VITA TRAGICOMICA
DI PROVINCIA
Studio Byblos Luca De NapoliProprietà letteraria riservata
© De Napoli Luca
ISBN: 9791280343888
Aprile 2024
Vita tragicomica di provincia è un concept letterario formato da dieci racconti brevi, che catturano, come in piccoli fotogrammi, alcune problematiche della vita dei borghi della provincia di Bari.
Le questioni affrontate sono molte: l’impossibilità di scrollarsi di dosso uno stigma sociale; la piaga della ludopatìa; il fenomeno delle aspiranti influencer che vivono ormai in una realtà parallela; l’alimentazione sregolata e la religiosità superstiziosa dei nuclei famigliari più ottusamente all’antica; la difficoltà per i giovani di trovare lavoro; i fenomeni dello scarso rendimento scolastico e delle logiche clientelari; la criminalità legata allo spaccio di droga; il pregiudizio e il disprezzo nei confronti dei mendicanti e di quanti vivono ai margini della società; il difficile rapporto tra le vecchie e le nuove generazioni; le liste d’attesa interminabili di una sanità pubblica che vira sempre più sul privato; l’ipocrisia velata di perbenismo di parte dell’alta società; gli orizzonti ristretti dei ragazzi che abbandonano gli studi per il mito del guadagno immediato; lo spopolamento dei paesini e il fenomeno della denatalità.
Questi temi sono trattati ricorrendo allo stile della tragicommedia, risultando divertenti con profonde venature drammatiche.
Vita tragicomica di provincia è un lavoro appositamente pensato per letture teatrali.
Un ringraziamento speciale ad Antonia Sardone e Stefania Caforio della polpetteria-vineria “Barra 4” di Acquaviva delle Fonti per il loro prezioso contributo alla stesura dei racconti. Introduzione
Un nuovo cognome
Un nuovo cognome
Maria Laputtana.
Registrata così all’anagrafe di Acquaviva delle Fonti.
Suo padre, Domenico Laputtana, era uno dei signori più distinti del paese, impegnato in parrocchia e nella Caritas Diocesana.
Una famiglia stimata, a dispetto del cognome imbarazzante.
Una croce pesante, fin dalle scuole medie.
La professoressa Musci, a differenza delle sue colleghe più accorte, che chiamavano la bambina per nome, la esponeva puntualmente alla pubblica infamia.
“Oggi voglio interrogare…Laputtana!”
Risate generali tra i banchi.
“La porti in questura, Prof!”
Maria nascondeva il viso dietro il libro di storia.
La professoressa attaccava con il pippone sull’importanza del rispetto.
Una toppa peggiore del buco.
Inutile dire che la sua vita affettiva era stata un disastro.
Una volta c’era stato un ragazzo che aveva osato sfidare il muro del pregiudizio sociale, fidanzandosi con lei.
Andrea Giardino le voleva sinceramente bene.
Non ci volle molto però, perché i maligni realizzassero che, una volta sposata con Andrea, la giovane sarebbe diventata “Laputtana in Giardino”.
Quando la ragazza si presentava per bere un cocktail al bar del paese, i camerieri la canzonavano.
“Il giardino è da quella parte Maria”.
Andrea non sopportò a lungo la gogna, e dopo un paio di settimane la lasciò.
Maria si era data un gran da fare per costruirsi una posizione sociale di rilievo, e ottenere così quella stima e quel rispetto che l’anagrafe le aveva negato.
Era diventata un’impiegata dell’ufficio comunale, sezione reclami e lamentele.
Purtroppo, nel pubblico impiego, i funzionari sono chiamati per lo più con il cognome.
I colleghi non aspettavano altro che le telefonate da passare alla figlia di Domenico.
Quel lunedì, come sempre, cominciò per la donna il calvario settimanale.
“Buongiorno, parlo con Laputtana?”
Grasse risate dietro agli sportelli.
Da qualche tempo Eustachio Morgante, il capofila delle prese in giro e degli sfottò, aveva impostato il vivavoce per le chiamate in entrata.
“No, Laputtana non sono io, Laputtana è la mia collega”.
“Ma ora è disponibile?”
“Certo, Laputtana è sempre disponibile. Gliela passo subito…”
Maria prese la cornetta dalle mani di Eustachio, rispondendo con una gentilezza venata di rabbia furiosa.
“Buongiorno, sono Maria, mi dica”.
“Maria chi? Laputtana?”
“Vada al diavolo!” Gridò l’impiegata, con uno scatto d’ira che fece volar via tutti i fogli dal tavolino.
“Ma Laputtana...”
“Della miseria!”
Maria sbatté con forza il ricevitore, chiudendo le comunicazioni.
Dato che il lavoro al Comune si era rivelato un mezzo fiasco nel guadagnarle il rispetto che cercava, la donna si era persa nei meandri della ludopatìa.
Al tabaccaio di Via Roma la conoscevano bene, perché dilapidava centinaia di euro in grattini e giocate all’Enalotto.
Grattava in continuazione, sperando nel colpaccio che l’avrebbe resa ricca, strappandola all’infame identità di povera e bistrattata impiegata di provincia.
L’Agenzia delle Entrate, nel corso dell’estate, aveva indetto una lotteria per soli dipendenti pubblici.
Lei ovviamente partecipò, comprando dieci biglietti.
Dopo le vacanze estive, ai primi di settembre, riprese il suo calvario quotidiano.
“Buongiorno, sono il Dottor Pappone, devo parlare urgentemente con Laputtana”.
I colleghi si tenevano le mani sulla bocca per non esplodere.
Eustachio Morgante fiutò subito quello che aveva tutta l’aria di essere il numero comico dell’anno.
“Mi dica, Pappone, Laputtana non ha svolto bene il suo lavoro?”
“No, non ci siamo proprio. Laputtana mi ha combinato un bel guaio ieri pomeriggio”.
“Il cliente non è rimasto soddisfatto dei servizi di Laputtana?”
“No, il cliente è andato su tutte le furie”.
Eustachio, tra le risa isteriche dell’intero ufficio reclami, passò il ricevitore a Maria, che lo tirò via dalle sue mani senza neanche guardarlo in faccia.
Fu l’ultima goccia.
Il 10 ottobre l’ufficio anagrafe restituiva a Maria Lofante la dignità perduta.
Carta d’identità nuova di zecca, così anche patente e passaporto. Ogni traccia del suo vecchio cognome scomparve nel nulla.
Al Comune si spensero gli animi, come al termine della festa patronale. “Buongiorno, vorrei parlare con Lofante, per cortesia”.
Eustachio le passava le chiamate con l’espressione triste di un vecchio comico di Zelig ormai fuori dal giro, mentre Maria brandiva la cornetta a mo’ di vittorioso trofeo di guerra.
Il 3 gennaio si tenne l’estrazione della lotteria dell’Agenzia delle Entrate.
Non appena sul sito apparvero le cifre della combinazione vincente, la figlia di Domenico divenne bianca come un cencio.
Corse a controllare i suoi biglietti per sicurezza.
Lo 0946812 era il terzo che aveva acquistato in ordine di tempo.
In preda all’euforia ritornò sul sito per dare un’occhiata al montepremi:
un assegno di 500.000 euro da ritirare nei pressi della sede più vicina.
Dirigendosi alla volta di Gioia del Colle in sella alla sua panda verde, la donna immaginava la sua nuova vita da ricca.
La villa d’epoca accanto alla piazzetta di Padre Pio era troppo banale, meglio la Tenuta signorile sulla via per Sannicandro.
Come macchina un SUV poteva andar bene. Magari una Lamborghini, per dare più nell’occhio.
L’avrebbero invidiata tutti, tutti.
Con gli occhi ancora accesi di sogni, Maria arrivò di gran carriera allo sportello per incassare l’assegno.
“Buongiorno, Maria Lofante, ho vinto il primo premio della lotteria dell’Agenzia delle Entrate per dipendenti pubblici”.
“Documento e biglietto, prego”.
La giovane tirò fuori le carte dalla borsa, con le mani che tremavano per l’eccitazione.
L’impiegata dell’Agenzia fece un breve controllo nel database.
“Il biglietto vincente risulta venduto a Maria Laputtana, non a Maria Lofante”.
“Ho cambiato cognome all’anagrafe tre mesi fa”.
“Mi dispiace signorina, i biglietti della nostra lotteria sono rigorosamente nominativi, temo di non poterla aiutare”.
Maria si bloccò. Sul suo viso apparve una smorfia a metà tra un sorriso spezzato e una paresi da ictus.
“Per…per cortesia…potrebbe consultarsi con il suo capo? Sono io…ero io Laputtana…”
Le parole quasi biascicate, l’occhio vitreo di un malato in fin di vita.
Dopo pochi minuti di riunione a porte chiuse, il capoufficio si presentò molto serio allo sportello.
“Mi rincresce signorina, ma la riscossione della vincita è tassativamente legata al nominativo fornito al momento dell’acquisto dei biglietti. Il nome della sua carta d’identità non corrisponde a quello presente nel database, quindi non possiamo aiutarla in alcun modo”.
Un fremito percorse la schiena di Maria. La rabbia per poco non l’accecò.
“Sono io Laputtana! Sono Maria Laputtana!” Gridò disperata.
Tutti i presenti si voltarono a guardarla, esterrefatti.
Una corale, fragorosa risata proruppe nei locali dell’Agenzia.
Maria si guardò attorno incredula, con lo sguardo perso, tra quei volti deformati dal gran ridere.
Tornò a fissare, sul documento, la sua nuova identità.
Maria Lofante, una povera e bistrattata impiegata di provincia.
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