Guido Antoni
mostra antologica nel novantesimo dalla nascita
COMUNE DI MUGGIA Mostra realizzata con il contributo della
Guido Antoni Mostra antologica nel novantesimo dalla nascita Muggia (Trieste) Sala comunale d’arte “Giuseppe Negrisin” Museo d’arte moderna “Ugo Carà” 18 dicembre 2009 - 31 gennaio 2010 Mostra promossa da Comune di Muggia Assessorato alla Cultura Con il contributo di Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia Mostra e catalogo a cura di Franco Savadori Coordinamento generale Barbara Negrisin Segreteria amministrativa e organizzativa Isabella Bembo Lucia Toncich Carmen Stoch Referenze fotografiche Archivio Antoni Claudio Collino Grafica Media Com Monfalcone Allestimento Media Com Monfalcone
Si ringraziano la Signora Maria Antoni e Enrico Toffoli per la preziosa collaborazione
Guido Antoni mostra antologica nel novantesimo dalla nascita
Guido Antoni all’Arte Fiera di Basilea nel 1981 con il gallerista tedesco Wilfred Lambrecht
Con la mostra dedicata a Guido Antoni il Comune di Muggia rende omaggio a un protagonista dell’arte contemporanea e ad un grande interprete dello "spazialismo", il movimento che a metà del secolo scorso ha innovato il linguaggio della pittura e della scultura, collegandolo idealmente ai progressi scientifici. Che Antoni sia stato un pittore "spaziale" lo testimoniano non solo i dipinti, esposti nell’estate del 1969 per la rassegna "L’uomo sulla Luna", ma le sue stesse dichiarazioni, dalle quali trapela tuttavia che il suo personale itinerario oltre l’astrattismo e il realismo ha avuto i contorni del cammino interiore. Un percorso umano ed artistico che lo stesso Antoni ha spiegato con queste parole: "La mia ricerca, in realtà, è una derivazione dello spazialismo in rapporto al cammino di fede che ho intrapreso tanti anni fa. E’ un itinerario che ho sentito nascere in me e al quale ho dato forma nel modo che mi era proprio. Se fossi stato uno scrittore l’avrei descritto. Essendo un pittore, ho cercato di rappresentarlo". Personalità poliedrica e versatile Antoni non si è dedicato solo a soggetti astratti, ispirati allo spazio, all’universo, al caos, ma ha percorso anche strade parallele, come dimostrano i ritratti e le eleganti tele del "ciclo delle dame"; le vele e gli scarni paesaggi carsici; i "capricci" e le positive esperienze nell’ambito dell’illustrazione e della grafica, segni di una ricchezza espressiva e, soprattutto, di una notevole versatilità d’ingegno. Due tratti distintivi che hanno portato Antoni a realizzare opere che hanno fatto il giro del mondo e che sono state accolte da pinacoteche, musei e collezioni di città come Stoccolma, Madrid, Londra, Parigi, New York, Mosca. Riconoscimenti prestigiosi ai quali si aggiunge, oggi, quello più intimo e affettivo della sua città di adozione. Con la mostra antologica, allestita a 90 anni dalla nascita, Muggia esprime l’intensità di un legame che consente a noi tutti di scoprire una originale e sorprendente avventura artistica. Un’avventura che lo stesso Antoni ha così descritto: "Durante l’arco di tutta la mia vita ho dedicato le mie energie alla pura pittura, senza preconcetti, faziosità o smanie corporative. Ho saputo stare con tutti, proprio perchè, alla resa dei conti, non sono mai stato con qualcuno se non con me stesso". Una testimonianza che costituisce anche il filo conduttore di questa mostra, che non mancherà di avvincere, stupire, appassionare e sorprendere.
Roberto Molinaro Assessore regionale istruzione, formazione e cultura
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È con una punta d’orgoglio che presento questo appuntamento espositivo che consente a Muggia, una volta ancora, di scoprire e riscoprire Artisti che molto hanno donato alla città e che intrinsecamente fanno parte della sua storia, pur essendo di levatura internazionale. Guido Antoni con la sua produzione ha attraversato un secolo, ha creato a partire dagli anni Trenta del Novecento sino agli anni del XXI secolo migliaia di opere fissando nelle tele non solo la sua fede nella vita, riconosciuta dopo le tragiche esperienze della Guerra, ma i cambiamenti di un’epoca; L’incontro con Guido Antoni, con le sue opere, con il suo vasto mondo in continua evoluzione, che ha attraversato il tempo assumendo espressività diverse legate proprio ai mutamenti, alle tensioni, ai pensieri che, mutevoli, sottolineano il naturale evolversi dell’Uomo e della società in cui vive rappresenta il riconoscimento dell’impegno di questa amministrazione verso l’arte e la cultura come espressioni del conoscere. Seconda mostra antologica di grande caratura dopo quella consacrata a Giuseppe Negrisin, l’esposizione di Guido Antoni, in occasione dei novant’anni dalla nascita, vuole essere un modo per continuare a ripercorrere la storia e la cultura attraverso l’arte, indagando la figura di Artisti che hanno saputo tradurre la loro singola esperienza umana in un’importante atto creativo, lasciando a tutti noi una preziosa eredità da preservare, salvaguardare e trasmettere.
Nerio Nesladek Sindaco del Comune di Muggia
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SOMMARIO
Premessa Franco Savadori Guido Antoni: dagli inizi ai cicli spaziali; l’opera del pittore tra memoria e critica Franco Savadori Opere Mostre Personali (selezione)
Premessa Franco Savadori Sono riuscito a conoscere di persona l’uomo e l’artista Guido Antoni in tempi relativamente recenti. Per quanto la sua arte mi avesse istintivamente colpito sin dalla prima gioventù e per quanto fossimo concittadini, il destino aveva deliberato, con mossa saggia ed oculata, che il nostro incontro non si sarebbe concretizzato prima dell’avvento del nuovo millennio . Così , quando il contatto è finalmente avvenuto , io ero sufficientemente adulto per poter esprimermi senza ritrosie o timidezze con il vecchio maestro pittorico oramai più che ottuagenario, che da par suo non ha avuto incertezze o reticenze nel soddisfare ogni pur mia minima curiosità, aprendomi centinaia e centinaia di dossier mnemonici, lì, d’innanzi alle mie orecchie attente e curiose. Lunghe ore di conversazioni serrate, tra caustica ironia e solida memoria storica, tese a ripercorrere una ricerca estetico filosofica durata quasi settant’anni, strenuamente perseguita ed artisticamente voluta. L’uomo che un tempo era noto per la sua sferzante e salace favella, pur in un contesto di estroversa quanto altalenante disponibilità, ovvero di prese di posizione piuttosto nette in àmbito tanto umano quanto pittorico, divenne, nel corso di questi frequenti e reiterati appuntamenti, un narratore piacevole e leggiadro, capace d’argomentare a ruota libera attorno ad ogni aspetto dello scibile con asciuttezza ed acume, mai dimentico nel rilevare i paradossi, le contraddizioni e le aporie dell’essere artisti cosiccome dell’essere uomini nell’attuale contesto storico , meraviglioso e terribile allo stesso tempo. Antoni era un uomo di fede, ma per attitudine quanto per indole non poteva di certo rientrare nella categoria dei bigotti o dei baciapile. La sua era una fede che, nel riflettersi negli atti e nelle parole cristologiche, voleva avere una valenza propositiva, quella propria all’uomo che fa, lavora e costruisce un mondo migliore per sé stesso quanto per gli altri. Tale credo Antoni lo poneva in egual misura nella propria arte , frutto di strenuo sacrificio, di continuo sforzo ed esasperata ricerca, una ricerca che nella sua essenza estetica non poteva non assumere carattere esistenziale e, in quanto tale, pure mistico filosofica. Oggi la collettività di Muggia tributa un giusto omaggio alla personalità pittorica di Guido Antoni. Ritengo di far cosa giusta nel rendere pubbliche parte delle conversazioni avute con l’insigne artista, setacciate punto per punto con la stretta ed attenta cooperazione di Maria Antoni, per più di cinquant’anni instancabile compagna nonché sottile e discreta anima censoria del fecondo artista triestino muggesano.
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Guido Antoni: Dagli inizi ai Cicli Spaziali L’opera del pittore tra memoria e critica Franco Savadori Ricorda Guido Antoni d’essere stato folgorato sulla via per Damasco nel lontano 1934, quando ebbe modo d’incontrare, nella casa dove adolescente viveva con i propri genitori, un imbianchino con l’amore per la pittura. L’uomo recava una borsa con i colori ed il giovane Guido riuscì a farsi portare da costui - la domenica successiva - a dipingere en plein air in Istria: il risultato di quella giornata è ancor oggi, a distanza di settantasei anni, appeso nel corridoio di casa Antoni, a testimonianza di un amore già lì decretatosi e che da allora non si sarebbe mai spento. Antoni, nel suo essere tanto uomo religioso quanto finemente filosofo, crede nel destino e nella vocazione ed attribuisce a quell’episodio valore determinante .
Fig. 1 Guido Antoni, a destra, giovincello nel 1930
“Mio padre - rimembra il pittore - avrebbe voluto il proprio figlio ingegnere, (fig. 1) ma francamente quel genere di cose non facevano al caso mio, cosicché optai per l’Accademia di Belle Arti, che frequentai con ottimi esiti in quel di Venezia, sotto l’egida di Giuseppe Cesetti, (fig. 2) uscendone fuori con il diploma in tasca nel 1940“. (1) Antoni rammenta in maniera molto lucida la durezza degli anni post accademici , e di come la classe 1919, la sua , sia caduta vittima dei terribili eventi storici inerenti la Seconda Guerra mondiale. “Negli anni della Guerra non ci si sognava di parlare di pittura - ricorda il Maestro - poichè l’unico problema di base era quello di sopravvivere, portando, se possibile, a casa la pellaccia. Nell’immane atrocità del catastrofico evento bellico ebbi modo però, per la prima volta, di scoprire l’essenza di Dio“.(2) Antoni si riferisce ad un evento tragicissimo che lo colse assieme ad alcuni suoi commilitoni durante la Guerra in Russia, fronte nel quale il giovane artista era stato mandato a combattere. Il gruppuscolo militare stava procedendo lungo una linea ferroviaria, quando, improvviso, avvenne un attacco aereo. Antoni, che qualche minuto prima s’era appartato in una fossa per sopraggiunte necessità fisiologiche, quando uscì dalla stessa, potè constatare allucinantemente come non ci fossero più nè i compagni né i binari… “quell’improvviso sbalzo nel vuoto metafisico - rimembrerà Antoni - mi avvicinò, in un solo istante, alla grande e
Fig. 2 Guido Antoni, terzo da destra, studente dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, passeggia per le vie della città lagunare assieme a Giuseppe Cesetti, all’epoca suo insegnante, ed alcune compagne di corso. L’immagine risale al 1940
misteriosa complessità della costruzione tanto umana quanto divina, enigma attorno al quale si sarebbe venuto a costituire una porzione non marginale della mia seguente ricerca pittorica“. (3) Ed Antoni la pellaccia la porterà a casa intonsa, passando un periodo di quarantena nel paese di Laives, dove avrà modo di incontrare un uomo di Chiesa, Don Emanuele Evangelisti , che non poco contribuirà ad introdurlo nei meandri dei misteri teologici“che altro non sono - come glossa Antoni - che le problematiche che poi si riflettono in ogni atto quotidiano di ognuno di noi. Il mistero di Dio è il mistero della vita, che si estrinseca e si proietta in tutte le manifestazioni del nostro vivere, anche in quella della creatività artistica“. (4) La posizione di Antoni in tal senso sarà sempre molto chiara. Se da una parte egli affiancherà alla sua produzione profana, una parallela produzione sacra, col tempo emergerà evidente, soprattutto attraverso le superbe opere della fine degli anni ’90 come le due matrici si sarebbero finite col sovrapporre, dando sfogo ad una elaborazione superbamente raffinata, alle soglie della trascendenza tecnica e rappresentativa. “Nella mia esperienza pittorica - precisa Antoni - un ruolo importante e decisivo è stato dato dal fatto che non ho mai avuto fretta di arrivare ad un determinato risultato pittorico, poiché conscio che i tempi creativi non siamo noi razionalmente a determinarli. E’ vero che ad un certo punto del mio percorso è scaturito il mio segno precipuo , ma è anche pur vero che tale segno l’ho dovuto sperimentare per quasi vent’anni, prima che emergesse nella sua compiutezza“. (5) E qui Guido Antoni accenna agli anni bui, a quel lungo periodo di tirocinio che dall’era post bellica, lo proietteranno direttamente alle soglie degli alacri anni ’60, quando Antoni inizierà a divenire una figura costante nell’ambito della ricerca della pittura informale di quel felice e fecondo periodo creativo. “Si trattava - spiega Antoni- di coniugare la sopravvivenza economica con le necessità di ricerca formale. Nell’immediato dopoguerra la mia generazione era ancora stordita e confusa a causa di quanto successo nel ventennio precedente. Bisognava arrangiarsi e fare di necessità virtù. Da parte mia, aldilà di qualche esperienza pedagogica estemporanea, decisi dal bell’inizio che non mi sarei mai adattato all’insegnamento, dal quale non mi sentivo attratto. Scelsi viceversa la strada del restauro, una strada grama sotto il profilo economico , ma che mi diede l’opportunità di osservare dal di dentro le tecniche, i materiali, l’uso sapiente delle cromie e tante altre cose dei maestri del passato. In questa maniera, in realtà facevo anche ricerca per me stesso, e quegli anni trascorsi con
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i dipinti antichi, mi avrebbero dato le basi per la mia ricerca ipercontremporanea . Guardando al passato, ponevo le mie basi per il futuro.” (6) In effetti rimangono poche e contraddittorie testimonianze della pittura antoniana degli anni ’40 e ’50: da una parte perché lo stesso Antoni non ne ha mai fatto motivo di gran lustro o vanto, in una sorta di implicita e coerente autocensura. “In realtà - sostiene il pittore triestino - pur avendo sempre continuato a dipingere per mia specifica necessità creativa, in quegli anni non ero troppo convinto di quanto andavo facendo: capivo benissimo che bisognava andare oltr . Sebbene nel mio piccolo, ottenessi sempre lusinghieri risultati, riuscendo a piazzare con una certa costanza la mia produzione pittorica, e malgrado mi rendessi conto che evidentemente il mio stadio di maturazione estetica non fosse ancora pronto per il grande salto , ciò non di meno nel mio intimo mi ribellavo di fronte al piattume del figurativismo, poichè di ben altri stimoli quell’ epoca aveva bisogno. Bisognava liberarsi della stanchezza della raffigurazione convenzionale, perseguita dai vecchi maestri storici ancora in vita, ma non più plausibile per la nostra generazione“. (7) Guido Antoni entra ufficialmente nel mercato pittorico solo nel 1958, alla soglia dei quarant’anni di vita. E lo fa con una personale, patrocinata dall’allora direttore del quotidiano “Il Piccolo” - Chino Alessi - il quale, interpellato il restauratore Guido Antoni, scoprì che lo stesso era pure un pittore di un certo pregio. E’interessante notare come sulla brochure della Mostra (fig. 3) l’artista avesse scelto di scrivere “Mostra personale del pittore Antoni Guido detto Guidi”, in virtù dell’ammirazione che lo stesso pittore triestino nutriva nei confronti dell’arte del veneziano Virgilio Guidi, il ben noto cantore chiarista delle “Marine Zenitali“e delle “Baronesse“. Ciò a denotare una certa ingenua confusione, che di là a poco si dipanerà per lasciare posto all’immaginifica creatività che connoterà tutta la produzione del decennio successivo. Specifica altresì lo stesso Antoni: “Per quanto mi rendessi conto della necessità d’andare oltre la figura, non ho mai rinnegato la figura in sé, anche perché sapevo che se avessi voluto campare di pittura mi sarei dovuto comunque adattare ad una certa logica di mercato. Ho sempre tenuto in debita considerazione il lavoro fatto su commissione specifica, anche perché rappresenta comunque una buona fonte di lucro per qualsiasi professionista pittorico. Ho accettato di fare il ritratto, cosiccome non ho mai rinnegato la natura morta od il paesaggio marinaro, tutte cose che con il tempo sono riuscito a convogliare nell’ àmbito di una mia propria referenza stilistica. Nel mio caso specifico, anzi , proprio attraverso i miei Capricci, quei temi ho continuato a
Fig. 3 Brochure della mostra personale di Antoni, svoltasi nel novembre 1958 con cui il pittore fece il proprio debutto ufficiale nel mondo culturale triestino
Fig. 4 Una delle opere presentate nel corso della prima personale di Antoni, nel novembre 1958 (dimensioni e ubicazione sconosciute)
perseguirli fino ai giorni attuali, anche perché i “Fiori“ ed ultimamente le “Vele“, rappresentano per me il momento defatigante tra un’opera Spaziale e l’altra. Quando sono spossato, quel tipo di lavoro mi rilassa: la mano procede per la propria strada, e quei capricci mi sgombrano la mente, mi ridanno energia e rifocillano la mia inventiva“.(8) Spulciando la rassegna stampa di quel lontano 1958, troviamo traccia di questo suo debutto sul Corriere di Trieste, in data Venerdì 21 novembre. La recensione è del critico locale Chersovani, in arte Arco, ed è interessante, se non altro perché denota la sensibilità del recensore nel cogliere l’energia che già si palesava attraverso quel nucleo di lavori: “Il primo incontro con la sua opera dà una sensazione strana: qualcosa d’aggressivo che porta il visitatore senz’altro in argomento, svelandosi in un’espressiva turgidità di tinte che dal capogiro iniziale si risolve in un incanto non privo di fascino. (…) C’è nel suo discorso , anche pittoricamente affastellato, un linguaggio personale vivido e centrato specialmente negli accostamenti tonali“. (9) Tre giorni dopo arriva la recensione su “Il Piccolo“ dell’allora edizione serale, a nome Gi, al secolo Decio Gioseffi: “Le tele esposte rivelano in lui un entusiasta di Cezanne e dei Postimpressionisti, con un impeto coloristico che, seppur avrà bisogno talor di qualche freno o di un maggior controllo , sembrano fin d’ora indirizzarlo, con molte carte in mano, in direzione d’una pittura di colore puro”. (10) Osservando le immagini di quel nucleo di opere, si percepisce in maniera evidente che Antoni stava ancora scandagliando i propri mezzi espressivi. Emerge palese la matrice della tradizione novecentista italiana, con accenni a Carrà (fig.4 ) e Guidi (fig. 5), oltre a Matisse (fig. 6), passando per Cezanne, una brevissima esperienza col graffito (fig. 7)e molte altre contaminazioni, “tutte importanti per il mio decorso pittorico - precisa Antoni - ma nessuna determinante per la mia cifra pittorica successiva.“ Antoni stava studiando le varie direzioni possibili. “Ricordo in maniera molto precisa - commenta l’artista - di come andassi, in quegli anni non proprio opulenti, a comperare i colori da un droghiere di Gorizia - tale signor Cocianni - a cui erano rimasti in magazzino parecchi secchi invenduti. Avevo intuito in maniera molto chiara, proprio lavorando sulle opere antiche, che sarebbe stato utile adoperare svariati materiali e svariate tipologie di pigmenti, usando al contempo le superfici più eterogenee: avevo constatato che si poteva dipingere qualsiasi cosa su Fig. 5-6-7 (dimensioni e ubicazione sconosciute)
qualsiasi superficie con qualsiasi tecnica, sebbene la mia base prediletta sia rimasta sempre la carta, che consente il ventaglio espressivo più ampio, dipendentemente dal suo spessore e dalla sua granatura; la carta è difficile da adoperare perché richiede una lungo periodo d’approfondimento, ma una volta entrata nelle sue grazie, essa ti ricompensa in tutte le maniere: non c’è effetto , sfumatura o velatura che non si possa ottenere su carta ; non a caso carta canta…”. (11) “Quando, alla fine degli anni ’50 - ricorda ancora Antoni - decisi che era arrivato per me il momento di dedicarmi ad una mia propria ricerca pittorica , mi trovavo nella condizione di aver già affinato una buona tecnica espressiva, ma si trattava di stabilire dove convogliare tale sapienza. Mi aiutò un’edizione bellissima della Biennale di Venezia, dove ebbi modo di vedere da vicino le opere degli sperimentatori aniconici che allora stavano scrivendo la storia dell’arte contemporanea. Mi entusiasmai di fronte ai quadri di Riopelle , di Fautrier e di tutti gli Informali che si stavano applicando attorno alla materia. Sapevo che quelle sarebbe stata pure la mia strada, anche se nel mio caso sentivo la necessità di andare ancora oltre…Comunque non avevo dubbi: la via era stata tracciata“.(12) E così è. Se andiamo ad analizzare l’alacre produzione di Guido Antoni dal 1959 al 1962 - 63, possiamo desumerne un’evoluzione straordinariamente veloce quanto coerente: l’autore passa per gradi, procedendo prima ad una dissoluzione del paesaggio, in chiave postcubista, il che lo condurrà nella fase iniziale al periodo dei Pendoli (13), quindi a quello Tellurico, (fig.8) coincidente con le originali sperimentazioni operate con i grumi materici ed i graffiti tellurici. Non abbandona la figurazione, ma ben presto abbandonerà il paesaggio, con il quale si rincontrerà di tanto in tanto, ma sempre in maniera sporadica e mai troppo convinta. Nel Luglio del ’60, in occasione di un ‘esposizione alla sala comunale di Trieste, Decio Gioseffi sottolineava che“ (…) i suoi fiori che già accennano ad una direzione astrattizzante, presentano dei brani molto belli negli accostamenti delle tinte e nella qualità del segno alla prima (…) (14) “cosiccome in un altro lacerto di quotidiano, il recensore accennava ad “una prova di colore, che rivela l’attuale tendenza informale lievemente figurativa dell’artista“. (15) “Semplicemente - confida Guido Antoni - in quei frangenti non avrei potuto passare d’acchito dalla tradizione all’avanguardia, poiché una mossa del genere si sarebbe rivelata controproducente, incoerente eppure insensata, perciò procedevo per gradi. Al tempo
Fig. 8 Un’opera del periodo Tellurico datata 1962-63 (dimensioni e ubicazione sconosciute)
avevo pure la necessità oggettiva di farmi conoscere, ed è per tale ragione che iniziai a programmare un fitto intreccio di esposizioni dove avrei avuto modo di proporre i vari piani di ricerca entro i quali mi stavo muovendo “. (16) Fatto sta che Antoni, dopo aver trascorso tutto il 1961 tra letture filosofiche e ricerche pittorico formali, apre l’anno successivo con una propria personale inaugurata l’11 di Gennaio . Sul Primorski Dnevnik, del giorno 19, puntuale arriva il commento di Milko Bambic: “Alla Galleria Comunale espone Guido Antoni, pittore che abbiamo seguito con vivo interesse nel suo graduale sviluppo nell’ambito della corrente dell’espressione astratta, in cui egli ora, infine , si presenta. Dai titoli delle opere esposte, quali: “Verso l’infinito“, “Presenza Cosmica“, “Il tempo nello Spazio“, che una volta s’inserivano nella realtà ottica del mondo, questa volta rileviamo che la fantasia creativa di Antoni si è liberata dalla gravità terrestre per rilassarsi nell’immensità dello spazio universale e da quel nostro spirito, con l’intenzione di trasmetterci figurativamente la presentazione delle emozioni del futuro, quando l’uomo sfreccerà attraverso lo spazio ad incredibile velocità cosmica, superando, secondo la famosa equazione di Einstein, il tempo stesso. Le tele di Guido Antoni rappresentano, dunque, un balzo attraverso l’epoca attuale nell’inquietante prossimo futuro. Questo balzo è però condizionato da un’attività secondaria del pittore. Guido Antoni è infatti anche un noto restauratore di quadri e come tale egli si inoltra continuamente con il pensiero nel lontano passato, per secoli interi, secondo l’età del quadro che, per così dire, egli deve ringiovanire. Secondo la legge dell’azione e della reazione, il pensiero del restauratore, dopo ogni ritorno dal passato nella nostra epoca, ha cominciato innumerevoli volte ad oscillare involontariamente sempre più in là, oltre il presente, verso il futuro, staccato dalla nostra coscienza, in un abisso cosmico al di sopra di noi. Con tutta probabilità questi echi del pensiero hanno lentamente accumulato nel suo animo una nuova, particolare tensione emotiva che ha cercato e trovato il proprio sfogo nell’inevitabile tensione astratta della mostra attuale, dove tutta la tematica dei quadri è strutturata su basi extraterrene o diversamente prive di gravità; psichiche nella tela “Due sezioni della stessa idea“; fisiche nei quadri come “Movimento oscillatorio“, “Oscillazioni nello spazio“ e “Unitarietà del ritmo“, che è senza dubbio l’opera migliore anche da un punto di vista esclusivamente pittorico, dalla superficie riccamente elaborata e di una meravigliosa armonia coloristica. Antoni è un colorista raffinato che evita abilmente i vortici della sdolcinatezza decorativa quando costruisce prospettive ottiche in fuga nello spazio cosmico. Il pittore ottiene ciò restringendo acutamente e indirizzando nella profondità del quadro linee e fasce simili a coordinate grafiche che,
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con un’adeguata continuità o con il colore spezzato, danno l’impressione di velocità o di staticità nello spazio. A quest’unità il pittore poi, se è il caso, dà, con riflessi laterali di colore anche un’ impressione di oscillazione o di rotazione lungo l’asse longitudinale della composizione. I titoli dei quadri, alle volte, forse non coincidono perfettamente con la voluta trasmissione figurativa delle sensazioni liberate da fenomeni e situazioni extraterrene, spostate nella profondità dell’universo o del nostro animo e a noi rese vicine soltanto dal microscopio della fantasia dell’artista.” (…) (17) Dalle parole del Bambic appare chiaro come in Antoni la direzione fosse già delineata in maniera nitida , attraverso delle scelte meditate, ma pure senza forzature o rotture drastiche. “Spesso ci si scorda - rammenta l’artista - che tutta la mia opera, prima di essere figurativa, informale, spaziale o che altro, ha sempre voluto andare alle radici dell’ universo umano; ha voluto scandagliare l’uomo, in tutte le sue rappresentazioni e possibilità e queste varie possibilità viavvia le ho sempre esternate nelle maniere più differenti, adottando tecniche e stili che presumevo più idonei per quanto intendevo veicolare. Ecco perché, pur essendomi interessato a lungo alle conquiste spaziali, non mi sono mai sforzato di appiccicarmi un’ etichetta specifica. Conosco molto bene il movimento Spaziale fondato da Fontana e sono stato pure amico di Emilio Scanvino così come di Gino Morandis e di Mario De Luigi, ma proprio le opere dei tre artisti citati dimostrano, nella diversità delle singole posizioni, come lo spazialismo fosse un movimento che più che partire da un’istanza di natura squisitamente estetica, prendeva lo spunto da una più profonda necessità epocale di ridefinire la collocazione dell’umanità terrestre alla luce delle nuove consapevolezze scientifico filosofiche . Ecco perché non ho mai smesso con i fiori o con altri tipi di soggetti, pur attento e deciso nel perseguire la mia ricerca…”(18) Bambic accenna ad alcune opere quali “Oscillazioni nello spazio“ o “Movimento Oscillatorio“, in cui Antoni medita attorno al valore ritmico agogico del pendolo, con le sue ineffabili leggi, con la sua puntuale ritmicità trasognante ed ipnotica, con il suo essere retta che oscilla nello spazio secondo un proprio respiro. “Ma anche per questa mia intuizione - confida Antoni - ho desunto l’ispirazione dall’osservazione del movimento oscillatorio degli alberi delle barche a vela ancorate lungo tutto il litorale triestino, anche se poi lo studio della retta, cosiccome di altre forme geometriche quali il quadrato od il cerchio, si è spostato su un piano mistico filosofico: ho sempre sostenuto, tra il serio ed il faceto, che la retta è amorale poiché passa oltre cose e persone in maniera alquanto sbrigativa “. (19)
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Fig. 9 Cartolina del 1963, con la riproduzione di un’opera appartenente alla serie delle Antiche macchine da Guerra (dimensioni e ubicazione sconosciute)
La prospettiva di ricerca del lavoro di Antoni, tra il 1962 ed il 1963 si amplia ulteriormente, ed il pittore dimostra di riuscire ad operare su piani differenziati, mai dimentico delle finalità perseguite. “ Operavo - ricorda l’artista - in contemporanea, tanto sulla materia, quanto sulle possibilità prospettiche delle superfici, quanto ancora sul segno, poiché alla fine di questi percorsi paralleli sapevo che sarei riuscito a sintetizzare tutti questi elementi in precise commistioni “. (20) Nelle opere Antiche macchine da guerra, (fig. 9) Antoni inizia a sperimentare con la materia, usandola come se dovesse trattare e modellare della lava incandescente. Figure dal forte impatto arcaico escono da fondali monocromatici per dare adito a solidi ordigni dai contorni minacciosi e ferruginosi. Macchine belliche dai profili arcaici ma non perciò meno letali o perniciose. Antoni scava, come sempre, alle radici dell’uomo, che egli sa essere tanto evoluto quanto ancora trogloditicamente attaccato ai propri istinti primigenii. E’ un voler proiettarsi nel futuro, attraverso una sorta di processo maieutico operato ab ovo. Futuro e passato si elidono vicendevolmente, o piuttosto s’avvicendano dando luogo ad un processo di circolarità, cosiccome già sperimentato da Antoni attraverso la sua esperienza del restauro, esperienza che lo aveva reso consapevole del recupero di tecniche avanguardistiche, solo prestando attenzione ai molteplici escamotages adottati dai tintori di tutte le epoche. Antoni legge soprattutto saggi filosofici, dai presocratici fino a Husserl, traendone stimoli benefici, ma lo fa sempre e comunque in una prospettiva umanistico cattolica, anche se libera, ad ampio spettro. “Il mio impegno religioso - commenta Antoni - è sempre stato anti retorico ed anti dogmatico: ho sempre avuto come punto di riferimento l’esempio cristologico, nella meravigliosa completezza della sua gamma applicativa. Tale esempio trova la propria validità nel poter essere sperimentato quotidianamente, in tutte le nostre espressioni ed in tutti i nostri gesti, in qualsiasi ambito e contesto ci si trovi ad operare . Rapportarsi all’esempio di Cristo significa in ogni attimo porsi in continua discussione, come io uso fare con tutto, fattispecie con la mia arte“. (21) Nel 1962 Guido Antoni ha modo di fare conoscenza con Carlo Cardazzo , il noto gallerista , alfiere e sostenitore di molti artisti d’avanguardia d’allora ; Cardazzo si dimostra interessato alle opere del pittore triestino , tanto da invitarlo ad esporre cinque elaborazioni pittoriche di quel suo fecondo periodo, in un collettiva a Forte dei Marmi, accanto a nomi del calibro di Dova, Scanavino, Crippa, Treccani, Fontana, tutti presentati per l’occasione da Achille Funi e Carlo Carrà. (22) “ Cardazzo - rimembra Antoni - rimase parecchio colpito dalla mia pittura; stava recandosi a Mosca poiché era in procinto di organizzare nella capitale sovietica una personale
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di Emilio Scanavino . Dopo quell’evento ci saremmo trovati con l’intento di studiare una collaborazione: purtroppo di lì a poco – nel Novembre del 1963 - Cardazzo morì, colpito da un infarto miocardico“. (23) Antoni lavora a pieno ritmo, organizzandosi le mostre, portando i quadri, provvedendo lui stesso alla vendita delle proprie opere, in una sorta di autarchia che sarà sempre segno distintivo del suo modo di procedere. In effetti ci si è sempre chiesti - a fronte delle indubbie qualità dell’opera pittorica dell’artista triestino, per quale motivo egli sia rimasto sostanzialmente al di fuori del mercato ufficiale, pur essendo stata la sua una presenza costante e senz’altro non di poco rilievo. Vanno considerati, in tal senso, tutto un insieme di fattori legati al carattere ed alla sostanziale capacità d’autogestione dell’artista stesso, caparbiamente legato alla propria visione di autonomia di pensiero ed indipendenza d’azione . Intraprendente e determinato, sostenuto da una in scalfibile autodisciplina nonchè da una capacità lavorativa inesauribile -“ai bei tempi - ricorda lo stesso pittore - riuscivo a lavorare da mane a sera senza batter ciglio, producendo innumerevoli opere sempre contrassegnate da una qualità costruttiva dalla quale non ho mai voluto prescindere“, (24) Antoni ha sempre incarnato una tipologia di uomo e d’artista con cui è stato sostanzialmente difficile rapportarsi. Di indole estroversa ed affabile , ha altresì saputo sempre sostenere le proprie idee e le proprie tesi con grande determinazione, in un rapporto dialettico spesso arduo o comunque equivocabile. Forgiato dalle privazioni pre e post belliche, Antoni ha assunto ben presto il ruolo del pensatore e dell’artista granitico, tanto presente quanto assente, tanto disponibile quanto ermetico ed intimamente diffidente, poiché sempre attento agli aspetti psicologici di quanti lo circondavano. “Ricordo che un giorno - confida Antoni - incontrai Nino Perizi in Viale Venti Settembre; stava leggendo un libro che s’intitolava Dimmi come scrivi e ti dirò chi sei -. Stava a quel tempo mettendo su una sorta di lobby dell’arte -, assieme a Mascherini ed altri artisti , oltre al critico Montenero, che di questo gruppuscolo sarebbe divenuto la vittima oltrechè il portavoce passivo; mi chiese di entrare a far parte della cricca -, facendomi capire che chi non si fosse allineato alle loro posizioni automaticamente sarebbe passato dall’…altra parte! Gli risposi che di queste cose non volevo neanche sentirne parlare e che si tenessero tranquillamente il monopolio cittadino, lasciandomi il resto del mondo!! “. (25) Il fatto è che Antoni, pur avendo lavorato in maniera alacre ed indefessa per lunghissimi anni, non ha mai accettato alcun ruolo mondano, odiando il presenzialismo e perseguendo sempre l’essere piuttosto che non l’apparire. Antoni ha sempre sostenuto la tesi che il vero confronto per ogni pittore è quello con il cavalletto, con il dialogo
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incessante e continuo con la propria creatività, il proprio limite, la propria pigrizia e le proprie debolezze. Se sei altrove, non puoi essere nel tuo studio a sperimentare, provare e riprovare: “ Certo è però - commenta l’artista - che per tantissimi anni sono sempre stato presente là dove reputavo fosse utile esserlo. Ho funto sempre da gallerista di me stesso, senza la necessità di intermediari, benché abbia pure collaborato, più o meno continuativamente con svariati mercanti ed operatori d’arte. Se ciò sia stato un bene od un male non spetta a me dirl . So che tutta l’arte del ‘900 è stata condizionata dai galleristi, i quali, il più delle volte sono riusciti a dare fama internazionale ad artisti di vaglia che di certo non sarebbero arrivati a quel grado di notorietà se non avessero percorso quel viatico, ma nel mio caso specifico era troppo importante mantenere la piena e totale autonomia operativa, senza la quale non sarei approdato ai lidi espressivi che sostanzialmente sono riuscito a raggiungere. Per quanto concerne la fama ed il successo intesi nell’accezione comune, li ho sempre scansati ed evitati poiché essi costano - solitamente - più di quanto non si possa pensare. Arrivato a questo punto della mia esistenza, dopo settant’anni di totale dedizione alle arti figurative, il problema di quanto io sia noto , di quanto valgano sul mercato le mie opere artistiche e di quale sia stato il reale contributo dato dalla mia arte allo sviluppo della pittura della mia epoca, è un problema che demando rispettivamente ai critici, ai mercanti ed agli storici dell’arte, poiché per me importante era vivere facendo quello che più m’interessava e farlo nella migliore delle maniere, tutti obiettivi che per destino mi è stato dato di cogliere, senza rimpianti né rimproveri verso la mia coscienza.“ (26) Il lavoro svolto da Guido Antoni nei primi anni ’60, non passa inosservato, anche perché lo stesso pittore cerca di esporre in pari misura al ritmo del suo succedersi creativo, alquanto alacre. La sua pittura fa discutere la critica, sostanzialmente concorde sulla fondatezza della sua tecnica pittorica, ma talora discorde sulle finalità della sua ricerca. Nel ’62 appare già chiara la vocazione di Antoni ad andare al di là non solo del figurativismo, bensì a ricercare uno spazio trascendente, tanto rivolto all’esterno - alla spazialità extraterrestre - quanto ad uno spazio interiore più dilatato, profondo. Una strada complessa, lunga, percorsa ancora con passo incerto, sebbene spedito. E’ interessante soffermarsi su alcune recensioni fatte nello stesso 1962, che ben circoscrivono le problematiche che allora Antoni stava affrontando. Scriveva Dino Dardi, in occasione della personale di Antoni alla Comunale di Trieste: “La stazione astrattista di Guido Antoni può anche non essere l’ultima della sua pittura, ma è certo
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che essa non si è posta sulla sua strada come un problema di scelta stimolato da motivi concettuali. Viceversa Antoni vi giunto attraverso la graduale dissolvenza dell’immagine figurativa. Una stazione dunque che ad un certo punto si è imposta da sé. (…) Ora è, appunto questo passaggio graduale che spiega la continuità di una pittura e la presenza di una personalità più attenta a sorprendere il proprio mondo interior , che non sensibile ai problemi ed ai suggerimenti dell’intelletto. (…)”. (27) In questa circostanza il recensore equivoca sul lavoro svolto da Antoni, che già a quel tempo aveva compreso l’importanza di riuscire a mantenere su piani comunicanti e contigui l’aspetto della ricerca formale, mai scindibile da un’elaborazione gnoseologico concettuale, e mai attuabile senza un giusto apporto poetico emotivo. “La mia ricerca esistenziale, emotiva, tecnico estetica - ribadisce Antoni - si è sviluppata a tutto campo, in maniera omogenea e coerente, senza grandi scossoni e senza grandi lacerazioni. Non può esserci sviluppo estetico che non implichi pure un pari sviluppo concettuale, il che non preclude assolutamente la strada alla componente estetico emotiva, che si nutre e si irrobustisce sulla base della spinta data dalla capacità d’elaborare la materia pittorica nella direzione voluta. Ecco perché ho sempre affermato che non esiste forma d’arte al di là di un rigoroso controllo strutturale e di un preciso ragionamento, ed ecco perché trovo assolutamente gratuito - nel mio specifico caso - dire che la mia pittura è più emotiva che non intellettiva, quando ben si sa che i due piani interagiscono e si nutrono vicendevolmente : in tal senso andate a vedere quanto affermavano Malevic e Fontana, che di certo hanno saputo andare ben al di là degli usuali stereotipi estetici, emotivi e concettuali. “ (28) Ricerca della struttura pittorica sulla base d’un presupposto concettuale chiaro e specifico, dunque. La struttura pittorica in Antoni si esplicita - come abbiamo più volte ribadito - attraverso una ossessiva e reiterata ricerca attuata sul controllo totale di quanto adoperato in sede compositiva, senza trascurare nessuna componente. Antoni riconosce la discendenza Costruttivista e Spazialista della propria pittura, ma solo come presupposto analitico per riuscire a trascendere le pastoie dell’oramai obsoleta dicotomia figurativo/astratto, poetico/concettuale, formale/informale. Comprende in maniera chiara che tutte queste categorie possono venir coese senza che si debba rinnegare questo o quello a favore di quest’altro o quell’altro. Si fa portavoce silenzioso d’un discorso che lo porterà sempre ad andare lontano con le cose più vicine (vedasi il mai abbandonato capitolo dei Capricci, dove fiori, foglie e piante vengono meravigliosamente piegati all’estetica
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antoniana , senza perdere in fragranza od innovazione), arrivando alle soglie dei confini dell’Universo pur perseguendo una ricerca profondamente umana. In una recensione scritta dal manicheo Licio Burlini nel 1962 si legge “Certe pitture di Guido Antoni esposte alla Comunale, portano titoli in cui per me c’è qualche cosmo di troppo e qualche esistenziale di più, se ben ricordo. Frange retoriche non essenziali per una pittura che ha ormai le sue attrattive, specialmente coloristiche. (…) Il rapporto che l’autore di queste coloriture stabilisce tra loro ed il significato sintetizzato nei titoli mi sfugge e credo continuerebbe a sfuggirmi anche se mi sottoponessi ad una cura intensiva di testi astrofisici o di filosofia esistenzialista. (…) I concetti spaziali od esistenziali nulla aggiungono ai quadri, cioè sono fuori della pittura. E pertanto non possono essere invocati a sostegno di un discorso strettamente pittorico. “(29) Querelle insensata, quella del recensore, poiché Antoni all’epoca aveva già iniziato la sua opera di ricerca sullo spazio cosmico, proseguendo altresì quella dell’analisi sullo spazio interiore ovverosia esistenziale. Nel caso di Antoni i titoli delle opere non hanno la funzione di completare o sostenere una opera pittorica debole o lacunosa, quanto di integrare un pensiero ed una ricerca articolata e vasta che, nel caso specifico si estende ben oltre la mera pratica pittorica. I titoli delle opere di Antoni riflettono, in quegli anni, i molteplici interessi culturali che investono socialmente l’artista e privatamente il cristiano militante, in un susseguirsi di approfondimenti e scoperte. L’esperienza pittorica, in tal senso, non può prescindere da quella soggettiva ed umana, essendone naturale e giusta conseguenza. Chi riesce bene a cogliere questo dato è il sensibile e dotato critico Francesco Tenze che nello stesso 1962 profeticamente scriveva: “Ogni valore nuovo si scontra con la difesa opposta dalle singole individualità, necessitata a tracciare una demarcazione esistenziale fra il “sé“ differenziato e il proprio “sé“ presuntemente latore di ogni accettabile verità. Perciò davanti ai quadri di Guido Antoni si può provare l’angoscia di chi emerge improvvisamente in un tempo futuro ed intuisce che la sua vita in divenire è soltanto una temporanea individuazione della vita universale diveniente. In questa pittura, spazio e tempo sono i termini di un’equazione che si costituisce quale mistero ospitante il segno elevato a presenza del mondo. Presenza totale desunta dall’intuizione eidetica, o intuizione delle essenze, resa concreta dalla serie gestuale unitaria la cui proprietà è quella di saper costruire incessantemente l’aspetto dinamico delle cose che il tempo rinnega e poi riaccetta solo se le ritrova monde da ogni apparenza definitiva. Alludiamo al nostro secolo che ha saputo gradualmente abdicare al regno delle immagini e crede
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nelle profezie cosmiche, nelle verità disincarnate , nei segni che compendiano la vita. Per comprendere la verità proposta da Antoni dobbiamo superare la nostra stagione esistenziale ed aderire alla sua poesia fruendo del rapporto da fermi con la realtà in mutazione nelle inquietanti dimensioni spaziotemporali. Conoscere “l’altro da noi“ è ormai una ragione dell’arte implicante la rinuncia alla rappresentazione ingenua del mondo. Inserirvisi con piena coscienza è per l’artista come proporre una ragione futura ai suoi simili. Antoni ha vinto l’angoscia esistenziale ed è libero sul piano poetico nella misura in cui lo è il filosofo sul piano della conoscenza. “ (30) Tale consapevolezza porta Antoni, come già sottolineato, ad operare in contemporanea su più piani espressivi: segno , materia e struttura dinamica rappresentano motivi di studio e di meditazione. Dal 1963 al 1967 l’artista sarà capace di dar decorso ad un numero incalcolabile di opere giuocate attorno ai tre motivi, con risultati estetici variegati e talora distanti, ma sempre contrassegnati da una puntuale definizione tecnico stilistica nonché da un’estrema chiarezza a livello d’intenti estetici e significati intrinseci. Nel settembre del ’63, in occasione d’una sua personale a Grado, Milko Bambic puntualizzava sul Primorski Dnevnik: “Secondo le nostre previsioni, l’attuale Antoni sta già superando quello di prima . Il suo ritmo vibrante è rilevabile ancora in qualche opera, ma nell’insieme, Antoni si presenta del tutto rinnovato. E questo anzitutto per il suo modo nuovo di pittura, con cui egli riesce a rendere la profondità dello spazio del suo mondo astratto. Dipingendo sempre con pennelli, egli ha però sostituito i colori ad olio con mezzi più moderni per fissare insieme pigmenti di colore. Ciò gli rende possibile di far emergere le sue pennellate con molto rilievo. Le sue pennellate sono ora strette, stese a merletto sui sfondi di colore movimentati e tessendosi tra loro in nodi meravigliosamente vibranti. Per rendere questo intreccio quanto più chiaramente elaborato, Antoni applica in certi punti sul quadro - con sorprendente abilità - pezzi di spago colorato, accentuando le loro ombreggiature e così creando una reale plasticità di forme fantastiche, spuntate dalla sua rigogliosa immaginazione. Quanto ai colori, Antoni nelle sue opere è più raffinato e quanto mai delicato. Ma quello che l’occhio vede respirare in queste tele, non è più la materia del colore, quanto piuttosto un’irradiazione di aurore astrali, sparse in uno squarcio dello spazio cosmico. Il ricreare questo spazio interessa sempre Antoni, soprattutto quando dipinge le sue visioni sulla formazione dei corpi celesti,sulla condensazione dell’energia nelle forme di colore dell’ universo astrale. I colori cantano, per i sensibili ammiratori dell’arte di Antoni, il canto dell’allontanamento dalla rozza realtà della vita quotidiana.Ciononostante, Antoni sembra sia già sulla via
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Fig. 10 Lacerto di settimanale che pubblicizza il Ducotone usato da Guido Antoni all’inizio degli anni ‘60
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del ritorno dal suo volo di ricognizione del cosmo, perché in alcune delle sue opere notiamo già forme più reali , più terrestri , legate alle precedenti soltanto dalla lucentezza dei colori astrali. (…) (31) Dalle parole del recensore risulta chiaro come Antoni, già nel ’63, avesse delineato in maniera abbastanza precisa tanto la propria poetica, quanto il suo modo specifico di far pittura. I mezzi più moderni cui allude il Bambic non sono altro che le pitture acriliche, (fig.10) duttili, pratiche, poco costose, di pronta asciugatura e commistionabili, in caso di necessità, con altri pigmenti ed altri materiali eterogenei. Gli spaghi, le retine, i calchi e mille altri oggetti iniziano ad entrare pian piano nella consuetudine operativa di Antoni, che sempre meno avrà la necessità di dipendere dal pennello o da altri mezzi tradizionali, man mano prenderà confidenza con queste tecniche alternative, destinate a divenire una costante dell’immaginifico pittorico dell’artista triestino. E lo diverranno a tal punto che oggi possiamo senza dubbio sostenere l’unicità della tecnica antoniana, difficilmente decodificabile quanto mai copiata da altri artisti in alcun ambito. Né risulta facile poterla accostare a tecniche preesistenti o comunque desunte da qualche consuetudine operativa di qualche movimento specifico. In realtà si tratta di una sintesi peculiarmente messa a fuoco da Antoni lungo un’intera vita spesa a ricavare determinate valenze con determinati materiali, attuate su determinate superfici. Osservando la sua produzione, risalta subito all’occhio come l’artista abbia saputo ottenere risultati egualmente lusinghieri indipendentemente dalle superfici usate. Sovente ha fatto uso di tavolette in legno anziché faesite oppure tele di vario tipo o foggia, anche se gran parte della sua vasta produzione ha trovato nella carta o nel cartoncino il referente ideale con cui rapportarsi ed interloquire in modo ideale. Antoni ha sviluppato una tecnica che ben presto gli ha permesso un controllo totale tanto sui materiali quanto sulle dinamiche costruttive all’interno della base adoperata, rendendo relative le singole tecniche o le differenti basi da lui usate poiché tutte piegate ad un’unica finalità espressiva. Il fatto che Antoni abbia in molteplici circostanze dichiarato che il suo lavoro si svolge sotto forma di un incessante e continuo work in progress, dove ogni opera è idealmente l’estensione e lo sviluppo di quella precedente - in un’impressionante capacità di variazione su un tema stilistico di assoluta e peculiare riconoscibilità, incentrato attorno a pochi e scarni elementi che per lo più si rifanno ad alcune figure geometriche basilari, quali il quadrato, la sfera e la retta - è indice inconfutabile di come la sua ricerca sia da molto tempo approdata ad una compiutezza tanto tecnica, quanto estetica quanto ancora poetico emotiva , totale. Pur sottolineando che non esiste forma d’arte al di là d’un rigoroso controllo strutturale e d’un preciso ragionamento, Antoni ha sempre ammesso di non sapere quale sarà il risultato finale d’una propria opera.“ Quando mi pongo
innanzi al foglio bianco, non so cosa potrà accadere. Di solito parto da un presupposto, una dei miei amati leit motiv, ma questo è solo l’inizio. Lascio che la mano vada , che mi indichi in un certo qual senso la via per approdare al risultato finale. Non ho mai preconcetti sull’uso del colore o su quello delle forme. Controllo sempre la struttura, questo si, ma lascio che parte non lieve sia affidata ai registri inconsci del mio essere. Al contempo sto all’erta con il mio versante razionale, capace di codificare gli impulsi e gli stimoli datimi dal mio emisfero emotivo creativo. Quando i due piani s’integrano, il risultato artistico è assicurato”. (32) L’artista ammette esplicitamente, dunque, l’ambivalenza della propria ispirazione pittorica, dove l’elemento inconscio, irrazionale può tranquillamente vagolare, supportato com’è da una sapienza costruttiva capace di cogliere, trasformare e realizzare oggettivamente quanto la spinta immaginifica del momento gli suggerisce. Si potrebbe tentare un parallelo con il meccanismo che regola la creatività dei musicisti Jazz, i quali, sebbene formalmente condizionati da un’intelaiatura armonica precisa ed imprescindibile, riescono pure a variare tale serie all’infinito, lasciando ampio spazio alla parte più spontaneamente creativa del loro essere. In Antoni, evidentemente le teorie di Roger W.Sperry, il famoso psicobiologo insignito del premio Nobel per le sue ricerche condotte sulle funzioni degli emisferi del cervello umano, hanno trovato una via d’esternazione perfetta, in bilanciamento ottimale fra il versante sinistro - quello analitico - ed il destro - quello percettivo. Dal 1965 al 1967Antoni preme sull’acceleratore, organizzando continuativamente mostre un pò ovunque. Si concentra pure oltreconfine , esponendo spesso in Svizzera, Germania e Francia, dove la sua arte trova specifici referenti in alcune gallerie d’Arte d’avanguardia . Altresì segue di persona il panorama nazionale, occupandosi delle proprie esposizioni in territorio italiano. “Ho percorso centinaia di migliaia di chilometri - afferma l’artista - cambiando molte automobili poiché poco pratico di faccende meccaniche. Ho organizzato centinaia di Mostre personali, senza peraltro mai disdegnare le Mostre collettive d’un certo livello. Per tantissimi anni sono riuscito a rimpinguare il mio reddito partecipando ai concorsi pittorici, pure a quelli internazionali, ottenendone sempre lusinghieri piazzamenti. Non saprei dire a quanti sia arrivato primo, ma il numero di successi è comunque considerevole e questo perlomeno ha compensato non poco lo sforzo da me profuso per riuscire ad essere presente a tutte queste manifestazioni “. (33) Ritornando alla stampa, interessanti risultano alcuni appunti di Giulio Montenero (I.N.), scritti nel Dicembre del ’65 in occasione d’una personale alla Galleria Barisi di Trieste:“ (…) La base di partenza nella vicenda espressiva di Antoni è offerta da un mestiere abilissimo che sempre si accompagna alla finezza del
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gusto talvolta spinta fino all’elaborazione elegante che potrebbe sembrare fine a sé stessa. Ciò perché Antoni introduce gli stimoli innovatori e le proposte destinate a saggiare viavvia terreni inesplorati all’interno di un discorso che procede continuamente dilatato in ampie parafrasi e circonlocuzioni, sorretto, infine, da quella sensibilità epidermica del colore e della forma fine e preziosa, che sono le già citate qualità naturali del suo carattere.Ma chi abbia la pazienza di scavare all’interno di codesto ridondante mondo iconico, l’arte di Antoni svela, pur fra qualche contraddizione, una sua segreta vitalità, un’ansia di definire significati autentici, al di là della veloce calligrafia trascritta sulle falsarighe che i tempi suggeriscono. (…) Antoni è pervenuto oggi ad un simbolismo aperto a differenti occasioni rappresentative e sollecitato dalla lontana memoria di paesaggi reali. (…) E’giusto suggerire al pittore la via ad un approfondimento ed un chiarimento sulla linea d’uno solo dei molti filoni di ricerca, come altra volta abbiamo detto? Forse no. Forse la via di Antoni è segnata dalla condizione apparentemente edonistica ma nell’intimo dolorosa di un’irrequietezza e di una mobilità estrema che si muove solo sulle esili tracce animiche lasciate sul tortuoso e coraggioso cammino delle esperienze linguistiche.“(34) In quel periodo fecondo, Antoni non rimane indifferente a quanto accade nel mondo, a tal punto che le occasioni rappresentative sottolineate dal cronista indicano indirettamente una sua attiva partecipazione ai dolori dello stesso. Innumerevoli le sue opere di protesta, in cui Antoni rileva le contraddizioni della nostra complessa società - le discriminazioni razziali operate nei confronti degli afro americani, lo scandalo della fame nel già ampiamente martoriato continente africano, l’uso iniquo e riduttivo dello schermo televisivo, etc etc - senza mai però scadere nel didascalico o nel modaiolo. La sua è una protesta che ancor meglio trova una propria logica estensione in alcune opere sacre di quel periodo, ove egli spesso medita sul destino del Cristo redentore, tema sempre attualissimo ed inteso come metafora dei nostri procellosi tempi, colmi di empietà ipocrita, quella stessa ipocrisia che aveva volutamente condannato il giusto tra i giusti duemila anni prima. Montenero coglie l’ansia creativa che anima Antoni e soprattutto comprende che l’apparente dispersione è la conseguenza diretta della sua necessità di ricerca, nonché il riflesso d’una mobilità mentale che giocoforza richiedeva diversi piani espressivi onde poter essere anche solo parzialmente esternata. Il 1966 ed il 1967 continuano a svolgersi, per Antoni, all’insegna di un impegno spintamente alacre, a tal punto da indurre Licio Burlini, in una nota su un quotidiano dell’8 aprile 1966, ad esprimersi nei seguenti termini: (…) “Infine Guido Antoni che è presente a Montreux, che è presente pure a Gorizia e che si prepara ad
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andare a San Vito al Tagliamento e a Pordenone. Tutto nel giro di Aprile Maggio. Antoni, che è un pittore di tutto rispetto, sta producendo molto anche in vari generi di decorazione ed io non so davvero come faccia a star dietro a tutto.Vero è che è di una velocità vertiginosa, però data anche la natura dei suoi interessi e dei suoi impegni di lavoro, io me lo vedo tra poco come maestro di bottega dove lavorano decine di allievi e, alla lunga, capo di qualche corporazione di artisti. La parola è un po’ in ribasso, ma la sostanza merita la massima attenzione“. (35) A parte la sottile ironia del verbo burliniano, rimane la sostanza dell’operato del pittore triestino, capace di produrre, esporre e vendere in contemporanea. Antoni non avrà mai allievi, né penserà mai di mettere su bottega, vista la propria capacità di operare in perfetta autonomia, con eccellenti risultati e qualitativi e quantitativi. Non solo: proprio in questo periodo gli riuscirà di operare il definitivo salto estetico verso la consacrazione del proprio linguaggio espressivo, i cui prodromi si possono leggere attraverso il lavoro di questo biennio. Ma procediamo con ordine. Nel febbraio del ’67, Antoni organizza una personale a Monfalcone; in riguardo all’evento, così ne parla Bruno Punter: “ Al “Lombardia” espone venti opere il pittore triestino Guido Antoni. Si tratta di grandi composizioni dipinte con il Ducotone; vi prevalgono il nero ed il grigio, in contrasto con gli spazi bianchi dei fondi; ma vi è anche qualche altro colore: ora acceso, ora spento . Sono opere astratte; vi si vedono certi effetti materici - quei lisci, quegli scabri delle superfici - e vi si vedono geometrie in scacchiere e ghirigori in rilievo e riquadri: complessi che – come suggeriscono i titoli - vogliono essere non altro che sottili astrazioni - quintessenze - della realtà oggettiva. Il termine astratto, dunque, andrebbe inteso, qui, nel suo significato più proprio. Vediamo così testi la cui lettura è pressoché agevole: vi si riconosce, più o meno ambiguamente una figura, una forma. Ne vediamo poi altri che si rischiarano solo se vogliamo seguire le indicazioni dei titoli, i quali ne divengono quindi la necessaria scrittura ermeneutica. Ma ne vediamo anche alcuni che appaiono come una scrittura chiusa, a segreto, di cui nemmeno il soccorso di un titolo, o di una didascalia, par possa darci la chiave, il cifrario. Letture agevoli, o quasi ci dà, per esempio, l’Antoni nei dipinti che compongono la serie delle Verande: belli per quel gioco semovente o fermo delle scacchiere - un motivo ricorrente questo - e per la magia delle accensioni sui cupi. (…) Ma ecco, ora, le composizioni difficili dell’Antoni. (…) Prevale qui il segno: su fondi neri, di fiamma o sulfurei. Un segno che ora fa pensare alle scritture inconscie, automatiche; ora a talune corsive improvvisazioni del gesto; ora a certe sigle prive di ogni significato, ma che pur vi appaiono simili a misteriosi emblemi. Saranno forse ancora astrazioni, qui, i labirinti, le fughe concitate, i lenti grovigli dell’Antoni, ma
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già sembrano invenzioni, essenze a sé stanti. (…) (36) Il recensore parla di essenze, con un riferimento che può condurci in maniera abbastanza diretta al pensiero filosofico di Edmund Husserl e, per estensione a quello di Hans Georg Gadamer. Guido Antoni ha sempre sottolineato di essere stato influenzato in maniera determinante dalle idee del pensatore moravo, elaboratore della Fenomenologia Pura, e di aver trasposto tali idee a livello pittorico. “Gli Spazialisti - precisa Antoni - al pari di tutti gli artisti della mia epoca storica che hanno trattato le cosiddette avanguardie, hanno sentito in maniera chiara l’esigenza di andare al di là della rappresentazione del fenomeno artistico. Molti hanno scelto la via dell’introspezione psicologica; io ho mirato ad una via eidetica alla ricerca proprio dell’ essenza, anche in considerazione del mio essere uomo di fede“. (37) Antoni precisa come la fenomenologia pura - quindi - non sia una ricerca che si ferma su un piano psicologico, cioè inerente i fatti, ma piuttosto un viatico che conduce direttamente alle essenze dei fenomeni, con un salto prospettico che dal reale trascende nell’irreale. Per raggiungere il piano della fenomenologia è quindi indispensabile un mutamento radicale di atteggiamento, un mutamento che consiste sostanzialmente nel sospendere l’affermazione o il riconoscimento della realtàimplicito in ogni atteggiamento naturale - con tutto il suo accompagnamento di interessi pratici, e nell’assumere l’atteggiamento dello spettatore, interessato solo a cogliere l’essenza degli atti mediante i quali la coscienza si rapporta alla realtà o la significa. Questo mutamento d’attitudine è definito con il termine di epochè fenomenologica. Tale atteggiamento verrà pedissequamente applicato e vissuto da Antoni, il che lo porterà alla maturazione di tutte le opere che egli saprà produrre, con metodo ferreo ed unitarietà d’intenti, dal 1968 in avanti, cioè dal momento della piena e totale affermazione di quello stile compositivo che diverrà da lì a poco la cifra stilistica caratterizzante in via definitiva il suo universo creativo. Si è accennato al pensiero di Gadamer, altro filosofo tedesco - allievo di Husserl - e che a lungo ha trattato il tema dell’ ontologia dell’opera d’arte. Opponendosi alle pretese di universale dominio della metodologia scientifica moderna, la quale riconosce come vero solo ciò che rientra nei binari del suo metodo, Gadamer pensa infatti di poter additare – e giustificare - l’esistenza di specifiche zone di verità, che pur collocandosi al di fuori dell’area conoscitiva della scienza, risultano fondamentali per l’uomo - l’esperienza artistica tra queste - . In sintesi, il fatto che taluni domini basilari dell’attività umana si sottraggano strutturalmente alle invadenze del metodo, il quale, nei loro confronti, si
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rivela sostanzialmente impotente e fuorviante - come dimostrano i ripetuti e fallimentari tentativi di modellare le scienze dello spirito su quelle naturali - non significa ancora, secondo Gadamer, che il filosofo, in rapporto ad essi, debba tacere, dimenticando come in tali settori si annuncino forme specifiche di verità, che egli al di là di ogni acritico pregiudizio scientista, ha il compito professionale di chiarire. Sulla base di questo presupposto, Gadamer specifica che ogni opera d’arte - ogni quadro nel caso precipuo - rappresenta una tipica esperienza extra metodica di verità. L’arte ha un suo carattere veritativo anche se non può e non vuole assumersi l’onere di trasformarsi in un sapere assoluto . Essa non incarna un’esperienza avulsa - di tipo onirico, ad esempio -, bensì un’esperienza nel mondo e del mond, che “modifica radicalmente chi la fa“ (38) ossia “ un’esperienza che esperisce realmente ed è essa stessa reale“. (39) L’illustrazione e la giustificazione di tali esigenze si concretizzano nel progetto di un’ontologia dell’opera d’arte in grado di metterne in luce le strutture effettive:“ Noi non chiediamo all’esperienza dell’arte come essa stessa si pensi, ma che cosa essa in verità sia e che cosa sia la verità, anche se essa non sa che cos’è e non sa dire quel che sa“. (40) Gadamer puntualizza altresì che l’artista, attraverso l’opera d’arte , passa dal piano della realtà quotidiana , cioè non trasmutata, al piano trasfigurato, poiché mentre il mondo abituale è qualcosa di caotico ed imperfetto , che risulta qualificato da una serie di possibilità indefinite o irrealizzate, il mondo dell’arte costituisce una totalità ordinata e compiuta, che trova in se stessa - appunto in quanto forma - la propria misura e perfezione. Per il pensatore teutonico la trasmutazione in forma equivale ad una trasmutazione nella verità e ad un ritrovamento del vero essere delle cose, ovvero ad un ‘esperienza conoscitiva del reale. Per giustificare questa tesi di fondo della sua estetica, Gadamer si richiama all’antico concetto di mimesis, aristotelicamente intesa non come una copia pedissequa del reale, ma come una rappresentazione in grado di illuminare di luce nuova la cosa conosciuta, facendone emergere – al di là degli aspetti superficiali e contingenti in cui essa si dà per lo più nella vita quotidiana - l’essenza o la struttura profonda: “ Il rapporto mimetico originario (…) non implica dunque soltanto che il rappresentato è presente in esso, ma che essa viene in luce in modo più autentico e proprio. Imitazione e rappresentazione non sono soltanto ripetizione e copia, ma conoscenza dell’essenza“. (41) “Ecco perché - perioda Antoni - ho continuato a portare avanti svariati versanti della mia realtà rappresentativa; al di là del tema svolto, infatti, ho sempre avuto unicamente lo scrupolo del far emergere il versante eidetico del mio lavoro, tanto in un prospettiva husserliana, quanto in accezione pure gadameriana“.(42)
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Nell’autunno del 1967, alla fine di un anno che definire frenetico è riduttivo, Guido Antoni espone un corpus nutrito di opere nuove alla Galleria Comunale di Trieste. Puntuali le glosse da parte della critica più avveduta. Carlo Milic su Il Gazzettino del 24 Ottobre ’67: (…) “ La pittura di Antoni è passata attraverso una stagione di totale astrazione durante la quale l’artista ha potuto curare con particolare attenzione il valore della sistemazione delle masse cromatiche nella tela, affinando in modo cospicuo il suo bagaglio di cognizioni nel trattamento dei colori acrilici. Ora Antoni è ritornato a sondare il campo della figurazione come peraltro vuole il progressivo affermarsi del cosiddetto neo figurativo; non manca tuttavia nelle tele di questo pittore la presenza di molteplici alternative all’immagine: ricorsi gestuali, opposizioni di carattere geometrizzante, il tutto proposto in sezioni che accompagnano il più delle volte la definizione di un ben preciso racconto, formalmente delineato dall’ordine della figurazione. Capita così che l’osservatore senta un certo imbarazzo nel sceverare i fondamenti di una tale classificazione preferenziale, non essendo in grado di acquisire i motivi di queste scelte. L’impressione è dunque che Antoni, disponendo di un vasto numero di aggregati compositivi (che lo portano via via a formulare tutta una serie di ipotesi narrative), non si senta ancora in grado di serrare i tempi di questo dialogo, centrando la sua attenzione su un ben specifico nucleo di idee sistemative sul campo della tela. Perciò avviene spesso che analizzando i tempi dell’opera di Antoni si registri, accanto a marginature di rilevante qualificazione tecnica e compositiva, soluzioni di incerta origine, che lasciano perplessi sulla possibilità dell’artista di circoscrivere logicamente le causali del proprio operato“. (43) Il critico coglie con grande acume e chiarezza che il discorso intrapreso da Antoni è ancora in via di definizione, ma altresì accenna ai ricorsi gestuali ed alle opposizioni di carattere geometrizzante, che tanto peso assumeranno nell’economia d’un’estetica che oramai era in via di definizione, e che presto lo avrebbero portato a rinunciare a tutto un insieme di ipotesi narrative, per dare decorso al poderoso ciclo della Conquista dello Spazio, nonché all’infinita saga sul tema della Danza. Ed infatti, a partire dai primi giorni di un anno storicamente rivoluzionario, il 1968, le cronache della stampa riferivano in tempo reale circa l’avvenuto cambiamento. Giulio Montenero, su il Messaggero Veneto del 29 febbraio 1968:“ A breve distanza di tempo dalla sua ultima mostra personale nella sala di Piazza Unità, Guido Antoni presenta la nutrita schiera di ben quaranta dipinti inediti nella Galleria Il Tribbio, a Trieste. La rassegna prova non solo la fecondità, davvero eccezionale, dell’autore, ma anche quella sua caratteristica irrequietezza ed insofferenza per cui, imboccata appena una strada e definitone il
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percorso con quel magistero formale fine e compiutissimo che gli è proprio , subito egli l’abbandona per dirigersi ad altre mete. Nel caso lo spostamento d’indirizzo è appena avvertibile eppure c’è. Dalle partiture nette e precise della precedente maniera, dalle finestre contrapposte del nero sul bianco e del bianco sul nero dalle calibrate quadrature prospettiche, siamo passati ad una tessitura dell’immagine, minuziosamente continuata su preziosi arabeschi, in cui solo la figura centrale - damina settecentesca in atteggiamento danzante, strega snodantesi da un viluppo di fiamme, larvale personaggio femminile - si stacca per la sua violenta dinamicità. Il gioco del colore - sottilmente variegato nelle scale dei grigi, dei neri, dei rosati, dei giallini e di rari e squillanti azzurri - si compenetra al ricamo un tantino decadente delle forme, ricche soventi di piacevoli invenzioni. Non v’è segreto tecnico che sia ignoto al bravissimo Antoni. Egli impiega accorgimenti disparati - l’uso delle tinte acriliche, l’impiego di stoffe come matrici, l’impressione successiva degli stampi al modo del monotipo - fino a raggiungere l’unità impeccabilmente coerente del quadro. Fra i molti esposti ci sembra si raccomandino con maggior persuasione all’osservatore quelli nei quali lo scarto dinamico è più inatteso.”(…)(44) Per la prima volta fanno capolino le figure merlettate che diverranno assolute protagoniste, d’ora in avanti, di gran parte delle opere elaborate dal maestro triestino. Il periodo delle Verande si è di fatto chiuso, al pari delle rappresentazioni palesemente figurative; Antoni è pronto ad imboccare una via purista, cosiccome riferito da Carlo Milic in una sua sapida nota recensoria del “ Marzo 1968 per Il Gazzettino: “ Al Tribbio espone Guido Antoni. La personale ci presenta l’artista triestino sostanzialmente trasformato a pochi mesi dalla sua rassegna della Comunale; in quella occasione, infatti, era ancora possibile notare l’alternanza fluttuante delle idee spesso in contrasto nel campo del medesimo riquadro. Ora Antoni ha optato per una linea purista: nelle sue tele ad olio e nelle tempere il dialogo formale è sostenuto essenzialmente dall’ estrema abilità tecnica dell’artista nell’ottenere, con l’ausilio del colore al nitro, degli effetti rimarchevoli nella dissolvenza e nell’associazione delle tinteggiature. Antoni rimane sempre nel limbo del postfigurativo (…), riprendendo però dei sensibili spunti da una situazione reale, per aprire poi la sua narrazione a rivelazioni simboliche ed ectoplasmatiche, suggerite dall’incorporea apparizione di questa immagine dilavata e misterica. La riconquista di una serena visione delle prospettive aperte sulla sua pittura, favorisce naturalmente questo artista, donando alla sua preparazione compositiva un indirizzo tale da far germinare, dopo
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una situazione di incerta soluzione, i presupposti per il definitivo concludimento di una piena maturazione creativa“. (45) Antoni, come da lui stesso ammesso, inizia quindi a scandagliare il proprio mondo creativo, forte della consapevolezza della epochè di husserliana memoria. Un radicale mutamento di rotta che avviene - non a caso - alla fine di un lungo quinquennio di ricerca formale. Da questo momento Antoni abbandonerà progressivamente tutte le vie incerte, per concentrarsi sul grande tema metafisico dell’ Uomo nello Spazio, in tutte le sue declinazioni possibili, ancorché su quello ancor più sottile e foriero di sviluppi accentrato attorno alla Danza, cioè quel vastissimo work in progress mirante a cogliere il senso del movimento in uno spazio che da ora in poi sarà sempre spazio altro, eideticamente colto ed inteso. Come avremo modo di vedere, Antoni sintetizzerà e pulirà quanto esternato nei precedenti periodi, arrivando ad una elaborazione che pur se ridotta all’osso, gli permetterà di variare all’infinito senza però cadere nella ripetizione o nell’autocitazione, con un ulteriore, progressivo e costante sviluppo nell’àmbito dei temi e delle modalità compositive. Antoni diverrà il cantore degli Spazi siderei, anche se avrà sempre la volontà e la capacità di rimanere fermamente con i piedi per terra, conducendo una ricerca che comunque ha la finalità di ritornare puntuale al centro dell’essere umano, in un costante scandaglio dei limiti e delle possibilità date dalle facoltà intellettive e dalle forze agenti in senso benefico su un’umanità sostanzialmente pigra ed indolente. Nell’Ottobre del 1968, Guido Antoni si propone con una personale a Londra, alla Woodstock Gallery. Ha come critico ed organizzatore dell’evento il pittore Conroy Maddoxx, ricordato dalla storia come un eccentrico ed alternativo rappresentante del Surrealismo nel Regno Unito di Gran Bretagna. Costui ne combinerà di cotte e di crude, venendo ricordato per i suoi atteggiamenti alquanto singolari e per le sue idee estremamente eterodosse attorno all’arte ed al senso della vita. Morirà 92enne nel 2005. Questo il suo commento attorno all’ operato di Antoni : “Guido Antoni’s oils suggest that shifts to allusive imagery that is new breaking through the more abstract works of painters. Hopefully, since he seeks to continue 20th century developments - to add something rather than to recover something lost. In these works of his the image is called up in a form of poetic transformation, achieving an almost spectral effect with colours tactilely applied over what looks a little a photo image reduced to blacks and whites“. (46) Sappiamo dell’esistenza d’uno scritto più articolato da parte del critico inglese , ma ciò in nostro possesso è quanto sopra ripor-
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tato. A proposito delle sue mostre organizzate all’estero, Guido Antoni precisa: “Ho sempre cercato di dare lustro alla mia arte pure fuori i confini naturali della mia nazione di nascita e residenza. Ma pur avendo lavorato per molto tempo con mercanti e galleristi esteri, non sono mai riuscito più che tanto a seguire in maniera approfondita il mercato straniero. Mi riferivo ai specifici operatori del settore, che di norma venivano da me, pagavano all’atto del ritiro delle mie opere e poi ne disponevano a seconda delle proprie necessità commerciali. Da parte mia non ho mai voluto salire su un aereo, preferendo sempre avere i piedi ben saldi a terra. In paesi stranieri c’erano pure difficoltà con le lingue, cosicché ho sempre demandato ad operatori locali, che hanno oltretutto saputo lavorare molto bene. Il mio lavoro pittorico ha assorbito tantissimo tempo della mia fortunatamente lunga esistenza e non avrei potuto oggettivamente prodigarmi più di quanto non abbia fatto. Quando non producevo , mi occupavo in prima persona delle mie mostre su tutto il territorio italiano, il che ha pure richiesto non poche energie. Comunque tantissime opere da me create hanno trovato una giusta collocazione presso amanti dell’arte in tutti i paesi d’Europa, fattispecie Svizzera e Germania, dove la committenza è preparata e dà precedenza alla qualità rispetto al puro nome. Lo stesso dicasi per i concorsi pittorici cui ho partecipato, talora con risultati esaltanti, il che mi ha portato ad avere opere in Musei importanti, in tutto il mondo. Miei lavori son presenti al Museo di Tokyo, Al Puskin di Mosca, al Centro Pompidou di Parigi, al Museo di Stoccolma, al Moma di New York ed in tante altre sedi prestigiose che hanno voluto le mie opere, senza che io mi prodigassi in tal senso. Mi sono sempre dato da fare con lo scopo di creare della buona arte, mai per costruirmi un successo effimero, o comunque per darmi un’immagine che non mi sarebbe appartenuta“. Tant’è che se proprio fossi stato uno che avesse voluto perseguire una fama universale, mi sarei senz’altro prodigato con maggior lena nei confronti di Leo Castelli, il famoso movimentatore triestino delle avanguardie americane, il quale nutriva una sincera ammirazione per quanto andavo facendo sin dagli anni ’60. Ma anche in questo caso ho preferito coltivare il mio modesto orticello, che vita natural durante mi ha permesso di vivere senza grandi affanni ed in perfetta indipendenza umana, artistica ed economica“. (47) Il 1969 vede impegnato Antoni ad approfondire il tema della Conquista dello Spazio, anche e soprattutto in riferimento a quanto di lì a poco sarebbe avvenuto, cioè lo sbarco dell’uomo sulla superficie lunare. L’evento era considerato epocale, ed Antoni approfittò del fatto che la Regione Friuli Venezia Giulia assieme all’associazione Italo Americana , pensarono bene di portare a Trieste, onde esporli al pubblico, i modelli in scala
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ridotta di due dei tre moduli componenti la navicella spaziale Apollo 11, preposta a condurre gli astronauti statunitensi sulla luna. Le due porzioni dell’avveniristico veicolo concepito dagli ingegneri della Nasa, venne esposto al pubblico triestino presso la sede della Fiera Campionaria della città, assieme a ben settanta opere di grande misura create dall’estro artistico dell’alacre Antoni. La vernice triestina - inaugurata il 3 maggio 1969 - rappresentava l’anteprima di una serie di mostre che avrebbero visto le opere spaziali di Antoni esposte prima all’Art Museum di Downey ( Los Angeles), quindi a San Diego, New York, Montreal, Toronto e Ottawa . Dell’occasione particolare fu cronista - ancora una volta su Il Piccolo - Giulio Montenero: “ (…) Ma, al solito, l’unica anticipazione della realtà di domani non può che venire dall’arte. E l’arte nella fattispecie, è costituita da settanta recentissimi dipinti di Guido Antoni che sviluppano , appunto , il tema dei viaggi extraplanetari. Un ciclo imponente di opere, specie se si considera l’unitarietà e la coerenza dei quadri e la rara perfezione esecutiva che si avvale delle più consumate raffinatezze della tecnica. Antoni non si risparmia davvero, pur di raggiungere i nobili intendimenti che sono nei suoi fini. All‘origine di questa emozionante esplorazione vi è un episodio real , che fu vissuto da tutti noi: le immagini televisive trasmesse dalla capsula spaziale americana ruotante intorno alla Luna. Tutti noi abbiamo percepito le stesse sensazioni. ma solo un artista qual‘è Antoni è stato capace di trasformarle e di darci compiuta espressione di quella straordinaria situazione. Nel riquadro campeggiano le sagome scure dell’ oblò, i mirini degli apparecchi ottici e di ripresa televisiva, le antenne degli strumenti esterni, gli ultimi prolungamenti della navicella nel vuoto. Codeste figure diventano segni zodiacali di un nuovo destino dell‘umanità, emblemi di inediti e per ora incredibili movimenti politici e sociali, prolungamenti, già da ora, degli arti umani, tesi nello sforzo di guidare e coordinare i movimenti dell’astronave durante gli intensissimi attimi dei collegamenti. Dietro a questa rete di segnali, si distende come su di una mappa geografica, il paesaggio terrestre e quello lunare. Il nuovo volto della realtà fisica viene svelato da quelle enormi distanze. E’ qui che si manifesta la finezza della pittura di Antoni: le delicate marezzature, gli impalpabili ricami, i lievi accenni di colore - rosati, azzurrini - sfumati nella nitidissima griglia delle minuscole maglie di tessitura. La sua prefigurazione delle esperienze lunari risulta dunque dalla silloge di due precedenti esperienze artistiche, ancora cariche di forza anticipatrice : l’arte segnica ed emblematica per quanto riguarda i nitidi e vicini contorni degli apparecchi e l’informale nella descrizione dei paesaggi siderali. Due esperienze che si uniscono e si integrano nelle settanta tavole, lasciando il debito mar-
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gine ad una indicibile e persino ansiosa partecipazione emozionale, ad un‘attesa del futuro, ad un alone di mistero che circonda queste avventure in apparenza determinate solo dal più freddo rigore della tecnica.“ (48) Volendo compiere una debita analisi retrospettiva delle molte opere elaborate da Antoni dalla seconda metà del 1967 sino a tutto il 1969 concernenti La conquista dello Spazio, potremo facilmente arguire come il pittore avesse elaborato quei particolari paesaggi spaziali ben prima di aver visto le fotografie scattate dalle strumentazioni ottiche dell’Apollo. “Sappiamo benissimo - precisa Antoni - che il fatto di essere figli di una determinata epoca porta uno o anche più artisti in contemporanea a studiare determinati temi o determinato soggetti, com‘è naturale che sia. Per quanto riguarda la specifica produzione di quel periodo , essa rappresentò quel traguardo che avevo perseguito strenuamente lungo tutti gli anni ’60, ed a cui sarei comunque approdato. E’ naturale che le esperienze dei viaggi lunari recarono ancora maggior acqua al mio mulino creativo, fornendomi ulteriori chiavi di lettura e nuovi spunti tematici. Ma non scordiamoci che tutte quelle opere , benché riconducibili per assonanza visiva allo sbarco extraterrestre, in realtà godevano di un’autonomia costruttiva che fondava le proprie radici in una elaborazione pittorica lontana da qualsiasi riferimento a specifici paesaggi planetari o a specifici momenti tecnici dello sbarco lunare“. (49) E’ pure vero che in molte di queste opere appaiono sovente ingranaggi dentati anziché strane antenne o ancora grovigli ferrosi che inducono a pensare alle strumentazioni satellitari in uso all’epoca, fermo stante accorgersi che tali elaborazioni segniche ricompaiono, sempre rielaborate e rivisitate dalla scaltrezza compositiva antoniana, assumendo così il valore di simboli costanti, quasi dei leit motiv all’interno dell’intero ciclo, più o meno riscontrabili, a seconda del singolo caso. Una simbologia oscuramente inconscia, arcana, dove altravalica - mento dello spazio terrestre, diretto ed imminente futuro, fa pendant l’attaccamento a grafologie che sembrano scaturire dal passato più remoto della storia dell’uomo, com’era già accaduto con il criptico ciclo delle Antiche Macchine da guerra del 1963, in una costante volontà di ridefinizione degli erronei concetti di presente, passato e futuro così come intesi nell’accezione più usuale del termine. Pur apparendo costruttivamente meccanicistico, ancora una volta Antoni dimostra di sapersi avvalere della componente fantastico cromatica con grande maestria, celandola sotto le mentite spoglie d’immagini tecnicistiche. Ma Francesco Tenze, in virtù d’un non comune acume analitico, all’epoca scriveva giuste parole, svelando la mossa artistica del pittore. Nell’articolo “ Antoni rivela con la fantasia ciò che è accaduto nel cosmo“ , difatti il
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critico così periodava: “ Il ciclo spaziale che il pittore triestino Guido Antoni ha presentato in questi mesi nella sua città, (…) può apparire come il risultato d’ una fruttuosa operazione metodica. Questa è, nel pubblico più preparato, l’impressione prima di fronte alla quantità dei lavori, in cui il cosmo e le risorse volte alla sua esplorazione sono tenacemente esperiti; ma a tale impressione fa seguito, quasi immediatamente, una sorpresa per il sentimento. Si è coinvolti in una sorta di caccia al tesoro, come se ogni opera rimandasse alla seguente la conclusione del dialogo fra il pittore e lo spettatore, rinnovando continuamente sul piano estetico un tipo di emozioni di cui è prodigo il nostro tempo. La tensione generata dalle imprese che seguiamo sul video, lascia il posto a disinvolti scambi di immagini verbali, mentre quella suscitata dal linguaggio poetico alimenta la nostra partecipazione , chiama appunto in causa il sentimento per chiarificare la storia espressa in termini tecnologici. Nella pittura di Antoni ogni ciclo ha il suo svolgimento sull’estensione di lunghe serie di quadri ed ogni quadro totalizza l’esperienza dei precedenti intorno al nucleo di novità che lo giustifica. Si direbbe che di volta in volta lo spazio astratto predisponga le sue vibrazioni allo sviluppo dell’idea nascente, ed è questo il fenomeno attraverso il quale l’operazione metodica si trasforma in continua scoperta permettendo, quando tutto sembra esaurito, il passaggio a nuove esperienze. In tale procedere coerente ed attento, la funzione di conoscenza della fantasia conferisce una dimensione agli aspetti che caratterizzano il nostro tempo. E’ sempre più difficile dare un senso umano a questi apsetti, poiché oggi tutto procede dalla tecnica e il cuore, come è stato detto in sede speculativa , è diventato un analfabeta, incapace quindi di inserire qualche sillaba nei codici della realtà. In precedenza Antoni ci ha fatto condividere l’illusione di libertà nell’infinito che ospitava le idee concretizzate in oggetti oscillanti o era incrinato da scie ambigue di natura materiale ed ondulatoria al tempo stesso, come avviene per le particelle fotoniche. E’ stata una preparazione in terra di nessuno, dove era possibile percepire l’ordine e la bellezza quali regole della ricerca. Ci chiedevamo quale senso avesse per lui la cura posta nel filtrare i colori che esprimono le suggestioni dell’ universo, colori prodotti dal pensiero per sondare lo spazio, ottenuti sotto le lenti d’un microscopio. Il senso di quella cura stava nell’impulso alla scoperta; lo stesso impulso che spinge l’uomo verso la Luna e oltre, con le dovute deviazioni dai modelli sensibili. La liberazione dai problemi pittorici, ottenuta col lavoro accanito, ha permesso al pittore di formulare un linguaggio astratto del tutto personale , eppure immediatamente leggibile. E’ stata, al tempo stesso, una liberazione delle idee il più delle volte represse per la mancanza di idonei veicoli espressivi.
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La possibilità di conferire alla idee una sostanza concreta quando sono sollecitate dalle realizzazioni umane del tempo costituisce sempre lo strumento principale per un’ adesione estetica. Con i suoi ritmi, le sue misure, le sue profondità e con gli oggetti visti o desunti dalla visione, il ciclo spaziale di Antoni, riassume in una cronaca fantastica, filmata interiormente ciò che accade ed accadrà nel cosmo. La mediazione dell’arte ci rende partecipi di questi eventi come se la dimensione spaziotemporale, concreta nelle opere, si dilatasse per appartenere a tutti.” (50) L’arte di Antoni era dunque arrivata a giusta maturazione in un momento topico della storia della civiltà umana. “Mi meraviglia - perioda Antoni - come tanta gente confondesse questa mia ricerca, intendendola come una mia necessità di uscire dal mondo, di estraniarmi dal contesto umano e terreno, per approdare ad altri universi o galassie. Come ho più volte ribadito, il mio interesse è sempre stato per l’uomo, il cui sistema cellulare riflette da vicino una sorta di organizzazione simile al nostro sistema solare o la cui conformazione cerebrale ricorda la disposizione stellare della Via Lattea, in un preciso ordine micro macroscopico. Tutte le opere dedicate al rapporto uomo/spazio e spazio/mente lo attestano in maniera piuttosto evidente, indicando al contempo una personale propensione all’introspezione piuttosto che non all’estraniamento. Ho sempre avuto paura di salire su un semplice aereo, vi immaginate se mai oserei mettere piede su un’astronave! Meglio rimanere con i piedi per terra… (51) L’equivoco però si ripete in maniera abbastanza diffusa. Lo attesta una recensione apparsa sul Resto del Carlino (16.1.70) a nome di Bruna Solieri Bondi: “Antoni è senza dubbio un pittore di derivazione astrattista. Sulla terra, per lui, non v’è realtà né vecchia né nuova che valga la pena di riguardare con occhi nuovi. Volge quindi lo sguardo e la sua attenzione a scenari di spazio, che egli popola di segmenti, di profili di pianeti e di stelle. L’immagine che affascina Antoni è la scienza, che con i suoi strumenti meccanici viola la verginità di cieli lontani. Non è una conquista aggressiva questa di Antoni, anche se è fatta di lance, di arnesi aguzzi, di uncini, di ruote dentate e di leve, ma uno smagato inseguire dati di fantasia di là dei confini terrestri. Un miraggio, che, se al presente rimane nella cifra del decorativo, può sfociare in un messaggio di evasione di ricerca di nuovi mondi . Il segreto di questa trasposizione verso altri regni di sensibilità sta nella rima del colore, che sa creare atmosfere, spazi ed orizzonti di infinito respiro, per un mondo che non ha confini. Infatti in alcune tele nelle quali il pittore ha lasciato parlare una prestigiosa gamma cromatica di nuovo coni , il linguaggio di Antoni si fa chiaro, persuasivo, avvincente. Pensiamo che l’artista sia quasi alle prime battu-
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te in questa tematica ardua e difficile, la quale per raggiungere il valore di un categorico messaggio ha bisogno di campeggiare in spazi tonali di estrema trasparenza, in una tavolozza affinata e di sostanza materica più consistente. La visione di Antoni precorre angolazioni di luci, di fantasia, di riverberi nell’oceano immane delle stelle e può rappresentare e narrare la fiaba dell’uomo dell’anno Duemila“.(52) “Salta all’occhio - glossa Antoni - come in molti casi i recensori abbiano potuto scrivere solo sul presupposto delle proprie intuizioni o delle proprie conoscenze circa un artista, talvolta veramente esigue. Per quanto mi riguarda, ho sempre accettato di buon grado i giudizi altrui, anche perché il più delle volte sono sempre risultati favorevoli anche se non sempre centrati”. (53) Durante tutto il 1970 Guido Antoni continua a sollecitare con tenace costanza la propria creatività, con risultati che si pongono ad un livello di diffusa eccellenza, tanto nella fattura quanto nel contenuto. Con i due cicli coevi uomo/spazio e spazio/mente, l’artista ratifica più che mai la necessità di dar connotazione filosofica precisa alla propria opera pittorica, attraverso un accurato apparato simbolico che in maniera sempre pulita e nitida fa bella mostra nei lavori di questo periodo. Alle masse ferrose uncinate o dentate, si sostituiscono forme geometriche specifiche come cerchi o quadrati, poste in sottile connubio con masse cerebrali filamentose ed aggregati ectoplasmici più o meno cromaticamente definiti. Il colore, adoperato in modo preziosamente parsimonioso, trova sempre una propria pragmatica collocazione sui fondali per lo più grigi, mossi da un grado di sfumature di strabiliante raffinatezza e capaci di recare ad ogni opera una magia in termini di profondità e movimento. E così lo spettatore ha modo di ubriacarsi tra luci, riflessi e riverberi che hanno la capacità di ridefinire, quadro dopo quadro, un nuovo concetto di spazio e di tempo. Attraverso queste opere, risulta chiaro come il discorso spaziale si sia allontanato dai presupposti lunari in maniera piuttosto decisa, assumendo connotazioni filosofico spirituali molto più evidenti. Del 7 Novembre 1970 una recensione senza firma apparsa su La Voce di Padova: “(…)Decisamente pertinente alla pittura è , invece, il limpido ed entusiasmante discorso del triestino Guido Antoni, la cui visione è tutta accentrata in chiave fantastica , nell’avventura dell’uomo nello spazio e nel suo intimo bisogno di liberazione. La sua maturità d’ispirazione si concretizza, con tecnica personale, in un immaginoso quanto attraente diagramma linguistico, dove l’idea-immagine si dilata poeticamente all’infinito con un moto emozionale intenso ed unitario,che ne accresce la segreta dimensione spirituale ed il significato evocativo. I valori contenutistici e formali si evidenziano soprattutto nello scavo della materia-colore, espressa con rara sensibilità, attraverso le più imprevedibili modulazioni e dislocazioni ritmiche e psicologiche.
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Antoni sa esaltare il segno fino alla configurazione simbolica ed inventare coi colori le immagini, per trasferirle, con annotazioni allusive, nella pienezza del loro respiro cosmico. Qui, in quest’aura sospesa e palpitante soffia la sua grande anima e si fa presenza vitale di improvvise illuminazioni e di incontaminate contemplazioni in una spazialità nuova e misteriosa”.(54) Uno spazio filosofico, dunque, quello che Antoni tende ad occupare ed a far proprio, dove le immagini potrebbero essere quelle delle masse cellulari, rese in macroscopia, così come quelle di uno spazio infinito ma non più necessariamente siderale. Uno spazio che abbatte dimensioni e convenzioni per rendersi pura fantasia oltre qualsiasi spazio ipotizzabile, presumibile od immaginabile. Uno spazio primigenio futuribilmente definito, dove sfondo, colore, materia e forme si equalizzano in un apporto perfettamente paritario, senza stridere od elidersi vicendevolmente. Bene riesce a delineare questa condizione della pittura di Antoni il critico S .Weiller su Il Gazzettino di Padova del 17.11.70: “Guido Antoni, artista triestino, propone una pittura sottile, che nasce da una lunga esperienza espressiva e coinvolge nel fatto pittorico l’evoluzione di un pensiero concettualmente chiarito e giunto ad un simbolismo eloquente. Il dipinto risulta da un doppio percorso creativo, che, per fasi alterne, intesse alla consequenzialità logica una elaborazione istintuale, originata dalla materia stessa, in quanto essa diventa protagonista delle scoperte spaziali e perfino simboliche. La materia appunto, sgranata su diversi strati e analizzata, nell’atto stesso del dipingere, ai vari livelli di densità. Portando il suo messaggio primigenio, individua i piani e gli spazi in un lento emergere di elementi, che conduce lungo le linee nevralgiche della formazione originaria universale. In questo magma mobile, lieve e ricco di germinazione , quasi generato ed insieme riassorbito , giace il segno dell’uomo con i suoi riferimenti storici, ed è legato per i fili delicati di una fantastica rete grafica al divenire misterioso che lo imprigiona e lo implica. E’ un discorso complesso quello di Antoni, acuto e pieno di finezze tecniche e culturali , non privo di qualche compiacenza estetica, peraltro inclusa nell’arco di una rigorosa ed intelligente essenzialità poetica“. (55) Ad Antoni, attraverso questa serie felice di opere, riesce l’operazione di conglobare, in sintesi armoniosa, tutte le precedenti tappe creative: dalle opulenze cromatiche del periodo dei Pendoli, alle scansioni geometriche del periodo delle Verande, sino alle libertà segniche delle Città di Dite, o alle asperità materiche delle Antiche
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macchine da guerra. Il risultato è però ora molto più pregnante, raffinato, gentile. Le forme geometriche non più anguste e soffocanti come al tempo delle Verande; i colori molto più sfumati e ricchi di nuances rispetto all’epoca dei Pendoli; i segni molto più liberi e sicuri che non al tempo delle Città di Dite, e la materia molto più raffinata e duttile rispetto alle Antiche macchine da guerra. Oltre a tutto ciò, va notato pure un ridursi degli elementi figurativi, a favore d’una realtà di forme più allusive, benché sempre legate, come atmosfera base, ad elementi comunque iconici, quasi in antitesi alle coeve correnti informali e puramente astratte. “Non ho mai pensato - chiosa Antoni - di creare opere che fossero informali anziché figurative nel senso più stretto del termine. Ho piuttosto sempre badato a perseguire una propria e personale figuratività, giocando spesso sull’illusione ottica. Pensate al mio ciclo della Moda, tutto imperniato attorno a linee e volumi solo all’apparenza figurativi, ma in realtà puramente geometrici. Oppure alle mie figure femminili del periodo delle Verande, puri agglomerati desunti dal mio particolare modo d’imprimere stracci e tessuti sulla tela o sulla carta. E’ chiaro che in una cultura visiva connessa alla riconoscibilità delle forme si tenda sempre a razionalizzare ed assimilare qualsiasi figura in riferimento al dato reale, ma è pur certo che nel mio caso io abbia dovuto superare il basilare problema onde poter giungere alla costituzione di un mio autonomo modello espressivo”. (56) Secondo l’autorevole parere del critico marchigiano Armando Ginesi, la costruzione pittorica di Antoni parte dalla materia per arrivare a delineare, con sorprendente completezza ed acume le più ignote profondità del creato, in un’esternazione tangibile quanto enigmatica:“ C’è, nel triestino Guido Antoni, una volontà precisa di ricercare, nella materia, valori fantastici, contenuti esistenziali e validità segnica. Egli muove da un’ adesione, diremmo da un’affinità ideale, al medium materico che lo porta ad analizzarne le componenti chimiche e fisiche fino a ritrovare in esse il significato più autentico di valori definitivi. Così è la materia la prima autrice delle scoperte entusiasmanti di Antoni: scoperte che racchiudono in sé stesse la storia della realtà (e quindi dell’uomo, protagonista principale di ciò che avviene nel mondo fisico). Nella materia il pittore scopre segni autonomi, suggestivi, a volte simbolici , pulsanti di vita propria ed evocatori di turbamenti esistenziali. E scopre mondi non ancora a livello di coscienza, realtà in movimento, piene di sensibilità sconosciute ed originali. Infine è da sottolineare una delle conquista più interessanti ed autentiche di questo straordinario
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pittore, vale a dire la scoperta che la massa materica, evidenziata nelle sue strutture significanti, non è solo valutabile come collocata in uno spazio, ma racchiude essa stessa tutti i più genuini valori spaziali, assumendo il significato chiaro e al tempo stesso misterioso di un micro e macrocosmo assieme. (57). Stante i giudizi unanimi di tutti i critici, si evince quanto la pittura di Antoni risulti enigmatica e sfuggente a dispetto della sua pur chiara ed eloquente significatività segnico esplicativa.“Ogni opera d’arte - taglia corto l’artista - creata da un artista che abbia saputo andare al di là della contingenza descrittiva e del manierismo pittorico, reca in sé il grande enigma della creatività e della vita. Compito dell’artista pittorico è quello di avvicinarsi il più possibile a tale enigma , cercando di descriverlo e circoscriverlo sulla tela o su altro medium usato. E’ evidente che trattandosi di qualcosa che pur essendo in noi ci trascende, la possibilità di afferrarlo nella sua interezza risulta atto difficilmente realizzabile. L’artista lo intuisce, presentandolo a propria volta ad un osservatore che può essere più o meno capace di andare in profondità e catturarne il messaggio. Dire dunque quale sia l’esatto significato di un quadro, sarebbe come voler spiegare il mistero di Dio e di tutti gli altri fenomeni che ci trascendono e sovrastano“. (58) Guido Antoni è quindi conscio di quanto sia arduo il compito dell’artista, sia in chiave filosofica e sia in chiave comunicativa. Indicare la via, difatti, non esclude il non dover lasciare libero arbitrio all’osservatore, come annota un critico firmatosi a nome Franc, nell’articolo “Spazialismo - Astrattismo del triestino Antoni“, comparso sul Gazzettino di Belluno del 14.2.71, in occasione della personale di Antoni alla Galleria “La Radice“: “Il triestino Antoni ha allestito una personale alla Galleria “La Radice” in cui dà prova della sua sensibilità artistica, lievitata su chiarissime posizioni avanzate, seguace com’è della Spazialismo - Astrattismo, appena disciplinato da qualche vincolo con la realtà. E’ la festa del grigio, concretato in diverse tinte che assieme concorrono ad ottenere la tridimensionalità delle opere. Ma quello che maggiormente spicca è proprio quel punto focale d’interesse che si crea considerando i suoi quadri. Quasi degli ideogrammi, o comunque dei segni neri che si staccano dal contesto generale a concretare l’idea fondamentale, attirano lo sguardo dello spettatore che non può ammettere come situazione, momento, e fervida immaginazione sappiano collettivamente conseguire una scena affascinante. Si disse che la corrente astratta sapeva interpretare le cose reali secondo un punto di vista assolutamente
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libero: cioè trasformare la natura sotto il profilo dell’individualismo, oppure ingigantire un’idea sì da porla a soggetto indispensabile per la creazione di un’opera d’arte. Nel caso di Antoni l’effetto non manca. Ma non difetta nemmeno la genialità dell’autore che, sebbene nei suoi quadri dimostri di mantenersi fedele ad una matrice estetica, in ognuno di essi lascia trasparire la volontà d’interpretare il motivo ispiratore secondo nuove dimensioni. Inoltre sussiste la possibilità di indovinare quello che la materia volutamente disposta sulla tela può rappresentare, quasi si trattasse di un gioco a degli interrogativi che possono essere risolti singolarmente, e sul piano critico - interpretativo dimostrarsi altrettanto validi. In sostanza Antoni lascia ampio campo all’estraneo, che in questa maniera può tuffarsi in ricerche singolari, interessandosi a quello che il messaggio pittorico si limita soltanto a proporre. La tecnica non si presta a critiche. L’autore sa come e dove disporre il colore, ma in particolare è ben convinto sulle idee e sui mezzi per materializzarle. In questo caso l’astrattismo, sebbene in qualche opera rimanga contenuto, è la prova di una seconda libertà, tra autore e spettatore. Ma perché ciò sia anche dimostrazione di verità, bisogna… saperci fare. E Antoni lo dimostra “(59). Tra le svariate note critiche di tono elogiativo, annotiamo pure un intervento del critico friulano Danelutti, scritto sul Gazzettino, in occasione della personale tenuta dall’artista presso la Galleria Carducci di Udine (15/30.5.71) il quale solleva qualche perplessità su un preciso aspetto della pittura di Guido Antoni: “ Alla galleria Carducci mostra personale di Guido Antoni, triestino, diplomatosi all’Accademia di Venezia. La tematica di Antoni svolge motivi di carattere spaziale. La (?) materia della pittura viene filtrata attraverso una pennellata sottile, lieve , che rende incorporea la trama coloristica. Le opere di Antoni sono variazioni di un medesimo motivo, un po’ monocordi, ma rigorose nell’impianto; su un fondo grigio azzurro, intessuto di linee fitte come di una tela grezza, si disegnano segni di una vitalità intensa, neri o rossi, grovigli di vitalità contenuta, quasi anestetizzata in ritmi decorativi. La decorazione è la spada di Damocle del linguaggio di Antoni, che, incanalato entro una formula, difficilmente riesce a liberarsene e finisce per compiacersi evitando qualsiasi impatto che drammaticamente lo distolga dalla via ormai tracciata. Seppure dunque un poco esangue, si tratta di una pittura meritevole d’attenzione e dotata di una sua autonoma capacità espressiva”. (60)
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In periodo natalizio Guido Antoni propone la propria pittura a Milano, dove questa trova più che buona accoglienza. Il ben noto critico Salvatore Maugeri, in occasione della personale tenuta dall’autore presso l’Eidac tra il 21 Dicembre 1971 ed il 10 Gennaio 1972, così sintetizza il già lungo percorso operato dall’artista triestino: “ Il Dott. Tino Munari aveva voluto disporre, tutt’intorno le pareti del suo studio, le opere di Guido Antoni destinate a questa mostra milanese e mi diceva che ogni occasione era buona per rivedere la magia di questo pittore triestino così autentico e personale da costituire un caso a sé nella cultura visiva di quest’ultimo dopoguerra. Ancora una volta, infatti, mi andavo convincendo che le opere di Guido Antoni hanno il merito di rendere subito evidenti la ragione linguistica e poetica che le ha originate, in virtù della chiarezza e dell’unità con cui sono determinate. Questa ragione, a mio parere è da individuare nel processo operato dal pittore inteso a liberare la materia da ogni forma di determinismo meccanico per imprimerle una forma vitale intuita al di là dei confini del conosciuto. Forse tutta la sua ricerca precedente sui valori dell’indagine materica doveva segnare il momento annunciante il definitivo distacco verso questa recente stagioni di pure invenzioni, in un rapporto con lo spazio che impone e presuppone una nuova dimensione di sé. non per nulla tutta una serie di opere recenti di Antoni è ispirata al ciclo delle relazioni uomo/spazio, dove la misura del rapporto non è più identificabile nelle leggi delle scienze matematiche , ma se mai in certe suggestioni - intuizioni assai vicine agli stupori della metafisica. D’altra parte anche nelle opere del decennio 1957 -1967 dominava questo carattere misterioso ed indecifrabile di una realtà che esorbitava dai suoi limiti del noto pur avendone molti aspetti. basterà ricordare le figure delle donne che si svestono, o le sagome umane chiuse in una fitta rete di fili, di corde, di maglie, poste al centro di interni insoliti, come immense vetrate riflettenti l’esterno ; oppure altri dipinti nei quali inconsuete forme vegetali o animali venivano scoperte (e l’occhio le scrutava come da un interno volto verso un esterno) attraverso curiosissime geometrie di pavimenti ed ampi telai di finestre, oppure infine colte nel fondo d’inesplorati abissi, dove penetra soltanto una fantasia intuitiva. Il colore interveniva sempre, nella stessa misura in cui interviene nelle opere più recenti a definire spazi e silenzi, forme ed apparizioni, ambienti noti e suggestivi, forme di una vita segreta e misteriosa. Tutto questo se ce ne fosse ancora bisogno, vuol dire che il mondo poetico di Guido Antoni (e lo stesso mezzo tecnico di cui si serve il pittore per dargli concretezza)è rimasto inalterato nella sostanza, pur subendo un costante proces-
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so di sviluppo e di approfondimento. Ma questo è il destino di tutti gli artisti autentici” . (61) E’ nel 1972 che Antoni inizia a dar forma a quello che sarà il suo ciclo compositivo più ampio ed articolato , cioè quello della danza. Un lavoro che, tra interruzioni e riprese, l’artista porterà avanti sino alle soglie dell’anno 2000. Migliaia di fogli e tele tutte egualmente tese a catturare la forza d’un movimento che ogni cosa permea ed intride. Nella Danza prima e nella Nuova Danza poi, Antoni sarà capace di far convergere tutte le esperienze spaziali ammantandole di gioiosa vitalità cosmica. Continuerà altresì a setacciare gli arcani simbolismi delle forme geometriche, quadrati e rette in testa, senza però trascurare l’aspetto decorativo, attraverso l’importante e sfarzoso capitolo dedicato alla Storia della Moda , posto in cantiere a cavallo tra gli ultimi ’70 ed i primi ’80. Arriveranno quindi i cicli dedicati a Carlo Mattioli, alle Nature Morte Spaziali, via via sino alle recenti, importanti opere legate all’attualissimo tema delle Regole del Caos. Negli ultimi e deboli giorni della propria esistenza, Guido Antoni ritornerà , giusto per non interrompere una necessaria quanto sana abitudine quotidiana, ai temi dei Fiori e delle Vele, suoi amori di sempre, anch’essi espedienti figurativi che gli permettevano di entrare in una dimensione dove a valere erano solo le autonome leggi della più completa e svincolata libertà creativa.
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NOTE 1. Conversazioni con Guido Antoni, dagli appunti lasciati a Franco Savadori 2. Vedi nota uno 3. Vedi nota uno 4. Vedi nota uno 5. Vedi nota uno 6. Vedi nota uno 7. Vedi nota uno 8. Vedi nota uno 9. Cfr: Chersovani, Corriere di Trieste, 21-11-1958 10. Cfr: D. Gioseffi, Il Piccolo 24-11-1958 11. Vedi nota uno 12. Vedi nota uno 13. Vedi pag. ...... 14. Cfr: Brochure della mostra presso la Sala Comunale d’Arte di Trieste, 14-23 luglio 1960 15. D. Gioseffi, Il Piccolo (?), luglio 1960 16. Vedi nota uno 17. Cfr: M. Bambic, Primorski Dnevnik, 19-1-1962 18. Vedi nota uno 19. Vedi nota uno 20. Vedi nota uno 21. Vedi nota uno 22. Cfr: “Piace in Toscana la sua pennellata”, Il Piccolo, 2-8-1963 23. Vedi nota uno 24. Vedi nota uno 25. Vedi nota uno 26. Vedi nota uno 27. Cfr: Dino Dardi sulla brochure della mostra personale di Antoni alla Sala Comunale d’Arte di Trieste, 11-22 gennaio 1962 28. Vedi nota uno 29. Cfr: L. Burlini, “Il pavoncello e la pittura di Antoni” 20-1-1962, riportato sul volume “Non tutti ma quasi”, a pagg. 38-40, Trieste 1968 30. Cfr: F. Tenze, sulla brochure edita in occasione della mostra personale di Antoni, tenuta alla Sala Comunale d’Arte di Trieste, 11-22 gennaio 1962 31. Cfr: M. Bambic, Primorski Dnevnik, 26-8-1963 32. Vedi nota uno
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33. Vedi nota uno 34. Cfr: G. Montenero, Il Piccolo (?), dicembre 1965 35. Cfr: L. Burlini, “Ali di rondini - coperchi smerigliati”, dal volume “Non tutti ma quasi” pagg. 80-82, Trieste 1968 36. Cfr: B. Puntar, Il Piccolo 28-3-1966 37. Vedi nota uno 38. Cfr: H. G. Gadamer, “Verità e metodo”, a cura di G. Vattimo, Milano 1972, pag. 135 39. Cfr: Ibid, pag. 401 40. Cfr: Ibid, pag. 131 41. Cfr: Ibid, pag. 147 42. Vedi nota uno 43. Cfr: C. Milic, Il Gazzettino, 24-10-1967 44. Cfr: G. Montenero, Il Messaggero Veneto, 29-2-1968 45. Cfr: C. Milic, Il Gazzettino, 2-3-1968 46. “Gli olii di Guido Antoni, fanno venire alla mente quei mutamenti all’immagine allusiva che rappresentano il nuovo varco verso le forme pittoriche più astratte. Bellamente, benchè cerchi di proseguire le ricerche degli sviluppi del ventesimo secolo, è capace di aggiungervi qualcosa di nuovo, anzichè riacqusire qualcosa di perduto. In questi suoi lavori l’immagine è richiamata in forma di trasposizione poetica, ottemendone un effetto quasi spettrale, con i colori tangibilmente applicati, tali da semblare un’immagine fotografica ridotta ai bianchi e neri. 47. Vedi nota uno 48. Cfr: G. Montenero, Il Piccolo, tra il 3 e il 17 luglio 1969 49. Vedi nota uno 50. Vedi nota uno 51. Vedi nota uno 52. Cfr. B. Solieri Bondi, Resto del Carlino, 16-1-1970 53. Vedi nota uno 54. Cfr: ?, Voce di Padova, 9-11-1970 55. Cfr: S. Weiller, Il gazzettino di Padova, 17-11-1970 56. Vedi nota uno 57. Cfr: A. Ginesi, dalla brochure della mostra personale di Antoni organizzata presso la Galleria d’Arte A-10 di Padova, dal 6 al 20 novembre 1970 58. Vedi nota uno 59. Cfr: Franc, “Spazialismo-Astrattismo del triestino Antoni”, Gazzettino di Belluno, 14-2-1971 60. Cfr: Danelutti, Il Gazzettino, ? maggio 1971 61. Cfr: S. Maugeri, dalla brochure della personale di Antoni tenuta presso la Galleria Eidec di Milano dal 21 dicembre 1971 al 10 gennaio 1972
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OPERE
Cariatide 60x70 cm - 1956 - olio su compensato
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Opera tellurica 60x70 cm - 1962 - Ducotone su compensato
51
Antica macchina da guerra 80x100 cm - 1963 - tecnica mista su tela
52
Senza titolo 72x82 cm - metĂ anni ‘60 - acrilico su compensato
53
La cittĂ di Dite 90x70 cm - 1964/65 - acrilico su compensato
54
Piccola veranda 70x90 cm - seconda metĂ anni ‘60 - acrilico su carta
55
L’alluvione 90x70 cm - 1966 - acrilico su compensato
56
Libertà, libertà, libertà 80x100 cm - 1966 - acrilico su compensato
57
Il video 50x60 cm - 1967 - acrilico su compensato (erroneamente datato 1957)
58
Alba lunare 80x70 cm - 1967 - acrilico su compensato
59
La danza 90x60 cm - 1968 - acrilico su compensato
60
La conquista dello spazio 60x100 cm - 1968 - acrilico su compensato
61
La conquista dello spazio 80x100 cm - 1969 - acrilico su compensato
62
Relazione uomo - spazio 80x100 cm - 1970 - acrilico su compensato
63
La danza 80x100 cm - 1975 - acrilico su tela
64
La danza 70x100 cm - 1976 - acrilico su tela
65
Rapporto uomo - spazio 80x100 cm - 1978 - acrilico su compensato
66
Dal ciclo della moda 80x90 cm - anni ‘80 - tecnica mista su cartoncino
67
Dal ciclo della moda 60x85 cm - anni ‘80 - acrilico su cartoncino
68
Dal ciclo della moda 90x80 cm - anni ‘80 - tecnica mista su cartoncino
69
La nuova danza 77x98 cm - fine anni ‘80 - acrilico su compensato
70
Dedica a C. Mattioli 60x60 cm - fine anni ‘80 - tecnica mista su compensato
71
La grande sfera 100x100 cm - 1990 - acrilico su tela
72
Sintesi 80x100 cm - 1996 - acrilico su tela
73
Sintesi 60x70 cm - 2000 - acrilico su carta
74
Le regole del caos 80x100 cm - 2001 - acrilico su tela
75
Senza titolo 80x80 cm - 2001 - acrilico su compensato
76
Sintesi 60x80 cm - 2005 - acrilico su carta
77
La danza 51x71 cm - anni ‘70 - acrilico su cartoncino
78
La danza 51x70 cm - anni ‘70 - acrilico su cartoncino
79
La danza 50x71 cm anni - 1971 - acrilico su cartoncino
80
La danza 51x71 cm - 1972 - acrilico su cartoncino
81
La danza 48x70 cm - 1972 - acrilico su cartoncino
82
La danza 71x70 cm - 1976 - acrilico su cartoncino
83
La danza 50x70 cm - 1978 - acrilico su cartoncino
84
La danza 70x70 cm - 1979 - acrilico su cartoncino
85
La danza 71x70 cm - 1979 - acrilico su cartoncino
86
La danza 71x70 cm - 1980 - acrilico su cartoncino
87
La danza 50x71 cm - anni ‘80 - acrilico su cartoncino
88
La danza 50x71 cm - anni ‘80 - acrilico su cartoncino
89
La danza 51x71cm - 1986 - acrilico su cartoncino
90
La danza 50x71 cm - anni ‘90 - acrilico su cartoncino
91
La danza 40x60 cm - anni ‘90 - acrilico su cartoncino
92
Vegetazione spaziale 71x80 cm - anni ‘90 - acrilico su cartoncino
93
Ascensione 70x80 cm - 1990 - acrilico su cartoncino
94
Sintesi 72x81 cm - 1996 - acrilico su cartoncino
95
Sintesi 71x81 cm - 1998 - acrilico su cartoncino
96
Sintesi 48x67 cm - 1999- acrilico su cartoncino
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MOSTRE PERSONALI (selezione) Trieste: Hotel Excelsior , 17 – 27 Novembre 1958 Monfalcone: Piccola Permanente Forcessini , Maggio – Giugno 1959 Trieste: Sala Comunale d’Arte , 14 – 25 Luglio 1960 Grado: Hotel Esplanade , 13 – 24 Agosto 1960 Trieste: Sala Comunale d’Arte , 11- 22 Gennaio 1962 Grado: Galleria Comunale , Agosto 1962 Grado: Hotel Saturnia , Agosto – Settembre 1963 Forte dei Marmi: Galleria La Parete , Agosto 1963 Trieste: sala Comunale d’Arte , 24-30 Novembre 1964 Trieste: Galleria Barisi , Dicembre 1965 Gorizia: Caffè Teatro , Marzo – Aprile 1966 San Vito al Tagliamento: Hotel Angelina , Aprile 1966 Montreux (Svizzera): Galerie Pipeus , Agosto 1966 Romans d’Isonz : Sala d’Arte della Biblioteca Comunale , Ottobre 1966 Monfalcone: Hotel Lombardia , Febbraio 1967 Pordenone: Articlub , Marzo 1967 Trieste: Sala Comunale d’Arte , Ottobre 1967 Gorizia: Centro Stella Matutina , Novembre 1967 Parigi (Francia): Museo Nazionale d’Arte Moderna , Novembre 1967 Trieste: Galleria Il Tribbio , 17 Febbraio – 3 Marzo 1968 Monfalcone: Hotel Lombardia, Giugno 1968 Treviso: Galleria Città di Treviso : 14 – 27 Settembre 1968 Pordenone: Galleria Teardo : 5-17 ottobre 1968 Londra (UK): Woodstock Gallery , 14 Ottobre – 2 Novembre 1968 Trieste: Galleria Barisi , Dicembre 1968 Trieste: Fiera Campionaria : 3 – 17 maggio 1969 Abano Terme: Galleria Images 70 , 4-17 Luglio 1969 Ancona: Galleria Puccini , 5-13 Novembre 1969 Forlì: Galleria Ordelaffi , Gennaio 1970 Jesi: Galleria Il Centro, 21-30 Giugno 1970 Grado: Galleria Tiziano , Luglio 1970 Padova: Galleria A-10 , 6-20 Novembre 1970 Milano: Galleria EIDAC , Dicembre 1970 – Gennaio 1971 Belluno: Galleria La Radice , 6-15 Febbraio 1971 San Bonifacio: Galleria Alpone , 27 Marzo – 9 Aprile 1971 Este: Galleria San Francesco , 15 – 28 Maggio 1971 Fabriano: Galleria La Virgola , 17-30 Aprile 1971 Udine: Galleria Carducci, 15-30 Maggio 1971 Treviso: Galleria Città di Treviso, 4-17 Dicembre 1971
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Milano: Galleria EIDAC, Gennaio 1972 Bolzano: Galleria Onas , 22 Gennaio – 5 Febbraio 1972 San Bonifacio: Galleria San Francesco, 12 - 22 Febbraio 1972 Genova: Galleria Contemporanea , Maggio 1972 Venezia: Galleria allo Squero , Giugno 1972 Trieste: Sala Comunale d’Arte , 15 – 23 Novembre 1972 San Marino: Galleria Payman : Marzo 1973 Treviso: Galleria Città di Treviso , Aprile 1973 Pordenone: Galleria La Roggia , Novembre 1973 Adria: Galleria Etruria, Marzo 1974 Gorizia: Galleria Il Torchio, Maggio 1974 Trieste: Galleria Cartesius , Ottobre 1974 Bolzano: Galleria Les Chances des Arts , Aprile 1975 Venezia: Galleria Nuovo Spazio 2, Maggio 1975 Verona: Galleria La Meridiana, Giugno 1975 Treviso: Galleria Città di Treviso, Marzo- Aprile 1976 Cormons: Galleria Forma 80 , 15-27 Maggio 1976 Muggia: Il Mandracchio, Luglio 1976 Roma: Galleria Formastudio , 28 Ottobre -15 Novembre 1976 Bolzano: Galleria Les Chances des Arts , 5 - 18 Febbraio 1978 Muggia: Il Mandracchio, 21 - 27 Ottobre 1978 Pordenone: Galleria La Roggia, Aprile 1979 Palmanova: Galleria Bison, Febbraio 1980 Basilea (Svizzera): Art Basel Fair, 17 - 22 Giugno 1981 Toronto (Canada): Art Fair, 5 - 8 giugno 1981 Landau (Germania): Stadt Galerie Landau, Aprile 1982 Muggia: Sala Comunale d’Arte, 4 - 17 Novembre 1989 Trieste: Galleria Le Caveau, 25 Maggio - 27 Giugno 1992 Muggia: Centro Culturale Millo, 8 - 17 Maggio 1999 Adria: Galleria Etruria, 2 - 29 Aprile 2002 Trieste: Galleria Rettori Tribbio 2, 8 - 21 Giugno 2002 Gradisca d’Isonzo: Enoteca la Serenissima, Dicembre 2004 Monfalcone: Galleria Altern’art, Dicembre 2004 Venzone: Galleria Civica, Giugno 2007 Trieste: Camera di Commercio, Ottobre 2007
Nota del curatore: il numero di mostre personali di Guido Antoni è elevatissimo. I dati sopra indicati non tengono in considerazione gran parte delle personali svolte all’estero, presso sedi museali o altro.
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Finito di stampare nel mese di dicembre 2009 dalle Poligrafiche San Marco - Cormòns -