Con Pietro è iniziata quasi per gioco, una frase buttata li… si dai vai avanti… ed è nato il racconto, un racconto reso ancora più bello dai giovani allievi dell’Accademia Ligustica di Belle Arti, Pietro Bassi, Rodolfo Marin e Maddalena Valente che ne hanno impreziosito il contenuto con bellissime illustrazioni. Pietro, io ti sono grata per questa opera, perché il tuo scritto arriverà ai giovani in modo inconsueto ma con la ferma intenzione di ricordare, per la memoria, perché oggi più che mai deve essere impresso nella mente un fermo NO al nazifascismo e a qualsiasi forma di repressione. Ringrazio ANPI per essersi resa parte attiva di questo progetto che l’Amministrazione ha voluto sposare con grande entusiasmo. Auguro a tutti una buona lettura, auspico una proficua e duratura collaborazione con Anpi e con Pietro per altri progetti che abbiamo, quei semi che vogliamo far germogliare per lasciare il mondo un po’ meglio di come l’abbiamo trovato.
Buona vita Angela Negri Sindaco di Serra Riccò
La particolarità del libro di Guella lo rende davvero degno di attenzione. Non solo ha scelto di raccontare storie della Resistenza anche con animali, ma la cosa davvero interessante, oltre il racconto in sé, è di aver fatto illustrare il tutto da giovani artisti dell’Accademia Ligustica di Belle Arti. Un modo particolare, ma più adatto ai tempi, perché oltre a coinvolgere dei ragazzi, si utilizzano metodi nuovi nel raccontare storie ed eventi accaduti molti, ma molti anni fa. Comunicare la “memoria” e trasmetterla sono un impegno e un compito importante e non facile. La stessa nostra sezione di Serra Riccò “Santo Poggi”, è molto impegnata in questo e con questa pubblicazione avrà uno strumento in più a disposizione. L’ANPI lo ha come compito primario e prioritario, perché le varie generazioni che cresceranno in questo Paese e non solo, dovranno avere ben chiare dove affondano le radici della nostra democrazia e quanto è costato riconquistare la Libertà al nostro Paese dopo una lunga e sanguinaria dittatura che aveva trascinato l’Italia in una guerra ingiusta e tragica. Questa pubblicazione, ne siamo convinti, può essere utile a capire che nelle radici della nostra Libertà si racchiude il futuro della nostra Democrazia.
Massimo Bisca Presidente Provinciale ANPI Genova
Pietro Guella
Nell’era del cinghiale La Resistenza raccontata ai ragazzi illustrazioni di
Pietro Bassi, Rodolfo Marin, Maddalena Valente
Nella foresta era calato il silenzio. Uno strano silenzio. Sentire rumori di rami spezzati, frutti maturi cadere al suolo, animali che raspavano tra le foglie cadute alla ricerca di cibo, era la normalità. Erano questi i rumori del bosco di giorno, mentre gli echi erano più cupi e ampliati durante le notti in ogni stagione. Quei suoni appartenevano alla vita di sempre, ma non quella volta, in cui anche il silenzio era immobile, come un canneto nei giorni d’agosto in cui anche le cicale si erano zittite. Quel fatidico giorno in cui tutto cambiò, il silenzio era assoluto, totale, come se l’aria e tutti i venti si fossero fermati all’improvviso in attesa che qualcosa accadesse. Il bosco era immobile, muto come un pesce in uno stagno, il cielo era grigio e tetro. Si erano fermati i cigni e i germani: galleggiavano sull’acqua come tronchi di legno, ma non seguivano la corrente, bensì si erano arrestati come i picchi che avevano sospeso il duro lavoro di forare i tronchi di alberi secchi, e tutti erano in attesa di una grande sciagura. Poi, in quella mattinata, umida e fredda, la notizia arrivò e non lasciava dubbi: i cinghiali avevano deciso di abbandonare la riserva posta sulla montagna invadendo la foresta, spazio vitale per numerose piante e animali dove si potevano osservare la grandezza possente delle alci e dei cervi, l’eleganza dei piccoli roditori del sottosuolo e l’affollamento variopinto del cielo che mutava in ogni stagione. La tragica notizia si diffuse come se da lontano arrivasse un eco di un tam tam continuo, passando da muso ad orecchio e sconvolgendo ogni creatura dei prati, delle macchie e della selva. Erano anni che quelle malvagie creature erano state allontanate dalla foresta e relegate ai margini, lontano, in luoghi ripidi e scoscesi. Da generazioni quella scelta antica, aveva portato anni di pace e di ricchezza all’interno delle distese di alberi che si adagiavano ai piedi delle montagne. Nei boschi senza fine, fitti, selvaggi. Rigogliosi e lussureggianti, con abbondanza di anfratti, cespugli e di radure. I più piccoli non sapevano nulla di quella scelta lontana che aveva costretto i suini con le zanne ad allontanarsi dagli altri animali. C’era stato all’inizio qualche racconto, lontani ricordi dei più vecchi, ma •9•
il tempo è inesorabile e a volte ci si dimentica della vita passata e la memoria del bosco si diradava come nebbia. Le nuove generazioni, di quel lontano episodio, non ricordavano un bel niente. Fu così che il ritorno dei vecchi esiliati, che non prometteva nulla di buono, colse tutti di sorpresa e si diffuse la paura. Furono in molti a scappare e in quei giorni, al posto dei canti si udivano versi preoccupanti: “Presto, presto, andiamo, via”. “Scappiamo, prima che arrivino”. Le prime avvisaglie arrivarono da anatre, falchi, rondini e aironi. Poi furono le allodole, le lepri, i fagiani, le pernici e i pettirossi. Giungevano a piccoli gruppi volando bassi e preoccupati: “È vero, si stanno muovendo numerosi ed hanno già distrutto tante tane e ucciso piccoli animali indifesi. Vi conviene scappare finché siete in tempo. Salvatevi, i cinghiali non perdonano”. Scappare sì, ma dove? Questi erano i pensieri che serpeggiavano tra i numerosi abitanti delle antiche foreste. Quei posti erano le loro case, i luoghi dove erano nati e cresciuti. Fuggire da quei luoghi così cari risultava una scelta difficile e per i più anziani era come dover affrontare lentamente la morte. Altri gruppi di uccelli portavano notizie ancora più tragiche. Sparvieri, poiane, fenicotteri, passeri, usignoli e molti altri ancora ripetevano le stesse identiche parole: le setole nere stavano tornando. Le orde scese dalle montagne avanzavano e si estendevano, come tanti rivi e ruscelli tumultuosi dopo le piogge autunnali e dilagavano come un grande fiume in piena. “Che facciamo?” Era la domanda che serpeggiava tra gli esseri viventi del bosco e ciascuno la ripeteva a chiunque incontrasse come un suono costante, e nessuno, preso dall’angoscia, era in grado di rispondere. La paura li bloccava “Dove andiamo?” •10•
Fu uno scoiattolo che timidamente, si fece avanti: “Io..., io direi..., per me..., se volete..., anzi pronunciò con sicurezza - vi propongo di consultare il grande Vecchio Gufo della Quercia, lui ci darà il consiglio giusto.” Lo trovarono in pieno giorno in cima ad un ramo con gli occhi chiusi mentre dormiva sonoramente. Provarono ripetutamente a chiamarlo senza nessun risultato. Finché il raglio potente di un asino riuscì a fare aprire i suoi occhi che somigliavano a due grandi cerchi illuminati. “Deve essere importante per svegliarmi così all’improvviso in pieno giorno.” Furono in molti a esprimersi, a raccontare e a chiedere quasi balbettando, finché l’asino, con l’assenso dei presenti, iniziò ad esporre: “Si Grande Gufo. Ogni giorno arrivano uccelli impauriti che raccontano di orde di cinghiali scappati dalle montagne che avanzano e si impossessano di colline, boschi e foreste, delle nostre tane e dei nostri rifugi. Tra i boschi si mormora che siano violenti e cattivi e sappiamo che un tempo lontano li avevate relegati tra i sassi al di là delle montagne innevate. È vero? Sono così cattivi? Perché dovremmo avere così tanta paura di loro?” Tutti si zittirono in attesa della risposta e tutti guardavano il gufo, mentre era calato un inquietante silenzio. Il gufo li osservò attentamente, scrutandoli uno ad uno, infine tutti poterono udire il suono tuonante e cavernoso della sua risposta; “Avete fatto bene a svegliarmi. Voi non avete ricordi, ma noi brontoloni, solitari come vecchi orsi, siamo la memoria, la vostra memoria. Viviamo tanto a lungo che alcuni di noi vengono considerati anche dei saggi. Orbene, amici miei, sappiate che i cinghiali sono gli esseri viventi più laidi e cattivi che circolano nelle foreste. Acciperbacco se ne è passato di tempo da quando furono allontanati dalle foreste ed esiliati. Da allora ho visto scorrere i giorni tra le urla del vento, il silenzio della neve e i canti primaverili degli uccelli. •12•
Quella giusta decisione che il Consiglio dei Saggi prese a suo tempo fu motivata dall’impossibilità di dialogare con loro. Finché erano un numero sparuto, si adeguavano agli altri e vi era una pacifica convivenza, non appena iniziarono a crescere tutto diventò impossibile. O ti adegui e ti comporti come loro, oppure soccombi. Con loro non valgono le regole antiche che hanno sempre garantito la vita nella foresta che tutti conoscete: La libertà di un individuo finisce nel momento in cui intacca la libertà di un altro. Con loro non puoi parlare, criticare o comportarti come ti pare. Non puoi cantare, ballare, ridere o assistere ai concerti di usignoli e capinere. Odiano le femmine che debbono essere soltanto buone fattrici. Qualcuna che zoppicava, aveva un occhio storto, nasceva senza coda o malauguratamente era sterile era cacciata immediatamente dal branco condannandola a morire nella foresta. Le sterili, addirittura, erano gettate all’istante giù da un dirupo”. “Davvero?” - chiese una giovane rondine cieca di un occhio - “io allora sarei già stata eliminata. Mamma… Mammamia!” “Non solo tu - rispose il Gufo - ma anche i tuoi genitori, così avrebbero evitato che nascessero altri rondinini simili a te”. “Attenzione, amici miei, non è finita - continuò il saggio - è nella loro natura essere rancorosi e invidiosi. Odiano la bellezza di un cavallo al galoppo, la larghezza maestosa delle ali di un’aquila, il pelo folto e caldo degli orsi, le corna robuste dei bufali, l’eleganza dei salti di una gazzella e potrei continuare elencando le bellezze e le abilità di ogni singolo animale: la coda flessuosa di uno scoiattolo, l’agilità e l’intelligenza delle scimmie, l’eleganza degli aironi… Tutta la bellezza, ma anche le diversità della natura, suscitano in loro invidia e farebbero di tutto per poterle sopprimere. Questi sono i motivi per i quali il vecchio Consiglio dei Saggi decise in passato di allontanarli. Mi riferite che stanno tornando. Già qualcosa è stato trasportato dal vento e ho ascoltato suoni di paura, apprensione, sgomento. La stessa paura che oggi voi mi avete esposto. Fate attenzione! La •15•
massima attenzione perché, rispetto al passato, ho saputo che hanno stretto alleanze con altre specie altrettanto rancorose e dominate dalla paura di essere emarginati. Pare che già ratti, scorpioni, iene, alcune specie di serpenti, cornacchie e corvi, abbiano risposto alla loro chiamata e la loro alleanza non potrà che portare periodi bui e lugubri in ogni angolo della foresta.” “Mai io non sono invidioso e non odio nessuno!” esclamò impaurito un topolino di campagna. “Tu non sei un ratto e non sei portatore di malattie, in più non ti passa neanche per la testa di nasconderti, spiando tutto ciò che si mormora nella foresta per riferirlo ai cinghiali”. “Perché odiano così tanto il mio colore?” Chiese un coleottero rosso. “Perché è un colore caldo, legato alla passione. È il colore del sangue e dell’amore. Vi risulta che le setole nere possano ricordare l’amore? Preferiscono il nero, il colore del buio e delle tempeste, il colore del mistero e della morte”. “Allora cosa dobbiamo fare?” chiese una gru impaurita. “Voi che avete le ali siete avvantaggiati, i cinghiali non volano. Difendetevi e aiutate gli altri che rimangono al suolo”. “E noi che camminiamo a quattro zampe?” chiese un piccolo capriolo. “Voi fate finta di soccombere, cercate di essere meno aggraziati e saltellanti, non fatevi notare e fate finta di assecondarli, nel frattempo, preparatevi a resistere”. “In che modo?” chiese una volpe attenta. Ma gli occhi del gufo iniziarono lentamente a chiudersi. Doveva continuare a dormire in pieno giorno perché lo aspettava una notte di caccia per poter sopravvivere.
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La volpe guardò gli altri e dopo alcuni minuti di silenzio disse decisa: “Chi vuole venga con me! Non so ancora come, ma proveremo ad organizzarci. Se dobbiamo resistere - fece ancora una pausa - che resistenza sia!” Oltre a ciò che aveva riferito il Vecchio Gufo, nella realtà, le abitudini degli ungulati* erano discutibili, molto discutibili: era difficile esprimere i propri pensieri liberamente, chi si lamentava in pubblico era arrestato e espatriato nei posti più lontani. Chi osava soltanto pensare qualcosina di diverso rispetto alle disposizioni del Consiglio dei Savi Accinghialati, era punito con una dieta a base di acqua, erbe secche e cacca di struzzo. Anche le credenze religiose dovevano essere le stesse per tutti; erano guai seri per coloro che esprimevano pensieri difformi a quelli di tutti i cinghiali. Esisteva un Dio Cinghiale, possente e, naturalmente, molto arrogante, unico faro che illuminava il cammino di ogni creatura vivente. Chi non era disposto ad assumere una tale posizione, veniva cacciato come un cane che aveva preso la rogna, quella brutta malattia che li colpiva al muso. Erano trascorse decine e decine di anni prima di arrivare alla consapevolezza che la razza che abitava il bosco era una e una soltanto. Certo vi erano diverse etnie e numerosissime specie, ma la vita che era apparsa sulla terra da infiniti anni era quella, unica e preziosa, di cui tutti erano consapevoli. Con il ritorno dei cinghiali, tutto fu messo in discussione. Le razze erano diventate più numerose e tra queste solo una doveva prevalere sulle altre. Naturalmente, quale era secondo voi la razza dominante? Credo che non sia difficile rispondere a questa domanda: i Peli Neri, sola e unica razza che oltre a dominare, considerava gli altri abitanti della foresta come esseri minori, superflui e in più, avevano l’obbligo di servirli ubbidienti sempre e senza fiatare. *Ungulati: I più grandi mammiferi selvatici che vivono sulle Alpi e le Prealpi: lo stambecco, il camoscio, il cervo, il capriolo, il cinghiale e il muflone. •18•
Tutti gli altri, coloro che davano fastidio, chi era ammalato, quelli dal pelo rosso, gli strabici, i zoppi, e molti altre specie diverse dai cinghialoni, secondo il parere e la volontà del Triumvirato, vertice con poteri assoluti, del Grande Impero Nero, dovevano essere assoggettati o eliminati: i piccoli mammiferi, tante varietà di erbivori, uccelli, felini, e le numerose specie che fino ad allora avevano popolato l’aria e il sottosuolo della foresta. Insomma, non era assolutamente un bel modo di vivere! Nel corso di pochi anni, il Triumvirato era stato abolito. Ora, nella numerosa comunità dei cinghiali comandava un capo, un unico capo che aveva assunto il potere assoluto. Era un cinghiale più piccolo degli altri, con due corti baffetti che lo identificavano all’istante. Avendo il pelo liscio, una frangia ricadeva sulla fronte tappandogli spesso un occhio. E, nonostante la sua statura, era chiamato Baffetto Il Cinghialone che dal territorio del fiume Danubio, dei fiumi Ilz, Lech e Inn1 era riuscito a comandare prima le regioni attraversate dai fiumi Elba, Weser, Oder, Mosella e Reno2 e coperte dalla grande Foresta Nera. Poi toccò al territorio dei Monti Giganti e dei Carpazi attraversata dalla Vistola3 il più grande fiume della regione ed anche tutti gli stati della foresta che si espandevano lungo i fiumi Loira, Senna, Garonna e Rodano4, con le foreste delle Alpi dei Vosgi, dei Pirenei e delle Ardenne. In quel territorio esiste la foresta che ha il nome più dolce che si sia mai sentito: la Foresta di Chantilly. Infine toccò al paese a forma di stivale con le Alpi e gli Appennini, attraversate dai fiumi Adige, Po, Arno e Tevere5.
1 Fiumi dell’Austria; 2 Fiumi della Germania; 3 Fiume della Polonia; 4 Fiumi della Francia; 5 Fiumi dell’Italia. •20•
Fu un processo breve e in pochi anni la vecchia foresta fu invasa totalmente dalle orde di puzzolenti suini dalle setole scure e irsute. Il grande consiglio dei Rinoceronti, Iene e Coccodrilli - ciascuno in forma autonoma - aderì all’appello di Baffetto Cinghialone e i gruppi di animali alleati si unirono alla numerosissima comunità di cinghiali che, in poco tempo, dominarono l’intero continente fino ai lontani paesi del nord ammantati di neve e di ghiaccio, dove il vento gelido, dopo aver frugato in basso, arrivava a ondate, con raffiche violente, a ghiacciare fino all’ultima goccia d’acqua. Nel frattempo, la razza suprema dei cinghiali aumentava; grazie anche alle scrofe che sfornavano cucciolate come se una quercia producesse ghiande in tutte le stagioni. Vivere in quelle condizioni, era diventato difficile. Tutto nella foresta appariva ordinato come una collina appena brucata, i sentieri erano in ordine, almeno quelli principali dove transitavano i traffici dei rifornimenti. I gruppi addetti ai rifornimenti arrivavano puntuali, e servivano per il trasporto del fieno, della paglia, dei cereali, nonché per lo spostamento di armi e animali diretti ai pascoli nelle varie stagioni dell’anno. Addirittura tutto sembrava più ordinato di prima, ma i dissidenti venivano allontanati e le condizioni di molti animali peggioravano di giorno in giorno. Non era solo proibito protestare, ma la qualità delle erbe, dei foraggi e del nutrimento diventava sempre più scadente. Ciò accadeva in ogni angolo di ogni singola foresta, nessuna esclusa, anche perché numerosi prodotti e frutti della terra erano a disposizione soltanto di uno sparuto numero di privilegiati cinghiali e loro amici stretti. Intanto iniziava a circolare la notizia sullo strano utilizzo di numerosi convogli: erano in tanti a riferire che numerosi animali venissero scortati non per arrivare ai pascoli, ma per essere rinchiusi in campi recintati dove erano costretti a lavorare senza compenso e nutriti con quel poco per sopravvivere. •21•
Si diffuse la voce che in altri campi, invece, erano stati accesi dei forni funzionanti notte e giorno per bruciare greggi di pecore, interi gruppi di lepri e conigli, pappagalli e salamandre rosse, volpi, canarini e ibis, anch’essi rossi. Erano numerose le specie di animali che gradualmente sparivano: prima erano internati e poi sparivano senza lasciare traccia. Diventavano fumo, polvere nel vento. Nei centri più organizzati interi gruppi di rinoceronti e iene avevano rastrellato dai posti di lavoro numerosi animali operosi, per di più giovani. Erano stati catturati e spediti a lavorare, dopo lunghe e faticose marce, nella costruzione di armi utilizzate dai cinghiali e dai loro alleati. Una mattina di giugno, numerosi animali lavoratori giovani e capaci furono prelevati, inquadrati in carovane scortate da iene assetate di sangue e spediti a lavorare nelle lontane riserve*. Per loro non c’era acqua da bere e per sfregio come cibo, era usata della paglia ammuffita, sporca di sterco di maiale che come forse saprete, non puzza poco, ma tantissimo. Gli altri animali, pur assistendo ad una tale ingiustizia, non poterono ribellarsi e furono costretti impotenti ad assistere al passaggio di quelle compagnie di malcapitati, di loro amici o congiunti che lentamente si allontanavano dai loro habitat e dalle loro tane. Ma com’era questo cinghialone chiamato “Baffetto”? Un essere ridicolo e prepotente. Talmente ridicolo che negli scatti di collera, riusciva perfino a fare la pipì davanti a tutti. Ciò era diventato un bel problema, perché più si arrabbiava e più orinava senza ritegno, come se la sua fonte di rabbia fosse l’enorme vescica che con gli spasmi causati dall’ira, era inevitabilmente costretta a svuotarsi. Ciò avveniva durante le riunioni con i gerarchi del vasto impero. *Rastrellamenti di oltre 1.600 operai dalle fabbriche di Genova, il 16 giugno del 1944. •23•
Molti erano folli, trucidi, con problemi di comportamento come lui, mentre altri erano glaciali, imperturbabili e soprattutto consapevoli che avevano l’unica e indiscutibile missione da compiere: annientare i diversi, i loro oppositori e far trionfare la loro razza. In presenza di Baffetto era vietatissimo raccontare qualsiasi tipo di barzellette perché non soltanto le odiava, ma principalmente non riusciva a capirle e forse questo era il motivo per cui le detestava così tanto. Non sopportava sentire le risate e in generale ogni individuo allegro. Allora erano guai! Costoro, diventavano immediatamente suoi nemici. La risata gli provocava una strana reazione: gli gonfiava la pancia e iniziava ad emettere puzzette rumorose che aumentavano in proporzione alla rabbia. Più era arrabbiato e più emetteva aria fetida e qualche volta anche un po’ di cacca talmente puzzolente che i presenti iniziavano a vomitare. Tenete presente che anche la sua pipì puzzava di acido e ammoniaca e nell’insieme potete immaginare la puzza nauseante che regnava in quelle riunioni dei massimi vertici dell’organizzazione animalesca. Insomma, non era uno bello spettacolo! Dovete sapere che una volta, per sbaglio, un generale del suo esercito presente ad una riunione, calpestò per sbaglio proprio una cacca nerastra e appiccicaticcia. Per sue enorme sfortuna si portò addosso la puzza per mesi e veniva cacciato da ogni posto dove si presentava. Era talmente avvilito e deriso che sparì dalla circolazione e di lui nessuno seppe più nulla. “Ki fatte puzze?” Questa frase era preceduta da un sordo brontolio a cui seguiva quasi sempre un suono scorreggioso che variava in continuazione a secondo dell’umore di Baffetto. Tutti i presenti sapevano che la grande puzza asfissiante partiva da lui, dal capo puzzolente, ma ogni volta era sempre lui a chiedere: “Ki fatte puzze?” “La prima gallina che canta ha fatto l’uovo” recita un vecchio detto della foresta, ma non c’era nulla da fare. In ogni incresciosa occasione era sempre l’autore puzzoso a chiedere chi fosse stato il re•24•
sponsabile. E non era neppure sordo, bensì spregevole e arrogante come tutti i prepotenti accusando altri di emettere dei suoni vulcanici, deflagranti ed esalazioni fetide. I cinghiali presenti erano colti dal panico poiché, alla fine doveva sempre saltar fuori un colpevole, a qualsiasi costo! E quando ciò non accadeva, erano guai seri perché all’istante veniva pronunciata la minaccia di morte immediata. Conveniva auto accusarsi e passare qualche mese in prigione o in esilio piuttosto di andare incontro ad una morte certa. Soffrendo il Grande Cinghiale di aerofagia, la scena si ripeteva spesso e ogni volta arrivavano le S.S. (Subdole Scaltre)*, un corpo scelto di iene, sue guardie personali che con la testa bassa emettevano delle strane risate mentre portavano via il malcapitato. Le S.S. erano le uniche a cui era consentito ridere in presenza del capo assoluto. Non è che gli accusati fossero dei santi o passanti inconsapevoli: come minimo anche loro erano responsabili di azioni malvagie come l’uccisione di migliaia di conigli, alcuni erano i capi di molte prigioni, campi di concentramento e di sterminio e comandanti di vaste aree occupate che davano ordini di rastrellamenti, torture e ruberie. Tale situazione durò qualche anno, poi, come era avvenuto sui posti di lavoro, anche in altri luoghi la protesta iniziò ad aumentare. Oltre alla mancanza della libertà, il popolo dei boschi aveva fame e la fame unita alla mancanza di libertà mutò lo sdegno in rabbia. Le scaltre volpi, i furetti, gli scoiattoli, i più attivi nella protesta, iniziarono a istruire i più coraggiosi, quasi tutti giovani. Furono numerosi gli animali che aderirono alla Resistenza.
*Le Schutzstaffel o SS, erano un’organizzazione paramilitare del Partito Nazista Tedesco che, con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, cominciò ad operare in tutta l’Europa occupata dai tedeschi. •26•
Erano così chiamate la forze di tutti coloro che si opponevano e si ribellarono. Quelli che partecipavano ai sabotaggi, agli scioperi e alle azioni armate contro i cinghiali e i loro alleati. I consigli del Vecchio Gufo furono messi in pratica. Era indispensabile resistere. Nel frattempo, altre comunità dalle isole e da lontani continenti, decisero che l’Era del Cinghiale doveva avere fine e scatenarono la guerra contro il potente esercito di Baffetto. Mentre gli eserciti degli Alleati avanzavano contro i cinghiali, i guerriglieri organizzati iniziarono a infliggere grosse perdite al potente esercito degli occupanti. I partigiani aiutati dalle volpi, si rifugiarono nelle montagne, nelle tane e nei luoghi che in passato avevano ospitato i porci setolosi. Fu la mossa vincente. Ogni qualvolta compivano un’azione di guerriglia, lunghe marce di ritorno li portavano sempre a rifugiarsi in luoghi impervi e inaccessibili dove anche i porcelli avrebbero potuto arrivare, considerato che conoscevano benissimo quei posti così distanti dalle tane abitate dal resto degli animali. Lo sapevano, ma non potevano immaginare che i partigiani si fossero impossessati delle loro grotte e degli anfratti. Mentre gli eserciti alleati avanzavano, i partigiani riuscirono a liberare intere colonie di animali, tane di conigli, lepri, furetti, cervi e caprioli. Forse vi chiederete a questo punto del ruolo dei cani, dei lupi e dei canelupo. I lupi liberi della foresta aderirono in massa alla Resistenza. Altri che erano stati catturati dai rinoceronti e dalle iene, furono inquadrati nell’esercito dei cinghiali diventando amici delle iene. Non erano più lupi e non erano più cani, ma si erano trasformati in canelupo e spesso aiutavano le SS in tutte le loro azioni nefaste. Si erano addestrati a scoprire le tracce lasciate dai partigiani, ma non avevano fatto il conto con l’astuzia degli altri lupi resistenti, di numerosi cani che, aiutati dalle volpi, lasciavano false tracce e odori che puntualmente confondevano gli inseguitori. È difficile zittire il canto degli uccelli. •29•
Questo può accadere durante una tempesta, una forte burrasca o un temporale, ma sono fenomeni passeggeri. Dopodiché il canto tornava a farsi sentire come la musica del bosco, mentre il vento esplorava il bosco diffondendo quelle dolci melodie. Ogni ramo maestoso fino all’ultimo ed esile fuscello di giovani alberelli, era utilizzato come appoggio per comunicare con tutti gli altri animali. Ogni decantata e pomposa iniziativa dei cinghiali era demolita dal canto di numerosi volatili. “La voce della Foresta”* era il canto più diffuso e ciascun combattente era così informato su ciò che accadeva in altri luoghi, come doveva muoversi evitando così imboscate e luoghi insicuri. Ogni squadra, gruppo, banda e formazione sapeva in anticipo come reagire ed era a conoscenza delle giornate di ferma così come degli attacchi del nemico. Grazie alla “Voce della Foresta”, nelle zone liberate avveniva la distribuzione degli ammassi: foraggio fresco, legumi e cereali e altre derrate confiscate agli sconfitti. Finalmente, in molte zone si ricominciò a mangiare! Furono in molti ad aiutare i partigiani: chi dava ricovero ad un giovane fuggito dopo aver compiuto un attentato. Chi aiutava coloro che erano fuggiti dai campi di prigionia. Chi appuntava falsi lasciapassare sul petto o sul dorso di chi aveva la necessità di camuffarsi e muoversi in sicurezza. Infine molte femmine di numerose specie di combattenti, dove non c’erano gli uccelli che trasmettevano la “Voce della Foresta” fungevano da staffetta tra le varie formazioni, rischiando la deportazione, la tortura e spesso anche la vita. Gli eserciti avanzarono e i partigiani ormai avevano raggiunto la forza e l’organizzazione di un esercito. I cinghialoni, che finalmente perdevano da ogni parte, dovettero cedere e a quel punto, i pochi rimasti scapparono come iene inseguite dai leoni. Più difficile fu eliminare i topi e gli scorpioni, grandi alleati dei cinghiali, ma anche per loro, alla fine, arrivò il momento della sconfitta. *Riferimento a Radio Londra, servizio della BBC che trasmetteva in molti paesi europei •30•
Prima intervennero interi gruppi di gatti ben addestrati, i più esperti nel catturarli, ma anche molti altri felini contribuirono volentieri a combattere gli amici dei cinghiali. Infine intervennero le pulci, piccole, quasi invisibili che, in poco tempo, sterminarono intere colonie di pantegane dal colore delle pelle grigio nere come i cinghiali. Fu anche il turno degli scorpioni assaliti dalle formiche taglia foglie, che in ogni attacco riuscivano ad avere la meglio circondandoli e coprendoli in massa con i loro minuscoli corpi formando una palla che li soffocava, mentre quei pochi rimasti in vita, furono costretti alla fuga. Non fu facile resistere agli abitanti della foresta che lottavano per riconquistare la propria libertà. Il colpo finale, come un enorme tronco che si abbatte all’improvviso, arrivò dagli aironi che, con il loro becco lungo ed affilato riuscirono a cavare gli occhi ai cinghiali. In uno dei tanti scontri che ormai si verificavano ogni giorno, uno stormo numeroso di aironi cenerini oscurò il sole. L’intera armata si gettò a capofitto sull’esercito di cinghiali accecandoli e costringendoli a fuggire correndo all’impazzata. Quello giornata per i cinghiali si rivelò nefasta e furono in molti a perire miseramente girando come ciottoli impazziti, cadendo da dirupi scoscesi e rotolando giù a valle come pietre. Poi gli eventi precipitarono. Dalle lontane terre del Nord sbarcarono gli orsi corazzati intenzionati a cancellare per sempre ogni traccia del male oscuro. I loro attacchi a sostegno della Resistenza, furono numerosi e spesso vittoriosi. Dalle Isole Grandi, estese come un continente, arrivarono i canguri guerrieri abituati a combattere saltando e menando fondenti agli avversari impreparati ad affrontare avversari così snelli e scattanti. In aiuto ai cinghiali erano giunti perfidi e silenziosi serpenti velenosi dai deserti e coccodrilli famelici dalle paludi; ma non avevano fatto i conti con stormi di aquile maestose, erano talmente numerose •31•
che, quando l’intera flotta aerea si muoveva oscurava il cielo. Pareva che all’improvviso, fosse arrivata la notte e per i serpenti imprigionati tra gli artigli, non vi era scampo. I coccodrilli resistettero poco perché il loro habitat naturale era l’acqua stagnante e le paludi. Così, trovandosi al di fuori da quel prezioso elemento, erano goffi e incapaci di combattere. In breve tempo rinunciarono alla battaglia e tornarono in fretta nei luoghi d’origine. I rinoceronti, avendo capito che la partita stava evolvendo a loro sfavore, decisero di togliersi dalla mischia e tornarono nelle lontane savane. Con l’arrivo della primavera gli abitanti della foresta sferrarono il colpo finale iniziando a liberare numerosi angoli delle foreste e ricacciando i cinghiali in direzione delle loro vecchie dimore sulle montagne. Poi arrivò l’ordine dell’insurrezione generale e i resti delle armate dei cinghiali iniziarono a scappare. Baffetto Cinghialone, infine, si ritrovò solo dopo che anche le iene si erano date alla fuga tornando nei loro caldi paesi lontani. Di lui non si seppe più nulla. Qualche voce racconta che sia annegato in una montagna di escrementi e tanta pipì ancora più puzzolente, soffocato dagli odori insopportabili. Qualcuno racconta che a provocare la fuoriuscita di tanto sterco siano state alcune volpi che, a turno, iniziarono a narrare storie allegre e tante barzellette. Mentre raccontavano, non facevano altro che ridere e ridere. Altre poi si erano aggiunte al gruppo ridendo anche loro con una così grande e insopportabile risata che provocò attacchi d’ira e fuoriuscita di cacca e pipì che infine lo sommersero per sempre. La primavera è una stagione di rinascita e con i cinghiali in ritirata era giunta l’ora di pensare al più presto al domani. Gli asini, già tutti combattenti nelle file della Resistenza, iniziarono a liberarsi dei lunghi peli invernali che, con pazienza, venivano raccolti da diverse specie di uccelli, diventando soffici •33•
e piccoli materassi per le loro casette nascoste tra i rami. Le uova, adagiate dentro i nidi erano protette dal quel tepore dei peli bianchi, grigi e marroni, dalle foglie e dalle piume. La nuova stagione esplodeva carica di vita. Sui rami, in poco tempo, erano spuntate le gemme fino a diventare foglie grandi e lucenti dipingendo di verde distese sconfinate di alberi. Poi giunsero le fioriture e i profumi. I colori chiari e leggeri si mescolavano agli aromi inebrianti di petali e corolle: tavole imbandite di polline per api e altri milioni di insetti. La natura era pronta ad affrontare il cambiamento che ogni giorno avanzava come la Resistenza che ormai aveva raggiunto il fiume Reno, dopo la liberazione di tutti i territori intorno alle foreste del Tamigi e del Po, mentre i pochi cinghiali sconfitti e decimati, tornarono a rifugiarsi nelle tane sperdute, sulle lontane montagne pietrose. Era arrivato il tempo di ricostruire sulle macerie lasciate dopo anni di guerra. Ricacciati tra le grotte lontane i resti degli invasori era arrivato il tempo di spargere i semi nelle pianure devastate dal fuoco, chiedere acqua in prestito alle nuvole, necessaria per bagnarli sulle foglie decomposte, sui prati bruciati dal gelo e nelle radure. Nell’opera di rinascita furono molto impegnati e utilissimi numerosi elefanti che abbattevano i tronchi secchi, spostavano pesanti rami e costruivano barriere naturali di pietre e di tronchi per prevenire i rischi di future valanghe. A dirigere i lavori vi erano i castori che dalle rive dei laghi e dei fiumi impartivano ordini precisi per posizionare grossi frammenti di rocce e sugli intrecci dei tronchi e grossi rami. In ogni pianura, collina o montagna il lavoro avanzava a ritmo ora frenetico, ora lento, specialmente quando gli elefanti iniziavano a giocare spruzzando grossi getti d’acqua con le loro lunghe proboscidi. Come una febbre collettiva la voglia di ricostruire aveva contagiato tutti e mentre s’iniziava a intravedere il risultato del duro lavoro, il Consiglio dei Saggi dei Gufi iniziò a discutere su come stabilire le nuove regole della convivenza di tutte le specie in ogni angolo della terra. C’era un buon motivo per cui i popoli dei boschi chiamassero i gufi “Vecchi Saggi”. •35•
Da sempre riuscivano a indicare nuove strade da percorrere elargendo consigli che trovavano sempre il consenso di tutti. Fu così che venne indetta la grande assemblea di tutti, la conferenza degli animali da svolgersi nella Foresta Nera, cuore del continente. La preparazione fu una grande avventura. Da ogni angolo delle savane, dei poli e delle foreste, lunghe carovane di animali si mobilitarono per raggiungere in tempo il luogo stabilito. Naturalmente, all’inizio, i problemi furono tanti e apparivano insormontabili come la necessità di attraversare i mari e guadare i grandi fiumi. Come sempre i saggi trovarono la soluzione: furono balene, delfini, capodogli e orsi bianchi a trainare montagne di legna aggrovigliata dagli abili castori e sistemata dalla forza degli elefanti. Le piattaforme adattate al trasporto furono trasferite delle rive dei fiumi e fatte navigare fino al mare. Nella discesa in direzione della grande acqua salata, furono numerosi gli animali che approfittarono degli inusuali e bizzarri mezzi di trasporto per giungere a destinazione. La forza degli orsi bianchi per superare l’impetuosità dell’acqua agitata dalle correnti fu encomiabile. Senza la loro presenza, le isole galleggianti sarebbero state travolte e si sarebbero schiantate contro le rocce. Furono giornate eroiche e ciascuno contribuì in modo esemplare alla riuscita di un’impresa che fino ad allora, a memoria di foresta, non si era mai realizzata. Lo sbarco alle foci dei fiumi, sulle spiagge sabbiose era assicurato dagli infaticabili elefanti che spingevano a riva, come fosse un gioco, le pittoresche piattaforme. Anche numerosi cani di grossa taglia, abili nuotatori, assicurarono la riuscita degli sbarchi. Naturalmente accadde anche qualche inconveniente causato soprattutto dalla paura; “Non sappiamo nuotare” era la frase che ripetevano numerosi delegati invitati a partecipare alla conferenza. Scimmie, caprioli, giraffe, marmotte, ghiri. Anche asini, cavalli e tantissimi ruminanti esprimevano a voce alta la stessa preoccupazione. Nei mari del nord la paura era maggiore perché il mare freddo e burrascoso rischiava di inghiottire per sempre quello piccole costruzioni. •37•
Non è un caso però che i castori eran chiamati “gli architetti dell’acqua” e quel viaggio mise a dura prova la loro bravura. C’é anche da ricordare che la spinta delle balene e le loro possenti colpi di coda, diedero a tutti i presenti la garanzia che sarebbero riusciti a toccare terra. Furono in molti a vomitare e a patire la sete, ma l’abilità di quei magnifici e possenti mammiferi garantì a tutti la navigazione e l’arrivo. In quei giorni nelle foreste, ai margini dell’acqua, si udiva un concerto di latrati, barriti, bramiti e altri numerosi richiami che garantivano il collegamento prima tra i costruttori e in seguito tra coloro che dovevano garantire lo sbarco. Molte incomprensioni furono superate dalla presenza costante degli uccelli che velocemente raggiungevano ogni isola galleggiante informando costantemente ogni singolo gruppo di navigatori che marciarono spediti in direzione della Foresta Nera. Gli animali più minuti si sistemarono alla perfezione ospitati sul dorso di orsi, renne, asini, cavalli e altri animali di grossa stazza. Finalmente gli animali del pianeta avevano raggiunto il luogo della conferenza. Non era stato facile, ma ci riuscirono e, muovendosi come un lungo serpente variopinto e variegato, erano infine arrivati a destinazione. Dopo pochi giorni di riposo, in attesa degli ultimi ritardatari, La Conferenza degli Animali ebbe ufficialmente inizio. Era necessario scrivere nuove regole per evitare che in futuro altre specie cercassero di dominare sulle altre e che qualcuno trovasse appetibile invadere nuovamente le foreste del pianeta. Ne erano consapevoli i presenti e in special modo i gufi, ideatori dell’incontro. All’inizio non fu facile: ciascuno diceva la sua e quello che gli passava per la testa. Tutti pensavano di avere ragione e pretendevano di essere ascoltati in silenzio. Molte coppie, erano state costrette a portare anche i piccoli a cui la discussione degli adulti non interessava per niente! Piccoli di scimmie si arrampicavano sui rami alti, ai margini della radura, rischiando di precipitare al suolo. •38•
“Torna subito qui!” urlava mamma scimmia. “Mamma, sto solo giocando.” “Appunto, intanto scendi dai quei rami così alti.” Un giovane leone, con i suoi denti già aguzzi, cercava di azzannare un piccolo di gazzella “Non è il luogo né il momento. Fila via!” fu l’intervento di un fiero leone mentre dava una zampata sul sedere del leoncino disubbidiente. Infine, una giovane giraffa infilò la testa e parte del corpo in una grossa buca sul terreno antistante la radura della conferenza e non essendo più capace ad uscire all’indietro iniziò a piangere ed urlare interrompendo l’intervento di un gruppo di rane. Ogni momento vi era sempre qualcuno che riusciva ad interrompere gli oratori che si alternavano. Vi erano poi gli interventi inutili di coloro che parlavano non per proporre, ma soltanto per dire baggianate. D’altra parte quell’incontro era così importante che volevano approfittare dell’occasione per mettersi in mostra. Chi parlava delle nuvole lamentandosi che erano troppo basse, chi della gradazione del colore dei tramonti, chi riferiva di aver sentito di un cambiamento delle stagioni che non erano più quelle di una volta. Chi si lamentava della puzza della cacca degli elefanti e chi di quella dell’urina degli asini. I gufi ascoltavano pazienti anche quando udivano interventi che manifestavano ingordigia, rancore o perfide invidie. La conferenza era partita male, finché non iniziò qualche intervento sulla libertà, sui valori universali della vita, sul valore delle diversità. Qualcuno denunciò il comportamento dell’uomo come nemico degli animali e distruttore della natura. Vi fu chi sottolineò lo spirito della ricostruzione che aveva reso tutti migliori e infine vi fu chi propose di eliminare tutti i cinghiali rimasti, anche quelli che erano stati allontanati e confinati. Fu la goccia che fece traboccare il vaso e il capo dell’assemblea prese la parola: “Sapete che mi chiamano “Paziente”, ma anche i pazienti non riescono a sopportare tutte le corbellerie e le stupidaggini. L’ultimo intervento non verrà preso neanche in considerazione. Se eliminassimo gli •39•
ultimi cinghiali rimasti sulla terra ci comporteremmo nel loro identico modo. Siamo qui per stabilire regole e principi. Chiediamo giustizia, non vendetta. Siamo qui per stabilire regole di pace, non di guerra. E ora che parlino coloro che hanno a cuore il futuro del pianeta.” Ah! i gufi, come su sarebbe potuto vivere senza la loro saggezza, i loro consigli e la loro memoria? Così l’intervento di Paziente, i mise a tacere i parolai e gli animi più focosi. La conferenza durò un’intera settimana ed era opportuno preparare il viaggio di ritorno. Nelle serate al chiaro di luna, furono in molti a conoscere le abitudini degli altri, in tanti ballarono e ascoltarono i numerosi concerti di molte specie di uccelli. Fu una settimana indimenticabile in cui prede e predatori parteciparono e condivisero le regole universali nella speranza di dare un futuro a tutti i sopravvissuti alla guerra. Regole che avrebbero accompagnato gli anni a seguire dopo la ricostruzione.
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Manifesto dei princìpi scaturito dalla conferenza degli animali: 1. La Terra è una, rotonda e gira intorno al sole. Essa appartiene a tutti, quindi a partire da oggi non vi sarà più nessuna frontiera. 2. Ogni albero, pianta, fiume ruscello e mare con i loro rispettivi abitanti, fa parte del Pianeta, quindi ogni forma di vita va rispettata, compresa quella umana. 3. Ciascuno potrà liberamente esprimere i propri pensieri, anche i cinghiali che si atterranno a queste semplici regole potranno tornare a vivere nelle foreste che sceglieranno. 4. Ciascuno potrà scegliere la religione che più gli aggrada senza paura che le religioni maggiori prevalgano sulle minori. 5. La regola universale sarà l’amore e ciascuno sceglierà il proprio compagno o la propria compagna liberamente, indipendentemente dal sesso. Ciascuno amerà chi vuole e come vuole rispettando le regole elementari della convivenza civile. 6. A partire da oggi, l’era del cinghiale è abolita per sempre. 7. Eventuali nostalgici di Baffetto Cinghialone, ogni qualvolta esprimeranno idee di prevaricazione, di violenza e predicheranno odio, saranno puniti duramente con le nuove disposizioni che in breve saranno emanate. 8. Questo documento è stato firmato dai massimi rappresentanti di ogni specie animale e da diversi rappresentanti di etnie umane che formano la loro unica razza esistente da sempre, a prescindere dal colore della pelle. Anche gli uomini sono esseri viventi e nel mondo da costruire, dopo le macerie, ci sarà posto anche per loro. •42•
Infine, il vecchio saggio si rivolse ad una coppia di umani: “Voi che conoscete la scrittura, prendete nota del documento finale scaturito dalla conferenza, scrivetela a chiare lettere e diffondetela tra i vostri simili. Vi ringrazio di cuore, aiuterete così gli uomini che hanno poca memoria e renderete un servizio immenso alla vita sulla terra e al futuro del pianeta.”
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APPENDICE: Accenni e sintesi sulla Resistenza
Come gli avvenimenti accaduti nell’Ottocento (proclamazione del Regno d’Italia il 17 marzo del 1861) che portarono alla nascita dello Stato italiano furono chiamati Risorgimento, allo stesso modo la parola “Resistenza” ci ricorda gli anni che dal 1943 al 1945 che portarono alla Liberazione, il 25 aprile del 1945. Gli uomini e le donne che ad essa parteciparono si chiamavano, patrioti, ribelli o partigiani. Nell’ottobre del 1922 il re d’Italia aveva proclamato Presidente del Consiglio dei Ministri Benito Mussolini, capo del Partito Nazionale Fascista. In pochi anni vennero aboliti i partiti d’opposizione, chiusi i giornali indipendenti, ci fu un solo sindacato dei lavoratori e vennero abolite le elezioni. Furono imprigionati gli oppositori, censurate le lettere e messe in circolazione numerose spie: bastava anche una denuncia di un vicino per futili motivi per essere arrestato. Nel frattempo, con il consenso di una vasta parte della popolazione, Mussolini, si presentava come l’uomo capace di risolvere i problemi degli italiani. Al culmine della popolarità occupò l’Etiopia, intervenne in Spagna a sostegno dei golpisti di Francisco Franco, sviluppò una politica razzista contro la popolazione di colore nelle colonie, iniziò la persecuzione delle comunità ebraiche italiane, occupò l’Albania e mandò l’esercito a combattere in Grecia dopo aver stretto l’alleanza con la Germania governata dal partito nazista di Adolf Hitler che veniva chiamato führer (guida) come lui stesso si faceva chiamare duce, cioè guida. •45•
L’appoggio al fascismo non era però generalizzato. Vi furono molti genitori e insegnanti che trasmisero ai giovani il rispetto per la giustizia. Furono in molti che ragionavano con la propria testa scavalcando le sirene della propaganda e alcuni di loro si organizzarono contro il regime e la cultura fascista. Erano gli antifascisti che si riunivano discutevano pubblicavano nella clandestinitàvolantini e giornali spesso usando dei ciclostili. L’attività maggiore avveniva nelle fabbriche e nelle università. Nel giugno del 1940 anche l’Italia entrò in guerra nella Seconda Guerra Mondiale. Da un lato vi erano: Germania, Italia e il Giappone. Dall’altro gli Alleati: la Gran Bretagna con i paesi che componevano l’Impero britannico e gli Stati Uniti d’America con i paesi loro alleati, a cui va aggiunta la Francia e l’U.R.S.S. (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche). Regno Unito, Stati Uniti e Unione Sovietica sono noti tra gli Alleati come i “Tre Grandi”. Il 19 luglio 1943 i primi soldati Alleati entrarono in Sicilia. Il 25 luglio del ’43 il re in accordo con alcuni fascisti, depose Mussolini e il nuovo governo iniziò la trattativa con gli Alleati. L’8 settembre 1943 fu firmato l’armistizio tra il Regno d’Italia e gli Alleati. Il re abbandonò Roma per Bari dove stavano arrivando inglesi e americani, mentre i tedeschi occupavano il centro-nord, liberarono Mussolini. Venne proclamata la Repubblica Sociale Italiana (R.S.I.). L’Italia era spaccata in due: a sud c’era il Regno d’Italia con l’esercito degli Alleati, mentre al nord c’era la Repubblica fascista con le sue milizie e la Germania con il suo esercito. Nei territori del centro e del nord vi furono uccisioni, massacri, torture e rappresaglie, mentre gli ebrei venivano imprigionati e spediti nei campi di sterminio. [Quei tragici eventi vengono ogni anno ricordati con la Risoluzione 60/7 istituita dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) nel 2005 il 27 gennaio, Giorno della Memoria. Il 27 gennaio 1945 le truppe dell’Armata Rossa arrivarono per prime alla città polacca di Auschwitz scoprendo l’orrore e liberando •46•
i superstiti del campo di concentramento. Con il termine Olocausto si indica l’assassinio di oltre sei milioni di ebrei, e di milioni di altre persone, attuato dai nazisti e dai loro collaboratori durante la Seconda Guerra Mondiale. Le uccisioni in massa ebbero inizio con la fucilazione dei civili ebrei durante l’invasione tedesca dell’Unione Sovietica, nel giugno del 1941. Alla fine di quello stesso anno, i tedeschi cominciarono a deportare gli ebrei nei campi di sterminio che erano stati creati nella Polonia occupata. Nel corso della guerra, che terminò nel maggio 1945, in Europa vennero uccisi circa due ebrei su tre]. In quella situazione si sviluppò la Resistenza in cui confluirono gli antifascisti e molti giovani. Tutti avevano il loro credo politico: anarchici, comunisti, socialisti, cattolici-popolari, aderenti al Partito d’Azione e liberali. Erano contadini, impiegati, operai, studenti, molti ex ufficiali dell’esercito, parroci. Alcuni operarono nelle squadre e nei gruppi di città, in molti salirono in montagna e costituirono bande o formazioni partigiane. Nelle zone liberate i partigiani distribuivano gli ammassi: derrate alimentari (e armi) in gran parte paracadutate dai lanci degli Alleati, annunciati con messaggi in codice dall’emittente inglese in lingua italiana Radio Londra. Nell’estate del 1944 si contano 80-100 mila partigiani e a guerra finita furono rilasciati oltre 233.000 certificati di “partigiano combattente”. Più di 600 partigiani vennero decorati con la medaglia d’oro al valore militare e anche numerose città, tra cui Genova. A guidare la Resistenza c’era il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN). Figure importanti erano le staffette, ragazze in bicicletta o a piedi che portavano messaggi, comunicazioni, biancheria e a volte armi o cibo. Rischiavano l’arresto, la tortura e spesso la morte. L’opposizione era forte nelle fabbriche e nei quartieri operai. Molti persero la vita per impedire che i macchinari preziosi fossero smontati e portati in Germania. A guerra quasi terminata, furono in molti a salvare le “loro” fabbriche che i nazisti volevano fare esplodere. •47•
Nell’aprile del 1945 l’esercito alleato raggiunse il nord e il CLN Alta Italia proclamò l’insurrezione generale. I partigiani scesero dalle montagne e, assieme alle squadre operanti nelle città, liberarono da soli Genova, Torino e Milano. Il 25 aprile 1945 è la data simbolica e ufficiale della Liberazione, da cui nasce la Costituzione della Repubblica Italiana. L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI) è un’associazione fondata dai partecipanti alla resistenza italiana contro l’occupazione nazifascista nella seconda guerra mondiale. Nata a Roma nel 1944, mentre nel Nord Italia la guerra era ancora in corso, è stata eretta in ente morale il 5 aprile 1945. Ogni cittadino che si riconosce nei valori della Resistenza può esserne iscritto.
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Pietro Guella (12 gennaio 1955), autore autodidatta e appassionato d’arte (ha curato numerose mostre e pubblicazioni). Ha pubblicato diversi libri. Lettore ad alta voce per bambini e adulti, ha lavorato per 23 anni nella biblioteca Cervetto in Castello Foltzer a Genova-Rivarolo. Pietro Bassi (20 novembre1998) allievo dell’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova, iscritto al terzo anno del corso di Grafica d’Arte. Rodolfo Marin (3 gennaio del 2000), allievo dell’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova, iscritto al terzo anno del corso di Pittura. Maddalena Valente (26 novembre dei 1999), allieva dell’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova, iscritta al corso di Pittura, é in procinto di frequentarne il quarto anno.
Grazie per la preziosa collaborazione della Compagnia dei Malfatti (Paolo Ardini, Marina Baglietto e Serena Schincaglia) di cui faccio parte. Un particolare ringraziamento alla mia cara amica e maestra Serena Boccardo. Come sempre, grazie all’aiuto dell’amico e fratello Pino De Chaud. •49•
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