PAOLO PAGANELLI - L'ILLUSIONE DELLA VITA

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PAOLO PAGANELLI

L’ILLUSIONE DELLA VITA

Studio Byblos

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Un essere umano è parte di un tutto chiamato Universo. Egli sperimenta i suoi pensieri ed i suoi sentimenti come qualcosa di separato dal resto: una specie di illusione ottica della coscienza. Questa illusione è una specie di prigione. Il nostro compito deve essere quello di liberare noi stessi da questa prigione attraverso l’allargamento del nostro circolo di conoscenza e di comprensione, sino a includervi tutte le creature viventi e l’intera Natura, nella sua bellezza. A. Einstein

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Prefazione

Quanti giorni e quante notti abbiamo trascorso discorrendo di filosofia, scienza, fede ed evoluzione: discussioni spesso accese sull’origine dell’universo, sulla vita e sulla morte. Infinite serate sotto le stelle, passeggiando tra le vie della Città Vecchia, fiocamente illuminate, rincorrendo fantasmi del passato, ma anche del presente, celati dalle nebbie del mattino di inverni piovosi… Era un rapporto sincero, parlare di noi era importante quanto respirare; durante le pause di studio in Università, durante le partite di calcio con i compagni della biblioteca Caversazzi, durante le vacanze estive, tra il Sentiero delle Orobie ed il mare. Ricordo quando ci spacciavamo per esperti biologi di campagna, lungo il sentiero delle Cinque Terre, oppure attraverso i sentieri dell’Alta Via dei Monti Liguri e magari, armati di provette, prelevavamo campioni di acqua in riva al mare, tra decine di bagnanti incuriositi, solo per “agganciare” coetanee a caccia di avventure. In comune avevamo anche la totale mancanza di denaro e questo ci costringeva a lavorare quasi ogni sera, come camerieri a San Vigilio. Nonostante a notte fonda, la stanchezza avesse la meglio, trovavamo ancora la voglia di parlare di noi e del nostro futuro. Il lavoro al Baretto non terminava mai prima delle due del mattino, ma la notte era ancora lunga; così ci si fermava su una panchina delle Mura a chiacchierare, appagando ancora per qualche minuto, la nostra voglia di conoscenza e di condivisione, al fine di arricchire la nostra anima ed il nostro spirito prima di coricarci, ciascuno nei propri letti, nelle proprie case. Il giorno successivo ci aspettavano nuovi impegni di studio e di lavoro. Ricordo, con infinito piacere e con una punta di malinconia, le nostre gite con gli allievi della scuola, dove Paolo ed io prestavamo

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servizio come supplenti. Molti ragazzi si sono appassionati alle Scienze Biologiche in quel periodo, quando noi insegnavamo con il cuore le materie che tanto amavamo e poi, con entusiasmo, li portavamo a fare escursioni nei boschi e lungo i fiumi della nostra Provincia. Fu proprio durante quei mesi che accadde l’incidente alla centrale nucleare di Chernobyl, era il 26 aprile 1986 e contribuimmo non poco a creare una coscienza “ambientalista” in molti di quei giovanissimi che sino ad allora, mai si erano posti il problema dell’ambiente. Ricordo le domeniche d’estate al Museo di Scienze Naturali in Città Alta. Stavamo preparando gli ultimi esami all’Università, avevamo le chiavi per accedere al museo, perché li si trovano i laboratori. Le grandi finestre del nostro laboratorio si affacciavano sull’antica Piazza Cittadella e con le sedie in posizione strategica, seduti, studiavamo godendo del sole che entrava dalle ampie e luminose vetrate, riscaldando le stanze di quel posto magico e surreale. Magico e surreale perché li dentro eravamo gli unici esseri viventi in mezzo a decine di animali imbalsamati, che silenziosi ci scrutavano. Le nostre voci riecheggiavano ed amplificavano quel senso di esclusiva ed infinita solitudine che solo noi potevamo permetterci, “privilegiati” studenti di Biologia. Il valore in assoluto più bello, rimasto inalterato nel tempo è la nostra amicizia, che ci accompagna da quasi trent’anni. Insieme abbiamo vissuto significativi momenti della nostra vita, dapprima come studenti-lavoratori, poi come dipendenti della stessa Multinazionale ed infine, l’esperienza più bella e preziosa, quella di genitori dei nostri figli, Luca e Giorgio di Paolo e la mia Carlotta. Un’ultima riflessione che ci riconduce al libro che vi accingete a leggere: l’energia esiste fuori di noi e dentro di noi; è importante comprenderne i delicati equilibri spesso causa di patologie. Suggerisco la lettura di questo libro; sarà per molti un momento

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utile per scoprire un “mondo nuovo”, per altri rappresenterà l’occasione per trovare una correlazione tra le leggi della fisica e quelle della biologia, per altri ancora, lo strumento idoneo per avvicinarsi ad una realtà che spesso rappresenta solo delle illusioni, ma è incredibilmente ricca di emozioni. Buona lettura. Francesco Bresciani

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Introduzione

Viviamo una fase storica particolare, nei laboratori di tutto il mondo si assiste all’acquisizione di sempre nuove conoscenze e di nuovi fatti, che vengono alla luce grazie ad un’indagine scientifica accurata che segue il principio cartesiano del metodo. In natura questo non è sempre vero, essa cela ancora ai nostri occhi, segreti di enorme portata storica, che spesso vengono solo sfiorati e sui quali vale la pena riflettere, sia come ricercatori che come uomini comuni. Allo scienziato che lavora su uno dei molti fronti del sapere e dell’acquisizione, capita spesso di perdere di vista il “tutto” e l’iperspecializzazione gli impedisce di occuparsi anche solo marginalmente dell’insieme del fenomeno che sta studiando. Il biologo molecolare è così concentrato sulla struttura di un enzima che dimentica spesso gli ordini superiori all’enzima stesso, la cellula, l’organo, il sistema, l’individuo nella sua globalità e, per finire, l’ecosistema in cui l’individuo vive. L’interdisciplinarità della scienza e della ricerca dovrebbe sopperire a questo limite, ma il tempo incalza e per molti ciò che è stato scoperto ieri è già roba vecchia; al primo posto troviamo tutto ciò che si presta ad una immediata utilizzazione economica. Chi, come me, è stato per lunghi anni a contatto con il mondo dell’industria farmaceutica, capisce bene cosa intendo quando dico che la ricerca oggi, è pilotata da interessi che vanno molto al di la delle vere esigenze dell’individuo, così la ricerca non è più vera e la realtà diventa speculazione. Questo senso di oppressione me lo sono portato dentro per troppo tempo: è giunto il momento di liberare lo spirito che sta in me e di seguire il mio cuore verso zone inesplorate, per riconquistare la libertà di pensiero e la calma che è sempre stata la compagna dei grandi ricercatori del passato.

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Personalmente, credo che le frontiere della biologia debbano oggi collocarsi molto vicine a quelle della fisica fino a sfiorarle, addirittura intersecarle, così che tutta la biologia, soprattutto quella dell’evoluzione, possa essere rivista e reinterpretata alla luce delle nuove scoperte della fisica quantistica. La curiosità e la voglia di conoscere mi spinge verso campi della biologia ancora oggi inesplorati e forse volutamente trascurati.

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La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre. Albert Einstein

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Capitolo 1 Biologia e fisica: nuova interpretazione della realtà

Camminavo lungo la battigia che si affaccia su uno dei più splendidi angoli del Mediterraneo, il mare di Puglia, il Salento con i suoi colori accesi, i suoi odori antichi, le sue genti così diverse, quando mi balenò l’idea che la vita delle cellule fosse controllata dall’ambiente e non dai suoi geni e che i geni, fossero soltanto dei programmi per costruire cellule, tessuti e organi. Perso a guardare il mare blu che si confonde nel cielo blu, affascinato dalle geometrie che le onde formano infrangendosi sugli scogli, arrivai alla conclusione che l’ambiente si comporta come un “appaltatore”, che legge e decide di impiegare determinati programmi genetici per la costruzione delle forme di vita più varie. La mia formazione come biologo dell’evoluzione mi impedisce di mettere in discussione Darwin soprattutto in un mondo, dove alla biologia molecolare, sono stati assegnati milioni di dollari per la ricerca e si continua a credere che la vita possa costruirsi in provetta. Mi piace pensare che la cellula ha consapevolezza (chi può sostenere il contrario?) dell’ambiente che la circonda, ne sente i confini, ne percepisce le sfumature e reagisce di conseguenza ad ogni suo stimolo. Estendendo questo concetto ad organismi estremamente complessi come l’uomo, costituito da miliardi di cellule, ritengo ovvio, che il carattere della nostra vita, le malattie, la salute, non siano altro che risposte adeguate a stimoli che vengono dall’ambiente. L’omeopatia definisce la malattia come la risposta dell’organismo ad una condizione di disagio e dimostra che è sufficiente ritrovare l’equilibrio per ritrovare la salute. Poi, mi dico, ho sempre avuto seri dubbi sul determinismo genetico fin da quando ero studente universitario a Milano e

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studiavo le ossa di mammiferi del Quaternario presso il Museo di Scienze Naturali di Bergamo, intorno alla metà degli anni ‘80. Ero affascinato e nello stesso tempo ossessionato dalla Teoria degli Equilibri Punteggiati di Stephan Gould e dalla sua rivoluzionaria affermazione che la natura può fare salti in netta controtendenza con le affermazioni di Linneo (1707-1778) il quale sosteneva l’esatto contrario - natura non facit saltus - ma soprattutto dal fatto che quanranta milioni di anni di evoluzione nella sola classe dei mammiferi, non può giustificare, attraverso una linea evolutiva che segua il principio della selezione naturale, una così straordinaria e rapida differenziazione di individui nell’ambito della stessa classe di appartenenza - dai pipistrelli alle balene! - . Ero e sono ancora oggi propenso a pesare che il naturalista francese Jean Baptiste de Lamarck avesse ragione nel sostenere che l’uso sviluppa l’organo, mentre il non uso lo rende atrofico fino a farlo diventare un elemento inutile nella biologia dell’individuo che lo possiede. Lamarck non solo formulò la sua teoria cinquant’anni prima di Darwin, ma la sua è una teoria del meccanismo dell’evoluzione molto meno severa. Essa suggerisce l’idea che l’evoluzione si basi su una interazione istruttiva e cooperativa tra gli organismi ed il loro ambiente: interazione che consentirebbe loro di sopravvivere e di evolversi in un modo dinamico, attraverso la trasmissione delle informazioni acquisite dalle generazioni successive insieme, con gli adattamenti necessari, alla sopravvivenza in un ambiente che muta. Una conferma a questa teoria, che vede l’ambiente centrale nei processi evolutivi, ci è offerta dalla moderna biologia cellulare e dall’adattamento del sistema immunitario all’ambiente stesso. Uno dei motivi principali di questa revisione delle teorie lamarckiane è rappresentato dal fatto che i biologi dell’evoluzione, sottolineano sempre di più il ruolo centrale dell’ambiente e della cooperazione tra le varie specie animali e vegetali, nel sostenere la

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vita nella biosfera. In natura abbiamo, per esempio, infiniti riscontri di mutua cooperazione, dal gamberetto giallo che va in cerca di cibo con il suo partner, un pesce del genere Gobius che lo protegge dai predatori, ai pesci pilota abituali compagni di vita degli squali. Ma la conoscenza della mutua cooperazione va molto al di là degli esempi; la biologia moderna ha sempre più consapevolezza che gli animali e le piante potrebbero essersi coevoluti e continuerebbero ad esistere grazie alla presenza di microrganismi che funzionerebbero da elementi di interposizione fondamentali per il loro sviluppo. Lo studio di questi rapporti va sotto il nome di System Biology o Biologia dei Sistemi. Ecco perché non possiamo considerare il vivente come elemento isolato e fine a se stesso: in questo modo la Selezione Naturale può essere vista come un meccanismo cumulativo di informazioni nel tempo che obbediscono alle leggi della termodinamica. È evidente che qualsiasi cosa abbia una struttura ordinata e complessa tende inesorabilmente al disordine, involvendo ed assumendo strutture sempre meno ordinate e complesse. Il fenomeno che clamorosamente contraddice questa legge è quello della vita. Questo è un argomento che mi affascina e nel contempo mi turba: il Dogma Centrale della biologia moderna, asserisce che il DNA, è il depositario assoluto dell’informazione e con ciò ne definisce anche la sua totale indifferenza nei confronti dell’ambiente. Obbiettivamente, è molto difficile crederlo; probabilmente neppure Darwin ci credeva, se non altro, perché non era a conoscenza dell’esistenza del DNA! Mi affascinava, durante i miei anni di studi, il dibattito sulle Unità fondamentali che governavano la Natura . Tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, il mondo dei biologi

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dell’evoluzione era diviso da quello degli ecologi; in quegli anni, a cavallo tra i due secoli, interessante era la contrapposizione tra i sostenitori della teoria organicistica, rappresentata da Fredric Edward Clements (1874-1945) e la teoria atomistica di Allan Gleason (1882- 1975). Proprio in quegli anni, così turbolenti sul piano politico e culturale, non mancava neppure una visione olistica introdotta nel 1926 dal naturalista ed esploratore sudafricano Jan Christian Smut (1870-1950). Egli sosteneva: “…Semplicemente la natura esprime il tutto ed il tutto è molto maggiore della somma delle sue singole parti”, ad indicare come la Natura tendesse a raggruppare ordinatamente, in ogni settore e fase della realtà, unità strutturali in sistemi complessi dotati di proprietà qualitativamente nuove rispetto alle componenti. Questa concezione è stata applicata con successo sia nel mondo della biologia che in quello delle scienze sociali ed economiche e, per certi aspetti credo, possa essere considerata come l’estensione del concetto di ecosistema cioè la somma delle componenti biotiche ed abiotiche presenti in un determinato ambiente. Questi temi da sempre mi affascinano ponendomi grandi interrogativi: cosa è la vita, cosa vuole dire essere vivo, chi sono, da dove vengo, quale è il mio ruolo in questa vita, in questo tempo? Domande alle quali tutti noi cerchiamo delle risposte, spesso rifugiandoci nella scienza, nella fede, nella filosofia, nella speranza di trovarle per placare la nostra profonda angoscia esistenziale. Mi chiedo cosa sia il vivente e che cosa realmente caratterizza le innumerevoli specie animali e vegetali presenti sul nostro pianeta e non trovo la risposta nel solo mondo della biologia anche se è chiaro che l’essere vivente è soprattutto un sistema coerente ed organizzato, tenuto insieme da energia di legame. Esso è sede di complessi meccanismi chimico-fisici, che ne garantiscono un certo grado d’ordine e la coerenza di questi meccanismi, quindi di questi processi, si estende nello spazio e nel

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tempo, fino a limitarne la sua stessa funzione. Conosciamo tutto di un batterio, la sua biologia, la sua biochimica, i suoi meccanismi riproduttivi, il suo codice genetico; lo smontiamo pezzo per pezzo e poi lo rimontiamo ma quell’esserino così piccolo, eppure infinitamente complesso, non vive! Perché? Cosa lo fa vivere? Chi governa le leggi per la sua esistenza? Una risposta può venire dalla fisica, dalla scienza che studia i fenomeni naturali a livello più fondamentale ed utilizza lo strumento matematico per indagare la struttura della realtà. È una scienza affascinante ma estremamente complessa, che richiede una buona conoscenza della matematica per essere pienamente compresa e solo in questi ultimi decenni, facendo sempre più riferimento a modelli cibernetici complessi chiamati sistemi a feed-back di autoregolazione, la biologia si è avvicinata alla fisica arricchendo le reazioni finalistiche degli organismi nel loro insieme di dati sempre più completi giungendo alla conclusione che i fenomeni naturali, ai nostri sensi, presentano spesso una estrema variabilità ed instabilità. Già Galileo Galilei affermò che la natura “parla un linguaggio matematico” ma ragionando così, diamo per scontato che la realtà è intelligibile solo in termini logico-razionali e che un asserto possa essere solo vero o falso. Quindi, secondo Galileo, non esiste una terza possibilità ammettendo una logica a due soli valori ma, questa visione tradizionale del mondo, entra in contraddizione con la fisica quantistica la quale dimostra invece che l’intelligibilità del reale, in termini razionali, non è una proprietà del mondo, ma una proprietà del nostro modo di guardare al mondo, introducendo un concetto completamente nuovo che è quello del relativismo nella interpretazione della realtà. Nelle scienze naturali non è possibile parlare di applicazione dei principi logici perché alcuni meccanismi sfuggono ad una interpretazione meccanicistica.

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A questo punto si aprono scenari straordinariamente interessanti. Oggi molti ricercatori, tra cui James Ephraim Loveloch, biofisico inglese (noto per aver elaborato la teoria detta Gaia secondo la quale l’intero pianeta è un organismo vivente), concordano nel considerare la Terra, come un sistema vivente nella sua globalità; ne è un esempio lo sforzo che molti di loro fanno per sostenere la tesi di un’economia che sia coerente con la tutela dell’ambiente. Studiando l’infinitamente piccolo, un virus o un batterio, si comprende come a seguito di un input di informazioni di natura chimico-fisica, si arrivi all’elaborazione di informazioni complesse, che portano poi a sistemi dotati di progettualità (si pensi al DNA) e quindi ad un output di informazioni che portano il vivente a vivere coerentemente la propria esistenza in perfetta armonia con l’ambiente che lo circonda. Immerso nel silenzio dei boschi delle Prealpi Orobiche, mi chiedo spesso se espandendo all’infinito le mie sensazioni posso toccare il “tutto” che mi circonda. È un bisogno quasi fisico: espandere il più possibile la mia coscienza cercando di abbracciare gli alberi, il cielo, il fiume, le montagne stesse, chiedendo loro di farsi sentire e di rispondere alla mia chiamata. Non solo le piante di questo bosco sono unite, ma tutto il bosco possiede un potere più grande di quello che ognuna di esse potrebbe avere da sola. Ogni singolo cespuglio della valle influenza solo una piccola zona di terreno che lo circonda ma, se mettiamo insieme centinaia di piante e cespugli, le interazioni tra le specie sono così complesse da determinare delle vere e proprie modificazioni chimico-fisiche dell’ambiente circostante. Esiste secondo molti ricercatori di frontiera, ed io concordo pienamente, una realtà adimensionale priva di massa, senza spazio ne tempo che interviene ed interagisce con la nostra realtà a quattro dimensioni guidando il comportamento di strutture che hanno forme

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precise. È pura informazione ed è in relazione con l’essenza di ogni cosa sia essa presente nell’ambiente circostante che in una galassia lontana. Non dimentichiamo che secondo i fisici, nell’Universo vige il principio di non località attraverso il quale i fenomeni avvengono come se ogni cosa fosse direttamente ed istantaneamente in contatto con ogni altra, indipendentemente dallo spazio fisico che le separa. Il principio ha preso forma dal noto esperimento di EinsteinPodolsky-Rosen che consiste nel separare due particelle gemelle, cioè nate insieme dallo stesso evento, modificare il comportamento di una ed osservare il comportamento dell’altra. Avviene una cosa straordinaria ed incredibile: indipendentemente dalla distanza, se invertiamo il senso di rotazione di una particella gemella l’altra, istantaneamente, inverte a sua volta il proprio senso di rotazione e tutto ciò avviene a velocità che sono superiori a quelle della luce, trascendendo le leggi dello spazio e del tempo, come se le due particelle fossero in diretto contatto tra di loro nello stesso momento. Nel 1964 il fisico John Bell formalizzò scientificamente questo fenomeno ammettendo che ogni particella subatomica, anche quelle del nostro corpo, acquisendo informazioni su tutto ciò che le circonda, trasferiscono informazioni ad una memoria senza limiti di spazio e di tempo, alla quale, le stesse particelle possono accedere purchè esse siano simili. Che bella metafora del mondo sarebbe pensare, anche solo per un istante, che gli esseri umani siano collegati gli uni con gli altri al mondo circostante attraverso una fitta rete di informazioni e che queste informazioni, viaggiando su invisibili fibre ottiche, diano origine ad una sorta di tessuto connettivo che tutto unisce come la tela di un ragno. Così un gesto, un pensiero, un’azione, un atto d’amore, ma anche una violenza, diventa informazione che viaggia lungo i fili di questa immensa ragnatela cosmica permeando l’intera

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Matrice di memorie istantaneamente. Possiamo immaginare ogni pensiero come fosse un’informazione, con una propria capacità di condizionare gli eventi oltre lo spazio ed il tempo; ogni atomo del nostro corpo ha contribuito e può accedere a tutta la storia dell’Universo, come se questa storia venisse letta attraverso le pagine di un libro che ci permette un accesso diretto ed istantaneo con le esperienze di ognuno di noi. I nostri pensieri possono dunque produrre effetti diretti più importanti delle nostre stesse azioni. Questo concetto ha un nome e si chiama noosfera ed è stata ipotizzata dal fisico sovietico Vladimir Ivanovic Vernadskij. Per noosfera Vernadskij intendeva lo strato mentale che riveste il Pianeta cioè la somma di tutti i nostri pensieri e ricordi che durano nel tempo. Considerando l’Universo come un essere vivente con le sue leggi, possiamo ipotizzare che esso abbia una memoria che le tradizioni orientali hanno chiamato “Annali dell’Akasha”. Questo serbatoio immenso di informazioni può essere visto come una moderna banca dati che comprende tutto il passato dell’Universo fin dall’inizio dei tempi e ciò che vediamo di esso è solo l’anello più grossolano della catena che lo costituisce; l’Akasha dunque veicolerebbe, in un certo senso, la Coscienza “divina” nell’insieme della creazione essa è un agente fondamentale della vita dell’Universo e, di conseguenza, della sua memoria. “L’Akasha può essere considerato come una sorta di “piastra di registrazione”, su cui vanno a iscriversi tutti gli eventi che accadono in qualsiasi punto dell’Universo; si tratta dunque di una memoria globale che contiene in se tutte le memorie individuali. “Penetrare nella memoria del mondo, nei cosiddetti annali dell’Akasha è come consultare il libro del tempo. Nell’elaborazione di Pierre Teilhard de Chardin la noosfera è considerata il prodotto, la fonte perenne o entrambe le cose, di tutte le menti del pianeta e dell’Universo a tal punto che la

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comunicazione medianica può essere interpretata come navigazione nella noosfera e chi fosse tentato di rigettare anche solo per un istante questo concetto lo invito a riflettere su una proposta contraria al buon senso solo fino a 50 anni fa: il Word Wide Web, Internet. Personalmente ho avuto un’esperienza che potremmo definire paranormale o fuori dallo spazio-tempo ordinario. Tutto ciò accadde nel lontano 1979 sulla strada che da Andorra la Vella porta verso Perpignan. Ricordo che io ed il gruppo di amici con i quali avevo trascorso le vacanze in Spagna, avevamo deciso di accamparci in una radura nel bel mezzo della catena dei Pirenei Orientali: spinti dalla necessità di recuperare dell’acqua da bere io ed altri tre amici del gruppo decidemmo di addentrarci tra la folta vegetazione antistante alla radura. Avevamo percorso poco meno di un chilometro quando vedemmo una bella casa di montagna alle cui finestre spiccavano delle tendine bianche orlate di pizzo; subito bussammo alla porta dietro alla quale comparve una signora anziana vestita di nero con indosso un grembiule bianco. Ricordo molto bene i capelli di questa cortese signora perché erano di un bianco candido, dai riflessi color oro; erano raccolti dietro alla nuca e fissati con un fermaglio in osso molto ben lavorato. Il nostro intento era quello di chiedere dell’acqua da bere e di riempire le nostre borracce, ringraziare e andar via così come eravamo venuti, ma la signora cortesemente ci fece entrare, sedere intorno ad un tavolo di legno e ci offrì del pane con del formaggio che non rifiutammo, anzi, ne portammo una porzione anche ai nostri amici che ci aspettavano in mezzo alla radura. I dettagli della casa sono parecchio confusi, ricordo una credenza antica alle mie spalle, un fuoco acceso nel camino, il cestino che conteneva il pane e la carta oleata che avvolgeva i formaggi. I nostri amici furono ben lieti di rivederci perché così poterono mangiare e bere a volontà. Quella notte nessuno di noi dormì perché si era alzato un forte vento che sbatteva contro le nostre tende e la notte era squarciata

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da lampi e tuoni che però non portarono mai la pioggia. Il giorno seguente ci aspettavano ancora molti chilometri prima di raggiungere la frontiera con l’Italia, smontammo rapidamente le nostre tende e prima di inforcare le nostre motociclette decidemmo di passare a salutare la vecchia signora e ringraziarla per la sua disponibilità e cortesia. Lo shock fu davvero forte quando scoprimmo che la casa in mezzo al bosco era un rudere e che non c’era alcuna vecchia signora ad abitarla da almeno duecento anni! Sono passati quarantatre anni da quell’evento così inquietante ed ormai non vedo più nessuno dei miei vecchi amici di allora, ma per molti anni a venire, quando ci si incontrava, non passava un momento in cui non si parlasse di quella strana signora e di quella casa fuori dallo spazio e dal tempo. Ma cosa sia realmente accaduto quel giorno e quella notte di tanti anni fa nessuno di noi è ancora riuscito a spiegarlo; forse delle immagini impresse nella noosfera per un fortuito ed accidentale evento spazio – temporale sono arrivate al nostro subcosciente generando nelle nostre “teste dure” la sensazione di vivere una realtà mai realmente vissuta. Oppure abbiamo attraversato inconsapevolmente una “Star Gate” come nell’omonimo film. Di certo l’acqua che abbiamo bevuto, il formaggio ed il pane che noi ed i nostri compagni abbiamo mangiato erano straordinariamente reali. Purtroppo il nostro quotidiano affannarci alla rincorsa di obiettivi spesso impossibili ci induce a credere di essere separati dagli altri e da tutto ciò che accade intorno a noi, sia sul piano sociale che biologico, ma questa, è una pura illusione e ciò che è successo all’Economia Globale nel settembre del 2008 ne è un esempio lampante. Per fare questo è necessario riconsiderare il campo di applicabilità della Fisica Quantistica cioè, che esiste un continumm spazio temporale suddivisibile all’infinito e che l’intero universo sia governato da interazioni elettromagnetiche.

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Nulla di più di quanto lo stesso Max Planck aveva affermato nei primi anni del XX secolo cioè che: “le particelle si comportano come onde elettromagnetiche e le onde elettromagnetiche si comportano come particelle”, così da formulare il concetto di Quanto elementare d’azione. Con la sua teoria, Planck, dimostrò così che l’emissione o l’assornimento di una radiazione elettromagnetica, da parte di un corpo, avviene solo per quantità discrete di energia cioè per quanti. Questa teoria infastidì il geniale fisico Albert Einstein a tal punto che, il grande scienziato, mantenne per un po’ di anni la convinzione che l’Universo esistesse indipendentemente dalla presenza dell’uomo tanto che, rispondendo ad alcune analogie riguardanti l’effetto umano sulla realtà e come questa cambia quando la osserviamo, disse: “mi piace pensare che la luna esiste, anche se io non la sto guardando…” Nel 1905 Einstein dovette ricredersi e formulò una teoria che metteva d’accordo una visione della materia sia in chiave corpuscolare che energetica. Chiamò i quanti di energia fotoni, attribuendo in questo modo anche alla luce una natura corpuscolare che coesiste con la natura elettromagnetica. Questo semplicemente per ricordare al lettore, che la materia e l’energia sono espressioni diverse della stessa realtà e sono governate dalle stesse leggi. In un interessante studio di quarant’anni fa il biofisico C. W. F. Mc. Clare calcolò e mise a raffronto l’efficienza del trasferimento delle informazioni tra segnali energetici e segnali chimici nei sistemi biologici. Questo studio pubblicato su Annals of the New York Accademy of Science (1974), voleva dimostrare quanto importanti fossero le frequenze elettromagnetiche nel trasporto delle informazioni, a livello delle strutture biologiche, rispetto ai segnali biochimici di qualunque natura essi fossero, ormoni, neurotrasmettitori, fattori di crescita ecc. Ormai sappiamo perfettamente che gli organismi viventi devono ricevere e decodificare i segnali ambientali per

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sopravvivere e la sopravvivenza stessa dell’individuo è collegata alla velocità e all’efficienza nel trasferimento del segnale stesso. Concordo con il biologo Bruce H Lipton quando dice che “il principale motivo del completo silenzio sulla ricerca energetica in campo biologico sia solo una questione di soldi”. L’industria farmaceutica non ha alcun interesse ad intervenire sulle cause che hanno generato la malattia; è più facile intervenire sui sintomi mettendoli a tacere e consentendoci così di ignorare il nostro possibile coinvolgimento personale all’origine dei sintomi stessi.

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Non accontentarti dell’orizzonte, cerca l’infinito. Jim Morrison

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Bibliografia

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Iantorno – Lozio – Paganelli: “Disbiosi ed Immunità”, 2005 – Tecniche Nuove G.Reale – D.Antiseri : Storia della filosofia Vol.7, 2008 – Bompiani editore M.Maeterlinck – La vita delle api, la vita delle formiche, la vita delle termiti – Grandi tascabili economici, 1991 – Newton L.O. Howard – Perché l’agricoltura inquina – Franco Muzio Editore, 1989 G.Barbieri : La Scienza, Vol.13, 2005 UTET – La Biblioteca di Repubblica Roberto Giacobbo – 2012 la fine del mondo? – 2009 Mondadori Editore Maria Cornelia Giordani – Il canto degli Alberi – EIFIS Editore 2004 – Manuale di fitoterapia energetica - Giuseppe di Fede – Giorgio Terzani, Nutraceutica e nutrigenomica – Natura e salute, Tecniche Nuove 2009 Copyright® Paolo Paganelli realizzato da Studio Byblos ISBN 9791280343185

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