Pubblicata da Sysform Editore 00131 Roma Via Monte Manno 23 -
Direttore Responsabile Manuela Rosci
Edizione cartacea della rivista telematica www.lascuolapossibile.it Iscrizione al Tribunale di Roma 63/2010 del 24/02/2010 N.21 marzo 2012
Web Content Manager Maurizio Scarabotti
Editoriale
Per fare giustizia ...perdiamo la diversità
La preoccupazione che non ce ne sia abbastanza per tutti di Rosci Manuela - Editoriali
La primavera è la stagione del risveglio. Risveglio dal letargo invernale che a volte sembra durare un'infinità di tempo e invece poi ci riserva la ripresa di colori, di profumi e di sensazioni, di energia anche se questa a volte sembra mancare con i primi caldi dei giorni primaverili.
Nella comunità scolastica, i "processi integrativi" per includere una persona (o più persone) sembrano tardare a risvegliarsi da un letargo che sta perdurando da troppo tempo; sembra che lo stato di torpore in cui siamo scivolati inconsapevolmente -forse!ci trattenga in quella zona di confort che rende ogni AZIONE ... rinviabile, procrastinabile. La crisi e la conseguente politica dei tagli hanno reso tutti noi "poveri di energia" (non solo economica), e facciamo fatica a rintracciare nel quotidiano quei germi di mission che tanto (o poco) tempo fa hanno orientato la nostra scelta professionale, approdando al mondo della scuola. In un periodo in cui certamente si è più orientati alla PERDITA - di identità scolastica, di finanziamenti, di tempo pieno e di compresenze, di supplenze, oltre che di certezze - potrebbe essere conveniente ricorrere ad un po' di sano buon senso affinché non si cada "ingenuamente" nel tranello di credere che la giusta formula sia ... togliere un po' a tutti! Con l'idea appunto della "giusta parità", sembra lecito pensare che nelle situazioni di mancanza si possa/si debba quindi togliere nella stessa maniera,
Quale tema potevamo scegliere per sottolineare questa ri-presa alla vita? Abbiamo dedicato la nostra attenzione -questo numero- all'INTEGRAZIONE. Nelle scienze sociali, il termine integrazione indica l'insieme di processi sociali e culturali che rendono l'individuo membro di una società. Mi soffermo su questa semplice definizione che tutti possono trovare cliccando su Wikipedia, senza dover scomodare trattati importanti. Cosa mette in relazione la primavera e il risveglio con l'integrazione, cioè con l'insieme dei processi che rendono una persona parte di una comunità? Provo a formulare a voce alta ciò che mi passa nei pensieri e che alberga nel mio cuore.
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nella stessa quantità, un po' a tutti, compresi, se non soprattutto, quelli che sembrano per alcuni versi essere dei ... PRIVILEGIATI. La tentazione di mettere sullo stesso piano di emergenza tutto e tutti, fa sì che si possa scivolare nella convinzione che "qualcuno" abbia qualcosa di più e che non sia poi così giusto visto che tutti sono chiamati a fare dei ... sacrifici.
rendo a comportamenti che sono meno "di corpo" e più "di sfogo", in cui l'altro -sia esso alunno, genitore o collega- pone prevalentemente PROBLEMI, fa richieste di attenzioni particolari, assorbe energia e richiede "investimenti". Si sa, in tempo di crisi si ha paura di fare investimenti perché non si riesce a capire quali siano quelli ... convenienti! La scelta allora di dedicare questo numero al tema dell'integrazione, nelle sue tante sfaccettature, è stata dettata dalla voglia/necessità di mantenere l'attenzione viva, di ricordare a noi stessi e agli altri che ... indietro non si torna! Le trasformazioni che hanno accompagnato la scuola negli ultimi trent'anni sono avvenute anche grazie allo sforzo di andare verso l'altro, prima con diffidenza poi con maggiore naturalezza; e la necessità di dare risposte ha creato l'esigenza di maggior dialogo tra le persone, di condividere un progetto di inclusione piuttosto che delegarlo solo all'altro. Gli articoli raccontano piccoli spaccato e/o riflessioni di vita vissuta, di persone che "credono" anche in tempo di crisi.
Ovvio che sto girando intorno al tema della disabilità, ma non solo. La voglia e la necessità di dare risposte all'utenza possono far prendere delle decisioni che "apparentemente" risolvono il problema della giustizia sociale -quel poco che c'è viene distribuito in parti uguali!-; nascondono invece il malsano pensiero di togliersi dai guai livellando e non differenziando le esigenze, trattando tutti come se ... fossimo tutti uguali. Sappiamo che così non è, anzi teniamo sempre a sottolineare quanto l'altro sia DIVERSO da me. Tuttavia sembra venir meno, in tempo di crisi, anche il conseguente trattamento/investimento diversificato. Lo sforzo di fare AZIONI intenzionalmente dedicate e rivolte alla salvaguardia di chi è diverso (o sta in una situazione di diversità) sembra appunto essere sopita, e la lenta e continua distrazione che si pone all'altro perché richiede anche un investimento di RISORSE energetiche attualmente limitate un po' per tutti- sta progressivamente producendo un disinvestimento generale, sia di pensiero rinnovato che di attenzione. Una politica che sottolinea "la perdita" (indiscutibile) provoca inevitabilmente un acuirsi dell'individualismo, del pensare ognuno per sé, dell'accaparrarsi il possibile perché ... non ce n'è abbastanza per tutti!
La strada è ancora in salita ma alcune esperienze sono state talmente significative che solo apparentemente sembrano perse. La sensazione di smarrimento è lecita ma la convinzione che può accompagnare un momento così ricco di cambiamenti è che ciò che è stato fatto una volta ... si può ripetere, sta a noi non farci scoraggiare, non accettare il tentativo di trafugare ciò che è dentro di noi. Il suggerimento è di affermarlo con forza e convinzione. Il futuro dell'integrazione -e della scuoladipende anche da ognuno di noi. Buon lavoro!
In questa visione del quotidiano in cui la sensazione é di perdere qualcosa, anche la comunità scolastica ne fa le spese, ricor-
Manuela Rosci
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In questo numero di marzo 2012
Area Tematica
Titolo
Autore
Per fare giustizia perdiamo la diversità
Rosci Manuela
FANTACITY Hanno collaborato in questo numero marzo 2012
La redazione La redazione
L'integrazione è di tutti, è un gioco di Caruso Giovanna squadra! Quando Alice bussò alle porte del cielo Crasso Antonella Con competenza e amore....insieme si Ricci Fiammetta può Diversamente abili e diversamente inabili La forza propulsiva dell'Integrazione
Sabatini Roberto Infantino Aminta Patrizia
Il SalinaDocFest
Riccardi Barbara
Generazioni di donne di scuola Un'esperienza da vendere... e da acquistare
Natale Olga Nucera Roberto
Le bon sauvage ovvero la rappresentaPresutti Serenella zione culturale del concetto di alterità All'origine dell'idea di integrazione Che cosa è normale? Niente. Chi è normale? Nessuno Educazione psicomotoria a scuola L'INVALSI Lo scavo archeologico ...risorsa per integrare Dimensionamento: paura di perdere la propria identità! Diverso da chi? Michela e gli altri Resoconto di una bella esperienza con un gruppo di ricerca-azione Se noi mortali riuscissimo a capirlo! Un paradigma per l'inclusione Non si può più attendere!
Ansuini Cristina Agolino Simona Loretta Lugaresi Adriana Nora Maranzana Enrico Riccio Filomena Melchiorre Antonia Giuliano Rosanna Paci Lucia Giovanna D'Agosta Luciana Poli Roberta Ruggiero Patrizia Damiano Maria Antonietta
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DDalla prima pagina Dalla prima pagina
Non si può più attendere!
Una consultazione per raccogliere suggerimenti e proposte di Damiano Maria Antonietta - Sotto la lente
duata come la risorsa per conferire alla comunità educante la responsabilità diretta nella definizione del progetto educativo e della gestione della istituzione, è rimasta a livello puramente nominale e non è stato l'enzima in grado di favorire la nascita e l'affermazione di un SISTEMA SCOLASTICO INTEGRATO. Ecco allora che l'insegnante continua a vivere nella sua "solitudine", socialmente disconosciuto, economicamente umiliato, vessato dalle esigenze delle famiglie invadenti e insoddisfatte del servizio erogato, ripiegato su se stesso e non più sorretto da motivazioni, si appiattisce e, sempre meno integrato nella comunità educante, non è più disponibile a dar prova di coraggio, a rimettersi in discussione e a ricercare insieme agli altri vie innovative, produttive e gratificanti. Come uscire da tale condizione?
Quando a scuola si parla di integrazione, sia tra gli addetti ai lavori sia tra i genitori, si sottintende quale suo soggetto un alunno con disabilità. Certamente un soggetto disabile è meno provvisto di risorse che agevolino la sua integrazione nel gruppo e quindi gli adulti intorno a lui attivano modalità relazionali, strategie didattiche, percorsi educativi e vissuti esperenziali mirati al raggiungimento di quell'obiettivo. Alla luce delle esperienze maturate e delle verifiche realizzate, non tutte confortanti, si impone una riflessione sottaciuta e nel contempo molto evidente e non eludibile: non si dà integrazione autentica, e non meramente declamata, in una realtà educante che conserva i tratti distintivi dell'individualismo e dell'operare a "compartimenti stagni" e non di rado conflittuale.
La sfida è alta e tutti, Dirigenti, docenti e genitori, sulla scorta della propria esperienza, possono fornire un contributo proficuo. Auspichiamo, pertanto, di aprire una consultazione per raccogliere suggerimenti, proposte che, dal basso, diano indicazioni per realizzare un'autentica "integrazione" e favorire l'uscita della scuola dalla palude in cui è immersa.
I tentativi di avviare il superamento di questa condizione infeconda con l'adozione di tempi-scuola che richiedono team di due o più docenti interagenti non hanno, salvo lodevoli e fortunate eccezioni, conseguito l'obiettivo auspicato. I motivi dell'esito insoddisfacente dell'esperienza sono, a nostro avviso, riconducibili al permanere di un abito professionale radicato e restio al confronto, alla trasparenza, alla verifica oggettiva sorretto da un malinteso principio della libertà di insegnamento. Ma su tale atteggiamento, d'altro canto, ha rivestito un'incidenza determinante il permanere di una formazione, a livello universitario, ancorato a schemi obsoleti, meramente disciplinari e non congrui alle necessità imposte da un contesto sociale e culturale in continua e rapida trasformazione.
Maria Antonietta Damiano, Dirigente scolastica IC Via Nobiliore - Roma Francesco Gori, ha insegnato nella scuola elementare e alle superiori, chiudendo la carriera insegnando Lettere alla SMS I. Calvino
L'AUTONOMIA SCOLATICA, inoltre, indivi________________________________________________ Rivista telematica www.lascuolapossibile.it realizzata con GT Engine Powered by Innova Servizi – www.innovaservizi.it
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Con competenza e amore....insieme si può La testimonianza di una mamma di Ricci Fiammetta - Integrazione Scolastica
perché è difficile scoprire quale sia la migliore strategia per arrivare a Lei, ora è perfettamente inserita e felice nel suo ambiente. Ha la fortuna di avere accanto persone qualificate e disponibili che hanno trovato il modo di interagire con lei e stanno ottenendo grandi risultati. Chiara non usava la sue manine per la manualità fine, ora riesce a toccare da sola la sabbia, la farina , l'acqua, il Das. Sta scoprendo un nuovo mondo. Risponde ai comandi che gli vengono rivolti, comincia a stimolare l'intenzionalità comunicativa del DA, inteso come DAMMI l'oggetto che hai in mano. Risponde alla parola SU, quando viene richiamata perché ha la testa verso il basso. Accetta alcune proposte e si contraria rispetto ad altre. Quando si rende conto di aver fatto qualcosa di positivo si applaude da sola e sorride perché si accorge della felicità delle persone che la circondano.
Sono la mamma di Chiara, una bambina affetta da una rara e grave patologia che l'ha resa "disabile". Chiara non cammina, non parla e secondo i medici il suo futuro era destinato ad una vita vegetativa. A distanza di 9 nove anni posso dire con orgoglio di madre, che mia figlia, nonostante la sua disabilità, è una bambina "viva". Lei non parla ma comunica ed è una comunicazione fatta di sorrisi, carezze, piccoli suoni, segni di contrarietà ma soprattutto fatta di baci ed abbracci.
Ma la scuola è importante anche dal punto di vista relazionale.A Chiara piace stare a scuola, ricerca i suoi compagni, li tocca e per attirare la loro attenzione emette un bellissimo "oooooooh". E' forse l'inizio di un futuro di parole verosimili? Chissà! La comunicazione attraverso lo stimolo delle emozioni, del contatto visivo richiamato e protratto nel tempo, l'uso di tutti i sensi rispettando le difficoltà e la percettività di Chiara, stanno rendendo efficace il progetto iniziato a scuola e danno un'altra piccola speranza a Chiara e a noi genitori.
Sembra strano parlare di orgoglio o di soddisfazione verso una bambina come Chiara. La gente a volte non capisce come si possa dire ciò ma, oltre il grandissimo dolore che ogni genitore porta con sè ogni giorno nel cuore, in esso c'è tanto amore perché sono veramente dei bambini speciali. Ogni loro piccolo gesto, che per gli altri è normale, per loro è una grande conquista ed io mi sento sempre più "mamma".
Fiammetta Ricci, genitore, I.C. Via Nobiliore – Roma
Chiara oggi va a scuola, frequenta la 1° elementare dell'I.C. Via Marco Fulvio Nobiliore a Roma e, anche se all'inizio della sua vita scolastica ha incontrato degli ostacoli, ________________________________________________ Rivista telematica www.lascuolapossibile.it realizzata con GT Engine Powered by Innova Servizi – www.innovaservizi.it
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Il SalinaDocFest
Intervista a Giovanna Taviani di Riccardi Barbara - L'intervista "Se la conoscenza dell'altro ci turba vuol dire che siamo turbati anche dalla conoscenza di noi stessi". Ritorni G. Taviani L'Integrazione: tema scelto del mese. Penso, per non ripetere sempre gli stessi contenuti a riguardo, rifletto, uhmmmmm, siiiii, si accende una lampadina, certamente, lei è la persona giusta che fa a nostro caso, lei e la sua "creatura", dove poter attingere uno spaccato di esperienza in campo talmente viva e innovativa, che voglio diffondere con orgoglio e ammirazione. G.Taviani Abbiamo pensato per prima cosa ai giovani di quei territori, che in estate quando arrivano i turisti si sentono al centro del mondo, ma in inverno quando le isole si svuotano restano soli con il loro pezzo di mare. Ci siamo detti, portiamo il mondo da loro, e facciamolo attraverso il documentario, che mai come in questo momento riesce più del film di finzione a raccontare quel che le Tv e i giornali spesso celano o rimuovono. La realtà del nostro paese, il "fuori" da noi, l'"altro" da noi. E così è nato il SalinaDocFest, Festival del documentario narrativo che si svolge alla fine di Settembre, il mese rosso delle vendemmie, in un percorso itinerante che coinvolge il pubblico dell'isola, le scuole e i giovani del territorio.
1) Come nasce l'idea di realizzare un Festival Internazionale del documentario narrativo? Perché proprio all'Eolie? L'idea nasce da una scommessa e da una provocazione: dare visibilità agli invisibili - il documentario in Italia sconta la mancanza di distribuzione e quindi inevitabilmente la propria clandestinità e invisibilità -. In questo senso l'isola di Salina, con tutte le problematiche che le isole portano con sé, prima fra tutte l'isolamento dal continente e i disagi legati ai trasporti - le Isole Eolie sono collegate all'Italia dai traghetti e aliscafi Siremar che rischiano in questi mesi la soppressione - ci sembrava lo scenario adatto .
2) Cosa ti regala ogni edizione, cosa ti porti via da questa esperienza, cosa hai imparato e quali sono i punti di forza del Festival? Dirigere un Festival è un'impresa molto faticosa, spesso impossibile in un paese come l'Italia. Soprattutto quando il Festival si svolge su un'isola sprovvista di sale cinematografiche, circondata da un mare spesso in tempesta, e poco abituata, per così
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dire, a ricevere nelle proprie strutture un pubblico internazionale. Pochi giorni prima di ogni edizione, esausta dopo un anno di lavoro speso a trovare fondi che non si trovano, organizzare spettacoli e concerti, convincere artisti, registi e produttori a venire sull'isola, spesso a costo zero, mi dico: questa sarà l'ultima. Ma il giorno dopo la chiusura penso già alla edizione successiva, ai temi da affrontare, agli ospiti da invitare. E' più forte di me. Forse perché senti di far parte di una "comunità" al di qua e al di là del Mediterraneo che, anche solo per una settimana, si riunisce sotto un cielo "comune", per riflettere insieme sullo stato del nostro cinema e il destino dei nostri paesi. Un bel sogno che il SalinaDocFest mi ha regalato.
che parlano di tradimenti, uccisioni, potere, libertà. Un ritorno alla realtà attraverso il grande cinema che forse, da qualche parte, deve qualcosa anche alla rinascita del documentario nel nostro paese di cui io, come documentarista e direttrice del SalinaDocFest, mi sento in parte responsabile. 5) Progetti e novità... Sto lavorando con le scuole, dieci giorni fa a Lipari, con le scuole medie dell'isola, oggi a San Miniato, con gli Istituti Tecnici della città natale dei Taviani, dove mi hanno chiamata per un corso su La Notte di San Lorenzo, a 30 anni dalla sua uscita. Un film che va portato nelle scuole e riproposto ai giovani, orfani di passato e di futuro, proprio per insegnare loro che coltivare la memoria è l'unica forma di libertà che l'uomo possa conoscere e che se riesci a salvare anche solo uno dei tuoi ricordi sei salvo. Un modo anche questo per lavorare a una scuola possibile e a un futuro "altro" rispetto a quello che ci hanno prospettato.
3) Cosa significa essere figlia "di" ed essere cresciuta in una famiglia dove si respira e vive di e per il cinema? Un'arma a doppio taglio, soprattutto quando i padri sono due, come nel mio caso. Spesso quando mi chiedono di chi sei figlia rispondo automaticamente "dei fratelli Taviani", come fossero una entità unica, una coppia indissolubile. In realtà, e per fortuna, mio padre è solo uno dei due, Vittorio, ed è lui il "responsabile" del mio amore per il cinema, colui che mi ha insegnato ad avere uno sguardo cinematografico sul mondo. In generale, essere figlia di autori che hanno firmato la regia di film come Padre Padrone, La notte di San Lorenzo, San Michele aveva un gallo, Allonsanfan, credo mi abbia insegnato soprattutto questo: anche quando tutto sembra perduto, non bisogna arrendersi. Occorre resistere, ieri come oggi, e non dimenticare mai da dove veniamo e dove andiamo.
Il "SalinaDocFest" luogo di incontro, dove condividere le riflessioni ascoltando altre realtà, consapevoli che tra "gli altri" e noi, la distanza e la separazione sono solo un concetto geografico che la storia e i fatti moderni stanno abbattendo, per far spazio ad una contaminazione positiva, verso un mondo sempre più globale DOVE SENTIRSI ED ESSERE INTEGRATI. Non è soltanto un Festival del documentario, ma è il festival dei popoli del Mediterraneo. È un festival che promuove l'integrazione degli immigrati.
4) Orgoglio di figlia e nipote, cosa ti accresce dell'esperienza del film "Cesare deve morire" dei Fratelli Taviani, anche questa è una forma di integrazione? L'Orso d'oro a Berlino mi rende felice e orgogliosa non solo perché il film è forte e in qualche modo torna ai Taviani più sperimentali nello stile e nel linguaggio. Ma anche per il connubio inedito e insolito tra film di finzione e film documentario. Gli attori che recitano Shakespeare sono i detenuti del carcere di massima sicurezza di Rebibbia, e i drammi shakesperiani che mettono in scena sono i loro drammi reali, drammi
GRAZIE GIOVANNA PER IL BELLO DI ALTRE ... "VISIONI"! Il sito del Salina docfest
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P.S. Se siete stati colti da curioso interesse e volete sentire/vedere un diverso punto di vista ad ampio spettro, andate a sbirciare tra i suoi lavori: I nostri 30 anni generazioni a confronto; Ritorni e Fughe e approdi. Documentari realizzati sul confronto con l'altro, che trattano esperienze diverse, sono differenti modi di affrontare e vivere la lontananza dal proprio paese d'origine e dalla volontà di scoprire e confrontarsi. Immagini/voci come tentativo di andare oltre i cliché sugli immigrati e sul fenomeno dell'integrazione, per superare il non conosciuto, per dare sfogo alla curiosità della scoperta dell'altro. Barbara Riccardi, docente 143° CD "Spinaceto" – Roma
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Le bon sauvage ovvero la rappresentazione culturale del concetto di alterità
Lo sguardo lungimirante dell'integrazione e il limite insopportabile del razzismo. di Presutti Serenella - Oltre a noi...
malizzazione, vale a dire della negazione delle diversità presenti nella specie umana vivente sul pianeta...
La rappresentazione dell'"altro da sé" sta all'idea che ognuno di noi ha del mondo fuori dei confini dell'io-se stesso come la rappresentazione di altre comunità sta all'idea politico e sociale che una società coltiva nei confronti degli altri paesi... questa è l'equazione, idea quasi banale per la sua semplicità, che sottende una magnifica mostra allestita e attualmente in corso presso il "musée du Quai Branly", museo etnografico di Parigi, allestito già nel progetto originario dell'architetto Jean Nouvel come "...un complesso culturale che propone un approccio diversificato ed innovativo delle culture non occidentali", come recitato sulle brochure tradotta in tutte le lingue a disposizione all'ingresso del museo. La mostra si intitola "L'invention du sauvage", l'invenzione del selvaggio, anzi la costruzione del mito del selvaggio, e propone un affascinante viaggio attraverso i continenti e la storia con l'occhio di chi è stato oggetto delle colonizzazioni, considerati non solo buon investimento economico e affaristico, ma soprattutto come il più grande progetto educativo scientifico ed antropologico con l'obiettivo ultimo della nor-
L'esposizione inizia con un excursus storico sulle esplorazioni e le scoperte geografiche che poi hanno portato alla nascita dei grandi imperi coloniali, francese-inglesespagnolo, e alle prime trasmigrazioni di esemplari etnici presso le più importanti corti europee; l'invenzione del selvaggio raggiunge il massimo fulgore intorno al 500-600,secoli teatro di grandi guerre, scoperte e cura di rappresentazioni artistiche, che con la protezione e il sovvenzionamento economico di potenti mecenati (spesso gli stessi regnanti) hanno dato luogo ad importanti scoperte scientifiche nonché a rappresentazioni di forte impulso e sviluppo delle arti moderne, per esempio alle rappresentazioni teatrali e alle arti figurative. La scoperta del diverso da noi, del lontano e dell'esotico è anche l'inizio dell'invenzione del selvaggio, del diverso in quanto non uguale a noi, inferiore per le sue nonconoscenze delle coordinate del nostro sistema culturale occidentale e quindi bisognoso di essere educato a tutto questo, di apprendere ciò che possa trasformarlo in un "bon sauvage" utile al mondo occidentale e (perché no?) che possa essere anche un buon affare... ecco a voi Signore e Signori!!!!.....il terribile prodigio... che diventa, a secondo del momento storico, la donna barbuta, il bambino nero albino, la Venere africana della tribù ottentota, il grande capo Omai, arrivato con il capitano Cook dall'Australia... insomma inizia l'era del "circo umano", tra cui il più importante e famoso di tutti è certamente il circo Barnum, che fu autore dell'abile trovata pubblicitaria del " What is
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it?", alias l'afro-americano William Henry Johnson, sofferente di una leggera deficienza mentale, venduto a quattro anni a Barnum che pensò bene di presentarlo con un costume completamente ricoperto di peli come il "perfetto" selvaggio catturato in Africa che tutti vogliono vedere da vicino...
le ferite di un olocausto, e molti i genocidi siano stati consumati; l'assunto di partenza è sempre lo stesso... Noi siamo i più forti e siamo arrivati per primi ad occupare le postazioni del potere economico-politico su questo pianeta, per cui è dimostrata la nostra superiorità...dunque siamo legittimati alla sua difesa e alla rivalsa sui popoli inferiori perché selvaggi e diversi, diversi e selvaggi...diversi da noi e "pericolosi". L'affermazione che l'altro è inferiore è qualcosa di rassicurante; pone il limite massimo alla domanda di quanto valga ognuno di noi e quanto debba essere tutelato dalla comunità nella quale vive... La tutela della diversità, della diversità di ognuno, passa attraverso la sua conoscenza e comprensione; lo scambio tra culture è l'inizio di ogni storia d'integrazione. La rielaborazione della conoscenza, la risultante delle integrazioni dei punti di vista è alla base delle aperture delle menti e della costruzione del rispetto dei principi della convivenza democratica.
Gli "zoo umani" hanno rappresentato la normalizzazione dell'asservimento a cui è stato sottoposto il diverso che, attraverso l'equivoco della necessità scientifica, viene mostrificato e come tale rappresentato ed esposto al ludibrio e alla comune giustificazione della necessità della detenzione e/o quantomeno del controllo da parte della "comunità educante" formata dai bianchi occidentali superiori. La mostrificazione è un processo inarrestabile che investe ben presto tutte le diversità, per cui diventa legittimo essere curiosi di assistere oltre che allo spettacolo del diverso perché selvaggio, anche alla visione da vicino del mostro-diverso perché disabile...la storia degli zoo umani, dal "what is it?" portano sul palco anche "elephant man" o i fratelli siamesi...se poi le diversità sono sommate (disabili nati in altri continenti) maggiore è la ragione della curiosità e maggiormente giustificata in nome della conoscenza...
L'unico antitodo contro la paura delle modifiche dei punti di vista...è probabilmente la consapevolezza che il cambiamento in quanto tale è possibile...e innarrestabile! Tutti ci siamo chiesti, almeno una volta, che cosa accadrebbe un giorno se tutti gli umani fossero costretti come tali in uno "zoo"; le suggestioni suggerite dalla letteratura, come dalla filmografia fantascientifica sono molte e alcune molto note....una su tutte "la metamorfosi" di kafkiana memoria. L'angoscia provocata dall'incapacità di accettazione del diverso e della diversità genera solitudine, discriminazione e morte. L'integrazione invece racconta il lungo cammino della conoscenza e della conquista della civiltà delle "umane" genti.
Uno degli ispiratori (commissario generale della mostra) di questa esposizione è un diverso diventato ricco grazie al suo talento: il giocatore di calcio Lilian Thuram, che dalla Guadalupe arrivò giovane nella regione parigina e assaggiò gli sguardi di molti sulla sua pelle nera e si domandò da dove avessero origine questi sentimenti razzisti e, soprattutto come il razzismo fosse assunto come giustificazione scientifica, alla base degli zoo umani, dell'inferiorità delle razze appartenenti al cosiddetto terzo mondo...
Lo spettacolo offerto da questa mostra, senza tema di essere smentita, varrebbe il viaggio a Parigi quanto la vista della Torre Eiffel o la visita al Museo del Louvre...vedere per credere!
Tali giustificazioni hanno sviluppato false credenze e false verità; il razzismo pone le sue più profonde radici culturali sulla paura degli altri e soprattutto sulla convinzione che il proprio mondo, il proprio potere vada difeso ad ogni costo con la sopraffazione e l'assoggettamento di interi popoli, costi anche il genocidio.
Serenella Presutti, Dirigente scolastico, psicopedagogista e counsellor 143° Circolo didattico "Spinaceto" di Roma
Le radici di tutto questo non sono state estirpate, nonostante ancora siano aperte ________________________________________________ Rivista telematica www.lascuolapossibile.it realizzata con GT Engine Powered by Innova Servizi – www.innovaservizi.it
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Diverso da chi?
Gli ingredienti essenziali per una vera integrazione di Giuliano Rosanna - Orizzonte scuola
di noi, quando sentiamo di essere inseriti in un contesto che ci accetta.
"Quelli che vanno nella mia scuola sono stupidi. Solo che non mi è permesso dirlo, anche se è vero. Vogliono che dica che hanno delle difficoltà nell'apprendimento o hanno esigenze particolari. Il termine esatto è gruppo H. Questa sì che è una cosa stupida, perché tutti hanno dei problemi nell'apprendimento, perché imparare a parlare francese o capire il principio della Relatività è difficile, ed è altrettanto vero che ognuno ha le sue esigenze particolari, come mio padre che deve portarsi dietro le pillole dolcificanti da mettere dentro il caffè per non ingrassare, oppure la signora Peters che gira sempre con un apparecchio acustico color crema, o Siobban che ha degli occhiali talmente spessi che ti fanno venire il mal di testa se li provi, e nessuna di queste persone viene classificata come gruppo H, anche se hanno delle esigenze particolari".
Quali sono gli "ingredienti" essenziali per una vera integrazione? Personalmente ritengo che l'instaurazione di un clima collaborativo in classe, la rinuncia ad atteggiamenti conflittuali, legati ad un esasperato individualismo e ad una scarsa accettazione dei ragazzi con difficoltà di apprendimento, possano contribuire a rendere un contesto accogliente. Acquisteremo maggiore fiducia nelle nostre capacità di interagire con gli altri se avvertiremo di essere accolti dal gruppo-classe nel quale siamo inseriti, se percepiremo la nostra presenza e il nostro contributo significativi nello svolgimento di un'attività e se vedremo considerate le nostre idee da parte dei nostri compagni di classe.
(Mark Haddon, Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte)
A mio avviso, si avrà una vera integrazione solo se questa sarà percepita come un'esperienza di arricchimento per tutti, non solo per i ragazzi svantaggiati: ognuno può crescere e migliorare solo se riesce ad accettare dentro di sé la propria e le altrui diversità. E' fondamentale che qualsiasi apprendimento passi attraverso l'affettività e la relazione emotiva con l'insegnante e con il gruppo classe. E' indispensabile, a questo proposito, incentivare i momenti di socializzazione attraverso attività ludiche, una didattica di tipo laboratoriale, incoraggiare e promuovere, sempre, lo sviluppo dell'autonomia di ogni alunno, coinvolgerlo e permettergli d'investire nel processo di apprendimento, i suoi desideri, le sue ambizioni, far leva sulle sue potenzialità, sulle sue risorse individuali, poiché queste sono anche fonte di creatività.
Spesso siamo noi, con i nostri atteggiamenti e i nostri giudizi, a sancire ciò che è normale da ciò che non lo è; con questo intendo dire che la normalità può essere vista come una condizione che avvertiamo dentro
Rosanna Giuliano, docente di sostegno scuola secondaria di primo grado, IC Perazzi - Roma
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Generazioni di donne di scuola
Una scelta convinta che parte da lontano di Natale Olga - Long Life Learning
parlasse la loro stessa lingua. Io al contrario ero felice ed emozionata ogni volta di piú. É passato tanto tempo e più consapevole mi sono ritrovata giovanissima a poter attuare inclusione, quella vera, quella promossa dalla L.517; ma le difficoltà si mostrarono sin da subito numerose. Come potevo facilitare inclusione se ero la prima a non riuscire ad integrarmi tra la cerchia delle insegnanti curriculari?!?! Alla fine, regolarmente, gli alunni disabili ed io finivamo nell'auletta di sostegno a raccontarci storie fantastiche.....e cosí ho trascorso molto tempo, fino a quando, entrata in ruolo, sono arrivata nella scuola dove ora ricopro la carica di Funzione Strumentale H.
Guardandomi indietro posso affermare di essere la quarta generazione delle donne della mia famiglia che siede dietro la cattedra..... la mia bis-nonna nell' ottocento su un bel cocchio andava a far lezione nelle case di pochi. Mia nonna ha prestato servizio per ben quaranta anni nel Convitto Nazionale della sua città. La mia mamma era un insegnante di sostegno proprio come me. Ella, mi ha insegnato il vero significato dell'integrazione. Oltre trent'anni fa era docente nelle scuole speciali dove di integrazione se ne poteva fare ben poca....formate come erano da soli "figli di un Dio minore", come li chiamerebbe Haines. Allora mia madre l'integrazione la attuava in casa, si , proprio così, in casa nostra, portandovi a pranzo ora uno ora un altro disabile della scuola speciale di Forte Antenne.
La strada è stata lunga e dura ma posso dire finalmente di riuscire nell'intento cardine di questa missione, detta come mi piace chiamarla "l' integrazionabile". Sono ormai tanti anni che condivido il susseguirsi dei cicli con un team valido e allineato come me, sugli obiettivi fondamentali della L. 104/92. Ogni giorno è una nuova scommessa, una partita da vincere con la giusta consapevolezza che la vera integrazione viene pienamente realizzata solo se condivisa dagli interi team, dai collegi, dai consigli di interclasse, soli "noi e loro" rimarremmo sempre e solo una goccia nel mare... Olga Natale, docente di sostegno IC Uruguay – Roma
Ricordo con tenerezza come mio fratello piú grande di me di cinque anni, allora studente delle scuole medie, non fosse proprio a suo agio nel condividere quel fugace pasto in compagnia di quei ragazzi cosí bisognosi di essere ascoltati e accettati anche da chi non ________________________________________________ Rivista telematica www.lascuolapossibile.it realizzata con GT Engine Powered by Innova Servizi – www.innovaservizi.it
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Dalla prima pagina
L'integrazione è di tutti, è un gioco di squadra! Questo slogan mi piace! di Caruso Giovanna - Dedicato a te
E' determinante entrare in empatia con l'alunno, ecco perché è importante la continuità e il tempo della scuola.
E' un invito a riflettere su un importante e basilare obiettivo del nostro lavoro. L'adulto se vuole riesce, ha tante strategie da mettere in atto, deve solo decidere di impegnarsi in questo. Non è facile riuscire a mettere da parte tutti quegli "influssi negativi" che arrivano da "ogni parte", (famiglia, istituzione scuola, ecc..). Occorre decidere che il "nostro" lavoro fa parte della nostra vita, del nostro tempo, e come tale è importante, va vissuto al meglio. E cosa c'è di meglio di sentirsi utili nel riuscire a raggiungere degli obiettivi?
La scuola deve creare un tempo e uno spazio di benessere per tutti gli alunni, soprattutto per quelli più "fragili", e oggi tutti hanno delle fragilità, delle carenze affettive, sociali.... L'integrazione scolastica secondo me va intesa come integrazione di tutti gli alunni in un gruppo coeso, che si sostiene per un senso di "appartenenza", e proprio in nome di quella appartenenza, individualmente si sente più forte. L' adulto insegnante, guidato dalla propria esperienza, deve captare i bisogni di ognuno, le difficoltà di ognuno e tirar fuori, a volte istintivamente, nuove strategie affinché nel gruppo integrato ognuno sente di avere un ruolo importante e di dare un contributo originale. Nel momento di necessità, l'insegnante sa diventare creativo. Una delle chiavi sta nell'instaurare un vero rapporto con ogni alunno, dunque conoscersi e stimarsi, riuscire ad entrare delicatamente nell'interiorità dell'alunno per comprendere i suoi veri bisogni, per aiutarlo ad integrarsi. Una ricerca continua che dura per tutta la vita professionale. Giovanna Caruso, docente, 115° CD "A. Mauri" - Roma
L'insegnante cresce con l'alunno, impara da lui, dai suoi bisogni prende le direttive per tracciare un percorso formativo. Ogni alunno è un alunno da integrare perché ogni alunno è un individuo a sé. L'esperienza ci insegna che anche l'alunno che didatticamente riesce meglio ha qualche fragilità e questa va compresa e aiutata.
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Dalla prima pagina
Quando Alice bussò alle porte del cielo Oggi si muore per ... la fretta. di Crasso Antonella - Dedicato a te
essere felici, a godere di tanti piccoli preziosi momenti che l'esistenza ci offre.
C'è una storia che voglio raccontare. Una storia accaduta qualche giorno fa, paradigma di questo tempo nel quale tutto corre veloce, nel quale tutto si consuma così, condensando le esistenze in attimi che bruciano rapidi e rapaci. Tutto è dilaniato dalla fretta: il tempo, il cibo, le emozioni, il pensiero, l'amore. E soprattutto la vita.
Amava questo nostro mondo scombinato, Alice, e cercava di rispettarlo, nel suo piccolo. Andava in bicicletta, come qualche giorno fa, una splendida mattina di marzo nella quale però il suo tempo si è fermato ad un semaforo. Rosso. Perché un altro essere umano, fagocitato dagli impegni della giornata, passando con il rosso ha spento la sua luce. Chissà dove andava quella persona, e quante volte, per il resto della sua vita, ritornerà con un rimpianto ineludibile a quei momenti, a come sarebbe stato diverso se... E allora mi viene da pensare che viviamo così, immersi in un tempo tiranno e veloce che inghiotte la capacità di soffermarsi a pensare, sospesi sulla soglia di attimi che possono decidere una vita. Siamo derubati dal tempo, che ormai è più un nemico che un alleato. Una volta si diceva che il tempo cura tutto: oggi il tempo e la sua creatura più temibile, La Fretta, divorano le nostre giornate, frastornandoci nell'ansia di riuscire a fare tutto oggi, tutto subito, tutto in fretta. La Fretta è la compagna malevola e corrodente delle nostre azioni, e troppo spesso non tiene il passo con il pensiero cosciente e razionale, portandoci a compiere gesti che, in frazioni infitesimali di tempo, decidono destini. Per La Fretta oggi si muore.
La storia di Alice mi ha fatto troppo male, e per fare scudo a questo dolore devo almeno trarre delle riflessioni da tutto questo, e condividerle. Alice aveva solo 22 anni, una ragazza bella e piena di vita, profondamente impegnata nella sua parrocchia e in mille altre attività. Era una educatrice. Si occupava delle giovani coccinelle del suo gruppo scout con un amore e un entusiasmo che erano anche gratitudine per ciò che lei stessa aveva ricevuto e voleva quindi ridonare; amata da tutti, era un vulcano di idee alla ricerca di giochi sempre nuovi per le "sue" bambine. E giocando insegnava. A vivere, a stare insieme. A rispettare gli altri ed il mondo, ad
Anche questa oggi è una guerra, nella quale tutti sono vittime, anche chi resta: gli amici, i familiari, i colpevoli. Guidare una automobile oggi in fondo equivale ad avere in mano un'arma e si sa che se si maneggia un'arma, quale che sia, non è ammesso distrarsi. Per questo è agghiacciante pensare che questo può capitare a tutti, proprio compiendo quei gesti ormai entrati nella quotidianità tanto da risultare quasi auto-
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matici, come parlare al cellulare, truccarsi in macchina o chinarsi per infilare un CD. Gesti dei quali non si percepisce più la potenziale pericolosità. Noi siamo insegnanti, educatori. Mi piacerebbe tanto che ai nostri ragazzi, figli loro malgrado senza colpa di una generazione che consuma ogni cosa nella velocità e nella fretta, insegnassimo anche a recuperare il senso del fermarsi un attimo. A pensare. A godere magari di quel raggio di sole che si riflette sul primo verde di primavera. Ad assaporare un cibo distinguendo l'armonia dei sapori, senza scaraventarlo giù per la gola, dove tutto si mescola, e tutto si annulla. Così "fast". Così assurdo. Che forse è ora di lasciarsi alle spalle il tempo dello "Zang tumb tumb" e della esaltazione della velocità di futurista memoria. L'elogio della Fretta. Alice nel suo diario aveva scritto il suo inno d'amore per la vita: la sua scomparsa però è solo una delle ormai tante notizie simili. Appunto, non fa notizia. Per chi l'ha conosciuta però sarà bello ricordarla con le immagini che ci hanno lasciato i genitori, i quali, nei giorni disperati immediatamente successivi alla sua scomparsa, sono andati a cercare un po' di pace sulla cima di una montagna che lei amava tanto: e qui, per tutta la giornata, una farfalla gialla ha seguito ogni loro passo, misteriosamente, perché non è ancora tempo di farfalle. Così, in un giorno di marzo, Alice ha bussato alla porta del cielo. A noi resta in eredità lo sforzarci di essere responsabili di ogni nostra azione, di insegnare il rispetto delle regole, la consapevolezza degli altri, la gioia di fermarsi un attimo, fosse anche il tempo di un respiro. Antonella Crasso, docente di sostegno, SMS E.Majorana Roma
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Se noi mortali riuscissimo a capirlo!
DISLESSIA: questo termine spesso sconosciuto di Poli Roberta - Orizzonte scuola
passa per svogliatezza, indolenza o mancanza di impegno. Eppure di impegno ce ne vuole tanto, anzi tantissimo per fare poco più della metà di quello che i compagni fanno in molto meno tempo e poi l'angoscia di inseguire un obiettivo che non si raggiunge mai fino in fondo, almeno rispetto a quello che gli altri si aspettano da te. Ma la cosa che fa più male, a volte, è lo sguardo rassegnato dei genitori, la loro pena nel vedere un figlio che non potrà arrivare a quello che loro avevano sognato per lui. Le lacrime negli occhi di una madre che si vergogna delle carenze della figlia fanno male all'insegnante ma soprattutto alla ragazza che rispecchia così la sua inadeguatezza che dalla performance passa alla vita stessa: si sente diversa, viaggia con una marcia in meno e fa tantissima fatica a proseguire non solo a scuola, ma soprattutto nel viaggio della crescita.
Quando si pronuncia la parola, a volte le facce sono sbigottite: "Che roba è?" La reazione di sorpresa non riguarda solo i ragazzi, ma anche i colleghi, persone che insegnano da anni magari proprio Lingue, Lettere, Matematica, eppure non riescono a spiegarsi perché certi ragazzi "Proprio non ce la fanno!" Quando i ragazzi arrivano alle Scuole Superiori, sono già grandi e spesso il "fenomeno Dislessia" è stato archiviato. C'è chi non sa nemmeno di esserlo, chi semplicemente non si chiede più perché non ce la fa a seguire il passo; l'elemento comune che si ritrova, a volte, è l'iperattività e la fuga dal compito che è innanzi tutto una fuga da se stessi e dalle proprie difficoltà. C'è poi il passaggio dalle Medie alle Superiori, caratterizzato dalla negazione del sostegno (tra l'altro ora non più previsto per i DSA), che spesso viene vissuto dai ragazzi come il "marchiare" in forma indelebile la propria "diversità".
Forse la legge 170/2010 Potrà avere qualche conseguenza positiva sulla considerazione in cui si tengono questi ragazzi ma soprattutto potrebbe servire a dare voce ai loro bisogni che PER LA PRIMA VOLTA DIVENTANO DIRITTI, nella speranza però che l'ottusità di qualche/molti docenti possa trasformarsi in apertura ma soprattutto nella capacità di vedere con occhi (e richieste) diverse questi ragazzi. Quando mi capita di dover spiegare a chi è a digiuno che cosa è la dislessia, ricorro spesso ad una metafora: mentre noi "comuni mortali" viaggiamo sui binari con il nostro "regionale", loro (i ragazzi con DSA) sono come un treno ad alta velocità che non riesce ad essere ingabbiato negli stessi binari perché le potenzialità sono molto più avanti: Leonardo Da Vinci, Picasso, Einstein, Walt Disney solo per citare alcuni dei "dislessici famosi". E allora, se riusciamo a rovesciare l'imbuto, potremmo vedere oltre e soprattutto potremmo vedere la ricchezza che si nasconde dietro un vestito troppo stretto che gli vorremmo cucire intorno ingabbiandoli in un
Credo che l'aspetto più importante sia il non sentirsi capiti, una difficoltà funzionale che
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involucro che non potrà mai contenere la loro fervida fantasia. Geni incompresi, se noi "mortali" riuscissimo a capirlo, forse avremmo la possibilità di coltivare dei gioielli che troppo spesso si sentono pietre, zavorre, ma solo perché noi li facciamo sentire tali. Ringrazio R., C., G., E., V. e tutti gli altri ragazzi che mi hanno fatto capire come si vive da dislessici, nelle mie parole ci sono tutti loro, le loro storie e soprattutto ci sono i tanti/troppi docenti che non li hanno saputi apprezzare. Roberta Poli, docente I.I.S. "S. Aleramo" – Roma
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Lo scavo archeologico ...risorsa per integrare Un caso concreto per una integrazione possibile di Riccio Filomena - Organizzazione Scolastica costruzione dell'edificio scolastico. Su tale insediamento è stato realizzato e inserito nel POF 2005/06, un progetto di valorizzazione della Villa considerata bene culturale e strumento di conoscenza ed opportunità di crescita sociale e culturale. Il progetto ha visto la presenza attiva dell'Archeologa all'interno della scuola ed è stato finanziato con i fondi della Legge 440/97. Il progetto ha come finalità la costruzione di un ambiente di apprendimento favorevole e l'eliminazione di tutti gli ostacoli noti, sia ambientali che cognitivi, per le persone svantaggiate interessate alle offerte formative della scuola. Vuole essere un sostegno alle attività di integrazione scolastica degli alunni diversamente abili attraverso interventi mirati a rendere possibile la fruizione di tutte le opportunità didattiche e formative che la scuola offre. Il progetto, che prevede anche l'uso di strumenti informatici, è rivolto a tutti gli allievi ed al territorio, ma non può però essere fruito pienamente dalle persone con difficoltà a deambulare. Per ovviare a tale problematica è prevista la realizzazione di un percorso accessibile ai non deambulanti.
Dopo aver insegnato matematica per alcuni anni, da oltre dieci anni sono docente di Sostegno nella scuola secondaria. La ricerca di strumenti che mi supportino nella realizzazione del desiderio di aiutare chi si trova in situazioni di svantaggio, è stato il motivo principale che mi ha spinto a lavorare in tale ambito scolastico. La mia scuola è un Istituto Tecnico Superiore ad Indirizzo Informatico. E' frequentato da alunni con disabilità certificata, alunni con problemi relazionali e molti altri che conseguono ripetuti insuccessi e che inevitabilmente abbandonano la scuola.
La didattica inclusiva Le classi coinvolte nel progetto sono sei (biennio e triennio), per un totale di 18 alunni, di cui 6 con disabilità e gli altri in situazione di svantaggio o con gravi lacune di base nelle diverse materie. Il lavoro si svolge in gruppi disomogenei, prevalentemente in Laboratorio di Tecnologia e Disegno o nell'area archeologica. Ogni alunno disabile lavora insieme a due compagni di classe. Gli obiettivi principali del progetto sono: • Favorire il processo di socializzazione ed integrazione • Aumentare e favorire la motivazione al lavoro • Valorizzare i progressi ottenuti dai ragazzi • Potenziare la sfera della comunicazione
Durante i lavori di costruzione della scuola, nel 1982, è stato ritrovato un insediamento di età romana, in particolare i resti di una Villa Rustica Romana della quale sono visibili solo alcune parti. Lo scavo venne eseguito dalla Soprintendenza Archeologica di Roma che riuscì a salvare solo alcuni ambienti della Villa distrutta nel corso dello sbancamento per la
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attraverso l'uso di software specifici • Far lavorare in gruppo • Saper utilizzare autonomamente il computer per la consultazione di programmi che rafforzino le abilità di lettura, comprensione e approfondimento • Saper utilizzare software per l'acquisizione di abilità che consentano agli alunni un inserimento nell'ambito scolastico • Consentire l'accesso all'interno dell'area archeologica a tutti gli alunni e cittadini del territorio
pannello bilingue, descrittivo degli ambienti della villa romana collocato nell'atrio della scuola e dei disegni (alcuni con il CAD) dei vari "cocci" trovati. Gli alunni, con l'aiuto dell'Archeologa, hanno imparato a catalogare e a riconoscere i reperti. Il lavoro svolto dagli alunni, disabili e non, è stato valutato dai docenti in sede di scrutinio finale. All'ingresso dell'area archeologica si è realizzato un percorso dotato di rampa di accesso dalla quota stradale; esso è costruito con materiali ecocompatibili e consente il passaggio di persone con difficoltà a deambulare. Tale attività valorizza le capacità espressive e di relazione degli alunni disabili. Lungo il percorso sono situati i pannelli descrittivi con testi ed immagini realizzati dagli alunni sia in italiano che in inglese.
Il progetto vede la partecipazione di alcuni docenti di Italiano, Matematica, Inglese, Sostegno, Tecnologia e Disegno che preparano schede di lavoro e percorsi didattici personalizzati e di gruppo e dell'Archeologa che ha svolto gli scavi della Villa. Esso prevede due fasi: la creazione di un laboratorio dove far lavorare insieme gli alunni per creare un pannello descrittivo degli ambienti della Villa e, successivamente, la realizzazione di un percorso accessibile ai disabili. Il laboratorio si usa al mattino per approfondimenti con l'alunno disabile o con piccoli gruppi in cui è inserito l'alunno disabile; il pomeriggio si usa per recuperi ed appro-
I risultati raggiunti I punti di forza del progetto: • la prospettiva di un obiettivo ambizioso come la realizzazione dei pannelli descrittivi • la capacità di saper illustrare ai visitatori la storia del sito • il ruolo importante dell'Archeologa che ha incuriosito e stimolato gli alunni • la divisione del lavoro in piccoli gruppi • le diversità delle attività, (catalogazione e studio dei reperti, realizzazione dei disegni dei reperti, ricerche su Internet, ascolto, studio delle immagini, raccolta delle informazioni, traduzione in inglese del pannello descrittivo, recupero/approfondimento di matematica, ...) ha permesso a tutti di utilizzare al meglio le proprie capacità ciò ha fatto aumentare nei ragazzi la sicurezza • miglioramento dell'autostima • gli obiettivi continuamente esplicitati, così come i criteri di valutazione Considerazioni finali Per tutti gli alunni, ma soprattutto per i ragazzi disabili, i miglioramenti riguardano principalmente il potenziamento dell'AREA RELAZIONALE e dell'AREA dell'AUTONOMIA PERSONALE e SOCIALE. Infatti, gli alunni coinvolti, devono collaborare e lavorare con i pari, con i docenti e con l'Archeologa. Per la maggior parte degli alunni interessati, la partecipazione al progetto è stata vissuta come "premio", finalizzato al miglioramento del rendimento scolastico. In altri allievi, al contrario, il lavoro sulle strutture archeologiche ha sviluppato un inaspettato entusiasmo verso la scuola. Nel corso degli ultimi quattro anni in alcuni studenti si è
fondimenti anche individuali. Con gli alunni del biennio (nell'ambito della materia di Tecnologia e Disegno e con la collaborazione dei docenti di italiano e di inglese), si esegue la progettazione del percorso di visita del sito archeologico e del materiale didattico illustrativo del sito e dei suoi reperti. Gli alunni hanno realizzato un
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notato un interesse e una partecipazione superiore alle aspettative. In particolare un alunno disabile ha ricevuto dall'archeologia un grande stimolo allo sviluppo della propria personalità e pertanto, d'accordo con i docenti del Consiglio di Classe, negli anni successivi l'alunno ha partecipato al progetto della Villa. Inserito nel POF, con la presenza costante durante le ore del progetto, il ragazzo è diventato un vero leader del gruppo. Egli ha appreso la metodologia archeologica ed è stato in grado di comunicarla agli altri studenti assegnando compiti e seguendo con attenzione il lavoro svolto. Ha fatto ricerche sulle Ville romane e tradotto in inglese i risultati. Il progetto ha migliorato il comportamento e il rendimento scolastico di molti alunni, ma ha anche entusiasmato e stimolato gli alunni con difficoltà di apprendimento ai quali l'archeologia è "servita" a sviluppare un percorso di autonomia e integrazione. di Filomena Riccio – Docente di Sostegno nella scuola secondaria di II grado
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Diversamente abili e diversamente inabili
La mia esperienza con la disabilità nella scuola secondaria di Sabatini Roberto - Integrazione Scolastica
blematiche del settore, la fascia di età interessata in queste scuole pone due questioni ineludibili per l'identità dei disabili e per il loro definitivo sviluppo: la sessualità e la professionalità, ossia due aspetti della vita adulta per i quali, a mio avviso, la scuola non ha risorse e non trova soluzioni. Eppure sono proprio questi due aspetti a scavare un solco profondo tra la normalità e la diversità e si manifestano potentemente proprio in questo contesto scolastico.
Ero solito apostrofare scherzosamente i miei studenti, quando erano particolarmente lenti a comprendere e scarsi a rispondere, come diversamente inabili per accostarli simpaticamente ai loro compagni portatori di handicap che da qualche anno in qua erano stati definiti diversamente abili. L'Istituto dove ho insegnato i miei ultimi 8 anni era ed è tuttora, da questo punto di vista, una scuola di frontiera, famosa nella zona per la sua capacità di accogliere una popolazione di disabili. Il Dirigente Scolastico dell'Istituto è una colonna portante dell'integrazione e del lavoro con l'handicap, una stakanovista dei GLH, una infaticabile promotrice di iniziative volte ad arricchire l'offerta formativa a loro destinata, a volte persino sottovalutando le conseguenze che queste iniziative avrebbero potuto generare su quella ordinaria.
Ma detto questo vorrei ricordare alcuni di questi allievi che hanno abitato la mia esperienza professionale e umana. Ho avuto una classe per l'intero quinquennio ed è inutile dire quanto ci siamo affezionati reciprocamente e in questa classe c'era anche Valentina una ragazza che aveva oggettive difficoltà di apprendimento, sia per una contenuta memoria a breve termine, sia per un non completo sviluppo delle capacità di astrazione. Ne risultava una sensibile lentezza nella comprensione e nella rielaborazione, ma il massimo della frustrazione lei lo provava quando si sottoponeva alle varie prove, soprattutto alle interrogazioni: a quel punto, sommando la sua emotività all'evanescenza della traccia mnestica, il suo rendimento dopo ore di studio era modesto e doveva per forza preparare singoli argomenti per non fare confusione e rischiare comunque di dimenticarli. Un lavoro enorme e costante per una prestazione contenuta: era difficile non rilevare la sua grande soddisfazione quando i voti premiavano questo sforzo, ma altrettanto difficile era non percepire la sensazione di inferiorità che lei provava nell'inevitabile confronto con la spavalderia o con l'abilità di molte sue compagne. Lei stava sperimentando un PEI che non le precludeva la possibilità di conseguire un vero titolo di studio: le erano state messe a disposizione facilitazioni temporali e strumentali per compensare i suoi disturbi, senza tuttavia compromettere i contenuti che doveva conoscere e senza escludere il rag-
Ma nella Secondaria Superiore l'inserimento dei diversamente abili presenta delle criticità che non sono state ancora ben affrontate nelle sedi istituzionali deputate e che la generale riduzione degli investimenti, coniugata con l'aumento del numero di allievi per classe e del numero di studenti H affidabili al singolo docente di sostegno, rende la situazione ancora più difficile. Anche senza entrare nel merito delle pro-
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giungimento di un livello di preparazione simile a quello dei suoi compagni; si trattava ovviamente di un'operazione volta al suo bene e al suo futuro, ma era anche un lavoro gravoso e incessante. A questo si accompagnava una cortese separatezza: ad una prima lettura sembrava proprio che le sue compagne la considerassero una pari e le volessero anche bene, ma nei momenti significativi per quell'età al suo banco era sola, ovvero quasi sempre seduta accanto ad un'altra compagna che aveva una sindrome decisamente peggiore della sua. Fortunatamente Valentina aveva una straordinaria capacità di impegnarsi e lavorava tutti i giorni tutto il giorno; inoltre aveva un ottimo carattere e la sua compagnia riusciva gradevole praticamente a tutti: qualche compagna di classe si affezionò davvero e le fu vicina proprio come amica; un bene prezioso sempre, inestimabile a quell'età. Si iscrisse anche ad un corso per l'autostima e l'autodifesa che proprio io tenevo in quegli anni e frequentò assiduamente le lezioni. In quella circostanza sperimentai di persona ( trovando puntuali conferme in altri disabili che frequentarono quel corso) che in queste persone anche lo schema motorio subisce danni e disturbi e esse non ne acquisiscono una completa padronanza. La lateralizzazione è precaria, non memorizzano i movimenti complessi e faticano ad imitarli, li eseguono con una goffaggine caratteristica. Secondo me lei conseguì degli effettivi benefici da questi esercizi, ma, anche in questo caso, molto lavoro, molto sforzo, per un potenziamento di entità contenuta: mi sono chiesto più volte e non solo nel suo caso, quale strategia didattica potesse risultare più efficace per trasmettere questa o quella competenza comportamentale (in questo caso abilità corporee, soprattutto cinetiche), ma mentre nella stessa lezione vedevo allievi apprendere bene e prontamente, constatavo che altri rimanevano estranei e impermeabili al movimento, alla postura, alla logica stessa degli esercizi proposti ed esemplificati; è in situazioni come queste che si sperimenta quanto poco possa fare l'insegnante, rispetto a quanto possa fare l'allievo!
degnamente, ma finita la scuola, che un certo grado di uguaglianza democratica riesce a conferire ai suoi studenti, il resto del mondo che sta oltre la soglia delle scuole e il titolo di studio, torna ad essere classista e selettivo, del tutto privo di pari opportunità: Valentina, per quanto ne seppi, non si iscrisse all'università, ma al professionale serale e al momento non so con quale esito, non so con quale futuro. Come accennavo poc'anzi al corso di autodifesa parteciparono altri disabili non fisici, tra l'altro due ragazzi autistici e un ipercinetico. Erano stati iscritti dalle famiglie certo forse anche nella speranza che traessero giovamento da un lavoro in palestra, ma forse anche per tenerli semplicemente impegnati in una giornata altrimenti troppo lunga da passare in casa. Ricordo vivamente la mia impotenza di fronte alla loro quasi totale incapacità di riprodurre le tecniche e gli spostamenti che erano parte integrante del corso stesso. La rigidità del loro corpo, la confusione del loro schema corporeo, la loro estraneità al significato dei movimenti erano una sfida superiore alle mie forze. Bastava lasciarli un attimo per dedicarsi agli altri che subito si fermavano, quasi immobili, in piedi, magari l'uno di fronte all'altro, senza quasi vedersi o "sentirsi". Ricordo anche che i normali, i "diversamente inabili" che frequentavano il corso, cominciarono a disertare, allontanati dalla loro presenza e, alla fine, dovetti arrendermi: il corso non andava bene per chi aveva disabilità e io non avevo le competenze e i mezzi (per esempio assistenti) per condurlo con loro. Desidero anche raccontare brevemente l'esperienza con Matteo, un ragazzo enigmatico che presentava una diagnosi funzionale assolutamente insolita (almeno per me): era un ragazzo affetto dalla sindrome di Down e, ad un tempo, un autistico; con lui non si parlava e lui non parlava, scriveva, o meglio faceva scrivere al computer un'assistente che recepiva un quasi impercettibile assenso (se non ricordo male una lieve pressione sul suo braccio) a premere questo o quel tasto della tastiera! Matteo frequentava assiduamente e passava interminabili ore seduto al suo banco in un apparente stato di calma, ma anche di
Valentina arrivò all'esame di maturità e, sia pure in forma facilitata, lo superò
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totale estraneità a quanto veniva detto, fatto e spiegato; la classe era affezionata alle sue stranezze e sia pure senza apparenti scambi di comunicazione aveva relazioni con tutti. Il suo rendimento scolastico era medio-alto, soprattutto in matematica! Faceva pensare a Dustin Hofmann di Rain man! All'inizio (lo conobbi al quarto anno, in una classe di trenta allievi di cui sette ripetenti e altri due portatori di Handicap!) ebbi qualche problema a sintonizzarmi sulle sue prestazioni, c'era qualcosa che non mi convinceva e anche lui aveva un PEI che gli avrebbe consentito di prendere comunque un diploma autentico e questo mi creava problemi di giustizia scolastica nei confronti dei tanti scarsi, per motivi che non prevedevano facilitazioni: se uno studente è svogliato e va male, dopo averlo esortato un paio di volte ed averlo scusato un altro paio, ci sembra del tutto ovvio cominciare a penalizzarlo e, se insiste ed è il caso, anche a non promuoverlo; ma quando ci troviamo di fronte all'handicap scatta la protezione della legge, anche se, trattandosi di un handicap di minore gravità, si può personalizzare il percorso educativo e consentire allo studente il perseguimento del titolo di studio.
cordo che un giorno era rimasto solo in aula perché la classe era andata a fare qualcosa che lui non voleva fare e passammo un'oretta in perfetto silenzio, con lui che fissava a tratti il nulla, a tratti mi guardava e intanto giocherellava col mio ginocchio. Infine una breve testimonianza su Veronica, studentessa timida e assolutamente priva di fiducia in sé: la incontro al terzo anno del suo percorso, presenta una diagnosi funzionale di Disturbo specifico dell'Apprendimento, ha un PEI vero e proprio ed è la stessa famiglia, soprattutto il padre, che spinge affinché lei possa frequentare senza pretese, perché non può farcela a fare di più. Per qualche mese le cose marciano così, lei è timida e non manifesta risultati apprezzabili, il padre insiste a dire che lei è limitata e una collega di matematica sostiene che, effettivamente, non possiede nemmeno la nozione di numero. Poi di colpo si apre uno spiraglio imprevisto e un'altra collega, di filosofia, si accorge che questa ragazza ha delle potenzialità inespresse e che è tenuta a freno dai genitori e comincia a battersi perché sia diversamente considerata e che si riveda lo stesso PEI. Con queste premesse si conclude il terzo anno e all'inizio del quarto Veronica è in ascesa verticale. Acquista un po' di fiducia in sé, riesce, anche nella mia materia, a effettuare interrogazioni degne del nome, esce, in parte, anche dal suo isolamento relazionale in classe. La collega di matematica insiste: non capisce la nozione di numero, allora io e l'insegnante di filosofia facciamo dei controlli caserecci. Dal momento che suo padre ha un negozio in cui anche lei da una mano le chiedo: ma se viene uno che compra per 7 euro e ti paga con una banconota da 10 quanto gli devi dare di resto? Lei mi guarda come se fossi scemo (e un po' mi ci sento) e mi risponde: "ma tre euro, no!?" Forse possiede solo il concetto di euro, ma sostiene un paio di interrogazioni concordate in cui non solo dimostra di sapere tutto, ma risponde anche a domande provocatorie e stabilisce nessi non espliciti, insomma un successo, anche a prescindere dal contesto della classe, che non è davvero da top ten. Organizziamo una visita didattica presso una scuola elementare per verificare sul campo alcune nozioni di psicologia dello sviluppo e dobbiamo convincere il padre che è in grado di servizi di mezzi pubblici e che
Ma ci sono una quantità di fattori che rendono molti studenti refrattari ed estranei al processo educativo (famiglie multiproblematiche, esperienze traumatiche, crisi di identità, frequentazioni pericolose, gravi scontri e incomprensioni tra docenti e allievi, e così via) e quel che si fa in questi casi è inconfrontabile con quanto viene posto in opera nell'integrazione dell'handicap e questa disparità mi ha sempre creato malumori deontologici. Matteo non poteva essere interrogato e ufficialmente la mia materia (Scienze Sociali) era orale! Poiché l'uso delle interrogazioni scritte, dei test e dei compiti in classe era prassi consuetudinaria, non era la fine del mondo, ma tutti quelli che hanno insegnato sanno bene che si tratta di due prestazioni ben diverse. Inoltre si trattava di una disciplina discorsiva, in cui c'è molto da argomentare, invece Matteo, proprio per la tecnica comunicativa impiegata era estremamente sintetico. Comunque quel poco che scriveva era concettualmente denso e rispondente, acuto ed essenziale e faceva a pugni con il suo sguardo eternamente perso nel vuoto! Ri-
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comunque può andare con le compagne della classe, essere autonoma nel quotidiano: un altro tabù della famiglia, certo a protezione della sua incolumità, ma anche una pesante ipoteca sulla sua indipendenza e a più di qualcuno di noi docenti viene il dubbio: ma non sarà stata la famiglia a impedirle di sviluppare le sue potenzialità? Insomma quando lascio la classe Veronica sta transitando dalla prospettiva di un'attestazione di frequenza ad un diploma vero e proprio da una condizione di diversa abilità ad una di abilità normale, come gli altri e mi domando: quanti casi come questo si saranno verificati? Naturalmente ci sono stati e ci sono tuttora casi invece in cui le cose sono andate male, in cui la scuola è stata solo un parcheggio, un luogo di contenimento; casi difficili, peggio: impossibili! Situazioni che hanno depresso il già precario profilo di molte classi, che hanno scatenato dinamiche distruttive e prive di esiti per tutti, compresi i docenti, soprattutto quelli di sostegno e gli assistenti, in crisi di identità professionale, stanchi e demoralizzati perché il disagio mette a disagio, perché la sofferenza genera sofferenza. Il problema è aperto e si salda con il più generale malessere giovanile che non trova nella scuola una medicina, ma un fattore di ulteriore aggravamento: c'è molto lavoro da fare e le previsioni a breve termine non sono delle migliori! Roberto Sabatini è stato Docente di Scienze Sociali
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Integrazione Scolastica
La forza propulsiva dell'Integrazione La bellezza di essere tutti diversamente uguali di Infantino Aminta Patrizia - Integrazione Scolastica
parti di sé che non sempre accettiamo, parti che a volte ci imbarazzano e che preferiamo non vedere, nascondere, occultare. Sono quelle parti che ci mettono in disarmonia con noi e con chi, presentando lo stesso aspetto caratteriale, ci ricorda come uno specchio ciò che di noi non vorremmo vedere. Accettare e integrare significa far pace con sé stessi. E' con la finalità di comprendersi e riconoscersi che dobbiamo condurre i ragazzi verso una conoscenza metacognitiva e meta emozionale. La parola ai ragazzi: Oggi in classe è stato letto un brano sulla diversità Abbiamo provato a metterci nei panni del personaggio ed è stato particolarmente difficile. La parola 'diverso' incute un senso di isolamento, di esclusione. Propongo delle riflessioni e, come sempre, faccio sgombrare i banchi da libri e quaderni e distribuisco un foglio bianco ad ognuno. Non c'è niente di più pericoloso che l'essere rifiutati da parte dei nostri simili, anche l'essere ignorati negli scambi via internet, dove apparentemente non si rischia nulla, finisce per comportare seri disturbi dell'autostima attivando fantasmi di rifiuto... Anche questa volta le proposte sono graduali e lo step successivo arriva solo a conclusione del precedente. L'unico divieto è fare riferimenti a persone. Cerco di riportare l'attenzione solo su aspetti fisici o caratteriali. Ribadisco che non dobbiamo ne giudicarci e ne giudicare quello che ascoltiamo e diciamo ma solo prenderne atto per conoscerci meglio. Se siamo sinceri ne usciremo più ricchi, perché avremo ampliato la nostra conoscenza, altrimenti avremo fatto un'esercitazione di scrittura! Ormai sono appassionati a questo genere di lavoro. Sono sé stessi e scrivono di getto, liberamente e senza badare agli errori.
Il senso dell'integrazione sta nel salvaguardare una compartecipazione alla vita scolastica e di classe assicurando il miglior sviluppo possibile delle competenze individuali. Tutti i ragazzi, indipendentemente dalla loro attitudini e dalle differenze individuali che li contraddistinguono, vivono il bisogno di sentirsi inclusi. Sentirsi esclusi ci fa sentire diversi? Ma chi è il diverso? Il diverso è lo straniero, il dislessico, l'omosessuale, il musulmano, l'autistico, il buddista, l'immigrato, il diverso è semplicemente l'altro, il diverso siamo noi. Siamo noi l'altro da integrare, siamo tutti da integrare. La forza propulsiva dell'integrazione risveglia il senso di appartenenza al mondo innalzando la forza vitale che ci rende più energici e felici. Accettare che siamo tutti diversamente uguali è il senso dell'inclusione. Riuscire ad integrare e includere tutti senza escludere nessuno predispone ad accettare
1. Ci sono momenti in cui mi sono sentito diverso dagli altri. Mi sono sentito così quando...
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2. Ci sono alcuni aspetti negli altri che ho difficoltà ad accettare e che mi rendono estraneo all'altro... 3. Tra gli aspetti che negli altri non mi piacciono ce n'è qualcuno che mi ricorda qualche aspetto di me...
Anonimo: Quando mi dicevano 'rumeno' io cercavo in tutti i modi di occultare l'evidenza dicevo che mio padre è italiano. Valerio: Quando ero piccolo ero superbo di me stesso, mi sentivo superiore a tutto e a tutti. Caterina: Mi ricordo quando ero bambina che ridevo quando gli altri davano risposte sbagliate. Ora non lo faccio più perché ho capito che da fastidio. Rido solo se quella persona lo fa apposta e dice una stupidaggine per far ridere...e allora si che mi diverto!
Ci sono momenti in cui mi sono sentito diverso dagli altri. Mi sono sentito così quando... Anonimo: Mi sono sentito diverso quando mi escludevano perché sono Rumeno e all'inizio non potevo capire molto bene le parole che dicevano. Parlavano in romanaccio, mi chiedevano il significato delle parole e io non sapevo rispondere. Devo ammettere che non è stata una sensazione piacevole quello che ho provato e che in certi casi riprovo. Valerio: Io sinceramente non mi sono mai sentito diverso dagli altri e non ho nemmeno una parte di me che vorrei nascondere. In ogni situazione mi sono sempre sentito a mio agio senza sentirmi indesiderato o escluso o diverso dagli altri, e spero che ciò non mi succeda mai. Caterina: Nei momenti di timidezza cercavo di trattenermela e di buttarla fuori. Alle interrogazioni mi agito e poi vado male. Alla fine dell'interrogazione mi sento diversa perché tutti mi guardano. Non mi piace stare al centro dell'attenzione.
Dopo la riflessione scritta individuale nasce un momento di confronto in cui, chi vuole, si espone leggendo ciò che ha scritto. L'ambiente accogliente favorisce il dialogo. I ragazzi si soffermano molto sul fatto che tra gli aspetti che non ci piacciono degli altri e i nostri ci siano tante similitudini. Aminta Patrizia Infantino, Docente di Sostegno Scuola Superiore di primo grado "SMS Pintor"e "Cecco Angiolieri" – Roma N.B. L'articolo è parte del testo in corso di pubblicazione con Edizioni La Meridiana
Ci sono alcuni aspetti negli altri che ho difficoltà ad accettare e che mi rendono estraneo all'altro... Anonimo: Reagire con le mani, perché è troppo inaccettabile. Non apprezzo quando qualcuno fa il sapientino oppure quando prende le cose con superficialità. Valerio: A me stanno antipatiche le persone che hanno queste varie caratteristiche: superbia, che si vantano di se stessi, quelli che parlano alle spalle, invidiosi nei confronti di altri, chi si crede superiore, chi va oltre il suo volere per sentirsi accettato, le persone false Caterina: Non mi piace quando una persona vuole sapere per forza un tuo segreto. Non mi piace quando do una risposta sbagliata e gli altri ridono di me. Tra gli aspetti che negli altri non mi piacciono ce n'è qualcuno che mi ricorda qualche aspetto di me... ________________________________________________ Rivista telematica www.lascuolapossibile.it realizzata con GT Engine Powered by Innova Servizi – www.innovaservizi.it
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All'origine dell'idea di integrazione Un'esperienza di continuità da condividere di Ansuini Cristina - Organizzazione Scolastica
terreno, la necessità di avere dei punti fermi in mezzo a tanta confusione... La tentazione di ripiegarsi in se stessi e viversi gioie e dolori in dorata solitudine è grande, ma anche un vero e proprio miraggio tra spezzettamenti orari, supplenze, progetti, commissioni.... Tanto vale quindi integrarsi, magari attra-
Sono nata e cresciuta in un quartiere popolare di Roma, fatto di cortili, piccole piazze, tanti punti di incontro, dove non ci si poneva affatto il problema dell'integrazione: il buon senso, regole condivise non scritte, facevano sì che ognuno trovasse un suo posto preciso, in armonia con il resto, non sottraendosi a scontri e rivalità, disagi e sconfitte, ma con gli strumenti giusti, fatti di affetti forti e duraturi, che consentivano di superare le difficoltà e diventare forti, ma non da soli. Questa scorta grande di preziosità affettive, questa brillante riserva di amore variegato, mi hanno portato a vivere il mio stare con gli altri in un modo speciale, senza riserve, spesso senza schermi - con tutti i rischi che ciò comporta... -, ma sempre alla ricerca di modi giusti per incontrare, mescolare, mettere insieme in modo sano mondi diversi.
verso il confronto ed il lavoro comune! Pochi giorni fa mi è stato comunicato, che avrei dovuto organizzare, in concerto con le colleghe della Scuola dell'Infanzia, un'attività nell'ambito di un Progetto Continuità, attività in cui i miei ragazzi di quinta, avrebbero dovuto guidare e accompagnare in una nuova entusiasmante avventura i piccoletti di cinque anni. La cosa mi ha inizialmente spiazzato, mi sono venuti in mente i tanti lavori in cui siamo attualmente impegnati, gli incastri orari, le uscite previste, il camposcuola...un'ondata di panico rischiava di travolgermi! Poi è tornata a galla la mia "scorta emotiva", il mio bagaglio di affetti, la mia infanzia passata in cortile con noi grandi che preparavamo la campana per i più piccoli, le se-
Le realtà in cui ci troviamo a lavorare a scuola sono sempre più ricche, con sempre maggiori possibilità di esplorare modalità nuove di stare insieme, di imparare a fare e a pensare, di utilizzare strumenti originali. Allo stesso tempo però, sempre maggiore è il disagio legato alla nostra professione, il senso di inadeguatezza, la paura di perdere
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rate d'estate ad ascoltare le storie dai più grandi, le merende condivise, le birichinate organizzate con precisione chirurgica. E allora mi sono chiesta: come possiamo aiutare questi bambini ad integrarsi in una situazione nuova che, in quanto tale, attrae e spaventa? Nel modo più naturale, cercando i punti di incontro, le piacevolezze, le preferenze, dando anche ai "grandi" la possibilità di essere tutor, di ripercorrere quei sentieri già battuti che li hanno portati così lontano, ad un passo dalla scuola media! (usando una vecchia e più comprensibile nomenclatura...)
verse, tra docenti, tra esperienze, tra modi di lavorare, tra linguaggi e questo arricchirà un po' tutti, aggiungendo qualcosa al nostro modo di essere. Sono certa che questa esperienza porterà dei buoni frutti sia per i ragazzi "in uscita" che per i piccoli che stanno arrivando che per noi docenti...finora il mio bagaglio affettivo non mi ha mai tradito! Cristina Ansuini, Psicologa, Docente presso la scuola "2 ottobre 1870", I.C. Piazza Borgoncini Duca, Roma
Un punto d'incontro privilegiato mi è sembrato potessero essere le storie, da ascoltare, mangiucchiare, mimare, scarabocchiare, raccontare... In concerto con le colleghe della scuola dell'infanzia abbiamo stabilito un certo numero dei incontri nei quali esplorare una storia tutti insieme, attraverso tappe tranquille: 1. Presentazione dei bambini attraverso uno scambio di cartelloni di ritratti. 2. Lettura animata (magari anche un po' mimata) di una storia 3. Invenzione di rime divertenti con i personaggi e gli ambienti della storia 4. Illustrazione delle scene principali sperimentando il disegno condiviso 5. Ricomposizione della storia nelle giuste sequenze disegnate 6. Merenda in allegria! Quest'ultima tappa legata alla condivisione "mangereccia" penso sia molto importante perché non c'è niente di più naturale e bello che mangiare divertendosi tutti insieme!
Ritengo che questa esperienza, semplice e complessa allo stesso tempo, con tutte le implicazioni che porta con sé, consenta tante integrazioni: quella tra bambini di età di________________________________________________ Rivista telematica www.lascuolapossibile.it realizzata con GT Engine Powered by Innova Servizi – www.innovaservizi.it
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Organizzazione Scolastica
Che cosa è normale? Niente. Chi è normale? Nessuno Tutti uguali e tutti diversi
di Agolino Simona Loretta - Organizzazione Scolastica
per dare un confine/contorno alla "nostra" normalità? Molte volte viviamo con coloro che sono stati etichettati come diversamente abili come se fossero inseriti in un calderone, senza neanche degnarci di capire veramente le loro reali differenze e le loro reali difficoltà. Mi accorgo come la parola DISABILITA' susciti problemi per tutti: all'interno della categoria "diversamente abili" molte persone debbono lottare strenuamente per dimostrare di essere perfettamente uguali agli abili e, d'altra parte, "gli abili" rimarcano che proprio questo tentativo di imitare gli abili ... li conferma nella categoria disabili. Poiché tra gli abili non si deve dimostrare di essere abili, il solo fatto di affermarlo da parte del disabile o della loro famiglia, conferma e sottolinea la differenza. In questo gioco a chi è abile/normale e chi invece è diversamente abile/diverso ... rischiamo di perderci tutti.
Qual è il confine tra normalità e anormalità? Tra uguale e diverso? Caratteristiche che spesso nella nostra società sono considerate importantissime per poterne far parte o per esserne esclusi. Tutto ciò che sappiamo su quello che viene considerato normale è per il modo con cui siamo stati educati.
A contatto con i disabili e le loro famiglie ho conosciuto il volto di una umanità ferita, con una grande voglia di riscatto, ma non annullata; provata ma non amareggiata; sofferente ma non sconfitta. Ho conosciuto persone che sanno trovare mille strade per vivere in modo creativo la solidarietà, anche in totale assenza di risorse disponibili. Vi confesso che molte volte mi sono sentita inabile a vivere rispetto alla loro capacità di riuscire a farlo in maniera così piena e profonda. Uomini e donne "diversamente abili" che ci insegnano l'arte di accogliere e affrontare la vita con gesti semplici, pazienti, tolleranti ed intraprendenti.
Da tempo la scuola ha cercato di coniugare le singole diversità degli alunni e farne un punto di forza per sottolineare il valore delle potenzialità di ciascuno. Rimane tuttavia la necessità di definire "ciò che è diverso": ma il diverso da noi, non è forse uguale a noi intanto perché apparteniamo tutti alla stessa specie umana? Le domande sulla "diversità" mi sembrano necessarie per il genere umano (e io ne faccio parte!) perché siamo persone sempre alla ricerca di continue conferme.
Anche la scuola deve saper progettare e realizzare sempre meglio tutta una serie di attività utili ad un bambino disabile affinché il dopo -la vita futura fuori dal mondo della
Qual è dunque l'esigenza di delineare la linea di confine tra normalità e diversità? Esisterà davvero una linea di confine tra ciò che viene considerato normale o diverso o semplicemente vogliamo immaginarla noi
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scuola- lo veda il più possibile autonomo in ogni sua azione. La mia esperienza personale d'insegnante con alunno disabile in classe è stata per quanto possibile molto buona. Nella mia classe, sin dal primo anno abbiamo avuto una alunna "diversa" e se il pensiero mi torna indietro nel tempo, quanti progressi abbiamo fatto grazie all'aiuto di tutti. Ma quello su cui abbiamo puntato l'attenzione con la collega è stato di renderla il più autonoma possibile, da punto di vista fisico e psicologico, aiutandola ad avere più stima di se stessa. Era una bambina molto poco abituata alla sua autonomia personale, confortata dal fatto che i genitori -e comprendiamo la loro giusta paura- limitavano ogni semplice movimento, rendendola ancora più diversa dai suoi coetanei. Noi insegnanti e tutto il gruppo classe abbiamo lavorato nella stessa direzione, pur stando sempre molto attenti alla sua particolare situazione, è sempre stata al centro di ogni attività proposta, anche semplificandola, per darle modo di svolgerla contemporaneamente agli altri. E adesso che siamo arrivati quasi al termine del nostro percorso educativo posso semplicemente affermare che questo piccolo spicchio di umanità conosciuta e affrontata per cinque anni, ha reso tutti noi più capaci e più attenti a costruire rapporti d'amore con il prossimo, senza commiserazione, sorrisi forzati o sguardi furtivi o frasi stereotipate ma cercando di offrire sempre comprensione, affetto e opportunità intelligenti. Questo tipo di rapporto non conosce abili o non abili, riguarda l'uomo. E' un difficile rapporto da creare, che si impara vivendo "la vita" in modo profondo e consapevole, riguardo alle nostre poliedriche e differenti capacità che fanno così bella e ricca l'umanità. Simona Loretta Agolino, giurista, docente I.C."2Ottobre 1870",piazza Borgoncini Duca Roma.
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Organizzazione Scolastica
Educazione psicomotoria a scuola
Il contributo allo sviluppo di abilità psico-fisiche nei bambini di Lugaresi Adriana Nora - Organizzazione Scolastica
• Normalizzare e migliorare il comportamento generale; • Preparare l'educazione di abilità che saranno richieste nell'apprendimento; • Favorire gli apprendimenti scolastici. L'evoluzione psicomotoria del bambino condiziona gli apprendimenti scolastici di base (scrittura, lettura, dettato). Per fissare l'attenzione, il bambino deve essere capace di attuare il controllo del proprio corpo ed attivare un PROCESSO DI INIBIZIONE VOLONTARIA. Per acquisire ed utilizzare i mezzi dell'espressione grafica, non solo ha necessità di vedere ed osservare, ma anche di ricordare per poi trascrivere in un senso ben definito. Si tratta sempre di abitudini motorie e psicomotorie e la mano che si prolunga in uno strumento per scrivere (matita, penna), diviene il mezzo per attuare l'espressione grafica.
L'educazione psicomotoria è un'azione pedagogica che contribuisce a soddisfare i bisogni educativi primari degli alunni con difficoltà diverse, che vanno dalle disabilità, ai disturbi specifici dell'apprendimento o a problemi di linguaggio. Non si tratta di una tecnica misteriosa ma di una vera e propria azione educativa che può favorire l'integrazione scolastica ed interpersonale del bambino, in quanto punta a:
La scrittura è quindi un'attività neuropsico-motoria dato che implica l'indipendenza del braccio in rapporto alla spalla,
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della mano in rapporto al braccio, e l'indipendenza delle dita. Allo stesso tempo, è un esercizio di prensione, di pressione, di coordinazione. Per quanto vi sia simultaneità, prima di imparare a leggere occorre imparare a scrivere. Una lettera, inizialmente, è un gesto che, gradualmente, si riduce ad un segno, associato alla capacità di articolare o ad un suono. Nella preparazione alla scrittura non si può prescindere dall'utilizzo concreto di varie sensazioni, connettendo il senso muscolare e del movimento all'udito e alla vista. Per questo si rivela utile insegnare a scrivere prima nello spazio ambiente, con la spalla ed il braccio, e poi con la mano nello spazio foglio. La O, per esempio, è un grande cerchio del braccio ma anche della gamba. All'inizio tutto il corpo partecipa ad un gesto ampio e rapido, poi meno rapido e sempre meno ampio e, gradualmente, sempre più preciso. Tenendo presente questi principi, molto giochi motori (per es. all'asilo) possono rivelarsi utilissimi per l'avvio alla lectoscrittura.
non potrebbe scoprire il mondo né le leggi che lo regolano, siano esse fisiche, naturali o sociali. Le nuove abilità vanno esercitate, sperimentate e riprovate affinché i movimenti diventino forti, fluidi e coordinati. Ecco perché i bambini che sono poco motivati ad imparare o che non provano piacere nelle competizioni fisiche spesso sono quelli che, per varie ragioni, non hanno sviluppato un sufficiente desiderio di esercitare abilità motorie. Un corretto sviluppo psicomotorio gioca inoltre un ruolo fondamentale nell'intelligenza linguistica, attraverso l'imitazione dei suoni degli adulti che avviene con specifici movimenti delle labbra e del volto. L'apprendimento motorio si realizza soprattutto attraverso L'ESPLORAZIONE, la quale produce nel bambino non solo la consapevolezza di ciò che lo circonda ma gli permette di sviluppare una capacità essenziale: testare e valutare l'interazione tra il proprio corpo e l'ambiente. Vi è quindi uno stretto legame tra lo sviluppo delle competenze motorie e l'apprendimento percettivointellettivo. Educare alla percezione può quindi favorire l'espressione di abilità cognitive.
In sintesi, sia che esista un parallelismo fra insufficienze motorie e psichiche, che vi siano relazioni di causa/effetto fra le prime o le seconde oppure che semplicemente il comportamento motorio del bambino influenzi il suo comportamento generale, la motricità resta strettamente collegata con lo sviluppo cognitivo per tutto il corso dell'infanzia. Queste correlazioni portano a concludere che non è possibile separare, per educarle, le funzioni motoria, psicomotoria, percettivo-motoria dalle funzioni puramente intellettuali. L'educazione del bambino con disabilità deve essere in primo luogo e soprattutto un'educazione motoria e psicomotoria. Ma quali sono gli aspetti da osservare in un bambino al fine di realizzare un'educazione psicomotoria nella scuola? Iniziamo proprio dal movimento.
Aspetti sensoriali dell'apprendimento motorio Quando un organo sensoriale (per es. occhi o orecchie) viene stimolato da un evento (un'immagine o un suono), l'organo recettore trasmette le informazioni al cervello dove l'informazione viene organizzata ed utilizzata per favorire un piano di azione. Questo processo viene definito RICEZIONE SENSORIALE. Si parla invece di PERCEZIONE SENSORIALE relativamente alla capacità del cervello di dare un senso alle informazioni trasmesse dall'organo recettore. Per quanto problemi ricettivi e percettivi possano coesistere, generalmente si ritiene che i bambini con difficoltà percettive abbiano organi sensoriali normali ed una normale trasmissione di informazioni sensoriali al cervello. Tuttavia, per motivi non compresi, il cervello di un bambino con problemi percettivi ha difficoltà a dare un senso alle informazioni che vengono trasmesse. Le difficoltà percettive possono manifestarsi in vari ambiti. Ad esempio, un bambino con disturbo percettivo visivo può avere difficoltà nel riconoscimento di forme o lettere, o nel prestare attenzione ai dettagli di un
Il movimento: attività del cervello molto sofisticata I movimenti non sono un semplice meccanicismo: essi sviluppano la logica della mente, insegnano al bambino cosa sia il prima e il dopo, i nessi di causa ed effetto, permettono di percepire lo spazio e di imparare ad orientarsi in ambienti nuovi e più complessi. Senza il movimento il bambino
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immagine complessa o "affollata". Un bambino con problemi percettivi uditivi spesso ha difficoltà ad imparare i suoni corretti del linguaggio. Inoltre, percezione visiva e tattile giocano un ruolo importante nello sviluppo delle abilità motorie. Si comprende, allora, come le varie problematiche possono intersecarsi, con profonde ricadute sul piano espressivo, motorio e cognitivo, del bambino stesso.
Un altro aspetto che merita particolare attenzione nell'educazione psicomotoria è il tono muscolare, ossia il livello di tensione di un muscolo. Bambini con problemi cerebrali gravi, quali la paralisi cerebrale, tendono ad avere un tono muscolare o troppo elevato (spasticità) o troppo basso (ipotonia o atonia) o alternante tra i due poli. Quelli con disturbi nello sviluppo della coordinazione possono mostrare anomalie nel tono muscolare, generalmente più limitate. Un tono muscolare anomalo può avere una serie di conseguenze, sia sulla capacità di sviluppare un buon equilibrio che di muoversi da una posizione all'altra nonché sulla capacità di sviluppare un senso di sicurezza e controllo sul proprio corpo. Per es., i bambini con ipotonia possono mostrare un'eccessiva flessibilità delle articolazioni (gomiti e articolazioni delle dita in particolare), per cui possono tenere la matita o altri oggetti in mano utilizzando una posizione inefficiente a applicando spesso una forza eccessiva.
Infine, ogni bambino è "bombardato" da informazioni provenienti sia dall'ambiente esterno che interno. Deve quindi imparare a prestare attenzione a ciò che è utile nella situazione in cui si trova e ad ignorare le informazioni superflue. Tale processo, definito modulazione sensoriale, permette di attivare l'attenzione selettiva. I bambini con difficoltà diverse presentano generalmente anche problemi di modulazione sensoriale, mostrando un livello di attivazione basso (ipo-responsivi) o alto (iper-responsivi) o fluttuante tra un livello basso e uno alto. Ipo e iper-responsività Alcuni BAMBINI IPO-RESPONSIVI necessitano di una stimolazione molto intensa per "farli partire". Questi bambini possono sembrare stanchi, pigri o riluttanti all'idea di partecipare a varie attività. Ci sono tuttavia bambini ipo-responsivi che possono apparire irrequieti in quanto necessitano di input sensoriali più alti della media per mantenere costante l'attenzione. Cercano, in modo afinalistico, delle opportunità per ottenere quelle sensazioni di cui il loro sistema nervoso ha particolare bisogno, e lo fanno toccando, muovendosi, manipolando oggetti. I BAMBINI IPER-RESPONSIVI tendono, generalmente, a essere molto attivi e hanno un controllo degli impulsi deficitario. Il loro sistema nervoso non è in grado di ignorare gli stimoli in eccesso e può interpretarli come minacciosi anche quando non lo sono. Dal momento che tendono ad evitare esperienze ritenute spiacevoli, questi bambini mostrano generalmente facilità ad arrabbiarsi, impulsività e difficoltà a relazionarsi con i pari. Alcuni, tuttavia, imparano ad evitare situazioni che potrebbero bombardare il loro sistema nervoso con input sensoriali, causando angoscia. Di conseguenza, possono rifugiarsi in un atteggiamento passivo.
Motivazione esplorazione sperimentazione Bambini con differenze percettive o sensoriali possono apparire sotto tono e passivi quando devono affrontare circostanze che li mettono alla prova e riguardo le quali si percepiscono privi di risorse e capacità. Oppure possono apparire iperattivi e disorganizzati quando cercano le sfide ma non riescono ad attuare strategie adeguate né ad imparare dalla sperimentazione. Altro problema: bambini con problemi motori o con ritardo dello sviluppo possono essere presi in giro o infastiditi dai compagni e ciò rinforza la riluttanza a partecipare ad attività che attirino l'attenzione sui loro deficit. D'altra parte, genitori ed insegnanti possono involontariamente concentrarsi sui limiti del bambino, causa la preoccupazione e l'insistenza a far provare e riprovare. Il bambino ne può ricavare l'impressione che sia impossibile accontentare l'adulto, con conseguente bassa autostima e scarsa tolleranza alle frustrazioni. In tal senso, sarebbe utile identificare metodi appropriati, anche all'interno della scuola, per motivare a sperimentare le abilità motorie che sono necessarie. Per es., se il bambino ha difficoltà a manipolare oggetti molto piccoli, eviterà di giocare con il lego,
Tono muscolare
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ma potrebbe essere felice di decorare biscotti con pezzettini di cioccolato. La bambina che, all'uscita da scuola, si scontra con la difficoltà di indossare il cappotto nel verso giusto, con asole e bottoni allineati, potrebbe trovare lo stesso compito più motivante in un gioco di travestimenti. Oppure il bambino che stenta a scrivere potrebbe divertirsi con la lista della spesa se gli viene suggerito di aggiungere ad essa uno o due dei suoi cibi preferiti. E' importante fornire feedback positivi, concentrandosi più sul comportamento del bambino che sulla qualità della sua performance. Non dire, quindi: "Ben fatto" "Bravissimo!", se non corrisponde alla verità. Ma dire: "Ho visto che questa volta ci hai messo molta attenzione" - "Mi piace come sei riuscito a non farlo di corsa". Sono feedback che rendono più alta la probabilità che il bambino ci provi di nuovo.
Un laboratorio di educazione psicomotoria all'interno della scuola, come già attuato all'interno di alcune scuole dell'infanzia e primarie, potrebbe rivelarsi molto utile, soprattutto per i bambini disabili o con varie difficoltà. Per mia esperienza personale, avendo partecipato personalmente ad iniziative del genere all'interno di alcune scuole, posso dire che l'apporto educativo psicomotorio migliora il comportamento generale del bambino, può contribuire efficacemente a creare nuove condizioni per l'attenzione, educa le capacità percettive, struttura nel bambino abitudini motorie e neuromotorie corrette e non può che favorire l'integrazione degli elementi che fanno parte dell'educazione scolastica vera e propria. Adriana Nora Lugaresi – Psicologa – Psicoterapeuta
In sintesi, gli apprendimenti scolastici sono solo un aspetto dell'azione educativa in generale. L'osservazione del bambino, come si è visto, può permettere di identificare problematiche sul piano percettivo e/o motorio che influiscono sul piano cognitivo, con inevitabili ricadute sugli apprendimenti. Che fare?
Bibliografia Formenti L. (a cura di) (2006), Psicomotricità, educazione e prevenzione. La progettazione in ambito socio educativo, Ed. Erickson. Kurtz, Luisa A. (2006), Disturbi della coordinazione motoria - Come aiutare i bambini goffi a casa e a scuola, Ed. Erickson. Oliverio A. (2001), La mente, istruzioni per l'uso, Rizzoli. Picq L. - Vayer P. (2002), Educazione psicomotoria e ritardo mentale, Armando Editore.
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Organizzazione Scolastica
L'INVALSI
Un edificio dalle fondamenta traballanti di Maranzana Enrico - Organizzazione Scolastica
Il ciclone "valutazione" si è abbattuto sulla scuola, originato da raccomandazioni europee. Il fatto che l'INVALSI radichi su una sollecitazione esterna, formulata da un ente che opera per ottimizzare l'impiego delle risorse, è di notevole significatività: la scuola è vista come una entità impenetrabile, i cui processi interni sono privi di significato per cui il controllo sarà da esercitare sui risultati che l'istituzione produce. La lettura dell'articolo della legge che ha costituito l'istituto romano offre molti elementi a sostegno di questa tesi. Non è messa in discussione l'importanza di un organismo di vigilanza che, in parallelo con l'ordinaria gestione, segnali le devianze dall'ordinato, coordinato, strutturato, finalizzato itinerario verso la meta, per migliorarne la percorribilità.
Miglioramento e armonizzazione della qualità del sistema di istruzione e di formazione La finalità dell'istituto è limitata all'istruzione e alla formazione: gli aspetti educativi non sono di pertinenza dell'Invalsi. L'accertamento del grado di avanzamento sul percorso dell'apprendimento è affidato ai docenti e alle commissioni dell'esame di Stato. Esclusione significativa, in quanto la titolazione dell'articolo della legge è "Valutazione degli apprendimenti e della qualità del sistema educativo di istruzione e di formazione": o L'ordinamento vigente scandisce i processi scolastici a partire dagli aspetti formativi, a cui seguono quelli educativi, di coordinamento e, finalmente, quelli dell'insegnamento. La "programmazione dell'azione educativa" è il momento più significativo della progettazione d'istituto, in quanto lo studente e le sue qualità sono state poste a cardine del servizio. L'aver escluso tale funzione dal campo di lavoro Invalsi consegna all'istituto uno scenario frantumato e non unitario, inibendo l'assunzione di un'ottica sistemica. Una limitazione che rappresenta un impedimento al lavoro dell'istituto centrale: un'ampia gamma d'informazioni, essenziali per lo svolgimento del suo compito, è inaccessibile. I traguardi educativi sono l'aspetto qualificante la vita e l'operatività delle singole scuole: la loro enunciazione, seguita dalla descrizione delle progressioni comportamentali che gli studenti sono chiamati ad esibire, è la piattaforma su cui si generano le ipotesi d'intervento.
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o L'armonizzazione delle attività del sistema scolastico implica la valutazione della progettazione organizzativa d'istituto. La sua analisi fornisce le informazioni necessarie per diagnosticare l'origine d'eventuali dissonanze. La "verifica della qualità complessiva dell'offerta formativa" è una delega troppo generica per indurre l'Invalsi a farsi carico di una problematica tanto spinosa. Lo scritto "Coraggio! Organizziamo le scuole", visibile in rete, descrive il cambiamento che il passaggio dall'idea di scuola al concetto di "sistema educativo di formazione e istruzione" avrebbe dovuto innescare: aspetto essenziale per la valutazione della qualità del servizio. Effettua verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti L'art. 2 della legge 53/2003 stabilisce l'orientamento del sistema: "raggiungere elevati livelli culturali e sviluppare le capacità e le competenze, attraverso conoscenze e abilità, generali e specifiche". o Capacità e competenze sono i fini dell'istituzione; le conoscenze e le abilità sono gli strumenti per il loro conseguimento. Quale possibilità di successo ha un ente che, per valutare la qualità del servizio, osserva gli strumenti e ne trascura le finalità? o Le capacità sono il fondamento della progettualità educativa, l'aspetto rilevante del lavoro scolastico. La loro assenza nell'oggetto del mandato Invalsi depriva il termine "competenza" del suo significato vitale. o Competenza è un termine non primitivo: le sue componenti elementari sono le capacità e le conoscenze o, in alternativa, le abilità e le conoscenze.
La natura delle competenze certificate alla fine obbligo scolastico confermano l'anomalia dell'oggetto del mandato affidato all'Invalsi: i comportamenti dei giovani sono classificati a partire dalla mission della scuola. Le capacità o Leggere comprendere e interpretare testi scritti di vario tipo; o Produrre testi di vario tipo in relazione ai differenti scopi comunicativi; o Utilizzare e produrre testi multimediali; o Individuare le strategie appropriate per la soluzione dei problemi; o Osservare, descrivere ed analizzare fenomeni appartenenti alla realtà naturale e artificiale e riconoscere nelle varie forme i concetti di sistema e di complessità sono state associate a un'area disciplinare al fine di esplicitare le competenze generali oggetto della valutazione. In altri casi il documento prevede competenze specifiche: il campo di applicazione della capacità è ben delineato come per o Confrontare ed analizzare figure geometriche, individuando invarianti e relazioni; o Collocare l'esperienza personale in un sistema di regole fondato sul reciproco riconoscimento dei diritti garantiti dalla Costituzione, a tutela della persona, della collettività e dell'ambiente.
La prima associazione è quella indicata dal legislatore che ha espresso la finalità del servizio in termini di capacità:
Le capacità, enucleate dalle competenze, sono il faro di tutti gli insegnamenti: un altro fronte per il monitoraggio del sistema. ________________________________________________ Rivista telematica www.lascuolapossibile.it realizzata con GT Engine Powered by Innova Servizi – www.innovaservizi.it
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Gli
aspetti costitutivi dell'Invalsi coprono solo una piccola parte della questione qui affrontata: la sollecitazione europea ha condizionato l'inquadramento del problema "valutazione della qualità del servizio" e ha condotto a una sua definizione inadeguata. Il breve periodo è l'ambito entro cui sono stati identificati i risultati attesi. Si tratta di una semplificazione che non fa i conti con le dinamiche scolastiche, i cui esiti sono visibili solo nel lungo andare: la bussola del sistema educativo punta alle capacità!
tualità è un potente agente di valorizzazione della professionalità docente. Queste tematiche sono state l'oggetto degli scritti: "La scuola del XXI° secolo" - "La scuola rivedrà le stelle?", visibili in rete. Solo la dilatazione del campo temporale d'osservazione può consentire l'acquisizione delle informazioni necessarie al "miglioramento e all'armonizzazione della qualità del servizio" quali, ad esempio: cosa fanno gli studenti dopo cinque/dieci/quindici anni dalla fine dei loro studi? Quali sono state le situazioni che hanno contribuito alla loro crescita personale? Enrico Maranzana
L'attività educativa è analoga a quella dei vivaisti che allevano piante d'alto fusto: soltanto a distanza d'anni si può constatare e apprezzare l'esito del lavoro fatto. Nel breve periodo il controllo focalizzerà esclusivamente la normalità dell'evoluzione, le pratiche d'allevamento, l'esposizione, i fattori accidentali, vale a dire aspetti procedurali e ambientali. Si apre così uno scenario molto diverso da quello a cui la legge ha fatto riferimento quando ha costituito l'Invalsi. Tale visione, associata alle problematiche generate dal vorticoso cambiamento del mondo contemporaneo, rivelano le traiettorie rispetto a cui l'istituto, di concerto con gli organi ispettivi, dovrebbe concepire i suoi interventi. L'importanza di un organismo che accompagni, sorregga e stimoli le singole scuole nella gestione del cambiamento appare in tutta evidenza se si considerano le scarne e inefficaci risposte che sono state elaborate per dar attuazione ai nuovi riferimenti e alle nuove modalità operative che la legge ha introdotto. Le scuole non hanno mostrato la forza di rinunciare alla sicurezza che l'insegnamento tradizionale dava loro, non hanno superato l'individualismo che impedisce l'identificazione e il perseguimento di obiettivi comuni, non hanno compreso che la proget________________________________________________ Rivista telematica www.lascuolapossibile.it realizzata con GT Engine Powered by Innova Servizi – www.innovaservizi.it
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Un'esperienza da vendere... e da acquistare Integrazione è uguale a unione di Nucera Roberto - Long Life Learning
L'uomo ha preso su di sé, mediamente "obbligato", quella responsabilità che dai tempi gli piombò addosso: la sopravvivenza della specie. E ci riuscì... si riprodusse! E in effetti è quello che stanno continuando a fare gli uomini e donne di oggi, stanno contribuendo alla conservazione della "loro" specie, spesso fatta di superficialità e inconsistenza, che ha poco da raccontare e tanto da discutere. E poi ci sono gli altri, i diversi, che dall'altra parte fanno leva su valori e talenti dimenticati, su quelli non riconosciuti, spesso infossati che tentano di opporsi ad un'arbitraria e continua presa di potere. Chiunque si distingue da una massa, per qualsiasi tipologia, caratteriale, fisica, intellettuale, modaiola è sempre preso di mira, quasi all'unisono, perché rappresenta il sassolino nella scarpa, il pisello sotto la pila di materassi della principessa, rompe uno pseudo-equilibrio già di per sé precario. La tendenza è sottolineare il "disease" (dall'inglese disuso in senso di malattia), cioè quello che non va e andrebbe eliminato, insolito, proprio quello che facevano i comandanti della nave o lo stile dell'uomocustode attuale i quali, invece di vedere oltre l'apparenza, di comprenderne il contenuto, di mettersi in ascolto, i primi parlavano dei problemi senza cercare la soluzione e i secondi procedevano ad una selezione, più che naturale, ad - loro - personam.
C'è o non c'è la crisi? Non si parla di altro in questi ultimi mesi e coloro che ci governano, cercano attraverso i quotidiani e i media di declinare le problematiche di un paese, di una società che disorientata circumnaviga in mezzo al mare della gente passando sopra la loro continua richiesta di aiuto o semplicemente quella di avere una pista da seguire per affrontare una quotidianità sempre più gravosa. Eccoli lì, i soliti, a comandare la nave e a gridare dall'alto cosa bisogna fare per risolvere le cose, e gridano, urlano, tutti insieme senza rendersi conto, intanto, che quel mezzo pesante che li sostiene e li protegge, investe e travolge persone. Persone uguali a loro in termini di umanità, figli dello stesso cielo, persone diverse da loro per "sostanza" ed esperienza di vita.
Ma i diversi, gli altri, la gente, che crede ancora nella metamorfosi di una collettività "degente" pur essendo una minoranza (è quello che vorrebbero farci credere) sembra essere messa da parte. Noi, però, non dobbiamo nemmeno essere sempre arrendevoli e indulgenti ad una situazione che sappiamo malsana, piuttosto agguerriti e affrontare non la profetica fine di un mondo fisico
È un po' quello che succede in molti ambienti, nelle famiglie, nelle scuole, tra amici, ovunque vi sia presenza di vita.
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dove tutti potremmo fare veramente poco, bensì impedire il disfacimento di un mondo valoriale e virtuoso attraverso armi come la conoscenza, la competenza, la volontà, la determinazione, la condivisione e il bene comune. Ma chi sono i custodi delle "armi"?
centi dei quali facevo parte e con i quali, insieme, abbiamo provato a rispondere alle richieste, più o meno espresse, presentate nel nostro quotidiano, a quelle ambigue proposte fra le righe, altre derivanti da qualche disappunto delle persone che ci stavano intorno, fino ad arrivare a quelle silenti che non si osavano dire. La bellezza di trovarsi intorno ad un tavolo, pur non essendo rotondo, non stava nella pretesa di trovare ad ogni costo la soluzione pronta e servita, bensì nella voglia di guardare e guardarsi con gli occhi della realtà, dalla più triste e infelice a quella possibile ed efficace, e dire e dirsi cosa si poteva fare e si può fare, come si poteva e si può agire, quanto si poteva e si deve dare.
Facendo una riflessione sulla mia esperienza scolastica, che seppur breve per una questione meramente anagrafica, ma credo anche molto significativa grazie a tutte le persone incontrate sul mio cammino, alcuni mesi fa ho avuto modo di frequentare e conoscere persone, professioniste, le quali, attraverso la condivisione e il confronto, hanno sempre cercato di mettersi in g...uerra (passatemi il termine). Parlo del corso ICARE della rete del IV e V municipio di Roma, dei validi rappresentanti che ne curavano il percorso, di tutti coloro che ne hanno fatto parte, con i quali si è tentato di mettere insieme, di integrare, soggetti diversi e opinioni diverse e trovare soluzioni comuni a problematiche, magari anche diverse, ma facenti parte dello stesso nucleo: il cambiamento... "in-naturale", dove per quest'ultimo intendo una discrepanza tra crescita (in senso di maturazione "controllata", normale, fisiologica) dell'individuo e velocità di stimoli ricevuti e richieste (che sfuggono al controllo, non adeguati
La guerra di cui parlo è quella della divisione, della separazione di accordi, che solo attraverso una integrazione possibile e possibilista di persone adulte può essere affrontata. Parlo di soggetti adulti in termini di dare risposte, genitori, insegnanti, politici e altri che si assumono le responsabilità proprie del loro ruolo nella società, che non delegano sempre e comunque e non contribuiscono al "non regolare" accrescimento della persona. Quello a cui si deve tendere è l'integrazione di buone prassi, che derivano da soggetti diversi con punti di vista diversi, problematiche diverse, ma che guardano, tutti assieme, La LUNA ANZICHE' IL DITO. È l'orientamento che deve essere comune: l'orizzonte della crescita sana di un individuo che è diverso, ma è pari in dignità e occupazione dello spazio terrestre, è pari in opportunità, è che deve essere innanzitutto (accettato e) integrato in un contesto e progetto di vita. L'esperienza vissuta con i miei colleghi è stata proprio quella dell'integrazione, da uno a tanti, rappresentanti delle scuole della rete e che si potrebbe allargare a macchia d'olio; una rete che non vuole mietere "vittime" di chi passa da quelle parti, come una potenziale preda nella tela del ragno ma, per il principio imprescindibile della libertà personale, fatta di persone che decidono di farne parte con volontà, con disponibilità, a braccia aperte e pronte ad accogliere. L'integrazione che intendo io è l'unione continua di persone "volenterose", che
a, forzati). La sfida è continua e richiede impegno e dedizione, determinazione e rottura di equilibri, a volte prese di posizioni, dovute o meno, magari non sostenute, ma certamente condivisibili. È quello che in questi ultimi mesi ho sperimentato nell'eterogeneità del gruppo di do-
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affrontano insieme le intemperie di un sistema e gioiscono del bel tempo, che si contorcono, si smuovono, ma rimangono saldi l'uno con l'altro, che a volte fanno la ola e altre proteggono e soccorrono quello che opportunamente reputano giusto. L'esperienza dell'integrazione, è un'esperienza da fare, da acquistare, provare e poi rivenderla, senza scopo di lucro, ai migliori acquirenti, quelli che spesso non riescono a farsi sentire, quelli che a volte non hanno le risorse necessarie, quelli che non pagano per un servizio che dovrebbe essere loro sempre riconosciuto e che le persone capaci (e fortunate) dovrebbero e devono loro concedere. Roberto Nucera, docente di sostegno scuola secondaria I grado, IC Carlo Levi – Roma
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Michela e gli altri
Se integrazione non fa rima con educazione di Paci Lucia Giovanna - Orizzonte scuola
Conosco Michela da diversi anni ormai, abitiamo nello stesso quartiere e frequentiamo la stessa chiesa, lei è "amica" dei miei figli, è cresciuta con loro. Le virgolette stanno a dire che Michela è un po' diversa. Io non so cosa abbia esattamente, non l'ho mai chiesto ai suoi genitori, per pudore forse, ma anche perché non era necessario saperlo, non avrebbe aggiunto niente né a Michela né a me, né al rapporto instaurabile con lei. Io so solo ciò che vedo: una sedia a rotelle super, alla moda, colorata e "trendy", come direbbero le mie figlie, una ragazza ormai diciottenne, sempre vestita con gusto, colori vivaci e abbinati, fiori e mollettine varie tra i capelli ricci corti, che ti guarda con i suoi occhioni scuri brillanti e la testa un po' inclinata, in difficoltà a esprimersi in un dialogo botta e risposta, ma non a comunicare i suoi sentimenti. Michela ti sa dire che è contenta, che sta bene o che è infastidita o arrabbiata, che ti riconosce e ti accoglie; Michela canta, forse senza coscienza di ciò che dice, ma sente la musica e ripete le parole. Michela sa perfettamente cosa vuole e trova il modo per fartelo sapere perché, questa cosa la so su tutte, è una ragazzina amata, con tanta sapienza e gioia, dalla sua meravigliosa famiglia, che la vive in tutta la sua peculiarità con un amore benigno, paziente e smisurato.
presenza di ragazzi con diversità. In realtà, la sua presenza in classe è più nominale che reale, perché la maggior parte della mattina, lei la passa fuori, in un'aula dove si radunano tutti quelli che vivono una condizione simile alla sua, se non peggiore. Mi chiedo allora quale sia l'utilità di averla inserita in una scuola normale, in una classe normale, se poi si ritrova a passare il suo tempo tra i diversi come lei. Sarebbe questa l'integrazione? Solo perché è presente in una lista di classe e la professoressa che ha sempre la prima ora la segna assente, arrabbiata come fa con le altre, perché manca, non avendo capito che ha il permesso di entrata alle nove? Questo la rende integrata al gruppo classe? Non lo so e non capisco!
Sono andata ad una sua festa di compleanno con i miei figli e mi sono commossa. La famiglia era riunita intorno a lei, compresi i nonni, ma quanti amici, quanti ragazzi si sono stretti a festeggiare lei, protagonista comunque, anche se ogni tanto ritirata in camera con la sua assistente a riposare! Quanto calore, quanta accoglienza, quanta serenità, quanta inclusione, con quale lezione di vita siamo tornati a casa!
Certo Michela non potrebbe studiare psicologia o latino, ma non è per quello che è stata mandata in quella scuola. Nessuno si aspetta che lei prenda un diploma che certifichi il suo grado di preparazione o di maturità, ma credo che possa trovare grande stimolo e giovamento nel gruppo di ragazze che la circondano, così come avviene nella sua famiglia, nel gruppo della chiesa, tra i suoi amici e credo ancora di più che le
Da due anni Michela è in classe di mia figlia in un liceo psicopedagogico, dove forte è la
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compagne di scuola potrebbero imparare tantissimo dal continuo rapportarsi con lei, soprattutto se guidate dai professori, con voglia, generosità, apertura, umiltà. E' difficile, immagino, inserire attivamente una ragazza così particolare in un contesto a lei lontano, soprattutto se non si è molto capaci nemmeno di gestire il contesto cosiddetto normale, ma si può fare. Credo, però, che si debba avere fede nel proprio lavoro, amore verso i ragazzi, tutti, voglia di spendersi, scomodarsi, mettersi in gioco, ma spesso a questa sfida si rinuncia in partenza ... proprio quando ci si riempie la bocca con la parola integrazione, che, però, non fa rima con educazione! Lucia Paci, genitore
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Orizzonte scuola
Resoconto di una bella esperienza con un gruppo di ricerca-azione
Il Laboratorio di Sviluppo Professionale dei Docenti che lavorano sui DSA nella scuola primaria di D'Agosta Luciana - Orizzonte scuola
prendimento. La facilità con cui talvolta si definisce "dislessico" un bambino o, al contrario, non lo si riconosce come tale, porta a confusioni nelle famiglie e negli insegnanti e, a volte, ad interventi sbagliati. In particolare, si è voluto dare risposta ad alcuni interrogativi che spesso contribuiscono ad aumentare la confusione piuttosto che facilitare la comunicazione e la collaborazione tra le persone che si prendono cura dei bambini: Quali sono i Disturbi Specifici di Apprendimento? Quali sono i "segnali" che ci devono mettere in allarme? Quali comportamenti dell'insegnante possono aiutare un bambino con DSA? Quali richieste sono assolutamente da evitare? Cosa si può "inserire" nel quotidiano lavoro in classe che possa aiutare un bambino con DSA? È possibile già dalla scuola materna individuare bambini "a rischio" e, soprattutto, ci sono giochi che possono aiutare/facilitare i successivi apprendimenti della lettura e della scrittura? C'è un metodo d'insegnamento della letto-scrittura da preferire rispetto ad altri?
"Il termine giapponese "educazione" può essere scritto anche con gli ideogrammi "crescere insieme". I bambini sono una meraviglia della natura e le loro vite risplendono radiose. La loro vivacità è fonte di energia per gli adulti. Dove risuonano le voci allegre dei bambini, là scaturiscono speranza, pace e gioia di vivere". (tratto da: "La mappa della felicità" di Daisaku Ikeda, filosofo buddista, ed. Esperia 2011)
Si è voluto poi, sollecitare curiosità e interesse verso altre domande che, a volte, ci si sente "timidi" a fare:
I temi trattati in questo laboratorio nascono dalla rilevazione dell'aumento - in questi ultimi anni - delle segnalazioni di bambini con problemi nell'acquisizione della lettura e della scrittura, e della difficoltà che si incontra nel fare una corretta diagnosi di disturbo specifico piuttosto che di ritardo, rallentamento o difficoltà di ap-
Ma "chi è" un DSA? cosa prova, come passa la giornata, a cosa pensa, con chi gioca... Cosa fa lo "specialista" col DSA, chiuso nel suo studio professionale?
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Gli insegnanti possono collaborare col logopedista, portare "dentro" la scuola modalità di lavoro, attività specifiche, utili per tutti e non solo per i DSA? Di cosa ha bisogno un DSA: di essere compreso, aiutato, corretto.......? Come si crea una rete capace di non far precipitare un DSA nel baratro della sofferenza? Qual è il metodo più efficace per il trattamento di questa problematica?
- e Luca, un ragazzetto che ora ha 13 anni e mezzo, diagnosticato all'ingresso alla scuola elementare e che, passato nell'inferno del DSA, ne è uscito, un pò malconcio ma vivo, allegro, desideroso di vivere grazie.... alle sue insegnanti di classe! Non solo grazie a loro, ma - come dice Luca - soprattutto grazie a loro. Nella convinzione che il futuro è nella collaborazione e nella condivisione di esperienze e soluzioni (riflessione personale del tutor), obiettivo finale di questi 5 incontri era che tutti sapessero rispondere alla seguente semplice domanda:
Per rispondere a queste domande sono state usate le conoscenze del conduttore e le esperienze e difficoltà dei partecipanti nel progettare il lavoro quotidiano, oltre che prendere confidenza con le indicazioni contenute nelle linee guida della legge 170 e del "Consensus Conference" per poter, possibilmente, realizzare cambiamenti soddisfacenti nel lavoro quotidiano con i bambini. Nella parte pratica del laboratorio, è stata fatta una presentazione di "come" legge un dislessico, le difficoltà che incontra nella decodifica e i sentimenti di inadeguatezza che, purtroppo, spesso lo accompagnano. In un successivo incontro sono stati illustrati alcuni dei giochi che si possano fare, sin dalla scuola materna, per sviluppare le abilità fonologiche - fondamentali nel processo di apprendimento strumentale del codice scritto - e suggerite alcune semplici accortezze che potrebbero facilitare ai bambini l'apprendimento della parte esecutiva della scrittura: impugnatura della penna, verso delle lettere, progressione nella presentazione dei caratteri ecc.
• Quanti DSA ho aiutato senza neanche saperlo? Quante "buone" cose faccio "istintivamente", guidata/o dalla mia esperienza, dalla passione, dalla conoscenza, dalla curiosità, dal coraggio, dalla paura, dall'insicurezza ....? Quanto ben essere creo senza esserne consapevole? Negli ultimi anni tanti passi avanti sono stati fatti per aiutare, tutelare, individuare precocemente i bambini e i ragazzi con questa specificità. In questo contesto sono stati offerti materiali ed esperienze col fine di rendere i partecipanti liberi di formarsi la propria idea sull'argomento e su come affrontare la battaglia per vincere l'emarginazione e la "non-conoscenza" che spesso accompagnano questa problematica. Infine, pur sapendo che le risposte ai temi proposti esistono già, dette e ridette da personaggi ben più autorevoli di noi in materia, siamo altresì consapevoli che saranno tanto più VERE quanto più saranno frutto del nostro vissuto: in questo modo si potranno utilizzare per costruire altre domande, dare ulteriori risposte, costruire conoscenza.
Infine, è stata fatta un'esperienza collettiva di GIOCO LINGUISTICO in cui, attraverso una simulata, si è finto di essere una classe di alunni che avesse il tutor del laboratorio per maestra. Attraverso questa esperienza si è preso confidenza con alcuni strumenti operativi con lo scopo di verificare se nelle classi dei partecipanti fosse possibile trovare un momento quotidiano da dedicare ai "giochi linguistici", così come proposto da esperti e tecnici dell'apprendimento.
Sono convinta che solo facendo insieme vinceremo questa battaglia, contribuendo ciascuno con la sua specificità e professionalità, scambiandoci indicazioni, errori, successi, idee, esperimenti. Il mio augurio e la mia proposta è di rimanere un gruppo di ricerca-azione "sperimentalmente attivo" e darci fin d'ora appuntamento al prossimo corso I CARE per approfondire cos'è e come si interviene sulla discalculia!
Hanno fatto parte del gruppo anche due giovani "amici invisibili" di cui ho riportato l'esperienza: - Ugo, un bambino di 7 anni, segnalato come dislessico e "scoperto" come portatore di un ritardo di apprendimento,
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Luciana D'Agosta, logopedista – Roma (Esperta, tutor d'aula e su piattaforma elearning nel corso di formazione "Valutare la qualità dell'integrazione scolastica. I CARE 3 organizzato dalla rete del IV e V Municipio di Roma in collaborazione con Sysform- promozione di sistemi formativi. In questo numero, altri articoli sullo stesso corso: di Patrizia Ruggiero (altra esperta/tutor) e Roberto Nucera (corsista).
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Orizzonte scuola
Dimensionamento: paura di perdere la propria identità! In attesa dei cambiamenti prossimi futuri di Melchiorre Antonia - Orizzonte scuola
in una certa zona della città e che per far quadrare "i conti" è stato spostato! E per chi sta dentro ancora non è chiaro come "il gioco" continuerà! Costruirsi un'identità non è cosa da poco: è il lavoro di anni di scontri, di tentativi e di errori, di passioni e di paure, di confronto continuo con se stessi e con gli altri, tutti! Perché ho deciso di affrontare tale questione questo mese in cui l'argomento della nostra rivista è l'integrazione, la diversità? La risposta mi è sembrata chiara! Vivere in una comunità significa confrontarsi continuamente con le "diversità" di ognuno cercando di "integrarle" tra loro per costruire, appunto, un'identità che rappresenti il più possibile tutti. Il nostro plesso scolastico, come è stato detto più volte, ha cercato sempre di organizzarsi per far fronte alle difficoltà di numerosi alunni con certificazione e con disagi in genere. Questo ha significato per noi docenti la necessità di riprogrammare la nostra visione rispetto all'insegnamento. Sappiamo tutti quanto sia difficile ... far "cambiare" la scuola!
Come molti istituti della regione Lazio, anche il mio è stato "colpito" dall'intervento di riorganizzazione della rete scolastica. Non voglio qui discutere sulle modalità o necessità che muovono tali decisioni, non voglio entrare in merito a certi argomenti, anche perché non cambierebbero le decisioni ormai prese da chi è più in alto di me, ma piuttosto provare a descrivere che cosa significa per un'insegnante tutto questo. Non posso nascondere però che l'idea che ci siano (pochi) individui che decidano del futuro di (molte) PERSONE attraverso azioni contabili (arrivare a 1000 alunni per scuola) e per far quadrare questi conti debbano spostare e accorpare plessi come se stessimo giocando a "monopoli" ... mi disturba molto!
Pur avendo avuto da diversi anni a disposizioni leggi che ci permettevano una certa autonomia di organizzazione, solo da poco tempo ne abbiamo fatto tesoro. La scuola dovrebbe fare davvero un salto enorme per recuperare il tempo che impiega a metabolizzare i cambiamenti che il mondo esterno chiede di fare! È come se tutto ciò che ruota intorno al mondo scolastico andasse più veloce e noi ... rimaniamo sempre indietro! Probabilmente è un problema generazionale: i genitori sono sempre un passo indietro ai propri figli! Ma questo è un altro
Angeli della Città, come tante altre scuole, non è stata vista come un luogo vissuto da bambini, genitori, insegnanti, AEC, collaboratori, cuochi, inservienti, insomma da PERSONE, ma solo un edificio che si trova
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grande capitolo della nostra storia e non è ora il momento di affrontarlo!
figura di un coordinatore è stata fondamentale per il lavoro fatto sull'integrazione in questi anni, e grazie a tale percorso sono cresciuta sia come persona, sia come insegnante. Ma riconosco anche che senza la nostra collaborazione tutto questo non si sarebbe potuto realizzare: è stato un bel lavoro di squadra!
Accogliere il Teatro integrato Piero Gabrielli, avviare il progetto dell'Inviato Speciale, il nostro giornalino scolastico, lavorare per classi aperte con i LARSA, organizzare laboratori di manipolazione e di psicomotricità, musica e danzaterapia, per i più piccoli o per i bimbi in difficoltà, attivare con la dott.ssa D'Agosta interventi di logopedia all'interno della scuola per bimbi in attesa da tempo di una valutazione, sono state conquiste belle ma non facili, hanno richiesto molta apertura da parte di tutti, impegno, collaborazione, attriti inevitabili per metterci d'accordo. Tutto questo da una parte ci ha resi più forti come gruppo e più competenti come insegnanti; dall'altra però, questo modo di lavorare ha fatto sì che i bambini con difficoltà aumentassero proprio perché le famiglie sapevano che i loro figli nella nostra scuola avrebbero avuto .... UN'ATTENZIONE PARTICOLARE! Con la riduzione delle ore di compresenza molto del lavoro possibile prima, ora è difficile portarlo avanti, siamo costrette a ricercare continue strategie per poter continuare a lavorare in un certo modo. Sicuramente la presenza in classe dell'insegnante di sostegno e di un AEC sono diventate risorse preziose per tutti i bambini, perché resta l'unico momento di compresenza.
In prossimità dell'accorpamento ad un altro istituto con una sua identità ... è inevitabile avere dei timori, porsi delle domande. Che cosa accadrà il prossimo anno? Quali colleghe rimarranno, chi andrà via? Che ne sarà dei progetti portati avanti in questi anni, a cui teniamo tanto? Ci sarà un gruppo di sostegno e una coordinatrice? Come alla fine di una storia o di una esperienza significativa si fa il bilancio di cosa ha funzionato e cosa no, e cosa ci si porta via. Personalmente sono dispiaciuta innanzitutto di lasciare le colleghe degli altri plessi con le quali si è condiviso molto lavoro, idee ed emozioni: spero che continueremo a trovare spazi d'incontro! Mi dispiace abbandonare progetti a me cari come il teatro Gabrielli e l'Inviato Speciale, ai quali ho dedicato tanto tempo e nei quali credo fermamente. Ed inoltre ciò che sicuramente mi mancherà di più il prossimo anno è lavorare con il gruppo delle mie colleghe di sostegno, sicuramente anche con loro ci vedremo fuori dall'ambito scolastico ma non sarà la stessa cosa affrontare i problemi senza il loro SOSTEGNO!
A questo proposito è importante riconoscere il valore che ha avuto in questi anni il gruppo di lavoro sull'integrazione, formato da tutte le insegnanti di sostegno (in passato anche dalle docenti curricolari) e coordinato da Manuela. In questi anni il collegio docenti e la direzione hanno ritenuto importante investire su questa figura, sollevandola dalla classe, e sul gruppo di lavoro, proprio per organizzare percorsi d'integrazione adeguati alle sempre maggiori richieste di inserimento nel nostro istituto. Organizzare i numerosi GLH, che si ripetono almeno due volte l'anno e per i casi più delicati anche 3 o 4 volte l'anno, tenere i contatti con gli specialisti delle ASL e con i centri dove i bambini sono inseriti per le terapie, sostenere i genitori e noi insegnanti nel quotidiano lavoro con i bambini, tutto questo se fatto bene, come è stato, richiede tempo che non è mai abbastanza! Per quanto riguarda me, ma credo di parlare anche a nome di tante mie colleghe, la
Anche io, come tutte, ho timore dei cambiamenti ma contemporaneamente sono curiosa di ciò che il futuro ci può riservare. Ho fiducia che la nostra identità conquistata ci sosterrà in questo passaggio, ma sono anche consapevole del fatto che in una fase di fusione, sarà inevitabile un lavoro di "integrazione" di due mondi diversi che dovranno trovare un nuovo equilibrio. Spero ci sia accoglienza e rispetto per noi nuove arrivate e contaminazione reciproca delle buone pratiche, necessarie per la crescita e il miglioramento di ognuno. Antonia Melchiorre, docente di sostegno, IC Perazzi (ancora per un po'!) – Roma
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Orizzonte scuola
Un paradigma per l'inclusione Ma che paroloni!
di Ruggiero Patrizia - Orizzonte scuola
Paradigma, paradigma l'ho già sentita, ma dove? Quando, recentemente, ho letto questa parola su alcuni testi di pedagogia, suonava familiare. Ho faticato alquanto a ricollocarla, ma poi mi sono riaffiorati vecchi ricordi, quasi ormai sopiti e, finalmente, mi sono tornate in mente le forma verbali del latino che studiavo a scuola e mi si è accesa la fatidica lampadina. fĕro, fĕrs, tuli, latum, fĕrre - indicativo prima e seconda persona singolare, perfetto, supino e infinito presente Cinque parole chiave che ti consentivano di coniugare tutto il verbo! Sufficienti e necessarie, specialmente nei verbi più difficili, a sciorinare tutte le forme verbali. Radici da cui spuntano alberi
tutti. Potrebbe aiutarci definire dei campi entro cui "giocare" questa partita? Potremmo cercare dei punti fermi da articolare? Può la costruzione di un paradigma aiutare a programmare e coordinare le azioni da compiere? Questa è stata la sfida/proposta che ho fatto al gruppo che ha partecipato al corso I CARE 3- Valutare la qualità dell'inclusione scolastica - nel modulo "Come programmare gli interventi in presenza di alunni con DSA nella scuola secondaria di 1° e 2°grado". Ecco i cinque punti chiave che sono stati approfonditi nei cinque incontri. 1 Curricolo implicito: I valori-la vision-le regole-la diversità- la pluralità-i concetti di giustizia ed equità-lo sfondo integratore. 2 Didattica metacognitiva: "Il primo strumento compensativo è imparare ad imparare"(G.Levi) - La personalizzazione dell'apprendimento. 3 Autovalutazione: A chi serve la valutazione-consapevolezza e motivazione- "dare un valore"- verifiche e valutazione personalizzate. 4 Formazione del gruppo: Aiuto reciproco- valorizzazione- l'altro come risorsa- il bisogno di appartenenza- il senso dello stare insieme- la costruzione di obiettivo comune.
"Programmare" nella scuola media è un'impresa ardua, ai limiti dell'impossibile, se non altro per lo scarso tempo e per la molteplicità e varietà di persone coinvolte. Spesso sono parole che rimangono sulla carta e non si concretizzano in azioni utili ad armonizzare e dare un senso al lavoro di
5 Relazione: gli aspetti inter ed intra relazionali- self efficacy "I ragazzi con DSA possono essere curati sostenendo lo sviluppo della persona( G.Levi)" - locus, convinzioni, dialogo interno.
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Parallelamente siamo entrati nella specificità dei DSA attraverso: l'analisi in gruppo delle Linee Guida, il confronto tra alcuni modelli di Piani Didattici Personalizzati, alcuni esempi tratti dalla pratica, la descrizione dei materiali inseriti in piattaforma e suggeriti sia da esperti di settore che dai partecipanti stessi. Ho scelto di non proporre strategie e strumenti compensativi e misure dispensative tout court per vari motivi. Non credo che sia solo questo il nodo centrale della specifica problematica dei DSA, anche per la grande varietà di gravità e di comorbilità che ci troviamo ad affrontare nelle classi medie e superiori. Penso invece che sia più urgente trovare un modo nuovo o almeno più consapevole e sistematizzato di "trattare" la specificità e singolarità di ciascun alunno. La maggior parte del gruppo ha mostrato di seguirmi su questa linea con criticità costruttiva, anche perché si trattava di persone già molto preparate e sensibili al tema dell'integrazione, già PROMOTRICI DI CAMBIAMENTO. Patrizia Ruggiero, docente di sostegno, SMS Fellini – Roma
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FANTACITY
Concorso per la scuola di La redazione - Dalla redazione
FANTACITY Concorso per la scuola
mutuo-aiuto. L'associazione CO.FA.AS."Clelia" organizza l'incontro presso il Bibliobar dell'Istituto L. Vaccari in Viale Angelico, 20/22 Roma Mercoledì 18 aprile dalle ore 16, 30 alle 18.00: "Conoscere i bisogni dei familiari assistenti: prendersi cura di se stessi". Nell'ambito di questo incontro sarà presentata e prenderà così il via la sperimentazione sul "Progetto Case manager" che vedrà coinvolte alcune famiglie dell'Associazione che saranno monitorate e tutorate da un Case manager per tutte le loro necessità o sviluppi assistenziali.
C'è tempo fino al 31 marzo 2012 per partecipare al grande Concorso Nazionale di Fantacity rivolto alle classi delle scuole primarie. La sfida corre sul filo di parole e colori, in compagnia della famiglia Guerrieri in Un divano per dodici (Giunti Junior), la nuova divertentissima serie sul fenomeno delle famiglie "allargate". "Un divano per dodici" è la collana edita da Giunti Junior che fa da spunto al concorso. Prendendo ispirazione da questi personaggi, le classi possono partecipare scrivendo un racconto o realizzando un'opera pittorica (tutti i materiali utili su www.fantacity.eu nella sezione dedicata al concorso, dove è disponibile anche la scheda di iscrizione).
Gli incontri sono a titolo gratuito, tuttavia è gradita una segnalazione di adesione da parte di chi intende partecipare, ai seguenti numeri : 334 8184597 - 334 84779 - 334 8182 807
http://www.fantacity.eu/
Si rimanda al sito www.cofaasclelia.it ogni altra informazione.
Incontri-caffè per i Familiari Assistenti e Volontari "Essere un familiare assistente: difficoltà e domande"
per
Autismo, il 2 aprile a Roma verrà presentata la petizione bipartisan L'obiettivo è riaprire la discussione sulle linee guida
Gli incontri-caffè riuniscono i familiari assistenti, le famiglie e tutte le persone che assistono un congiunto o un vicino/amico non autosufficiente per colloqui conviviali partecipativi, informativi o di riflessioni per uno scambio di buone prassi allo scopo di favorire l'amicizia e la conoscenza tra i partecipanti, una migliore qualità di vita della persona disabile e della famiglia nonché un
Secondo i promotori della petizione "il testo ha escluso dal dibattito tutti gli approcci diversi da quello neo comportamentale. Fatto grave, l'addestramento non rispetta l'individualità del singolo bambino e annulla le loro potenzialità". Continua a leggere
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http://www.superabile.it/web/it/CANALI_TE MATICI/Salute/Il_Punto/info742654928.html
Disabilità e Diritti Invito per tutte le Associazioni Organizzato dal Coordinamento Nazionale Famiglie Disabili Gravi e Gravissimi. Sabato 12 maggio 2012, dalle ore 11 alle 19 a Roma in Via Antonina (Terme di caracalla) avrà luogo un sit-in di Associazioni per i diritti dei disabili, al quale sono invitate tutte le Associazioni. Verrà messo a disposizione uno spazio gratuito per rivendicare i diritti negati ai disabili e alle loro famiglie ma anche per promuovere le attività. Un' atmosfera di festa e spettacolo accoglierà famiglie e studenti affinchè la disabilità NON SIA PIU' UN MONDO A PARTE MA UNA PARTE DEL MONDO. http://www.famigliedisabili.org/
Basta usare le parole RITARDO o RITARDATO! da superando.it C'è una campagna mondiale, lanciata nel 2004 da Special Olympics, che punta all'abolizione dei termini "ritardato" e "ritardo mentale", per contribuire a una giusta considerazione delle persone con disabilità intellettiva e relazionale, educando sui danni che possono venire da quelle parole, non sempre considerate sbagliate, mentre lo sono molto. Vediamo perché http://www.superando.it/content/view/865 4/112/ La redazione
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