l’autonomia della Rai e asservirla al Consiglio dei ministri: “Compete all’Autorità la mancata osservanza da parte della Rai degli indirizzi impartiti”. Un passaggio coatto di competenze: nella pletorica burocrazia di viale Mazzini, tra pesi e contrappesi, l’Agcom esonda per favorire il governo e sterilizzare la commissione di Vigilanza parlamentare. L’avvocato Domenico d’Amati, consulente di diritto del lavoro, rintraccia nel testo il progetto eversivo e l’obbrobrio giuridico: “L’affidamento dei poteri all’Agcom e al ministero delle Comunicazioni finisce per attribuire al governo

L

un potere di intervento sull’informazione e la programmazione televisiva, in contrasto con i principi ripetutamente affermati dalla Corte Costituzionale, secondo cui l’emittente pubblica deve essere soggetta soltanto al controllo del Parlamento. Con la creazione dell’organismo esterno si realizzerebbe l’obiettivo di reincarnare, dopo 70 anni, il defunto MinCulPop”. Ai telespettatori sarà impedito di giudicare cambiando canale oppure protestare tramite le associazioni di consumatori; l’Agcom s’arroga il diritto di interpretare la “sensibilità” e tutelare “i principi di completezza e correttezza, obiettività, lealtà, imparzialità, pluralità dei punti di vista e osservanza del contraddittorio da raggiungere nelle trasmissioni di informazione quotidiana e di approfondimento”. Il messaggio è obliquo eppure chiaro: attenzione, voi che fate informazione – Annozero? – se pro-

nunciate un pensiero “a” dovete ritrattarlo con un pensiero “b”. Non basta? “Ciò esige un’applicazione attenta della deontologia professionale del giornalista, coniugando il principio di libertà con quello di responsabilità”. Sul cucuzzolo che introduce la censura svetta l’Agcom, sorretta dal governo, ma in fondo s’ammassano confusione e masochismo. I giornalisti della Rai saranno legati dal nuovo contratto di servizio e osservati speciali dal comitato di controllo: poco importa, l’azienda pubblica rinuncia ai dati di ascolto. Non le interessa sopravvivere, perché ormai ha deciso di morire. Nonostante nei conti Rai siano scomparsi i previsti 300 milioni di pubblicità, coperti dal canone e da mutui bancari, l’Agcom consiglia di invertire la tendenza: “Più trasmissioni di programmi che non rientrano nell’offerta delle emittenti commerciali, anche attraverso la predisposizione di In alto, la sede della Rai in viale Mazzini In basso, Corrado Calabrò (FOTO ANSA)

un piano strategico per il recupero dei generi culturali di nicchia, compresi il teatro, la musica sinfonica, la lirica, nelle tre reti generaliste, diversificando e segmentando l’audience”. Calabrò non teme l’esilio di Pirandello e Beckett, semmai annuncia una resa incondizionata a Mediaset: quale tv promuove le nicchie incurante dell’audience? Era previsto. A Loris Mazzetti sovviene un episodio all’apparenza innocuo: “Ricordo che alla presentazione dei palinsesti – dice il dirigente Rai – il direttore generale Masi non pronunciò mai la parola concorrenza. Ora stanno scrivendo la fine della Rai”. E l’inizio delle purghe.

Il “Padrino” accoglie i viaggiatori a Milano IL PRIMO PUNTO RISTORO ALLA STAZIONE CENTRALE EVOCA LA MAFIA SICILIANA di Nando Dalla Chiesa

in terra di mafia, viaggiatori Bzionedienvenuti tutto il mondo. Benvenuti alla Stacentrale di Milano, qui di fronte agli eleganti marciapiedi su cui scendono i pregiati clienti della “Freccia rossa”. Ammirate nel cuore della grande architettura fascista questo superbo quadrilatero. Sei-sette metri per lato, un trionfo goloso da strapaese sormontato ovunque dalla parola che ci ha resi famosi nel mondo: “Il padrino”. Perché questa è la ragione sociale dell’azienda che dà oggi il suo marchio a Milano. Cannoli e cassate, signore e signori. E poi torroni e arancini, e carretti siciliani. E non dimenticatelo mai, anche se ogni tanto ci offendiamo che lo scriviate: noi siamo questo, la terra del padrino. E se non ce lo fanno più dire apertamente a Palermo o a Catania, lo diciamo noi da qui, dalla capitale della Lombardia. A volte le coincidenze simboliche hanno qualcosa di terribile e di feroce. Così il fatto che alla Stazione centrale di Milano, tra lavori in corso ed enormi pannelli di rivestimento, brilli in solitudine il simbolo della mafia proprio nei giorni in cui i clan hanno ucciso per strada un

imprenditore edile ben ammanicato con le amministrazioni della provincia, ha qualcosa di involontariamente sinistro. Di profetico perfino. E di sconcio. Non solo per il gusto chiassoso, da fiera di provincia, gettato su un luogo che cerca da anni un decoro estetico europeo. Ma perché quel nome che evoca tanto naturalmente la mafia e la sua cultura è una vergogna civile. Per capirsi: che cosa succederebbe se domani in stazione o in piazza Duomo aprisse un bar intitolato “Alle Brigate rosse”? Forse che tutte le autorità, tutti i giornali, tutti gli intellettuali, non correrebbero come un sol uomo a invocarne la chiusura immediata e la altrettanto immediata punizione di chi avesse autorizzato quella insegna? Certo, alcuni possono ridere sulla mafia, e raccontare su di lei e sulle sue imprese barzellette amene. Ma c’è un tabù morale che poi ne proibisce il racconto in pubblico. E dunque diventa decisivo capire come la città possa tollerare questo inno alla cultura mafiosa quando ha in piazza Diaz un monumento al carabiniere intitolato al generale Dalla Chiesa, quando ha una scuola media intitolata a Falcone e Borsellino e una scuola intitolata a Emanue-

la Setti Carraro. Quando vede migliaia di suoi studenti impegnati nella cosiddetta “educazione alla legalità”, nutrita – così si insegna loro – di dettagli e di piccole cose quotidiane. Bisognerebbe capire come si sentono i carabinieri e i poliziotti in servizio alla stazione a passare accanto alla “innocente” pubblicità del Padrino, e a pensare magari a quanti dei loro colleghi sono stati falciati o fatti a brandelli dal Padrino di Corleone o dal Padrino di Ciaculli o dal Padrino di Resuttana. So per certo che al comune di Milano sono molti, a partire dal sindaco, che non hanno simpatia alcuna per i mafiosi e i loro simboli. So che c’è un prefetto che ha le carte in regola per non essere sospettato della minima debolezza. Intervengano dunque loro con ogni energia per rimuovere questo insulto alla memoria degli eroi del paese, a chi rischia ogni giorno contro i tanti padrini che impartiscono ordini di morte nelle più diverse lande del paese. L’ambiguità giuliva non è più consentita a nessuno. E per finire: così come io sto firmando questo articolo, vorrei tanto sapere chi ha firmato l’autorizzazione di questo sconcio che sfregia l’immagine di Milano e dell’Italia.

Processo Mori, ufficiale ammette: “Ho firmato il falso” di G.L.B.

Palermo

porta la mia firma, ma quello che c’è scritto Lnonaè relazione falso: quel giorno a Mezzojuso il colonnello Riccio c’era”. Il processo è a Mario Mori e Mauro Obinu, accusati della mancata cattura del boss Bernardo Provenzano, ma sul banco degli imputati, ieri mattina, ha rischiato di salire un terzo ufficiale del Ros, il colonnello Antonio Damiano, che nel 1996 comandava la sezione di Caltanissetta e che nel 2004 è passato al Sisde diretto da Mori. Quel giorno, a Mezzojuso, la mattina del 31 ottobre 1995, scrisse Damiano in una relazione di servizio, c’era anche il colonnello Michele Riccio, il cui confidente, Luigi Ilardo, poi ucciso il 10 maggio dell’anno successivo, aveva messo i carabinieri sulle tracce di Provenzano: da lui era partita l’indagine e assieme ai suoi colleghi era tra coloro che sorvegliarono la zona ma non intervennero, consentendo alla primula rossa corleonese di andare via indisturbato. Ieri in aula l’ufficiale ha smentito la sua relazione, sostenendo che in realtà Riccio non era presente, e che il suo nome era stato inserito per attribuire a un superiore un ruolo in un’indagine che proprio dal colonnello aveva avuto il suo input. E i misteri attorno a questa storia aumentano, arricchiti dalle contraddizioni di Damiano che, smentito dai suoi marescialli, aveva detto di avere compiuto un sopralluogo a Mezzojuso con i suoi uomini la notte precedente l’appostamento, per poi andare a dormire in macchina a Mondello. Così, quando il pm Di Matteo ha chiesto la sospensione dell’udienza per dare modo al teste – che avrebbe potuto assumere la qualità di indiziato di reato connesso –, di nominare un avvocato si sono opposti i legali della difesa, e il tribunale ha dato loro ragione: secondo l’avvocato Piero Milio il pm sapeva della falsità fin dal 2002, e “nonostante ciò – ha detto il legale – la procura non ha mai iscritto Damiano nel registro degli indagati, quindi resta un teste”. E dopo che i giudici hanno accolto la tesi della difesa, il pm ha rinunciato ad interrogare il testimone, protagonista della clamorosa marcia indietro. Ma Riccio era o no sulla collinetta di Mezzojuso impegnato nei servizi di osservazione per la cattura di Provenzano? Lui ha sempre giurato di sì, rivelando che fu egli stesso a proporre a Mori e ad altri ufficiali di consegnare ad Ilardo, che doveva incontrare Provenzano, una cintura con un trasmettitore satellitare, in dotazione alla Dea americana, da azionare semplicemente cambiando l’occhiello. Un gesto anonimo, da compiere davanti al superlatitante, che avrebbe consentito l’irruzione dei carabinieri. Ma l’idea non fu accolta da Mori, accusa Riccio, e quella mattina, dalle 8 alle 11 circa, decine di carabinieri assistettero da lontano al summit mafioso fotografando la scena senza intervenire. Il tribunale ha poi rinviato l’udienza al 14 dicembre per ascoltare il procuratore generale di Catania ed ex procuratore di Caltanissetta Gianni Tinebra e l’avvocato Carlo Taormina. A gennaio l’audizione di Massimo Ciancimino con il deposito, entro la fine dell’anno, di tutti i verbali finora segreti sulla trattativa.


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Mercoledì 11 novembre 2009

La strana storia della “cessione” di 2.000 lavoratori

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CRISI

l 20 giugno 2009 la società Eutelia trasferisce 2200 dipendenti altamente specializzati nella gestione di Internet ad un’altra società, la Agile. Contemporaneamente, Eutelia vende Agile a Omega. L’accusa dei dipendenti è che la cessione sia in realtà un licenziamento mascherato per evitare di pagare 54 milioni di

euro di trattamenti di fine rapporto che Eutelia avrebbe dovuto sostenere se avesse liquidato direttamente i suoi impiegati. I dipendenti di Agile confluiti in Omega lamentano di non ricevere lo stipendio da agosto, e 1192 di loro hanno ricevuto una lettera di licenziamento. Varie sedi di Omega sono state occupate nelle ultime settimane. La motivazione: i 10mila

lavoratori del gruppo accusano Omega di voler fallire per liberarsi del personale senza pagare la liquidazione e nemmeno i contributi. I sindacati hanno annunciato una manifestazione nazionale che si terrà a Roma il prossimo 17 novembre, per esigere gli stipendi e ottenere un tavolo col sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, dove affrontare la situazione.

VIGILANTES CONTRO I LAVORATORI DI OMEGA GUIDA IL RAID IL LORO EX AMMINISTRATORE Manganelli e torce di ferro per sgomberare l’azienda occupata di Beatrice Borromeo

eri mattina all’alba un gruppo di vigilantes, capitanato da Samuele Landi, ex amministratore delegato di Eutelia (e attuale membro del consiglio di amministrazione), ha fatto irruzione nella sede romana di Omega. L’azienda è occupata da quattordici giorni dai dipendenti che protestano per le 1192 lettere di licenziamento che hanno ricevuto. Diventano così sempre più palesi i rapporti tra Eutelia e Omega: la prima ha ceduto l’intero ramo che si occupa di information technology, in cui lavorano duemila persone, alla società Agile, vendendola contestualmente a Omega. Disfarsi di quei lavoratori ha significato per Eutelia non pagare 54 milioni di euro di trattamenti di fine rapporto.

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E’ la dimostrazione che tra Eutelia e Omega c’è ancora un legame occulto: 10 mila dipendenti temono il licenziamento

“Omega – dicono dal presidio – ha fatto il lavoro sporco per Eutelia”. Fino a oggi però Eutelia, quotata in Borsa, aveva negato ogni coinvolgimento con Omega e con le sorti degli impiegati. Ora non potrà più farlo, dopo che uno dei suoi più alti dirigenti ha forzato i cancelli della sede di via Bona per sgomberare un’azienda con cui, in teoria, la società di Samuele Landi non dovrebbe più avere nulla a che fare. Landi è arrivato assieme al capo dei servizi di sicurezza di Eutelia. Con loro c’erano quindici agenti privati che si sono spacciati per poliziotti: “Hanno sfondato il cancello con i piedi di porco – dice Nando, uno dei 20 lavoratori che dormiva in fabbrica – e ci hanno svegliati puntandoci le torce negli occhi. Urlavano e chiedevano a tutti i documenti per identificarci. Dicevano di essere poliziotti ed erano vestiti con uniformi simili a quelle delle forze dell’ordine. Gridavano: ‘Sgomberate! Andatevene o finisce male’. Li abbiamo scambiati per agenti veri”. La confusione dura qualche minuto. I vigilantes hanno delle divise nere con la scritta “Bar@ni” sul petto. “Erano le cinque e mezza del mattino, eravamo intontiti dalla forte luce che ci hanno puntato in faccia”, spiega Nando. Poi qualcuno riconosce Samuele Landi, che per i dipendenti è il responsabile dell’operazione che sta costando il lavoro a duemila di loro: “In Eutelia andava tutto bene. Landi ci

CONGRESSO CGIL

Le forze dell’ordine scortano fuori dalla sede romana di Omega i finti poliziotti

ha cacciati con un licenziamento mascherato, cedendoci a Omega che ci sta facendo fallire. Il giorno che ci hanno venduti è iniziato un incubo”, dice Maria Pia, che non si muove dalla sede occupata. Quando i lavoratori realizzano che Landi è tra loro, la tensione cresce: “Abbiamo capito che non erano poliziotti – racconta Pierpaolo, che ha assistito alla scena – e abbiamo cercato di mantenere la calma. I vigilantes hanno fatto cerchio attorno a Landi. Sventolavano in aria piedi di porco e torce con il manico lungo 20 centimetri in ferro che di solito

di Rosaria Talarico

Rinaldini&Podda all’assalto di Epifani

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mozione e non solo mozione. Il gruppo di dirigenti della Cgil – da Carlo Podda a Gianni Rinaldini e Nicoletta Rocchi – che ha deciso di presentare al prossimo congresso una mozione alternativa a quella di maggioranza la butta sul sentimentale. “Non è una scelta di separazione dalla Cgil, ma di grande passione per questo sindacato” afferma il portavoce dei firmatari, Mimmo Moccia. Nel documento di 40 pagine la parola chiave è “discontinuità”. “La concertazione è definitivamente conclusa” prosegue Moccia “per come è stata fin qui realizzata bisogna che i lavoratori si riprendano quello che è stato loro sottratto”. A livello interno la proposta è che per eleggere i gruppi dirigenti della Cgil si introducano primarie per far contare di più gli iscritti. Ieri il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani ha commentato che “sarebbe stato meglio un congresso unitario”. Ma non è preoccupato poiché sul

documento di maggioranza “c’è un larghissimo consenso: nove decimi della segreteria, tutte le categorie tranne tre, tutti i regionali e tutte le camere del lavoro tranne tre”. I punti programmatici della mozione sono quattro: 1) Una politica economica che punti su redistribuzione della ricchezza e lotta alla disoccupazione per uscire dalla crisi. 2) Lotta alla precarizzazione e alla riduzione di diritti e libertà dei lavoratori 3) La fine delle compatibilità definite dal governo nelle rivendicazioni salariali 4) Voto segreto nelle decisioni sulle piattaforme e gli accordi. Ieri Epifani ipotizzava che la mozione possa raccogliere un 30 per cento di voti in sede congressuale. “Non so dove Epifani prenda questa previsione – replica Moccia – per noi l’aspettativa non è di vincere o perdere il congresso, ma che la parola passi ai lavoratori e che si possano esprimere con libertà”.

vengono usate come sfolla-gente”. A quel punto, raccontano i venti dipendenti che si trovavano in sede durante l’irruzione, “hanno detto che se li avessimo toccati ci avrebbero ammazzati

di botte, ma noi, invece di reagire, abbiamo chiamato la polizia, quella vera”. Gli agenti arrivano dopo un quarto d’ora e raggruppano i vigilantes, che i lavoratori di Omega chiamano “squadristi”. Federico Ruffo, giornalista di “Crash”, la trasmissione di Raitre, era presente con un cameraman che ha ripreso tutto: “Sembrava il rapimento dei desaparecidos in Argentina – racconta Ruffo – perché sono arrivati con un grande furgone, prendendo a calci le porte, in tenuta antisommossa. Mi hanno urlato: ‘Tu che cazzo ci fai con la telecamera’. Le riprese sono in mano alla Digos, e Ruffo è stato convocato ieri a Montecitorio, per raccontare la vicenda. Con lui c’erano alcuni sindacalisti: “Landi è amico di Licio Gelli, è legato alla massoneria di Arezzo”, hanno detto. “L’aggressione ai lavoratori di Eutelia è un gesto vergognoso, ignobile e fascista”, dichiara la senatrice Patrizia Bugnano, capogruppo dell’Idv nelle commissioni Industria e infortuni sul lavoro. La Bugnano aggiunge: “Ci auguriamo che i respon-

sabili siano immediatamente perseguiti. Prendersela con chi protesta perché da mesi è senza stipendio e rischia il posto di lavoro è da infami”. Samuele Landi viene scortato dalla polizia in commissariato, identificato e poi rilasciato. I sindacati hanno comunque presentato denuncia penale nei confronti di Landi, che risulta già indagato, insieme con suo fratello, Raimondo Landi (vicepresidente di Eutelia), dalla procura di Arezzo per frode fiscale, falso in bilancio e appropriazione indebita. A protestare non sono solo i dipendenti di via Bona, ma circa diecimila lavoratori del gruppo in tutt’Italia. Molti lamentano di non ricevere lo stipendio da agosto, non trovano referenti aziendali con cui parlare, non hanno garanzie per il futuro. Tutti si sentono a rischio licenziamento. Nell’ultima settimana sono state occupate le sedi Omega di Ivrea, Torino, Pregnana milanese, Roma e Bari. Il 17 novembre i lavoratori del gruppo scenderanno in piazza per chiedere stipendi e risposte.

PIT-STOP

SI FERMA ANCHE LA FERRARI di Stefano Santachiara Modena

distanza di 16 anni dall’ultimo stop forAin cassa zato, i lavoratori della Ferrari sono tornati integrazione guadagni, a turno per una settimana, 500 operai di fonderia, motori e verniciature, e 100 impiegati. La crisi internazionale e il calo di produzione della “gemella” Maserati si sono tradotte in una flessione da 130 milioni di euro di ricavi e 4680 auto vendute (-6,9 per cento) nei primi nove mesi del 2009. Ma anche la gestione sportiva, dove ieri Luca Cordero di Montezemolo si è recato in visita per parlare del “nuovo modello di Formula Uno”, non può dirsi tranquilla alla luce del regolamento Fia: “Rispetto al tetto previsto per i team oggi avremmo circa 150, 200 addetti in più –calcola la Fiom Cgil – l’azienda però non risponde alla nostra richiesta d’incontro”. Il Cavallino rampante era stato l’unico finora a non rallentarenel comparto metalmeccanico, motore dell’industria emiliana assieme a ceramiche, tessile e abbigliamento, oggi funestati dalla crisi. Dalla Bonfiglioli motoriduttori (1500 addetti tra Bologna, Vignola e Forlì e fabbriche in Slovacchia, India e Vietnam)alla Berco di Ferrara della Thyssen Krupp (2500 dipendenti) ai trattori targati Fiat dellaCasa New Holland di Imola: nessuno è escluso. A Maranello l’ultimo utilizzo degli ammortizzatori risale al 1993, quando furono interessati mille dipendenti per sei settimane. I ricorsi storici delle crisi, che evocano la suggestione delle contestuali sconfitte nel Campiona-

to di Formula Uno come nel 1974, sonosolo coincidenze. Erano altre stagioni, quelle della crisi energetica e della competizione globale degli anni Novanta, con le aperture dei mercati dell’est e i primi businessman cinesi che iniziavano a guidare Testarossa. Oggi i vertici della Ferrari non negano il momento difficile ma lo considerano un pit stop, dovuto a una crisi internazionale senza precedenti e al calo di produzione della Maserati, che nei mesi scorsi aveva già fatto partire la cassa integrazione ed evitato di rinnovare 112 precari. “La flessione è in riferimento all’anno record del 2008 – fa sapere l’ufficio stampa di Maranello – ma l’ultimo trimestre conferma l’andamento dei primi nove mesi indicando una tendenza stazionaria per il 2010”. In un contesto che vede la Ferrari volare nei mercati orientali e aumentare del 10 per cento la fetta di mercato mondiale falcidiato dalla crisi. “Il problema è il crollo di richieste di motori dalla Maserati, da 9000 a 4200 auto nell’ultimo anno – spiega il segretario provinciale della Fiom Cgil Giordano Fiorani – ma anche Ferrari oggi è in sofferenza. Se così non fosse, non si spiegherebbe perché non applichino un’integrazione di stipendio ai lavoratori in cassa che questa settimana percepiscono il 60 per cento del salario. Oggi chiederemo all’azienda un piano industriale di prospettiva: siamo preoccupati per le ricadute occupazionali, e per il centinaio di lavoratori a tempo determinato sparsi nelle varie aree”.

Dopo 16 anni a Maranello torna la cassa integrazione, colpa anche delle difficoltà della Maserati


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La caduta dell’impero di cemento e debiti di Luigi Zunino

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POTERI FORTI

luglio la procura di Milano ha chiesto il fallimento del gruppo immobiliare Risanamento, guidato da Luigi Zunino. Lo sviluppo edilizio delle aree di Rogoredo-Santa Giulia si è rivelato più complesso e meno redditizio di quanto promesso al mercato. E La società si è trovata schiacciata da 3 miliardi di euro di debiti, molti verso banche creditrici che, in caso

di insolvenza della società, dovrebbero svalutare i crediti. Con ricadute pesanti sui bilanci. I principali istituti di credito, quindi, cercano una soluzione che eviti la bancarotta: negoziano un piano di sopravvivenza che prevede l’uscita di scena di Zunino (come manager) e un rifinanziamento della società. Una delle argomentazioni è che mettere adesso sul mercato gli immobili del

gruppo significherebbe venderli a prezzi molto bassi (a causa della crisi) con perdite ingenti. Si è capito che Risanamento poteva salvarsi quando la Consob ha esentato le banche dall’obbligo di Opa: di fatto si trovano a essere gli azionisti di controllo della società (le obbligazioni possono essere convertite in azioni) ma non saranno costrette a comprare le quote in mano ai piccoli azionisti.

IL REGALO DEL TRIBUNALE

I giudici salvano Risanamento Intesa Sanpaolo e Unicredit ringraziano di Francesco Bonazzi

a strategia delle grandi banche s’era già capita da mesi, ma da un paio di settimane coincideva esattamente con la linea che trapelava dal Palazzo di giustizia milanese: separare i destini societari di Risanamento da quelli personali e giudiziari di Luigi Zunino. Così, quando ieri mattina il salvataggio del colosso immobiliare gravato da tre miliardi di debiti ha ricevuto anche formalmente il crisma di una sentenza del tribunale civile, capace di respingere la richiesta di fallimento presentata dalla procura, le prime cinque grandi banche di casa nostra hanno tirato un gran sospiro di sollievo e hanno fatto festa a Piazza Affari. Invece da Parigi, dove sempre più spesso risiede, il cinquantenne “tycoon” di Nizza Monferrato ha forse compreso di es-

L

sere un uomo sempre più solo. Discarcionato in estate dalla guida di Risanamento, ormai amministrata dagli avvocati e dai suoi banchieri creditori, da giorni Zunino sa di camminare sul filo del rasoio. Con esattezza, lo sa dal pomeriggio di mercoledì 21 ottobre, quando il suo amico e socio Giuseppe Grossi, incarcerato a San Vittore, ha cominciato a riempire pagine e pagine di verbali con i pubblici ministeri milanesi Laura Pedio e Gaetano Ruta. Grossi, meglio noto come “il re delle bonifiche ambientali”, avrebbe iniziato a parlare dei lavori eseguiti per Santa Giulia, il quartiere milanese che Zunino sognava di costruire da qualche anno e che forse sarebbe già realtà se non fosse per un piccolo particolare: i soldi erano finiti da oltre un anno e i subappaltatori non vedevano più un centesimo. Ma quello che più preoccupa i le-

Guai veneti per Cl di Ferruccio Pinotti e Pier Clerici

gali del finanziere monferrino è il famoso “comparto estero” sul quale lo stesso tribunale civile aveva chiesto maggiori informazioni, casualmente poche ore prima che scattassero le manette ai polsi di Grossi. Il pool di avvocati di Risanamento, quotata in Borsa e oggi formalmente guidata dal giurista Vincenzo Mariconda, aveva sfornato in 24 ore un centinaio di pagine sull’impero straniero di Zunino. Pochi giorni dopo, arrivò la doccia gelata dell’arresto di Grossi, socio di Zunino in alcune holding estere. E proprio di questi loro rapporti oltre confine avrebbe iniziato a parlare Grossi. In ogni caso la sentenza di ieri, firmata dai giudici Filippo Lamanna, Pierluigi Perrotti e Marianna Galioto, ancorché prudentissima nello spiegare che l’omologa del piano di salvataggio bancario da 800 milioni sarà oggetto di futura e attenta “vigilanza”, ha reso felici le banche creditrici. A cominciare da quell’Intesa Sanpaolo che con Risanamento è esposta per la cifra-monstre di 650 milioni, per andare avanti con Unicredit, Banca Popolare di Milano, Monte dei Paschi di Siena e Banco Popolare. Ovvero, i primi cinque

gruppi bancari del paese, che sull’ascesa di colui che nell’estate dei “Furbetti del quartierino” ebbe la modestia di definirsi “la formula uno dell’immobiliare”, avevano scommesso a piene mani i soldi raccolti con tanta cura dalla propria clientela. Già, perché il fior fiore del sistema creditizio italiano ha fatto a gara, negli anni scorsi e anche in piena stretta creditizia, nel finanziare lautamente il signor Zunino da Nizza. Le banche estere, che invece non sono gravate da “obblighi di sistema” e non devono in qualche modo rispondere alla politica tricolore, sono invece state liquidate rapidamente all’inizio dell’estate, in modo che la maxi grana zuniniana potesse essere interamente gestita con calma e pazienza tra le “mura amiche”. Senza il rischio di degenerare in una nuo-

va Parmalat o in un’altra Federconsorzi, per citare due crac certo molto diversi, ma che per la loro natura internazionale ancora spaventano le banche di casa nostra, con tanto di strascichi giudiziari. Comunque vada a finire questa storia, per l’istituto milanese guidato da Giovanni Bazoli e Corrado Passera, lunedì 10 novembre sarà un giorno da incorniciare. Un giorno nel quale si è evitata una Caporetto creditizia dagli esiti imprevedibili. E un giorno in cui è stata bocciata la linea della procura, secondo la quale il gruppo immobiliare sarebbe controllato di fatto dalle banche e gli altri creditori sarebbero perciò esposti a rischi di “impari” trattamento. Poi, per una casualità di calendario finanziario, ieri era riunito anche il consiglio di amministrazione

di Intesa Sanpaolo per l’approvazione dei conti dei primi nove mesi del 2009, chiusi con un utile netto di 2,262 miliardi. In calo rispetto ai 3,781 miliardi dell’analogo periodo 2008, è vero, ma di questi tempi è tutto grasso che cola. Come la sentenza del tribunale civile.

La società immobiliare non fallirà, un’ottima notizia per i bilanci delle grandi banche creditrici

ORESTE VIGORITO

rossa inchiesta giudiziaria sugli affari della Compagnia Gmagistrati delle Opere, il braccio operativo di Cl. Nel mirino dei è finito il business della formazione nel nord-est. Tutto gira attorno a una galassia di società del settore e in particolare alla Dieffe, società di Padova vicina alla Cdo. Nella sua ragione sociale c’è scritto che l’azienda “si prefigge di continuare la tradizione sociale ispirata dai padri francescani Egidio Gelain e Ruggero Nuvola, il cui scopo era quello di contribuire al progresso lavorativo, culturale, familiare e sociale delle genti dell’entroterra veneziano”. Ma la Dieffe Scarl è una delle cooperative legate alla galassia ciellina del Veneto, finite al centro dell’inchiesta della procura di Padova sui corsi di formazione truffa, finanziati da fondi gonfiati dell’Unione europea, del ministero del Lavoro e della regione. Un’indagine durata due anni, chiusa lunedì con l’invio di dodici avvisi di garanzia – firmati dal pm Vartan Giacomelli – recapitati ad altrettanti imprenditori della zona legati al movimento di don Giussani. Come l’ex presidente della Cdo del nord-est Graziano Debellini, e il direttore dei Magazzini Generali di Padova, Renzo Sartori. Che ora rischiano il processo per truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, se le accuse della procura saranno dimostrate. Il lavoro investigativo, partito nell’ottobre 2007, si concentra sulla grande quantità di corsi di formazione, svolti tra il 2003 e il 2005 a Padova, con finanziamenti dell’Unione europea, dello Stato e della regione. La spesa sostenuta dalle varie cooperative di formazione, però, secondo l’accusa sarebbe stata in realtà assai più bassa rispetto all’importo richiesto: con l’interposizione fittizia di una serie di società, si creava una rendicontazione contabile per far lievitare i costi. I docenti di alcuni corsi Dieffe, per esempio, fatturavano un costo orario tra i 41,32 e i 77,47 euro, mentre società interposte emettevano fatture nei confronti di Dieffe al massimo consentito, ovvero 77,47 euro. Di qui l’ipotesi di truffa formulata dalla procura, e naturalmente contestata dalla difesa degli indagati, che ritengono sia tutto regolare. Graziano Debellini, leader storico del movimento ciellino, è membro del cda di Dieffe Scarl dal settembre 1998. Potentissimo in città, è molto vicino al sindaco Pd Flavio Zanonato, che non ha mai nascosto le proprie simpatie per la Cdo.

L’immobiliarista Luigi Zuninol (FOTO ANSA)

IL RE DELL’EOLICO FINISCE IN MANETTE di Marco Lillo

essuno se n’è accorto. É il destino di Oreste Vigorito, sottovalutato sempre nel bene e nel male. Questo avvocato di Ercolano di 63 anni, ha accumulato una fortuna che ne fa certamente uno degli uomini più ricchi della Campania. Ieri è stato arrestato con l’accusa di associazione a delinquere e truffa aggravata perché avrebbe chiesto e ottenuto dallo Stato stanziamenti per 60 milioni di euro grazie alla legge 488 del 1992, sostenendo il falso nelle richieste dei contributi. La Guardia di finanza di Avellino ha sequestrato sette campi eolici siciliani e sardi che rappresentavano la nuova frontiera dell’avanzata delle sue pale, dopo l’invasione di Campania, Puglia, Basilicata e Calabria. Nell’operazione, ideata e coordinata dal colonnello Maurizio Guarino, passato alla Dia nell’agosto scorso, a Carlentini, in provincia di Siracusa, sono state sequestrate 57 turbine; a Militello val di Catania 18 pali, a Mineo (Catania) 11, a Vizzini (Catania) 30, a Camporeale (Palermo)

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Le pale trasformano pietraie in miniere d’oro, ma alla base del business ci sarebbero truffe allo Stato

14, più altre 10 turbine a Partinico (Palermo); 10 a Monreale (Palermo) e 26 turbine a Ploaghe, in provincia di Sassari. Il valore totale stimato dal pm in 154 milioni di euro in realtà è superiore, stando alle stime di mercato. L’operazione coordinata dal sostituto procuratore Maria Luisa Buono di Avellino, accende il faro sul business sporco che si nasconde dietro l’energia pulita. Vigorito ne è il campione nazionale. Presidente dell’associazione di categoria degli industriali del vento, l’Anev, ha finanziato l’Udeur e ha pagato prestazioni all’avvocato Pellegrino Mastella, figlio del segretario. Dagli anni Novanta, Vigorito batte le campagne della Daunia e dell’Irpinia, proponendo contratti di affitto ai proprietari dei terreni ventosi. Grazie ai suoi buoni agganci, comincia a fare incetta di terreni e autorizzazioni trasformando pietraie battute dal vento in miniere d’oro. L’energia eolica è finanziata generosamente, e l’abbattimento dei costi di produzione, negli ultimi anni, ha originato una bolla speculativa. L’autorizzazione per un campo vale circa 500 mila euro per megawatt. Un pacco di nulla osta per un campo da 30 megawatt passa di mano per 15 milioni di euro. II 6 agosto del 2007 il Wall Street Journal si è occupato dei campi eolici costruiti da Vigorito. Quel giorno il colosso britannico International Power li ha comprati da un misterioso fondo irlandese di nome Trinergy per un miliardo e 830 milioni di euro. E parliamo solo di una parte dei parchi eolici sviluppati nel Mezzogiorno dalla società Ivpc fondata da Vigorito, che resta

proprietario di altrettanti, per un valore similare. Lo Stato italiano paga 200 euro per lo stesso megawatt che nei maggiori paesi europei vale 80. Così da noi le pale sono costruite più per afferrare i contributi che il vento. La Sicilia ne è un ottimo esempio: la rete non regge gli impianti attuali ma, invece di costruire elettrodotti, la regione regala decine di milioni a imprese che ingolfano il sistema. Vigorito e il suo rappresentante in Sicilia, Vito Nicastri, avrebbero prodotto nella domanda per i contributi pubblici “falsi contratti di locazione dei terreni su cui si sarebbero dovute istallare le turbine eoliche”, in modo da ingannare i funzionari del ministero. Inoltre, Vigorito è accusato di avere fatto figurare più volte nelle sue domande gli stessi capitali, ché, per avere i contributi, è necessario dimostrare che l’impresa mette una parte equivalente in proprio. Non a caso è indagato anche un dirigente di Centrobanca di Milano che al telefono diceva: “É tutto falso, mi sembra il mercato delle vacche, i soldi all’inizio non c’erano”. Vigorito ha tentato di scaricare tutta la responsabilità su chi aveva presentato le domande, cioè Nicastri, ma il pm Buono ha arrestato anche lui. L’imprenditore di Alcamo però ha un ruolo chiave. É il classico “sviluppatore”, una figura tutta italiana che ottiene le autorizzazioni e poi le cede a un prezzo profumato. Nei primi anni Novanta, era stato coinvolto in una storia di corruzione e ne era uscito indenne. Dopo un patteggiamento e una prescrizione, eccolo pronto per l’altra energia pulita, il vento.


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Mercoledì 11 novembre 2009

DAL MONDO

Giochi di ruolo per vincere la Ue

N PAKISTAN

Dieci vittime in un attentato

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ono almeno 10 i morti nell’attentato avvenuto ieri nella città pachistana di Charsadda, nel nordovest del paese, 20 chilometri a nordest di Peshawar. Lo hanno reso noto fonti di polizia, che parlano anche di 15 feriti. L’attentato è stato compiuto con una autobomba.

DUELLO A DISTANZA BLAIR-D’ALEMA di Gianni

Marsilli Parigi

prima vista, pare proprio che i nomi dei due futuri alfieri dell’Unione europea si stiano giocando in riva al Tamigi. In quel paese in cui, sbarcando a Heathrow, bisogna cambiare l’euro in sterline, altrimenti non si mangia. In quel paese il cui prossimo governo tory affosserà con apposito referendum ogni prospettiva di adesione alla moneta unica. È da Londra che l’attuale premier Gordon Brown rialza la posta: Tony Blair è il mio “unico candidato” alla presidenza dell’Unione, e tanto peggio se Merkel e Sarkozy hanno idee diverse. L’ha detto e ripetuto ai suoi pari nella serata berlinese del 9 novembre, e anche ieri mattina. Per giorni, in precedenza, aveva lasciato correre la voce che britannico fosse anche l’altro candidato, il più importante: quello al posto di Alto rappresentante, ovvero di ministro degli Esteri europeo, che aveva assunto le giovani e volitive fattezze di David Miliband, l’attuale reggitore del Foreign Office. La candidatura Blair scendeva, e saliva quella di Miliband. Adesso quella di Miliband è scomparsa, e Blair è tornato ad occupare il campo. E gli altri tutti lì, ipnotizzati dall’altalena anglo-britannica. Paradossale, no? Non troppo, a guardare le cose da vicino. Gli inglesi, si sa, sono gente pragmatica. Sanno bene che la presidenza dell’Unione è di grande impatto mediatico, ma di non equivalente peso politico. Il presidente sarà un mediatore tra i 27, più che la punta di lancia di un’Europa che va costruita ogni giorno che Dio manda in terra. Allora, per gli inglesi, tanto meglio per i colori nazionali se la spunta Tony Blair, ma se non ce la dovesse fare non sarà certo un dramma, anzi. Quest’ultima ipotesi rimane la più probabile: Merkel e Sarkozy hanno infatti il loro candidato da opporre a Blair. È il belga Herman Van Rompuy, l’uomo che in un anno ha messo pace nel litigioso Belgio tra fiamminghi e valloni. Oppure l’olandese Balkenende, il protestante che piace in particolare ad Angela Merkel. Insomma un democristiano federalista, nella migliore tradizione renana ed europeista, con buona pace dell’insularità britannica e della “special relationship” transatlantica, che così triste prova di sé diede nel dramma iracheno. Una specie di rivincita: fu il britannico John Major a bocciare il belga Dehaene alla testa della Commissione, e più recentemente, nel

A

2004, fu Tony Blair a segare le gambe di Guy Verhofstadt, candidato di Chirac e Schroeder, per spianare la strada al confortevole Barroso. In fondo si sta rigiocando una vecchia partita: Europa comunitaria e integrata, quella cara ai Fondatori, contro Europa intergovernativa e mercantile, cara agli inglesi. A Bruxelles, molto ufficiosamente perché il magma è in piena ebollizione, si ragiona così: Gordon Brown è preparatissimo alla bocciatura di Blair, non si strapperà i capelli ma chiederà in cambio un bottino politicamente consistente. Il pensiero corre a un commissario tra i più importanti, come il Commercio internazionale o la Concorrenza, assortito della carica di vicepresidente. Ma corre anche a luoghi di potere molto meno in vista, ma non meno influenti. Per esempio la segreteria generale del Consiglio, oggi coor\dinata da Javier Solana, sui cui tavoli passano le direzioni generali e le concrete politiche europee. Quanto all’Alto rappresentante, a Gordon Brown certamente non sfugge la stranezza costituita da un bri-

Il Parlamento europeo. Sotto D’Alema e Blair ( FOTO ANSA)

tannico su quell’inedito scranno, il più “comunitario” per come lo prevede il Trattato di Lisbona. Il nuovo ministro degli Esteri europeo sarà infatti anche vicepresidente della Commissione. Disporrà di un suo staff e di un servizio diplomatico. Dovrà essere insomma l’emblema di un’Europa molto più comunitaria che intergovernativa. È esattamente su questo solco che sono aumentate, e di parecchio, le possibilità che Massimo D’Alema, in rappresentanza di uno Stato fondatore dell’Unione, diventi l’ormai celebre Mr. Pesc. Certo, la corsa dell’ex premier italiano diventerà complicata se Tony Blair dovesse diventare presidente dell’Ue: appartengono ambedue alla famiglia socialdemocratica, che non può vincere in un colpo tutta la posta in gioco. Oltretutto D’Alema, notoriamente, non deborda di stima per il britannico, fin da quando, nella primavera del ’99, lui e Clinton dovettero frenarne gli ardori guerrieri, intenzionato com’era a invadere i Balcani con truppe di terra. Su D’Alema, inoltre, nessuno in Italia fa

Stretti tra tedeschi e francesi gli inglesi possono perdere la poltrona di presidente europeo: così l’Italia rischia il posto di Mr Pesc obiezioni, mentre di Blair i tory non vogliono sentir parlare per i prossimi tre o quattro decenni. Per Berlusconi, infine, il gioco non è poi così complicato. Fa bella figura non opponendosi alla candidatura di D’Alema (visto? Sono un vero statista al di sopra delle parti), mentre si appresta, qualora non passi, a richiedere congrui indennizzi. Un

MACHIAVELLI

esempio? Il primo che ci viene in mente: la presidenza dell’Eurogruppo, dove il lussemburghese Juncker è in scadenza. Il posto ideale per un Tremonti, toh. In un colpo solo lo fa contento e se lo toglie di torno. Ma queste, beninteso, sono solo nostre illazioni. La risposta al vertice di Bruxelles della settimana prossima, salvo imprevisti.

di Alessandro Cisilin

IL MURO D’ITALIA on dico assolutamente nulla. Tocchiamo legno e basta”. D’Alema si schermisce e usa scaramanzia alla vigilia delle nomine europee. L’occasione è un dibattito pubblico in Campidoglio su “Il crollo del Muro di Berlino nella storia politica italiana”. Presenti Cicchitto, Buttiglione e il padrone di casa Alemanno. Verrebbe da dire: “I nostri partiti d’origine sono stati spazzati dalla storia, noi ci siamo ancora”. Il capogruppo Pdl alla Camera: “Il problema sono i giudici comunisti che con Tangentopoli hanno demolito la Dc e il Psi e ora tocca a Berlusconi”. Buttiglione: “Noi stiamo rifacendo il centro, voi – rivolgendosi a D’Alema – dovete rifare il Partito socialista”. Lui allarga le braccia e strizza l’occhio al sindaco: “Ex comunisti ed ex fascisti sono gli unici a non aver problemi a darsi reciproca legittimazione”. Poi tutti concordi: “Da tempo non avevamo un dibattito così civile ed elevato”. E l’ambasciatore tedesco sussurra: “Forse in Italia la crollata del Muro non c’è ancora stata”.

N

Il giro del mondo della marcia della pace

Guerra di confine Arabia Saudita-Yemen

a prima Marcia mondiale della Pace approda oggi Ltecipanti a Roma dove una folta rappresentanza dei parassisterà all’udienza generale del Papa in

ribelli yemeniti che dal 2004 si oppongono al governo di Ivasta Sanaa hanno fatto sapere d’aver preso il controllo di una area al confine con l’Arabia Saudita, contribuendo a

piazza San Pietro. Domani, giovedì, una delegazione dei marciatori sarà ricevuta in Parlamento. La Marcia, partita da Wellington, in Nuova Zelanda, il 2 ottobre, si concluderà il 2 gennaio a Punta de Vacas (nel nord dell’Argentina, al confine con il Cile, sulla catena andina) dopo aver toccato cento nazioni. Vi aderiscono gruppi pacifisti, istituzioni pubbliche e private, personalità di ogni settore. Fra gli sponsor Jimmy Carter, il Dalai Lama e i capi di Stato di Argentina, Cile, Bolivia, Ecuador e Croazia. L’obiettivo è quello di lanciare un messaggio planetario per lo smantellamento degli arsenali nucleari e per la riduzione delle spese militari. Oggi a Berlino i promotori dell’evento riceveranno un importante riconoscimento nell’ambito del Vertice dei Nobel per la Pace (Tema: “Facciamo cadere altri muri”) a cui parteciperanno i Nobel Mikhail Gorbaciov, il sudafricano Frederik Willem de Klerk, il polacco Lech Walesa, l’indiano Muhammad Yunus. (G.P.)

innalzare la preoccupazione per la crescita della tensione a ridosso del maggiore esportatore di petrolio del mondo. “La scorsa notte è stato preso il pieno controllo del direttorato di Qatabar, di tutti i rifornimenti, delle munizioni e degli edifici e di ogni possibile sito militare” è riportato in una dichiarazione dei ribelli zaiditi. Qatabar si trova tra la montuosa provincia settentrionale di Saada, teatro ultimamente di violenti scontri, e la frontiera con l’Arabia Saudita. Secondo Riyadh domenica le forze saudite avevano ripreso il controllo di Jabal Dukhan, sempre al confine tra i due paesi, dove da agosto si verificano combattimenti sempre più violenti tra i rivoltosi e le forze yemenite, e crescono i contrasti con l'Arabia Saudita accusata di appoggiare Sanaa nel tentativo di schiacciare la ribellione. Intanto Ryadh sostiene che i raid aerei che durano da giorni contro i ribelli continueranno fino al loro ripiegamento “a decine di chilometri dalla frontiera” comune: ieri gli ordigni sganciati dai caccia sauditi avrebbero ucciso almeno due donne nella regione di Malahidh e al-Hassameh.

BRASILE

Battisti domani si decide

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talo Ormanni, capo del dipartimento degli Affari di giustizia del ministero è a Brasilia dove domani è attesa la decisione del Supreme Tribunal Federal (la Corte Costituzionale brasiliana, Stf) sul ricorso italiano per chiedere l’estradizione dell’ex leader dei Pac Cesare Battisti (nella foto). Il magistrato si opporrà alla partecipazione al voto del nuovo giudice del Stf, José Antonio Toffoli.

ARABIA SAUDITA

A morte per magia nera

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n libanese di 47 anni è stato condannato a morte da un tribunale di Medina, in Arabia Saudita, per aver praticato magia nera. Lo riferisce il quotidiano Saudi Gazette: l’uomo apparso in programmi tv su emittenti satellitari, era stato trovato in un hotel cosparso di fogli con simboli magici, mentre usava erbe e talismani per uno dei suoi rituali. Durante il processo ha ammesso di praticare rituali di magia nera e di aver contribuito alla rottura di matrimoni. Finora 60 le condanne a morte eseguite quest’anno nel Regno.

AUSTRALIA

Crolla il numero dei koala

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Il koala, uno degli animali simbolo dell’Australia, sta rapidamente scomparendo dal continente a causa dello sviluppo urbano e del cambiamento climatico, ed è urgente che il governo lo includa fra le specie a rischio. Lo afferma la Koala Foundation, che ha condotto il più esteso censimento nazionale finora tentato dell’orsetto marsupiale. Secondo la ricerca, basata su ricognizioni di 80mila alberi in 1.800 località, la popolazione si aggira ormai fra 43mila e 80 mila. .


Mercoledì 11 novembre 2009

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DAL MONDO

Shirley Temple a Kabul LE ATTRICI AFGANE OLTRE I TALIBAN Pari Gholami

di Barbara Schiavulli

Sedici anni, non sa né leggere né scrivere, perché non è mai andata a scuola. Guadagna 50 dollari al giorno (lo stipendio medio è di 300) e mantiene la famiglia. “La prima volta che ho recitato in un film, non ho avuto il coraggio di dirlo a mio padre. Poi gliel’ho mostrato e lui ha accettato, perché i miei film sono tradizionali, non come quelli indiani dove le ragazze ballano e cantano”. Ma ha ricevuto molte minacce di morte.

Kabul

l giorno prima della distruzione dei Buddha nel 2001, nove impiegati dell’Archivio cinematografico di Kabul, sapevano che quello che stava per succedere a Bamiyan sarebbe accaduto anche al loro tesoro. I Taliban volevano ogni frammento di cultura e di storia dell’Afghanistan. Così costruirono un muro falso e nascosero circa 6000 bobine di film afgani e quando gli “Studenti del Corano” diedero fuoco a tutto quello che trovarono nell’edificio, salvarono la maggior parte dell’archivio cinematografico. Al macero andarono film russi e indiani, ma i Taliban erano troppo ignoranti per capirlo. Otto anni dopo, il cinema afgano lotta per sopravvivere: l’industria è decadente e senza soldi, il governo non aiuta, non ci sono scuole qualificate, gli attori sono improvvisati mentre le attrici vivono la fatica di lavorare in un paese che considera le donne proprietà degli uomini. L’edificio dell’Unione Artisti è fatiscente, sembra quasi abbandonato ingrigito da quella polvere che impregna tutta Kabul. In lontananza si sente una musica attraversare l’aria, in una stanzetta c’è il maestro Mumtaz Nawabi, noto musicista classico che suona con il suo allievo. Pari Gholami nei suoi jeans bianchi, oltrepassa la soglia del giardino. Un velo leggero incornicia il viso insolitamente truccato per un’afgana che di solito nasconde gli occhi dietro alla grata del burqa. È timida, giovane, ha solo 16 anni e un padre che la scruta. Pari è la Shirley Temple dell’Afghani-

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Shakila Rohi

Shakeba Secondary

Cinquantasette anni, decana delle attrici afgane. “Ho lavorato 30 anni nel cinema e nel teatro, sotto diversi regimi, con i Taliban siamo dovuti fuggire, ma la situazione oggi non è tanto migliorata: i Taliban continuano a minacciarci, non ci sono soldi per lavorare, le famiglie ci abbandonano perché lo considerano un lavoro disonorevole, ma almeno abbiamo migliaia di fan”

stan, 35 film in sei anni, era solo una bambina quando una zia l’ha introdotta nell’industria cinematografica afgana. “Amo questo lavoro, non credo che potrei fare altro”, dice Pari, quasi timorosa accennando a un debole sorriso. Racconta di quando ha cominciato, di quanto sia stato difficile accettare di essere famosa, di quando sono arrivate tutte quelle telefonate che la minacciavano di morte “perché per una donna non è bene farsi vedere”. La voce di Pari è un sussurro: “La prima volta che ho recitato in un film, non ho avuto il coraggio di dirlo a mio padre. Poi gliel’ho mostrato e lui ha accettato. D’altra parte i

Ventotto anni, è stata a scuola e ha tre figli, lavora a una fiction del venerdì per Tolo tv, una storia familiare - una proprietà contesa tra fratelli - che mescola ironia e tradizione. “La maggior parte delle famiglie non vogliono che le loro figlie facciano questo mestiere, ma quello che fa il padre di Pari è anche peggio, la usano, ma questa è una vecchia storia in Afghanistan”.

miei film sono tradizionali, non sono come quelli indiani dove le ragazze ballano e cantano”. Uno dei problemi è il padre, che con i suoi occhi arcigni controlla la vita della figlia che quando gira guadagna 50 dollari al giorno. Una cifra considerevole in un Afghanistan dove il salario medio si aggira sui 300 dollari al mese. Pari mantiene tutti, genitori e fratelli. Ma se lavora tanto, come va a scuola? “A dir la verità non ci vado – dice con un tono di scusa – non ho tempo”. Pari non ha smesso di andare a scuola, non ci è mai andata. Non sa né leggere né scrivere. Qualcuno le legge il copione e lei memo-

LA OLA DELLE CLARISSE Boom di vocazioni nei conventi di Spagna, grazie a Suor Veronica di Alessandro Oppes Madrid

icono che sia il più grande fenomeno proDdi Madre dotto dalla Chiesa cattolica sin dai tempi Teresa di Calcutta. E non per l’impegno a fianco degli ultimi, dei più poveri e disperati del pianeta. Tutt’altro. Il miracolo di Sor Veronica, al secolo Mari José Berzosa, 43 anni, si è prodotto finora tutto fra le quattro mura di un antichissimo convento delle Clarisse di clausura nella piccola località di Lerma, in provincia di Burgos. Il giorno in cui vi mise piede per la prima volta, appena diciottenne – lasciandosi alle spalle la facoltà di Medicina, il fidanzato, i fine settimana in discoteca, il basket e la passione per il teatro – erano 23 anni che non entrava una nuova novizia. Da allora ne sono passati altri 25 e, grazie a lei, al suo carisma che dicono irresistibile, è successo qualcosa di unico al mondo: un boom di vocazioni che ha portato in convento 135 nuove monache, la maggior parte laureate e con un’età media di 35 anni, men-

Da quando c’è la potentissima badessa, con un filo diretto con il Papa, sono arrivate 135 nuove monache, per lo più giovani laureate

tre un altro centinaio sono in lista d’attesa e scalpitano per poter entrare. Una vera rivoluzione, se si pensa che i gesuiti hanno appena venti novizi in tutta la Spagna, i francescani 5 e i paolini 3. E in un momento in cui, per non essere costretti a chiudere, decine di monasteri abitati ormai solo da poche suore ultrasettantenni, devono aprire le porte alle “sorelle” provenienti dall’Asia, dall’Africa o dal Sudamerica. I suoi ammiratori, che sono tanti, la definiscono già come “una santa”. Di sicuro Suor Veronica, semplice e diretta, sempre con il sorriso sulle labbra, è animata da una fede incrollabile che le ha permesso di superare le grandi ristrettezze della vita di un convento dove il tempo sembra essersi fermato quattro secoli fa: una celletta fredda e piccola, la sveglia all’alba per pregare, il silenzio, la contemplazione, il digiuno, il lavoro nell’orticello. Ma quello che più sorprende è il profilo delle aspiranti monache che hanno deciso di seguire il suo esempio: non più ragazze di scarsa cultura provenienti dal mondo rurale che, come in passato, cercavano nella vita monastica una forma di sussistenza. Le “figlie” di Veronica hanno studiato, parecchie di loro hanno una laurea (qui sono rappresentati quasi tutti i campi del sapere: dall’ingegneria alla medicina, dalla giurisprudenza all’economia, dalla chimica all’architettura alla pedagogia), in molti casi hanno lasciato un fidanzato e rinunciato a un brillante futuro professionale. Ma c’è soprattutto una cosa che le unisce dal punto di vista ideologico. La militanza nei gruppi più conservatori della Chiesa cattoli-

rizza. “Un giorno forse avrò il tempo per imparare, mi piacerebbe anche lasciare questo paese. Vorrei dire alle ragazze che sognano questo mestiere di non cedere alle minacce o alle pressioni, ma di non smettere di studiare neanche”. Una che ha studiato è Shakeba Secondary, 28 anni, attrice affermata, che ha lavorato anche in Iran, e appena firmato un

BUONE NOTIZIE

contratto con gli americani. “La maggior parte delle famiglie non vogliono che le loro figlie facciano questo mestiere, ma quello che fa il padre di Pari – ci dice di soppiatto – è anche peggio, la usano, ma questa è una vecchia storia in Afghanistan”. Shakeba, ha un marito, tre figli, e diversi film alle spalle, ora sta lavorando in una fiction di Tolo tv che va in onda ogni venerdì: “Una storia familiare di una casa contesa tra fratelli, divertente e drammatica”. Shakilà Rohi, una signora che tiene il braccio di Shakeba è uno dei personaggi chiave, ne dimostra 80 ma ha solo 57 anni. Fa la nonna smemorata di questa casa contesa: “Ho lavorato 30 anni nel cinema e nel teatro, sotto diversi regimi, con i Taliban siamo dovuti fuggire, ma la situazione oggi non è tanto migliorata, insomma i Taliban continuano a minacciarci, non ci sono soldi per lavorare, le nostre famiglie ci abbandonano perché lo considerano un lavoro disonorevole, eppure abbiamo migliaia di fan che ci adorano e questo ci fa andare avanti, sapere che c’è qualcuno che ci sostiene e ci dà forza”. A Kabul ci sono solo sette cinema aperti, frequentati solo da uomini, la maggior parte delle persone guarda la tv o compra film pirata. Quello che va per la maggiore sono i film iraniani e quelli indiani, ma il cinema afgano esiste. Nel

2003, il regista Siddiq Barmak ha vinto un Golden Globe con il film “Osama”, la storia di una ragazzina che durante il regime dei Taliban si è finta maschio per poter badare alla famiglia. La piccola attrice fu scoperta dal regista mentre chiedeva l’elemosina in strada, e anche se è ancora povera è riuscita a comprare una casa ai suoi genitori e a recitare in quattro altri film. “Ogni anno il cinema afgano produce 20 o 30 film con soldi stranieri, di organizzazioni o di privati, potenzialmente c’è un mercato, ma la situazione politica e la cultura”, dice il regista che da poco ha presentato la sua nuova commedia ‘Opium War’ su una famiglia di coltivatori di oppio che soccorrono due soldati americani sopravvissuti a un incidente di elicottero. “Questo film è il riflesso esatto della situazione in Afghanistan, quando non è tragica, è grottesca”.

Nell’archivio cinematografico furono nascoste 6.000 bobine di film, per salvarle dai Taliban

a cura della redazione di Cacaoonline

IL RUBINETTO DEL FUTURO Acqua sì, ma non in bottiglia Basta con la follia dell’acqua minerale in bottiglia! L’acqua del rubinetto è buona e costa meno. Lo riconferma una recente inchiesta dell’associazione Altroconsumo, ormai da diversi anni promotrice di una campagna di sensibilizzazione sul consumo dell’acqua pubblica. “L’acqua del rubinetto è di buona qualità nelle maggiori città italiane”, ha dichiarato il presidente Pietro Vitelli. Eccellente quella di Potenza e Campobasso. Non bere abitualmente l’acqua che sgorga dal rubinetto di casa vuol dire rinunciare a un prodotto sano, controllato e soprattutto economico:

ca: Opus Dei, Legionari di Cristo, carismatici, Comunione e liberazione, neocatecumenali (“kikos” come vengono chiamati dal nome del loro fondatore Kiko Arguello). Forse è per questo che piacciono tanto a Papa Benedetto XVI. Che quest’anno ha mandato in Spagna il predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, per dirigere gli esercizi spirituali di Suor Veronica e le sue sorelle di clausura. Un’occasione per far conoscere, anche attraverso gli schermi della Rai, il nuovo miracolo delle Clarisse: il grande convento de La Aguilera, ceduto dai francescani e completamente rimesso a nuovo per poter far fronte all’incontenibile “boom” di vocazioni (il monastero di Lerma era adatto a ospitare solo una trentina di suore). Grazie al canale privilegiato instaurato con la Santa Sede, Suor Veronica è riuscita a ottenere, caso unico al mondo, di poter svolgere il ruolo di badessa in due diversi conventi. Lei fa riferimento direttamente al Papa, tramite il cardinale Franc Rodé, prefetto della Congregazione per gli istituti della vita consacrata. Un privilegio che ha creato non poche invidie e malumori. Anche da parte del potentissimo

l’acqua di acquedotto costa fino a 250 volte meno dell’acqua minerale “firmata” in bottiglia. Addiopizzo Travel Si chiama così la prima agenzia di viaggi in Sicilia specializzata in itinerari “pizzofree”: alberghi, negozi, artigiani, ristoratori che hanno deciso di non pagare il pizzo alla mafia. L’idea è di tre studenti palermitani mentre la rete delle strutture “che non danno un euro alla mafia” è composta da oltre 400 persone. (di Jacopo Fo, Simone Canova, Maria Cristina DalBosco, Gabriella Canova)

cardinale Rouco Varela, che ambiva a poter controllare un fenomeno così importante e così vicino alla linea ultraconservatrice dell’arcivescovo di Madrid. Quando Suor Veronica era alla ricerca di nuovi spazi per ospitare le novizie in lista d’attesa, Varela arrivò a proporre alle Clarisse la cessione di un terreno di proprietà della Curia nei pressi della capitale. L’idea era quella di costruire un nuovo convento affidandone la realizzazione all’architetto Santiago Calatrava. Progetto troppo caro per la badessa delle Clarisse, che ha preferito il vecchio monastero dei francescani. Per la ristrutturazione c’era bisogno di 3 milioni di euro. A rendere possibile il miracolo è stato Luis Alberto Salazar-Simpson, un imprenditore che ha regalato alle suore l’intera entità dell’indennizzo ottenuto quando lasciò la presidenza della compagnia telefonica Amena, ceduta a France Télécom. Ma i soldi non bastavano, per completare l’opera c’era bisogno di altri milioni di euro. Detto, fatto. Ecco che interviene, con un generoso finanziamento, il Banco Popular, da sempre legato all’Opus Dei. Come si dice, le vie del Signore sono infinite.


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Mercoledì 11 novembre 2009

SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out

CONVERSAZIONE

STEFANO BENNI Dopo il Signor B. rimarrà il nulla Lo scrittore tra politica, cultura e il nuovo libro di Marco Travaglio

S

tefano Benni, che libro è il tuo “Pane e tempesta?” Lo decideranno i lettori. Sento dire che è il mio “ritorno alla comicità”. Forse si ride più che nei due o tre precedenti, ma non mi sembra di aver mai rinunciato all’ironia. E’ una fuga dall’attualità o un modo di raccontarla di nascosto? Si possono scrivere libri ambientati in anni o secoli passati che raccontano il presente meglio di una cronaca giornalistica o di un “attualissimo” e litigioso dibattito televisivo. I libri non urlano uno sopra l’altro. Tutt’al più si fanno concorrenza. C’è qualcuno che somiglia a te nel libro? O a qualcuno che conosci? O che conosciamo noi? Indovina. E’ un libro pieno di umorismo. A che serve, se serve, ridere oggi? Ti rigiro la domanda. Ho letto i tuoi ultimi corsivi e li ho trovati pieni di vena comica. Perché lo fai? Perché è inutile? Ci sono molti modi di ridere: alcuni inquietano e fanno riflettere, altri divertono e basta, altri sono meccanici e stupidi. Diciamo che “non servono”, anzi sono sleali le risate preregistrate della televisione. E anche la satira, talvolta, può essere banale e retorica. Ti si legge di rado, da un po’di tempo, sui giornali. Poche cose da dire o troppe? Ho sempre avuto periodi di grafomania e periodi di secca. In realtà, invecchiando, mi sembra che le parole siano diventate più pesanti, mi sento più responsabile e ci metto molto a scrivere anche un articolo di venti righe. Ma presto ci riproverò. Siccome ti si legge e sente poco, mi fai un riassunto di come la vedi? Seria, ma non disperata per l’Italia.

Quasi disperata per la terra, il clima, i virus da laboratorio, le guerre che non finiscono e tutto il resto. Perché te ne sei andato da Bologna? In primo luogo non c’erano molte occasioni o stimoli di lavoro. In secondo luogo non andavo più allo stadio perché il Bologna calcio è molto decaduto. Ma soprattutto ho seguito mio figlio che è venuto a studiare a Roma. Non rientri nemmeno ora che al posto di Cofferati c’è Delbono? Torno spesso a Bologna, ho ancora tanti amici, ma non fa più per me. E’ una città depressa, ha perso il senso dell’ironia, non tollera la minima critica. Ma forse ultimamente qualcosa sta cambiando. Possibile che sia meglio Roma? Roma è dieci città diverse, belle e orribili. Quando ti stanchi di una, puoi scappare in un’altra. E poi io sono sempre in giro. Hai votato ultimamente? Il voto e il confessionale sembrano l’unica forma di privacy rimasta in Italia, non so ancora per quanto. Vedo già le telecamere in agguato su urne e chiese. Perciò non te lo dico. Alle primarie del Pd? No, alle primarie non ho votato, ma non sfotto chi ci è andato. Rutelli se ne va con Casini, D’Alema se ne va in Europa, la Binetti resta. E’ perché non si può avere tutto dalla vita? Casini, che non ha mai goduto delle mie simpatie, ha dimostrato in questi ultimi anni meno attaccamento al potere di Rutelli. D’Alema, in Europa va benissimo, lo vedrei bene anche come assessore in Tasmania o allenatore del Chelsea, meno sproloquia di ribaltoni in patria e meglio è. La Binetti… oddio, abbiamo avuto Mastella ministro della Giustizia e ci preoccupiamo della Binetti? Battiato mi ha detto che ha votato Bersani ma non può dirsi di sinistra perché non sa cosa sia nell’Italia di oggi. Puoi aiutarlo? Gli dico che un centro di gravità permanente forse non lo trova più, ma tanti pianetini di intelligenza, nel cosmo delle idee italiane, forse sì. Per esempio dove? Vicino al “grande” volontariato, a volte assistito e burocratizzato, stanno nascendo forme di solidarietà civile più agili e autonome. I “vecchi” immigrati, per esempio, si riuniscono per aiutare i nuovi immigrati, creano sportelli di assistenza, gestiscono

campi di gioco e doposcuola, danno vita da soli alla solidarietà che le istituzioni negano. E lo fanno alla luce del sole, non con le mafiette etniche che hanno imperversato finora. Rimpiangeremo Prodi? Possibile che l’unico che ha battuto due volte Berlusconi sia a casa, mentre quelli che han sempre perso guidano l’opposizione? Sì, ha vinto due volte, perché in Italia a volte la mamma buona e brontolona può battere il babbo megalomane. Ma Prodi ha sempre convinto i suoi elettori, mai i suoi eletti. Ti soddisfa l’opposizione del Pd? Forse sto invecchiando e ho sentito male: hai detto veramente “opposizione del Pd”? Che consiglieresti a Bersani? Di andare più in giro per l’Italia e meno in tv. Di preferire gli esempi agli slogan. Di non affidare il futuro della sinistra ai giudici. Ma tanto nessuno ascolta i consigli dei “dissidenti”, vengono sollecitati solo la settimana prima delle elezioni. A parte i giudici, che non godono di grande popolarità nemmeno nel Pd, già sento l’obiezione del Politburo: ecco la solita sinistra “minoritaria“ e “perdente”. La politica che a me dà speranza oggi è in gran parte fuori dal Parlamento. Ci sono mille realtà più o meno di opposizione che continuano a non rassegnarsi alla miseria dei tempi. Si obietta: ma non sono un partito e forse non lo diventeranno mai. La ragione è che affrontano situazioni complesse e concrete, la semplificazione dell’attuale politica le snaturerebbe. Minoritario è chi ha sempre meno idee e le copia dai vincitori. Perdente è chi perde il legame con la complessità di un paese.

Lola Ponce La cantante smentisce: non andrò all’Isola dei famosi

Winslet Secondo Uk Film council Kate vale 60 milioni di sterline

Tu continui testardamente a non andare in televisione a promuovere i tuoi libri. Perché? Li promuove il mio editore e li promuovo io andando nelle librerie. L’ho già detto, voglio farcela avendo come primo sponsor la mia scrittura, e finora ci sono riuscito. Magari prima o poi andrò da Fazio, così il mio editore la smette di martellarmi i coglioni. Ma ci andrò quando il libro avrà conquistato i suoi lettori. Comunque lo scandalo vero è che in televisione non si parla mai dei libri di Vespa. Solo tre-quattrocento ore ogni volta. Perché questa emarginazione? Sottoscrivo, faremo una petizione contro l’oscuramento di Vespa. Tu intanto ti esibisci anche in teatro e Baricco dice che sei il migliore a leggere in Italia. Mi fa piacere la stima di Baricco, anche se mi ha procurato l’odio di un bel po’ di attori. Ma non temano: sono solo uno che legge con passione, non un attore professionista. Lo so che Berlusconi solo a nominarlo fa star male: ma pensi che sia davvero finito o almeno stia finendo? Berlusconi forse sì. La sua corte, il suo sistema di potere, lo sfascio delle regole, la tendenza degli italiani a non sentirsi più responsabili di nulla, questo non finirà presto. Qual è la cosa di lui che ti dà più fastidio? Il suo vittimismo rabbioso. E’ vero che viene denigrato e attaccato. Ma, a differenza degli altri leader europei, ha un bell’esercito mediatico che lo difende. E lui passa la maggior parte del suo tempo a ringhiare e odiare. Odia i due terzi del paese che dovrebbe governare. E poi la smetta di dire: Stefano Benni

PANE E TEMPESTA Il libro - Quali sono le ventisette azioni dell’uomo civile? Lo scoprirete a Montelfo, il paese più magico del mondo, dove è ambientato l’ultimo romanzo di Stefano Benni (“Pane e tempesta”, I narratori Feltrinelli, 258 pagg 16 euro). Stefano Benni monta un grande circo di creature indimenticabili: il Nonno Stregone, Ispido Manidoro, Trincone Carogna, Sofronia e Rasputin, Archimede detto Archivio, Frida Fon, lo gnomo Kinotto, il beato Inclinato, Simona Bellosguardo, il gargaleone e il cinfalepro, Fen il Fenomeno, Piombino, Raffaele Raffica e molti altri. Lo scrittore sarà oggi a Torino, nella sede del gruppo Abele (Corso Trapani 91/B, ore 18.30) per presentare il libro.

Ferrario Il regista porta a Torino la Simone Weil operaia

“Ridatemi l’onore”. Vada ai processi e se lo riprenda. L’onore e la dignità non sono merci da lodi o leggine. Una cosa buona su di lui. Credo che sia sinceramente affezionato alla sua famiglia. Figli, nipoti eccetera. Alla moglie, meno. Questa non valeva, dimmi un’altra cosa buona. Ma è una tortura! Diciamo che è nella lista degli italiani più sexy, meno di Brunetta ma più di Topo Gigio. Perché, secondo te, gli italiani gli hanno perdonato rapporti con la mafia, corruzioni, fondi neri, leggi vergogna, conflitti d’interessi, cazzate e porcate assortite, ma ha perso consensi per le escort? Perché in questi ultimi tempi i giornali si sono mobilitati e indignati per Noemi cento volte più che per Dell’Utri o per le leggi ad personam. Guardi mai la tv? Non ho la televisione, quindi la guardo poco, ma ormai è lei che guarda me. In albergo, al ristorante, a casa di amici, persino in taxi. Ovviamente, ogni tanto vedo qualcosa di decente. Ma non mi va di aspettare ore col telecomando in mano per beccare dieci minuti interessanti. Mi piacciono la Gabanelli e il “Dottor House”. Programmi sanguinari, come vedi… Sei fra quelli che sperano in Obama o fra quelli che già non ne possono più della retorica pro Obama? Ma ci ricordiamo cos’era Bush? Sono fra quelli che sperano in Obama e ritengono la sua vittoria un mezzo miracolo. Questo non vuole dire che Obama sia un modello esportabile in Italia. Veltroni voleva fare Obama ed è finito a fare \Tyson. Ora che il nostro è pappa e ciccia con Putin e ha perso per strada l’amico Bush, ci salverà la Cia? Credo che i rapporti tra Putin, il Kgb e la Cia siano buonissimi. Una volta auspicavi la morte di Andreotti per potergli aprire la gobba e vedere la scatola nera: non pensi che, quando morirà, la sua scatola nera sarà già vecchia e superata dagli eventi e non fregherà più niente a nessuno? Non è una battuta mia. Questa della scatola nera è una battuta di Grillo e non auspicava affatto la morte di Andreotti, diceva “quando ciò succederà”. Ma credo che la scatola nera di Andreotti, come quella di Berlusconi, resterà in fondo al mare. Ti meraviglia scoprire che lo Stato trattò con la mafia anche per fondare la Seconda Repubblica? Ma dai, davvero? Giuro. Bè, è tempo di holding… E di joint venture… Ti capita mai di rimpiangere qualcosa del passato? Qualche momento della Prima Repubblica, o l’epoca di Mani Pulite e della Primavera di Palermo, o i girotondi, l’Ulivo o cosa? Rimpiango la speranza di non tornare

De Sica Presiede la Giuria del Festival della commedia di Monte Carlo

a certi orrori che c’era, a sinistra e a destra, nel dopoguerra. Che te ne pare della svolta del nostro amico Grillo? Lo preferivo quando faceva più controinformazione e meno proclami politici. Però è una persona onesta. Si può detestare quello che scrive, ma il suo blog è un nuovo giornale nato senza lobby alle spalle, una voce in più nel tanto auspicato pluralismo. Il suo blog, per esempio, è stato il primo a denunciare le morti inspiegabili di persone arrestate. Hai qualche rimpianto nel tuo lavoro? Non avere mai fatto nulla con De André. Eravamo amici, troppo rispettosi della riservatezza dell’altro. E’ il solo vero rimpianto intellettuale che ho. Se garantisci che non mi quereli, ti chiedo una risposta da intellettua-

Non ho la tv, quindi la guardo poco Ma ormai è lei che guarda me: in hotel, al ristorante, persino in taxi le: che fanno oggi gli intellettuali, sempreché ne esistano ancora? Gli intellettuali sono di cento tipi diversi. I cortigiani, i presenzialisti, gli eremiti, i tromboni, gli organici, i mistici. Ma ce ne sono molti che non si sono venduti. E per intellettuali non intendo solo scrittori, ma anche i giornalisti, i maestri di scuola, gli studenti, i geologi, gli idraulici creativi e chiunque metta idee nel suo lavoro. E gli immigrati che ci portano la loro cultura, non solo i loro bisogni. Perché hai fatto la pubblicità al tuo libro sul Fatto Quotidiano e hai dato l’unica intervista a noi? Perché siete una cosa nuova. Mi piace la vostra veste grafica, sembrate un giornale ucraino degli anni Sessanta. Comunque il mio giornale resta sempre il Manifesto. Ho imparato moltissimo lavorando con loro. Quindi scriverai qualcosa per noi? Quando tu e Santoro apparirete in televisione come uomini-sandwich con la copertina del mio libro. Cosa manca alla sinistra italiana? L’ho già detto. Per me, e forse anche per altri, mancano esempi. Non parole, cambi di marchio, slogan rockettari, cartelloni stradali, dibattiti televisivi e concertoni. Esempi, semplici esempi di diversità dalla politica attuale. Dare esempi è infinitamente più difficile che inventarsi slogan. Come va a finire? Berlusconi si dimette e il giorno dopo una cometa distrugge la terra.


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SECONDO TEMPO

VITE STRONCATE

“DISTRUTTI DALLO STATO” Parla Giorgio, il padre di Gabriele Sandri: “Chiudo il negozio, ho speso troppo e sono stanco”

di Malcom Pagani

aga per tutti. Come ieri, non diversamente da domani. Offre caffè, sigarette, sorrisi che non compensano il vuoto. Lo salutano, anche da lontano. “Ciao Giorgio, come stai?”. Un elemento del paesaggio, come i poster con il volto di suo figlio, affissi sul muro, da destra a sinistra. La disperazione non è un quadro impressionista. “Da due anni penso solo alla morte di Gabriele. Ho perso di vista ogni cosa. Tutto quello che è successo, si è detto e si è insinuato per nascondere l’omicidio di mio figlio è inaccettabile. Per fortuna, dal nord alle Isole, ho avvertito una solidarietà trasversale. La gente non si fa annacquare la coscienza. Non china la testa, non si fa condizionare”. Giorgio Sandri è seduto al tavolo di un bar. Davanti al suo negozio di abbigliamento, che presto, schiacciato da debiti e senso smarrito di generale e particolare, chiuderà le insegne. Aprì nel '74. Il nome, Harrison, mutuato dai Beatles. Allora c’erano tempo, orizzonte e chitarre. Oggi, solo un rumore di niente. “Dovrò lasciare l’attività. Era il regno di Gabriele. Abbiamo sempre vissuto dignitosamente del nostro lavoro, ma in questa vicenda dolorosa abbiamo dovuto spendere tanto denaro. Gabriele curava i rapporti, mia moglie Daniela, l’amministrazione. Dopo essermi sobbarcato tutto sulle spalle, sinceramente, non ho più voglia, né forza. Ho sessant’anni, sono stanco”. Giorgio Sandri aspetta un ritorno impossibile. Nessuno verrà a svegliarlo dall’incubo che l’11 novembre di due anni fa, gli portò via un figlio. Una domenica piovosa. Due spari attraverso l’autostrada e l’esistenza che si colora di rosso, tra una pausa e l’altra di un viaggio verso Milano, la Lazio, una partita di calcio. A luglio, il 14, in una sorta di Bastiglia al contrario, lo Stato si è ripreso quell’angolo di fiducia cui papà Sandri si era aggrappato per non sprofondare nel pessimismo. L’agente Luigi Spaccarotella, in primo grado, è stato condannato a sei anni di reclusione con l’aggravante della previsione del fatto. Il pm ne aveva chiesti

P

quattordici. La sottrazione della pena, per la famiglia, è suonata come l’ultimo insulto di una lunga serie. “Fino ad allora eravamo relativamente sereni. Poi siamo crollati. In un paese in cui basta una voce di corridoio per mandare in galera una persona, a noi non sono stati sufficienti cinque testimoni oculari per venire a capo della verità. Semplicemente, la Corte non li ha considerati”. Così il futuro è un buco nero e il presente, un insopportabile peso da sostenere. “Gabriele era stato etichettato come ultras ma il calcio, con la sua morte, non c’entrava nulla. Come nel caso di Stefano Cucchi, costruire un contesto per incasellare una vittima della cieca brutalità, aiuta a divulgare l’immagine più adeguata a un racconto fallace. Le loro parabole non sono così dissimili. L’importante per la fabbrica della menzogna, è far passare un messaggio distorto. Così sostenere che Cucchi era solo un drogato, in un quadro menzognero, non fa una piega e le affermazioni di Giovanardi, servono solo a offendere la Pìetas”.

to prende alle spalle i dubbi e li spazza via. “Il Muro di Berlino è caduto da vent’anni ma le barriere di omertà e potere non crollano mai. I nostri politici chiedono e promettono solo al momento delle elezioni, ma a loro, dei cittadini, non interessa assolutamente nulla”. Alza lo sguardo, osserva le finestre di casa, la camera di Gabriele, un altare laico nel quale ogni cosa è rimasta al suo posto. “Tutto come due anni fa. Ogni settimana però andiamo al cimitero e portiamo tra le nostre mura, i fiori che la gente comune lascia sulla tomba. Ci siamo andati anche a Ferragosto. E’ il nostro modo di non recidere il filo, labile, che ci tiene attaccati

“Da due anni non vivo più. Mia moglie piange tutto il giorno. Credevo nella legge, ora non credo più in niente e nessuno”

ascista, violento abituale, lanFstupefacenti. ciatore di pietre, assuntore di Andò così anche con Gabriele. “Il fatto che non fumasse neanche le sigarette e che se avesse visto un grammo di hashish, lo avrebbe scambiato per cioccolato, non cambia nulla. Chi punta il dito o fa la morale, dovrebbe avere il pudore di vedere dentro casa propria. Aldrovandi, Cucchi, Genova, Sandri, Teramo. Potrei stilare un vocabolario dell’indecenza e della vergogna”. Si ferma, accende una sigaretta, aspira forte. “Lo stato di diritto, in Italia, è definitivamente morto. Pensi a Cucchi. Sul suo scandalo calerà l’oblìo. Ieri ho letto che sono indagati due albanesi e un moldavo. Secondo lei, alla fine, chi saranno i colpevoli?”. La risposta confusa nel ven-

alla realtà”. Sua moglie, Daniela, non sta bene. Non potrebbe, anche se volesse. “In due anni lo Stato non si è mai avvicinato per sapere come stessimo. Non c’è stato uno straccio di assistente sociale che abbia bussato da mia moglie per dirle: ‘Scusi signora, ha bisogno di un’aspirina? Forse, ammazzandole un figlio, le abbiamo fatto venire mal di testa’. Il vuoto. Fossimo stati dei disgraziati, Daniela avrebbe potuto tranquillamente morire. Entra e esce dalle cliniche. Piange in continuazione, frequenta psicologi e neurologi. In più, ha cominciato a bere. Quando apro l’armadio, invece di trovare camicie e vestaglie, osservo bottiglie di vino. E’ una rovina totale, un degrado gravissimo, di cui non frega niente a nessuno”. Delle divise, del ruolo delle forze dell’ordine e del caos emotivo che inevitabilmente, dal novembre

2007, scinde in due questo fuso dritto con i capelli bianchi e gli occhi liquidi che spesso, nonostante il pudore si inumidiscono, Sandri parla senza acrimònia: “Manganelli ha rilasciato alcune dichiarazioni per riabilitare Gabriele. Lo ringrazio e non dimentico che tra i poliziotti, conservo molti cari amici che mantengono su ciò che è accaduto a mio figlio, una sana, indeflettibile, indignazione. Generalizzare sarebbe sbagliato e troppo semplice, ma anche nel caso Marrazzo, me lo lasci dire, i carabinieri fanno una pessima figura. Solo dall’interno può nascere un movimento di pulizia e rinnovamento. Nel mio piccolo, gliel’ho suggerito: ‘Ribellatevi, nell’immaginario collettivo pagate per il comportamento dei vostri colleghi’. Però le dico la verità. Sono saturo, esasperato, sconfitto. A forza di tagliare nastri ed espormi a fotografie e inaugurazioni, mi è venuta la nausea. Basta così, tanto per 364 giorni l’anno, sei solo con il tuo abisso”. Giorgio beve, risponde al telefono, congeda in fretta l’interlocutore, ricomincia: “Esistono legge e giustizia. Non credo più a niente. La morte di Gabriele avrebbe rappresentato una straordinaria occasione da parte di chi guida il gioco per riavvicinarsi ai cittadini e offrire limpidezza”. Opportunità evaporata dietro la retorica. “Da mesi si parla solo di escort e trans. C’è un disegno preciso. Fumo negli occhi per distogliere l’attenzione dalla crisi che attanaglia il Pae-

CALCIOPOLI

se. Assumersi le proprie responsabilità, ogni tanto, non farebbe male”. iorgio rimpiange i tempi anGplaudire dati, i viaggi a Terni per apla Ternana di Viciani e le trasferte officiate in omaggio alla Lazio, l’età dell’oro trasformata ora in moneta opalescente. “Un tempo c’erano Moro, Berlinguer e Almirante. Oggi, pallidi epigoni. La questione non è essere di destra o di sinistra, il problema è essere uomini”. Sabato a Roma, gli ultras di tutta Italia manifesteranno contro la tessera del tifoso. “Spero non ci siano incidenti. Non dovrebbero mai avvenire. La tessera che il Viminale vuole imporre però è arbitraria e anticostituzionale. Se mi trovassi a Milano e volessi andare allo stadio, non potrei. Attenti a indicare categorie assolute. Quella del tifoso cattivo è una classificazione che non mi ha mai convinto. Anche a Tor Pignattara, in occasione della fiaccolata per Stefano Cucchi, si è parlato di tafferugli provocati dai centri sociali. Credo che in piazza, per protestare, non scendano definizioni ma soltanto cittadini scontenti”. A tenerlo in piedi, evitandogli

PUNTURE

MOGGI IN AULA: COLPI DI TOSSE E CAOS di Ilaria Urbani

oup de théâtre. Silenzio in aula. Cconero, Parla Luciano Moggi. L’ex dg bianaccusato dai magistrati napoletani di essere a capo della cupola del calcio, ha parlato ieri per la prima volta di fronte al collegio A della nona sezione penale del tribunale di Napoli. Una dichiarazione spontanea. “Sono stato anche accusato di aver fatto retrocedere il Bologna – ha detto Moggi – quando poi si va a leggere un’intercettazione dell’allora presidente federale Franco Carraro nella quale dice al designatore Paolo Bergamo che bisogna aiutare Lazio e Fiorentina ad evitare la retrocessione. Guarda caso retrocedono Bologna e Brescia e si salvano Lazio e Fiorentina. L’intercettazione del presidente della Figc passa inosservata”. Un attacco frontale al suo grande nemico Carraro. Senza esclusione di colpi. Moggi

sapeva che avrebbe sottratto la scena al maresciallo dei carabinieri, Dilaroni, convocato ieri come teste. L’esponente dell’Arma ha spiegato poi per oltre cinque ore come venivano effettuate le intercettazioni che hanno portato allo scandalo Calciopoli. "Vorrei chiedere cosa c’entra il sottoscritto – spiega però Moggi – quando l’interesse era quello di dirigere la propria società, essendo all’oscuro delle iniziative del presidente federale nell’occasione esposta”. Ma Moggi ne ha per tutti. Batosta numero due: perché non è stata neanche considerata la conversazione di Collina con Meani che chiedeva un incontro con Galliani quando era presidente della Lega calcio per “parlare della sua carriera”? “Si vanno poi a leggere le intercettazioni –incalza Moggi –si trova una telefonata di Collina il quale dice al dirigente del Milan Meani che avrebbe voluto parlare con il presi-

dente della Lega, Galliani, allora anche vicepresidente del Milan. Il tenore della telefonata era più o meno questo “vorrei parlare con Galliani però dovrebbe arrivare al tuo ristorante in un giorno di chiusura a mezzanotte e possa entrare dalla porta di dietro affinché non mi veda nessuno”. Questa intercettazione non è stata inserita nel processo, e addirittura Collina oggi è il designatore del capo degli arbitri”. E ha poi aggiunto: “Sapete, a pensar male si fa in fretta ma a volte ci si indovina”, ha detto con la sua consueta ironia Moggi parafrasando Andreotti. Una deposizione spontanea quella di Moggi che mira a rendere poco credibile l’intero processo Calciopoli, tentando di minare uno dei suoi punti di forza: le intercettazioni. Da buon comunicatore, qual è sempre stato, Moggi ha voluto ripagare la pubblica accusa con la stessa moneta: incriminando proprio il sistema di re-

gistrazione delle conversazioni su cui si fonda l’indagine dei pm partenopei Giuseppe Narducci e Filippo Beatrice (sostituito da qualche mese da Stefano Capuano). Moggi è tornato anche sui sorteggi arbitrali e sui giornalisti. "Se quel colpo di tosse di Pierluigi Pairetto era diretto al giornalista allora questi era parte della combine. Non lo so. Allora tutti i giornalisti e i notai che hanno partecipato ai sorteggi arbitrali dovrebbero essere interrogati, indagati”. L’ex dirigente della Vecchia Signora ha fatto riferimento alle dichiarazioni rese in aula venerdì dal teste Manfredi Martino, ex segretario Can. Martino aveva parlato di un colpo di tosse fatto dal designatore Pairetto durante la scelta delle palline da parte del giornalista a cui toccava il sorteggio. L’evento sarebbe accaduto durante il sorteggio delle partite alla vigilia del match Milan-Juve alla fine del campionato 2004-2005.

di sprofondare nella sindrome vendicativa di Alberto Sordi nel film più spietato di un regista a suo agio con la cattiveria, il Monicelli di ‘Un borghese piccolo piccolo’, l’altro figlio Cristiano. “Hanno fatto di me un estremista. Ero un uomo tranquillo, pensavo ai miei figli, alla mia vecchiaia felice, a un finale di partita quieto. Tutto distrutto, cancellato, perso. Cristiano ha avuto un bambino. L’altroieri ha compiuto 7 mesi. L’ha chiamato Gabriele. Non riesco a godermelo e Cristiano stesso, non è più la stessa persona di prima. Fa l’avvocato penalista e quella toga adesso, la indossa con fastidio”. Giorgio ora piange. Chiede scusa. Lascia che le guance si bagnino senza intervenire. Poi si alza. Oggi, due anni fa.

Gabriele Sandri (FOTO ANSA)

di Oliviero Beha

DUE PROCESSI del tutto evidente che si stanno celebrando due processi: quello che si svolge in aula presso il tribunale di Napoli, e quello che i media raccontano all’opinione pubblica. I due processi non coincidono. E qui non è tanto in discussione la colpevolezza o meno di Moggi e soci, alla quale deve appunto pensare la magistratura giudicante. Qui è in discussione il forte sentore da parte di tutta la stampa di comportarsi in due modi. Possibilmente di mettere a tacere la vicenda, trascurandola e dandola ormai per finita dopo le sentenze “sportive” sommarie e discutibilissime (alla luce di un riesame di intercettazioni e testimonianze): Moggi si presta benissimo, ha le physique du rôle del capoclan da usare come discarica per tutto il marcio del pallone passato, magari presente (ce n’è tanto) e pure futuro. Oppure di raccontare tutto ciò che conforta la tesi di partenza e che va in direzione della “verità” sportiva, cioè di tutto l’armamentario della giustizia sportiva che non è nei fatti per nulla indipendente e separata dal potere politico calcistico (e non), ignorando il resto. Si pubblichino invece con la stessa evidenza gli interrogatori di Manfredi Martino da parte dei pm e degli avvocati dell’accusa e quelli dei legali della difesa. Si dia spazio alle intercettazioni che riguardano Carraro esattamente come a quelle che riguardano Moggi, e poi i giudici a Napoli e noi a casa tireremo le somme. Altrimenti il secondo processo affossa il primo. E non va per niente bene.

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SECONDO TEMPO

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IL PEGGIO DELLA DIRETTA

TELE COMANDO TG PAPI

Il Tg1 assolve Cosentino di Paolo Ojetti

g1 T L’editoriale di Augusto Minzolini a favore di una riedizione postmoderna dell’immunità parlamentare è suonato come una parola d’ordine e le nuove vie di fuga della Casta sono all’ordine del giorno. Attorno al tema, consueta raffica di pareri e opinioni dove persino quello di Anna Finocchiaro, confezionato con accortezza, fa apparire la capogruppo dei senatori Pd se non favorevole, certo possibilista su un ritorno all’antico. Come opporsi – in definitiva – a chi sostiene che l’immunità è stata votata “dai nostri padri costituenti”? Altra pagina volutamente oscurata dal Tg1 quella dell’incontro fra Berlusconi e Fini. Nell’ambiguità più sfacciata, appare allora che fra “premier” e presidente della Camera ci sia stato un accordo di ferro per “abbreviare” i tempi processuali, naturalmente “nell’interesse del cittadino”. Terzo passaggio obbligato del Tg di regime, la difesa a oltranza di Nicola Cosentino, qualcuno “complotta” e – parola dell’avvocato Ghedini – qualcun altro “vuole screditarlo con prove inconsistenti”. Tg1, missione compiuta.

Miserabili post moderni

g2 T Molto più chiaro il servizio di Maurizio Marti-

nelli sulla richiesta di arresto per Nicola Cosentino, uomo – ha detto Martinelli – che “sarebbe targato Camorra spa”. Ci sarebbero altri coindagati, “uomini politici e funzionari, ma ci sono tanti omissis”. E Martinelli aggiunge: “Berlusconi avrebbe invitato Cosentino a tirare dritto”. Quello che non funziona è il resoconto dell’incontro Berlusconi-Fini: anche nel Tg2 nessuno spiega che il “processo abbreviato” a sei anni potrebbe – in virtù del principio del “favor rei” – bloccare di nuovo il processo Mills. E, se anche questo trucco non funzionasse, c’è sempre il ritorno dell’immunità parlamentare: Berlusconi è “premier” ed è anche deputato. Anzi, deputatissimo. g3 T Al contrario dei confratelli, il Tg3 (con Terzulli) spiega: ragazzi, se passa il “processo breve”, dato che Berlusconi risulta tuttora “incensurato”, rischiano di saltare sia il processo per i fondi neri Mediaset sia il processo Mills. Insomma, Berlusconi ne uscirebbe puro siccome un angelo, non “assolto” ma improcessabile. Un capolavoro in nome del popolo italiano (che di processi brevi avrebbe diritto, eccome) e una trappola nella quale (intervista di Roberto Toppetta a Bersani) anche il Pd rischia di cadere. Così come più che tiepida appare l’opposizione (Casini compreso) sul ritorno dell’immunità parlamentare: si tornerebbe all’impossibilità di indagare su senatori e deputati (quella di perquisirli, arrestarli, intercettarli, sequestrare beni a loro riconducibili, non è mai stata abolita).

di Luigi

Galella

una condizioImenemiserabili: umana che tiene insieil Victor Hugo del romanzo omonimo e il Karl Marx de “Il Capitale”. Non c’entra con la povertà o la ricchezza, e accomuna l’Ottocento al nostro tempo, quello della globalizzazione, che ha origine politicamente da Margaret Thatcher e Ronald Reagan ed economicamente con l’invenzione del walkman, da parte della Sony, nel 1979. Crediamo d’essere postmoderni? No, siamo antichissimi. Ed è come se non ci fossimo mossi rispetto alla Rivoluzione industriale di fine Ottocento. Ma perché, si chiede Marco Paolini (Miserabili, La7, lunedì, 21.35): “Non vedo forse tornare l’Ottocento fra le nostre strade? Non vedo sbarcare dai gommoni l’Ottocento sulle nostre spiagge?”. Paolini sceglie il simbolo del carrello della spesa per rappresentare il nostro tempo. “E’ questo lo spettaco-

lo”, tiene a precisare. Ma siamo proprio sicuri che si tratti di uno spettacolo? Una tale definizione in realtà gli sta stretta. La caduta del Muro di Berlino è un’occasione, forse addirittura un pretesto, per una riflessione critica sugli ultimi vent’anni e su come siamo cambiati, che certo non rinuncia alla battuta, ad alleggerire con spunti comici la potenza delle riflessioni, che ruotano intorno ad alcune leggi della fisica moderna, come quelle della meccanica quantistica, o quelle attinte al primo e al secondo principio della termodinamica. fisica, economia, fiScosì.toria, losofia. Paolini procede Enuncia un principio fisico o filosofico, e poi attraverso una modalità ellittica e analogica lo applica alla comprensione del presente, servendosi anche, e non esclusivamente, dello strumento della comicità. L’analogia non è mai arbitraria o speciosa, anzi. Più che uno spettacolo, la sua diventa quindi una lezione sul Marco Paolini conduce i Miserabili su La7

presente, critica filosofica ed estetica di rara intensità, nient’affatto divertente, nel senso futile della parola, premiata dal pubblico con uno share di quasi il 5 per cento, ovvero più di un milione di spettatori. Un grande successo, considerate le basse percentuali di La7. La conclusione, con una frase fulminante, ne riassume il senso. Applicando l’irreversibilità dell’entropia alla storia e avendo come bersaglio polemico e come interlocutrice Margaret Thatcher: “Se tu dici che non esiste società e poi ne fai a meno per vent’anni di allegro mercato, signora Thatcher, se poi ci serve ancora indietro, possiamo riaverla oppure no?”. Così, contemporaneamente, ci insegna che cos’è l’entropia, con la perdita irreversibile di energia, e che cos’è il nostro tempo e la nostra “miserabile” condizione, con la perdita irreversibile della società. L’affermazione unica del mercato, la dissoluzione della società e dell’uomo: come diversamente raccontarle in forma più efficace, evitando il conformismo di una celebrazione acritica e trionfale della caduta del Muro?


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MONDO Il blog del mafioso Antonino Mandalà, setLto ui,tant’anni, è stato condannain primo grado per associazione mafiosa: era il capocosca di Villabate e risulterà, assieme al figlio Nicola (condannato all’ergastolo) il gran favoreggiatore di Bernardo Provenzano. Nino Mandalà è anche fondatore di uno dei primi club di Forza Italia a Palermo, e nel suo curriculum c’è anche la Sicula Broker, fondata nel 1978 insieme con Renato Schifani e Enrico La Loggia. Ora è in libertà, a Villabate, e ha deciso di aprire un blog, all’indirizzo ninomandala.blogspot.com. Il blog è stato aperto lo scorso luglio, ma è il 28 ottobre 2009 che arriva il post più importante: “Mi presento”. “Sono Nino Mandalà – scrive – appena uscito dal carcere e deciso a dare testimonianza di un mondo sconosciuto ai più, testimonianza nata dalle interminabili discussioni dei ‘peripatetici’ dei cortili carcerari che hanno passeggiato per chilometri e per anni con l’angoscia annidata nel cuore. I fantasmi di questi uomini affollano le mie notti e ad essi va il mio pensiero commosso, con essi mi sento

ancora compagno”. Il blog, di fatto, è destinato ad un lettore molto preparato: si spazia dalla filosofia, alle riflessioni su detenzione e mondo carcerario. Si citano a piene mani i filosofi Massimo Cacciari e il “Processo” di Kafka, non mancano ampi stralci da “Ragioni della tolleranza” di Salvatore Parlagreco e riflessioni sul pensiero di Vito Mancuso, particolarmente gradito a Mandalà. C’è spazio anche per una riflessione sulla mafia: “A quanti infine tenteranno di manipolare il mio pensiero accusandomi di simpatie per la mafia, dico che il mio garantismo non prevede indulgenze nei confronti dei rei le cui responsabilità, se accertate, è giusto che siano punite (ci mancherebbe), ma ho ferma l’idea che sia altrettanto giusto garantire il rispetto delle regole nei confronti dei rei, persino nei confronti del peggiore di essi”.

WEB

di Federico

è SARKOZY ERA A BERLINO IL 9-11-89? IL FOTOGRAFO SMENTISCE

Mello

è MAILBOMBING CONTRO LA PRIVATIZZAZIONE DELL’ACQUA LA CAMPAGNA: “SCRIVETE AI DEPUTATI”

Il Forum italiano dei Movimenti per l’Acqua lancia una campagna contro la privatizzazione dell’acqua sulla quale il Parlamento sta deliberando in questi giorni. Il forum invita ad un presidio per giovedì 12 novembre davanti al Parlamento, e ad una fitta attività di “mail bombing”, ovvero bombardamento di email a tutti i deputati, per i prossimi giorni. Tutte le info sulla campagna “Il Parlamento privatizza l’acqua, impediamolo”, sono su acquabenecomune.org.

Un giorno di ritardo, il 10 e non il 9 novembre, la notte storica del crollo del Muro di Berlino. Il fotografo Paul Clavé, a quei tempi rappresentante della comunità francese di Berlino, rivela al quotidiano “Rue 89” di aver immortalato l’allora deputato Nicolas Sarkozy: “Erano le 22 del 10 novembre”. Ambienti vicini al presidente francese difendono la versione, documentata da Sarko picconatore, pubblicata su Facebook: era il 9, la notte giusta.

è DOVE VA RAINET? PREOCCUPAZIONI SULL’ACCORPAMENTO

Rainet è la consociata Rai che si occupa di tutto il comparto Web della televisione pubblica. Rainet attualmente è un’azienda consociata, con i suoi bilanci e il suo consiglio di amministrazione. Ha raggiunto ottimi risultati nell’ultimo anno, a cominciare dal raddoppio della raccolta pubblicitaria per finire con i veri e propri record per visite (oltre 6 milioni di utenti unici a ottobre). Il nuovo piano industriale, però, prevede un accorpamento con viale Mazzini: tutte le decisioni, e gli introiti, andrebbero così a confluire nella pancia di viale Mazzini. Questo crea forti preoccupazioni all’interno di Rainet. Ora è un’azienda produttiva, si dice, una volta fagocitata, prevarranno logiche politiche e di potere a quelle di mercato? Dal Cda tranquillizzano. C’è una discussione in corso, dicono. Eppure la preoccupazione rimane. Anche perché Rainet si è distinta per una certa attenzione agli internauti, ha reso disponibile in streaming la diretta di tutte le reti, e ha stretto un accordo con YouTube (a differenza di Mediaset che ha dichiarato guerra al portale video). Una Rainet in stile “minzoliniano” sarebbe un danno per tutti.

Il blog di Mandalà, la scrittrice Taslima Nasreen, il sito del Forum sull’acqua, Rainet

DAGOSPIA

LO SCAZZO SULLA BANDA

Non si placa lo scontro sulla banda larga che il Cipe ha cancellato venerdì. In mezzo a questa vicenda si è trovato anche Stefano Pileri, il manager che si è dimesso venerdì sera da Telecom Italia dove ha lavorato dal 1982, e che secondo gli uscieri resterà in azienda fino a giugno 2010. Le dimissioni di questo ingegnere romano 55enne che per dieci anni ha avuto la responsabilità della Rete, hanno suscitato molto scalpore e sembra che siano state provocate dallo scontro con Franchino Bernabè sul futuro della banda larga e della Rete. A confermare questa notizia è oggi Mario Valducci, il politico milanese presidente della Commissione trasporti e telecomunicazioni della Camera. Questo bocconiano che nel ‘96 è stato tra i fondatori di Forza Italia oggi dalle colonne di MF spiega che l’uscita di Pileri da Telecom è legata all’idea diversa che il manager aveva sul percorso da seguire per la Rete e per la banda larga. In pratica – dice Valducci – Pileri riteneva che non avendo Telecom le risorse finanziarie per implementare la Rete “si potesse valutare un percorso sul modello di Terna”, e aggiunge un’affermazione che farà discutere: “Non possiamo dare gli 800 milioni della banda larga a Telecom finché la Rete resta privata. Rischierebbero di rappresentare un aiuto di Stato”. Per Pileri le parole di Valducci suonano come è “TASLIMA NASREEN una rivincita; per DEVE TORNARE IN INDIA” gli osservatori suonano APPELLO DEGLI SCRITTORI SU MICROMEGA invece come una Taslima Nasreen è una poetessa e spaccatura all’interno scrittrice del Bangladesh conosciuta in è VIA DA GOOGLE NEWS del governo. Uno tutto il mondo per il suo impegno L’ANNUNCIO DI MURDOCH spettacolo femminista e le sue lotte per i diritti “Toglierò le mie testate semplicemente umani. A cause delle minacce subìte nel dall’aggregatore di notizie penoso. suo paese, nel 2004 si trasferisce in India, Google News”. L’annuncio è sua patria adottiva ma, anche da Calcutta di quelli pesanti, visto che a viene presto allontanata dopo una farlo è Rupert Murdoch il campagna diffamatoria orchestrata da tycoon che controlla un impero globale che gruppi integralisti musulmani. A sua difesa spazia dal Wall Street Journal al Times, da Fox a si schierano adesso scrittori, poeti e Sky. Ancora non sono chiari i piani di Murdoch intellettuali italiani che hanno pubblicato per bloccare la pubblicazione online degli articoli, su MicroMega online un appello a Sonia ma le sue mosse sono seguite attentamente da Gandhi, presidente dell’Indian National quel mondo editoriale che ancora non ha trovato Congress Party, per chiedere che a un modello di business per i tempi di Internet. Taslima sia permesso di tornare in India: Ma la cancellazione delle sue testate da Google “Nella sua casa, tra la sua gente, News potrebbe trasformarsi in un boomerang: circondata dal suono della sua lingua, secondo TechCrunch i suoi siti perderebbero il nell’unico luogo dove, com’era suo 25 per cento del traffico online, il 44 per cento di diritto, lei desidera vivere”. L’appello è nuovi visitatori, e la relativa pubblicità. firmato, tra gli altri, da Wu Ming, Valerio Evangelisti, Lello Voce, Tiziano Scarpa, Franco “Bifo” Berardi.

feedback$ è ANTEFATTO.IT Commenti al post: “Barbareschi si riposi un po’” di Alessandro Ferrucci

Questo si deve vergognare dalla mattina alla sera per le parole che continua a dire. Comunque le persone potrebbero tranquillamente boicottare i suoi spettacoli, così come quelli del “sindaco” (mi viene da ridere al solo pensiero) Sgarbi. Andate a chiedere pure a lui come mai fa le tournée teatrali, non dovrebbe essere in Sicilia? (Ice) Il giorno è di sole 24 ore, forse qualcuno va già alla velocità della luce e noi lo ignoriamo. (Melandrowew) Per favore fate calare un velo pietoso su quest’uomo. Non fategli più pubblicità gratuita, che tanto se non se ne parla, lui sparisce da solo (Giorgio T.) Se lui è un attore Robert De Niro cos’è ??? In Italia basta che si faccia una soap di bassa lega o si lavori al Bagaglino e subito si diventa attori... (Manuela M.) Ci ha messo 20 anni ad imparare a recitare, crederà forse di prendersi lo stesso tempo (e gli stessi compensi economici) anche in politica? (Berta) E ha smentito tutto anche ad “Omnibus Weekend” su La7 dicendo che a volte i giornalisti scrivono cose che non si sono dette. (Dovesiana) Se non fosse un nostro parlamentare sarebbe da riderci su... invece c’è da piangerci. (Lorenzo) In fondo l’usanza di dire una cosa per poi smentirla due secondi dopo mi sembra assolutamente normale per un parlamentare di destra (Andrea) Barbareschi afferma che lo stipendio da parlamentare (+ benefits) non gli basta. Fermo restando che per una persona normale è inaccettabile sentire una frase del genere, voglio credere nella sua buona fede quando l’ha pronunciata. Probabilmente conosce delle persone che hanno un tenore di vita e un giro di denaro molto più alto del suo, e ormai usa quelle persone come metro di giudizio (Andrea 2) Lo stipendio da parlamentare non basta? Perché non torna a condurre la fantastica trasmissione “C’eravamo tanto amati” famosa per i continui lanci di scarpe col tacco che le mogli tiravano ai mariti infedeli... quella sì che era televisione! In questo modo, forse, il “povero” Barbareschi potrebbe guadagnare un po’ di più e tornare ad occuparsi dei problemi che affliggono le famiglie italiane (si fa per dire)! (Marzo Tuzzolino) NO! Che poi lo sostituiscono con Costantino (Daniele M.)


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Mercoledì 11 novembre 2009

SECONDO TEMPO

PIAZZA GRANDE La croce, La Russa e il sangue di Piergiorgio Odifreddi

ignor ministro, il 4 novembre lei è intervenuto su Raiuno in occasione della Giornata delle Forze Armate. Mi permetta, anzitutto, di esprimerle il mio apprezzamento per essersi esibito col suo solito invidiabile autocontrollo, che le permette di mantenere sempre i modi e le parole a un livello di pacatezza espressiva e di proprietà linguistica che ci si aspetterebbe di trovare soltanto in un monaco zen o in maggiordomo inglese. E di ringraziarla perché, dopo essersi già rivolto a me con moderazione e gentilezza il 1 ottobre a Porta a Porta con un raffinato “lei fa schifo!”, mi ha anche difeso a La vita in diretta dal “pubblico in studio che voleva linciare quella specie di professore che si chiama Odofredi, che non ha nessun titolo scientifico per essere un esperto di religione e va in tutte le trasmissioni”. Limitandosi giustamente a citare in trasmissione le Forze Armate per pochi secondi, lei ha raggiunto un doppio e meritorio scopo. Da un lato, ha evitato di trasformare in un vuoto e retorico omaggio il ricordo dei giovani militari costretti a morire all’estero in sedicenti “missioni di pace”. E dall’altro lato, ha potuto concentrarsi sulla difesa del nostro Stato dal proditorio attacco che gli era appena stato sferrato dalla Corte europea, osservando pacatamente: “Possono morire, ma il crocifisso resterà in tutte le aule delle scuole. Possono morire, loro e quei finti organismi internazionali”. I giudici che hanno emanato quella sentenza avevano infatti avuto l’ardire di ingerire nelle nostre faccende di casa, arrivando persino a ricordare che l’ostensione dei crocifissi è un retaggio del fascismo. Cos’altro avrebbe dunque potuto dire un ex militante del glorioso Fronte della Gioventù, più volte parlamentare (come già suo padre) dell’altrettanto glorioso Movimento sociale italiano? Semmai sono coloro che fascisti non lo sono mai stati, a lamentarsi dell’ostensione pubblica di un simbolo che nel Novecento è stato sistematicamen-

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Lettera aperta del professore al ministro che ai giudici europei aveva urlato: “Possono morire, ma il crocifisso resterà in tutte le aule delle scuole” te associato ai regimi totalitari di destra, da Franco a Salazar a Pinochet. Un simbolo che, piaccia o no agli apologeti, ha sempre grondato sangue: dapprima, dei tanti condannati a quel terribile supplizio dall’Impero romano, e poi, del numero molto maggiore di vittime che sono state immolate nel suo nome dai cristiani, a partire da quando Costantino lo adottò nel 312 nella battaglia di Ponte Milvio, e seguendo con le Crociate (appunto), l’Inquisizione e la Conquista. Un simbolo che è sistematicamente usato per nominare il nome di Dio invano, dalle cerimonie pubbliche civili (co-officiate dall’immancabile prete o vescovo di turno) alle “benedizioni dei cannoni” militari (anche recenti, come prova il fatto che il cardinal Bagnasco, presidente della Cei, è un generale dell’esercito in pensione). E’ forse questa la “tradizione” a cui fanno appello coloro che invece il crocifisso continuano a volerlo vedere esposto, sostenendone la supposta innuocuità? Invece la sua presenza nei luoghi pubblici, dalle aule ai tribunali, si configura come una subdola pubblicità occulta, che ha il compito di assuefare silenziosamente la mente dei cittadini di qualunque età all’idea che il cristianesimo faccia parte del nostro tessuto sociale. E lo stesso scopo hanno le trasmissioni televisive, di intrattenimento o (dis)informazione, che bombardano il telespettatore con sceneggiati, servizi, dibattiti e noti-

Dalla coca al Pil (della camorra) di Antonio Pascale

opo che sono state diffuse le immagini dell’omicidio di camorra, avvenuto nel quartiere Sanità, a Napoli, si sono letti parecchi commenti che insistevano su una nota specifica: l’indifferenza della città di fronte a un omicidio a sangue freddo. Come può, per esempio, una donna, scavalcare con tanta semplicità un uomo che giace a terra, morto? La città si è dunque abituata all’orrore? Domande lecite. Ma, viene anche da chiederci, siamo davvero sicuri che la suddetta donna rappresenti, per proprietà simbolica, la città di Napoli? Oppure, se di indifferenza si tratta, non sarebbe più giusto parlare di indifferenza diffusa? Forse

D

non è (solo) Napoli a essere distante e fredda davanti a quella scena, ci sono infatti buone probabilità che tanti cittadini italiani siano (metaforicamente) implicati, coinvolti in quell’omicidio. Ora, partiamo dai dati a disposizione. Per capirne un po’ di più del fenomeno camorra e affini, è davvero utile leggere le relazioni semestrali della Dia consultabili in rete. La prima relazione semestrale 2008, per quanto riguarda l’area settentrionale della città di Napoli (che comprende Secondigliano, Scampia, Miano, Piscinola, Chiaiano e San Pietro a Patierno), ci mostra una situazione molto critica. Per riassumere brevemente, fin dal 2004 ci sono due gruppi che si contendono le piazze di spaccio, da una parte i Di

zie ad argomento religioso, soprattutto su Raiuno: su quella stessa rete, cioè, che dedica sistematicamente più spazio nei suoi telegiornali al Papa che al presidente della Repubblica, e ogni domenica trasmette persino la messa, ma che ciò nonostante lei, signor ministro, ha definito a La vita in diretta “insopportabile” perché si è permessa di domandare anche il parere degli atei, sulla questione del crocifisso! ei dice che non ho “nessun tiLesperto tolo scientifico per essere un di religione”, volendo forse dire che non sono competente in materia. Evidentemente lei non sa che io ho scritto un paio di libri sull’argomento, ma io so che lei sbaglia (o mente) quando dice che “l’Italia è un paese dove tutti non possiamo non dirci cristiani”: solo un terzo degli italiani partecipa infatti regolarmente alle funzioni religiose, e assegna l’otto per mille alla Chiesa. Gli altri non potete annetterveli a piacere, benché cerchiate di farlo battezzandoli da bambini prima che siano in grado di intendere e volere, indottrinandoli con l’ora di religione quando ancora si stanno formando, e derubandoli dell’otto per mille da adulti quando non lo assegnano (dirottandolo poi quasi completamente ai preti). Questa connivenza tra Stato e Chiesa è contraria alla sentenza della Corte Costituzionale del 20 novem-

bre 2000, secondo la quale “l’atteggiamento dello Stato dev’essere segnato da equidistanza e imparzialità, indipendentemente dal numero di membri di una religione o di un’altra”. E’ esattamente ciò che ci richiama a fare la Corte europea, ricordando che “una tale posizione di equidistanza e di imparzialità è il riflesso del principio di laicità, che per la Corte Costituzionale ha natura di principio supremo”. Il principio di laicità è stato rivendicato dall’Europa attraverso il rifiuto del richiamo alle radici cristiane nella sua Costituzione, nonostante le reiterate richieste di Giovanni Paolo II. E’ giunta l’ora che l’Italia si adegui anch’essa a questo principio, non solo abolendo i crocifissi dalle scuole e dai luoghi pubblici, ma anche denunciando il Concordato di Mussolini e Craxi e gli anacronistici privilegi che esso concede alla Chiesa cattolica, con buona pace dei membri ex fascisti ed ex socialisti di un governo che finora si è distinto per essere forte coi suoi deboli cittadini, ma debole coi forti prelati. Ignazio La Russa, ministro della Difesa (FOTO EMBLEMA)

LA STECCA di INDRO l Al posto di Ciampi credo che farei così. Incaricherei Berlusconi di formare il nuovo governo perché mi pare che l’attuale Costituzione non mi consentirebbe di fare altro. Ma, apposta la firma, avvertirei la stampa che sono andato in bagno a lavarmi le mani. Corriere della Sera, 11 maggio 2001

Solo se studiamo le relazioni che noi, cittadini italiani, abbiamo con la camorra, possiamo pensare di capirla. Chi fa uso droghe, leggere o pesanti che siano, finanzia le varie mafie Lauro dall’altra gli scissionisti (Gruppo Amato Pagano e altri). Gli scissionisti per il momento stanno avendo la meglio e hanno confinato i Di Lauro nella roccaforte del Terzo mondo. La principale fonte di sostentamento della camorra (di questa specifica area napoletana) è lo spaccio di droga: cocaina, eroina e droghe leggere. Questo è il punto principale. E’

bene tenerlo sempre a mente. Ciò, detto in soldoni, significa questo: la camorra non è un’entità, forte o debole che sia, distante da noi. I camorristi non sono (solo) parte di una genia maledetta. La camorra, infatti, può essere meglio capita, studiata e combattuta, solo, e solo se, capiamo, studiamo e combattiamo le relazioni che noi cittadini italiani abbiamo con i camorristi. Per restare nello specifico, chi oggi, in qualunque parte d’Italia, fa uso di droghe, leggere o pesanti che siano, finanzia le varie camorre. Le indagini della Dia mostrano che i gruppi camorristi gestiscono le piazze di spaccio sia nel napoletano sia fuori dalla Campania. Non per niente il ministero della Salute assegna, infatti, alla Campania un primato non invidiabile: la seconda regione per consumo di cocaina. Ma la prima regione a farne uso è la Lombardia – i dati sono desunti considerando il numero di persone in cura presso i Sert che a quanto pare, sarebbero, notevolmente aumentati negli ultimi anni. La cocaina, dunque, gira dappertutto e ceti diversi ne fan-

il badante

É

di Oliviero Beha

CASO MARRAZZO, IL LATO C I

o so i nomi di tutti quelli che assumono cocaina o droghe ancora più pesanti tra i nostri rappresentanti in Parlamento, io so i nomi di coloro che vanno a puttane e a trans, io so i nomi di chi se la fa con i pupi in Italia e all’estero, io so i nomi di tutti coloro i quali hanno comportamenti eticamente riprovevoli. Ma non ho né prove né indizi. Sul piano della legalità basta la loro fedina penale, e per questo la Navicella del Parlamento è già più che sufficiente. Solo che pare non fregare niente a nessuno… L’inizio subpasoliniano del famoso testo uscito “rabberciato” sul Corriere della Sera di 35 anni fa sulla stagione delle stragi e i loro responsabili va bene anche oggi, magari applicato al caso Marrazzo. Che non è naturalmente “il caso Marrazzo” se non per comodità di cronaca giornalistica. A commento di sventagliate di verbali usciti domenica scorsa su questo giornale con la solita competenza, Marco Travaglio parla di lato A, la faccia emersa di una brutta storia, e di lato B (le iniziali sono ovviamente e puramente casuali) ancora tutto da verificare, conoscere, discutere. Il lato B si riferisce al grigio della storia, ai ricatti, ai comportamenti fuori o a lato della legge, a tutti coloro che hanno avuto parte in questa vicenda e che se ne dovrebbero assumere la responsabilità come in qualunque altro paese civile. Che non siamo. E qui spunta il lato C (stesso discorso per l’iniziale…), cui brevemente accenno qui. Cioè, tutto il tempo che è passato dalla vicenda del 2005 in poi, quando prima di essere eletto presidente della regione Marrazzo venne spiato, pedinato, controllato e messo in relazione alle sue frequentazioni con un “viado”. Allora ne uscì pulito, ma come faccio io alla finestra di questi fatti a non ricollegarli alla luce di quello che è accaduto tra il luglio e l’ottobre 2009 con lo scandalo che ne ha portato alle dimissioni? Come posso pensare che in una via come via Gradoli, nomen omen da trent’anni per il caso Moro e presumibilmente sott’occhio dei Servizi segreti, ci sia stato questo tranquillo andirivieni? Come posso pensare che negli ultimi anni uno con questa carica e queste frequentazioni sia stato “un uomo libero che mi ha rappresentato”? Come posso pensare che la vicenda politica non si intrecci con una vicenda di denaro, e non certo e non solo con le banconote del video? Tanto per riassumere, i soldi di una regione vanno nella stragrande percentuale alla Sanità, e Marrazzo consegna un anno e mezzo fa la testa di Battaglia, suo assessore, a mo’ di Salomè alla presidenza del Consiglio assumendosene l’interim? Mentre naturalmente come dimostra la cronaca di questi anni sanità pubblica e sanità privata si avvitano di continuo alla politica in un pasticciaccio da far impallidire Gadda e via Merulana? Ebbè? Ci vuole un genio per fare queste associazioni di idee? Non debbo pensare il peggio anche senza fare il Pasolini di riporto? E in questi anni nessuno sapeva dell’alone Marrazzo? Davvero? Nessuno alla regione, al governo, in Parlamento? E di questo lato C chi vuole parlare, chi vuole approfondirlo, chi vuole distinguere tra chi non c’entra e chi c’entra tantissimo? La verità o una delle verità è che se si tira il capo del filo di Marrazzo davvero, giornalisticamente, politicamente (non saranno connessi i due avverbi?), e penalmente, il rischio è che venga via tutto il gomitolo, o quasi. Eppure è la condizione necessaria e magari sufficiente per far sì che il caso Marrazzo non rimanga una storiaccia di trans e coca, e diventi altro, cioè quello che è. Un’epigrafe di questa politica in un paese in crisi dove succede di tutto senza che se ne risponda davvero.

no uso. Le droghe arrivano in ogni piazza italiana con grande velocità ed efficienza e, non ci sono santi: per promuovere e mantenere questa efficienza la camorra ha bisogno di fortini, cioè di zone franche, luoghi inaccessibili nei quali è possibile organizzare la filiera senza intromissioni. Chi nella giornata di oggi cercherà il proprio pusher di fiducia per comprare erba o tirare cocaina starà devolvendo parte del suo reddito per finanziare la filiera didroga e quei fortini blindati, e tutto quello che lì dentro avviene, e dunque: regolamenti di conti, reclutamento di nuove leve, investimenti di capitale, inquinamento dell’economia legale ecc. Mi rendo conto, sarà una metafora azzardata, ma corro il rischio: chi fa uso di droga qui e ora, scavalca, come quella signora, il morto che giace a terra. Dunque, ci si può stupire del male che la camorra produce, ci si può indignare a volontà, ma resta il fatto che la camorra è forte e maledetta e perversa, perché forti sono i nostri vizi. Sulla forza dei nostri vizi punta la camorra. Non su altro. Non

sarebbe così forte se trovasse resistenze di vario tipo, politiche, sociali e culturali e se, soprattutto, queste resistenze lavorassero insieme e si integrassero l’un con l’altra. Ma le suddette resistenze devono anche diffondersi sull’intero territorio italiano, altrimenti si rischia il corto circuito. Chi crede nella cultura (in senso lato) è propenso a combattere una battaglia per mettere, culturalmente, la cocaina al bando. Se è di moda farsi di cocaina è ancora di moda non farsi. Molto ne sarà guadagnato se, nei prossimi anni, quelli che resistono alla tentazione di dare i soldi ai gruppi criminali si sentano, culturalmente, appoggiati e sostenuti. Forse però, se la cultura è in affanno, c’è anche una seconda possibilità: promuovere una seria campagna per la liberalizzazione. O ancora, vista la nostra propensione a sposare battaglie ideali, si potrebbe anche mettere su una campagna per una sorta di consumo equo e solidale. Si parla ( male) di decrescita felice: potremmo iniziare, per esempio, dal consumo di cocaina.


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SECONDO TEMPO

MAIL Sono del Pdl, grazie per il vostro lavoro

Furio Colombo

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Sono un giovanissimo consigliere comunale del Pdl di Riccione. Ho 22 anni. Stimo molto il vostro giornale e quello che fate, perché credo che certe battaglie, come quelle sulla legalità, non abbiano colore politico. E io, anche se sono del Pdl, non mi vergogno a dire questo. Ovviamente non sono d’accordo su tutto, ma questo non c’entra. Sto portando avanti da qualche mese la battaglia per far sì che il difensore civico di Riccione sia scelto con bando pubblico. Il comune infatti, guidato da una giunta di centrosinistra, intende “riconfermare” il difensore civico uscente semplicemente con un atto di giunta, senza fare il bando, senza rispettare la procedura sancita dallo Statuto. Ora, se il difensore civico, che dovrebbe difendere il cittadino dalla cattiva amministrazione, è scelto dalla maggioranza, a mio parere serve a poco. Grazie

A DOMANDA RISPONDO GHEDDAFI E LA POLITICA INCIVILE

aro Colombo, Finmeccanica, tramite Selex Sistemi Integrati, ha firmato un accordo con la Libia, del valore di 300 milioni di euro, per la realizzazione di un grande sistema di protezione e sicurezza dei confini libici, in particolare quelli che guardano verso Niger, Ciad e Sudan da dove arriva il grosso dei migranti dall’Africa Subsahariana. La sicurezza dei confini sarà dunque affidata a sensori elettronici e Finmeccanica, in un comunicato, specifica che “la prima tranche di 150 milioni di euro è già operativa” e che Selex “addestrerà gli operatori, i manutentori ed assicurerà le opere civili necessarie”. Sono gli affari dell’accordo fatto da Berlusconi e votato da destra e sinistra con Gheddafi? Luciano

C

Andrea

TUTTI I PEZZI di un disegno

Gianfranco Fini, la nuova destra

non proprio pulito cominciano a vedersi insieme: gli affari, grandi affari, per controllare il deserto; i respingimenti in mare per stabilire che gli immigrati non devono parlare, non devono chiedere (meno che mai il diritto di asilo), non devono essere visti; il trattato di integrazione militare dell’Italia con la Libia per giustificare il versamento di enormi somme a Gheddafi.

Sono un difensore della Costituzione e della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo promulgata dall’Onu. E in passato (per carità, molto lontano!) ho votato la destra, anche se il mio

LA VIGNETTA

spirito è più radicale: quindi, tanto per chiarire, non sono mai stato di sinistra. Ora la politica non è più determinata dalle idee ed è stata superata dai problemi reali della vita, che esigono risposte reali e non ignoranti proclami verbali. C’è bisogno, cioè, di uomini che incarnino valori e non di valori spiattellati all’opinione pubblica come propaganda elettorale. Azione, non teoria. In questo senso, sono molto interessato al presidente Fini, perché sembra incarnare, nella sua nuova immagine, questo

BOX

prototipo di politico. Grazie e buona battaglia! Robero Giuliano

Noi supplenti nelle scuole non siamo riconosciuti Da vari anni svolgo con continuità ed impegno la professione di docente, pur non possedendo il titolo di abilitazione. Infatti per la mancanza di insegnanti abilitati in materie letterarie e latino nei licei, sono stato convocato per lunghe supplenze in scuole statali e paritarie. Mi sono abituato a

Gheddafi, da parte sua si impegna a fare scomparire nei suoi lager gli immigrati scampati al deserto e scampati al respingimento in mare. In questo modo ci guadagna Finmeccanica e molte altre aziende. Ci guadagna la Lega che vede soddisfatto il suo primitivo istinto xenofobo. E ci guadagna (politicamente, in questo caso) Berlusconi che mette a segno il suo progetto di nuova politica estera italiana: Libia e Russia invece di Stati Uniti ed Europa. S’intende che il nuovo tipo di legame con personaggi come Gheddafi e Putin, apre la strada a molti altri affari, che non è necessario rendere pubblici. L’opinione pubblica italiana, ma anche il Parlamento, ma anche le istituzioni più autorevoli del paese, non sanno nulla di quello che concordano Gheddafi e Berlusconi quando si incontrano da soli nella famosa tenda, o dei giorni “privati” che di tanto in tanto il primo ministro italiano trascorre nella dacia di Putin. Ma ci basta sapere quel che sappiamo, ascoltare quello che ci dicono, per capire quante facce pericolose e avvilenti per l’Italia ci porta la parte visibile della nuova politica estera italiana, che nessun Parlamento ha approvato. Siamo lontani da qualunque percorso conosciuto. E, per quel che riguarda la Libia, lontani da percorsi di civiltà. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it

svolgere questa professione e ho raggiunto un buon livello di sintonia con i ragazzi. A volte mi accorgo di dare loro il massimo. Eppure tutto ciò non vale niente se è vero, come dicono dal ministero, che il servizio prestato non varrà più come titolo preferenziale per accedere ai corsi abilitanti speciali, che fino al 2006 venivano regolarmente istituiti per i docenti in servizio che volessero conseguire tale titolo. Verrà infatti data la precedenza, nell’accesso a questi corsi, a chi possiede titoli accademici come i dottorati di ricerca, e inoltre le nostre vecchie lauree, nel giro di un paio di anni, saranno “fuori gioco” nel sistema di reclutamento dei docenti. A quel punto non sarà più possibile lavorare neanche da supplenti. Una fabbrica che chiude fa tanto rumore ma una serie di insegnanti che si trovano nella mia stessa condizione e rischiano di andare a casa senza lavoro e, forse, rimpiangendo gli anni spesi nella scuola, non meritano nessuna considerazione? Abbiamo accumulato nel tempo molta esperienza e sensibilità nel rapporto con i giovani. Se non avremo questo riconoscimento, anche la scuola butterà nel cestino le aspirazioni di insegnanti che hanno creduto nella possibilità che la propria crescita professionale andasse di pari pas-

so con l’impegno profuso nella quotidiana attività di insegnamento. Emanuele Bruschi

Qualcuno intervenga su Barbareschi

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In molte città europee il nome della “città martire” sul Volga, resiste ancora. Nel metrò e in un lungo boulevard a Parigi, in una station dell’“underground” a Londra, per esempio. Ma sulla carta geografica della Russia, Stalingrado non esiste più. Per tutti, dall’11 novembre 1961, l’antica Tsaritsyn, gloriosa residenza dello Zarevi’c per quattro secoli, dedicata poi a Stalin nel 1925, dopo la vittoriosa offensiva contro le milizie bianche, è semplicemente Volgograd. Così volle Kruscev, che, sull’onda della destalinizzazione e della lotta contro il culto della personalità proclamata dal XXII Congresso del Pcus, decise di cancellare ogni riferimento al ruolo del dittatore. “Una volgare operazione contro la memoria”, secondo Mao, contestata anche da Togliatti, contrario alla “necessità di riaprire il capitolo delle denunce”. Privata dell’identità che l’aveva consegnata alla storia per la celebre battaglia costata un milione di morti, e destinata a segnare la sconfitta di Hitler sul fronte orientale, l’antica Porta del Caucaso, rivendica oggi il diritto a riappropriarsi del mitico nome rimosso. Il dibattito, aperto da un referendum popolare voluto da veterani, studenti e cittadini semplici, è aperto. Giovanna Gabrielli

L’abbonato del giorno MATTEO CARINI Ci scrive Matteo, 19 anni, che studia Economia e management alla Bocconi di Milano: “Ho l’abbonamento pdf e ogni giorno a mezzanotte leggo gli articoli del Fatto (tengo anche in casa le copie cartacee della prima settimana, trovate a fatica). Vi ammiro e spero (anzi credo), che questo giornale possa crescere e durare ancora più della Voce di Indro Montanelli, che molto mi aveva affascinato”. Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it

Trovo un vero affronto da parte di Luca Barbareschi lamentarsi della sua paga di parlamentare, ossia 230.000 euro lordi all’anno, presenze molto rare e rischi zero, quando il presidente Usa percepisce 400.000 $ all’anno, con ben altre responsabilità personali. Mi auguro che qualcuno prenda in seria considerazione la possibilità di obbligare quantomeno alla presenza in Aula questi parlamentari strapagati e arroganti.

sicuro, le mie più sentite scuse. Mi scuso con un’intera cultura che è stata offesa. E’ ovvio che chi ha parlato così non è certamente un buon cristiano, ma solo un “fomentatore d’odio” che cerca pubblicità. Il dialogo e il rispetto reciproco sono i mattoni con cui tutti quanti assieme possiamo costruire una causa comune e un mondo migliore. Ma a qualcuno questo dà fastidio. Un caro saluto.

Josephine

Paolo Valdo

Io, italiano offeso dalla Santanchè Buongiorno a tutta la redazione del Fatto Quotidiano. Come persona appartenente al genere umano, e ancor più come cittadino italiano, mi sento profondamente offeso dalle parole della signora Daniela Santanchè in merito a Maometto. Ha detto, durante una trasmissione su Canale5, che Maometto era un pedofilo. Per quanto possano servire le parole di un semplice cittadino, porgo a nome mio e a quello di molti altri, ne sono

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IL FATTO di ieri11 Novembre 1961

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I nostri errori Per un errore sono saltate alcune righe nell’articolo su Casa Pound. Le riportiamo qui: - Ma ammirava Mussolini… “ Negli anni Trenta ha trovato l’Italia cambiata. Meno corrotta e un dinamismo diverso dai giorni che precedono la Grande guerra. Poi le delusioni. Era un americano critico sulla politica americana e lo hanno considerato traditore della patria. E condannato al manicomio…”. Fa capire: quanti americani contrari alla guerra in Vietnam o in Afghanistan dovrebbero finire in clinica? Nel fervore dei racconti divide le ombre nere tra galantuomini fascisti e altri maramaldi. “ E finalmente il fascismo è caduto, ma l’orrore di Piazzale Loreto ci ha sconvolti “. Come guarda la destra, signora? “ “Non la guardo. Vivo nel mondo dei Cantos. Leggo la Bibbia, Dante e Cavalcanti: come mio padre. Credo che il mondo potrebbe essere meraviglioso se l’agricoltura avesse radici nella terra e non nelle multinazionali “. Le Case Pound sanno che non è d’accordo? “Immagino. Forse hanno cambiato logo per coprirsi le spalle e Casa Pound diventa una sola parola. Ipocrisie”. Respiro il disagio di una figlia impegnata a dimenticare le memorie imbarazzanti del padre, rianimate dall’estremismo di nostalgie che usano il nome.

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Novembre 2009 - PubblicitĂ


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