BOSTON: CRONACA DI UNA EMIGRAZIONE - FRANCESCA MORALE

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Francesca Morale Studio Byblos Boston: cronaca di una emigrazione 1914-1934

© Palermo 2022 - Tutti i diritti sono riservati all’autore.

ISBN

In copertina: Ellis Island, N.Y. Siciliani e Siciliane mentre sbarcano nel Nuovo Mondo. 9791280343376

Alla mia amatissima madre

Bien qu’on ait du coeur à l’ouvrage L’Art est long et le Temps est court

Pour soulever un poids si lourd, Sisyphe, il faudrait ton courage!

Baudelaire, “Le Guignon”, Les fleurs du mal, Paris, Garnier Frères, 1961 p. 19.

Baudelaire, “La disdetta”, I fiori del male, traduzione dal francese di Luigi De Nardis , Milano Feltrinelli 1982 p.29

Per sollevare un così grave peso, Sisifo, ci vorrebbe il tuo coraggio! Pur lavorando lieti e di gran lena, L’Arte è lunga e il Tempo è troppo breve.

Anelava sicuramente a raggiungere la sua amatissima madre morta tantissimi anni prima e sepolta in terra d’America nel Cimi tero di St. Mary a New Britain, Connecticut. Quel fischio si ripeté altre volte, poi l’imbarcazione salpò e scomparve. In lacrime ci consolammo a vicenda e il silenzio ci avvolse pietosamente lasciandoci alle tristi incombenze della veglia e della tumulazione.

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Era il 14 settembre 2012

Un fischio acuto squarciò l’aria di quel tristissimo pomeriggio di settembre. Un piroscafo stava per salpare dal porto di Siracusa. Trasalimmo, stretti gli uni agli altri nel preciso momento in cui davamo l’estremo addio alla madre. Quel commiato straziante per noi figli preannunciava un viaggio, il suo ultimo viaggio. Quel pi roscafo attraccato da due giorni sotto casa alla marina fu pronto ad imbarcarla. Dov’ era diretto il suo spirito leggero oramai libero dallo scafandro corporeo?

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E se la storia degli uomini era triste, lo era ancor più quella delle donne che per cultura, tradizione e senza indipendenza economica, dovevano sottostare al padre prima e al marito poi seguendo il de stino che si presentava loro.

Noi figli avevamo sentito spesso la sua voce accorata che gli anni avevano armonizzato su toni pacati e sereni, rivelatori di un equilibrio raggiunto, grazie alla vita stessa che le aveva tolto tanto e che tanto le aveva dato.

Qualche tempo dopo la tumulazione quando l’autunno tiepido del paese sprigionava il profumo secco tipico dei giorni che comin ciano a farsi più freschi, Salvador col suo passo leggero e felpato, un giorno, mi si avvicinò consegnandomi un pacchetto destinato alle fiamme. Erano le lettere che per un tempo molto breve, Tina aveva scambiato col suo futuro marito, nostro padre, nel periodo

Non avremmo più sentito la sua voce dal timbro allegro e otti mista che risuonava ancora nelle nostre orecchie. La sua era stata una voce coraggiosa e costante quella che ci aveva molte volte nar rato e ripetuto gli avvenimenti della sua infanzia e dei suoi anni giovanili trascorsi lontani dal paese. Da lì i suoi genitori, molti parenti e moltissimi paesani erano partiti alla ricerca di una vita migliore. Alla ricerca di quella felicità che solo l’America col suo mito era riuscita a promettere all’umanità intera. La terra delle opportunità per tutti, l’Eldorado per i sognatori, gli avventurieri e i cercatori d’oro, avevano spinto milioni di uomini e donne di tutte le razze e paesi del mondo a riversarsi sulle sue sponde. Erano i diseredati della terra, come i nostri compaesani, pronti e determinati ad affrontare prima viaggi disumani e strazianti, poi le pesanti trafile e le prove dei difficili ed inevitabili varchi di Ellis Island che porta vano alla libertà e ad una vita migliore.

Ero troppo turbata per leggerle, così rimasero dov’erano per qualche tempo ancora. Un giorno però, nell’ascoltare le notizie meteo che davano nebbia nella pianura padana, balzò improvvisa mente nella mia mente quel pomeriggio di tanti anni prima.

Tornai indietro nel tempo, e rividi quella sequenza quando an cora si viveva in Lombardia. Solitamente rientravo a casa da Mi lano, nel primo pomeriggio, dopo giornate faticose di lezioni ed impegni accademici e trovavo mamma che per anni è vissuta con la mia famiglia, sempre pronta ad accogliermi con qualcosa di caldo. Anche quel giorno, dopo un breve resoconto della giornata, ci sedemmo a bere un “bel caffè” e cominciammo a chiacchierare

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“Non ne conosco il contenuto” – sussurrò Salvador - “erano di tua madre, adesso sono tue” . Poi aggiunse: “quando tua mamma me le diede, mi disse di bruciarle” “ma le ho messe in quel cassetto” e me lo indicò. “Non le ho volute leggere, non so di cosa trattino ”.

Nel ricevere quel pacchetto ebbi un fremito e lo misi da parte.

Chissà per quale strano ed indeterminato motivo, lei iniziò a raccontarmi per l’ennesima volta le vicende della sua lunga esistenza iniziata con un viaggio e mi chiese di annotare con precisione i nomi, le date di nascita, delle partenze e dei ritorni di tutti quei suoi parenti che avevano avuto a che fare con l’emigrazione e la soffe renza, con l’esclusione e l’emarginazione, con la tenacia e la per severanza, con le tradizioni e la speranza, con la fede e col dolore. Mi ripeté di nuovo i nomi delle persone, le date di nascita, gli avvenimenti particolari della vita dei suoi genitori, così come dei suoi anni americani. Fissai molto bene su dei fogli di carta i tanti destini

del fidanzamento e coi genitori dopo, quando questi ultimi erano dovuti rientrare, nel 1936, in America dopo il suo matrimonio e la nascita del primo nipotino.

che lei narrava per poterli meglio ricordare, dicendo tra me e me “ chissà, forse…. un giorno ne avrò bisogno…”.

Quelle lettere furono il detonatore. Esse fecero esplodere con forza la mia voce narrante affinché vite anonime e perdute trovas sero un mediatore per dire le loro storie.

Nonna Francesca - Ciccina- per i paesani, le rappresenta tutte.

Così, col suo grande flusso emigratorio verso gli Stati Uniti d’America, anche le donne erano entrate tristi e silenziose a far parte, con le loro anonime vite cancellate dalla distanza, dall’oblio, dalla morte, nel novero di questa cronaca migratoria.

Un significativo pezzetto di storia di un paesello di collina, coi suoi abitanti costretti a varcare l’oceano alla ricerca di una vita migliore all’inizio del ‘900.

In sordina e dimenticata da tutti era nata la storia semplice e travagliata di una donna emigrante, emblema di tutte le donne emi grate coi mariti, coi figli all’inizio del secolo scorso.

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Fu un bellissimo pomeriggio denso di ricordi, narrazioni, aned doti e nostalgia e tutto travasò attraverso i miei appunti nello scrigno della memoria come gemme preziose da ben custodire. Lì rimasero sepolte per molti anni a venire. Poi… col suo ultimo viaggio, una sonda penetrò nei fondali profondi e bui della memoria riportando tutte quelle vite nuovamente alla luce.

Nonna Francesca, Ciccina per i paesani

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1. Mia nonna Francesca Sbriglio era nata da Vincenzo Sbriglio e Maria Caracò a Cani cattini Bagni in via Corso 19, il 6 dicembre 1889.

Nonna Francesca1 aveva un padre autoritario e all’antica, il patriarca2, convinto assertore che la donna dovesse realizzarsi nell’ambito domestico, e due fratelli che erano tenuti, benché maschi, al massimo rispetto e ubbidienza verso i genitori.Cosi,le giornate di mia nonna as sieme a sua madre, la bisnonna Maria detta “ Zella” passavano tra il riordino della casa stessa, la preparazione dei pasti per tutti i maschi della famiglia, e i riti religiosi, il vespro, che durante la settimana suggellavano cristianamente

L’emigrazioneprimafamiliare.

Parte

Si doveva partire e si partì C’era una volta l’America: ieri

2. Il mio bisnonno Vincenzo Sbriglio era nato a Canicattini Bagni, l’8 ottobre 1864. Era un uomo all’antica che esigeva dai figli maschi la paga settimanale e dalla figlia femmina il lavoro in casa. La mia bisnonna Maria Caracò, era nata a Canicattini Bagni il 10 marzo 1861, sposò il bisnonno Vincenzo il 27 dicembre 1888.

Il bisnonno Vincenzo Sbriglio

12 la giornata. Col matrimonio, ce lebrato a Canicattini il 26 set tembre 1911, la sua vita non cambiò molto perché sposò un uomo, mio nonno,3 ebanista di professione, che era anche lui cresciuto e vissuto al paese e aveva completato il corso di studi elementari presso la allora scuola Regia di Canicattini.

Egli non poteva avere un at teggiamento diverso verso le donne e questo stupisce chi come me, ha avuto la fortuna di vivere nel XX secolo ed ha visto non solo l’Europa ma il mondo intero cominciare a trattare della questione femminile in tutte le sue de clinazioni.Purtroppo allora era così. Mio nonno era pertanto per cultura, e con questo termine includo anche la religione molto sentita al l’epoca, tradizionalista, protettivo e autoritario.

Anche mia nonna Francesca ebbe a che fare, con questo mondo ancestrale che aveva lasciato per andare incontro ad una vita mi gliore; un mondo che nella continuità delle nostre tradizioni, troppo spesso tarpava le ali a chi invece voleva volare.

3 Mio nonno Vincenzo Vasques era nato da Giuseppe Vasques e Cianci Concetta a Cani cattini Bagni il 21 luglio 1885 in via Corso 97.

Non poteva certo immaginare che di lì a poco, dopo la nascita della sua unica figlia Tina, sarebbe partita, poco più che ventenne alla volta dell’America. Lì dopo una vita di lavoro e con nell’animo il forte desiderio di tornare a godersi la “pensione americana” al

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Certificato nonno

materno Vincenzo Vasques

di frequenza alla scuola elementare Regia di Canicattini Bagni del

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paese, contrasse una malattia renale, allora incurabile, e morì al l’ospedale di Hartford.

Fu seppellita nel Cimitero di St. Mary a New Britain, e dopo il ritorno definitivo di mio nonno in Italia, nessuno più le portò un fiore ad eccezione dello zio Nino, fratello di nonna Francesca che viveva ad Hartford. Questi, ogni anno il 30 maggio, giorno della Commemorazione dei Defunti in America, le portava un bel cesto di zinnie fucsia e gialle, lilium misti e rose rosse. Lo feci anch’io durante il mio anno di studio in America, quando nel corso di una visita al cimitero, nel mese di febbraio 1965, mi resi conto come la lapide sepolcrale semplicemente adagiata a terra, spariva, nei mesi invernali, sotto una spessa coltre di neve. Fui costretta in quell’occasione a rimuoverla con le dita per vedere apparire il nome di nonna Francesca, e accomodai i fiori alla meglio in un boccalino rosso. Ne fui dispiaciuta e cominciai a riflettere. Il caso volle che nel campus del Central Connecticut State College da me frequentato, un giorno mi imbattessi in un gentile geometra italo-ameri cano, addetto a tutte le riparazioni e manutenzioni della struttura universitaria. Accennai alle condizioni di quella sepoltura e gli posi dei quesiti su possibili modifiche. Qualche mese dopo il geometra Annino dopo avere effettuato un sopralluogo al St. Mary Cemetery, e dopo uno scambio di missive, foto e progetti, sottopose a mia madre il lavoro di modifica che poteva essere fatto. Si trattava di erigere al posto di quella piccola lapide adagiata a terra una stele sulla quale venivano riportati oltre i dati ben chiari della defunta, una dedica che affettuosamente riportava il nome della figlia: Tina. Gli fu commissionato il lavoro molto volentieri. Un anno dopo, la lapide calpestabile del tumulo di mia nonna Francesca appariva modificata in questo modo.

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Ricordino

Necrologio della morte di nonna Francesca ad Hartford

Si attenuava così nel cuore di mia madre l’amarezza accumula tasi negli anni per non avere potuto assistere nonna Francesca negli ultimi momenti di vita, per non aver potuto partecipare ai suoi fu nerali e di conseguenza per non avere potuto elaborare un lutto umano e filiale.

Ciò le aveva lasciato una sorta di disperato sentimento di fronte alla inelut tabilità della lontananza e della straziante separazione che la guerra, come si vedrà, aveva imposto agli esseri umani, privandoli di ogni comunicazione e spo-

Nonna Francesca sul suo letto di morte presso le Pompe funebri di New Britain

Boccalino rosso poggiato a terra sulla lapide di nonna Francesca come un portafiori

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4. Oggi è la via XX Settembre, quando nacque mia nonna si chiamava via Corso.

Nuova lapide come appare dopo il restauro e mamma durante una sua visita-pellegrinaggio nel 1985 in America.

stamento. Mia nonna spe rava certamente in una vita migliore, sperava anche di ritornare a respirare l’aria frizzante e salubre del suo paesello, di ripercorrere con i nipotini in braccio, Paolo e Josina, il Corso 4 che da tempo fungeva da arteria principale del paese, per portarli alla Matrice a pre gare, come avevano fatto a loro volta i suoi nonni con lei, dove era stata battezzata poi sposata e dove era stata anche battezzata la sua Tinuzza.L’America, quella terra promessa, che tra il 1880 ed il 1920, aveva visto arrivare più di tre milioni di italiani solo dalla Puglia, Calabria e Sicilia, non le diede ciò che sperava, né lo diede a mio nonno , il cui destino fu anch’esso molto triste e beffardo. Infatti, se mia madre, la più fortunata, riposa in pace a Canicattini, nella terra dei suoi antenati, mia nonna Francesca è sepolta lontana in

Originaria lapide tombale poggiata a terra

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E che dire del mio procu gino, Padre Vincenzo Sbri glio insigne missionario morto e sepolto in Giappone sul quale pietosamente non desidero soffermarmi? La vita è stata molto egoista coi suoi figli lontani e ha riservato loro una sepoltura senza affetti e senza fiori. Quella emigrazione epo cale, senza precedenti per l’Italia, vide milioni di uo mini e donne lasciare il pro prio paese e la propria famiglia alla ricerca di migliori condizioni di vita. Quanti di loro ci riuscirono? Quanti soccombettero o tornarono indietro sconfitti, frustrati e distrutti? I forti, i vittoriosi, cer tamente dopo inenarrabili sacrifici, contribuirono alla costruzione di un grande paese, che divenne anche il paese di mia madre, e per quel po’ che vi rimase, le diede tanto. Arrivata, prima di morire, alla soglia dei cento anni, Tina non avrebbe mai potuto immaginare tutti gli avvenimenti che le sareb

18 terra d’America, mentre mio nonno è solo nel cimi tero di Rotoli a Palermo dove morì5.

5. Dopo il secondo matrimonio avvenuto nel 1947 e il ritorno definitivo dagli Stati Uniti, si era trasferito a Palermo, città della sua seconda moglie.

Una mia visita alla tomba di nonna nel 1988 in occasione di un viaggio di studi

A sette mesi non aveva certezza di sopravvivere. Lo zio Nino, spiritoso e ottimista per natura, che scherzava sempre usando le bat tute tipiche del paese, disse, parlando dei momenti concitati che avevano preceduto la sua nascita, che quando venne afferrata e co perta dalla donna che fungeva da levatrice del paese, era grande quanto “una forchetta”. Eppure a via di barriere di cotone che av volgevano bottiglie di acqua calda-una sorta di incubatrice del l’epoca-che le sagge donne di Canicattini avevano posto tutt’intorno alla culla, con lei al centro, sopravvisse alla prematurità e al freddo e fu in grado di lì a poco, di affrontare non solo il lungo viaggio

Mia madre, Tina, nacque piccolissima, prematura, e nel mese più freddo dell’anno. Era il 13 febbraio 1913 e venne al mondo in via Vittorio Emanuele n.1156. Fu battezzata di lì a poco, il 26 feb braio successivo nella Chiesa Madre S.M.Ausiliatrice da padre Sal vatore Di Natale, che fungeva allora da cappellano.

Ma facciamo un passo indietro.

bero toccati di vivere e neanche poteva supporre il grande cambia mento che avrebbe dovuto affrontare tornando, dopo venti anni di America, al paese che non aveva mai visto perché partita molto pic cola.

La tennero a battesimo il nonno paterno Giuseppe Vasques e la Signora Rosa Giansiracusa una cara amica di nonna, figlia di Mi chelangelo sindaco di Canicattini nel 1898.

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6. Oggi la numerazione è cambiata, sarebbe il 251 e ciò dovuto al cambiamento urbani stico e all’ulteriore espansione del paese. Quella casa, non appartiene più agli Sbriglio, riporta una bella facciata Liberty fatta nel 1920. E prima di diventare Via Vittorio Ema nuele quella strada si chiamava via Amato.

Casa natale di mamma in via Vittorio Emanuele a Canicattini Bagni

per l’America, ma anche tutte le altre tempeste che l’attende vano durante la sua lunga vita, dimo strando al mondo una tempra forte.7 Qualche mese dopo la sua nascita, quando sembrò fuori pericolo, nonno Vincenzo, un bravo ebanista che in paese riusciva a mantenerle a malapena, dovendo provvedere anche alla vecchia madre e agli studi del fratello Paolino, decise che era meglio emi grare precedendole, per preparare al meglio dove accoglierle quando anche loro due lo avrebbero potuto raggiungere.Naturalmente una operosa colonia di canicattinesi era già a Boston e la sua scelta non fu casuale perché il porto della città era in grande espan sione e le sue navi mercantili e passeggeri avevano continuamente bisogno di manutenzione. Gli ebanisti erano pertanto molto richiesti e non solo per il porto; si stavano ingran dendo anche i quartieri residenziali

sull’oceano20

7. John P. Colletta, They came in ships. A guide to finding your immigrant ancestor’s ar rival record. Ancestry publishing 2002, p. 45. Infatti l’autorevole genealogista John P. Colletta ci dice che la maggior parte dei bambini, sotto i 3 anni, che affrontavano all’epoca, coi genitori emigranti, la traversata dell’Atlantico, non sopravvivevano.

Certificato di battesimo registri Chiesa Madre di Canicattini Bagni Zio Antonino Sbriglio

21 della città sulle esigenze di una borghesia opulenta che voleva dimostrare, con grandi scalinate in terne in legno intarsiato, tutta la suaFuricchezza.cosìche nonno Vincenzo su incoraggiamento di altri paesani, che si trovavano già in Massachu setts, fece il grande passo, per as sicurare alla sua famigliola una vita più agiata e serena. Infatti al l’inizio di maggio del 1913 parti da Palermo sulla nave Canada8 per

8. La nave Canada fu costruita nel 1911 nei cantieri navali di La Seyne, in Francia, per la società Fabre e batteva bandiera francese. Stazzava 9648 tonnellate, era lunga 145 metri e larga 17. Poteva viaggiare con una velocità di 15,5 nodi e trasportare fino aa 2.166 pas seggeri, di cui 120 in prima classe, 196 in seconda e 1850 in terza. Aveva due fumaioli e due alberi. Fu utilizzata sulla rotta Mediterraneo-New York e poi come nave ospedale du rante la II guerra mondiale. Terminò il suo servizio nel 1952.

I nostri paesani erano svegli, si aiutavano vicendevolmente e te nacemente. Chi sapeva leggere, leggeva per gli altri, e quando necessario, scriveva anche le lettere da spedire alle famiglie.

Piroscafo “Canada” sul quale, nel maggio 1913, nonno Vincenzo Vasques si imbarcò alla volta di N.Y.

New York dove approdò il 16 maggio successivo per proseguire alla volta di Boston.

Qui il nonno, dopo avere trascorso i primi mesi per acclimatarsi, ospite a casa di amici e paesani, che facevano a gara per sostenersi vicendevolmente, nella difficile fase di distacco dalla patria e dagli affetti dei parenti, si mise alla ricerca di una occupazione.

La capacità di leggere da lui acquisita al paese costituì il suo vo

Infine fu fondamentale la solidarietà etnica sviluppatissima tra i nostri emigranti meridionali, che tenacemente si erano raccolti in una enclave (territorio) a Boston Est, quella che diverrà la Little Italy (la Piccola Italia), più famosa e fiorente d’America.

La trovò subito per vari motivi: primo per la sua specifica for mazione o mestiere: era ebanista; secondo, perché sapeva leggere e scrivere nella sua lingua, non era un analfabeta, un vantaggio que sto che agevolava tutti coloro che arrivavano nel Nuovo Mondo con un minimo di alfabetizzazione.

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lano: l’aiuto dei paesani e la lettura quotidiana della “Gazzetta del Massachusetts”, diretta dall’intelligente James Donnaruma,9 scritta

9. Cfr. Stephen Puleo, The Boston Italians, A Story of Pride, Perseverance, and Paesani, from the Years of the Great Immigration to the Present Day. Boston, Beacon Press 2007, pp. 30-39.

Certificato di richiesta cittadinanza di nonno Vincenzo Vasques dove si evince la data del suo arrivo a N.Y.

Mio nonno le voleva accogliere in una casa tutta loro per assi curare alla piccola una crescita in un ambiente più sano di quello dei sovraffollati tenement (condomini), per non esporle alle vicis situdini dei nostri primi emigrati di fine Ottocento che avevano pa

24 in italiano per gli immigrati, gli furono di grande utilità nella ricerca di un lavoro. Infatti a via di leggere e selezionare gli avvisi ivi pub blicati, riuscì a trovare rapidamente un’occupazione che si confa ceva alle sue abilità. Fu infatti ingaggiato in uno dei tanti fiorenti cantieri del porto di Boston per la manutenzione e la creazione di arredi in legno delle navi passeggeri. Quando il lavoro, di lì a poco, cominciò a dargli buoni risultati economici, decise di fare viaggiare la moglie Francesca e la figlia Tina.

Prese in affitto non lontano dal porto, in un tenement (condominio), di East Boston al 168 di Havre Street, un piccolo alloggio, tre locali, che dovevano bastare.

Questo è il tenement (il condominio ) di Havre Street n. 186 ad East Boston dove il nonno al suo arrivo prese in affitto un appartamentino per la sua famigliola

Non appena infatti il peso e la voglia di vivere della piccola Tina lo permisero, a circa venti mesi, con l’aiuto dello zio paterno Paolino, fu attivato

presso25

I nonni rimasero a East Bo ston molti anni lavorando e mamma studiando, poi si sposta rono n. 66 di North Margin Street dove rimasero fino al 1934 anno del suo viaggio in Italia.

Mamma piccola nel “tenement” (condo minio) di Havre Street ad East Boston

10. I Padri Pellegrini (Pilgrim Fathers in inglese), sono considerati tra i primi coloni del Nord America. Plymouth fondata da loro nel 1620 sulla costa del Massachusetts fu la se conda colonia dopo Jamestown in Virginia fondata nel 1607. Oggi è il più vecchio inse diamento degli Stati Uniti. Alcune fonti dicono che il 6 settembre, altre parlano del 16, il Mayflower con 102 persone a bordo compresi donne e bambini, salpò verso le coste del nord America. La traversata dell’Oceano Atlantico fu durissima. Dopo un viaggio este nuante, durante il quale gran parte dei passeggeri si era ammalata di scorbuto, con la morte di un passeggero e un membro dell’equipaggio, toccarono terra il 9 novembre, all’altezza di Cape Cod. L’insediamento finale avvenne il 21 novembre in un luogo che la tradizione identifica con la Roccia di Plymouth. L’inverno era alle porte e per il suo rigore morirono di stenti più di 40 persone. Un anno dopo i coloni sopravvissuti già ben insediati ed orga nizzati avevano costruito case solide e coltivato terre rivelatesi generose Avevano inoltre instaurato rapporti d’amicizia con gli indiani e stretto trattati di pace e di mutua protezione. I nativi inoltre insegnarono ai Pellegrini come sfruttare la terra e coltivare il mais. Nel l’ottobre del 1621 i 53 Pellegrini sopravvissuti festeggiarono il raccolto, insieme a Mas sasoit capo della tribù dei Wampanoag e circa 90 dei suoi uomini. Questa festa è nota come il giorno del Ringraziamento (Thanksgiving). Le celebrazioni durarono tre giorni, durante i quali si banchettò con anatre, pesci, e tacchini procurati dai coloni e cinque cervi portati dai nativi. All’epoca tuttavia, i Pellegrini non la chiamarono con questo nome: la prima festa che i Pellegrini stessi chiamarono “del Ringraziamento” si svolse nel 1623, in seguito alla notizia dell’arrivo di ulteriori coloni e di provviste. .

gato come i Padri Pellegrini10, un prezzo altissimo.

26 il Comitato comunale per l’emigrazione del paese il disbrigo delle carte per la loro partenza11. E così furono pronte per lasciare il pae sello. Mia nonna Francesca e mia madre Tina salparono da Napoli il 10 ottobre1914 sul piroscafo Canopic che proveniente da Genova, faceva tappa nella città partenopea per far salire le centinaia di si ciliani diretti a Boston. Fu scelta questa soluzione perché la White star line lo aveva destinato assieme al Romanic e al Republic alla rotta mediterranea Napoli-Boston. Le due passeggere potevano pertanto arrivare più facilmente a destinazione, evitando così New York e l’estenuante trafila di Ellis Island molto più complicata per mia nonna, una donna che non era mai uscita dal suo paesello, e che conosceva appena l’italiano e non l’inglese.

11. Mia nonna Francesca Sbriglio era nata a Canicattini Bagni, il 6 dicembre 1889. I co mitati mandamentali o comunali per l’emigrazione, erano chiamati dalla legge ad assistere e consigliare gli emigranti in tutto quanto potesse loro occorrere. I Comitati erano com posti: del pretore o del giudice conciliatore, del sindaco o di chi ne fa le veci, del curato, di un medico e di un rappresentante di Società operaie.

Piroscafo Canopic

Dopo avere partecipato con tutta la devota comunità canicatti nese, alla festa di San Michele, amatissimo Santo Patrono del paese, e avere acceso per l’ultima volta quei lumini votivi tanto cari ai fe deli, mia nonna Francesca chiese per sé e la figlioletta una benedizione particolare, la protezione da ogni pericolo, implorandolo di darle anche coraggio e speranza in quei venti giorni di navigazione.

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Nonna Francesca invece era molto preoccupata per il latte da dare a quella creatura che ancora dipendeva dal suo seno e che in caso di mancanza non avrebbe potuto nutrire. La angosciavano tantissimo i panni per il cambio della piccola e la loro pulizia, la an gosciavano tutte quelle cose che le sarebbero potute mancare una volta in alto mare. Così in una “sacca di stoffa” con accorta dili genza vi mise alcune vettovaglie non proibite dal regolamento di bordo e comunque non soggette a guastarsi, per sopperire, durante i lunghissimi giorni di navigazione, ad eventuali carenze di cibo. Erano poca cosa, una bottiglietta di vino cotto, un sacchetto di minnicucca e di muttidda, uno di mustata fatta fresca poco prima di partire e che voleva portare con sé per il giorno dei morti; non man cavano i viscotta i casa e un pacchetto di orzo abbrustolito.

Durissimo era stato il distacco dal paese, dalla famiglia e dai conoscenti tutti. Molti le asciugavano le lacrime, incoraggiandola a pensare al futuro radioso che la aspettava “a‘merica”. Tutte le ami

Cominciò così a preparare in quelle ancor tiepide giornate otto brine, le poche cose che potevano servirle, ma riservò più spazio nello striminzito bagaglio, al necessario di Tinuzza che aveva ap pena venti mesi ma ne dimostrava meno; comunque il piglio delle sue manine nell’afferrare tutto quello che le si porgeva, faceva pre sagire che c’erano già in lei, malgrado la prematurità, una grande forza e resistenza fisiche.

Appendice . . . . . . . . . . .170

INDICE

Bibliografia . . .168

Parte seconda

L’emigrazione familiare. . . . . . . . . . . . . .11

Ringraziamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .161

171

Legenda . . . . . . . . .166

. . . . . .

Parte prima

. . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . .

Albero genealogico . . . . . . . . . . . . . . . .167

E qui comincia una nuova storia. . . . . . .83

. . . . . .

172 Studio studiobyblos@gmail.comPublishingByblosHousewww.studiobyblos.comPalermoAgosto2022

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