ALEX - CRISALIDE

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ALEX

NOTA DELL'AUTORE Poco tempo fa una nota attrice italiana ha scitto una frase riguardante il “giorno zero”. “È un momento in cui non si vince e non si perde” ha scritto “ma si riparte. Ci si allontana dalle persone che diventano ricordi.... Si chiama giorno zero, perché quello che segue lo zero é sempre un inizio e negli inizi non si conosce sconfitta”. Per me fu questo San Patrignano. Una rinascita. In seguito ebbi parecchie altre “rinascite” nella mia vita, ma quella fu sicuramente la piu importante. Perché ha inoltre segnato il passaggio dalla giovinezza all'etá adulta. E non é stato facile decidere di descrivere il mio percorso all'interno della comunitá. Non tanto perché SanPa é sempre stata vista e descritta in maniera piuttosto controversa. Ma perché il mio punto di vista é piuttosto singolare, se paragonato al "di tutto e di piú" che é stato scritto finora su questa comunitá. Perché mai nessuno ha parlato di un gay all'interno di San Patrignano. Nessuno ha mai unito queste due tematiche, peraltro molto attuali in quest'ultimo periodo, in un unico libro. E si rischia di cadere, ovviamente, nel gossip. Ma ci tenevo a dare la mia testimonianza. A far capire che San Patrignano é ben oltre che una semplice comunitá, dalla storia controversa. È una scuola di vita. É un periodo in cui si esce temporaneamente dal mondo, per poi rientrarvi completamente trasformato.

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Crisalide Il seguito di “Vita Parallela”

Studio Byblos



ALEX

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© Tutti i diritti riservati all’autore.

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“Alla famiglia Muccioli, per aver reso possibile la mia trasformazione... A tutte le crisalidi passate, presenti e future di SanPa...”

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Era il 5 gennaio del 1998. A Mondovì mia sorella festeggiava i suoi 11 anni. Io fino ad allora ero stato un bruco, ora sarebbe avvenuta la vera trasformazione. Ora diventavo una crisalide.

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Preludio

Scrivere o parlare di San Patrignano è sempre una decisione molto controversa. Perchè SanPa, come abitualmente la chiamiamo noi che ci siamo passati, ha una storia, ed essa stessa è controversa. Pur essendo una associazione a scopo benefico, paragonabile ad una famiglia di più di mille persone, la gente nei propri giudizi si scorda un famosissimo modo di dire. “I problemi ci sono anche nelle migiori famiglie”. E parliamo di una famiglia numerosa e fatta di persone che ha avuto un trascorso particolare. Purtroppo viviamo in una società in cui tutti vogliono avere la presunzione di poter giudicare, preferibilmente in maniera negativa, per svariati motivi. Per ignoranza. Perchè non si è saputo fare lo stesso. Perchè si è passati da lì, ma senza risultati soddisfacenti. La classica storiella della volpe e l’uva, praticamente. Io su SanPa posso parlare solo positivamente. Ho avuto anche io le mie difficoltà, i miei momenti difficili, le tentazioni alle quali ho ceduto, ed alla fine del mio percorso non me ne andai in maniera proprio brillante. Diciamo che se dovessimo paragonarlo ad una scuola (dal momento che è una scuola di vita) non sarei stato propriamente un alunno modello.

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Ma è innegabile che mi abbia trasformato, che mi abbia aiutato ed oggigiorno ho un rapporto di amicizia con coloro che un tempo hanno fatto parte della mia famiglia comunitaria. Non è facile descrivere quei 3 anni e poco più da un punto di vista di un ragazzo omosessuale. Ma non per difficoltà o discriminazioni. Non ebbi mai una sola volta questo tipo di problemi là dentro. Ma perchè si rischia di cadere nel gossip ad ogni costo. I particolar modo in questo periodo, dove ambedue le tematiche (omosessualità e San Patrignano) sono nuovamente ai vertici delle cronache. Spero che lo spirito del lettore non si fermi alla ricerca del gossip, ma che vada oltre, a vedere semplicemente un punto di vista diverso, all’interno di quella che fu, per me, una famiglia.

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I

Quando entrai nel grande salone che fungeva da sala da pranzo quasi non svenni. Un migliaio di persone. Avevo sentito parlare di SanPa come una comunità numerosa, ma non ero preparato a così tanta gente. Imparai nei giorni successivi che era più un paese, che una vera e propria comunità, pur se manteneva il suo scopo: salvare persone, principalmente dalla droga. Mentre mi guardavo intorno attonito ed intimorito venni fatto sedere in uno dei tavoli di quello che poi sarebbe diventato il mio settore. Il restauro o, termine più esatto, ebanisteria. Ma anche di questa loro scelta me ne resi conto solo qualche giorno dopo. Effettivamente quella sera avevo un miscuglio di emozioni, che mi impedivano di capire qualsiasi cosa. Innanzitutto lo stupore. Arrivavo da una comunità di una decina di persone, dove lo scopo non sembrava risolvere i propri problemi, ma sentirsi superiori agli altri in base ai problemi degli altri. Qui, invece, quella folla era solo incuriosita dal nuovo arrivo, difatti mi piovevano domande a destra e a manca, tanto che faticavo a rispondere. Poi la stanchezza. Avevo viaggiato tutto il giorno, a digiuno, e l’idea

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di potermi sedere finalmente mi sembrava un sogno. Soprattutto il sedermi a mangiare. Seguiva la confusione che avevo in testa. Arrivavo da una situazione che mi ero illuso che mi avrebbe potuto aiutare a risolvere i miei problemi... o quantomeno a conoscerne la causa. Invece fu più di un anno della mia vita letteralmente buttato al vento, che mi aveva solo aggiunto altri problemi. In primis un cretino che aveva deciso che perchè ero gay e lo sfigato della situazione, io dovevo essere il suo soddisfacimento sessuale, dal momento che non c’era null’altro di meglio. Questa era la cosa che mi rodeva di più. Non potevo accettare una cosa del genere, ed ero anche infuriato con me stesso perchè avevo aspettato tanto prima di mettere fine a questa squallida situazione, andandomene. Mentre nella confusione tentavo di rispondere alle domande, cercavo tra tutte quelle teste se vedevo mio cugino. Uno dei responsabili mi spiegò che il giorno dopo avrei incontrato il figlio del fondatore della comunità, Andrea. Io spiegai brevemente i miei problemi di salute e la mia situazione. Il tutto mentre divoravo voracemente la cena. Quando accennai alla mia omosessualità, tentennando, mi venne risposto “Non sei l’unico, qua dentro. Guardati intorno. Qui abbiamo qualsiasi cosa. Ma anche la tua omosessualità te la devi imparare a vivere con dignità.” La maniera gentile ed amichevole con cui mi venne risposto mi rincuorò e mi riempì di speranza. Un anno prima una dottoressa mi aveva risposto, quasi sghignazzando, che non era normale. Ora una persona, che in passato sicuramente aveva fatto danni e casini nella società, mi rispondeva praticamente che ciò non mi impediva di essere uno di loro. Notare la sostanziale differenza. 10

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Venni affidato ad un ragazzo, Fulvio, che sarebbe colui che “mi avrebbe seguito”. Con questo si intende una persona, di circa un anno di comunità, che per qualche mese aiuta un altro ragazzo ad inserirsi nella comunità, a conoscerne le regole, a superare le difficoltà iniziali. Ne diventa praticamente la sua ombra, e ciò spesso da sfogo a litigi. Perchè un ragazzo che entra in comunità, i primi tempi specialmente, non è molto abituato alle regole. Questa è principalmente la causa dei problemi che portano alla comunità. Venni accompagnato alla mia stanza, che avrei condiviso con una dozzina di persone, circa. Ero troppo stanco per andare a vedere il film che alla sera veniva trasmesso nel megaschermo in campetto, o per girare a visitare la comunità. Quindi chiaccherando con Fulvio sistemai le mie cose nel mio armadietto, dopodichè rimanemmo in stanza. Lui mi raccontò la sua storia. Aveva la fidanzata fuori che lo aspettava per sposarsi, ed era lì per problemi legati all’alcolismo.

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II

Solo il giorno dopo, quando mi svegliai, conobbi meglio gli altri componenti della mia stanza. La sera precedente, quando loro rientrarono dalla visione del film, ero già profondamente addormentato. Ci recammo nuovamente nel salone per la colazione, dopodichè venni chiamato in disparte e mi venne detto “Sopra c’è Muccioli (Andrea, il figlio del fondatore) che desidera parlarti. Gli abbiamo spiegato la tua situazione e ha valutato se tu puoi rimanere o meno” Detta così, onestamente la situazione non mi apparve molto rosea. A quanto avevo capito, quindi, non ero ancora ufficialmente ospite della comunità. Preoccupato mi recai al piano sovrastante l’ingresso del salone. Andrea mi venne incontro con fare amichevole e mi strinse la mano. Io rimasi in silenzio. Prima di emettere alcun suono, dovevo sapere quale fosse il mio destino. “Mi hanno spiegato i tuoi problemi di salute e la tua situazione... qui troverai un centro medico e la possibilità di capire i tuoi problemi e risolverli. Logicamente ti devi impegnare anche te” mi disse, senza tanti giri di parole. “Grazie” balbettai stupito e contento. “In che settore è stato inserito?” chiese al ra-

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gazzo che mi aveva accompagnato “Restauro”, rispose questo. “Bene, mi raccomando” concluse rivolto a me. Dopo quel breve incontro venni accompagnato nuovamente nella stanza. Mi venne mostrata la maniera corretta di fare le pulizie, compito quotidiano di tutti i componenti della stanza, molto importante per le norme igieniche, in quanto erano ospiti anche persone con seri problemi di salute, in confronto ai quali la mia epilessia era una bazzecola. Ma anche se si trattava di pulire la stanza ed il bagno, l’idea di farlo tutti assieme mi metteva di buonumore. Finalmente sentivo il vero spirito comunitario. Una delle persone che mi rimase più impressa fu Marcello, il responsabile di stanza, che aveva comunque quasi concluso il suo percorso comunitario e presto se ne sarebbe andato. Se non sbaglio aveva anche moglie e figlie fuori che lo attendevano. Era una persona di una cultura strabiliante. Aveva letto di tutto. Parlare con lui, di qualsiasi cosa era come andare a scuola. Non per niente fu lui che, qualche giorno dopo, mi spinse a cominciare a prendere libri dalla biblioteca della comunità. Finalmente, dopo le pulizie, ci recammo nel grande campetto coperto, che veniva anche adibito per le funzioni religiose, e visto che era l’Epifania, quel giorno ci sarebbe stata la Messa. Ero ancora stupito dalla vastità e dall’organizzazione che mi circondava. Effettivamente ci misi una quindicina di giorni a capire realmente dove mi trovavo. Le prime due settimane ero troppo impegnato a stupirmi di qualsiasi cosa. Comunque fu finalmente a Messa che riconobbi mio cugino, due file avanti di dove ero seduto io. Sorrisi e sottovoce mormorai a Fulvio “C’è mio cugino, là davanti”. “Quando usciamo lo potrai salutare, dubito che sappia del tuo arrivo. meglio avvertirlo” mi 14

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rispose. Ma durante la funzione, alzandosi, mio cugino fece cadere la giacca e si voltò per raccoglierla. Gli cadde l’occhio su di me, si rivoltò, mise a fuoco ciò che aveva appena visto, si rigirò a riguardarmi stupito... “Che cacchio ci fai qui?” esclamò, senza emettere alcun suono. Io allargai le braccia, con un sorriso come a dire “Sono qui!”. All’uscita dal campetto ci abbracciammo e brevemente gli raccontai dell’ingresso alla sera precedente. Rimase anche lui stupito di quella maniera singolare di entrare in comunità, ma, conoscendomi, lo ritenne abbastanza normale. Venne l’ora di pranzo, e fu lì che notai l’organizzazione nel servizio, che la sera prima mi era sfuggita, per via della stanchezza. In circa un’oretta venivano fatte mangiare un migliaio di persone, con primo, secondo, contorno e frutta. Peraltro quella era una occasione speciale. Non solo era l’Epifania, ma era anche il compleanno del già defunto Vincenzo, fondatore della comunità, e quindi una commemorazione per la persona a cui dovevamo... quello che stavamo vivendo. E pure io. Per l’occasione pranzò con noi anche la famiglia Muccioli: Antonietta, la moglie, che la ricordo talmente elegante nei movimenti che mi sembrava un angelo quando camminava. Ed i due figli con le rispettive famiglie, dei quali Andrea lo avevo conosciuto la stessa mattina. L’immensità di ciò che mi circondava mi stupì come non mai quel pomeriggio, e nei 3 anni successivi. Dal momento che era domenica, come poi divenne consuetudine, con la stanza feci una passeggiata nella proprietà della comunità. Distese di vigne, da cui si produceva vino di qualità, caseificio, stalla, centro equino, addirittura un canile ed un gattile, grazie al quale si tenevano concorsi annuali per cani e gatti...! Più mi guardavo intorno con stu-

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pore e più mi rendevo conto che finalmente ero finito in un posto competente. Un posto in cui ci sarebbe veramente stata la possibilità di essere reinserito nella vita reale, in quanto era praticamente un paese, e non una mini realtà di 10 persone chiusa in se stessa.

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A fine giornata mi venne mostrato quello che dal giorno dopo sarebbe divenuto il mio “posto di lavoro”. Il restauro dei mobili antichi e la fabbricazione di portafoto e altri complementi d’arredo in legno. Ai tempi ancora nel capannone con la fabbricazione dei tessuti, delle carte da parati, del cuoio e della ceramica, quest’ultimo un settore femminile. Nella mia ignoranza fino ad allora non sapevo nemmeno che esistesse il lavoro di ebanista. Quindi quando mi spiegarono a grandi linee di cosa si trattasse io cascai letteralmente dalle nuvole. Solo pochi mesi dopo imparai ad apprezzare questo lavoro. Frattanto nella giornata ascoltavo le storie degli altri ragazzi, che dialogando mi accennavano i loro vecchi problemi precedenti alla comunità. Quasi tutti per via delle più svariate droghe, Fulvio, il ragazzo che mi seguiva, per motivi di alcolismo. Chi aveva moglie e figli che lo aspettava, chi i genitori, chi proprio nessuno e doveva ripartire da zero, chi col tempo decise di fermarsi in comunità a vivere. Eravamo tante storie, differenti ma simili, che si facevano forza l’uno con l’altro.

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E non necessariamente con parole gentili. A volte, anche con me, furono necessari metodi un po’ bruschi per impedirmi di mollare. In fin dei conti io ero solo, al di fuori della comunità. Quindi questo doveva essere per me un maggior motivo per capire e risolvere i miei problemi, con tutte le difficoltà del caso. Una cosa importante che mi insegnò SanPa fu che la vera forza non sta nel non cadere mai. Bensì nell’avere la forza di rialzarsi. Negli anni successivi questa lezione divenne il mio mantra. Può succedere sempre di avere problemi più o meno gravi. Vuoi o non vuoi, per colpa nostra o per le avversità, spesso per colpa di chi ci circonda, specialmente nella società attuale, ma il rimuginare e il piangere su codesti problemi non aiuta a risolverli. Spesso non si ha nemmeno il tempo di fermarsi. Bisogna rimboccarsi le maniche e risolverli, riprendersi la propria vita in mano. Anni prima lo appresi in maniera teorica quando chiesi un aiuto ai miei parenti, i quali non avevano la possibilità di esaudire la mia richiesta. Ora mi veniva data la possibilità di risolverli in maniera pratica e, soprattutto, indipendentemente. Per questo motivo ho sempre affermato che io, come tutti gli altri, all’interno di Sanpa siamo delle crisalidi. Il bruco entra nella comunità, nella quale avvengono tutte le trasformazioni, mentre si può dire che il mondo intorno si ferma. E nella maggiorparte dei casi ne esce l’insetto adulto, completamente trasformato. Inutile dire che alla sera, prima di cena, scrissi nuovamente a mia madre, per metterla al corrente del cambiamento, a mia zia Clì e a mia nonna Luigina. Credo che quelle furono le lettere più lunghe scritte, piene di meraviglia e di descrizioni per il nuovo ambiente. 18

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Ero seriamente motivato e pieno di fiducia. Tutto ciò che mi circondava era realmente professionale. Rimaneva solo un problema... capire realmente quale fosse la fonte dei miei problemi.

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Iniziò ufficialmente il mio percorso a SanPa. Scoprii e, lentamente, mi innamorai del lavoro di ebanista e fabbricante di portaritratti in legno. Anche perchè era un lavoro che aveva a che fare con l’arte, la quale mi aveva sempre appassionato, in particolar modo la storia. E lì dentro passavano parecchi mobili in vari stili. Non immaginavo che un mestiere di cui nemmeno conoscevo l’esistenza potesse essere tanto interessante. E anche la lavorazione. Perchè, in particolar modo per le cornici, si partiva dal legno grezzo e si arrivava al prodotto finito, totalmente in maniera artigianale, e sembrava un vero miracolo, per me, vedere che ero in grado di creare quelli che per me erano dei capolavori, trasformandosi passo dopo passo sotto le mie mani. Che non erano solo dei banali complementi d’arredo, ma avevano una ispirazione storica, in base allo stile, di cui poi mi andavo ad informare. Dopo un paio di mesi che ero in comunità mi venne proposta la partecipazione ad un corso, nel mio settore, proprio di ebanista. Il cui un insegnante, Renato, ci dava le nozioni teoriche e storiche, mentre nel lavoro del settore avremmo potuto esercitare la

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parte pratica. Come nel corso di qualche anno prima di pastaio, praticamente. Inutile dire che accettai pieno di entusiasmo. E col maestro Renato, spesso, durante le pause, mi perdevo a parlare dei vari periodi storici, dell’ influenza che ebbero sugli stili e di tutte queste nozioni che mi affascinavano. E quando andavo in biblioteca prendevo quasi sempre romanzi che avessero inerenza con quello che stavamo trattando. Ed un libro che presi mentre trattavamo l’arte rupestre, rimase poi per sempre tra i miei preferiti. “La Valle dei Cavalli” di Jean M. Auel, che faceva parte della collana “I figli della Terra”. Un romanzo che, specialmente in quel periodo, mi aiutò molto a ripartire da zero. Cosa che dovevo fare. * Come in tutto il mondo, una delle cose che ci accomunava, oltre le varie vicissitudini personali, era la passione per la musica. E spesso, prima del film serale o alla domenica pomeriggio, venivano trasmessi vari videoclips di tutti i generi musicali. E lì la mia mente volava... Rivivevo tutti i ricordi del passato, a partire dalla mia infanzia. Dai classici degli anni 80, che mi riportavano alle giornate al mare, ai bellissimi momenti con mia madre, alla spensieratezza dei pomeriggi al mare con zia Claudia. Gli anni 70, che qualsiasi generazione rivive in discoteca. E come potevo non ripensare ai bellissimi anni della mia adolescenza. L’inaspettato bacio con Marco, la mia amica Roxy, le nostre giornate casinare insieme; i miei anni nelle comunità minorili...! Da una parte mi rattristava l’idea che potessero in qualche modo sapere che le cose per me non erano andate per il verso giusto, 22

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INDICE Preludio ..................................7 Capitolo I ...............................9 Capitolo II ............................13 Capitolo III...........................17 Capitolo IV...........................21 Capitolo V ............................25 Capitolo VI...........................29 Capitolo VII .........................33 Capitolo VIII ........................37 Capitolo IX...........................41 Capitolo X ............................45 Interludio..............................49 Capitolo XI...........................55 Capitolo XII .........................61 Capitolo XIII ........................67 Capitolo XIV........................73 Capitolo XV .........................77 Capitolo XVI........................81 Capitolo XVII ......................85 Capitolo XVIII .....................89 Postludio ..............................93 ANTEPRIMA


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