ELVIRA SIRIO - MARE NOSTRUM

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ELVIRA SIRIO

MARE NOSTRUM

EURO 30,00

Studio Byblos



ELVIRA SIRIO

Mare Nostrum presentazione a cura del Prof. Daniele Castrizio introduzione a cura della Prof. ssa Giulia Maria Sidoti

Studio Byblos


ISBN: 9791280343895

© Studio Byblos -Tutti i diritti riservati


A mio marito Franco... sempre al mio fianco nel bene e nel male... Ai miei figli Salvatore e Carmelo… Amore e gioia infinita della mia vita



Nata a Reggio Calabria, città nella quale risiede. Laureata in matematica, è docente prima e dirigente scolastica poi. Appassionata di arte fin da ragazza, segue studi che apparentemente l'allontanano da questo mondo, finché finalmente decide di abbracciare in toto la sua passione. Frequenta per molti anni la “Libera Accademia” del maestro Paolo Raffa nella sua città e nel contempo corsi e master in varie località d’Italia. Fondamentale l’incontro con il maestro Roberto Ferri che l’avvicina ad una pittura a cui aveva sempre aspirato. Si appassiona poi alla scultura seguendo il maestro Mohammad Sazesh nel suo studio di Carrara. Si perfeziona infine presso l'Accademia d'Arte di Firenze. Nel 2019 è firmataria a Roma insieme ad altri 12 artisti del Manifesto dell'Effettismo, corrente pittorica fondata dal maestro Franco Fragale. Nel 2020 entra a far parte dell’Accademia Internazionale di Arte Moderna di Roma. Artista poliedrica, mai convenzionale né ripetitiva, rifiuta qualsiasi schema predefinito spaziando disinvoltamente dal figurativo classico al moderno, dall’astratto all’informale, dal simbolismo al concettuale. Le sue opere comprendono le sculture, le incisioni, i dipinti, le ceramiche. Negli anni partecipa a numerose mostre, personali, museali, istituzionali, collettive in Italia e all'estero, vincendo numerosi premi e raccogliendo riconoscimenti vari. Sue opere sono presenti in numerose gallerie, pinacoteche e collezioni private. È recensita in vari cataloghi e riviste d’arte.

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Il mio… Mare Nostrum... Conobbi queste due parole ai tempi del liceo studiando la storia dell’antica Roma. Poi, continuando con i miei studi scientifici, li avevo un po’ tralasciate. Nel 2013 improvvisamente mi si ripresentarono nuovamente. Il governo italiano, profondamente scosso dalla tragedia di Lampedusa dove persero la vita 368 migranti più una ventina di dispersi, diede vita ad un programma interforze denominato appunto Mare Nostrum per la salvaguardia di tutti coloro che percorrevano il mediterraneo come via d’ingresso in Italia per un futuro migliore. Da allora queste parole iniziarono ad essere presenti quasi ogni giorno nei telegiornali, nei giornali, nelle conferenze, nelle tavole rotonde etc. . Ma quello che mi turbava maggiormente era il fatto che da subito si era creato una simbiosi tra le due parole e le tragedie di tantissima gente. Da parole piene di immaginarie e fantastiche emozioni, dove per secoli avevano navigato e fatto la storia popoli e civiltà le più disparate si era passato a collegarle solo a stenti, disperazione, morte. Talmente scossa e depressa mi sentivo perseguitata da questa espressione, per cui cercavo continuamente una valvola di sfogo. Nel frattempo continuavo i miei studi sulla maestosa, sublime, infinita bellezza dei Bronzi di Riace di cui mi ero follemente innamorata a tal punto da visitarli al museo almeno una volta al mese ed in alcuni periodi anche settimanalmente. Ma nella stessa sala si trovano pure la Testa del Filosofo e la Testa di Basilea bellissimi anch’essi e pure loro ritrovati nel nostro mare di Porticello. Ma allora il nostro mare, il Mare Nostrum non è solo morte e disperazione ma anche fonte di arte, di storia, di cultura, di umanità ritrovata e perché no di felicità. Si scatenò in me un cortocircuito che mi spinse ad iniziare una ricerca su quante altre opere furono riscoperte nel Mare Nostrum. Inizia così un lavoro che mi impegna da alcuni anni e che mi ha liberato da quell’incubo in cui mi ero cacciata.

Elvira Sirio

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Presentazione Devo confessare che, quando l’Artista Elvira Sirio mi ha chiesto di scrivere una presentazione per la Mostra delle sue opere, ho provato due emozioni contrastanti: da un lato, una profonda gratitudine per un onore che non merito; dall’altro, un sentimento di inadeguatezza, non essendo io un critico d’Arte, ma un modesto archeologo che insegna iconografia e numismatica all’Università di Messina. Vinta l’iniziale ritrosia, mi sono risolto ad acconsentire, comprendendo il senso profondo dell’invito rivoltomi: avendo trascorso un quarto di secolo a condurre ricerche iconografiche sui Bronzi di Riace e sulla statuaria greca superstite, l’invito era indirizzato all’archeologo, perché misurasse le opere contemporanee della Sirio con il metro della Classicità. La sfida mi ha entusiasmato ed eccomi qui a portare a termine il mio incarico. Elvira Sirio è, come è ampiamente noto, una pittrice e scultrice di talento, che si è misurata nel tentativo di accostarsi al mondo antico, comprendendone le vibrazioni artistiche dell’armonia e della simmetria, legate ai significati umani e morali che le opere intendevano inviare. Guardando le sue opere, non si può non riconoscere che la sfida è stata vinta dall’Artista: io stesso, che, come studioso della bronzistica antica, ho visto innumerevoli rappresentazioni artistiche contemporanee dedicate alle due statue da Riace, solo nelle creazioni della Sirio ho potuto ammirare l’essenza stessa dei Bronzi tradotta in Arte contemporanea. Non temo smentita quando affermo che le sue opere mantengono intatta la maestà dei Guerrieri di Riace: nella mostra, ben nove realizzazioni artistiche hanno come oggetto i Bronzi, una sorta di ossessione compulsiva benedetta, che spinge la Sirio a rappresentarli più e più volte. Devo aggiungere che, dopo un paio di decenni, sono arrivato alla formulazione di una teoria riguardante l’identificazione dei personaggi rappresentati nel bronzo e di una proposta di paternità artistica: si tratta, a mio modesto parere, dei figli di Edipo, Eteocle e Polinice, che sono sul punto di affrontarsi

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nell’esiziale duello che avrebbe condotti entrambi a dare la morte al fratello, perdendo nel contempo la propria vita. Le fonti antiche chiamano il gruppo bronzeo, opera di Pitagora di Reggio e di suo nipote Sostrato, i fratricidi, simbolo dell’inutilità delle contese fra fratelli e, per traslato, delle guerre civili, nelle quali nessuno può vincere, ma tutti perdono. Solo nelle opere della Sirio dedicate ai Bronzi di Riace ho ritrovato intatto il senso della tragicità delle due opere e il rispetto per i piccoli particolari, che unicamente una artista figurativa è in grado di cogliere, dipingendoli sulla juta grezza, in maniera quasi tridimensionale, molto coinvolgente. Il resto della mostra, secondo il dichiarato intendimento dell’Artista, usa come fil rouge le opere ritrovate nel Mare Mediterraneo, il Mare nostrum del titolo, partendo da due reperti conservati, come i Bronzi, al Museo Archeologico di Reggio Calabria, le teste di Porticello, per poi proseguire con il Cronide di Capo Artemisio, l’Efebo di Maratona, l’Atleta di Fano, il Giovane di Anticitera, il Satiro danzante di Mazara, la Testa di Apollo di Salerno, la Testa del filosofo di Anticitera. Si tratta di un agile manuale di Storia dell’Arte, che ritrae capolavori talmente amati dall’Artista, che cede all’impulso di raffigurarli come tributo alla grandezza del mondo antico, ma anche perché la loro bellezza esca dai musei, troppo spesso incomprensibili al grande pubblico, e possa contaminare quanti più uomini e donne possibile. E il Mare nostrum, evocato nel titolo, non ci appare come un possesso imperialistico, ma quale contenitore comune di una cultura greco-romana, capace ancora oggi di insegnarci a vivere e ad amare.

Daniele Castrizio Università degli Studi di Messina

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INTRODUZIONE

Dipingere statue greche, riprodurre archeologia in pittura è un’impresa ardua, soprattutto la bronzistica, si tratta infatti, di rendere vivo ciò che per sua fattura è statico, sebbene lo scultore vi abbia infuso una vitalità unica nel suo genere, per mezzo della plasticità degli elementi anatomici dei corpi, dei volti e della luce che si riflette sulla superficie del bronzo, luce che in pittura è da rendere sapientemente. La maggior parte delle statue, appartenenti al settore archeologico, possiedono la caratteristica di testimonianza di una civiltà antica e archetipica dalla quale ha preso avvio lo sviluppo di tutte le altre. Ognuna di esse narra la sua storia e reca in sé l’habitus di appartenenza. Elvira Sirio è soprattutto una interprete preziosa del Mediterraneo, in rapporto quasi simbiotico con la sua civiltà unica, la sua meridionalità, la sua greca Calabria, in una empatica “reincarnazione” artistica di alto rilievo. L’artista rivive e fa rivivere in pittura l’essenza culturale ed emotiva della Magna Grecia e dell’Ellenismo che in Calabria ha lasciato tracce di straordinaria bellezza. L’emozione del bello, il senso di una realtà che risorge a nuova vita emergendo dalle acque del mare calabro, è il miracolo che la pittrice e scultrice coglie nella sua effettività. Stento a definire l’opera in questione come Arte Contemporanea per il rispetto per la classicità che illumina la pittrice-scultrice in ogni suo atto creativo, classicità così tanto venerata e resa dalla interpretazione pittorica delle statue come soggetto che è realistica ed al tempo stesso soggettiva e lirica, tanto che all’osservatore sembrerebbe di essere dinnanzi ad una epifania che coglie la luce sul bronzo, con varie e molte sfumature in tonalità chiare e scure, come quando la Sirio, in ascetico stato d’osservazione, ha contemplato le statue da vicino per farle proprie e ha voluto “riscolpirle” solo con la pittura. La tecnica mista la porta a servirsi in modo personale del colore che posa su una tela di juta grezza su cui ha spalmato un impasto da lei composto; ciò le consente un effetto mirabile di riflesso luminoso che realizza la riproduzione dell’effetto del bronzo ed in questo è contemporanea. Da scultrice apprezza le soluzioni tecniche, ma che non richiedano una mediazione totalmente razionale, affidandosi al sentire 9


spontaneo cosicché la vis creativa possa avere il sopravvento sulla stessa tecnica, persino su quella originaria dell’antico scultore, forse Pitagora di Reggio o del nipote Sostrato e di altri ancora, perché traslata in un’altra moderna e contemporanea. Se infatti osserviamo i Bronzi di Riace, più volte ritratti e da prospettive differenti, notiamo gli effetti di quella luce che colpendo i muscoli, nell’originale ottenuti col bronzo e che sono a tutto tondo, nella pittura risaltano in una diversa visione che pur essendo bidimensionale, tale non sembra. Grazie alle sorgenti della luce, studiate dalla Sirio, durante le sue visite al museo, si imprime alla muscolatura quella sensazione di vitalità che nella scultura rimane canonizzata dal sapiente gioco della simmetria e dell’armonia operato dallo scultore antico, infatti il movimento in cui sono fermati per l’eterno è cristallizzato nell’idea della fierezza guerriera, invece, nella pittura della Sirio la loro fierezza diviene messaggio di riscatto di una terra e del mare che li ha riportati alla luce, mare che non è una tomba, questa volta, ma culla della rinascita, scrigno che serba tesori segreti che l’artista vuole aprire al mondo. È la creazione di un nuovo mito che viene narrato attraverso sfondi di antichi templi e dai volti dai lineamenti esaltati dai flussi di luce in dettagli di eccellenza, quali i riflessi che rilucono sul nastro che orna il capo del Bronzo A e che la pittrice evidenzia con morbida e determinata perizia o ancora i riccioli delle capigliature e delle barbe, ritessuti con saggio e preciso tratto, così come nella Testa del Filosofo e nella Testa di Basilea e ancor meglio nel Cronide di Artemisio, dal volto barbuto e la capigliatura cesellata, indice di divinità, che vengono filologicamente ripresi nella loro folta complessità. Ed ancora Elvira Sirio allarga il suo intento di riscatto dell’antico Mediterraneo anche all’interpretazione di altre opere come “Il Satiro danzante” che dal mare di Mazara dà lezione al mondo di sublime perfezione, in cui l’irruenza del movimento che sembra derogare dalle leggi dell’armonia classica, nel dipinto ha la sua esplicitazione in quanto danza nelle feste dionisiache al suono della cetra greca posta in secondo piano sulla colonna. L’artista estende la sua passione pittorica agli efebi: quello di Maratona reso nel particolare della testa reclinata dai capelli copiosi e ricci, quello di Fano, nella nudità degli eroi, quello di Anticitera nella sua maestosità, dai riflessi dorati qui resi con un’aura di con10


temporaneità per la presenza degli ingranaggi della Macchina di Anticitera sullo sfondo e, ad ognuno di loro, fa raccontare le storie liete del Mediterraneo. La sua teoria dei lavori non finisce, ma si fregia della testa dell’Apollo di Salerno ritratto nell’estasi dell’ispirazione poetica e vi coglie la resa dell’esecuzione rapida dell’ignoto autore, che ha sì bulinato la chioma, ma ha lasciato i tratti del volto privi di minuziosi particolari. La pittura è fedelissima, in ossequio all’arte classica che la Sirio ama. Anche la testa del Filosofo di Anticitera dai lineamenti importanti, è rispettata nel suo piglio autorevole, scultura della quale la pittrice rende l’elevato esempio di ritrattistica greca di notevole espressività. L’ecclettismo della Sirio le ha consentito di sfidare se stessa e di confrontarsi con gli antichi uscendone vincente perché sa generare l’emozione di far parlare statue enigmatiche, cariche di quel lontano passato che l’attrae, nel quale si immerge come in un mare da cui trae fuori miti e misteri di bellezza irripetibile. La sua grecità è un segno dell’appartenenza alla sua terra ed al suo mare che desidera porgere al mondo nella sua immagine più bella, quella di un bacino di civiltà che ha dato vita all’arte e alla cultura e che ancora dai suoi abissi lascia affiorare testimonianze che lei rivive intensamente trasmettendoci esaltanti vibrazioni emotive. Prof. ssa Giulia Maria Sidoti

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I Bronzi di Riace sono due statue di bronzo di provenienza greca databili rispettivamente al 460 e 430 a.C., pervenute in eccezionale stato di conservazione. Le due statue, rinvenute il 16 agosto 1972 nei pressi di Riace Marina, in provincia di Reggio Calabria, sono considerate tra i capolavori scultorei più significativi dell'arte greca e tra le testimonianze dirette dei grandi maestri scultori dell'età classica. Le ipotesi sulla provenienza e sugli autori delle statue sono diverse, ma non esistono ancora elementi che permettano di attribuire con certezza le opere ad uno specifico scultore. I due bronzi sono conservati al Museo nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria. L’ipotesi più accreditata è quella del Prof. Daniele Castrizio che li identifica come Eteocle e Polinice, figli di Edipo, i due fratelli che si fronteggiarono ad Argo e attribuendoli all’opera dello scultore Pitagora di Reggio. I due bronzi sono due diverse sculture a tutto tondo, rappresentanti due uomini giovani e forti, completamente nudi e in posizione stante. Le statue hanno una posa naturale, non rigida e ben proporzionata, con una corrispondenza a chiasmo tra gli arti portanti e quelli liberi. Le ciglia e i denti sono d’argento, le labbra di rame. La statua A è una scultura a tutto tondo realizzata in bronzo. È alta 1,98 m. Rappresenta un uomo giovane e forte, completamente nudo e in posizione stante. La distribuzione del peso e la posizione degli arti sono organizzati secondo il criterio del pondus. La statua cioè, pur non esprimendo intenzione di movimento ha una posa naturale, non rigida: il peso è sostenuto alla gamba destra, la sinistra pertanto si presenta leggermente discosta dall’asse del corpo e il ginocchio è flesso. Il carico del peso sull’arto destro determina una lieve rotazione del bacino e il conseguente abbassamento dell’anca sinistra. Per compensare questa asimmetria il torso compie una lieve curva che a sua volta si ripercuote sulla posizione delle spalle, in cui si nota un lieve abbassamento della destra rispetto alla sinistra. La testa è volta e lievemente piegata verso il lato destro. Il braccio destro è disteso lungo il corpo, il sinistro è piegato e reca a metà dell’avambraccio l’anello di impugnatura di uno scudo. Tra gli arti portanti e quelli liberi c’è quindi una corrispondenza a chiasmo. La muscolatura vigorosa, del torace, della schiena e dei fianchi è modellata in modo anatomicamente corretto. Sulle braccia e sulle mani le vene sono descritte in modo accurato. Tutto l’apparato muscolare è tonico, teso, immortalato un momento prima della contrazione. I particolari della testa e del volto sono realizzati con accuratezza estrema. I capelli sono lunghi e ricci, stretti in una fascia che cinge la fronte. La barba è lunga e folta, anch’essa densa di riccioli. La fronte è corrugata in atteggiamento concentrato, le ciglia d’argento sottolineano la linea degli occhi, il cui interno è realizzato in avorio e pasta vitrea, le labbra di rame sono socchiuse e lasciano vedere i denti realizzati in argento. L’espressione è quella di un guerriero che si sta preparando alla battaglia. La statua B, anch’essa in bronzo, è di un solo centimetro più bassa della prima. La struttura e la posizione del corpo ricalcano in tutto quelle della statua A. una lieve differenza si nota nel polso destro, maggiormente flesso rispetto alla prima statua. Il modellato della testa presenta invece alcune differenze. La calotta cranica è liscia, non modellata, come se lo scultore avesse tralasciato la descrizione dei capelli perché coperti da un copricapo. La tecnica e i materiali utilizzati per le ciglia, gli occhi e le labbra sono le stesse che per la statua A, in questo caso però la bocca è chiusa e non si vedono i denti. Il modellato della barba è estremamente curato, folta come nella prima statua, è caratterizzata da ciocche dall’andamento ondulato e meno riccio rispetto all’esempio precedente. All’interno della mano destra, una sorta di anello di stagno lascia presumere che anche questo personaggio portasse una lancia, ma in posizione più inclinata. Sempre evidente sull’avambraccio sinistro il sostegno dello scudo. Le statue sono realizzate nella medesima tecnica, hanno dimensioni pressoché uguali, sono in tutto simili nella postura e recano segni dei medesimi attributi (elmo/copricapo, lancia, scudo). Sembra pertanto difficile immaginare che esse possano essere state realizzate da artisti diversi, e a distanza significativa di tempo l’una dall’altra. Altrettanto difficile immaginare che esse possano non essere parte di un medesimo progetto, di un unico gruppo. 12


I BRONZI... IL MITO 2022 - Tecnica Mista su Juta grezza - 75x175 cm

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BRONZO A 2022 - Tecnica Mista su Juta grezza - 110x70 cm 14


BRONZO B 2022 - Tecnica Mista su Juta grezza - 115x70 cm 15


BRONZO A 2023 - Tecnica Mista su Juta grezza - 80x60 cm 16


BRONZO B 2023 - Tecnica Mista su Juta grezza - 80x60 cm 17


BRONZO A 2023 - Tecnica Mista su Juta grezza - 60x50 cm 18


BRONZO B 2023 - Tecnica Mista su Juta grezza - 60x50 cm 19


TESTA DEL FILOSOFO DI PORTICELLO La cosiddetta Testa del Filosofo è ciò che rimane di una scultura bronzea, verosimilmente di provenienza magnogreca e databile alla seconda metà del V secolo a.C. La testa fu ritrovata nel 1969 in un relitto trovato in mare davanti alla spiaggia di Porticello, frazione a nord di Villa San Giovanni (RC). L’opera è conservata al Museo nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria. La scultura è in parte danneggiata: manca l’occhio sinistro e parte dei capelli sulla nuca, dove vi è traccia di un cordone che doveva cingere la testa. Insieme alla statua sono stati ritrovati lacerti costituiti dallo stesso materiale di fusione appartenenti ad una mano e ad un mantello, la cui presenza ha indotto a ritenere che l'opera rappresentasse un filosofo o un letterato dell'antica Grecia. Secondo gli studi più recenti, la testa sarebbe parte di una statua raffigurante Pitagora di Samo simbolo per la città di Reggio di una indipendenza e fermento culturale ritrovati; e faceva parte del bottino con cui Dionisio di Siracusa avrebbe pagato i mercenari dopo la presa di Reggio del 386 a.C. Risultano infatti tra le altre cose evidenti segni che la testa indossasse un turbante, elemento iconografico ricorrente nella tradizionale raffigurazione del celebre filosofo e matematico. Inoltre altre parti della statua custodite sempre al museo di Reggio attestano la posa tipica con cui veniva raffigurato Pitagora.

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TESTA DEL FILOSOFO DI PORTICELLO 2022 - Tecnica Mista su Juta grezza - 120x75 cm 21


TESTA DI BASILEA Recuperata nel novembre 1969 nelle acque di Porticello (Villa San Giovanni, Reggio Calabria), all’imboccatura settentrionale dello Stretto di Messina, la cosiddetta “Testa di Basilea” fu trafugata e immessa sul mercato antiquario, giungendo infine all’Antikenmuseum di Basilea, dove però non fu mai esposta. La testa apparteneva al carico di una nave oneraria affondata intorno al 400-375 a.C., che insieme a diverse mercanzie (anfore e derrate, pani di argento e lingotti di piombo), trasportava una serie di frammenti di statue in bronzo – tra cui il noto “Filosofo di Porticello” – già intenzionalmente fratturati e destinati a una seconda fusione. La testa, di dimensioni appena superiori al vero, rappresenta una figura maschile matura, barbata. In origine essa apparteneva, secondo le convenzioni artistiche dell’età classica, a una statua a figura intera, dalla quale è stata divelta a colpi di martello, come si evince dalla frattura alla radice del naso, che interessa anche gli occhi. I corti capelli formano una massa compatta e spessa aderendo alla scatola cranica, rotondeggiante; il loro disegno è regolare nell’insieme, sciolto e libero nel particolare, con un esito naturalistico. I capelli generano un vortice sulla sommità del cranio e si dispongono con una certa libertà, verso la fronte e sulla nuca, in brevi ciocche ondulate, a virgola, a esse, a fiammella, ravviate verso destra o sinistra e a volte sovrapposte; esse sono singolarmente distinte e scandite, all’interno, da incisioni parallele (in genere da due a quattro, secondo lo spessore delle ciocche). Terminano in alto sulla nuca; posteriormente la loro direzione si fa tendenzialmente verticale, mentre dietro le orecchie alcune hanno un andamento a falce e sono pettinate all’insù. L’opera è conservata al Museo nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria.

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TESTA DI BASILEA 2022 - Tecnica Mista su Juta grezza - 125x80 cm 23


CRONIDE DI ARTEMISIO Il Cronide di capo Artemisio è una statua bronzea (h. 209 cm) dell’antica Grecia, databile al 480-470 a.C. circa e conservata nel Museo archeologico nazionale di Atene. Fu ritrovata nei fondali marini antistanti capo Artemisio, nell’odierna Eubea, ed è una delle pochissime opere bronzee originali che ci sono giunte. Il ritrovamento della statua avvenne nel 1926, anche se il recupero fu completato nel 1928. Essa si trovava nei pressi di un relitto databile intorno al 200 a.C., del quale si sa poco, in quanto la spedizione di recupero fu interrotta a causa della morte di un sub e mai più ripresa. Si presume che la nave fosse di origine romana, una delle tante navi che all’epoca solcavano quei mari per portare elementi di arte greca verso Roma. Anche se così fosse, a causa dell'interruzione dell'operazione di recupero, non è ancora chiaro se la statua fosse imbarcata sul vascello o no. La statua rappresenta una figura maschile nuda protesa probabilmente nel lancio di un fulmine in avanti: guardando il busto frontalmente, le gambe sono saldamente poggiate a terra e ruotate verso sinistra. Il peso del corpo è sulla gamba sinistra e con quella destra, invece, cerca di darsi la spinta. Le braccia sono entrambe distese all'altezza delle spalle e il volto è ruotato sempre verso sinistra fissando un obiettivo. Il braccio sinistro è nell'atto di prendere la mira e quello destro è teso indietro, ma non è chiaro cosa la statua dovesse tenere nella mano destra, forse un fulmine oppure un tridente (si tratterebbe quindi di una figura di Zeus o, rispettivamente, di Poseidone, entrambi figli di Crono, da cui il nome Cronide), o qualcos’altro. Il volto barbuto e con l'acconciatura finemente cesellata è tipico delle statue di divinità.

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CRONIDE DI ARTEMISIO 2022 - Tecnica Mista su Juta grezza - 110x70 cm 25


EFEBO DI MARATONA L’Efebo di Maratona è una scultura greca bronzea datata all'incirca al 340-330 a.C. rinvenuta nel mar Egeo al largo della baia di Maratona nel 1925, da allora è conservata al museo archeologico nazionale di Atene. Il soggetto ritratto potrebbe essere il vincitore di una gara di atletica leggera ai giochi olimpici antichi; grazie alla muscolatura alquanto morbida e all'esagerato contrapposto, il suo stile è stato immediatamente associato con la scuola di Prassitele. Il braccio alzato e la distribuzione del peso indicano che nel suo contesto originale questa raffigurazione di efebo doveva star appoggiata ad un supporto verticale, che poteva essere ad esempio una colonna andata perduta. La statua è stata recuperata dal fondo marino nel mese di giugno 1925, dopo essersi impigliata tra le reti dei pescatori di spugne locali. Un’esplorazione approfondita condotta nel 1976 da un team franco-britannico è riuscita a individuare la “nave relitto” sul luogo della scoperta. È possibile che la statua avesse appena decorato la villa di Erode Attico con vista sulla baia. La scultura rappresenta un ragazzo nudo in piedi a grandezza leggermente inferiore a quella naturale, misurando un'altezza di 130 cm. Il suo atteggiamento risulta essere abbastanza complesso; appoggiato sulla gamba sinistra, il piede della gamba libera è posto dietro, sul bordo, secondo le regole del contrapposto di Policleto. L’ondeggiare delle anche è tuttavia più pronunciato che in quest'ultimo, e il design dei muscoli - sporgenti nel petto e nella parte inferiore del ventre - è invece meno marcato. La testa, rivolta verso sinistra, indossa una fascia che è attaccata ad una forma di foglia decorativa del tutto simile ad un corno. Il braccio con la mano sinistra sta a mezz’aria come galleggiando nello spazio, leggermente piegato il braccio destro è sollevato sopra la testa, mentre quello sinistro è bloccato lungo il torace, con l'avambraccio piegato ad angolo retto. Gli occhi sono in pietra bianca, mentre le iridi vengono rappresentate da un disco di pasta di vetro giallo chiaro; la pupilla è invece andata perduta. Sono stati inserite lunghe ciglia sotto le palpebre. I capezzoli sono intarsiati di rame puro.

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EFEBO DI MARATONA 2022 - Tecnica Mista su Juta grezza - 110x70 cm 27


EFEBO DI FANO L’Atleta di Fano, Atleta vittorioso, Atleta che si incorona o Lisippo di Fano, conosciuto negli Stati Uniti anche come Victorious Youth (Giovane vittorioso), è una scultura bronzea, datata tra il IV e il II secolo a.C., attribuita, su base esclusivamente stilistica, allo scultore greco Lisippo o a un suo allievo. Il bronzo fu ripescato casualmente al largo di Fano, il 14 agosto 1964, da un peschereccio italiano e fu acquistato dal Getty Museum di Malibù nel 1977 e tuttora è ivi esposto. La storia critica ebbe inizio nel 1978 con la pubblicazione di Jiri Frel che attribuì l’opera a Lisippo, attribuzione contestata a partire dal 1983 da Frédéric Louis Bastet e nel 1993 da Luigi Todisco i quali preferirono assegnare il bronzo ad ambito lisippeo piuttosto che al maestro stesso. Le dimensioni della statua sono in altezza (misurata dal capo al polpaccio, dato che i piedi non sono presenti) 151,5 cm, in larghezza 70,0 cm e in profondità 28,0 cm . Quindi le dimensioni erano proporzionate al vero. Il giovane atleta è rappresentato in nudità eroica. La statua si presenta con la base mancante sino all'altezza delle caviglie, forse i piedi si sono staccati nel momento in cui la statua si è impigliata nella rete del peschereccio che ne ha effettuato il recupero, ma non è escluso che la rottura sia da ricondurre in età antica al momento del naufragio della nave che trasportava l’opera verso occidente. Gli occhi, mancanti, furono probabilmente realizzati separatamente in pietra colorata o pasta vitrea e inseriti a fusione ultimata, mentre i capezzoli sono in rame. Il braccio sinistro si distende lungo il fianco, il braccio destro è alzato, con il gomito all'altezza della spalla e la mano all’altezza della fronte.

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EFEBO DI FANO 2023 - Tecnica Mista su Juta grezza - 140x90 cm 29


SATIRO DANZANTE Il Satiro danzante è una statua bronzea, prodotto originale dell'arte greca di epoca classica o ellenistica. La scultura rappresenta un sileno, ma ormai per opinione comune esso viene definito un satiro, essere mitologico facente parte del corteo orgiastico del dio greco Dioniso. L’opera, di dimensioni superiori al vero, pari ad un modello in posizione stante di circa 2.5 metri di altezza, è attualmente ospitata presso l'omonimo museo di Mazara del Vallo, nella Sicilia occidentale. La storia del ritrovamento della statua inizia nel luglio 1997, quando il peschereccio “Capitan Ciccio”, appartenente alla flotta marinara di Mazara del Vallo e comandato dal capitano Francesco Adragna, forse casualmente, ripesca dai fondali del Canale di Sicilia una gamba di una scultura bronzea. Nella notte fra il 4 e il 5 marzo 1998 lo stesso peschereccio riporta a galla, da 500 metri sotto il livello del mare in cui era adagiata, gran parte del resto della scultura, perdendo nel recupero un braccio. Il Satiro Danzante di Mazara del Vallo è l’emblema della bellezza mediterranea. La preziosa statua bronzea, databile sul finire del IV secolo a.C. ed attribuibile alla scuola del grande artista, Prassitele, è esposta nel Museo di Sant’Egidio di Mazara del Vallo.

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SATIRO DANZANTE 2023 - Tecnica Mista su Juta grezza - 140x80 cm 31


TESTA DI APOLLO Quella mattina del 2 dicembre 1930 fu indimenticabile per il pescatore salernitano che, tirando la rete sulla barca, caricò un oggetto enorme e pesante. Era completamente incrostato, quasi irriconoscibile, ma l’intuito gli disse che era qualcosa di insolito e di valore. Non lo rigettò in mare e decise di portarlo sulla terraferma. Aveva appena pescato la testa di un Dio rimasto per più di duemila anni sul fondo del mare. Per giunta, con i suoi cinquanta centimetri di sola testa, doveva essere una parte di una statua dalle dimensioni colossali. Probabilmente fu modellata tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., quando Salernum era una città romana. Non sappiamo quale sia stata la sua storia e perché è finita in quel punto del mare. L’unica certezza è che oggi la testa è stata restituita ai suoi antichi splendori. L'opera è conservata al Museo Archeologico di Salerno.

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TESTA DI APOLLO DI SALERNO 2023 - Tecnica Mista su Juta grezza - 105x75 cm 33


EFEBO DI ANTICITERA La maestosa statua in bronzo nota come “Efebo di Anticitera” è attribuita a Eufranore e datata intorno al 340/330 avanti Cristo. La statua è alta un metro e novantasei centimetri, ed è stata ritrovata in numerosi pezzi e ricomposta in modo definitivo nel 1953. Nell’ottobre del 1900 un gruppo di pescatori di spugne condotti dal capitano Dimitrios Kondos aveva deciso di attendere presso l’isola che passasse la violenta tempesta che aveva ostacolato il loro rientro in Grecia dall'Africa. Mentre aspettavano, decisero d'immergersi in cerca di spugne. Il primo a posare lo sguardo sul relitto, giacente ad una profondità di sessanta metri fu Elias Stadiatis, che chiese immediatamente di essere tirato su. Egli descrisse la scena come un cumulo di cadaveri decomposti di uomini e di cavalli, giacenti sul fondo marino. Il corpo è solido nella muscolatura e perfettamente bilanciato nei suoi movimenti. Il bellissimo giovane è saldamente piantato sulla gamba sinistra, con la destra flessa alla fine del passo, ha il braccio sinistro steso lungo il corpo e il destro teso a sostenere il discusso oggetto, oggi scomparso. Particolare è lo sguardo dell’eroe, che conserva gli espressivi occhi in pasta vitrea, così importanti per dare vita all’opera. L'opera è conservata al Museo Archeologico Nazionale di Atene.

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EFEBO DI ANTICITERA 2023 - Tecnica Mista su Juta grezza - 140x80 cm 35


TESTA DEL FILOSOFO DI ANTICITERA Tutto comincia nell’ottobre del 1900 allorquando un gruppo di pescatori di spugne scopre casualmente presso l’isola di Anticitera, in Grecia, il relitto di una nave che conteneva numerosi manufatti di bronzo e marmo, anfore e monete. Furono così riportate alla luce numerose statue e frammenti di esse tra le quali – per citare le opere più significative dal punto di vista artistico – una “Testa di Filosofo”, un “Lanciatore di disco”, un “efebo bronzeo”, un Eracle e molti altri manufatti. La nave, al cui interno si trovavano opere d’arte risalenti tra il IV e il I secolo a.C., secondo una prima ipotesi trasportava a Roma, nell’anno 86 a.C., una parte del bottino del generale romano Lucio Cornelio Silla. Ritrovamenti successivi (anfore, stoviglie e monete) risalenti fino al 50 a.C, hanno più tardi indotto a ritenere che la nave oneraria affondata stesse facendo rotta verso Roma forse per arricchire il trionfo di Giulio Cesare. La scoperta più sensazionale e misteriosa avvenne comunque allorquando, ci si accorse che numerosi pezzi di bronzo presentavano iscrizioni e ruote dentate. A tale insieme, integrato da numerosi altri recenti ritrovamenti (2006), venne dato il nome di “Macchina” o “Meccanismo” di Anticitera oggi considerato come un calcolatore meccanico, un planetario mosso da ruote dentate che serviva a calcolare il sorgere del sole, gli equinozi, i mesi, le fasi lunari, le eclissi e i movimenti dei cinque pianeti al tempo conosciuti nonché le date dei giochi olimpici. L’opera è conservata al Museo Archeologico Nazionale di Atene.

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TESTA DEL FILOSOFO DI ANTICITERA 2023 - Tecnica Mista su Juta grezza - 140x80 cm 37


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Hanno detto...

Nella sua ricerca artistica Elvira Sirio è da sempre orientata nella costruzione della figura di cui sa rappresentare fedelmente volti e corpi. In questo suo approccio, a quella che da sempre è stata la tradizione, è capace di affidare al suo modellato un significato di contemporaneità, in quanto le sue opere diventano proprio espressioni di emozioni che si possono cogliere attraverso questo connubio di materia e forma. In effetti, la poliedricità dell’artista sta proprio nel non concentrarsi unicamente su una delle arti, ma nel poter saggiare tutte le espressioni e le tecniche. Nello stesso tempo, in questa contemporaneità, lei rimane fedele alla sua cultura, in cui anche nelle forme riusciamo a percepire toni, colori, dinamiche celebrative e reinterpretazioni. Un dinamismo, insomma, in cui la forma concede una comunicazione esemplare. MARIO GAUDENZO Elvira Sirio, arte come bellezza assoluta a partire dalla storia. La sua grande passione per il Mediterraneo l’ha portata ad amare non solo l’ambiente ma anche e soprattutto la cultura in ogni sua manifestazione. Elvira Sirio è nata e cresciuta circondata dalla bellezza, dalla bellezza della natura di quel Mediterraneo che è padre e ambiente, che determina la vita e apre infinite possibilità, sogni e storie a partire dalla storia con la “S” maiuscola, e dalla bellezza della cultura che ha segnato il sapere italiano e mondiale. Il suo percorso è vario e articolato: da una pittura figurativa ad una legata a temi geometrici e informali, dove il colore regna sovrano fino ad approdare alla scultura dove si esprime ad altissimi livelli. La sua produzione più recente la porta a concretizzare l’anima del Mediterraneo nella cultura che lo ha caratterizzato, la cultura degli antichi greci che ha lasciato un’eredità di Bellezza. Elvira Sirio è affascinata da tanto splendore, lo splendore che la circonda, che lei ha deciso di promuovere e di divulgare con la sua arte contemporanea. È autrice attenta e appassionata che promuove la Bellezza partendo dalla storia. ANNALISA PUNTELLI SACCHETTI 39


Elvira Sirio, pittrice, scultrice, ceramista manifesta nelle sue forme plastiche una spontanea tensione verso un assoluto simbolico di sentimenti e realtà interiori rispecchiati in un canone espressivo di stampo realista e romantico. La sincera veridicità di pose, atteggiamenti, sguardi è talvolta venata di accenti metamorfici, sintesi degli elementi, che nell’essenzialità puntano a raggiungere l’essenza, quel fulcro emotivo da cui scaturisce l’idea che si concretizza quindi nel manufatto, il quale assume ai nostri occhi un valore trascendentale, oltre l’oggetto. La grande perizia tecnica si sposa al rilievo particolare dato alla figura la cui facoltà creativa diviene potenzialità visionaria di oltrepassare lo spazio e il tempo, soffermandosi in una dimensione indefinita, per riflettere concetti, sentimenti, principi universali innati alla natura dell’uomo. MARIA PALLADINO La poetica di Elvira Sirio nasce dalla rappresentazione della natura nelle sue molteplici manifestazioni e formazioni visive. La figura umana, nelle opere dell'artista, si eleva per andare oltre il tangibile, alla ricerca di una sintesi che materializza emozioni e sensazioni attraverso linee, forme e colori, suscitando nello spettatore delle riflessioni sull'essere e divenire. All’artista non interessa una descrizione della realtà cosi come appare ai nostri occhi, ma la ricerca di un'interpretazione di quest'ultima in chiave intima e personale. La pittura è il mezzo attraverso il quale incidere la propria natura sulla tela con il gesto e l'azione pittorica, ma non solo, in un trionfo di tormento ed estasi in continua mutazione e definizione, indagare la natura, il suo complesso modo di rivelarsi, evolversi, svilupparsi e modificarsi. Una natura che è il tutto ed il niente, è l'uomo e la sua complessa macchina vitale che lo attornia e circonda. Questa natura assurge a simbolo, a mezzo attraverso il quale poter esprimere emozioni, impulsi, ma soprattutto sensazioni, a volte più leggere ed altre volte più forti, che il rapporto con le sue importanti manifestazioni ci può concedere. Elvira Sirio dipinge di getto, in modo spontaneo e sincero. Passioni e idee, così, vengono proiettati in una realtà che indica la sua vera essenza. ARPINÈ SEVAGIAN

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Le opere di Elvira Sirio sono manifestazione di sana volontà narrativa. L’abilità tecnica dell'artista si esprime nell'accuratezza del disegno, nella finezza dei rapporti cromatici, nel realismo delle sfumature e dei chiaroscuri. La pittrice accosta i pigmenti a volte eccedendo positivamente nei toni, lasciando che il quadro racconti dialoghi in una dimensione narrativa che non trascende mai nelle allusività dell'iperrealismo. La luce che avvolge i suoi dipinti evoca messaggi, rimanda a ipotetici presagi e allusività metafisiche. Di notevole efficacia è il contrasto che si genera tra il realismo figurale e l'illusorietà che si dipana dal contesto narrativo, che lascia aperta la decodifica di un'immagine pur riconoscibile, ma immersa in un'atmosfera di inafferrabile sospensione. LEONARDA ZAPPULLA Quella di Elvira Sirio è una figurazione che afferma la propria riconoscibile contemporaneità attraverso immagini modellate con senso armonico che lasciano trapelare il colloquio intimo e poetico che l'artista ha instaurato con la materia da plasmare. Le sue sculture emanano vitalità e i soggetti diventano l'espressione sublimata di un'emozione.I suoi volti si caricano di un'emotività talmente intensa da risultare immagini bloccate in un attimo eterno, in perfetto connubio plastico ed espressivo. Sono presenze che evocano impulsi e sentimenti appartenenti ad un lirismo introspettivo, sospese tra una dimensione immaginaria e una contingente, affermano la propria soave consistenza nello spazio entrando nel rapporto comunicativo con il loro fruitore. La bellezza e la delicata sensualità delle forme viene trattata con una fluidità di realizzazione che travalica la tangibilità della materia per esaltare un plasticismo fatto di grazia e leggiadria. MONICA FERRARINI Elvira Sirio è una delle maestre d’arte più complete dell'attuale panorama artistico italiano. Scultrice, pittrice, espressionista, astrattista, realista, Sirio ha dalla sua una forte caratura tecnica, esperienza e vena creativa notevole, alimentata da una visione del mondo ricca di emozioni e sentimenti. Sirio coglie le vibrazioni invisibili delle frequenze che si muovono nell’aria, le cattura attraverso le percezioni per 41


elaborarle e reinterpretarle in opere d'arte. Le sue statue sono suggestivi esempi di dinamismo, le sue donne sono estroflessione di sé, dei suoi stati d'animo, ma anche racconto delle dinamiche legate al mondo delle donne. L'artista si caratterizza per la vivacità del colore, sempre presente, puntuale, meta comunicativa. In Sirio, infatti, il colore è un elemento che comunica sensazioni, angosce, paure, tormenti esistenziali vissuti dalle protagoniste delle opere realizzate dall'artista. L’arte di Sirio è un raffinato racconto di bellezza, nella duratura indagine della storia dell'uomo e delle sue dinamiche che l'artista porta avanti anche mediante un filone astratto ricco di energia e colore, in linea con tutto il suo percorso artistico. Perchè Sirio è un'eterna ragazza dell'arte, piena di dinamismo e di vivacità, di energia positiva con cui cerca di colorare il mondo proponendo stili e raffinatezza. PASQUALE DI MATTEO Artista poliedrica, di elevata caratura e profonda conoscenza delle tecniche, Elvira Sirio si dedica con perizia alla pittura con incisività alla scultura e con raffinata eleganza alla ceramica. Nella pittura, Elvira, con esplosioni di colori, crea opere informali di grande impatto visivo, mentre alternando luci e ombre, cromie armoniose, pennellate decise e sicure, porta sulle tele scene di vita quotidiana, rappresentazione figurative cariche d'intensità, emozioni e rivelazioni di verità che scaturiscono dalla sua profonda sensibilità e poetica visione. Nella scultura e nella ceramica, l’artista è padrona della materia, sa lavorare ed amalgamare la pasta con professionalità, ottenendo da esse figure altamente qualitative, permeate di una luce che mette in evidenza la vitalità pulsante di esse. Elvira Sirio, maestra indiscussa nelle arti visive, può essere annoverata tra i protagonisti dell'arte contemporanea. MARIO NICOSIA

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ISBN: 9791280343895

Studio Byblos Publishing House studiobyblos@gmail.com ‐ www.studiobyblos.com Palermo ‐Novembre 2023



ELVIRA SIRIO

MARE NOSTRUM

EURO 30,00

Studio Byblos


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