PROGETTO CONCRETO DI RISANAMENTO DEL DEL DEBITO PUBBLICO ITALIANO

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ALESSANDRO PILATO

Progetto concreto di risanamento del debito pubblico italiano

Studio Byblos - editore



A Rita, mia moglie.



Progetto concreto di risanamento del debito pubblico italiano

PREMESSA

L’

Italia, al 31 dicembre 2018 ha avuto 1753 miliardi di PIL in valore asso-

luto, un rapporto DEBITO/PIL pari al 132,10% ed un debito pari a 2.317

mld. Ogni anno deve collocare circa 350 miliardi di titoli di stato sui mercati per rimborsare i titoli in scadenza e pagare oltre 80 miliardi all’anno per interessi. L’occupazione, il credito alle imprese e l’altissima pressione tributaria e contributiva, rappresentano senza dubbio le tre priorità ed emergenze che qualunque governo dovrà affrontare. Con il presente progetto cercherò di dimostrare che con alcuni provvedimenti si possono reperire risorse senza lacrime e sangue, da destinare alla riduzione del carico tributario e contributivo, creare occupazione, rilanciare gli investimenti per fare ripartire l’economia e risanare il debito pubblico. Il progetto è concreto, nel senso che i singoli provvedimenti vengono inseriti nel bilancio dello stato dei singoli anni, al fine di verificarne gli effetti, sia nel breve che nel medio e lungo termine. Sono stati presi in considerazione infatti, i bilanci di competenza dello Stato del triennio 2019-2021 che evidenziano disavanzi netti da finanziare rispettivamente di euro 59,352 miliardi per il 2019, 43,099 miliardi per il 2020 e 27,872 miliardi per il 2021. Ho ipotizzato altresì che dal 2023 il saldo netto da finanziaria debba essere pari a zero, che da 2022 fino al 2025 il PIL abbia una crescita dell’1% annuo in capitalizzazione composta. Il quadro generale riassuntivo del bilancio di competenza dello Stato per il triennio 2019-2021 presenta le seguenti risultanze: 5


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INTRODUZIONE

L’

Istat ha diffuso i dati per il 2018: risultati positivi che hanno confermato

il quinto anno consecutivo di ripresa, ma che si alternano con dati più pre-

occupanti di finanza pubblica. Il PIL è cresciuto dello 0,9% contro il +1,67 del 2017, l’avanzo primario + 1,6% contro il 1,4% del 2017. Il deficit è migliorato, essendo passato dal -2,4 del 2017 all’-2,1% per il 2018. La pressione fiscale si è fermata al 42,2%, il tasso di disoccupazione è risalito al 10,5%, mentre i redditi di lavoro dipendente e le retribuzioni lorde sono cresciuti rispettivamente del 3,3% e del 3,0%. Il dato che più ci penalizza è quello relativo all’aggregato del debito pubblico che è peggiorato, essendo passando dal 131,3% del 2017 al 132,1 del 2018, con quasi 2.317 miliardi in valore assoluto, e che è quello che espone la nostra economia alla massima vulnerabilità. Il debito pubblico era e rimarrà per l’Italia la vera palla al piede. La strada allora non può che essere quella dell’abbattimento dello stesso, e ciò, indipendentemente dai vincoli europei. Il debito va ridotto per un dovere morale che abbiamo nei confronti delle future generazioni e perchè al di là delle diatribe con gli organismi europei, ed internazionali, sono i mercati che impongono un cambio di strategie. Le riforme si fanno reperendo risorse col minore sacrificio possibile per gli italiani e non con ulteriori deficit che significano ulteriore debito che finirebbe per gravare sulle spalle dei giovani e quindi delle future generazioni. I problemi strutturali del paese richiedono provvedimenti di breve, di medio e di lungo termine. 9


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Ritengo doveroso effettuare una analisi retrospettiva necessaria a fa capire le responsabilità che i singoli governi hanno avuto nei vari anni. Ho ritenuto opportuno riferire le analisi agli anni che vanno dal 2008 al 2018. È dall’anno 2007 che si sono risentite le conseguenze della crisi importata dai paesi anglosassoni. Gli scandali sui derivati e sui sub prime infatti hanno prodotto effetti devastanti su tutte le economie mondiali e sopratutto nei confronti dei paesi più deboli e con più alto debito pubblico; tra questi ovviamente non è stata risparmiata la nostra bella Italia. Questo é il motivo per cui ho indicato qui di seguito una tabella che riepiloga il debito pubblico in valore assoluto ed in percentuale dal 2008 al 2018. RAPPORTO DEBITO PIL AL 31 DICEMBRE 2018: 132,10%. DEBITO 2.317 MLD; PIL 1.753 Mld

2008 Prodi/Berlusconi..............1.671.401 102,40 % 2009 Berlusconi .......................1.770.230 112,50 % 2010 Berlusconi .......................1.851.817 115,40 % 2011 Berlusconi/Monti ............1.907.973 116,50 % 2012 Monti ...............................1.990.108 123,40 % 2013 Monti/Letta ......................2.070.228 129.00 % 2014 Letta/Renzi.......................2.137.316 131,80 % 2015 Renzi ................................2.173.348 131,50 % 2016 Renzi/Gentiloni ................2.219.506 132.00 % 2017 Gentiloni..........................2.256.061 131.50 % 2018 Gentiloni/Conte ..............2.317.000 132,10 %

Dalla analisi della tabella sopra indicata, si può affermare che il debito pubblico italiano è sempre cresciuto, non solo in valore assoluto ma anche in rapporto al Pil.

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La crisi ha creato disoccupazione, minori investimenti, decrescita fino alla recessione. Le ripercussioni sono state particolarmente gravi per il nostro paese che risulta essere uno dei paesi più indebitati del mondo. Anche le società di revisione hanno dato i loro giudizi, che spesso hanno determinato nei mercati alta volatilità per l’aumento dello spread che ha toccato nuovamente valori superiori ai 350 punti base, con effetti negativi sulle banche, che hanno visto diminuire il valore dei portafogli dei titoli con ricadute negative sui risultati dei bilanci. Spesso criticate, con argomenti in molti casi anche convincenti, le agenzie di rating rivestono nel mondo finanziario un ruolo di assoluto rilievo. I loro giudizi condizionano i mercati, sopratutto perché influiscono sull’asset allocation, ossia sulle scelte di investimento di molti operatori importanti come i fondi pensione e gli investitori istituzionali in genere. L’output della loro attività prevede l’emissione di una valutazione relativa all’affidabilità creditizia di una azienda o di uno Stato sovrano, come l’Italia. Ma quali sono stati i rating sull’Italia espressi dalle più importanti società di revisione?

Ecco le più recenti valutazioni delle agenzie sul nostro paese: Standard & Poor’s ha ribadito il giudizio “BBB” il 26 aprile 2019 (tripla B) sul rating del debito sovrano dell’Italia. L’Agenzia ha confermato le indicazioni espresse nel mese di ottobre 2018, quando peggiorò l’outlook da “stabile” a “negativo”. Nel suo rapporto S&P ha peggiorato le previsioni sulla crescita del PIL per il 2019, prospettando un anno di stagnazione per l’economia italiana. Moody’s ha sull’Italia un giudizio “Baa3”. Il 19 ottobre 2018 gli esperti dell’Agenzia hanno tagliato il rating da “Baa2” a “Baa3”. Si tratta dell’ultimo noch (ossia livello) prima della categoria “Junk” (spazzatura). L’outlook è stato fissato a “stabile”.

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La scelta è arrivata al termine del processo di revisione iniziato il precedente 25 maggio ed è stata favorita dalle indicazioni dell’esecutivo sulle novità relative alla nota di Aggiornamento al DEF e alle linee guida della legge di bilancio 2019. L’Agenzia Fitch ha confermato il rating sul debito sovrano italiano, fissato a “BBB”. Il giudizio classifica il nostro paese tra gli emittenti non speculativi, tuttavia, le prospettive sul rating per i prossimi trimestri restano “Negative”. Gli esperti hanno precisato che il giudizio riflette l’elevato livello di debito pubblico e l’assenza di misure fiscali. DBRS ha sull’Italia un giudizio “BBBH”. L’ultima volta che l’Agenzia ha messo le mani sul rating lo ha fatto il 13 gennaio 2017: l’Agenzia DBRS ha ridotto il livello da “A (low)” a “BBB (high)”; un giudizio che classifica l’Italia tra gli emittenti non speculativi. Le prospettive sul rating per i prossimi trimestri sono “stabili”. Quali sono allora i provvedimenti da porre in atto per risanare, ridurre ed abbattere il debito pubblico?

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CAPITOLO I

I

l primo provvedimento da adottare è quello relativo alla richiesta di un finan-

ziamento di un acconto di 5.000 € da parte dei lavoratori pubblici e privati,

con garanzia di cessione del credito del TFR accantonato di pari importo. Gettito previsto: - 13 mld per il 2019 - 11 mld per il 2020 Il TFR nasce il 21 aprile del 1927 con la pubblicazione sulla G.U. n.100 del 30 aprile 1927. La legge 297 del 29 maggio 1982 ha riformato la disciplina precedente sostituendo l’indennità di anzianità corrisposta a fine rapporto con il TFR a decorrere dal primo giugno 1982. A garanzia del TFR, prevista dal codice civile, la legge 297/1982 art.2, istituisce un Fondo di garanzia nazionale al quale possono rivolgersi i lavoratori di imprese in stato di insolvenza o dichiarate fallite e ne affida la gestione all’Inps. L’idea nasce anche per il fatto che nella determina 77/2011 sulla relazione della gestione INPS 2010 la Corte dei Conti ha spiegato che nel 2010 il TFR versato dalle imprese ammontava a 5,4 miliardi di euro, mentre le prestazioni erogate (liquidazioni e anticipazioni TFR ) hanno raggiunto i 7 miliardi, cui si aggiungono 3,7 miliardi di trasferimenti passivi allo stato. Non è la prima volta che la Corte dei Conti punta il dito contro questa misura; già in altre occasioni, ha assimilato l’operazione ad una sorta di “esproprio senza in13


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dennizzo”, un problema che non mi sembra azzardato denunciare perchè alla fine potrebbe finire sul groppone delle giovani generazioni. La Corte dei Conti ha continuato a lanciare l’allarme sulla crescita del debito pubblico che è rappresentato dallo smobilizzo del TFR da parte delle aziende con almeno 50 dipendenti. La Magistratura contabile ha scritto che al 31 dicembre 2010 il totale delle somme trasferite allo stato ascende alla notevole cifra di 15,86 miliardi di euro; ma ciò che è peggio, è che tale cifra “si traduce sostanzialmente in una crescita del debito a carico delle finanze per fronteggiare le future prestazioni, senza corrispondente copertura”. Il Fondo di Tesoreria risale al 2007, finanziaria legge 296/2006, secondo cui il TFR inoptato dei dipendenti delle imprese con almeno 50 addetti, doveva obbligatoriamente finire in un nuovo fondo statale gestito dall’INPS, finalizzato a finanziare infrastrutture pubbliche. In questo modo le imprese con almeno 50 dipendenti hanno dovuto dire definitivamente addio al TFR ed alla sua funzione di fonte interna di autofinanziamento. Il TFR quindi finisce fuori dalle casse aziendali per andare ad impinguare il neo “Fondo di Tesoreria”. La funzione del fondo sarebbe quella di garantire ai dipendenti privati l’erogazione del TFR per la quota corrispondente ai versamenti periodicamente effettuati dai datori di lavoro; in altre parole, le imprese versano periodicamente il TFR ai Fondi di Tesoreria, poi al momento della cessazione del rapporto di lavoro, il fondo stesso restituisce i soldi alle imprese per potere liquidare al lavoratore il TFR. La disciplina di riferimento in materia di cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle PP.AA. è tuttora dettata dal Decreto del Presidente della Repubblica 5 Gennaio 1950 n. 180 (T.U. delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni delle P.A.); con le modifiche ed integrazioni apportate dalla legge n. 311/2005 prima e dalla legge 80/2005 (c.d. Decreto competitività), poi, detta regolamentazione è stata estesa anche ai dipendenti delle aziende private.

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Con il suddetto DPR, il Legislatore disciplina altresì la possibilità di avvalersi delle cessioni di crediti retributivi per accedere all’erogazione di Prestiti, (artt. 1, 5, 15 e 53 T. U) ovvero, di effettuare cessioni anche non collegate all’erogazione di prestiti (art. 52 T. U.). Il meccanismo per l’accesso al credito è semplice ed è così strutturato: Il finanziamento richiesto dal dipendente viene restituito alla banca mediante “cessione” di una quota dello stipendio. Il prestito viene saldato direttamente dal datore di lavoro alla Società finanziaria, mediante rate trattenute mensilmente dalle somme dovute al lavoratore a titolo di stipendio o altra indennità di lavoro subordinato. Il valore delle rate rimane fisso e non può eccedere il quinto della retribuzione fino alla estinzione del debito e per periodi non superiori ai 10 anni. In pratica chi ha chiesto un prestito con la cessione del quinto sullo stipendio si troverà la busta paga decurtata del 20%. I prestiti possono essere contratti per periodi di cinque o dieci anni. La cessione si perfeziona solo con il consenso del lavoratore e del terzo creditore (banca), senza che sia necessario anche il consenso del datore di lavoro; tuttavia, la cessione ha effetto solo dal momento della loro notifica ai debitori ceduti. Ricevuta la comunicazione avente data certa, il datore di lavoro è obbligato a dar corso alla cessione ed operare le trattenute sulla retribuzione. Inizialmente potevano fare ricorso a questi contratti di cessione del credito solamente i dipendenti pubblici, ma, grazie alle modifiche intervenute, ora possono ricorrervi anche i dipendenti privati, i lavoratori a termine, para subordinati e pensionati. Per questi ultimi la legge dà la possibilità di contrarre prestiti personali estinguibili con una trattenuta diretta sulla rata della pensione, come regolato dall’INPS. Il legislatore ha dettato i requisiti soggettivi per l’esercizio di tale facoltà di cessione: essere lavoratore in attività con almeno 4 anni di servizio, con uno stipendio

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fisso e continuativo, abbia diritto a percepire la pensione o qualsiasi trattamento di fine rapporto; soggetti con comprovata costituzione fisica; impiegati che non abbiano compiuto 65 anni di età (art.24). Per i lavoratori a tempo determinato si richiede che la durata della cessione non ecceda il periodo di tempo che, dal momento della stipula dell’atto di cessione, deve ancora trascorrere per la scadenza del contratto. Il prestito può essere erogato soltanto dagli istituti di credito e di previdenza di cui agli articoli 15 e 53 del T. U. Per la tipologia, si applica la disciplina del credito ai consumatori che regolamenta l’attività di concessione del credito, sotto forma di dilazione di pagamento, finanziamento o di altra analoga facilitazione finanziaria. La Suprema Corte, in un recente arresto, (Cassa. Civ. sez. Lav.n. 1353 del 26/10/2016) ha stabilito che le limitazioni soggettive previste dagli articoli suddetti (articolo 15 e 53 del citato T. U.), riguardano solamente le cessioni collegate all’erogazione di prestiti, non anche tutte le cessioni del credito dei lavoratori ricomprese nell’articolo 52 T. U. Ciò a conferma, ancora una volta, del costante orientamento giurisprudenziale in materia che trova le sue origini nella pronuncia delle Sezioni Unite n. 28269/2005. Il prestito, inoltre, deve avere due caratteri essenziali: “non finalizzato” e “garantito”. Non finalizzato, giacchè può essere chiesto ed ottenuto, per qualsiasi motivo, senza vincolo di destinazione e senza che sia necessario specificarne la motivazione. “Garantito, nel senso che sono obbligatorie la polizza per il rischio di vita e quella per il rischio dell’impiego che sono a tutela del cliente in caso di morte o di perdita di lavoro”. Con la cessione del quinto dello stipendio i lavoratori subordinati (sia con contratto di lavoro a tempo determinato che a tempo indeterminato) possono disporre anche la cessione del TFR.

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Ai sensi del’articolo 52, 2 comma DPR 180/1950, è possibile cedere, in favore della finanziaria, il TFR quale garanzia sul credito erogato (senza il limite di 1/5). In questo caso, la cessione del TFR, opera solo nel momento in cui il rapporto di lavoro viene risolto ed il datore di lavoro corrisponde la somma di TFR maturata dal lavoratore alla finanziaria a saldo del debito della cessione. Prima del saldo del debito, infatti, non sarebbe disponibile, salvo che il lavoratore richieda alla Finanziaria l’autorizzazione e la liberatoria allo svincolo di un determinata percentuale del TFR. Se questo è il quadro normativo, l’applicazione porta alle seguenti considerazioni: In Italia abbiamo 15 milioni di lavoratori dipendenti pubblici e 3 milioni di lavoratori dipendenti privati. Con un decreto legge il governo potrebbe autorizzare a chi ne fa richiesta, di chiedere un finanziamento al sistema bancario di 5.000 € rimborsabile in 5 o in 10 anni, con cessione del credito del TFR di pari importo. Questo finanziamento deve essere considerato un acconto sul TFR su cui il lavoratore dovrebbe pagare a titolo definitivo di imposta soltanto il 15%, mediante ritenuta operata dalla banca al momento della erogazione del finanziamento. Gli effetti che si produrrebbero nei confronti dei vari attori sarebbero i seguenti: Il lavoratore subisce una ritenuta secca del 15% a titolo definitivo e tale importo inoltre sarà decurtato dal totale TFR quando si risolverà il contratto di lavoro. Il lavoratore avrebbe il vantaggio di subire una ritenuta di gran lunga inferiore a quella che dovrebbe pagare al momento della risoluzione del rapporto di lavoro, considerato che la prima aliquota è del 23%. Il lavoratore allora avrà senz’altro l’interesse a compiere l’operazione e quindi ad avere a disposizione 4.250 €. Il lavoratore rimborsando nei 5 anni il prestito ricevuto, si troverebbe ad avere regolarmente il totale TFR, senza pagare più le imposte sui 5.000 € con notevoli benefici complessivi.

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Il sistema bancario, considerando un tasso intorno al 3%, complessivamente avrebbe maggiori ricavi per 2 miliardi e 700 milioni di euro, fatto pari a 90 miliardi il finanziamento complessivo su 18 milioni di lavoratori dipendenti. Oltrettutto, proprio perchè si tratta di modestissimi importi per persona si attuerebbe il vero principio del frazionamento dei rischi tipico del sistema bancario, anche perchè quest’ultimo, avrebbe la garanzia costituita dalla cessione del TFR pari all’importo finanziato. Lo stato di contro otterrebbe notevoli risorse ed immediatamente, atteso che su 90 miliardi di acconto sul TFR, applicando l’aliquota secca del 15% avrebbe un incasso di 13,5 miliardi in termini di imposte dirette. Se il provvedimento fosse preso a settembre, ad ottobre la banca potrebbe effettuare la ritenuta di acconto e versarla nelle casse dello stato. Entro un anno o al massimo due anni, sulla differenza (90 miliardi meno le ritenute 13,5 miliardi pari a a 76,5 miliardi, calcolando il 15% di iva) si otterrebbe un ulteriore gettito di 11,375 miliardi e quindi complessivamente oltre 24 miliardi. I 13 miliardi verrebbero incassati già nell’anno 2019, mentre gli ulteriori 11 miliardi circa, potrebbero essere incassati tra il 2020 ed il 2021. In caso di ulteriori necessità, si potrebbe ripetere l’operazione con effetti positivi di incremento del PIL. Il lavoratore potrebbe usufruire di due opzioni: a) restituire nell’arco di 5 o 10 anni il prestito ricevuto, con una rata mensile di circa 100 euro mensili se il rimborso avviene in 5 anni, di 50 euro mensili circa se il rimborso avviene in 10 anni; in questo caso, alla scadenza avrebbe di nuovo diritto alla corresponsione dello stesso TFR intero. b) pagare ogni anno soltanto gli interessi che potrebbero essere quantificati in euro 150 annui ed alla scadenza cedere il TFR. Sarebbe una scelta che attuerebbe al massimo il principio di sussidiarietà. A coloro i quali obiettassero che così si snatura il principio su cui è stato costruito

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il TFR, si può facilmente rispondere che, fatto pari a 10.000€ il TFR effettivamente ceduto, alla scadenza il lavoratore avrebbe un montante complessivo diminuito di sole 10.000 €, e che quindi se avessse avuto diritto ad avere 60.000 o 50.000 o 40.000 €, ne percepirebbe solo 10.000 in meno che comunque ha ricevuto prima e su cui ha risparmiato sulla ritenuta che ammonterebbe a circa 1.500 €, fermo restando che avrà soddisfatto una parte dei bisogni con le risorse ricevute anticipatamente. Oltretutto, non dobbiamo dimenticare che la casa brucia e che quindi prima di fare obiezioni di qualsiasi natura, dobbiamo subito spegnere l’incendio. Qualunque ragionamento che non tiene conto di questo presupposto è fuorviante e privo di logica e raziocinio.

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CAPITOLO II

U

n altro provvedimento da prendere immediatamente sarebbe quello relativo

alla riduzione del carico contributivo alle imprese del 50% per i nuovi as-

sunti. Gettito previsto 3 miliardi il primo anno, 6 il secondo, 9 il terzo, 12 il quarto, 15 il quinto e così via in progressione aritmetica. Il lavoro è il lavoro, e il non lavoro è la disoccupazione. La disoccupazione è una tragedia, ma è difficile stabilirne i confini. E poi ci sono i disoccupati scoraggiati (quelli che hanno rinunziato a cercare un lavoro, tanto non si trova...) i disoccupati incoraggiati (quando l’economia inizia a riprendersi gli scoraggiati cominciano a cercare lavoro...). Comunque la si guardi, la disoccupazione, oltre ad essere una tragedia personale, è anche uno spreco; spreco di talenti, di capitale umano. Per uscirne contano le istituzioni del mercato del lavoro. La via maestra per combattere la disoccupazione si biforca: da un lato c’è la domanda; se in un paese come in Italia e in Europa, non c’è abbastanza domanda, a causa di politiche economiche restrittive e/o a causa di una diffusa sfiducia nel futuro, le imprese non investono e non assumono. Ecco che lo stimolo alla domanda, sia che venga da politiche economiche espansionistiche sia che venga da governanti illuminati che sappiano infondere fiducia, diventa una delle vie maestre. L’altra sta nell’istruzione e nella formazione dell’offerta di lavoro. 21


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Molta disoccupazione dipende da un disallineamento fra le abilità di coloro che cercano lavoro e le abilità offerte da un sistema educativo-formativo che ha perso contatto col mondo del lavoro. Un dato cruciale è quello della disoccupazione giovanile. Se non viene sanata questa piaga, avremo una generazione disillusa e scoraggiata, facile preda di ideologie anti-sistema, che predicano vie d’uscita radicali ed illusorie. Le stime occupazionali per i primi mesi del 2019 segnalano oltre un milione di nuovi contratti in arrivo. Entro febbraio 2019 erano previsti circa 1,1 milioni di nuovi contratti di lavoro, un trend positivo che è iniziato già nel mese di dicembre con 64 mila opportunità in più rispetto allo stesso mese dello scorso anno. Dopo i numeri positivi resi noti dall’Istat sul tasso di disoccupazione che è sceso a maggio al 9,9%, assestandosi ai minimi dal 2012, arrivano altre buone notizie sul fronte lavoro. Nel mese di luglio i contratti da attivare, nelle previsioni delle imprese, ammonteranno a 427,7 mila con una crescita rispetto allo stesso mese del 2018 di oltre 10 mila entrate. È quanto è emerso dai dati del sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal secondo cui, considerando l’intero trimestre, i contratti previsti supererebbero quota 1,13 milioni, ossia 50,5 mila in più del terzo trimestre del 2018 (4,8% in più). Nei prossimi 5 anni le imprese italiane sono pronte ad offrire un posto di lavoro a 469 mila tecnici, super periti Its, laureati nelle materie “Sten”. L’attuale offerta formativa, tuttavia, non sarà in grado di soddisfare la richiesta del mondo del lavoro (già oggi, del resto, il 33% delle professionalità tecniche richieste dalle aziende è risultato introvabile). Ciò penalizza, e lo farà sempre di più in futuro, tessuto produttivo e territori, ma anche famiglie e studenti. Da qui al 2022, quasi la metà dei periti under 29 sarà di difficile reperimento. A mancare saranno meccanici, montatori, riparatori, costruttori di utensili, elettronici, elettrotecnici, specialisti di cuoio, calzature, costruzioni.

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Alla base di questo grande mismatch c’è un sistema formativo che fa fatica a dialogare con il mondo del lavoro; sette studenti su 10 non sanno che l’Italia è il secondo Paese manifatturiero d’Europa, ed ancor peggio il 24% si iscrive, dopo la maturità, a facoltà scientifiche nonostante nei prossimi 10 anni questi settori rappresenteranno l’85% della occupazione. Il tema sta diventando giorno dopo giorno, drammaticamente serio per il capitale umano. La parola Istruzione con la I maiuscola è uscita dai radar, mentre deve tornare ad essere centrale per governo e opinione pubblica. Bisogna partire dall’orientamento, e serve ripristinare il dialogo tra insegnanti, imprese e territori. La sfida è rilanciare il link scuola-lavoro. In quest’ottica ritengo un grave errore il depotenziamento dell’alternanza, che, almeno nelle scuole tecniche, non deve subire tagli. L’obiettivo deve essere: passare rapidamente dal “Masterchef” ai “master Tech”. Se non si vuole incorrere in un altro parossismo tutto italiano. “Avere, grazie a Industria 4.0, nuovi macchinari, ma non trovare le persone giuste per farli funzionare”. L’altra faccia della medaglia come sostiene Claudio Tucci è il rilancio dell’istruzione terziaria professionalizzante: da noi solo l’1% dei ragazzi frequenta i percorsi Its, che funzionano molto bene, con un tasso di occupazione a 12 mesi che supera l’80% , più elevato dei laureati triennali, 73%, e in linea con quello dei laureati magistrali, 83%. La media OCSE è del 14%. Peraltro, l’Italia è il paese OCSE che ha nettamente il numero più elevato di laureati in arti e scienze umane-sociali: i laureati triennali in lettere sono il 39% dei laureati totali contro una media OCSE del 23%. Va detto ancora che tra il 2018 ed il 2020 faranno il loro ingresso nel mercato del lavoro 135 mila laureati l’anno.

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Nello stesso periodo serviranno all’industria 100 mila ingegneri, 65 mila laureati in discipline scientifiche, 21 mila nel settore chimico farmaceutico. Anche qui, come per i periti, c’è un carenza che può essere colmata; puntando sugli Its ed anche sulle lauree brevi legate alla manifattura, due anni in Its uno all’Università. Nell’epoca della trasformazione digitale, la formazione “deve essere continua, per dare sostenibilità sul lungo periodo al capitale umano, dotandolo di un mix di competenze in evoluzione e, proprio per questo, a prova di futuro”. In questo caso le statistiche possono orientare le decisioni. Secondo una ricerca condotta da Bynata per Service Now su 1820 professionisti europei assunti a tempo indeterminato in aziende con più di 500 dipendenti, dopo che queste hanno adottato alti livelli di automazione, il 62% dei lavoratori si dichiara più soddisfatto, il 71% riporta maggiore soddisfazione dei clienti, il 72% ammette un miglioramento della produttività ed il 62% dichiara di avere più tempo per le attività creative. Ogni rivoluzione industriale ha richiesto, per dare frutti, anche una mutazione della forza lavoro e del suo modo di pensare l’azienda, di partecipare alla produzione, di immaginare beni e servizi. Come quando circa 120 anni fa, le fabbriche americane iniziarono a elettrificare le proprie linee di produzione, contribuendo al compimento della seconda rivoluzione industriale. In quelle fabbriche, però, la produzione non crebbe per i successivi 30 anni. Un tempo sufficiente affinchè i dirigenti che avevano introdotto quella innovazione, andassero in pensione. Quelle persone avevano sostituito le macchine a vapore con motori elettrici, ma non avevano riorganizzato le fabbriche per sfruttare i vantaggi dell’elettricità. Lo fece la generazione successiva, che oggi chiameremmo la generazione dei “Digital maker”.

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Se la scuola deve essere capace di formarli, le imprese devono essere in grado di attrarli e non farli scappare. Oggi il tasso di disoccupazione in Italia è più alto rispetto alla media europea e quasi il doppio di quello tedesco. Uno stipendio medio di un Under 30 al primo impiego è di 830 euro netti al mese (910 euro al Nord, 740 euro al Sud). Ma per un’impresa qual’è il corrispettivo, complessivo, effettivamente dovuto per pagare uno stipendio mensile al proprio dipendente? Su una retribuzione netta di mille euro, per esempio, il costo reale per l’imprenditore è di 1828 euro. Su un salario, ancora più elevato, prendiamo il caso di 3 mila euro netti mensili, l’esborso per il datore di lavoro arriva al top: 7311 euro. Insomma, il lavoro subordinato costa (e non poco); nonostante annunci (tanti) e interventi concreti (pochi) il cuneo fiscale e contributivo-vale a dire la differenza tra quanto viene accreditato in stipendio ed il costo del lavoro-continua a rappresentare per aziende e lavoratori un macigno che frena crescita, competitività, aumento della produttività e, sopratutto, delle buste paga. Non è un mistero, del resto, che da noi il costo del lavoro è arrivato ormai a livelli monstre. Peggio dell’Italia c’è solo il Belgio. Meglio di noi tutti i paesi nostri competitors non solo Germania, Francia; ma anche più distanti, Spagna e Regno Unito. Con un tasso di disoccupazione al 9,50 al 31 maggio 2019, non vi è dubbio che bisogna porre in atto tuti i provvedimenti necessari affinché la piaga della disoccupazione, sopratutto quella giovanile e femminile venga risolta. Per farlo bisogna ideare progetti che possano ridurre il carico contributivo senza provocare danni all’Erario. Una ricetta cioè, che non crei squilibri nei bilanci dell’Inps. Se per esempio, si decidesse di ridurre il carico contributivo delle imprese al 50% per i nuovi assunti, quali effetti si produrrebbero nei confronti dei datori di lavoro, dei lavoratori, dell’Inps e dello Stato?

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Fatto pari per comodità di studio e di calcolo al 30% l’attuale contributo INPS e a 30000 € lordi annuo lo stipendio medio di un italiano, gli effetti che si produrrebbero sarebbero i seguenti: l’Inps avrebbe un minore gettito contributivo di 4.500 €.

Il lavoratore su una retribuzione media di 30.000 € subirebbe una ritenuta media contributiva di 1.200 € fatto pari all’4% la ritenuta previdenziale ridotta ) e sulla differenza (30.000-1.200=28.800), una ritenuta irpef pari ad € 7.176; La sua retribuzione netta sarebbe pari quindi ad € 22.800. La retribuzione netta a sua volta, poi, subirebbe una tassazione sui consumi che per comodità di calcolo quantifico nel 15% e sarebbe pari ad € 3.420. Lo stato quindi avrebbe un gettito tra imposte dirette ed indirette par ad € 9.420 al netto di detrazioni fiscali che mediamente quantifico in € 1.176. Il datore di lavoro che assume una nuova unità, dovrà reintegrare quanto meno il costo sostenuto pari alla retribuzione lorda annua per € 30.000 più i contributi ridotti pari ad € 4.500 e quindi in totale € 34.500. Su un valore della maggiore produzione di € 34.500, anche a considerare un prezzo di vendita pari al costo e quindi senza alcuna percentuale di utile lordo, applicando l’iva al 15%, otterremmo un gettito di 5.175 €. L’eventuale maggiore reddito conseguito rispetto a quello dichiarato l’anno precedente a seguito delle nuove assunzioni, potrebbe essere considerato esente ai fini ires e irap; questo provvedimento potrebbe veramente far emergere il sommerso con ulteriori effetti positivi per l’economia. Il maggiore eventuale gettito per le casse delle Stato, lo lascio alla libera interpretazione di ciascuno e non lo prendo in considerazione ai fini delle maggiori entrate. In conclusione, per ogni lavoratore nuovo assunto indipendentemente dalla età, si avrebbe la seguente situazione: 1) ogni lavoratore nuovo assunto produrrebbe un nuovo reddito di 22.800 € circa; 2) il datore di lavoro avrebbe un minore costo di 4.500 € per un nuovo assunto;

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3) l’Inps avrebbe un minore contributo per 4.500 €; 4) lo stato di contro avrebbe un maggiore gettito tributario di € 9.420 per ogni nuovo assunto, aumentato di 5.175 € per IVA sulle vendite ottenuta dal datore di lavoro, e complessivamente un gettito di 14.595 €. Lo stato, trasferendo all’Inps 4.500 € di minori entrate dovute alla riduzione dei contributi, per garantire altresì al lavoratore tutto il welfare, ottiene un maggiore gettito netto di 10.095 €. Ipotizzando che con questo provvedimento si possono ottenere 300 mila nuovi assunti ogni anno, il maggiore gettito tributario per lo stato sarebbe pari ad € 3 mld per il primo anno. Il secondo anno ovviamente i nuovi occupati diventano 600 (mila) ed il maggior gettito conseguentemente sarà pari ad € 6 miliardi e così in progressione aritmetica. Al quinto anno si avrà un maggior gettito di 15 miliardi ed avremmo assunto 1 mln 500 nuovi lavoratori, quasi il 50% del totale dei disoccupati. Ovviamente sarà anche necessario orientare il sostegno verso la “Flexicurity”.

Una maggiore flessibilità nelle assunzioni e nei licenziamenti, dovrebbe essere associata a politiche più efficaci in materia di ricerca di posti di lavoro, di attivazione e formazione di attuazione del sistema di protezione sociale universale previsto. La trasmissione del PIL sulla riduzione dei contributi passa attraverso due meccanismi: il primo è l’aumento del domanda dei beni che si ha se la riduzione delle aliquote contributive viene trasferita per intero sulla riduzione dei prezzi al consumo. In tale caso cresce il potere di acquisto delle famiglie e la competitività internazionale dei prodotti. Il secondo meccanismo è la riduzione del costo del lavoro che dovrebbe portare ad un aumento dell’occupazione e quindi del reddito disponibile con successivi effetti sulla domanda. Qui di seguito la slide espositiva:

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CAPITOLO III

U

n altro provvedimento sarebbe quello relativo ad un taglio sulle spese fi-

scali. Gettito ipotizzato 8 miliardi.

La discussione sulla Flat tax, oggi, impone di ripensare per intero il sistema tributario, riorganizzandolo e puntando sulla sua semplificazione. Il rapporto annuale sulle spese fiscali 2017 ha censito 636 misure diverse, di cui 466 erariali e 170 relative ai tributi locali e, per una buona parte di queste, è persino impossibile quantificare la platea dei beneficiari. L’ultimo studio dell’Ufficio valutazione Impatto del Senato si limita a fotografare la confusione legislativa che arriva da lontano ed è in gran parte dovuta proprio ad una stratificazione senza logica delle norme tributarie, il più delle volte emanate per compiacere l’elettorato. Il rapporto 2017, elaborato dalla Commissione Marè, ha censito 466 spese fiscali erariali e 170 spese fiscali locali. L’onere finanziario complessivo ammonta per l’esercizio 2018, a 75,2 mld di euro di mancato gettito per le casse dello Stato. Le spese fiscali con effetti pro capite di importo più elevato riguardano le attività produttive e gravano perciò sul gettito IRES/IRAP. Le spese fiscali con effetti finanziari pro capite esigue si riferiscono invece alla fiscalità delle persone fisiche e quindi incidono sul gettito IRPEF. Sussidi ambientali dannosi, a cominciare da quelli compresi nel settore trasporti sotto forma di agevolazioni Iva, da razionalizzare senza penalizzazioni per le attività produttive. 29


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Sconti fiscali sul lavoro, in forma diretta e indiretta, da ricalibrare anche facendo leva sul l’introduzione del coefficiente familiare, oltre che dei nuovi strumenti di sostegno, e calcolando gli effetti dell’eventuale adozione della flat tax per le famiglie. Deduzioni e detrazioni che hanno una ricaduta negativa sul montante ai fini pensionistici da rimodulare. Tre aree abbastanza definite, che “pesano” nel primo caso per oltre 10 miliardi, nel secondo per circa 40 e nel terzo per quasi 50 miliardi, sulle quali è stata già indirizzata la lente del Governo per realizzare la “potatura” selettiva delle tax expenditures che è stata annunciata dal Def varato nei mesi scorsi e che dovrà prendere forma con la prossima legge di bilancio. Un piano, che al netto della “ricollocazione contabile” (e non solo) del bonus IRPEF degli 80 euro da spostare dal capitolo delle maggiori spese a quello della fiscalità, dovrebbe prevedere anche lo stop alle duplicazioni di sconti fiscali e la completa abolizione delle agevolazioni considerate ormai datate ed inutili. In ogni caso, come anticipa il Programma nazionale di riforma integrato nel Def, non saranno toccate le agevolazioni dirette ai nuclei familiari, in particolare quelli a basso reddito, e quelle che hanno una funzione di aiuto sul fronte della disabilità. Già sono in corso specifiche simulazioni condotte dai tecnici del Med in collaborazione con quelli di altri ministeri. Cifre ufficiali sui possibili risparmi non se ne fanno. Ma tra le ipotesi in circolazione c’è quella di un intervento minimo per il prossimo anno da 3 a 4 miliardi per arrivare, con una potatura più invasiva, anche al doppio (6-8 miliardi), sempre al netto della partita sugli 80 euro.

Il punto di partenza resta l’ultimo rapporto sulle spese fiscali messo a punto dalla apposita commissione guidata da Mauro Marè. Da questa rilevazione è emerso che gli sconti e i bonus monitorati sono saliti nel 2018 a quota 513 (contro i 466 del 2017) per 61,1 miliardi di minori entrate nel 2019 (54,2 miliardi nel 2018).

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A incidere maggiormente, per 39,2 miliardi, sono state le agevolazioni fiscali legate all’Irpef (il 64,3%) seguite da quelle collegate alle imposte di registro, di bollo e ipocatastali (5,7 miliardi di minori entrate pari al 9,3%). La perdita di gettito è risultata più contenuta di quella registrata in precedenti rapporti (L’ allegato al bilancio dello Stato 2015, ad esempio, quantificava in circa 161 miliardi l’impatto del complesso delle misure) perchè nell’ultimo monitoraggio è stata affinata la classificazione delle agevolazioni con l’esclusione delle detrazioni per la progressività dell’imposta, di quelle per familiari a carico e delle aliquote ridotte dell’Iva. Le sole spese fiscali per IRPEF riguardano come abbiamo visto 167 spese fiscali per un ammontare per il 2018 di euro 39,891 mld. Se solo si decidesse di abbattere del 20% dette spese, si otterrebbe un risparmio di circa 8 mld annui.

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CAPITOLO IV

U

n altro provvedimento da adottare sarebbe quello relativo all’aumento del-

l’Iva limitatamente a qualche settore (alberghi, ristoranti, turismo) dal 10

al 13%. Gettito previsto 7 miliardi. La manovra (che il Def conferma) prevede che l’Iva Ordinaria salga al 25% nel 2020 e al 26,5% nel 2021 (dall’attuale 22%), mentre l’aliquota attualmente al 10% aumenterebbe di tre punti, al 13% nel 2020. Si tratta di clausole di salvaguardia, che scattano nel caso in cui non si raggiungono gli obiettivi di Bilancio previsti. La situazione è delicata, in considerazione del fatto che il Governo ha appena rivisto le stime di crescita 2019 al ribasso, il livello di deficit e debito al rialzo rispetto a quanto previsto nell’autunno scorso (numeri in base ai quali è stata messa a punto la manovra economica). Secondo le stime del Centro Studi di Confcommercio, per capirci, con un aumento dell’Iva da gennaio prossimo scatterebbero maggiori costi pari ad una media di 900 euro a famiglia e di un incremento delle tasse di quasi 400 euro a testa. La cosa peggiore sarebbe l’impatto sui consumi. Confesercenti stima un esborso di 687 euro in più sulla stessa spesa, tanto da annullare gli effetti sperati per le misure come il reddito di cittadinanza e non solo. A livello territoriale, a pagare di più in valore assoluto sarebbero le famiglie lombarde e quelle altoatesine. Il carico, in termini percentuali sarebbe identico in Emilia Romagna (628 euro, pari al 2,31% del bilancio domestico) e pressochè allineato in Veneto. 33


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L’impatto-relativo e assoluto si avrebbe in Calabria (388 euro, il 2,16%), seguita dalla Campania e dalla Basilicata. A livello di Comune, il conto sarebbe più caro nel centro delle aree metropolitane (570 euro, il 2,3%) e meno elevato nei centri fino a 50 mila abitanti (517 euro, il 2,25%). Come abbiamo visto la clausola di salvaguardia fa lievitare anche l’aliquota del 10%, applicata su un vasto range di prodotti e servizi: dagli alimentari (carne, pesce, miele e dolciumi) ai lavori in casa, dal trasporto locale al tempo libero (ristoranti, cinema, teatri). Ed è proprio il ritocco di quest’ultima aliquota che tende ad appiattire l’effetto tra le diverse tipologie di famiglie. Sulla carta, un punto percentuale di Iva ordinaria vale 4-4,5 miliardi. Ma bisogna ricordare che nel 2012, complice la recessione, l’Iva sugli scambi interni fruttò all’Erario 1,1 miliardi in meno; e che nel 2014, primo anno completo con il 22%, il gettito crebbe solo di 209 milioni. Alzare di un punto percentuale le aliquote al 10 e al 22%, ad esempio, costerebbe alla famiglia tipo 173 euro all’anno; due punti sarebbero 346 euro in più. Per avere un termine di paragone, anche in termini di prezzo politico di eventuali decisioni, la tassazione della prima casa con l’Imu valeva circa 4 miliardi e costava poco più di 200 euro ad ogni famiglia proprietaria. Da anni le clausole Iva sono state una promessa di correzione che si sa di non mantenere. Questa volta, la via di uscita appare praticamente chiusa da 3 ostacoli. I valori messi in bilancio per il 2020 e 2021, rispettivamente 23,1 e 28,8 miliardi, superano di slancio tutte le edizioni passate delle clausole. Questi aumenti, non servono più a fingere un percorso verso il pareggio, come accaduto finora, ma ad evitare che il deficit si impenni fin sopra quota 3 per cento. Il deficit, terzo problema, è già spinto in alto da una congiuntura che promette di fermare la dinamica del PIL 2019 molto sotto sia all’1% messo in programma dal Governo sino all’0,6% posto a base del quadro tendenziale.

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Con questi presupposti, è impossibile cancellare le clausole con il disavanzo, che negli ultimi tre anni ha finanziato il 75% dello sforzo anti-Iva. (52 miliardi su 71). Con un manovra 2020 che tra Iva e spese obbligatorie già si avvicina ai 30 miliardi di partenza, trovare vie alternative non è semplice. Il momento della verità sarà comunque la manovra di autunno. Il governo Gentiloni ha lasciato come eredità clausole di salvaguardia dell’aumento dell’Iva che ammontano a circa 12,5 mld. In linea di principio, ritengo che l’aumento dell’Iva produce effetti recessivi in termini di minori consumi. A tutti i principi di carattere generale però fanno sempre da contraltare le eccezioni. Una particolare revisione dell’Iva con soppressione dei regimi di vantaggio, ridurrebbe effetti distorsivi, e, di contro, consentirebbe un notevole gettito, che potrebbe essere destinato alla riduzione della prima aliquota Irpef che dal 23% potrebbe essere scesa al 20%, con notevole beneficio per le classi meno abbienti. In particolare l’aliquota ridotta al 10%, che si applica per esempio a ristoranti, alberghi e trasporti, ha scarsissime ragioni d’essere in termini di politiche redistributive. Ipotizzando l’inelasticità della domanda dei beni sottesi e d‘evasione quindi con ipotesi decisamente grossolane-portare l’aliquota dal 10% al 22%, incrementerebbe il gettito di circa 25 miliardi. Più prudentemente la Corte dei Conti, nell’Audizione in Parlamento sul Def 2016, aprile 2016, tenendo conto del moltiplicatore (negativo) sul PIL e dell’aumento dell’evasione, ha proposto di portare solo l’8% della base imponibile soggetta a l’aliquota del 10% al 22%, con un effetto netto di aumento del gettito di 5 miliardi. Ritengo allora che un incremento dell’Iva dal 10% al 13% in settori a domanda anelastica, come per esempio quello relativo al turismo che fattura circa 220 mld annui, potrebbe incrementare il gettito IVA stesso di quasi 7 miliardi.

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CAPITOLO V

U

n altro provvedimento da adottare sarebbe quello relativo alla scissione del

debito pubblico e dei relativi interessi in due parti: dei 2320 miliardi di de-

bito pubblico, il 60% pari a 1.390 mld resterebbe in capo al bilancio dello Stato, mentre per il restante 40% pari 920 mld, la Cassa Depositi e Prestiti dovrebbe emettere obbligazioni di pari importo il cui netto ricavo dovrebbe servire a rimborsare i Btp in scadenza tra il 2020 ed il 2024. Quello che è stato devastante è stata una pessima gestione del debito pubblico; basti pensare al fatto che ad oggi la vita media del debito è pari a 6,7 anni. Con un macigno come quello italiano, bisognava allora e bisogna ancora oggi cercare di allungare quanto più possibile la vita media del debito, emettendo BTP a lunghissimo termine. So bene che qualcuno obietterà subito che questa scelta implicherebbe un maggiore onere per interessi, ma per quel dirò e dimostrerò successivamente, con un piano che prevede la corresponsione degli interessi per i primi cinque anni e addirittura il rimborso del debito (sia di quota capitale che di quota interessi dal sesto anno) mediante rate costanti (ammortamento francese), dal quinto anno in poi, in un arco di tempo decennale, riusciremo a ridurre il debito sia in valore assoluto che in percentuale rispetto al PIL. Orbene, per dare una svolta nelle politiche comunitarie, è fondamentale un solido piano per la riduzione del debito pubblico, che comunque va fatto, sopratutto nell’interesse delle nuove generazioni. L’occupazione, il credito alle imprese e l’altissima pressione tributaria e contri37


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butiva, la povertà, rappresentano a mio avviso le priorità ed emergenze che il governo dovrà affrontare. Per abbassare la pressione fiscale a sua volta è indispensabile ridurre il debito, in modo da sostenere minori costi per interessi e, svincolare risorse per la crescita, lo sviluppo e l’equità. Tra il 2019 ed il 2024 andranno a scadere oltre 1000 miliardi di titoli pubblici, così ripartiti: 2019 ......€ 307.782 mld 2020 ......€ 197.024 mld 2021 ......€ 191.836 mld 2022 ......€ 173.810 mld 2023 ......€ 187.795 mld Il progetto prevede che il 60% del debito e cioè 1.380 mld rimarrebbe in capo al bilancio dello stato e per il 40% pari ad € 920 mld si dovrebbe dare luogo alla costituzione di una società per azioni a completa partecipazione pubblica. La nuova società per azioni esiste già e si chiama CASSA DEPOSITI E PRESTITI. La Newco potrebbe aumentare in una o più riprese il capitale sociale ai sensi dell’articolo 2443 c.c. anche mediante conferimento di assets dello stato e che possono formare oggetto di garanzia per i sottoscrittori. La Newco contemporaneamente dovrebbe emettere nell’arco di 5 anni prestiti obbligazionari anche convertibili per 920 mld ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2412 comma 6 c.c. Il netto ricavo relativo alla emissione delle obbligazioni dovrebbe servire a rimborsare i Btp in scadenza. Ai sottoscrittori delle obbligazioni potrebbe essere corrisposto: il tasso del 3% su un prestito obbligazionario di 270 mld per 10 anni; il tasso del 3,50 su un prestito obbligazionario di 270 mld per 15 anni; il tassso del 4% su un prestito obbligazionario di 270 mld a 30 anni ed il tasso del 4,50% su un prestito obbligazionario di 110 mld a 40 anni. Ovviamente le combinazioni possono essere le più diverse, nel senso che possono

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anche essere modificate sia le scadenze, che gli importi che i tassi di interesse alla luce anche del fatto che lo spread è sceso sotto i 200 punti base. Il rimborso dovrebbe avvenire mediante piani di ammortamento francese o a rate costanti, che comprende quindi rimborso annuo di capiate ed interessi,con un differimento di 5 anni, durante i quali si dovrebbero corrisponderebbero solo gli interessi.

Aspetto ancora più interessante è il fatto che sulle obbligazioni che emetterebbe la Cassa Depositi e Prestiti, le ritenute sono del 12,50% e non del 26% così come avviene per le obbligazioni societarie. La Newco garantirebbe il rimborso sia degli interessi che delle quote capitale, in parte con gli assets conferiti, in parte con i trasferimenti degli avanzi del bilancio dello stato che incrementerebbero per la parte relativa agli interessi (32 mld circa) che non graverebbero più sul bilancio dello stato stesso. L’aspetto più rilevante è costituito dal fatto che, dopo il quinto anno gli obbligazionisti vedranno rimborsarsi anche le quote capitale con ricadute estremamente positive sulla massa di liquidità che si verrebbe a creare. Gli interessi sul debito pubblico che gravano mediamente per 80 mld annui sul bilancio dello stato, dovrebbero gravare per 48 mld ( il 60%) sul bilancio dello stato e la parte restante, 32 mld determinerebbe un avanzo di bilancio dello stato che dovrebbe essere trasferito alla Newco per il pagamento degli altri interessi. Se così è, il problema sarà costituito soltanto dal fatto che dal 2024 sarà necessario reperire risorse per complessive 76 mld annui circa per rimborsare quote capitale e interessi relativi ai prestiti obbligazionari emessi. Dal bilancio dello Stato di competenza 2024, dal momento che dal 2023 non dovremmo più avere deficit di bilancio, coeteris paribus, sottraendo dalle spese correnti le spese per interessi limitatamente a quelli che rimangono in capo allo Stato stesso e cioè 42 miliardi, si dovrebbereo ottenere avanzi di bilancio per la differenza tra 80 miliardi complessivi e i 40 miliardi rimasti e cioè 32 miliardi di avanzi.

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Qui di seguito la slide relativa alle emissioni alle obbligazioni in cui vengono evidenziate le rate di ammortamento ed il totale annuo da rimborsare comprensivo di quote capitale e quote interessi per 73 mld annui ed il totale delle rate rimborsate per complessivi 213 mld nei 5 anni.

In un anno particolarmente sfidante per la carta italiana, una buona fetta di funding 2019 del Tesoro dovrà essere realizzato nel primo trimestre. Al netto delle operazioni di concambio, nel 2018 sono stati complessivamente emessi titoli per 389,8 miliardi di euro. Di questi il 61,1% è stato rappresentato da titoli a medio-lungo termine ed il 38,9% da BOT.

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In aumento il costo medio annuo all’emissione, passato dallo 0,68 all’1,07%. A fine anno, la vita media è pari a 6,78 anni. Secondo i calcoli fatti da Bankitalia, i titoli a medio e lungo termine in scadenza nel 2019 ammontano a circa 200 miliardi. Tenendo conto anche dei titoli con scadenza più breve e della necessità di coprire il disavanzo pubblico, le emissioni lorde del 2019 saranno pari a circa 400 miliardi. Dal punto di vista del funding, i primi mesi del 2019 sono stati ricchi di sfide per l’Italia. Bloomberg per il 2019 stima titoli in scadenza per 421,1 miliardi di euro. Dal fronte medio lungo termine, gennaio è stato il mese più intenso, visto che sono scaduti BTP per 25 miliardi di euro. Gli importi particolarmente ingenti, 19 e 21 miliardi di febbaio e marzo hanno portato il dato dei primi tre mesi a 75 miliardi di euro. Nel secono semestre i dati relativi ad aprile, maggio e giugno, si sono attestati a 19, 17 e 18 miliardi ( 54 miliardi complessivi) mentre a luglio scadranno titoli per 22 miliardi, e, con agosto e settembre (14 e 17 miliardi), il totale del Q3 si attesta a 53 miliardi. Più leggeri i dati relativi agli ultimi tre mesi, quando scadranno bond per 16, 13 e 20 miliardi (49 miliardi). Andando nello specifico, per quanto riguarda l’asta dei BTP a 5 anni e scadenza al primo ottobre 2023 (codice ISIN IT0005344335) sono sati collocati tutti 2,75 miliardi di euro offerti dal Tesoro. Il cuopon è parial 2,45%. Con una domanda paria 3,666 miliardi, il rapporto di copertura tra ammontare richiesto dagli investitori e quantitativo offerto è stato pari a 1,33. Il rapporto bid-to ask in questione è leggermente più basso rispetto alla precedente asta del 28 dicembre 2018 e ai minimi dal 27 febbario 2017. Il prezzo di emissione è stato pari a 104,34, e prevede un rendimento lordo pari all’1,49%, il minore dal collocamento del 27 aprile 2018.

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Anche il BTP a 10 anni, scadenza al primo dicembre 2028 e cuopon al 2,80% ha fatto segnare il tutto esaurito. A fronte di una domanda pari a 3,393 miliardi di euro, sono stati assegnati tutti i 2,5 miliardi offerti dal Tesoro, per un rapporto di copertura pari a 1,36, ai livelli più bassi dall’asta del 28 giugno 2018. L’asta del decennale italiano ha visto calare i rendimenti al 2,60%. Il collocamento del BTP a 15 anni del 15 gennaio ha fatto registrare richieste per 35 miliardi a fronte di un ammontare collocato di 10 miliardi. Il tasso annuo si è assestato a 3,35%. Boom della domanda per il nuovo BTP a 30 anni, che scade nel settembre 2049. Il tesoro ha fatto il pieno di ordini, si tratta di un nuovo trentennale, che si affianca a quello con scadenza gennaio 2048, rispetto al quale riconoscerà un rendimento iniziale extra di 18 punti base. Ordini per 33 miliardi, mai così tanti per un BTP a lunghissima scadenza come questo. Il periodo di grazia per i titoli di stato italiani sul mercato continua e regala al Ministro per l’Economia una finestra utile per collocare con successo un nuovo BTP di durata ventennale. Le banche incaricate di curare l’operazione hanno raccolto ordini dì acquisto per un totale di 24 miliardi di euro: secondo i dati di Mps Capital Services, si tratta del record di domanda degli ultimi 10 anni per le emissioni di questo tipo realizzate nel secondo semestre dell’anno (quando tradizionamente la domanda è più bassa) ed in linea con le ultime operazioni. Questo ha permesso al tesoro di raccogliere 6 miliardi. Il nuovo BTP ventennale è stato emesso con un rendimento del 3,149% a fronte di una cedola del 3,10%. Nel momento migliore dell’anno per la carta italiana lo spread BTP-BUND è sceso sotto i 190 punti base, il Tesoro ha collocato 3 miliardi di euro attraverso la riapertura del BTP a 50 anni cedola 2,80 e scadenza primo marzo 2067: il titolo ha spuntato un prezzo di 98,528 corrispondente ad un rendimento del 2,8777%.

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Straordinario il dato sulla domanda: 17,5 miliardi, quasi 6 volte l’importo offerto. Importantissimo è il fatto che quasi l’85% della domanda è arrivata da investitori stranieri. La domanda europea è stata trascinata da asset manager e fondi pensione. Una importante indicazione di fiducia che gli investitori ripongono nei confronti dell’Italia. Con questa operazione il Tesoro allunga la durata del debito ottenendo condizioni decisamente migliori rispetto a quelle di sei mesi fa quando è stato collocato via sindacato il titolo a 30 anni al tasso del 3,85%, circa 100 punti base in più di quanto fissato per il titolo a 50 anni. Fatto molto importante è che tra gli investitori esteri, gran parte della domanda è arrivata dalla Germania. Tra i bond “Matusalemme” emessi negli ultimi anni, i titoli italiani offrono i rendimenti più alti. Basti pensare che i titoli austriaci a 100 anni, emessi nel 2017 al 2,1%, oggi pagano sul secondario l’1,1%. I bonus spagnoli a 50 anni esprimono il 1,7%, circa 115 punti base in meno rispetto all’Italia. Non fa praticamente testo la Svizzera i cui bondi a 40 anni non rendono nulla, qualcosina in più i quarantennali giapponesi (0,37%) e i trentennali tedeschi (0,25%). L’11 luglio è stata la volta del collocamento a medio lungo quando sono stati emessi a disposizione degli investitori tra 4,5 e 5,5 miliardi di BTP a 3 e 7 anni. Nessun problema allora per le ipotesi da me indicate sia per quanto riguarda la scadenza che il tasso di interesse che anzi è di gran lunga superiore a quelli fin qui praticati. Altro fattore importante poi è che dei 4.287 miliardi di ricchezza finanziaria posseduta dalle famiglie italiane, ben 1.371 miliardi sono parcheggiati sui conti correnti. Non si incassano interessi, non si spende, non si investe. Secondo l’Abi, nel 2018, i depositi della clientela residente sono aumentati di 32 miliardi rispetto al 2017. Una cifra uguale alla manovra di bilancio approvata a fine dicembre.

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Dai dati Abi, il tasso di remunerazione medio di questa liquidità è pari allo 0,38%. Scendendo nel dettaglio degli strumenti più usati dalle famiglie, si scopre che i conto correnti tradizionali rendono zero e costano: 142 euro per una famiglia che fa 228 operazioni l’anno. Anche i conti di deposito vincolati, dove sono parcheggiati circa 500 miliardi e che non servono per depositare stipendi, fare prelievi o appoggiare accrediti delle bollette non sono generosi. Questi salvadanai digitali offrono in media lo 0,5% netto a chi lascia fermi i soldi per un anno. A differenza dei conti operativi non costano, ma l’inflazione marcia allo 0,9% su base annua: la remunerazione non è suffiiciente a matenere integro il capitale parcheggiato. I bond con rendimenti negativi stanno nuovamente spiccando il volo. Hanno superato la barriera dei 10 mila miliardi di dollari. Il loro valore è cresciuto del 66% (erano a quota 6 mila miliardi ad ottobre). Se poi si considera che si tratta di un fenomeno relativamente recente nella storia della finanza (a inzio 2014 ammontavano a una ventina di miliardi) la crescita dei bond sottozero (quelli per cui vale la regola che chi li acquista anziché ricevere un interesse lo paga al debitore) è esponenziale. Sono diminuiti sensibilmente (tornando ai livelli del 2017) i rendimenti dele obbligazioni statunitensi con il decennale (che un anno fa passava al 3,3%) piombato al 2,4%. Negli USA (come in Gran Bretagna, per citare due tra le più importanti economie del G7) i tassi non sono negativi perché le aspettative di inflazione a medio lungo termine sono più alte rispetto ad altri paesi, come Eurozona, Giappone, Svizzera, ecc. Ma la discesa dei rendimenti dei Treasury anche essa figlia delle decisioni della rispettiva banca centrale (FED) che ha annunziato lo stop al rialzo dei tassi per il 2019 e lo stop alla riduzione del bilancio, entrambe manovre espansive ha sicuramente dato una spinta globale agli acquisti dei bond e questo ha contribuito a fare

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Progetto concreto di risanamento del debito pubblico italiano

calare i tassi, portandoli sottozzero laddove la distanza non era elevata. (Come è accaduto ad esempio ai Bund tedeschi fino a 10 anni fa). La BCE opera da 20 anni: nei primi 10 la media dell’inflazione nell’Eurozona si è attestata all’1,8%, perfettamente in linea con l’obiettivo statutario dell’Istituto. Negli ultimi 10 però la media è scesa all’1,2%, allontanandosi di parecchio. Questo nonostante oggi il bilancio della BCE sia il più alto della storia, frutto di una liquidità immessa-proprio per stimolare l’inflazione per oltre 4 mila miliardi. Sarà quella che alcuni economisti hanno ribattezzato come Amazonification (la corsa al ribasso dei prezzi frutto della competizione dell’ecommerce). Sarà per l’invecchiamento della popolazione (più si va avanti con l’età e meno si investe con inevitabili effetti deflazionistici). Sarà per la difficoltà ad aumentare i salari del ceto medio-basso (l’unica classe sociale in grado quantitativamente di impattare sull’inflazione) nell’era della globalizzazione; o per una serie di altri fattori non contemplati dagli addetti ai lavori. Sta di fatto che i tassi negativi scenario con cui il Giappone convive da più di 20 anni sembrano diventare sempre più una costante piuttosto che un’eccezione nella narrazione economica.

I tassi negativi spaventano anche le banche. Perché su questi livelli è difficile ottenere margini dell’attività tradizionale (comprare il denaro all’ingrosso e rivenderlo a famiglie ad un tasso maggiore). È per questo che la BCE, come ulteriore misura eccezionale, starebbe pensando ad una soluzione ad hoc per gli istituti dell’Eurozona. Secondo la Reuters, la BCE sarebbe al lavoro sul tasso sui depositi, che oggi è negativo (-0,4%). Ciò vuol dire che gli istituti di credito nel momento in cui depositano riserve a fine giornata eccedenti quelle obbligatorie devono pagare una tasso 0,4% alla BCE per il parcheggio. La BCE potrebbe ridurre questa tassa per le banche, esentandole in parte (in Giapponee in Svizzera accade già una cosa analoga perché il tasso sui depositi è fissato a scaglioni).

45


Progetto concreto di risanamento del debito pubblico italiano

Il solo fatto che la BCE stia studiando una manovra del genere indica, leggendo il tutto al contrario, che è consapevole che i tassi potrebbero restare bassi non solo per il 2019, ma per tanto tanto tempo. Riepilogando allora con i provvedimenti adottati e di cui si è detto prima si ottengono le seguenti risultanze;

Anno 219 - Maggiori entrate per: TFR ..................................................................13.000.000 Revisione Iva Alberghi-Rist.Turismo..............7.000.000 Dismissioni ........................................................1.000.000 Tagli Irpef ..........................................................8.000.000 Totale................................................................29.000.000

Che dovrebbero servire ad evitare che scatti la clausola di salvaguardia.

Anno 2020 - Maggiori entrate per Nuove assunzioni...............................................3.000.000 Revisione Iva Alber-Rist-Turismo ...................7.000.000 Tagli Irpef ..........................................................8.000.000 Totale................................................................19.000.000

Che dovrebbero servire ad evitare che scatti la clausola di salvaguardia.

Anno 2021 - Maggiori entrate per: Nuove assunzioni...............................................6.000.000 Revisione Iva alber-Rist-Turismo....................7.000.000 Tagli Irpef ..........................................................8.000.000 Dismissioni.........................................................1.000.000 Totale................................................................22.000.000

46


Progetto concreto di risanamento del debito pubblico italiano

Anno 2022 - Maggiori entrate per: Nuove assunzioni...............................................9.000.000 Revisione Iva Alber-Rist.Turismo ...................7.000.000 Tagli Irpef ..........................................................8.000.000 Dismissioni.........................................................1.000.000 Pil 1%..................................................................9000.000 Totale..................................................................34.000.00

Che potrebbero servire ad annullare totalmente il saldo netto da finanziare

Anno 2023 - Maggiori entrate per: Nuove assunzioni.............................................12.000.000 Revisione Iva Albr-Rist-Turismo.....................7.000.000 Tagli Irpef ..........................................................8.000.000 Dismissioni.........................................................1.000.000 Pil 1% ..............................................................18.000.000 Totale................................................................45.000.000 Che potrebbero servire ad abbassare il carico tributario e contributivo per lavoratori e imprese. Anno 2024. Avendo raggiunto il pareggio di bilancio, dal bilancio di competenza coeteris paribus si avrebbe un avanzo di bilancio di 32 miliardi e quindi le maggiori entrate diventano: Avanzi bilancio Stato ......................................32.000.000 Nuove assunzioni.............................................15.000.000 Revisione Iva Alber-Rist-Turismo ...................7.000.000 Tagli Irpef ..........................................................8.000.000 Dismissioni.........................................................1.000.000 Pil 1% ..............................................................18.000.000

47


Progetto concreto di risanamento del debito pubblico italiano

Totale ...............................................................81.000.000 Dal momento che dal 2024 necessitano 73.595.106 mld per rimbordare le rate di ammortamento comprensive di quote capitale e quote interessi, resterebbero a disposione per ulteriori riduzioni di imposte circa 8 miliardi. Anno 2025: Per le stesse considerazioni fatte sopra, le maggiori entrate sarebbero per: Avanzi di bilancio............................................32.000.000 Nuove assunzioni.............................................18.000.000 Revisione Iva Alber-Rist-Turismo ...................7.000.000 Tagli Irpef ..........................................................8.000.000 Dismissioni.........................................................1.000.000 Pil 1% ..............................................................27.000.000 Totale ...............................................................93.000.000 Valgono le stesse considerazioni fatte sopra. Anno 2026: Per le stesse considerazioni fatte sopra, le maggiori entrate sarebbero: Avanzi di bilancio ...........................................32.000.000 Nuove assunzioni ............................................18.000.000 Revisione Iva Alber-Rist-Turismo ...................7.000.000 Tagli Irpef .........................................................8.000.000 Dismissioni ........................................................1.000.000 Totale .............................................................102.000.000 Valgono le stesse considerazioni fatte sopra. Anno 2027: Per le stesse considerazioni fatte sopra, le maggiori entrate dovrebbero essere per: Avanzi di bilancio............................................32.000.000 Nuove assunzioni ............................................18.000.000 Revisione Iva Alber-Rist-Turismo ..................7.000.000 Tagli Irpef .........................................................8.000.000

48


Progetto concreto di risanamento del debito pubblico italiano

Dismissioni ........................................................1.000.000 Pil 1% ..............................................................45.000.000 Totale .............................................................111.000.000 Valgono le stesse considerazioni fatte sopra. Non ho preso in considerazione il maggiore gettito tributario che si dovrebbe ottenere dal rimborso di 73 miliardi all’anno per il rimborso delle rate.

49


Progetto concreto di risanamento del debito pubblico italiano

Le slides successive, dimostrano quanto precedentemente affermato. Al 31 di dicembre del 2028 allora il rapporto Debito/Pil sarĂ quello che risulta dalla slide successiva. 50


Progetto concreto di risanamento del debito pubblico italiano

51


Progetto concreto di risanamento del debito pubblico italiano

Dopo 10 anni allora avremo ridotto il debito di 213 mld (pari al rimborso delle quote capitali dal 2024 al 2029) e di 13 punti di PIL a cui bisogna aggiungere almeno altri 10 punti di incrementi di PIL. Il debito pubblico che al 31 dicembre era pari a 2.317 Mld scenderebbe a 2.104 Mld e il PIL che al 31 dicembre 2018 era pari a 1.753 Mld, con un incremento annuo dell’1% diventerebbe pari ad € 1.936 Mld. Il rapporto Debito/PIL scenderebbe al 108,60%. Infatti: DEBITO 2.104 Mld: PIL 1.936 Mld= 108,60% (24,07 punti percentuali in meno) e 2,407 punti percentuali annui.

In conclusione, nonostante una previsione minima di incremento del PIL dell’1%, non tenendo conto di eventuali risparmi che si potranno ottenere dalla spending review, degli incrementi del PIL relativi anche alle opere già finanziate e che dovrebbero essere realizzate per ben 140 mld, di eventuali dismissioni del patrimonio pubblico, con i soli provvedimenti sopra indicati, senza lacrime e sangue avremmo risanato il debito pubblico italiano. Prof. Dott. ALESSANDRO PILATO

52


RASSEGNA STAMPA



Progetto concreto di risanamento del debito pubblico italiano

L’opposizione Critiche del terzo polo: le norme colpiscono i deboli Decreto necessario, ma ora le dismissioni di Alessandro Pilato

Ritengo che sarebbe stato opportuno che fosse stata la Ue a prendere atto

Q

uesta manovra correttiva anda-

del fatto che il problema del debito

va fatta. E non in obbedienza a

pubblico è comune alla gran parte dei

particolari imposizioni dall’esterno,

paesi membri e a decidere su una si-

ma nell’interesse del nostro paese e

stemazione straordinaria degli eccessi

soprattutto nell’interesse delle future

di questo debito. Ritengo altresì che

generazioni.

l’Italia per suo conto deve affrontare

Deve essere comunque a tutti chiaro,

e risolvere questo gravissimo pro-

che il vero problema dell’Italia non è

blema.

il deficit di bilancio, ma il rapporto

Il pareggio di bilancio, in un paese

patologico fra il debito pubblico ed il

con una crescita del Pil, indubbia-

Pil pari a circa il 118 per cento.

mente influisce sulla riduzione del

La politica, dovendosi dedicare

rapporto debito/Pil; ma in un Paese

nell’urgenza di una crisi, alle cure del

come il nostro, dove la crescita del Pil

debito pubblico, non ha molti spazi

è minima, non vi è dubbio che biso-

per interventi su questo fronte così

gna intervenire sul numeratore della

importante per la crescita del reddito

frazione e cioè sul debito. Orbene per

e dell’occupazione.

ridurre il debito, senza avere avanzi 55


Progetto concreto di risanamento del debito pubblico italiano

di bilancio, l’unica strada è quella

A regime quindi lo stato risparmie-

della dismissione dei beni e delle

rebbe strutturalmente 15 miliardi al-

partecipazioni dello Stato.

l’anno e non avrebbe minimamente

Le stime più accreditate quantificano

messo le mani nelle tasche degli ita-

in circa 300 miliardi di beni immobili

liani. è difficile realizzare una dismis-

dello stato e a oltre 75 miliardi le mu-

sione di beni per 50 miliardi l’anno?

nicipalizzate, oltre le partecipazioni

Penso proprio di no. Ci vuole soltanto

in Enel, Eni etc.

la volontà politica di farlo.

Sarebbe quanto mai opportuno allora

Ma vi è di più. Se vogliamo essere

che, senza indugio, si procedesse a

onesti fino in fondo, dobbiamo rico-

dismettere beni per almeno 50 mi-

noscere che ai lavoratori dipendenti

liardi all’anno, per ridurre il rapporto

ed ai pensionati non si poosono chie-

deb- ito/Pil, che, dall’attuale 118%,

dere ulteriori sacrifici. In Italia esi-

scen- derebbe di anno in anno di circa

stono circa 8 milioni di partite Iva tra

3 punti percentuali raggiungendo in 5

professionisti ed imprese individuali

anni il rapporto del 106 per cento. Se

e società. Se a ciascun soggetto Iva si

poi si ipotizzasse una crescita di un

chiedesse un contributo straordinario

punto percentuale all’anno del Pil, al-

in media di circa 150 euro mensili,

lora il rappor- to scenderebbe ancora

per 20 anni, attraverso la contrazione

e in 5 anni potrebbe rappresentare il

di un mutuo di circa 50.000 euro a

102% circa. Ovviamente il rimborso

soggetto, da estinguere in 20 anni, lo

del debito di 50 miliardi l’anno, pro-

stato otterrebbe subito 400 miliardi di

durrebbe un risparmio in termini di

euro da destinare al rimborso del de-

interesse di 2,5 miliardi il primo

bito pubblico, con un risparmio per

anno, di 5 miliardi il secondo, di 7,5

interessi di circa 20 miliardi struttu-

miliardi il terzo, di 10 miliardi il

rali annui.

quarto, di 12,5 miliardi il quinto anno

Il rimborso del debito pubblico ai

e di 15 miliardi il sesto anno.

possessori dei titoli, implicherebbe 56


Progetto concreto di risanamento del debito pubblico italiano

automaticamente da parte di questi

farlo nell’interesse nostro e soprat-

ultimi, il reinvestimento relativo, sul

tutto per amore dei nostri figli e delle

quale lo stato di nuovo otterrebbe ul-

future generazioni.

teriore gettito (il 20% del rimborso,

Per adottare questi provvedimenti è

diciamo 80 miliardi). Ai titolari di

necessario che la classe politica sia

partita iva, ovviamente, come contro-

credibile ed imotabile. Il primo prov-

partita, bisognerebbe rimborsare tutto

vedimento da prendere allora per

quello che si otterrebbe dalla lotta alla

chiedere i sacrifici è la eliminazione

evasione, ridurre il carico tributario in

totale di tutti i privilegi della classe

termini di Ire, Irap, etc.

politica.

Capisco che per il mondo delle partite Iva (io sono tra questi) il peso sa-

“Il Sole 24 Ore” - 15 Settembre 2011

rebbe forte, ma il sacrificio dobbiamo

57


Progetto concreto di risanamento del debito pubblico italiano

L’altra via: titoli con rimborsi a rate L’emissione a 30 anni per mille miliardi e a 10 anni per 750 porterebbe il debito in un decennio al 66%

di Alessandro Pilato

tere il debito non può prescindere dalla dismissione di asset pubblici. Ma un’al-

I

l debito pubblico italiano a maggio ha

tra ipotesi per far fronte alla speculazione

raggiunto un nuovo record, attestan-

che ha investito l’Italia e altri paesi euro-

dosi a 1.966,303 miliardi di euro, con un

pei come la Spagna, potrebbe essere re-

rapporto debito/pil pari al 123% circa.

lativa ad un consolidamento del debito

Nonostante tutte le manovre finanziarie

con l’emissione di titoli di stato a 30 anni

per oltre 300 miliardi, la liquidità im-

per mille miliardi e a 10 anni per 750 mi-

messa dal presidente della Bce per circa

liardi, con rimborso del capitale in tranche

1.100 miliardi, fondo salva stati e scudo

attraverso due piani di ammortamento,

salva stati, lo spread ha superato i 520

dai quali si otterrebbero rate annue per

punti. Questo vuol dire che senza dare un

175 miliardi comprensivi di quote capi-

colpo secco allo shock del debito, l’Italia

tale e quote interessi.

non recupererà mai la credibilità dei mer-

Prendiamo il bilancio dello stato 2012.

cati.

Sostituiamoi alla voce “spese correnti”

È necessario allora prendere provvedi-

per 503,4 miliardi (di cui 89,8 per inte-

menti per risolvere i nostri problemi.

ressi) gli interessi complessivi risultanti

Ormai quasi tutti gli economisti sono

dal piano di ammortamento per i vari

convinti che la strada maestra per abbat-

anni; sostituiamo poi alla voce “spese

58


Progetto concreto di risanamento del debito pubblico italiano

per rimborso di prestiti” il rimborso

rico tributario, almeno per un anno a far

delle quote capitali dei vari anni indicati

fronte al ricorso al mercato (97 miliardi)

nel piano di ammortamento.

e alla realizzazione di infrastrutture per

Si ottiene che, per i primi dieci anni, il

far ripartire l’economia.

ricorso al mercato è pari a circa 97 mi-

Come detto, su mille miliardi di titoli a

liardi all’anno costante.

30 anni e su 750 a 10 anni il rimborso an-

Dall’undicesimo anno, essendosi ridotti

nuale è pari complessivamente a 174 mi-

gli interessi a soli 52 miliardi e la quota

liardi. Gli investitori avrebbero cioè ogni

capitale da rimborsare a 22 miliardi,

anno complessivamente 174 miliardi a

l’avanzo primario per 89,8 miliardi copre

disposizione che dovrebbero in qualche

la somma di entrambe le voci per cui non

modo investire, con ricadute positive sul

è più necessario fare ricorso al mercato.

gettito tributario. Il gettito per il 10% su

Al decimo anno avremmo raggiunto un

174 miliardi porterebbe almeno 17 mi-

rapporto debito/Pil pari al 66%. Il tutto

liardi di annui per i primi 10 anni e 7,4

ovviamente senza tenere conto di even-

miliardi annui dall’undicesimo al trente-

tuali incrementi di Pil e di riduzione di

simo anno.

spese. Se il rimborso sia delle quote ca-

Il rapporto debito/pil scenderebbe dal

pitali che degli interessi fosse differito di

123 al 66,97% al decimo anno. In questo

uno, due o tre anni (ovviamente con il re-

modo la riduzione del rapporto debito/pil

lativo onere) per questi stessi anni po-

avverrebbe in 10 anni e non in 20 anni

tremmo avere risorse disponibili per 175

come prevede il fiscal compact.

miliardi annui che potrebbero essere de“Il Sole 24 Ore” - 2 Agosto 2012

stinate in parte ad una riduzione del ca-

59


Progetto concreto di risanamento del debito pubblico italiano

60


Progetto concreto di risanamento del debito pubblico italiano

61


Progetto concreto di risanamento del debito pubblico italiano

Con minori contributi più occupazione e gettito Il drastico taglio del costo del lavoro incentiva le assunzioni e non compromette i bilanci dell’Inps

di Alessandro Pilato

delle imprese, a prima vista sembrerebbe provocare maggiori costi dovuti alle mi-

L’

elevata tassazione sul lavoro è

nori entrate contributive per L’Inps. Da

uno dei fattori che spiega il basso

una attenta analisi invece, il ridotto ca-

tasso di occupazione in Italia, special-

rico contributivo, provocherebbe senz’al-

mente quello giovanile femminile e pe-

tro maggiori e notevoli entrate per lo

nalizza le nuove generazioni, che

stato, tale da compensare le minori en-

soffrono di condizioni di lavoro precarie

trate contributive.

e/o senza prospettive.

Supposto infatti che, il ridotto carico con-

Occorre pertanto portare avanti riforme

tributivo provochi un incremento occu-

strutturali forti per evitare di soffocare la

pazionale pari a 250.000 nuovi occupati

produttività.

ogni anno, verifichiamo gli effetti che

Riforme semplici e trasparenti e con ef-

produrrebbe un tale provvedimento.

fetti immediati. La soluzione sarebbe

Fatto pari a 21.000 euro circa, la retribu-

quella della riduzione dell’onere contri-

zione media annua lorda di un lavoratore

butivo a carico delle imprese, nella mi-

dipendente, mettiamo a confronto la si-

sura del 50 per cento, per incentivare le

tuazione

imprese ad assumere.

avrebbe con il provvedimento della ri-

Il ridotto carico contributivo a cari- co

duzione al 50% dell’onere contributivo.

62

attuale con quella che si


Progetto concreto di risanamento del debito pubblico italiano

La differenza tra oggi e il possibile re-

riale che avrebbe sostenuto maggiori

gime futuro: a parità di retribuzione lorda

costi per il personale per complessivi

(per esempio, 21mila euro), Irpef e addi-

euro 24.158 a nuovo occupato e quindi

zionale resterebbero uguali – rispettiva-

6.039.500.000 euro per 250.000 nuovi

mente 4.542 euro e 256 euro - così come

occupati, per reintegrare i costi sostenuti,

i contributi a carico del lavoratore (2mila

dovrebbe ottenere maggiori ricavi.

euro), mentre i contributi a carico del da-

I maggiori ricavi complessivi, sarebbero

tore di lavoro passerebbero da 6.315 a

pari ad euro 7.851.350.000 ottenuti au-

3.158 euro. Per il sistema impresa si

mentando il costo sostenuto di alme- no

avrebbe un risparmio contributivo pari a

un 30%, pari a euro 1.818.350.000. Ap-

789.500.000 euro.

plicando il 21% di Iva su 7.851.350.000,

Per L’Inps si avrebbero minori entra- te

si otterrebbe un gettito tributario di

per 789.500.000 euro. Il lavoratore

1.648.785.000 euro.

avrebbe a disposizione un reddito netto

L’eventuale maggior reddito per le im-

di euro 14.200. Lo Stato invece sui red-

prese, scaturente dalle nuove assunzioni,

diti di euro 14.200 a nuovo occupato per

potrebbe essere esentato da Ires e da Irap.

250.000 nuovi occupati pari ad euro

In buona sostanza, a fronte di minore en-

3.550.000.000 e cioè 1.420.000.000. Con

trate per l’Inps di euro 789.500.000, lo

tale maggior gettito tributario lo Stato

stato avrebbe un maggior gettito tributa-

può coprire le minori entrate degli enti

rio sui redditi dei lavoratori dipendenti

previdenziali per 789.500.000 attraverso

per euro 1.420.000.000 + 1.648.785.000

i trasferimenti e ottenere risorse per la

di Iva sul nuovo fatturato delle imprese:

differenza pari a euro 630.500.000.

in totale 3.068.785.000.

Ovviamente i contributi all’Inps, andreb-

La differenza tra il gettito tributario

bero contabilizzati a favore dei lavora-

complessivo di 3.068.785.000 euro e le

tori nuovi occupati per il conteggio ai fini

minori

pensionistici.

789.500.000 potrebbe essere destinato a

Ma vi è di più. Il mondo imprendito-

riduzione di Ires, Irap etc.

63

entrate

contributive

di


Progetto concreto di risanamento del debito pubblico italiano

Questo sarebbe il risultato relativo al

complessivo

nei

dieci

anni

di

primo anno. A parità di altre condizioni

125.360.770.000.

quindi, proseguendo negli anni e ipotiz-

Ovviamente nel caso di nuovi assunti

zando sempre un incremento occupazio-

pari alla metà, i risultati vanno divisi per

nale di 250.000 nuovi occupati per anno

due.

si avrebbe i seguenti dati: al primo anno

Il provvedimento consentirebbe di occu-

maggiori entrate per euro 2.279.285.000.

pare 2.500.000 di persone in dieci anni,

Al secondo anno il doppio, quindi

di far emergere il sommerso, dal mo-

4.558.570.000. Al terzo anno maggiori

mento che con una riduzione contributiva

entrate per 6.837.855.000. Al quarto

nessuno avrebbe più interesse a non as-

9.117.140.000.

sumere.

Al quinto 11.369.425.000. Al sesto

L’emersione a sua volta incrementerebbe

13.675.710.000.

il gettito contributivo e tributario e influi-

Al settimo anno maggiori entrate per

rebbe positivamente su legalità e libera

euro 15.954.995.000.

concorrenza del mercato.

All’ottavo 18.234.280.000, al maggiori “Il Sole 24 Ore” - 4 Novembre 2011

entrate per euro 20.513.665.00. Al decimo 22.792.850.000: per un totale

64


Progetto concreto di risanamento del debito pubblico italiano

Tagli alla spesa? Sì, ma la via è molto stretta di Alessandro Pilato

Da dove saltano fuori questi numeri? Diciamo subito che, prendendo come base

D

a voce di a più parti viene richie-

il bilancio dello Stato di previsione di

sto a gran tagliare la spesa pub-

competenza 2013, a fronte di entrate fi-

blica, ma non si sono sentiti esponenti

nali per 548,641 miliardi, si contrap-

politici né economisti che abbiano indi-

pongono spese finali per 561,058 miliar-

cato con precisione quale voce del bilan-

di, con un saldo netto da finanziare per

cio andrebbe tagliata. Non mancano, poi,

12,415 miliardi. Le spese per rimborso di

affermazioni che lasciano sorpresi. Se-

prestiti al titolo III delle spese per 204,

condo alcuni su una spesa complessiva

556 miliardi e l’accensione di prestiti al

del bilancio dello Stato di 800 miliardi

titolo IV delle entrate per 216,971 mi-

circa basterebbe tagliare il 2% per otte-

liardi nulla hanno a che vedere con le

nere risparmi per circa 16 miliardi. C’è

spese finali ed entrate finali, anche se

addirittura chi sostiene che il governo

sono indicate nelle spese totali ed entra-

Letta dovrebbe tagliare del 10% la spesa

te totali, e non si capisce quali tagli pos-

pubblica, quindi ben 80 miliardi. Altri so-

sano essere effettuati su queste voci.

stengono che dentro gli 805 miliardi di

Le spese su cui eventualmente poter ra-

spesa pubblica ci siano circa 60 miliardi

gionare non sono dunque pari a 800 mi-

di sprechi che si possono eliminare.

liardi circa, bensì a 561,056 miliardi.

65


Progetto concreto di risanamento del debito pubblico italiano

Ma da questa cifra vanno sottratte tutte

differenza tra le spese finali, pari a

le spese imprescindibili.

561,056 miliardi, e i 430 miliardi circa di

Ora, le spese indicate nel bilancio di pre-

spese obbligatorie sopraindicate: in pra-

visione 2013 sono costituite da: 1) redditi

tica, retano 130,806 miliardi. Il 2% di

di lavoro dipendente per 85,756 miliardi;

130, 806 corrisponderebbe a 2,62 mi-

2) consumi intermedi per 10,333 mi-

liardi, ben poca cosa rispetto alle previ-

liardi; 3) trasferimenti correnti ad ammi-

sioni troppo ottimistiche da più parti

nistrazioni

sventolate.

pubbliche

per

230,210

miliardi (amministrazioni centrali: 8,628

Naturalmente sull’eventuale taglio delle

miliardi;

locali:

spese andrebbero considerati gli effetti

107,675; enti di previdenza e assistenza

negativi recessivi. A meno che non si vo-

sociale: 113,906); 4) trasferimenti a so-

glia tagliare ancora sui trasferimenti cor-

cietà di servizi pubblici per 2,388 mi-

renti alle amministrazioni pubbliche,

liardi; 5) trasferimenti a imprese per

ovvero sui trasferimenti alle imprese, tra

3,185 miliardi; 6) trasferimenti a famiglie

spese correnti per 3,185 miliardi, contri-

e istituzioni sociali private per 3,843 mi-

buti agli investimenti alle imprese per

liardi; 7) istituzioni sociali private per

5,976 miliardi e trasferimenti alle im-

1,624 miliardi; 8) interessi passivi per

prese per 14,979 (alle poste 477 milioni;

89,683 miliardi; 9) altre spese correnti

alle Fs 4,834 miliardi; crediti di imposta

per 6,064 miliardi; 10) poste correttive

per 3,506 miliardi e incentivi alle im-

delle entrate per 24,598 miliardi; 10)

prese industriali per 1,918 miliardi, per

altre spese correnti per 6,064 miliardi.

citare i più importanti), si potrebbe forse

Considerando imprescindibili le spese

arrivare a tagliare i 10 miliardi indivi-

relative al personale, ai trasferimenti alle

duati dal rapporto Giavazzi.

amministrazioni pubbliche, agli interessi

Le spese in conto capitale sono com-

passivi e alle spese correttive delle en-

plessivamente indicate in 43,725 miliardi

trate per un totale di 430,247 miliardi, è

e sono costituite da 5,563 miliardi per in-

plausibile che si potrà incidere solo sulla

vestimenti fissi, di cui3,575 per la dife-

amministrazioni

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Progetto concreto di risanamento del debito pubblico italiano

sa; contributi agli investimenti ad ammi-

Come si vede, la strada è stretta e se si

nistrazioni pubbliche per 10,459 miliar-

riuscisse comunque a tagliare i trasfe- ri-

di; contributi agli investimenti alle im-

menti alle imprese per 10 miliardi così

prese per 5,976 miliardi e altri trasferi-

come proposto destinando l’importo alla

menti in conto capitale per 16,217

riduzione del carico fiscale per le impre-

miliardi, di cui 14,495 sono destinati ai

se, sarebbe già un buon risultato.

fondi, principalmente al fondo di svilup“Il Sole 24 Ore” - 19 Agosto 2013

po e coesione per 10,267 miliardi.

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Progetto concreto di risanamento del debito pubblico italiano

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Progetto concreto di risanamento del debito pubblico italiano

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Progetto concreto di risanamento del debito pubblico italiano

70


INDICE PREMESSA ............................................pag.

5

INTRODUZIONE ...................................pag.

9

CAPITOLO I ...........................................pag. 13 CAPITOLO II .........................................pag. 21 CAPITOLO III ........................................pag. 29 CAPITOLO IV ........................................pag. 33 CAPITOLO V .........................................pag. 37

RASSEGNA STAMPA ...........................pag. 53


Studio Byblos - Editore

Finito di stampare Settembre 2019




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