SurfCulture Digital Magazine Volume 19

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cover shot: Alessandro Piu photo: Mario Entero

eat and go 6 - 39 ale piu 44 - 51 palmè gallery 52 - 65 tim bessel 66 - 73 quik pro france 2014 74 - 89 vortex 91 - 109 marco meccheri 111 - 117 intervista doppia 120 - 129 black like ink 130 - 147 wave, fruits & bus 148 - 171 need a trip 172 - 187 go big or go home 188 - 193 interviews 194 - 201 davide lopez 205 - 212 eurojunior azores 2014 214 - 241

anno 2015 vol. 19

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editoriale

JOSH MULCOY VA N S S U R F. C O M

Š2014, Vans Inc. photo: G. ELLIS


MTE PACK

T h e Va n s M TE Pac k t a kes t hre e s t y l es, t h e A l dr i c h, Fa ir haven, a n d t h e n ew M i d Sl i p, to c reate t h e b es t Sur f Sider c ollection ever for when the temperatures drop and the rain falls. With premium water-resistant up p er s, f l e e c e l in in g for c oz y wa r mt h, a t h er ma l h eat retent i o n layer a s pa r t of t h e in s o l e a n d a rever s e l u g waf f l e s o l e for gr i p, yo u’ll b e wa r m, dr y a n d l o o k in g g o o d w i t h t h e Va n s Sur f Si d er M TE Pac k!


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E AT AND GO! powered by vans italy

photo: Filippo Maffei - Fabio Palmerini - Federico Romanello - Wather Shot: SurfCultureGroup riders: Filippo Orso - Mattia Morri - Angelo Bonomelli

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L U N A SURF photo: Tim Nunn rider: Ian Battrick

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ALE PIU AUstralia trip

photo: Pierpaolo Celio www.thegreysideoftheocean.com riders: Alessandro Piu - Winter Vincent

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Da quando ho 12 anni ho cominciato a girare per il mondo spinto come i miei genitori dalla passione per il mare. Iniziai a viaggiare con la mia famiglia per le spiegge della Francia e della Spagna sino alle coste del Portogallo, vedendo questi posti con gli occhi di un piccolo surfista credevo che quello fosse il massimo non sapendo cosa il tempo mi avrebbe riservato in futuro. Man mano che gli anni passano e diventi più maturo senti in te il bisogno continuo di trovare la tua felicità. Io sono un surfista e la maggior parte della mia felicità è generata dalle onde. Così come molti dei surfisti del pianeta ho sentito il bisogno di esplorare nuovi continenti e testare il loro mare. Grazie anche alle competizioni che mi hanno portato lontano da casa, sono stato in tanti posti in Europa, sono stato sei volte negli USA, nel caldo Brasile, nella magica Bali, nelle nascoste isole delle Azzore, ho potuto sentire la forza delle onde delle Canarie durante ottime swell, ho fatto surf all’una di notte con il sole ancora alto durante l’estate della affascinante Norvegia e altro ancora. Anche se sono tutti posti incredibili, la nostalgia della

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mia terra, la Sardegna, si è sempre fatta sentire dopo non molto che mi trovavo all’estero. Probabimente era un modo per farmi capire che in questi posti ci avrei potuto passare dei mesi per allenarmi ma non avrei potuto viverci per tutta la vita. Questo senso di nostalgia finalmente mi ha dato pace affievolendosi durante questo mio ultimo viaggio. Negli ultimi anni un pensiero si è fatto sempre più presente nella mia mente, questo pensiero si chiama Australia, la terra delle onde blu trasparenti e degli incredibili paesaggi. Ho dovuto aspettare qualche anno per poter andarci, sembra strano da dire ma quando fai surf per professione non puoi fare tutto quello che ti passa per la testa, non puoi prendere e andare ovunque quando vuoi e come ti pare. Per questo motivo ho passato molto tempo in Europa a gareggiare ed allenarmi, aspettando il momento giusto per fare questo viaggio. Ho sempre visto video e foto incredibili dei migliori Pro nelle spiagge più famose del mondo come Snapper e in posti ancora sconosciuti della West OZ.


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Ho passato il primo mese nella zona di Manly e Sydney dove ho surfato insieme al mio amico Giorgio Schievenin, all’ormai Australiano Thomas Cravarezza, insieme a Josh e al mio team mate ION/Fanatic Airton Cozzolino surfando quasi tutti i giorni onde davvero divertenti.

attimo di silenzio mi misi a urlare dalla felicità, finalmente ero li, uno dei miei spot preferiti finalmente davanti a me! Pensai ,ce l’ho fatta!

Arrivare però davanti a Snapper è stato un shock per davvero. Ricordo che mi trovavo in macchina con Lars Craven (il mio amico nato in Tasmania che vive qui in Gold Coast da ormai 20 anni con il quale feci una finale assieme durante uno special event in Italia), stavamo ridendo e scherzando come nostro solito durante una giornata di sole e caldo, insomma una classica bella giornata, perchè in Australia è sempre un good day ovvero un “GDAY mate!“.

La mia prima session a Snapper duro circa 4 ore , prendendo onde cosi lunghe da dimenticare il numero di manovre tra un tubo e l’altro. Ogni tanto capita di prendere un’onda cosi lunga che finisci troppo lontano dal picco e certe volte ci metti anche 10 minuti a piedi per ritornare davanti alla Line Up e ributtarti in acqua. Il bello dell’Australia a livello surfistico è che hai la possibilità di surfare continuamente diversi tipi di onde. Dai beach break da airs, ai reef con slab dove puoi spararti tubi con lo sbuffo da ricordare.

Ricordo che Lars mi disse : Here we go, check it out mate!. Io girai lo sguardo e smisi di parlare mentre guardavo delle destre una dietro l‘ altra srotolare infinite con sezioni da manovrare e sezioni da tubo dove almeno centocinquanta persone remavano in linea con la spiaggia alla ricerca della loro onda. Dopo un

Ogni vero surfista qui riesce a pianificare la sua vita in base al surf. L’alba è alle 4 e mezza del mattino e la giornata è davvero lunga. Può capitare di fare anche 3 session in una sola giornata. Avendo poi una macchina, che paghi anche 1.000 dollari, puoi visitare tantissime spiagge. Per capirci meglio, in circa

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15 minuti riesci a fare un check di almeno 10 spot diversi. Io preferisco entrare in mare il prima possibile appena vedo un onda divertente, perchè una cosa che ho imparato dell’oceano e delle sue maree è che se arrivi nello spot perchè hai ricevuto una chiamata che era bello vuol dire che molto probabilmente sei gia in ritardo! Per non parlare del livello dei surfisti, risalire remando dopo aver surfato un’onda e vedere bravissimi surfisti passare di fianco a te ognuno col proprio stile facendoti vedere serie di manovre diverse ti sprona a fare sempre meglio onda dopo onda. Dai migliori Free Surfers come Noa Dane ai Campioni del mondo come Joel Parkinson e Mick Fanning. Insomma ogni giorno ti confronti e dai il massimo su qualsiasi condizione e in qualsiasi spot! Quest’anno ho avuto la possibilità di visitare questo incredibile paese e non me la sono di certo fatta sfuggire. Infatti è da qui che scrivo, seduto nel prato davanti al mare uscito da poco dall’acqua con il costume ancora umido e con la crema allo zinco

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ancora nel viso mentre aspetto che il mio giovane amichetto Winter Vincent e il fotografo Paciocca finiscano di cambiarsi per controllare assieme gli scatti di questa divertentissima session serale. Un saluto dall’Australia, Ale.


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PALMĂˆ GALLERY

photo: Fabio Palmerini riders: Mattia Migliorini - Angelo Bonomelli - Andrea Orrico - Tiziano Gabrielli - Gianmarco Pollacchi - Giovanni Palatella

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TIM BESSELL a cura di: Filippo Maffei

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QUIK PRO FRANCE 2014 a cura di: Ivan Trovalusci

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VORTEX by twinsbros photo: Fabio Palmerini - Surftolive.com - SurfCultureGroup riders: Giovanni Evangelisti - Angelo Verzini Filippo Eschiti - Jacopo Lancioni - Marco Morini Alessandro Onofri.

Il modello Vortex è stato sviluppato negli ultimi tre anni collaborando direttamente con i rider della family e con atleti impegnati nel circuito europeo nell’ottica di offrire una short molto performante e radicale utilizzabile anche in condizione di onda piccola (1 metro) per surfer di buon livello. Siamo molto contenti di questo modello e del feedback estremamente positivo da parte di tutti i surfer che lo stanno usando.

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ANGELO VERZINI Ho usato per la prima volta la mia Vortex 5’10” quest’anno durante un trip a Fuerteventura e da subito ho capito che sarebbe stata la mia shortboard preferita. Tavola molto performante ma con molta planabilità anche in partenza. Cambio di traiettorie molto rapido per un surf pulito e potente! Ci surfo dal mezzo metro formato fino a 2mt su reef potente e ripido e il risultato è sempre lo stesso: OTTIMO! Sicuramente una tavola per un surfista un pò più esperto ma con una versatilità incredibile, specialmente nelle condizioni del Mediterraneo. Personalmente credo che sia il modello “short” di Twinsbros più riuscito fino a questo momento!

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JACOPO LANCIONI Da quasi un anno vivo in Australia ed ho portato la Vortex in condizioni molto impegnative testandone a dovere i limiti. Ăˆ un ottimo modello in condizioni di onda piccola e media, molto planante, reattiva e manovrabile. Mi ha dato solo qualche problema nei tubi piu grandi per il fatto che il leggero volume in piĂš sui 3/4 della tavola la rende instabile quando spingo troppo avanti. Ovviamente ero stato avvertito dai ragazzi di questo limite ma sono felice di averlo testato in prima persona!

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ALESSANDRO ONOFRI Se avessi la possibilità di portare una sola tavola in viaggio sicuramente la Vortex sarebbe la mia scelta! Una tavola estremamente performante ed adatta ad un vastissimo range di condizioni con la giusta preparazioni si possono surfare anche onde piccole e poco potenti. La Vortex è in grado di accellerare rapidamente e soprattutto mantenerla anche nelle sezioni piÚ piatte, se poi le onde diventano consistenti allora ci troviamo pronto sotto ai piedi un asso di briscola.

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giovanni evangelisti Vortex di Twinsbros è l’ ultimo modello che è entrato nel mio quiver ormai da qualche tempo. Lo sfrutto moltissimo sia qui che all’ estero e sta diventando la mia dream-board. Le misure della mia sono 5.9 per 18 e 3/4 per 2 e 3/16. La tavola è a tutti gli effetti una shortboard tradizionale ma la caratteristica che secondo me la rende unica è che mantiene le proprietà tipiche di una tavola da Mediterraneo, dalle onde potenti sarde e liguri alle risacche toscane. La tavola è progettata per coprire il range d’onda da un metro fino a tre metri. Affinché la tavola esprima tutto il suo potenziale è necessario un livello medio esperto su onda di un metro mentre dal metro e mezzo in su è apprezzabile al meglio da tutti. Cerco di usare il più possibile questa tavola anche su onde medio piccole per la radicalità che questa tavola offre e se proprio l’onda non spinge, la sostituisco con modelli più specifici per onda piccola, come Bat board o H-1. Oltre alla radicalità, la Vortex consente una surfata fluida e un gran controllo in parete. La prima volta che ci ho messo i piedi sopra mi ha stupito l’immediata velocità che acquista e per questo, sicuramente non uscirà mai dal mio quiver.

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MARCO MORINI Circa la tavola Vortex ad oggi posso dire che rientra sicuramente tra uno dei modelli migliori che abbia provato. A mio parere è valida su tutti i tipi di condizione che vanno da mezzo metro fino a 2 metri. La trovo veloce, fluida e intelligente (nel senso che ti segue molto in tutte le manovre che vuoi fare). Negli ultimi 3 mesi ho avuto l’opportunità di provarla con condizioni di mare sempre diverso e in Francia non più di un mese fa, con onde di un metro e mezzo perfette, tubanti e mare glassy, la sentivo veramente perfetta. Sono convinto di aver trovato il modello giusto per me.

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FILIPPO ESCHITI Secondo la mia esperienza la Vortex è una tavola molto performante soprattutto in presenza di onda dal metro fino ai 2 e mezzo. Ăˆ una tavola molto veloce e reattiva, ideale per tutti i tipi di manovra, dalle curve potenti alle manovre radicali. Sicuramente consiglierei questo modello a chi ha giĂ un livello medio e vuole far progredire il proprio surf.

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MARCO MECCHERI

photo: SurfCultureGroup Michele Chiroli riders: Marco Meccheri

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Nome Cognome: Marco Meccheri

entravano in acqua con una tavola da surf. Fu così che per il mio sedicesimo compleanno racimolati due soldi mi comprai una vecchissima tavola presso la OlaSurfboards e da li non ho più smesso.

Data e luogo di Nascita: 15-03-1984 Pietrasanta Anni di surf: 14 Passioni: mare, montagna, videoediting, sport.

natura,

cinema,

tecnologia,

Chi è Marco Meccheri: Un semplice ragazzo di 31 anni che cerca di correre in mare ogni volta che è libero per poter stare a contatto con la natura e per portare avanti una passione che ancor prima del corpo ti prende la mente. Raccontaci da dove nasce la tua passione per il mare e le onde: Mi ricordo semplicemente che verso i 13 anni quando frequentavo le spiagge di marina di Pietrasanta con i miei genitori iniziai a provare invidia per quei pochi ragazzi che

Sappiamo che hai un legame particolare con lo shaper Michele Puliti di OLA Surfboards. Raccontaci come hai conosciuto Michele e in che modo collabori con lui: Come dicevo prima ho conosciuto Michele quando ho preso la mia prima tavola, da li in poi per me è sempre stato un punto di riferimento, facendomi crescere come surfista e come persona. Col passare del tempo poi si è creata una vera e propria amicizia ed un attaccamento alla OlaSurfboards, così che mi sono messo a disposizione per aiutare il sempre indaffarato Puliti nella realizzazione di video, grafiche e tavole spingendo il made in Italy anche nel nostro sport. Parlaci del tuo Quiver e di cosa significa per te poter collaborare a stretto contatto con uno shaper come Puliti:

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Ad oggi ho due longboards, una slide on ed una short. In particolare i longboards sono uno StepDeck Noseriding 9’4’’, singlefin adatto alle nostre onde veloci; ed una BlackSoul 9’6’’ tavola con maggior volume per HangTen estremi la quale stringe in stile Pig nella parte anteriore risultando così rapida e con una buona risposta in curva. Dovete sapere che avere un rapporto stretto con uno shaper ti da la possibilità di pensare in proprio ogni linea della tavola, modellandola a tuo piacimento in ogni piccolo particolare, il quale in acqua farà la differenza. Nello specifico Michele è bravo a realizzare quelle idee e quelle richieste che spesso non sono neanche completamente delineate nella mia testa. In cantiere c’è già un’altra tavola. Michele Chiroli, fotografo Versiliese, oltre ad essere un tuo caro amico è anche uno dei fotografi con cui collabori maggiormente. Descrivi una giornata tipo alla ricerca di onde con Chiroli: Con Michele Chiroli oramai siamo completamente affiatati. Ci svegliamo la mattina di buon ora e il primo che vede il mare o ha

il sentore di onde avverte l’altro. Succede anche quando sono a lavoro e magari guardo la webcam all’alba, lo avviso che ci sono onde e che magari c’è una bella luce, lui fa lo stesso con me. Spesso programmiamo uscite alla ricerca di spot con una buona qualità dell’onda e poco affollati prediligendo roccia e giornate infrasettimanali, non importa il risultato del trip l’importante è stare un pó insieme scambiarsi idee e passare una giornata in mezzo alla natura. Ultimamente Michele ha anche partecipato a tutte le nostre uscite, il tutto considerando che oltre ad essere un caro amico è un buon 50% del progetto SHAPEVIDEO. Spesso molti “tavolettari” si lamentando del fatto che quando siete in mare, voi longboarder, appassionati di noseriding, non utilizzate il leash. Come vivete questo rapporto? Questo argomento è molto gettonato ultimamente e sinceramente mi fa piacere potermi spiegare. Intanto ci tengo a precisare che nessuno vuole fare il figo; ma bensì è un’esigenza del Noserider surfare senza leash il quale facendo i passi incrociati spesso si viene a trovare proprio nel mezzo alle gambe.

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Allo stesso tempo è scontato che nessuno vuole entrare in mare per fare del male a qualcuno infatti quando il mare ha una forma o una dimensione che non consente di entrare senza io abbandono il Longboard e prendo qualcosa di più corto. Infine vorrei porre due domande ai tavolettari: - Siete sicuri che un long di 3 metri legato ad un laccino che arriva quasi a 4 (totale 7), lasciato andare a caso sia più sicuro di uno che lo tiene o che esce prima della sezione chiusona? - Il problema esiste veramente o nella maggior parte degli spot i tavolettari invece che fare il giro in torno al picco rientrano a forza di duck estreme per riessere primi sul picco? Scagli la prima pietra chi è senza peccato.

bagno e che se vado torno con quella carica e spensieratezza per passare dei fantastici momenti con loro. In particolare Tommy è sempre a ridere e quando gli chiedo come fanno le onde lui risponde: “pshhh”. La mia BlackSoul wSpecial T è dedicata proprio a lui.

Da poco sei diventato padre di famiglia, come riesci a far coincidere nel migliore dei modi la tua passione per il mare con le responsabilità nei confronti di tua moglie e tua figlio? La risposta è dormo troppo poco. Scherzo diciamo che ora come ora è un momento veramente bello, avere un bimbo e una compagna che ti aspettano dopo 24 ore di lavoro è unico. Ancora più bello è che Ele capisce la mia esigenza di fare un

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INTERVISTA DOPPIA simone giannini & ivan trovalusci

photo: Ivan Trovalusci riders: Simone Giannini txt: SurfCulture Group

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Nome e Cognome: Ivan Trovalusci – Simone Giannini Data di nascita: 19-09-1990 / 29-11-1990 Luogo di residenza: Forte dei Marmi - Pietrasanta Lavoro: Bagnino/istruttore di surf – Istruttore di surf/ Treeclimber Passioni: Surf, Fotografia, Viaggi, Hockey – Surf, snowboard, Arrampicata, Mountain bike, Viaggi Ivan e Simone - Da dove nasce la tua passione per il mare: I - Sicuramente il luogo in cui vivo mi ha aiutato, Forte dei Marmi, affacciato sul mar Ligure, mi ha permesso di conoscere il mare, le sue bellezze e le emozioni che sa regalare, tra cui il surf. La voglia di stare a piedi nudi sulla spiaggia, prendere il sole e stare il più possibile all’aria aperta e in pantaloncini corti. S - Fin da piccolo, estate e inverno i miei genitori mi hanno sempre portato sul mare ha fare il bagno e giocare con la sabbia, divertendomi all’aria aperta. Questa passione è cresciuta con me, ho iniziato a fare lo “scemo” con il mare mosso, prendendo le prime schiume con la pancia, poi con un bodyboard fino ad arrivare piano piano al surf. Ivan - Oltre al surf una delle tue più grandi passioni è la fotografia, parlaci di come è iniziato tutto: La mia passione per la fotografia nasce un po’ per caso. Provai, riprovai, per scherzo, per divertimento, facendo qualche foto per

favore e per curiosità fino a che quella sensazione del “click” diventò una vera e propria droga di cui oggi non posso farne a meno.. La mia passione di viaggiare poi ha contribuito tanto, il sogno di vedere ogni singolo angolo di questo pianeta e l’idea di immortalarlo. Simone - Oltre al surf che passioni hai: Il posto in cui vivo, la Versilia, vicino al mare e alla montagna, mi ha permesso di conoscere altre discipline sportive come la mountain bike, arrampicata e lo snowboard. Ogni tanto mi diverto a modellare tavole di legno per fare skate retrò. Tutto ciò ovviamente quando le onde non ci sono. Simone - Hai un surfista a cui ti ispiri?: Sicuramente Joel Tudor, un vero e proprio master del Longboard classico che però riesce a dare il meglio di se anche con tavole più corte. Ivan - Quali sono, nella fotografia, i tuoi soggetti preferiti: Non ci sono soggetti in particolare, penso sia bello fotografare tutto e cercare di trovare sempre soggetti nuovi per migliorare e sperimentare cose nuove. Mi piace fotografare il mare e tutti i suoi componenti, tutto ciò che ne fa parte, da un surfista che cavalca un onda ad un tramonto. In particolar modo il surf, il mio mondo, e tutto ciò che lo circonda.

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Viaggiare, fare reportage, amo raccontare le mie esperienze, le mie sensazioni e ciò che i miei occhi vedono, sperando di trasmettere la stessa cosa a chi poi guarda una mia fotografia. In futuro mi piacerebbe sperimentare altri tipi di fotografia come per esempio macro e ritratti. Ivan - Fotografo a cui ti ispiri: Chris Burkard, Morgan Maassen e Steve McCurry.. Bastano? Ivan e Simone - Il viaggio che più ti è rimasto in mente: I - Beh, sono tanti i viaggi belli e pieni di ricordi, sicuramente uno in particolare è il viaggio in Marocco. Una vera e proprio avventura, molto “spartana” e a suo modo complicata, dove ho visto, forse, le onde più grosse e belle di tutti i miei viaggi. In una settimana abbiamo trovato due swell da 16 piedi e chi si intende di mare sa cosa significa. Un mondo completamente diverso dal nostro, passavo ore girovagando per vicoli alla ricerca di scatti un po’ particolari.. E’ stata veramente una bella esperienza. Ogni volta che riguardo quelle foto rimango senza parole.

S - Eh si!!! Uno dei viaggi più belli è stato quello in California. Un emozione incredibile surfare il First Point di Malibu e partecipare, grazie al Nimbus surfing Club, all MSA Malibu Classic Invitational uno degli eventi piu significativi del longboard classico. Ho avuto la fortuna di conoscere e vedere surfare gente del calibro di Joel Tudor, Errison Roach, Oliver Parker, CJ Nelson e molti altri ancora. Ivan - Parlaci del tuo rapporto con il longobarder Versiliese, Simone Giannini: Eh... che dire? Ormai è come un fratello, abbiamo una bella sintonia. Ci conosciamo da tanti anni, nonostante cresciamo, alcune cose cambiano, l’amicizia rimane. Negli ultimi anni poi, grazie al suo talento e alla mia passione per la fotografia, siamo riusciti a ritagliarci un bello spazio nel mondo del longboard italiano e penso non ci sia cosa più bella che “lavorare” e divertirsi insieme facendo una cosa che ci piace. Simone - Parlaci del tuo rapporto con il fotografo Versiliese, Ivan Trovalusci:

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La nostra amicizia risale ormai da qualche anno. In questi anni ho avuto modo di conoscerlo al meglio, sia in ambito surfistico e quello della vita di tutti i giorni. Con lui c è un rapporto fantastico, tra serate nei pub e discoteche diamo il meglio di noi. Poi si è intensificata maggiormente da quando abbiamo iniziato a collaborare come surfista e fotografo, facendo viaggi ed escursioni in montagna all’ insegna del divertimento. Simone - Raccontaci delle tua prima vittoria nella tua carriera di longobarder Mediterraneo, durante il Cinghiale Marino Longboard Cup ad Andora: Innanzi tutto non finirò mai di ringraziare Paolo Colombini e la sua famiglia per l accoglienza all’ evento. Per me è stata la prima volta, salire sul gradino più alto in una gara di longboard in uno spot spettacolare per lo stile classico, ed è stato incredibile. Al momento della premiazione ero emozionatissimo neanche fosse la finale del tour mondiale. Un esperienza unica e dove certamente proverò a ripetermi. Simone - Come mai ti chiamano l’Apuano?

Questo soprannome nasce al Nimbus Surfing Club. Tutti i miei amici mi prendevano in giro per la mia calata versiliese e per i miei modi di fare cosi...un pò rustici. A quanto pare mi tengo stretto questo soprannome perchè mi rispecchia nella vita di tutti i giorni. Sono a tutti gli effetti un apuano. Simone - Parlaci del tuo rapporto con il tuo shaper Michele Puliti di Ola Surfboards: Più che un rapporto shaper-surfista c è un bel rapporto di amicizia. Condividiamo la passione per il mare e per la montagna, quando non gli fa male il ginocchio andiamo a fare belle passeggiate sulle nostre Alpi Apuane. Sono orgoglioso di far parte del suo team. Il suo lavoro d’ artigiano lo esegue alla perfezione, produce tavole stupende e di buon livello. Gli auguro di continuare ancora cosi e portare il suo marchio OlaSurfboards al di fuori dei confini italiani. Viva la Ola. Simone - Tuo Quiver: Mi piace surfare un po’ con tutte le tavole. Ad oggi ho un longboard BluSoul 9’4 naturalmente by Olasurfboards. Una

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tavola interessante per il nostro beach breack, classica ma veloce che ti permette delle belle curve e dei noseriding incredibili. Ivan - Recentemente hai potuto scattare foto ai più grandi surfisti al mondo, durante il Quiksilver Pro France 2014, raccontaci cosa hai provato ad immortalare dei surfisti di quel livello: Dire che è stato straordinario è poco! Un’emozione indescrivibile. Vedersi passare di fianco Kelly Slater, Mick Fanning e moltissimi altri è stato meraviglioso. Ho strappato pure l’autografo allo zio Kelly e un selfie con Gabriel Medina! A parte questo, vederli surfare a pochi metri da me..sono boh..Mostruosi? Per non parlare poi del freesurf che è da mettersi le mani nei capelli!! Ogni volta che riguardo le foto ho un brivido dentro, rivivere heat del calibro di Kelly Slater – Dane Reynolds, con migliaia e migliaia di persone ad urlare ad ogni singola curva, ad incitare i propri idoli come ad uno stadio di pallone, è stato semplicemente meraviglioso! Assicuro che non è semplice scattare quando ti tremano le mani dalla gioia di esserci. Un esperienza da vivere e che sicuramente in futuro rifarò.

Ivan - Attrezzatura che utilizzi: Canon 5d Mark II – Canon 28-105 L – Tokina 300 2.8 – Dicap Waterproof Case per qualche scatto dall’acqua. Ivan e Simone - 3 aspetti del carattere che non cambieresti mai del tuo amico: I - Spontaneità, Simpatia, Voglia di fare. S - Schiettezza è il suo vero forte, simpatia e umiltà. Ivan e Simone - Viaggi in programma? I - Attualmente in programma non ci sono viaggi, sicuramente a breve studierò qualcosa. Viaggiare è il desiderio di ogni surfista. S - Per adesso mi accontento delle nostre onde ma spero nell’ anno che verrà di organizzare qualche viaggio.

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BL ACK LIKE INK. powered by ELECTRIC TATTOING VIAREGGIO

photo: SurfCultureGroup rider: Gianmarco Pollacchi

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Dove vi porteremo oggi i pensieri ed i ricordi si nascondo dietro a disegni di inchiostro che con il sangue ed il dolore prendono vita sulla pelle delle persone. Un luogo fatto di storie mitologiche e racconti di vita quotidiana, di personaggi storici e persone comuni, un posto dove i ricordi ed i significati si mischiano in un turbine di sensazioni che, per sempre, rimarranno con noi. Per molti di voi questo posto ha un nome, Electric Tattooing Viareggio, per noi, invece, è il luogo dove il tempo si ferma nel momento in cui si entra. Ma anche la consolidazione del legame sempre esistito, tra il mondo del surf e la culture del Tattoing. Pepe e Zuno, titolari di Electric Tattoing Viareggio, sono nati dall’inchiostro più nero e cresciuti veloci come quella piccola macchina che tutti i giorni tengono tra le mani, tanto minuta quanto pungente; due stregoni, pronti a segnare per sempre, sulla vostra pelle, i vostri misteri più segreti. Due personaggi che nel corso di questi mesi abbiamo potuto conoscere meglio

ed i quali, assieme a Gianmarco Pollacchi, hanno voluto dare l’inizio ad un nuovo percorso, destinato a far parte dei nostri racconti sul surf e sui personaggi, che fanno parte della cultura del surf Italiano. “Lentamente, sulla pelle, prende vita la prima linea, tra inchiostro e sangue quella linea continua ed il rumore che la accompagna penetra sempre di più nel mio cervello fino a divenire parte di quello che sto provando in questo istante. Dolore, piacere, eccitazione, confusione, curiosità, paura, impazienza. Un cocktail micidiale, pronto a penetrare in quella parte più remota del mio cervello, dove, mai prima d’ora, si erano radicate, tutte assieme, queste sensazioni”. Fine.

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WAVE, FRUIT&BUS. “Mi chiamo Antonio Augeri. Mi sono laureato in economia aziendale lo scorso anno. Da due anni a questa parte ho fondato, con i miei migliori amici, un brand di abbigliamento streetwear chiamato sort of looser e sono direttore del surf club Bogliasco. Appena laureato sono partito per un viaggio.�

a cura di: Antonio Augeri photo: Antonio Augeri - Viola Vicini riders: Antonio Augeri

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Stavo per finire i cinque anni di Economia e commercio e avevo davanti a me due possibilità dopo essermi laureato. Potevo fare uno stage ben vestito e non pagato in qualche banca oppure potevo fare il mio stage, mal vestito e non pagato in giro per il mondo. Ho scelto la seconda opzione: il centroamerica. Non ho riflettuto troppo su dove andare. Avevo sentito che gennaio e febbraio sono mesi magici dal lato caraibico di Panama e Costa Rica e che non appena smettevano le swell da quel lato, si sarebbe accesa la costa pacifica. Ho comprato un volo che atterrava a Panama il 5 febbraio e ripartiva dalla California 5 mesi dopo. La mia fidanzata, Viola, l’ha comprato con me. Pensavo il team fosse composto solo da noi due ma appena ho scritto della mia partenza su facebook si è unito a noi uno dei miei più cari amici spagnoli, Pablo Montero con la sua ragazza Iria. Sapevo che il team sarebbe funzionato perfettamente perché Pablo è uno dei peggior frother che esistono. Non avevamo grandi pretese. Volevamo fare surf e vivere in modo semplice. Volevamo conoscere la cultura locale legando con i

ragazzi del posto per tornare con un’esperienza vera. All’inizio non è stato cosi facile arrivare a questo vivere semplice. Infatti, mi sono accorto chiaramente che pur avendo sempre cercato di stare il più possibile lontano dai valori e i ritmi imposti dalla nostra società c’ero dentro fino al collo. Nella prima parte del trip viaggiavamo da europei, da capitalisti moderni. Cercavamo di vedere tutto, godere di ogni cosa, prendere ogni onda. Dopo qualche tempo ci siamo resi conto che era assolutamente impossibile e andando avanti ci siamo lasciati indietro questo viaggiare ambizioso. Solo così abbiamo potuto apprezzare la semplicità. Le onde sono straordinarie e la positività che si respira in questo grande paese la potrei definire, visto il grande utilizzo oggi di questa parola, Bio. E’ un paese colorato dove la gente comune, quindi povera, non è ancora stata contagiata del tutto dal culto del denaro. Tutti li, devono saper ammazzare ma allo stesso tempo tutti sanno aiutare in modo spontaneo e gratuito, senza aspettarsi nulla in cambio.

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Come ho detto le onde sono straordinarie. È uno dei paesi più consistenti dove io sia mai stato; non solo in termini di misura ma anche in relazione alla qualità, infatti, le onde grandi o piccole sono quasi sempre buone. Durante tutto il percorso le poche volte che non siamo entrati era più per nostra stanchezza e pigrizia piuttosto che per le condizione del mare. Oltre che in acqua, ho passato la maggior parte del mio tempo seduto sui chicken bus, per muoverci da un posto all’altro. Abbiamo fatto fino a 37 ore di bus per passare da un’ posto all’altro ma questi bus sono il riassunto perfetto di ciò che è il centroamerica. Sporchi, pericolosi ma pieni di vita. Stessa cosa vale per gli enormi mercati, pieni di frutta, verdura ed energia. Visto che è un articolo di surf parlerò un po’ anche di quello; la passione più bella del mondo che allo stesso tempo è una scusa per viaggiare e conoscere. Panama Caribe, Bocas del toro: durante i mesi giusti (gennaio, febbraio) c’è sempre onda. A pochi minuti di distanza, prendendo

o una barchetta o un taxi, ci sono mille onde diverse! Le tre più importanti sono un point sinistro divertente (el carenero), un A-frame su reef (puanch) e un beach break incazzato nero (bluff, troppo figo). Riassunto: acqua calda, spazzatura e tanti tipi di onde diverse. Per me troppa festa e troppo costruita. Costa Rica caribe. Poco dopo il confine surreale tra panama e costa Rica ci siamo trovati in un paesino, chiamato Puerto Viejo, con forse una delle onde più belle di tutto il viaggio, Salsa Brava. Al terzo giorno ero già con una tavola in meno e la schiena tatuata. In questo paesino abbiamo incontrato casualmente un amico Israeliano di Pablo, Gil Karen. Gil arrivava da 6 mesi alle Hawaii, doveva partire pochi giorni dopo per tornare a casa. Appena ha saputo l’itinerario ha cancellato il volo ed è stato con noi fino che non si è esploso un ginocchio in El Salvador. Riassunto: Acqua calda, spazzatura, reggeton e tanti tubi (peso). La magia dei Caraibi stava svanendo cosi abbiamo deciso di spostarci nella costa pacifica passando per la capitale della Rumba, San Jose.

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Di tutti i posti dove sono stato lungo la costa pacifica Costariquena mi sono innamorato particolarmente di uno, oltre che di Santa Teresa per la festa e Davidino, Roca Bruja. Per la prima volta dall’inizio del viaggio abbiamo dovuto tradire i chicken bus perché l’unico modo per raggiungere il campeggio dietro la spiaggia del parco naturale dove è situato lo spot era attraverso uno sterrato di 2/3 ore (a seconda del mezzo). Abbiamo affittato una macchinina 4x4 non assicurata e siamo partiti. Dormivamo in una mini tenda imprestata da una ragazza argentina. È stata la miglior scelta dell’intero viaggio. Roca Bruja, Good to Epic. Di sera e di mattina non c’è nessuno, mentre dalle 12 alle 16 arrivano le barche! A parte i tubi perfetti, le vibrazioni positive che si respirano in quella spiaggia sono incredibili. Riassunto: Scimmie, mapaches, barbacoa, tenda, cibo fregato, tubi, tubi, tubi pace. Nicaragua, lo consiglio. Dormivo sul terrazzo di Gianni della wild waves a Popoyo, per la prima volta mi sono sentito a casa. Pastasciutta e onde. Non ho fatto altro credo. Popoyo è una

sicurezza, un A-frame che lavora in tutte le condizioni (la sx è più bella). Intorno ci sono altre mille onde sia reef che beach break (Playa Colorado). Riassunto: Off shore, vulcani, pesce fresco e pareti. El Salvador. Pericoli, delinquenza, gang e guerra civile. Queste sono le parole con cui mi avevano riassunto il Salvador. Tutte cazzate. Certo è pericoloso ma come ogni altro paese latinoamericano. Io lo descriverei con altre parole: acqua calda, spazzatura, gente stupenda, point destri, frutta, cheap. Il Salvador è lo stato più piccolo che abbiamo incontrato e quello dove abbiamo passato più tempo. All’inizio volevamo andarcene dopo un giorno perché avevamo ascoltato i consigli di altri viaggiatori ed eravamo finiti a El Tunco (riassunto: costruzioni, turisti, musica marcia e longboarder di quelli brutti). Tutti vanno li perché è il paesino più turistico e quindi si sentono più protetti. A parer mio il Salvador non c’entra nulla con quel posto. Basta spostarsi pochi km più in la e si scopre la magia. Noi ci siamo fermati al KM59. Cosa facevamo? Surf, mangiar pesce e leggere. Il KM 59 è una destra lunghissima

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che fa una bolla dall’inizio alla fine. Niente tubi ma un muro che si riforma costantemente. L’onda più divertente del viaggio. Quando arrivate chiedete di Samuel cosi vi sarà tutto più facile se non avete tanti soldi da spendere. Tra tutti i posti, il Salvador, è dove ho legato di più con i locali, dove ho sentito realmente l’ospitalità. Non quell’ospitalità per avere qualcosa in cambio, ma quella gratuita che ti mette a tuo agio. In questi paesi non si pensa a come fare soldi, come arricchirsi per comprarsi una bella macchina o semplicemente una tavola, ma piuttosto a come mangiare, a dove trovare l’acqua potabile e a non morire per pochi spicci. Per questo è semplice imparare a essere ospitali. Guatemala. Templi, vegetazione, colori, musei. Se si va in centroamerica senza passare da qui non si può comprendere del tutto la cultura. Messico. Heavy surf, point, pesce fresco, tarantole, musica e mezcal. Ci siamo fermati parecchio in Messico ma per vederlo bene bisogna passarci almeno un annetto. Essendo gigante non

potevamo fermarci ovunque, il primo stop è stato Salina Cruz dopo 37 ore di bus. Non saprei dire qual’e’ stato il posto che mi ha colpito di più. Salinas Cruz è un agglomerato di point destri di tutti i tipi (da andare se danno 10 piedi a puerto). Il mio preferito? Chipeua. Puerto Escondido e Pasquales sono i due spot dove ho surfato con più ansia di tutto il viaggio, perché per mia “sfortuna” sono arrivato insieme alla seconda swell dell’anno. Ticla invece è stato lo spot con meno gente. Non so se ho avuto fortuna ma al massimo sono stato in mare con 6 persone. La sx è infinita e meno incazzata; la destra invece più corta ma più tubosa. Per come vedo io il surf, Ticla è lo spot. Surfare da soli in mezzo alla natura selvaggia di un paesino dimenticato è ciò che mi fa sentire legato al resto del mondo. Entrati in California avevamo un sacco di amici cosi abbiamo deciso di affittare un camper per non dividerci. Eravamo rimasti solo io, Viola, Pablo e Iria. Gil come ho detto è dovuto partire dal Salvador perché si era rotto il ginocchio. Peccato avrei voluto vederlo a Puerto, aspettava solo di arrivare li!

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Il confine che mi ha fatto più rabbia è proprio quello tra Messico e USA. Triste e bugiardo. Fingono di vivere in un paradiso ma allora perché io non ho mai visto in nessun posto al mondo tanti pazzi come nelle strade di Los Angeles? Onde incredibili quello si. La riassumerei cosi: Hamburger, camper, stile, onde, tuttipiu’fortidite. Il mio stage mi ha insegnato di gran lunga di più di quello che potevo imparare in qualunque azienda. Se potete, lo consiglio.

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NEED A TRIP? powered by Bahumer.com e Surftolive.com

photo: SurfCultureGroup riders: Gianmarco Pollacchi Giovanni Evangelisti

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Un surf trip è senza dubbio quel momento in cui decidi di prenderti una pausa dagli impegni di tutti i giorni. Ti svegli una mattina, dopo mesi che pensi che è giunta l’ora di staccare dalla solita routine, e ti decidi finalmente di prenotare quel maledetto volo. Destinazione Fuerteventura, isole Canarie. Con il passare degli anni e con la famiglia alle spalle non è più facile organizzare una “gita” surfistica come hai vecchi tempi. Ma si sa, la vita è un percorso ed ora ci troviamo nella fase in cui ogni decisione deve essere ben calibrata per non litigare con la propria compagna, per non deludere i bambini e per, non fare incazzare il capo in ufficio. Ma oggi è il giorno in cui finalmente il tuo cervello potrà prendersi una boccata di ossigeno e la tua tavola finalmente potrà tornare a sfrecciare tra le onde. Si, esatto, tutto è sistemato, moglie, figli, lavoro, sei riuscito a preparare tutto nei minimi dettagli. Ti ripeti che è tutto vero, ti dai un pizzicotto su una guancia per vedere se stai dormendo. Si parte! Se non sei un esperto delle Isole Canarie, ed in particolare modo, di Fuerteventura, l’unico modo per non sbagliarsi e scegliere la

giusta compagnia per un viaggio, è lo staff di SurftoLive.com, con i quali, puoi avere un servizio “tutto incluso” senza rivali. Trasporto dall’ aereporto agli appartamenti, guida con trasporto negli spot dell’isola, piscina davanti casa in centro al paese di Corallejo e personaggi come Filippo Orso e Riccardo Villetti con cui pisciarti addosso dalle risate! Chi ti offre un servizio del genere? Nessuno! Ma basta discorsi; sappiamo che vi abbiamo già fatto venire voglia di partire! Veniamo al dunque. Queste foto fanno sono il sunto dell’ennesimo viaggio che abbiamo fatto a Fuerteventura, come molti di voi. Assieme a noi i due giovani atleti Giovanni Evangelisti e Gianmarco Pollacchi, che, giorno e notte, se la sono spassata per una intera settimana assieme ad un gruppo di ragazzi e ragazze, che come noi, aveva fatto la scelta giusta; quella di scegliere SurftoLive.com. E voi cosa aspettate? Inoltre, in questo articolo troverete anche un intervista esclusiva a Danilo Gianoni, appassionato di fotografia, che abbiamo potuto conoscere meglio durante questo viaggio e di cui sentirete molto parlare e qualche scatto inedito di Jacopo Conti, anche lui frequentatore assiduo di questa Isola.

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INTERVIEWS danilo gianoni intervista a cura di: SurfCultureGroup photo: Danilo Gianoni - SurfCultureGroup riders: Jacopo Conti - Gianmarco Pollacchi Giovanni Evanglisti

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Nome e Cognome: Danilo Gianoni con Età: 43 Residenza: Carrara Professione: impiegato Passioni: motociclismo, viaggi, snowboard e fotografia Chi è GDanilo e da dove nasce la tua passione per la fotografia di surf: Sono un appassionato di tutto ciò che implica movimento su una tavola sia essa con le ruote, con le lamine ecc... in particolar modo lo snowboard. Probabilmente un mancato surfista, rimedio a questa “mancanza” con la passione per la fotografia. I primi scatti con un’analogica parecchi anni fa, poi dopo una lunga pausa sono rientrato nel mondo della fotografia con una delle prime compatte digitali quindi una bridge ed infine son passato alla reflex. Cosa ti lega maggiormente al mondo della fotografia? Il fatto che la fotografia ti consenta di fermare il tempo. È come salvare un fotogramma della tua vita per rivederlo in futuro.

Proprio per questo motivo conservo con cura tutte le mie foto: è sempre un piacere riguardarle o farle rivedere. Mi incanta perdermi davanti ad una immagine quando evoca ricordi o situazioni emotivamente coinvolgenti, mi piace definire le fotografie come un buon vino: più passa il tempo e più se ne apprezza il valore. In questo periodo dove tutto appare accelerato e dove anche nella fotografia si va spesso di corsa anch’io, come molti altri, pubblico i miei scatti sui social network ma quando un giorno un “non più giovane surfista” mi chiederà se ho qualche suo scatto di anni addietro, mi piacerebbe accontentarlo con una foto del mio archivio. Attrezzatura che utilizzi, attrezzatura dei tuoi desideri: Utilizzo: Canon 7D con un Canon 100-400 e un 70-200 a seconda delle condizioni di scatto. Disideri: Canon 1Dx, Canon 70-200 II, il 100-400 che già possiedo, un 600mm ed una buona custodia impermeabile, dire che possa bastare!

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Cosa ti piace in particolare della fotografia di surf? La fotografia mi rilassa, passo ore in riva al mare a scattare per portare a casa qualche buona immagine. Come in una caccia fotografica, mi piace l’attesa per catturare la manovra del surfista, muovermi per cercare inquadrature diverse, scattare tutto ciò che riguarda l’ambiente surfistico anche al di fuori dalle onde. È indubbio che il surf italiano stia crescendo, nel mio piccolo sono contento di documentarlo e spero di farlo nel migliore dei modi. Scattare in Italia spesso comporta grandi sacrifici e spesso le condizioni del mare non sono quelle che uno si aspettava? Raccontaci del tuo rapporto con questa condizione che spesso snerva sia i surfisti che i fotografi. Praticare o fotografare il surf in Italia significa avere pazienza: mareggiate che non arrivano, periodi di piatta infinita, condizioni del mare che cambiano in pochi minuti contro ogni previsione, onde fantastiche che compaiono proprio quando sei al lavoro! Purtroppo il surf in Italia è anche questo e non ci si

può far nulla se non conviverci e godere nel momento in cui si cavalca l’onda o, nel mio caso, si scatta. Grazie ad internet ed alla tecnologia oggi lo scambio di info sugli spot e le condizioni marine sono più veloci ed efficaci ma la pazienza non deve mancare mai. Spesso ci si muove freneticamente su strade ed autostrade per cercare il giusto spot e magari dopo qualche ora di spostamenti si scopre che il migliore era quello più vicino a casa. Sappiamo che spesso scatti nella zona di Marina di Carrara ma ogni tanto ti piace “fuggire” verso altre location. Come riesci a conciliare la fotografia con i viaggi? Negli spostamenti verso altri spot liguri o toscani nessun problema, mi muovo in auto o in moto e riesco a portare tutto il necessario. Quando invece parto per un viaggio di più giorni la regola è: fotocamera sempre presente! Preferisco infatti lasciare a casa qualche maglietta pur di portare la reflex che quindi non manca mai. Se poi si tratta di un surf trip devo necessariamente avere anche altro corredo, direi che in questo caso l’esperienza di

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viaggio accumulata, anche in moto, conta molto. È fondamentale razionalizzare al massimo il contenuto delle valigie tralasciando ciò che non è strettamente necessario e soprattutto proteggere bene la propria attrezzatura che, in caso di volo aereo, viaggia sempre con me nel bagaglio a mano. Cerco insomma di viaggiare il più leggero possibile anche se “leggero” e “fotografia” in questi casi non vanno molto d’accordo. Cosa ne pensi del fatto che ad oggi, con l’evolversi della tecnologia delle macchine fotografiche, chiunque, con una buona reflex tra le mani, un pò di tutorial e qualche soldo da investire, può divenire un fotografo? Sono un appassionato di tecnologia e, nonostante non mi piaccia la corsa all’ultimo modello, penso che sia un bene. I costi si abbassano e la tecnologia diventa alla portata di più persone, in questo modo chiunque può proporre i propri scatti belli o brutti che siano a seconda del talento, dell’esperienza e della passione. Ritengo significhi dare la possibilità a chiunque di esprimere la propria arte. I più talentuosi e meritevoli faranno poi la differenza.

Raccontaci del tuo ultimo viaggio, nel quale, hai realizzato questi scatti a Gianmarco Pollacchi e Giovanni Evangelisti: Con alcuni surfisti di Marina di Carrara si parlava da tempo di organizzare un surft rip ma tra impegni di lavoro, di studio ecc. non si è mai riusciti. Allora con la mia ragazza abbiamo deciso di farci una vacanza a Fuerteventura in autunno visto che alcuni amici andavano proprio in quel periodo. Non è stato un vero e proprio surf trip visto che buona parte del tempo lo abbiamo passato a visitare l’isola o in spiaggia. Tuttavia in più circostanze abbiamo incontrato Giovanni e Gianmarco in giro per i vari spot, ovviamente non mi sono lasciato sfuggire l’occasione di immortalarli sull’oceano e da qui sono nate le foto che vedete. Fotografare quelle onde è una grande emozione: bella forma, potenti, acqua di un bel colore blu. Purtroppo il tempo a nostra disposizione era limitato ma Fuerteventura è sempre là e chissà che presto non si possa tornare.

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GO BIG OR GO HOME? Gestire ansia e paura tra le onde grosse.

a cura di: Marco Sassoon photo: SurfCultureGroup riders: Benjamin Sanchis - Nico Solazzi

La paura di cadere nel vuoto è una delle più fondamentali e ataviche nell’essere umano. Da bambino spesso mi capitava di chiedermi, guardando giù dal balcone, che cosa si provi a cadere dal secondo piano di una casa. Quello che allora non immaginavo è che da grande avrei sperimentato questa sensazione, in mare, con migliaia di litri d’acqua che mi si riversano in testa impedendomi di respirare. E di certo, non immaginavo che avrei chiamato tutto ciò: “divertimento”! Un wipe out da un’onda grossa dà davvero la sensazione di precipitare da un palazzo che ti crolla dietro, ma questa è solo una delle molte emozioni intense che surfare in una giornata enorme può darci. È, da un lato, quello che stiamo cercando; i surfisti sono tutti un pò dei cacciatori di sensazioni. L’attivazione mentale che va di pari passo con la paura può essere funzionale a un uso fuori dal comune delle nostre risorse psicofisiche: le famose gesta eccezionali che alcune persone compiono in situazioni estreme. Ma, allo stesso tempo, una paura eccessiva

e non modulata ha l’effetto di bloccarci. Talvolta, nei big days restiamo in acqua qualche ora a sopravvivere e non prendiamo onde né ci divertiamo. Di che cosa abbiamo paura? E come possiamo fare per mantenere l’ansia a un livello funzionale a ciò che facciamo, impedendole di bloccarci? Cominciamo a capire che cosa ci spaventa. Vediamo: abbiamo davanti il mare, una delle forze elementali più forti sul pianeta. Oggi è piuttosto irritato, e scarica montagne d’acqua alimentate da un’energia che viaggia da chissà quanti chilometri. Noi abbiamo una tavola di una manciata di decine di centimetri, e ci siamo tuffati per andare a divertirci con la furia degli elementi. Va bene: un pò di paura non è questione di irrazionalità, è questione di buon senso. In sé, l’ansia è un segnale: ci indica che qualcosa nel nostro contesto immediato può esserci dannoso in qualche modo, e ci predispone a reagire. Da questo punto di vista, è estremamente funzionale a ciò che facciamo. Se

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abbiamo deciso di surfare in un giorno grosso, ci serviranno tutte le nostre abilità tecniche, di concentrazione, di riflessi, di prontezza: in certe giornate, Varazze non ha nulla da invidiare a Desert Point!

pericolosi per noi stessi e per gli altri, perché se non siamo in grado di ragionare lucidamente in una situazione impegnativa e in costante movimento rischiamo davvero di fare delle stupidaggini.

Secondo alcuni psicologi dello sport, il rapporto tra ansia e prestazione segue una curva a forma di campana. Ovvero, all’aumentare dell’attivazione mentale legata all’ansia, migliora anche la prestazione, fino a un punto ottimale di intensità dopo il quale se aumenta l’ansia la prestazione peggiora. Un’ansia troppo elevata è incontrollabile e ci fa cortocircuitare. Se, mentre stiamo surfando onde grosse, la paura moderata dettata dalla realistica valutazione della situazione di rischio in cui ci troviamo diventa troppo intensa, perdiamo il controllo e non siamo più in grado di fare nulla. Diventa molto facile sbagliare i take off già di per sé impegnativi, o al contrario evitiamo proprio di tentare. Sprechiamo energia inutilmente perché i nostri movimenti diventano scomposti. Ci si mozza il fiato perché il cuore va a mille. Ma il problema maggiore è che, una volta che perdiamo la testa, diventiamo realmente

La paura più intensa e incontrollabile, di solito, è la paura senza nome. In altre parole, se sappiamo con cosa ci stiamo misurando, possiamo fare una valutazione dei rischi e delle nostre capacità, agendo di conseguenza. Ciò è di per sé tranquillizzante, oltre ad essere funzionale al compito. Quando ci sentiamo in ansia, perciò, può essere utile porsi qualche semplice domanda: cosa mi spaventa? Quali rischi sto correndo? Ho paura di farmi male? E in che modo potrebbe succedere? Ho paura di fare male a qualcuno? E in che modo? Ho paura di annegare? Corro davvero questo rischio? E così via. Dare un nome ai rischi consente di affrontarli. Altrimenti stiamo parlando dell’uomo nero che vive sotto il letto: in questo caso, l’unica soluzione è chiamare i Ghostbusters! >

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Dal mio punto di vista, quando stiamo surfando in una giornata grossa e ci sentiamo presi da una paura invalidante, è utile porsi una domanda, che può comportare diverse conseguenze: sto surfando secondo le mie capacità? Andare sempre un poco al di là dei propri limiti è la molla del miglioramento, oltre a sembrare una caratteristica innata dei surfisti. Allo stesso tempo, non è così difficile valutare se stiamo surfando in condizioni che sono più o meno alla portata delle nostre attuali capacità tecniche e fisiche. Se possiamo dare una risposta affermativa a questa domanda, significa che ci troviamo in una situazione che abbiamo tutti gli strumenti per gestire al meglio. Questo è il punto di partenza per iniziare a trovare soluzioni che ci permettano di trarre il massimo da questa session di onde grosse. Di fondamentale importanza diventa in questo caso la gestione delle energie; dosando con intelligenza le pause in line-up e i tentativi di prendere un’onda, possiamo mantenere più a lungo le nostre energie evitando di trovarci nella zona

d’impatto stanchi e prendere in testa troppi set, che possono riattivare la paura oltre a consumare tutte le nostre forze. Una strategia molto utile è quella di controllare la respirazione. Spesso, quando fatichiamo e quando siamo in apprensione, la respirazione diventa irregolare o addirittura stiamo in apnea per diversi secondi. Concentrarsi sul respiro per mantenerlo regolare ha due vantaggi: aumenta l’energia favorendo l’ossigenazione dei muscoli e ha un effetto tranquillizzante di per sé. È probabile che ci voglia qualche secondo per ristabilizzare il ritmo della respirazione, ma una volta che lo rendiamo fluido e regolare, l’effetto rilassante è immediato. Un altro espediente mentale per diminuire la paura di ciò che ci succede attorno, è focalizzarsi su un’attività o un pensiero ripetitivo, neutro o rassicurante: una sorta di mantra. Personalmente, trovo molto utile contare le remate: mi costringe a concentrarmi sul gesto, mi impegna la mente in una attività ripetitiva che mi distrae e mi rassicura, e mi fa dimenticare fatica e ansia. Chi non trova sollievo nella matematica, può escogitare

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altri espedienti, ad esempio canticchiarsi ripetutamente una canzone in testa. O ancora, c’è chi si concentra sul fattore tecnico e ripassa mentalmente le manovre che intende fare, e chi invece si gode e sfrutta appieno l’adrenalina del momento. A ciascuno il suo mantra. Se invece dobbiamo risponderci che no, le condizioni di oggi sono ben oltre le nostre capacità, il discorso cambia: a questo punto, dobbiamo scegliere se rimanere in acqua o meno. Alla domanda di prima, se ne aggiunge un’altra molto importante: che obiettivi posso realisticamente aspettarmi di raggiungere oggi? È ovvio, sono in acqua per surfare, ma è possibile che le onde al picco siano davvero troppo grandi per me. Potrei decidere di restare comunque in acqua per imparare a gestire meglio situazioni simili; oppure posso analizzare il break cercando un punto più sicuro, magari vicino al canale se ce n’è uno, o più all’interno della baia, in cui posso immaginare di prendere qualche onda. Se resto in acqua, sono pericoloso per me o per gli altri? Se sì, è il caso di rientrare.

Come si può vedere, sono tutti discorsi che spostano il fuoco da una generica e diffusa paura a questioni molto pratiche e valutabili. Lo scopo non è quello di far sparire del tutto una componente ansiosa, ma di mantenerla a quel livello in cui è una energia interna che sostiene la nostra performance in una session molto impegnativa. Il dialogo interno è molto importante anche per mantenere alta la determinazione negli inevitabili momenti di estrema fatica che si presentano quando surfiamo onde grosse. Un esempio tipico: siamo troppo sottocosta e arriva un set mastodontico che rompe molto più in fuori della line-up. Mentre ce lo prendiamo in testa e pagaiamo come disperati per non farci spazzolare in spiaggia, è fondamentale rivolgersi incitamenti a tenere duro, a non mollare, dirci che possiamo farcela. È ciò che fanno, ad esempio, i maratoneti nei momenti più duri della gara, quando tutti i muscoli dolgono. Se ci lasciamo andare e ci diciamo “Basta, non ce la faccio più”, tanto vale iniziare a

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prenotare la sedia sdraio: saremo in spiaggia in men che non si dica! In effetti, in alcuni momenti o per alcune persone, l’ansia può tradursi in una diminuzione dell’attivazione dell’organismo; una sorta di fuga mentale dalla situazione che diventa occasione per gettare la spugna. In questi casi, un bel trucco è quello di crearsi una parola chiave personale, o un gesto, che associamo mentalmente a una sensazione di energia ottimale. Possiamo creare questa associazione ripetendoci questa parola nelle session in cui andiamo particolarmente forte. Richiamandola in un momento di demotivazione e stanchezza, essa può farci sentire di nuovo un po’ più carichi. Di nuovo, a ciascuno la sua: la mia, per esempio, è “rock’n’roll!”. Infine, come abbiamo fatto per lo stress in line-up, possiamo esercitarci nel visualizzare la situazione di essere in mezzo a onde molto grandi e potenti, cercando di rivivere la sensazione di disagio che proviamo nel contesto reale, e di nuovo

padroneggiarla. Sentire l’ansia che cala man mano che facciamo espirazioni lunghe e profonde. O ancora, visualizzare un segnale di stop, magari una grossa mano guantata come quella di un vigile urbano, che ferma i nostri pensieri e ci fa sentire nuovamente tranquilli. Richiamare questa calma in acqua sarà molto più semplice se ci esercitiamo con una certa costanza. Le lunghe ore di esperienza in acqua, a lungo andare, insegnano la risorsa più preziosa: trasformare l’adrenalina in energia positiva al servizio della nostra surfata. Sapremo di aver raggiunto questo livello quando dropperemo un’onda di quattro metri col sorriso sulle labbra, anziché con gli occhi vitrei e il colorito di Nosferatu. Allenarsi a gestire le proprie emozioni in acqua può aiutare a bruciare qualche tappa in questa direzione!

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EUROJUNIOR AZORES 2014 Ecco tutte le migliori foto realizzate durante il nostro soggiorno alle Azzorre per gli Europei Junior 2014.

photo: SurfCultureGroup riders: Mattia Migliorini - Mauro Pacitto Federico Nesti -Giacomo Lucchini - Vittoria Banchieri - Valeria Patriarca- Edoardo Bracaloni - Gianluca Beleffi

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