ANATOMIA DI UN SUICIDIO

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Anastasia Carcello

ANATOMIA DI UN SUICIDIO

Studio Byblos - editore



Indice Capitolo 1 - Nascita e sofferenza Capitolo 2 - Sorrisi

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. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

Capitolo 3 - Le prime delusioni Capitolo 4 - Il primo amore

. . . . . 17

. . . . . . . . . . 23

Capitolo 5 - Gli amici . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 Capitolo 6 - La morte

. . . . . . . . . . . . . . . . . 33

Capitolo 7 - I bambini . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 Capitolo 8 - La coppia

. . . . . . . . . . . . . . . . 49

Capitolo 9 - I tradimenti

. . . . . . . . . . . . . . 55

Capitolo 10 - La calunnia

. . . . . . . . . . . . . . 63

Capitolo 11 - Separazione

. . . . . . . . . . . . . 69

Capitolo 12 - Fallimento

. . . . . . . . . . . . . . . 77

Capitolo 13 - Decisione finale . . . . . . . . . 87



Dedico questo libro a Te, anima fragile e forte, smarrita sull’infelice percorso della vita, per ringraziarti del bene che hai dato a me e a tanti altri.

PREGHIERA IN GENNAIO (Fabrizio De Andrè) Lascia che sia fiorito Signore, il suo sentiero Quando a te la sua anima E al mondo la sua pelle Dovrà riconsegnare Quando verrà al tuo cielo Là dove in pieno giorno Risplendono le stelle Quando attraverserà L’ultimo vecchio ponte Ai suicidi dirà Baciandoli alla fronte Venite in Paradiso Là dove vado anch’io Perché non c’è l’inferno Nel mondo del buon Dio



NASCITA E SOFFERENZA

CAPITOLO 1

NASCITA E SOFFERENZA

I

n quella notte afosa di fine luglio, rischiarata da una splendida luna

piena nel cielo stellato, un bimbo si rifiutava di venire al mondo, rallentando la discesa nel canale del parto proprio nel momento cru-

ciale. Sua madre, al sesto parto, madida di sudore, soffriva senza piangere né urlare, le pene di quell’evento noto, comprendendo che questa volta non era semplice come in passato. L’ansia le procurava paura e sgomento, mentre presagi di morte imminente giungevano senza controllo nella sua mente, alimentando il timore e l’angoscia di dare alla luce un figlio privo di vita. Pregò quindi l’ostetrica che l’assisteva fin dall’inizio del travaglio, di chiamare subito il medico del paese, l’unico in grado di applicare ventosa e forcipe nei parti difficili, per aiutare il nascituro a venire al mondo. Alla giovane, ma esperta levatrice, non sembrò vero, ed esclamò: “Certamente, era appunto quello che stavo pensando. Stai tranquilla Rosina, il tuo bambino sta bene e fra poco vedrà la luce del giorno”. Mandò la suocera, Angela, che collaborava insieme alle altre donne del vicinato alla buona riuscita del parto, a chiamare il dottor Eugenio Mirabelli, allertandolo del parto difficile in modo da portare tutti gli strumenti chirurgici necessari. Per fortuna la casa del medico era vicina ed in pochi minuti lo staff operativo costituito dal medico, ostetrica e volontarie esperte, 7

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avviò un rapido travaglio che si concluse nel migliore dei modi, malgrado i dolori e gli affanni della puerpera, che non vedeva l’ora di sentir piangere il piccolo. Il nascituro in direzione verso l’uscita grazie al corretto uso del forcipe, venne finalmente al mondo, diffondendo nell’aria un fragoroso pianto che spalancò i suoi polmoni alla respirazione autonoma. Il nome del bimbo era già stato deciso molti mesi prima della nascita dal sogno di sua madre, alla quale sua nonna, morta da tempo, aveva predetto che sarebbe nato un maschietto e che doveva essere chiamato Tommaso. Per questo in famiglia tutti sapevano che sarebbe nato un maschio, in un’epoca in cui non esisteva l’ecografia prenatale per diagnosticare il sesso del nascituro, e che avrebbe avuto il nome del suo bisnonno. Quest’anima neonata sembrava non voler più nascere, come se un ripensamento tardivo ne rallentasse il momento del parto, esattamente quando avvertì l’energia negativa della madre che in quel momento non lo accoglieva con l’amore iniziale. Intuiva nella madre il timore e l’avversione per tutto il compito che l’attendeva nella crescita di un ennesimo figlio in una famiglia in ristrettezza economica, infatti Rosina diffidava del domani e non sperava più in una vita felice, ma la intravedeva tribolata dalle molte incombenze che si sarebbero abbattute sulle sue spalle. La giovane anima ebbe, pertanto, una transitoria negazione alla nascita, manifestata col rallentamento della discesa alla vita e dalle difficoltà del parto, risolte solo con l’ausilio del forcipe, così il suo karma cominciava nell’ambiguità. L’uso dello strumento chirurgico sulla testa del neonato indeciso, aveva procurato circoscritte aree di assai lieve sofferenza vascolare in alcuni settori del suo cervello ancora immaturo, le cui conseguenze si sarebbero palesate solo durante la scolarità. 8

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NASCITA E SOFFERENZA

L’alba calda di quel 31 luglio tinse di rosa il cielo, con una gamma di tonalità dal tenue violetto al giallo oro, colori splendidi e indescrivibili, annunciando una giornata calda e afosa come le altre, mentre un bimbo normopeso, con tanti capelli neri e lisci, venuto al mondo da poche ore, continuava a piangere sconsolato. Finalmente la puerpera si alzò dal letto, dopo aver provato e rinunciato subito ad allattare il piccolo che continuava a strillare ed andò a preparare la colazione agli altri figli, ormai in piedi, mentre le poche donne rimaste riordinavano la stanza da letto. Una di esse, la zia Angelina, sorella del padre di Tommaso, prese in braccio il piccolo e cominciò a cullarlo e fargli sentire il suo calore, ma il neonato continuava a piangere, irritando sua madre che era stanca per la nottata trascorsa e le fatiche del parto. Allora la zia pensò che bisognava fare qualcosa al piccolo: bagnò nell’acqua il suo dito, l’indice, poi lo intinse nello zucchero, e quindi lo introdusse nella boccuccia ben disegnata del suo nipotino, che all’istante smise di piangere. Immediatamente regnò un silenzio magico e miracoloso nella casa producendo il buonumore in tutti, anche nella puerpera, che smise all’improvviso di affaccendarsi con i bambini e si sedette, per bere finalmente un bicchiere di latte fresco. Aveva una gran sete, ma non era riuscita a riconoscere questo suo bisogno per l’urgenza delle mille cose da fare, in una casa così piccola e troppo piena di persone che a volte era difficile trovare una sedia o uno sgabello per sedersi. La giovane donna, ora madre di sei figli, aveva solo trenta quattro anni, ma le esperienze vissute ed il lavoro fatto fin dalla tenera età, la invecchiavano di almeno dieci anni nel viso, pur conservando un corpo agile, sodo, giovanile e ben proporzionato. Si era impegnata con sé stessa e col mondo di formare una famiglia unita e solida, malgrado la povertà del dopoguerra e un marito disoccupato 9

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in patria ed emigrato in Germania, da dove tornava ogni due anni, giusto il tempo per metterla incinta. Rosina affrontava la sua vita senza risparmiarsi né badare alla stanchezza, che la faceva addormentare già alle sette di sera, per svegliarsi poi alle cinque la mattina, a volte anche prima, ed incominciare la giornata più avvilente e pesante di quella del giorno precedente. Quella mattina iniziava con un’altra bocca in più da sfamare, il suo ultimo nato, che invece di apportarle gioia le dava un senso di ulteriore preoccupazione e tormento, anche perché il piccolo si preannunciava discolo, non essendo riuscita ad attaccarlo al seno come gli altri figli e questo le confermava il pronostico negativo. Era, inoltre, contrariata dal nome imposto, che a lei non piaceva perché le ricordava un vecchio burbero e poco socievole, anche se un ottimo artigiano. Da quella notte in poi il tempo volò via così velocemente che nessuno fece caso a quel piccolo che cresceva in fretta, malgrado la scarsa quantità di latte della madre. Veniva per fortuna allattato da una vicina di casa la quale aveva partorito qualche settimana prima e come una balia provvedeva ad alimentare i due neonati, il suo e quello della sua amica. Il bambino era alto e ben fatto, ma rimaneva sempre troppo ossuto e malgrado fosse vorace e mangiasse con appetito sembrava che fosse appena uscito da un campo di concentramento per la magrezza. Tommaso non si adattava facilmente a quella grande famiglia, dove si sentiva deriso per la magrezza eccessiva e spesso anche ignorato o punito per le sue marachelle. Non trovava mai il modo di partecipare agli scherzi e ai giochi delle sorelle e dei fratelli che non lo volevano tra piedi e lo allontanavano con ogni tipo di scusa. 10

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NASCITA E SOFFERENZA

Spesso giocava da solo in casa, cercando posti per nascondersi, sperando che qualcuno si accorgesse della sua assenza e venisse a cercarlo, ma finiva per addormentarsi in qualunque nascondiglio fino all’ora di cena, quando i morsi della fame lo svegliavano. Esplorava spazi sconosciuti sia in casa sua che in quella di sua nonna o delle zie, a volte anche pericolosi per un bambino di cinque anni, come rinchiudersi nel vecchio armadio di sua nonna che si apriva male e solo dall’esterno. Il risultato finale dei suoi giochi solitari era sempre deludente: o nessuno si rendeva conto della sua assenza oppure quando sua madre lo scovava in luoghi improbabili, gliele dava di santa ragione e così il gioco che doveva portare gioia, finiva in lacrime. Le sue sorelle maggiori, Maria e Caterina, erano prese dagli impegni femminili, imparare a cucinare, pulire la casa, lavare e stirare la biancheria, tutti i lavori domestici che la madre insegnava loro per avere un aiuto nella gestione della famiglia molto numerosa, per questo non si curavano dei fratelli e delle sorelle minori. Al contrario il compito affidato alla sorella più piccola, Anna, era proprio quello di badare a Tommaso, affinché non si cacciasse nei guai e non si facesse male. Appena cominciò le elementari tutti si resero conto che il piccolo non era come gli altri bambini, faceva fatica a memorizzare e a scrivere sillabe semplici, era troppo spesso con la testa in aria e lo sguardo perso nel vuoto. Contemporaneamente lo si trovava a smontare ogni cosa smontabile, fosse anche più grande di lui, come quella volta che per capire il funzionamento della cerniera che faceva aprire e chiudere le ante della porta del bagno di casa, vi rimase impigliato con le dita. Fu necessario smontare completamente l’anta per liberare la piccola mano di Tommaso che aveva solo sei anni. 11

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Era un bambino imprevedibile, ipercinetico ed iperdinamico e a volte moscio, senza voglia di muoversi all’apparenza, mentre in realtà covava qualche progetto rischioso da realizzare, senza che lui ne intuisse minimamente il pericolo. Per questo una volta, ancora piccolo, lo si trovò accovacciato nel capiente forno a gas, da poco acquistato dalla madre per sostituire la cottura al fuoco del camino con quella della più moderna cucina a gas, anche pericolosa perché bisognava sempre controllare la chiusura della bombola del gas che l’alimentava. L’infanzia di Tommaso fu caotica e altalenante, caratterizzata da momenti di delusione, per i numerosi rimproveri e punizioni, alternati a periodi felici, perché godeva della libertà di giocare fuori casa per tutto il tempo che voleva insieme ai suoi coetanei e soprattutto a suo cugino Nico, col quale aveva molte cose in comune. Non capiva ancora cos’era quella sensazione che gli faceva battere più forte il cuore quando vedeva sua madre abbracciare i suoi fratelli mentre a lui riservava rare affettuosità. Era geloso di quel legame che sentiva fra loro e che a lui mancava, avrebbe voluto dirglielo, ma restava a guardare con gli occhi stralunati, senza dire niente. Così iniziò ad osservare con troppo interesse il comportamento dei fratelli, per imitarli in modo da ottenere l’attenzione di sua madre, ma era maldestro e quello che faceva si trasformava il più delle volte in uno scontro, anche se solo verbale. I suoi due fratelli, Armando e Nicola, più grandi di lui di quattro e due anni, erano sempre insieme, complici in tutto ciò che facevano, anche nel raccontare bugie e nel tenerlo lontano dai loro giochi. Il piccolo soffriva di questo e qualche volta piagnucolava chiedendo di farlo giocare, ma solo raramente veniva incluso nei giochi dei fratelli maggiori.

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SORRISI

CAPITOLO 2

SORRISI

A

l torrente, dove l’acqua scorreva limpida in un letto tortuoso

con saltuarie cascate e grossi scogli, si radunavano i bambini del paese, nella buona stagione, per giocare, nuotare e fare i

tuffi. Quell’acqua era vitale per le famiglie povere, in un’epoca in cui mancava l’acqua corrente nelle case, perché permetteva di lavare ogni cosa, dalla biancheria alle coperte al cambio di stagione e finanche le pentole. Perfino le budella del maiale venivano portate al fiume per essere ripulite del contenuto, per poi tenerle a bagno nel succo di arance amare selvatiche, prima di riempirle della carne suina e trasformarle in salami. Era consuetudine, di quasi tutte le famiglie del borgo, uccidere d’inverno il proprio maiale, allevato e custodito per tutta l’estate e l’autunno in casupole di legno, dette porcili, situati vicino al fiume, dove ogni giorno portavano i residui alimentari della loro famiglia e pulivano alla meglio la dimora del suino. In questo modo l’animale cresceva ed ingrassava fino a superare anche il quintale di peso, così garantiva la provvista di carne insaccata, buona da mangiare per tutto l’anno. Con le spezie tradizionali, peperoncino essiccato e macinato, dolce e piccante e pepe nero, si preparavano con cura le carni suine appena sezionate, scegliendo quelle adatte per i salami, pancetta, prosciutti e altre pre13

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libatezze come il sanguinaccio dolce, grande leccornia per piccoli e grandi, da consumare entro breve tempo. Tutti i bambini del rione assistevano all’uccisione del povero maiale, considerata una festa, cui seguiva dopo pochi giorni la cottura delle carni grasse e delle ossa, da consumare con gli amici ed i parenti nella classica “frittulata”. Era un evento sociale importante dove si partecipava su invito, ricambiato al successivo abbattimento di un altro maiale, così era facile aderire a queste grasse cene più volte nel periodo invernale, di solito a gennaio, mese scelto per fare la festa del porco. In una pentola capiente, detta “quadara”, venivano messe tutte le carni prevalentemente grasse del suino non utilizzate per i salumi, insieme alle ossa, quindi si accendeva sotto il pentolone un grande fuoco, per far cuocere tutto il giorno l’insieme dei residui, fino alla sera, controllando e rimestando saltuariamente. C’era infatti, sempre in cucina chi controllava il fuoco del camino e la cottura delle “frittule”. L’ora della cena era poi associata ad una grande agitazione per la gioia di poter mangiare insieme e condividere con gli amici una parte del suino che avevano cresciuto ed era diventato, se non un membro della famiglia, un contribuente positivo per l’economia della casa. La tradizione imponeva di accompagnare le carni con verdure di ogni genere, cotte in vario modo, e con abbondante vino rosso. Per i fanciulli era davvero una festa perché andavano a letto più tardi e sorseggiavano anche un po’ di vino, che altrimenti era vietato. C’era sempre in cucina un tavolo piccolo per i bambini, maschi e femmine, sul quale le scodelle contenenti piccole porzioni di “frittule” erano pronte quasi da subito, così da mettere i piccoli a sedere fuori dalla confusione dei grandi. In questa maniera finivano di mangiare prima e si mandavano a giocare altrove. 14

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SORRISI

In quelle occasioni Tommaso faceva sempre ridere tutti i bambini per come si riempiva la bocca del cibo per poi sputarlo nel fuoco, anche se questo gli procurava qualche scapaccione da parte dei genitori quando lo sorprendevano. Per lui quelle serate in compagnia oltre che dei fratelli e sorelle, dei cugini e dei vicini erano davvero speciali, si sentiva vivo ed anche amato dai suoi, perché era trattato finalmente come tutti gli altri. I grandi, intenti a discutere dei problemi quotidiani mentre mangiavano, poco badavano ai piccoli che finendo la cena prima, andavano a giocare a nascondino nelle stanze da letto. Poteva capitare che qualche piccolo nascondendosi sotto il lettone si addormentasse e lo scoprissero a fine serata, quando era l’ora di tornare a casa. Tommaso stava sempre volentieri in compagnia dei suoi coetanei, ma non tutti gradivano stare con lui, perché oltre ad essere piccolo era anche troppo vivace. Si trovava bene con Nico, il cugino prediletto, più piccolo di lui solo di un anno, ma molto simili nel modo di giocare e di interpretare il mondo alla loro età. Nico e Tommaso condividevano tutti i giochi e ne sperimentavano di nuovi, esplorando gli angoli nascosti della casa o dell’orto, alla ricerca di tesori occultati, a volte si addentravano nella vicina boscaglia ai margini del torrente per raccogliere bacche o frutta selvaggia, facendo preoccupare i genitori. Erano complici nelle marachelle casalinghe e negli errori scolastici, quando facendo insieme i compiti sbagliavano le stesse cose, prevalentemente nei conti. Ci ridevano sempre su e trovavano il modo per farci ridere anche gli altri, i pochi familiari che coinvolgevano negli scherzi o nei compiti. 15

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ANATOMIA DI UN SUICIDIO

Cominciarono a fumare di nascosto all’età di sette anni Tommaso e sei Nico, quando scoprirono il nascondiglio segreto dei sigari e delle sigarette che il padre di Tommaso portava a casa dalla Germania. A parte la tosse che provocava il sigaro quando tentavano di fumarlo, senza sapere come fare, c’era quel terribile odore che non riuscivano più a togliere da casa, per questo decisero che era meglio fumare nell’orto, all’aria aperta, sempre di nascosto. Avevano capito che quasi tutti i giochi più graditi erano vietati dai genitori e dai grandi in genere, per questo fu naturale avere interessi comuni da nascondere accuratamente agli altri, così iniziarono a raccontare bugie per evitare punizioni e quindi ad essere sempre più complici. La condivisione di celare i loro piacevoli interessi li faceva sentire astuti e superiori agli altri che vedevano ancora troppo ingenui. Questi anni, fino ai dieci circa, fu l’età più felice per Tommaso, per avere conosciuto l’affetto vero, provato e ricambiato, per questo cuginetto che purtroppo all’improvviso andò via dal paese per sempre, insieme alla sua famiglia, per emigrare in Svizzera. Qui il padre, disoccupato in paese, aveva trovato un ottimo lavoro che assicurava il benessere ed un futuro non più di stenti ai suoi figli. La loro complicità, tuttavia, riprendeva quando Nico tornava al paese nel periodo estivo, grazie alle ferie del padre; si ritrovavano di nuovo insieme a raccontarsi le tante esperienze fatte in paesi differenti, sempre pronti a sperimentare nuovi giochi e nuove sensazioni. Parlavano delle prime conoscenze con le ragazze, confidandosi le difficoltà e le paure, confrontandosi e trovando sempre il modo di essere d’accordo su tutto.

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LE PRIME DELUSIONI

CAPITOLO 3

LE PRIME DELUSIONI

T

ommaso, dotato di vivida intelligenza e spirito creativo, comin-

ciò a collezionare frustrazioni per i frequenti fallimenti scolastici. Era incredibile per lui come il suo maestro, che conosceva

bene perché amico di famiglia, non comprendesse esattamente cosa volesse indicare con quella frase scritta in parte in dialetto ed in parte in italiano. Il vecchio maestro si infuriava non solo per gli errori di grammatica, ma anche per l’uso del dialetto nella scrittura, che poi era un dialetto italianizzato, fonte di allegria e di risolini di simpatia. Si sentiva deriso e non preso sul serio, per questo era diventato più svogliato e indifferente alla scuola, si applicava sempre di meno e passava il tempo sui quaderni dei compiti per niente concludere. Sua madre, Rosina, cercava di spronarlo con le buone e con le cattive, senza risultati, per questo incaricò Anna, la sorella diligente e brava a scuola, di aiutarlo nei compiti, cercando di capire la sua mancanza d'interesse per le attività scolastiche. Dall’inizio fu chiaro ad Anna che questo fratellino, troppo bello con un sorriso solare e gli occhi vivaci, era diverso dagli altri bambini perché sempre pronto alla risposta immediata che nessuno si sarebbe mai aspettato, vedeva le cose e le persone in maniera differente dagli altri e dava spiegazioni fantasiose su ogni fatto o avvenimento appreso a scuola. 17

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ANATOMIA DI UN SUICIDIO

Non era un vero e proprio bugiardo, ma interpretava la realtà a modo suo e ne dava una spiegazione che non corrispondeva al vero. Questo implicava ulteriori rimproveri materni e dei grandi e provocavano rabbia e delusione nell’animo del bambino che cresceva sempre con la ferita emotiva del non valere, del non essere riconosciuto per la sua fantasia e la sua bravura. Credeva, in effetti, di meritarsi approvazioni quotidiane per come aveva costruito il suo carro di legno con le rotelline di ferro o per come aveva aiutato in cucina a pelare le patate, pur essendo il piccolo di casa. In realtà otteneva sempre meno riconoscimenti e sempre più punizioni per via dei giochi pericolosi che faceva e nei quali coinvolgeva altri bambini. Fra alti e bassi questo bambino speciale giunse alle scuole medie inferiori, senza basi solide per le materie principali, ma col senno di poi si poté capire il motivo. In quel periodo storico, negli anni ’60 non erano ancora conosciuti i DSA, disturbi specifici d’apprendimento, quindi gli alunni che ne erano affetti non venivano di conseguenza aiutati nell’acquisizione dei fondamenti per la lettura, scrittura e fare i conti. Considerati svogliati questi scolari erano puniti e derisi dai compagni di classe. Trascinandosi dietro alcune lacune scolastiche, non per la sua indolenza, Tommaso concluse finalmente le medie inferiori, dopo aver affrontato ostacoli d’ogni genere che finivano per divenire veri e propri conflitti emotivi. Giorno dopo giorno si allontanava dagli affetti familiari per il continuo rimprovero ricevuto ad ogni sua azione e per la mancanza di affetto che notava nei consanguinei. Cominciò pertanto a frequentare adolescenti infelici e ribelli come lui, attraverso i quali vedeva sé stesso sconnesso dalla sua grande famiglia, ma legato a questi amici particolari che lo accettarono nel loro clan. 18

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Finito di stampare Giugno 2019 per conto dello Studio Byblos - Palermo

Studio Byblos Publishing House www.studiobyblos.com

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