FEDERICA MARIN Il respiro dell'Anima
A mia madre Enrica e a tutta la mia splendida famiglia con immenso amore
Federica Marin federica.archmarin@gmail.com 348 8249038
Federica Marin abbraccia la realtà e la trasfigura con ogni mezzo a disposizione dell’ar!sta, sia esso pi"ura o fotografia. La sua è un arte sincera, nata dal profondo dell’anima, che ci fa conoscere il mondo e le emozioni dalla loro radice più nascosta coniugandola con la visione. Essa risulta spontanea e ricca di significato, parla ad alta voce e presenta se stessa con delicata ma decisa verve visiva. Dino Marasà
Shanghai
Firenze 4
6
Venezia
7
Milano 9
Federica Marin esprime una nuova filosofia nella ricerca fotografica che fino a qualche anno fa occupava uno spazio importante ma separato da quelle Ar! che vengono comprese tra le espressioni significa!ve della “crea!vità tradizionale”. Quegli schemi obsole! da tempo sono sta! supera! anche a"raverso l’affermazione di nuovi linguaggi, come quello originale di Federica Marin, che sanno comporre insieme una profonda sensibilità innova!va con l’estro e una tecnica consapevole e rielaborata. Federica Marin ha un percorso di studi mirato e ar!s!camente raffinato col!vato in un ambiente familiare s!molante in cui fin da piccola ha trovato sollecitazioni e respiri adegua!: ha iniziato così un rapporto forte e par!colare con la natura, madre generosa di boschi che sussurrano al vento, acque fresche e trasparen! di torren! che diventano fili impetuosi che si chetano nel lago, tramon! ineguali e cieli illumina! sulle cime di montagne che hanno fa"o la storia del nostro Paese, fiori dissemina! tra i campi nella campagna dei nonni, le carezze del mare. Tu"o questo è rimasto nel cuore e nei ricordi dell’ar!sta che ha imparato a leggere le vibrazioni di una natura nella quale non ha spazio la sugges!one personale se non si innalza oltre il confine della percezione sensoriale del sogge"o e del luogo. Fin dalle superiori si è dedicata a una pluralità di esperienze ar!s!che, partendo dal disegno a mano libera, alla pi"ura ad olio, alla grafica e alla stampa, in cui traduceva emozioni e pensieri filtra! a"raverso paesaggi che vivevano tra sogno e realtà, riprendendo la sua convivenza generosa con quell’ambiente naturale che ha accompagnato la sua crescita e la sua sensibilità. Contemporaneamente ha iniziato a cogliere con la fotografia quegli a&mi che sembrano superare la dimensione rielaborata dello spazio-tempo per sfiorare l’immenso che è dentro e fuori di noi.
L’Università, Archite"ura a Milano, il successivo do"orato in ingegneria civile e ambientale, anni di ricerca e di docenza a Udine nella facoltà di Le"ere e Filosofia, viaggi di studio in tu"o il mondo, hanno sollecitato nell’ar!sta l’acquisizione di una “curiosità intelle"uale” che ha favorito approfondimen! personalizza!, nuovi incontri e contaminazioni culturali importan!. Il periodo ar!s!co iniziale, in bianco e nero, cara"erizza la prima fase e le prime mostre della produzione ar!s!ca di Federica Marin. Dune di sabbia costruite da colpi di vento e dal languore delle mareggiate disegnano figure immaginarie e simboli, scompos! e ricompos! da un perenne ondeggiare senza fine che coglie la fluidità del filo della nostra esistenza messa alla prova ma mai dominata se non dal valore di rinascita e dai propri sogni anche se temporaneamente sfiori! dalle urgenze del quo!diano. In quegli spazi abitavano da sempre i pensieri e l’Arte di Federica Marin che si aggira a"enta negli arabeschi delle foglie e i ricami dei rami protesi dei faggi, l’accavallarsi di nuvole sorriden! o arrabbiate, naufragando dolcemente e con determinazione in quell’essenza irreale che dà un senso alla propria vita e che solo i grandi ar!s! riescono ad alimentare nell’arco della propria esistenza. Federica fa intrecciare la magia del proprio io e quegli spazi di realtà che portano al superamento dell’espressione individuale e conducono verso tensione universale. L’ombra del grande albero senza età che dialoga con uno più piccolo che rappresenta la con!nuità dell’essere, è un tema molto caro all’ar!sta, più volte ripreso anche in altre foto a colori o in bianco e nero. È la vita che si impone ovunque nei sen!eri tra"eggia! da altri sca& negli ostacoli di altri rami che si incontrano ma anche nei pizzi arabesca! che foglie leggere disegnano nel cielo. Insieme a questa narrazione legata alle bellezze dell’ambiente naturale decodificato secondo valori cosmici, Federica riprende un racconto essenziale anche sugli aspe& antropizza! della natura nei casi in cui l’uomo ha dato prova di sé nella qualità di costruzioni che si confrontano in modo equilibrato con l’ambiente…una poesia del “costruito” che si avvicina ad un futuro sostenibile e rispettoso. Con le fotografie di Federica potremmo dialogare a lungo come mol! cri!ci importan! hanno già fa"o, con un’analisi che riguarda l’in!mo dell’ar!sta interpretato – per la parte possibile – dagli sguardi sulle sue opere. Riprendo soltanto una mia personale convinzione: le opere di Federica Marin non sono fasi diverse di espressione ar!s!ca. La “metafisica” o il “surrealismo” delle foto più recen!, complesse e splendide nella ricerca cosmica dell’io, hanno le basi in comune con quell’albero che si protende verso la vita per percepire, a"raverso la contemplazione, l’infinito, l’immaginario che diventa reale e la materia creata sembra intrisa di pura sostanza pi"orica. L’arte della Marin si esprime con uno s!le assolutamente personale e rappresenta un nuovo pentagramma sensoriale per cogliere quell’io più in!mo ma anche consapevole nell’immensità infinita e fluida che ci circonda. Enrica Mazzuchin
11
Roma 12
Nuove prospettive 13
Sono trascorsi cento"ant’anni dalla comparsa della fotografia. Era il 1839 quando ne fu annunciata la nascita, malgrado già da prima diversi inventori, all’insaputa l’uno dell’altro, si fossero dedica! ad essa. Sicuramente è stata una delle principali acquisizioni del XIX secolo, un capitolo innova!vo della storia dell’arte, con tu"a la cri!cità legata alla sua esa"a collocazione nell’annovero dei generi ar!s!ci. Timide furono le reazioni iniziali e controlla! gli entusiasmi; salutata all’inizio pre"amente come un progresso tecnico, essa, secondo Peter Galassi, ex conservatore al dipar!mento di fotografia del Museum of Modern Art di New York, è, in verità, «una figlia legi&ma della tradizione pi"orica occidentale». Seguendo l’interessante discorso dello studioso, sebbene già dai tempi della prospe&va lineare gli ar!s! avessero reputato la visione come l’unico caposaldo per la rappresentazione, solo nel corso dei secoli hanno incominciato a dar vita a tecniche di pi"ura basate sul meccanismo e sui procedimen! del campo visivo, dell’occhio fisico, non mentale, dell’essere umano. La sua tesi è volta a dimostrare che la fotografia si è sviluppata a par!re da ques! cambiamen! avvenu! nelle prospe&ve ar!s!che. Nelle sue ricerche, il valido autore ha analizzato dipin! di Constable, Corot ed altri; vi ha visto delle sostanziali novità rispe"o al passato, sia a livello composi!vo che contenu!s!co. Ha notato, ad esempio, che sogge& della tela diventavano scene che i cri!ci dell’epoca ritenevano “umili” o, ancor peggio, “banali”. Si pensi che in questo frangente storico imperava il Roman!cismo, con le sue scene epiche ed eroiche di una Natura soverchiante, rispe"o alla quale l’essere umano era un nonnulla. Ma, come insegna la storia dell’arte, c’è bisogno di metabolizzazione affinché un movimento, un genere si affermi. Possiamo parlare di un “tempo di incubazione” necessario e imprescindibile. Come le nature morte e i
paesaggi presero piede e si diffusero, raggiungendo la meritata considerazione come sogge& autonomi, nonostante gli osta!vi dissensi iniziali, come l’art pompier guardava in cagnesco alle coeve esposizioni degli Indépendants, senza tu"avia poterne arginare la carica eversiva e il desiderio forte di affermazione, così la fotografia ha potuto finalmente fregiarsi dei meri! che occorre tributarle, come erede legi&ma di par!colari esigenze di un determinato periodo. Seguendo le orme di Galassi, risulta interessante soffermarsi sulla definizione di Turner di «quadri rappresentan! par! singole», i cui protagonis! sono specchi d’acqua, stagni, tronchi, porzioni di cielo. Sulla stessa falsariga, Constable, in una le"era a John Fisher, afferma: «Lo scrosciare dell’acqua dagli sbarramen! di un mulino, […] i salici, le vecchie tavole fradice, pali e muri di ma"oni coper! di limo, amo queste cose…Sono le scene che hanno fa"o di me un pi"ore (e di ciò sono grato)». Il dipinto come porzione di un tu"o era un conce"o molto diffuso nell’arte del XIX sec. Lo tes!monia il gran numero di vedute, ravvicinate e con diverse inquadrature, !piche di Constable, de Valenciennes, Købke e tan! altri. Chiara era la consapevolezza che l’interesse ar!s!co per sogge& ritenu! di poco conto richiedesse un nuovo linguaggio. Il valore dell’ar!sta, in lavori di siffa"a concezione, stava nelle variazioni di luce prese in considerazione, nel taglio dell’inquadratura, nel punto di vista ado"ato. Finalmente le opere, prodo"e in base al sempre più impellente spirito di immediatezza, venivano a dipendere, come an!cipato, dall’occhio e non dalla mente. Se per Baudelaire la fotografia non poteva essere considerata una forma d’arte, poiché priva di un requisito per lui fondamentale, l’immaginazione, il segno per eccellenza dell’ar!sta e del suo intervento, in realtà si può affermare che fu proprio essa ad orientare ed influenzare la pi"ura, in un momento storico, in cui, come si è de"o, si stavano apprezzando sempre di più le qualità della percezione, assurta a vero e proprio canone di produzione. Sin dalla sua origine, anche quando la fotografia era piegata ai meri fini di registrazione, i risulta! o"enu! non coincidevano con gli inten! prefissa!: la luce, ad esempio, poteva influire molto sulla qualità, alterando le cara"eris!che visibili dall’occhio umano. Come notato da mol! cri!ci, il mezzo fotografico non immortalava la realtà con!ngente inquadrata dall’obie&vo, ma il suo aspe"o visibile, dipendente da un determinato angolo visuale, in uno specifico contesto spazio-temporale. Una dissertazione del genere introduce nella maniera che merita la figura di Federica Marin, convinta erede delle potenzialità e della portata ar!s!ca della fotografia. Sulla scia della valida tesi del Galassi circa l’influenza della fotografia per quel determinato genere pi"orico che prendeva in considerazione una parte del tu"o (in riferimento al paesaggio naturale), l’ar!sta indugia su scorci, me"endone in evidenza i de"agli, sulle orme di Marina Ballo Charmet. Interessante è anche l’a"enzione rivolta al potere astraente dei suoi sca&; abstrahere, ovvero !rar fuori. E la Marin estrapola dalle sue foto quel colore insito in esse, quelle cromie potenziali che fanno parte dei meccanismi tecnici dei procedimen! fotografici, li fa emergere in superficie e li offre alla visione dei suoi fruitori. In tal modo, il suo repertorio, fru"o di un senso este!co ricercato e raffinato, rompe quel cliché fortemente radicato di fotografia come ogge&vità e registrazione, sulla cui erroneità si è disquisito sopra, zoccolo duro dei dissensi in riferimento ad essa. 15
Si è di fronte ad un’esegeta della materia, alla quale la profonda conoscenza del se"ore consente un proficuo e disinvolto raggio d’azione. Ecco quindi che quella pale"e croma!ca contenuta in nuce negli sca& esegui! viene fuori grazie all’intervento a&vo dell’ar!sta sugli stessi. È un dialogo in!mo, profondo e complesso tra la donna e la Natura: iden!ficandosi in determina! lacer! di paesaggio, la fotografa ne penetra l’essenza, secondo un complesso rapporto panico. Immergendosi a pieno nell’ambiente naturale, l’autrice si lascia pervadere da esso e ne veicola i contenu! acquisi!; ma non si è di fronte ad una semplice medium (il che implicherebbe una mera funzione di mezzo), bensì ad una narratrice sapiente, che comunica con causae cogni!o ciò che ha esperito, ciò cui ha preso parte, con tu"o il bagaglio lirico ed emozionale annesso. Profondamente a"accata alla sua terra, ella esplora ed indaga con viva curiosità quella fascia di territorio tra il Friuli - Venezia Giulia e la Slovenia, il Carso, un unicum della morfologia geologica europea e terrestre. Esso, composto da rocce calcaree molto solubili e dunque facilmente modellate dall’acqua delle precipitazioni, offre in tal senso terreno fer!le all’a&vità della fotografa. Qui le gocce di pioggia riescono a sciogliere la roccia su cui cadono e scavano dei solchi, talvolta molto profondi: sono gli agen! atmosferici gli abili scultori di queste forme millenarie. Nascono così le doline, depressioni a forma di imbuto che possono addiri"ura congiungersi per via della con!nua azione dell’acqua. Tra esse, come tormaline blu, appaiono ex abrupto specchi d’acqua e laghe& nei quali spiccano piccoli rilievi di roccia più dura e non dissolta. Federica Marin si immerge in siffa"o ambiente, per carpirne la Bellezza e cristallizzarla, a suo modo, nelle opere facen! capo alla sua persona. Nel ciclo “Energia”, inedito, ella dirige la composizione con padronanza, ricercando e ricreando sugges!ve atmosfere. Fra stala&! e stalagmi!, tra emersioni e sospensioni, dominano la scena caleidoscopiche accensioni luminose. A primo impa"o astra"e, esse sono in realtà par! reali di quel paesaggio, sapientemente tra"ate dal Maestro analizzato in sede. Tali lavori non solo trasferiscono nel campo fotografico termini ed effe& !pici del mondo pi"orico, ma dimostrano, altresì, quanto siano labili i confini tra astra"o e figura!vo, in realtà immanen! l’uno nell’altro. La vibrante carica di queste cromie ben si confà ad ambien! plasma! dall’acqua, senza la quale la vita sarebbe inconcepibile sul pianeta terra. In lande del genere la fantasia dell’osservatore, pronto a meravigliarsi e ad interagire con quella materia primordiale di forme informi, disegna sparute sagome antropomorfe e zoomorfe, in un cammino inizia!co verso un mondo “altro”. Nel caso analizzato, l’indefinito serve come pungolo e s!molo alla messa in moto dell’immaginazione e dell’elemento poe!co. Scenario simile si riscontra in “Mondo sommerso”, anch’esso legato all’elemento acqua. Immergersi in ques! flu& è come andare in avanscoperta nei meandri della mente umana, tra pensieri recondi! e creature immaginifiche e chimeriche. Superato il so&le confine tra reale e immaginario, si entra a far parte di un gioco le cui regole sono affidate all’individualità del singolo: come affermava David Hume, «La bellezza non è una qualità delle cose stesse: essa esiste soltanto nella mente che le contempla ed ogni mente percepisce una diversa bellezza». Ivan Caccavale 16
Berlino 17
-
18
Berlino 19
Torino 20
Londra 21
Luna nuova - Venezia
Berlino 22
24
Zabriskie Point 25
26
Purezza 27
Nuova dimensione
Mimetismo 29
È il viraggio, l’alterazione delle cromie originali per o"enere delle altre di par!colare effe"o espressivo, che una volta veniva perseguito attraverso apposi! bagni chimici, oggi mediante lo strumento digitale, il procedimento tecnico e mentale alla base delle rielaborazioni fotografiche di Federica Marin, alla ricerca di sensazioni nuove nel porsi in un rapporto con la natura che diventa sugges!vamente straniante quanto più viene emancipato dai binari più codifica! della percezione. VI!orio Sgarbi La ricerca ar!s!ca di Federica Marin parte da una profonda riflessione sui principi che regolano la Natura che si fa campo d’indagine nel suo infinito e con!nuo divenire inteso come mutamento e dinamica trasformazione. Questo studio incessante su ciò che l’elemento naturale manifesta si concre!zza in forme astra"e generatrici di dimensioni ancestrali, arcaiche, lontane dal tempo e dallo spazio. Sono immagini che diventano simboliche, mentali, distan! dalla mera imitazione dell’elemento naturale e volte a recuperare la memoria, il ricordo. Sono atmosfere evoca!ve che rifle"ono una visione pre"amente personale e che si materializzano grazie alla par!colare tecnica u!lizzata dall’ar!sta. Le indagini della Marin sulla stra!ficazione del suolo e sul passaggio da uno stato all’altro della materia, diventano specchio e metafora di sta! mentali che esortano ad ado"are un approccio differente e più s!molante nei confron! di ciò che ci troviamo di fronte, un a"eggiamento di contemplazione che deve diventare un “modus vivendi” in grado di farci entrare in relazione profonda con ciò che è qui ed ora e con ciò che è stato.
La dimensione medita!va ci avvicina e ci me"e in conta"o non soltanto con la dimensione so"esa e nascosta del mondo naturale, ma anche e sopra"u"o con la nostra in!mità. Quelli della Marin sono sca& che trasudano spiritualità, che svelano i segre! della Natura così come quelli dell’animo umano. La materia diventa forma astra"a, vivida nel brillare delle cromie intense, supportate dalla lucentezza del materiale di supporto scelto (plexiglass). L’a"enta analisi dell’ambiente, nelle sue infinite forme, corrisponde al contempo ad un’analisi di stra!ficazione sociale, poiché la materia diventa portavoce di un cammino storico che va a toccare i campi dell’antropologia culturale. Gli stadi di trasformazione del so"osuolo, il passaggio degli elemen! da uno stato all’altro, altro non sono che il riflesso di ciò che l’uomo è stato nei secoli e di quello che la nostra mente rifle"e o anela.
Federica Marin’s ar"s"c research arises from a deep thinking on the principles which govern Nature, which becomes the field of inves"ga"on for the infinite and con"nuous becoming, for the ever-changing and dynamic transforma"on. This "reless study on the natural element is shaped into abstract forms, genera"ng ancestral and archaic dimensions, far from "me and space. Images which become symbolic, mental; distant from the mere imita"on of the natural element and aiming at retrieving the memory, the remembrance. These are evoca"ve atmospheres which reflect on a strictly personal vision, and which materialize with the par"cular technique employed by the ar"st. Marin’s inves"ga"ons on the soil’s stra"fica"on and on the transi"on from one state to another of the ma!er become mirror and metaphor of mental states, which urge to adopt a different and more s"mula"ng approach towards what we are facing. A contempla"ve approach which needs to become a modus vivendi, able to help us establish a deep rela"onship with what is here and now, and with what has been. The reflec"ve dimension pulls us closer and in contact with the hidden dimension of the natural world, as well as with our own in"macy. Marin’s shots exude spirituality, revealing Nature’s secrets and those of the human soul. The ma!er becomes an abstract form, vivid in its shining of intense colours, supported by the shining material of the chosen support (plexiglass). The careful analysis of the environment, in its infinite forms, corresponds to an analysis of social stra"fica"on, as the ma!er becomes the spokesperson for a historical path which touches the field of cultural anthropology. The stages of the underground transforma"on, the transi"on of the elements from one state to another, are the reflec"on of what men have been throughout the centuries and of what they aspire to and desire. Monica Ferrarini
31
La gabbia d’oro
Infinito 32
34
Giorgia 35
Gli sca& rifini! di Federica Marin traggono ispirazione dalla realtà comune e la rielaborano digitalmente fino a o"enere un prodo"o che ha dell’avveniris!co. Sfru"ando forme e colori, l’ar!sta costruisce dei mondi a parte, in cui proprio i nostri sensi vengono lascia! liberi di esperire. La natura e i paesaggi, naturali e antropizza!, vengono immortala! per poi essere filtra! e rivis!, è il caso di dirlo, con un’altra o&ca, a"raverso nuove prospe&ve composi!ve e perce&ve. Nei suoi proge& fotografici Federica Marin è capace di creare degli universi paralleli, nei quali l’uomo si ritrova per la bellezza e il senso di pace, ma d’altra parte si sente pervaso da un profondo disequilibrio che s’instaura quando l’ogge"o conosciuto diventa altro e trova significa! profondi. Sono sca& molto par!colari di luoghi, di de"agli, di ambien! naturali, di figure in cui l’ar!sta, proiettando il suo mondo interiore, fornisce una sua meravigliosa interpretazione della realtà. Guardandoli in tale maniera, si può leggerli in una chiave diversa e innova!va, riuscendo a cogliere degli aspe& mai vis! prima d’ora. L’ osservatore entra così in un mondo originale, dove si svela lo “straordinario” dell’intorno a noi. Il fa"o che si riconosca o si dubi! di riconoscere fa parte di un processo cogni!vo che ci perme"e di ampliare i confini del nostro piccolo universo, il tu"o, tramite la forza di un obie&vo Salvo Nugnes
Percorsi
I colori dell’anima 03 37
Evoluzione 38
39
Federica Marin opera nella fotografia fin dalla giovane età e ha all’a&vo importan! mostre e riconoscimen! nazionali ed internazionali. Laureata in archite"ura a Milano, con successivo conseguimento di un PhD in ingegneria civile e ambientale, ha acquisito una solida formazione nella grafica pubblicitaria, nel design, nell’arredamento e nella scenografia. A"raverso sofis!cate riprese fotografiche e la loro successiva rielaborazione in studio, compie una sorta di trasfigurazione dell’immagine colta del paesaggio, sia naturale sia antropizzato. Inquadrando scorci, evidenziando par!colari, soffermandosi sui de"agli, Federica trascende il dato narra!vo. Gli elemen! visivi compongono ritmi autonomi dal reale fino a sfiorare l’astrazione. La realtà viene ribaltata nel suo riflesso in un gioco illusorio e ingannevole di apparenze, in un riverberarsi di specchi. In queste “apparizioni naturalis!che” l’uomo non entra mai in campo, eppure l’eco di elio!ana “terra desolata” ne comunica l’alito. Pare quasi che l’autrice, più che guardare all’esterno, si raccolga in se stessa a cercare una fantas!ca verità segreta che gli impas! di trame visive rido"e a tremolii trascoloran! di macchie hanno il compito soltanto di suggerire. Sono affondi nella memoria alla ricerca delle “intermi"enze del cuore”. L’ogge"o è un pretesto, o uno s!molo come la famosa madeleine pros!ana. Ritorna quell’”indefinito cosmico” a stabilire una sorta di osmosi sen!mentale rilevabile nella pi"ura della madre, Enrica Mazzuchin…e le foto di Federica sembrano a loro volta intrise di morbida sostanza pi"orica. Licio Damiani
Luce
Identità contemporanee
La voce del silenzio 43
Origine della vita 44
I colori dell’anima 04 45
Contaminazione
Vita 46
Sinfonia in blu
Pianeta terra 01
Pianeta terra 02 49
50
Alba 51
Verità nascoste e infini! mondi possibili negli sca& ar!s!ci di Federica Marin La sovrapposizione della realtà è un’abitudine radicata nell’epoca contemporanea, dove tu"o sembra dover essere diverso da come è, dove la vera essenza si deve nascondere dietro apparenze poliedriche per perme"ere all’uomo metropolitano di ada"arsi camaleon!camente alle diverse situazioni in cui si trova. La protagonista di oggi racconta di queste verità nascoste ma anche di un modo più in!mo di osservare la realtà circostante. Federica Marin, archite"o di Udine, è da sempre appassionata di fotografia ar!s!ca, sopra"u"o al bianco e nero, almeno nella sua prima fase crea!va; lentamente poi inizia ad appassionarsi a conce& più metafisici, più intensi e meno lega! all’immagine così com’è, in virtù della sua natura profonda e al suo occhio sensibile a"raverso il quale esplora, le"eralmente, ciò che non è visibile, e approfondisce gli studi sulla percezione visiva, sulla composizione fotografica e sulla destru"urazione della composizione stessa, un lungo percorso forma!vo che le ha permesso di giungere al suo s!le unico, profondo e intenso. La tendenza all’approfondimento filosofico e sociologico della realtà contemporanea la spinge a narrare e tentare di portare alla superficie tu"o ciò che normalmente è nascosto, sedimentato so"o stra! di ricordi, esperienze, maschere che quo!dianamente vengono indossare per non riconoscersi, per non scoprirsi, per sembrare meno vulnerabili e, sopra"u"o, per non affrontare ciò che spaventa di più, ciò che fa paura. Ciò a cui è meglio non pensare. Nell’opera - perché di opere d’arte si parla nel caso della Marin -, Iden!tà contemporanee questo conce"o metafisico appare in modo inequivocabile, dire"o, proprio in virtù di quella non riconoscibilità degli ogge& e degli sfondi immortala!, se non per qualche de"aglio, quel dover andare a sca-
vare più a fondo, velo dopo velo, per comprendere e iden!ficare la reale iden!tà protagonista, quella che troppo spesso dimen!ca di essere prima di apparire e confondersi nel caos della folla e dell’immagine este!ca. Così come ne La voce del silenzio, in cui la donna è rappresentata da un manichino senza voce, appunto, la cui esteriorità tanto fondamentale per lei si dissolve e si perde nell’atmosfera metropolitana, essenza effimera perché la forma ha bisogno della sostanza per diventare solida e visibile, per lasciare una traccia nella realtà circostante piena di rumori, di luci, di trasparenze e di generalizzazione. Sembra voler so"olineare, la Marin, che ogni passo, ogni progresso, ogni evoluzione, risiede nelle nostre scelte, dipende da noi in quale degli infini! mondi possibili, secondo le teorie della mente quan!ca teorizzata inizialmente proprio dal genio di Albert Einstein e poi sviluppata e applicata alla psiche da mol!ssimi studiosi – medici e fisici -, viviamo il nostro presente e vivremo il nostro futuro. Anche nell’opera Infinito l’ar!sta riprende la tema!ca della scomposizione dell’immagine che è tu"o ma può essere anche altro, che si può osservare da differen! pun! di vista ma darà sempre la medesima prospe&va, come i disegni capovol! di Escher che, a loro volta, aprono l’osservazione verso molteplici possibilità, poliedrici pun! di vista che in ogni caso e da qualunque lato li si guardi, danno la sensazione di essere tu& reali. Nei paesaggi invece la Marin entra in una dimensione più magica, più incantata, stravolge i canoni coloris!ci e li plasma, li modella come se fossero creta, sulla base del suo sen!re, della sua innata tendenza ad andare oltre, a svelare l’essenza di ciò che è visibile per res!tuirla all’osservatore so"o una sembianza differente, più energe!ca, più legata al senso che non alla pura immagine. Qui la sua fotografia ar!s!ca si avvicina all’Espressionismo pi"orico, liberando le emozioni e rendendole protagoniste, a"raverso i colori, di luoghi sognan!, di paesaggi capaci di trasportare in una dimensione superiore, quella della visione onirica, dell’immaginazione, dell’intangibile che però resta comunque legato a un mondo reale. Ecco dunque tornare la tema!ca, cara alla Marin, delle differen! possibilità, delle scelte su come e in che modo guardare e vivere ciò che troppo spesso passa velocemente so"o il nostro sguardo distra"o, perché concentrato sulla dimensione razionale e non su quella emo!va, e dipendentemente da quella scelta decidere con quale modalità percepire e sen!re gli a&mi irripe!bili della vita, della natura, dei luoghi che diventano non luoghi. Il legame con la tecnica del bianco e nero resta comunque forte, indimen!cabile proprio perché base di partenza di un percorso di forte evoluzione, tecnica che Federica Marin sviluppa e lega agli scorci metropolitani, come la serie di sca& sul nuovo skyline di Milano con il gra"acielo dell’Unicredit, oppure per spostarsi verso conce& più astra& come nell’opera Dissolvenza, in cui non importa l’origine dell’immagine bensì l’idea che desidera rappresentare. Nel corso della sua carriera Federica Marin partecipa alle più importan! colle&ve internazionali su tu"o il territorio italiano e internazionale vince importan! riconoscimen! e premi tra cui, ul!mi in ordine di tempo, il Premio di Ar! Visive Biennale di Venezia, sez. fotografia pi"orica digitale, e il Premio d’Arte Internazionale Nothing but Art a Palazzo Velli Expo di Roma. Marta Lock 53
Mondo sommerso
Energia 01 55
Energia 03
Energia 02 56
I colori dell’anima 01
Eden 59
C’è una fotografia che non è semplice rappresentazione, ma piu"osto unione tra pensiero e ogge"o, una fusione cercata allo scopo di proporre un’immagine che è evidenza di una trasmutazione avvenuta. L’opera allora, altro non è che una composizione armonica tra ogge"o e simbolo. È una fotografia questa che evoca immagini che superano la mera ogge&vità, sono come i brani di Jóhann Jóhannsson o di Ludovico Einaudi. Il pensiero astra"o, l’effimero e il trascendente si rendono visibili, palabili, eviden!. La composizione è prova tangibile di un messaggio che si svela a"raverso il sogge"o. Ogni immagine, ogni fotografia è un mistero svelato che diviene reperto, mappa che tes!monia il passaggio e il segno lasciato dall’Idea. L’ar!sta, in questo caso rappresenta il percepto, il fenomeno, ciò che è reale, perché l’osservatore possa avere percezione di ciò che è evocato, di ciò che si può vedere solo con la mente, col cuore, con le sensazioni, con le emozioni; con tu"o ciò che esula dal pragma!smo. Il taglio, la profondità di campo, l’inquadratura, la luce e l’ombra non sono altro che i connota! necessari per dar fisionomia alla storia che inizia e finisce quando l’osservatore da quella fotografia si fa guardare. Le immagini di Federica Marin sono tu"o questo, un compendio di rappresentazione e raffigurazione, lei fissa l’ogge&vità perché si abbia percezione dell’infinito, quasi che la fotografia debba rendere più bella ed eterna ciò che per natura è transitorio, effimero e quindi non durevole. Per la Marin la macchina fotografica è come la penna dei poe! che rende eterno ciò che può emozionare oltre l’evidente caducità della materia. Raffigura la scin!lla dell’infinito ch’è contenuta nella rappresentazione di ciò che finirà, anche per questo le sue immagini fotografiche sono di una bellezza par!colare, hanno un fascino che coinvolge, le sue immagini sono riflesso dell’animun,
sembrano evocare musiche, sembrano evocate da musiche; Max Richter - On Reflec!on. Per avere piena percezione del lavoro della Marin è necessario il superamento della normale sensorialità e non servono molte parole, né troppi richiami storico-ar!s!ci: ciò di cui si necessita è una semplice visione contempla!va. Le opere di Federica Marin rendono opportuna per essere godute appieno, un senso di auten!ca contemplazione, null'altro. Contemplazione nel suo più in!mo e!mo, cioè "per mezzo del cielo". Ogni opera è un mezzo perché l'osservatore non veda soltanto, né guardi semplicemente, il fine è il senso an!co del Godimento, cioè unione di piacere, gioia e gusto, kalòs kai agathòs. Ciò che per definizione è effimero o inerente al mondo delle idee, nelle immagini di Federica Manin, si fa riconoscere e scoprire nella forma, nelle opere di Federica Marin l’immaginario di divenire immagine. Non per ipotesi, o per pura astrazione, lei offre narrazione per immagini reali, lì in quel momento, all’osservatore che dall'opera si fa guardare. Se l’astra&smo nel suo senso e!mologico vuol dire “abstraere, estrarre” da ciò che è conce"o, da ciò che è en!tà, o più precisamente “estrarre dallo spirituale”, allora possiamo definire questa ar!sta una vera astra&sta. La sua peculiarità è la meditazione sulle forme e sullo spazio, lei fa vera esplorazione di quello spazio reale che circonda il significante e da figurazione, nel re"angolo aureo, dell’inquadratura ai significa! che lei definirà. Il colore che lei inserisce negli interven! che esegue in alcune opere sono, in effe&, dei varchi dove lo spazio diventa pra!cabile, dove il cielo o il fondo diventano en!tà. il vuoto diviene vibrante di trascendenza nell’immanenza lì, proprio lì dove l’osservatore guarda. In ogni sua opera lei fa narrazione e crea l’incanto. Formidabile è osservare l’ar!sta che guarda e parla delle sue opere, è come se si stupisse ogni volta di come l’idea è divenuta sogge"o e di come l’infinito abbia trovato in lei il modo di trovare definizione. È quella magia an!ca, antropologica e femminile di cui parla Erich Neumann nel testo “La grande madre. Fenomenologia delle configurazioni femminili dell'inconscio”. I colori, le forme che lei rielabora, i viaggi che ha fa"o alla ricerca della “Forma” che potesse dare le"ura del mistero non sono che l’evidenza di quell’incanto, vera evidenza della sacralità, dell’idea che dall’iperuranio, tramite l’ar!sta, si fa forma, diventa reale, si fa imago, diventa vera essenza della magia. Ecco allora che lo sguardo sensibile e lungimirante, come quello di Kandinskij, assume il sapore di una rivelazione che svela l’energia e la purezza dell’anelito all’assoluto dell’ar!sta, lontano per sua natura da espressioni perentorie e retoriche. Non si è fa"a costringere e condizionare dagli studi sulla fotografia che svolge sin da giovane e ha saputo prendere il meglio dai corsi e dai workshop organizza! dal Politecnico di Milano tenu! da esper! come Piero Pozzi, Roberta Valtorta e Paolo Rosselli. Ha scoperto la sua volontà, la passione e trovato ispirazione con viaggi in diversi paesi e con!nen!. Ha ricercato nuove dimensioni e spazi unici, ha rielaborato una percezione visiva che è sintesi sensoriale e spirituale del luogo. Il sublime in lei diviene suono che si propaga con gli strumen! della visione. Non riesco a pensare Federica Marin con la macchina fotografica, la immagino davan! al Caos come Era che con una scin!lla di Eros creò il cosmo, la summa Bellezza. Alberto D’Atanasio 61
Callas 3
62
Federica Marin, archite"o con do"orato in ingegneria civile e ambientale e ricercatrice, è un’ar!sta storicizzata con riconoscimen! nazionali ed internazionali.L’Arte ha sempre fa"o parte della sua vita. Fin dagli studi ar!s!ci superiori ha sviluppato una pluralità di esperienze in diversi ambi! passando dall’archite"ura, al design, alla moda, alla grafica, alla fotografia. Quest’ul!ma, in par!colare, ha assunto un respiro ar!s!co con cui ha creato un dialogo permanente tra il suo sen!re interiore e la realtà esterna. La sua opera è presente sul CAM della Mondadori, con segnalazione par!colare del Comitato Scien!fico, sull’Atlante dell’Arte De Agos!ni, sez. internazionale, e su molte pubblicazioni e libri d’arte. Ha esposto in diverse personali e colle&ve in Italia, nelle più importan! ci"à italiane, nelle principali Fiere di se"ore e all’estero (New York, Toronto, Miami, Chicago, Rio de Janeiro, Budapest, Barcellona, Parigi, Berlino, Londra, Montecarlo, Nizza, Malta, Mosca, Montreux). La sua produzione ar!s!ca è in permanenza al MIIT, Museo Internazionale Italia Arte di Torino, al MACO Museo di Veroli e al MACI Museo d’Arte Contemporanea di Imperia. È presente, dal punto di vista storico-cri!co, nell’Archivio Storico Universale delle Belle Ar! di Padova e nella Biblioteca di Storia dell’Arte ed Este!ca dell’Università di Urbino. Ha ricevuto il pres!gioso “Premio alla Carriera” alla Camera dei Deputa! del Parlamento Italiano, il “Premio alla Carriera” per la fotografia a Stresa e numerosi altri importan! premi ar!s!ci tra i quali ricordiamo la Medaglia Aurea alla 43 ed. del “Premio Medusa Aurea” dell’AIAM, Accademia Italiana Arte Moderna di Roma e il Primo Premio al “Concorso Internazionale Art Contest” a Montecarlo, sez. fotografia. Mol! storici, cri!ci e giornalis! hanno scri"o della sua arte: Licio Damiani, Isabella Deganis, Vito Su"o, Giancarlo Biasco, Natale Zaccuri, Gianfranco Ellero, Giancarlo Bonomo, Renato Manera, Elena Vio"o, Fabrizio Borghini, Michela Zanu"o, Elena Gollini, Lara Nuvoli, Carla d’Aquino Mineo, Salvo Nugnes, Daniela Malabaila, Vincenzo Che"a, Mario Gambatesa, Giorgia Cassini, Arpinè Sevagian, Azzurra Immediato, Mariarosa Belgiovine, Marta Lock, Gianfranco Pugliese, Rino Lucia, Sandro Serradifalco, Luciano Costan!ni, Paolo Levi, Ivan Caccavale, Monica Ferrarini, Daniele Radini Tedeschi, Gianni Dunil, Alberto D’Atanasio, Annalisa Sacche&, Giammarco Puntelli e Vi"orio Sgarbi. In par!colare, la vita e l’opera dell’ar!sta vengono descri"e in de"aglio nel libro “Profili d’Ar!sta” e sui dossier “Speciale Ar!s! in Primo Piano” e “Arte e Illusione”, edi! dalla Mondadori. Nel 2020 Federica Marin ha video-presentato il por'olio fotografico “La Grande Bellezza” dedicato ad alcune ci"à italiane par!colarmente colpite dalla pandemia e la sua a&vità ar!s!ca è stata archiviata nella Biblioteca Thomas J. Watson del Metropolitan Museum of Art di New York. È tra i soci fondatori della Onlus WomenInterna!onal WIIW che si occupa delle relazioni tra Italia e India ed è iscri"a alla FIJET Federa!on Internazionale des Journalistes et Ecrivains du Tourisme. È stata nominata Effe&sta Honoris Causa e selezionata per rappresentare, insieme ad un gruppo ristre"o di ar!s!, l’Italia all’EXPO’ Universale a Dubai-Abu Dhabi nel 2021. Lavora a Udine come archite"o e fotografo d’arte con studio privato e si occcupa di archite"ura, design, grafica e fotografia.
63
Studio Byblos Publishing House studiobyblos@gmail.com - www.studiobyblos.com Palermo - Maggio 2022