La comunità per minori "L'isola che non c'è"

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il coraggio come educazione

In questo numero

La Comunità per minori “L’isola che non c’è” cooperativa sociale a r.l. “Piccolo Carro” Anno IX - n. 79 Numero straordinario 2000


SE VIENI NELLA NOSTRA COMUNITÀ PUOI IMPARARE UN VOLO OLTRE LE ALI di Cristina Aristei (psicologa – Bastia) e di Pietro Salerno (psicologo – Assisi)

Cristina Aristei presidente della coop. sociale “Il Piccolo Carro” di Bastia

Pietro Salerno presidente della coop. sociale “Il Grande Carro” di Assisi


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Plenitude

Ogni volo ha sempre il suo rischio ma spesso il non voler correre rischi ci obbliga a rimanere ancorati al nostro egoismo Pietro Salerno


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LAVORIAMO PER CHI HA LA SFORTUNA DI AVVICINARSI ALLA VITA IN SITUAZIONE DI DISAGIO

Nella vita dei ragazzi, adeguati stimoli affettivi e educativi rappresentano le occasioni migliori per la crescita umana e per lo sviluppo psicologico. Di conseguenza, affetto e educazione determinano il positivo evolversi dei cicli delle stagioni esistenziali. Questo è quanto afferma la ricerca scientifica ed è anche ciò che testimonia la nostra esperienza. Purtroppo, per i ragazzi che sono costretti a vivere nelle Comunità per Minori, non è stato così: non hanno avuto il giusto affetto e non hanno ricevuta la giusta educazione. Tragiche combinazioni hanno devastato l’esistenza nel suo nascere. Ed è per questo che molti sforzi della prevenzione non sempre raggiungono gli obiettivi prefissati e non sempre servono a risolvere i problemi presenti nelle mille storie segnate soprattutto da gravi carenze imputabili alla famiglia e alla società. Recuperare ciò che non si ha avuto durante l’infanzia, la preadolescenza e l’adolescenza è un’operazione ardua che richiede non solo buone qualità umane ma anche altissima professionalità (cfr. Pianeta Infanzia – Dossier monografico: in strada con bambini e ragazzi - Firenze Istituto degli Innocenti - Dicembre 1999; quaderno n.12 del Centro nazionale di documentazione ed analisi per l’infanzia e l’adolescenza; Cittadini in crescita, n. 1/2000). Date le naturali e inevitabili insufficienze della realtà dei servizi territoriali, pubblici e privati, la migliore prevenzione preferiamo indicarla nella capacità di elaborare e di attuare progetti con programmi d’intervento strategico centrati sull’integrazione all’interno delle maglie della rete di questa società ambigua e complessa, ma non cattiva. Infatti, oggi si va sempre più delineando la figura dell’operatore di strada (lavoro di strada iniziato negli anni Ottanta: cfr. carta di Certaldo del 1994, carta di Candia del 1997, carta di Bologna del 1999, carta di Firenze del 1999…), appunto perché nelle grandi città la strada sta diventando il momento privilegiato dell’incontro. (cfr. Andrè Stuer - La loro storia si scrive nella strada - Video O.N.G. Terra Nuova - Via Urbania, 156 - 00184 Roma - Tel. 06-485534). A nostro parere, non c’è niente di nuovo. Si sta recuperando un antico momento educativo della vecchia società. Anche una volta il cortile e la piazza dei nostri paesi erano lo spazio dove bambini e adolescenti esprimevano e vagliavano la voglia di protagonismo attraverso il gioco e l’organizzazione in gruppi. Erano tentativi per imparare a sviluppare il proprio potenziale inespresso. Era un vero e proprio mini-tirocinio di vita senza la presenza dell’adulto. Ma allora erano altri tempi! Tempi migliori!


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I ragazzi della nostra comunità per minori hanno avuto come scuola la strada, hanno agito nella strada secondo l’ordine della criminalità e il disordine della coscienza morale. L’oppressione, il ricatto, la vendetta, la punizione li hanno educati tanto più quando a tali processi si accompagnavano modelli adulti capaci di suscitare fascino improntato a forza, a destrezza, a competizione sleale, all’uso sistematico della menzogna, alle regole del male… Unici dispositivi di degrado e di morte che essi conoscono. In questo quadro del dirompente sviluppo dell’urbanesimo, a nostro parere, ha perso la qualità della condizione del vivere (cfr. Pianeta Infanzia n. 7/1999 - Dossier monografico sul lavoro minorile). L’esplosione urbana è la nuova catastrofe che incombe sugli abitanti attraverso l’intreccio complesso di ostacoli e di disagi tipico delle periferie, dei quartieri dormitorio e dei ghetti debolmente legati al resto della città. Le “città invisibili” di Italo Calvino sono invivibili. Manca il centro dei vecchi paesi. Il centro è centro perché rappresenta ciò che c’è di supremo: i valori, gli stili di vita, la tradizione, gli archetipi… Manca un cuore arcaico che unisce tutti i cuori. Proprio per questo, a nostro parere, molti luoghi non sono aree di aggregazione , ma spazi vaganti e ondate umane ad alta probabilità di devianza e di emarginazione. Non hanno una buona offerta di opportunità per l’autorealizzazione personale. Non sperimentano la solidarietà. Quindi, lo spazio urbano deve tornare educativo. L’educazione nelle strade delle nuove generazioni dovrebbe essere pensata e progettata all’interno di un’azione integrata di riqualificazione del tessuto urbano. Le piazze e le strade devono essere rese abitabili a dimensione umana. Muretti, bar, sale da giochi… possono diventare anche occasione di crescita culturale e di formazione, costituendo “punti” di partecipazione, di discussione, di confronto e di scambio. Ogni gruppo informale può trasformarsi in “luogo sociale educativo” dove ognuno dialoga, ascolta, esprime atteggiamenti e pensieri senza protagonismi, ritualismi, mascheramenti, lavori di bassa soglia. Se il viaggio e l’avventura sono le coordinate che guidano la storia dei comportamenti adolescenziali, perché non entriamo in queste strade prima che il tempo non li trasforma in uomini?. Se il futuro non è altro che la proiezione del presente, perché non coinvolgere ragazzi, adolescenti e giovani e chiarire insieme il loro coinvolgimento nei percorsi di disagio, di esclusione e di devianza con progetti professionalmente e culturalmente evoluti? Il nostro non è un “lavoro di strada”, ma vede la strada come servizio preventivo al pari della scuola e della chiesa. Strada come laboratorio di vita. E la vita, secondo il paradigma costruttivista, può essere re-inventata dopo aver analizzato le diverse verità. Arlecchino multicolore può cedere il posto al bianco Pulcinella. Tutti veniamo da un’educazione fatta di consensi partecipati. Sta all’educazione saper usare la forza o la debolezza della variabilità umana.


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La comunità non è un ammasso di parti, funzionali o disfunzionali, visti con questo o quel tipo di occhiali teorici, ma è un insieme di energie, di forze, di bisogni, di angosce, di incertezze, di misteri… viventi in persone che si incontrano, si scontrano, si evitano e si influenzano. Infatti, è difficile il coinvolgimento, la comprensione, la partecipazione, la valorizzazione, l’incoraggiamento, la prevenzione... Intervenire pedagogicamente per noi non vuol dire stare tra l’assistenziale e il filosofico, ma è come muoversi al chiaro di luna nel tentativo di vedere l’alba prima degli altri. E in tale operazione ritornano vere le parole di Bateson quando cerca di mettere in guardia gli educatori che non sanno ammettere il proprio torto: “Coloro cui sfugge l’idea che non possono sbagliare, non riusciranno ad apprendere nulla se non la tecnica”. Chi, del resto, lavora nelle comunità sa che i nodi problematici ruotano in un primo momento attorno ai concetti dinamici di educazione/assistenza e di accettazione/cambiamento e in un secondo momento sfruttano le strategie di ascolto, di orientamento/informazione, di relazione d’aiuto, di presa in carico dei bisogni… al fine di contenere le nevrosi da privazione, di risignificare il quotidiano e di interiorizzare le regole della convivenza sociale. Una vita senza regole è la strategia dell’anarchia. Come resta ovvio dedurre, muoversi lungo queste direttive di processualità e di relazionalità non è facile poichè non basta la disponibilità ad una presenza capace di condividere esperienze, ma sottintende l’abilità ad accompagnare i processi di “ricostruzione” di significati esistenziali smarriti o assenti (cfr. A. Minio - Minimo vitale CePASA - Thyrus 1999; A. Minio - Mediocrità - CePASA - Thyrus 2000). Di conseguenza, la valutazione dei risultati di un percorso educativo non può essere vista come un “giudizio” sulla propria professionalità, ma andrebbe identificata al concetto di “tentativo di dare senso” alla vita di comunità onde evitare l’inevitabile burnout degli operatori. La valutazione educativa, infatti, non è un ingabbiamento in quanto è difficile coordinare i tempi del raggiungimento del risultato con i tempi della valutazione. Quindi, valutare è seguire la logica di senso del progetto che va letto come un investimento a lungo termine. Trattare i “dati” è un’operazione arida che opera in termini di quantità, ma non offre stimoli sufficienti ad interrogarsi, a porsi domande profonde sulla qualità. Mancando, poi, un gruppo di controllo non è possibile dare giudizi chiari sugli esiti raggiunti. Infine, la natura stessa della relazione umana non permette l’uso dell’invasività degli strumenti di valutazione, di qualunque genere essi siano. Ma in verità, è possibile riuscire a definire l’efficacia e giudicare la predittività di uno specifico cambiamento? Ogni valutazione ricavata evidenzia un risultato fatto di chiaroscuri, capace soltanto di fornire agli operatori occasioni per capire in quali obiettivi del progetto si è lavorato bene e quali momenti andavano curati meglio per le risorse disponibili ed i tempi di maturazione. La valutazione non è uno strumento che fornisce solo risposte, ma è una grande occasione per seguire piste di approfondimento ed arricchire i processi di auto-apprendimento. In conclusione, valutare per noi è un


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modo di favorire il processo di accumulazione di conoscenze tali da permetterci di esprimere apprezzamenti sul “senso” di ciò che facciamo. Ogni attività territoriale, intesa come intervento da valutare nelle finalità di ascolto, recupero e presenza nel mondo del disagio, a nostro parere, andrebbe letta sinergicamente assieme alla globalità degli altri servizi sociali liberati da contrasti e conflitti di qualsiasi genere. Un progetto comune di cultura condivisa dell’integrazione produce di più del frammentario singolo progetto settoriale che opera autonomamente. Infatti, è la condivisione delle strategie che rende possibile restituire voce e diritti agli esclusi, educati dalle risonanze provenienti da tutti gli ambienti che si occupano del disadattamento. Così, in linea di tendenza con gli anni Novanta, se si riuscirà a sensibilizzare anche l’opinione pubblica, non si legittimerà la rimozione del disagio, ma la promozione dell’agio usando un ampio ventaglio di interventi educativi possibili. Ogni prevenzione efficace, infatti, si preoccupa di promuovere il benessere allontanando gli adolescenti dai fattori di rischio ed offrendo bussole di orientamento alla vita e spazi capaci di convogliare le potenzialità inespresse e rimuovere gli ostacoli allo sviluppo. Di fronte all’abdicazione pedagogica delle figure parentali e ai collassi educativi delle principali agenzie di socializzazione (associazioni, club, punti d’incontro, parrocchie…), oggi devono rinascere ed essere favoriti questi tipi di nuovi interventi senza fragilità e inadeguatezze. Interventi progettati con il cuore e illuminati dalla ragione. Ma ogni buon progetto necessita di una perfetta organizzazione a rete per andare avanti e per raggiungere gli obiettivi dichiarati. Infatti, la dimensione organizzativa incide nelle vicende quotidiane degli operatori e nelle dinamiche psicologiche degli ospiti della comunità. L’organizzazione è la risorsa critica, da non sottovalutare: il grado di prevedibilità dei problemi su cui si lavora e il livello di stabilità dei processi del progetto sono controllati dalle variabili organizzative (flessibilità, decentramento, policentrismo, standardizzazione, stabilità, continuità, formazione, innovazione, sperimentazione, circolazione della comunicazione, accoglienza, coordinamento, ideazione, decisionalità, monitoraggio, interdipendenza positiva…). Chi ha avuto modo di trovarsi coinvolto in tragitti terapeutici, infatti, sa che l’organizzazione della comunità diventa il luogo in cui finalmente i problemi trovano posto per essere esposti, le difficoltà prendono il loro nome vero e le soluzioni possono essere prese in considerazione in modo serio. E aggiungiamo che ciò non basta se la relazione educativa non è in grado di entrare nella mente dell’altro senza rozzezza. Per entrare nel cuore di chi ci sta accanto spesso non è sufficiente il possesso della scienza. Occorre delicatezza.


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Non è una menzogna affermare che nel mondo aumenta sempre più la violenza (fisica, verbale, morale, psicologica…) probabilmente per le supercompetizioni che hanno un effetto degenerativo nel modo di vivere della nostra società, per un bisogno di emozioni sempre più forti, per accendere il cervello con percezioni impossibili... In ciò il comportamento adolescente sembra trovarsi a suo agio. Così, per riuscire a sentire il pulsare dell’esistenza l’adolescente ha bisogno che tutti gli stimoli siano esagerati, spinti al massimo: ama le sfide pericolose, predilige la musica ad alto volume, si lancia nell’esperienza affettiva a corpo morto, si agita con le luci delle discoteche... ma la velocità e la fretta non portano benessere, tranquillità o calma. Di conseguenza, quando si smarrisce il senso della realtà e si perdono i valori del rispetto della persona, le forme di devianza tendono ad aumentare. In tale contesto, ogni disagio del ragazzo trova la terapia più efficace in un adulto significativo in quanto gli adolescenti sono in dinamismo evolutivo costante, divisi in mille frammenti che si muovono a velocità differenti e in direzioni impensate, come schegge impazzite. Nel loro egocentrismo non riescono ad avere coscienza delle conseguenze delle loro azioni su se stessi e sugli altri. I gesti che compiono non hanno nessuna risonanza. Afferma il pedagogista Claudio Bucciarelli che “il dramma di molti adolescenti di oggi non è quello di essere o non-essere, ma piuttosto dell’apparire e dello scomparire in una esperienza sensoriale dominante”. In questa logica, purtroppo, l’esibizione di molti comportamenti è mantenuta dal gruppo di appartenenza. Certe forme di teppismo hanno la loro permanenza nel riconoscimento del gruppo. Più l’individuo è fragile, insicuro e debole e più subisce la dipendenza passiva dal gruppo. E l’adulto che fa? Forse capisce, ma non sa relazionarsi. Prende scorciatoie formalmente educative. Usa fermezze che non funzionano perché non c’è credibilità. Sforna saggezza e buonsenso che non sono riconosciuti e apprezzati. Educa senza identificare i propri punti deboli, le proprie miserie, i propri spazi protetti, i propri mutismi permalosi, i propri irrigidimenti immotivati… Ma, allora che significa educare? Educare è scavare in noi stessi nuove vie di comunicazione… è sapere restare persona evitando di trasformarsi in personaggio… è riconoscere l’umanità senza mettersi i panni del fanatico salvatore o dell’indiscusso maestro di vita… In educazione la nostra parola non è mai l’ultima, ma la penultima. L’ultima deve essere lasciata all’adolescente. Per un altro pedagogista, Franco Santamaria, ogni educatore formatore deve “muoversi delicatamente nei pensieri” e nelle problematiche del singolo adolescente, che sono un mix di intenzioni progettuali, di contraddizioni e di ambivalenze. L’adolescente esige comprensione, protagonismo, partecipazione, identità… che sono domande di riduzione della loro complessità. Del resto, tutti cerchiamo occhiali per vedere l’unità della nostra esperienza. Tutti, implicitamente, siamo riduttori di com-


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plessità. Quando non capiamo, semplifichiamo per evitare la confusione. Ed è così che costruiamo le nostre qualità umane. Semplificare vuol dire usare l’umiltà come consapevolezza di non avere le soluzioni esatte, la disponibilità, la tolleranza, la capacità di saper stare nell’incertezza, la flessibilità, la permeabilità, l’accoglienza e l’accettazione incondizionata, l’atteggiamento non giudicante… il saper leggere positivamente la realtà adolescenziale, la capacità dialogica, la costruzione di raccordi nella rete comunitaria, la regolazione del gruppo attraverso l’apprendimento cooperativo… Questo ed altro, se associate ad una buona abilità cognitiva e operativa, può creare un adeguato profilo professionale che è la risultante di un ventaglio di competenze educative indispensabili per chi si occupa di formazione. Infatti, il lavoro con gli adolescenti non può configurarsi come un recinto dove si allevano puledri da macello. Questa scelta conferma l’emarginazione, la segregazione, l’estraneità, la devianza… A nostro parere, l’operatore sociale deve riprendersi quella “passione educativa” che fa prevalere l’attenzione sull’indifferenza, l’impegno sulla superficialità, la scommessa sull’indolenza… Il pedagogista Roberto Maurizio, infine, ritiene che un “fattore di un lavoro serio sia anche la cura impiegata nel garantire la memoria del progetto-adolescenti, in modo che il patrimonio di conoscenze prodotte e di scoperte realizzate in ordine ai processi attivati, alle tecniche elaborate, ai risultati raggiunti non vada disperso e non resti affidato alla capacità dei singoli operatori di mantenerlo in vita. Ciò che si è fatto bisogna farlo rivivere nel tempo. Occorre rendere visibile l’invisibilità. Tenere attenzione alla memoria di ciò che si fa e di ciò che si pensa significa costruire un tessuto connettivo culturale a consolidamento dell’organizzazione”. Ed è quello che noi facciamo dal 1996 (cfr. C. Aristei, A. Minio, P. Salerno – Nell’isola che non c’è la curiosità diventa terapia – CePASA - Piccolo Carro 1998)

Tavolo dove gli operatori confrontano le “osservazioni” e programmano l’azione educativa


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SIAMO ENTRATI NELLO SCENARIO DELLE COMUNITÀ CON IN MENTE UNA FILOSOFIA AGILE PER OSPITI SENZA VOGLIA Le prime tre significative iniziative di “colonia terapeutica” vanno rintracciate negli Stati Uniti intorno agli anni Quaranta ed hanno come quadro di riferimento la “psicologia dell’io” (cfr. F. Redl – D. Wineman - Bambini che odiano – Boringhieri 1975). Negli anni Cinquanta in Inghilterra cominciano ad affermarsi i “centri per bambini” della Richmond Fellowship, che s’ispira ai contributi di Kurt Lewin e di Wilfred Bion e ai forti contatti consultivi con il Tavistock Institute of Human Relation di Londra (cfr. J. Megee Lyon – I servizi RF per bambini e adolescenti – APS 1985). In Italia, il problema minorile viene evidenziato dallo scrittore Italo Calvino con una dichiarazione, allora rivoluzionaria: “Nei momenti in cui il regno dell’umano mi sembra condannato alla pesantezza… devo cambiare il mio approccio, devo guardare il mondo con un’altra ottica, un’altra logica, altri modi di conoscenza e di verifica…”. E così intorno agli anni Sessanta e Settanta, questo principio viene preso a promozione di una nuova cultura del sociale, capace di ribaltare il modo di operare sui minori chiusi nelle “istituzioni totali” (cfr. E. Goffman – Asylums – Einaudi 1968; F. Basaglia – L’istituzione negata – Einaudi 1967) che tendono ad essere sostituite dalla nascita delle “comunità” (cfr. pubblicazioni del Centro Nazionale di Documentazione e Analisi sull’Infanzia e l’Adolescenza (Istituto degli Innocenti) di Firenze e del Coordinamento Nazionale delle Comunità per Minori (CNCM) di Firenze). Comunità è il nuovo termine che rimanda al concetto di gruppo centrato sulle relazioni primarie di accettazione, ascolto, comprensione, tolleranza, attenzione, riconoscimento, incoraggiamento, valorizzazione… che costruisce un “progetto” di formazione e di lavoro educativo (contenimento di cariche distruttive, sedazione di angosce profonde… sviluppo della prosocialità e dell’autonomia, gestione della salute globale… libera espressione all’interno di rapporti interpersonali affettivamente ricchi…), …senza riproporre i ruoli fallimentari del “collegio”, dell’ ”istituto”, dell’ “orfanotrofio”, del “riformatorio”, del “carcere”… senza ricalcare la monotonia organizzativa e l’aridità dei ruoli parentali dei “focolari” degli anni Cinquanta … e senza confondersi con la specifica configurazione di “intimità della famiglia” (cfr. V. Ducci - Il processo di deistituzionalizzazione in Italia negli ultimi decenni: dal dopoguerra (1946) alla nuova politica nazionale dell’infanzia e dell’adolescenza (1998) in “Pianeta Infanzia n. 9/1999 - pag. 213268). La finzione parentale simbolica voluta da Jean Cartry, a nostro parere, non può rimpiazzare una categoria educativa di genitore con una surrogata di quasi-genitore: il


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contatto con la realtà per essere terapeutico deve avere caratteristiche autentiche. La carità cristiana parla di amore universale ma non codifica questo con una sorta di genitore-super, ruolo non facilmente ripercorribile né scientificamente consigliabile. È il principio della realtà che garantisce lo sviluppo, sia psico-affettivo che mentalecognitivo. Alla base di questa rinnovata educazione c’è la costruzione di un “progetto”. Progettare significa prendere decisioni per dare ordine a elementi non organizzati… trovare un principio unificatore che aiuti a partecipare ad un’esperienza di cambiamento… seguire un proprio rilevatore della cultura sedimentata in termini di riflessioni, elaborazioni e risultati… avere un sogno con delle scadenze. In realtà, questi nascenti paradigmi socio-culturali hanno avuto il merito di evidenziare i limiti dei vecchi servizi e di influenzare l’orientamento in ambito legislativo. Ed è cosi che si sono sviluppate una serie di tipologie comunitarie, che attualmente stanno diventando un arcipelago in continua evoluzione (case famiglia o gruppi famiglia, famiglia terapeutica o genitori simbolici, comunità alloggio, comunità di accoglienza, gruppi appartamento, progetti educativi individuali…). A nostro parere, a tutt’oggi, manca una seria analisi multifunzionale di queste organizzazioni al fine di capire meglio la motivazione, il senso, il valore, la natura specifica… La storia della costituzione della comunità “L’isola che non c’è” comincia ad Assisi il 18 gennaio 1996. Eravamo reduci da una disorganizzata e drammatica esperienza di comunità con soggetti mentalmente svantaggiati. L’avevamo abbandonata perché quel modo di gestire il disagio non corrispondeva alle nostre convinzioni psicopedagogiche né ai principi etici a cui si ispirava l’azione del nostro volontariato. Prendemmo contatti con alcuni amici e mettemmo assieme energie e risorse che ognuno di noi possedeva. Eravamo in nove quella sera. Spaventati e incerti, ognuno cercava appoggio e riparo nell’altro. Ma fummo nove coraggiosi moralmente: Cristina, Pietro, Samuel, Laura, Maria, Fabiana, Rita, Massimo, Peppe. Facemmo un cammino difficile, tempestato di anticamere e di rifiuti. Utilizzammo il volontariato. Non c’erano soldi. Non avevamo computer né scrivanie. Possedevamo soltanto una stanza e tante idee. Soprattutto molta fede religiosa e tanta fiducia nel nostro modo di pensare trasferito nello Statuto: “…Assistere i nuovi poveri e i nuovi emarginati… Essere di riferimento come la Stella Polare, simbolo della cooperativa, per ritrovare la strada come i naviganti di un tempo… Volere una società edificata sulle ceneri degli antichi concetti francescani…” Ci davano forza tre idee di base fine: realizzare una realtà capace di soccorrere ed assistere le devianze minorili. La finalità educativa è mettere in grado di ritornare in modo adeguato alle proprie famiglie d’origine, oppure far raggiungere una sufficiente autonomia per una esistenza indipendente attraverso l’inserimento lavorativo.


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traccia: ripercorrere l’ideologia del francescanesimo eviscerando la praticità dell’intervento per un risultato a breve e a lungo termine novità: assistere i minori da 0-18 anni se pur in ambiti differenti ma con possibilità di contatto per far rivisitare l’esperienza della famiglia mancata. Quando l’uomo ha il coraggio di leggere attraverso il buio dei meandri della sua anima, può scegliere effettivamente se proporsi in maniera nuova, come vuole il suo cuore, o ripercorrere strade battute e sterili. Nella nostra isola che non c’è ogni storia è una storia a sé... ogni sofferenza è una sofferenza a sé... ogni abbandono è un abbandono a sé… ogni solitudine è una solitudine a sé… In pratica, per noi l’isola che non c’è è il regno di Peter Pan dove fiaba e realtà possono intrecciarsi per disegnare il progetto di ogni ragazzo, così ogni bimbo sperduto con • nome: scritto sui documenti ma spesso ignorato e dimenticato • età: dai 12 ai 21 anni • provenienza: tutto il territorio italiano • corporatura: apparentemente adulta, vissuta, stanca • segni particolari: tracce di violenza psichica e fisica in questa comunità diventa un ragazzo più vero con un nome, una storia, un progetto. Non era un ragazzo di strada, ma semplicemente un ragazzo senza ali. Ali che la comunità è pronta a fornire usando l’immaginazione positiva. A volte, le favole fanno rivivere esperienze dimenticate, spostano in un mondo al quale non siamo abituati e insegnano a costruire una vita migliore. Pertanto, l’accoglienza del ragazzo riveste la caratteristica della “magia” per fargli respirare emozioni vitali soprattutto nei primi minuti dell’ingresso. Attualmente possiamo ospitare sino a 20 minori misti provenienti dalle emergenze sociali del territorio (legge 3/97 art. 4-6), dai Servizi Minorili del Ministero di Grazia e Giustizia in attuazione del DPR 448/1988, dai Servizi sociali delle ASL , dai Comuni… Sono ragazzi soli, abbandonati, deviati… ragazzi consumati, disamorati, sconcertati… ragazzi già uomini di strada… ragazzi con regole fuori dalle regole… ragazzi con un contenitore cognitivo da muovere con cautela… non ragazzi pazzi, ma ragazzi solitari, un tutt’uno con ciò che hanno vissuto …


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La prima unità residenziale è stata attivata il 22 gennaio 1997 ad Assisi. E proprio in quei giorni, il “Corriere dell’Umbria” dava notizia di una madre agli arresti domiciliari con un bambino di diciotto mesi. Decidemmo di accoglierla, gratuitamente, in via della Cooperazione 47. In brevissimo tempo abbiamo ospitato sette ragazzi. Fu un convivere arricchente che ci permise di mettere a fuoco l’attuale nostro progetto di comunità. Ma è stato difficile restare nella “città santa” in quanto i “minori a rischio” non erano residenti graditi probabilmente per una serie di pregiudizi (ignoranza, paura, insensibilità, insofferenza…). Chi non capisce il dolore molto probabilmente crede che non esista. Ma basterebbe conoscere le “storie dei nostri ragazzi” per “convertirsi” alla carità cristiana. Così, fummo costretti a cambiare residenza e ci spostammo in un appartamento a Bastia (via S. Michele Arcangelo). Aumentando gli ospiti, abbiamo cercato una sistemazione provvisoria a Costano (Via S. Elisabetta). Ora abbiamo due ambienti grandi e accoglienti e abbiamo deciso di prendere fissa dimora nelle sedi di Perugia (località Ripa - Via dell’Aeroporto) e di Bettona (località Bandita).

Le prime tre sedi storiche: Assisi, Bastia, Costano.


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Sede di Ripa: mq. 500 con 2 ettari di spazio verde


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Sede di Bettona: mq. 300 con 1 ettaro di bosco.


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Sede della Direzione e dell’Amministrazione a S. Maria degli Angeli


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Lo spazio della comunità è il naturale ambiente di vita situato in un normale edificio, inserito nel contesto sociale circostante. La struttura abitativa è organizzata in modo tale da permettere a ciascuno di muoversi come “a casa propria”… con un iniziale tocco fantastico perché deve presentarsi come un luogo prima da conoscere e poi da dominare. Se qualche volta passate davanti al nostro cancello, fermatevi un attimo. Sentirete pulsare la vita, quella vera Quella che ci obbliga al pianto e al sorriso, alla delusione e all’amarezza ma che ci prospetta ben altro. Se qualche volta passate di qua, fate piano, parlate sottovoce e posate il passo con leggerezza. Assorti e attenti potrete sentire … la voce di Pinocchio …il pianto di Cenerentola … il battito delle ali di Peter Pan Di notte, osservando il cielo umbro tra le miriadi di stelle, abbandonati con la schiena sprofondata nelle umide erbe del Subasio, noi siamo abituati a vedere un nuovo ragazzo capace di ridare “ali” a tutti i piccoli abitanti dell’Isola che non c’è. In verità, vogliamo che le nostre comunità rappresentino il cielo stellato con alcune costellazioni sempre lucenti e che servano ad orientare ogni navigante in posizione di smarrimento. L’ingresso in comunità richiede una minima disposizione a riconoscere le proprie difficoltà e a mettere un minimo di collaborazione per giungere a qualche cambiamento. Generalmente, la maggior parte degli utenti arriva in comunità provenendo da situazioni familiari caratterizzate da deprivazione affettiva e da forti elementi di disgregazione. Quindi, l’ammissione è condizionata dal decreto del Tribunale per Minorenni o dalle disposizioni degli organi preposti alla tutela dei minori. Da parte nostra al minore è richiesto, che al momento dell’ingresso, si assuma un impegno di studio o di lavoro, che condizionano la durata della permanenza nella comunità. Il senso dello stare in comunità viene così giustificato dall’evoluzione positiva dalla situazione di partenza. Al momento dell’ingresso in comunità, la maggior parte dei minori sono degli sconosciuti in quanto sono carenti le informazioni sulla loro storia, sulle famiglie dalle quali sono stati allontananti, sull’atteggiamento verso la società, la scuola e le altre istituzioni… Ma tale scarsa conoscenza del caso non comporta grossi disagi per chi gestiste la comunità, che tende a privilegiare il presente e non il passato. Talvolta, però, questo non sapere diventa ulteriore difficoltà a fare una valutazione preventiva se il gruppo è adatto al nuovo ospite.


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La tipologia di disadattamento degli ospiti è varia e complessa: spazia dall’autoaggressività all’aggressione tra pari, ai disturbi sociali, agli atti delinquenziali… In pratica in comunità convivono minori deprivati, disturbati e difficili, adolescenti pluriproblematici, ragazzi con incapacità di tollerare emotivamente la minima frustrazione, soggetti depressi, con tendenze al suicidio, con stati borderline di personalità, con genitori maltrattanti, con uso esagerato di droghe… Sembrano testardi, conflittuali, impermeabili al cambiamento… ma sono ragazzi e ragazze che provengono da esperienze dolorose di ricoveri in istituti, di affidamenti familiari che non hanno funzionato, di adozioni non accettate, di abusi di ogni genere, … Nel loro breve percorso di vita hanno occupato tanti spazi senza mai trovare un posto caldo e protettivo. Non li ha “uccisi” la solitudine né l’isolamento. Li ha maciullati quel sentirsi annullati da una presenza psicologica violenta, quel sentirsi controllati nel modo di pensare, quel sentirsi disfatti nei propri vissuti personali… Obbligati a difendersi dalla molteplicità dei rischi hanno improvvisato un falso Sé, che non sa mediare tra l’io che agisce, esperisce e conosce e il me che osserva, spiega e valuta (cfr. M. Mead – Mente, Sé e Società – Universitaria Firenze 1966). E così non sono più in grado di orchestrare le proprie tonalità affettive, non sanno mantenere una coerenza interiore, non sanno quale progetto seguire… Infatti, non navigano entro sponde sicure e non possiedono una base sicura per allenarsi a capire la vita. Non riescono a superare il rapporto che intercorre tra il Sé e l’Altro (non sanno accettarsi, non sanno amarsi, non hanno fiducia, vivono insicuri, mancano di autonomia, non partecipano affettivamente agli eventi…). Il loro Sé è stato profanato e umiliato mentre tentavano di costruirsi la loro intersoggettività per essere presenti nel mondo. Non hanno avuto la possibilità di esprimere la loro adeguatezza nel rispondere socialmente in prima persona. Non gli è stata data la possibilità di usare le proprie abilità cognitive. Non c’è stata la possibilità di sperimentare le proprie competenze relazionali… e così sono diventati teste piene di rabbia, di tristezza, di senso di onnipotenza... Al primo impatto, in loro si avverte l’abbondante fatica di vivere. Dietro analisi profonda, sembrano giocattoli rotti e abbandonati in soffitta perché nessuno li usa più o pupazzi che si agitano inutilmente.

L’èquipe educativa si compone di svariati operatori: medici, psichiatri, psicologi, psicoterapeuti, sociologi, pedagogisti, coordinatori responsabili, educatori, assistenti sociali, infermieri, animatori, artigiani, insegnanti, tirocinanti, obiettori di coscienza, volontari… La formazione è la base della vita stessa della comunità ed è la nostra buona carta di credito, perché essa prima di operare garantisce uno spazio di riflessione che impedisce di essere travolti dal quotidiano comunitario. Scambio e confronto tra egli operatori permette aggiustamenti, reimpostazioni e talvolta reiscrizioni di parti del progetto. Il fulcro della gestione è nelle riunioni della equipe dirigente, nelle riunioni settimanali


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degli operatori per la formazione, programmazione e verifica e nelle riunioni mensili di organizzazione. La supervisione psicologica è esplicata da uno psicoterapeuta esterno, mentre la supervisione tecnica, focalizzata sul prodotto del lavoro, è curata dal responsabile legale della comunità. Inoltre, l’autoformazione permanente è ottenuta con la stesura dei protocolli individuali e con la riflessione sul progetto generale e sui progetti educativi personalizzati, sulla concettualizzazione dell’azione pedagogica e sulle letture personali indicate dalla direzione. La valutazione del lavoro educativo da parte dell’equipe direttiva avviene seguendo alcune tracce implicite nelle finalità della comunità: identità personale, percezione di sé e degli altri, relazione con gli educatori e i coetanei, rapporto con le istituzioni (famiglia, scuola, società, chiesa…), uso del tempo libero, autonomia, senso della vita, memoria del passato, progetti per il futuro… In realtà, abbiamo notato che i primi dialoghi (parlami di te, cosa facevi prima di vivere in questa comunità, cosa pensi dei tuoi genitori, dove pensi che abbiano sbagliato nei tuoi confronti, a chi immagini di rassomigliare, parli con qualcuno dei tuoi problemi attuali, quando hai visto questa comunità cosa hai pensato, come ti trovi in comunità, pensi che questa nuova esperienza ti possa servire, che progetti hai per il tuo prossimo futuro, cosa ti dà maggiormente fastidio, quali sono i pensieri più ricorrenti che hai in testa, come vorresti vivere…) sono totalmente diversi dagli ultimi colloqui (com’è andata la vita in comunità, questa esperienza ti è servita, ti sei sentito accettato…). Non si presentano più come vittime né come protagonisti negativi, ma manifestano un cambiamento e si fanno voler bene da tutti. Non fanno il doppio gioco, ma cercano di “ambientarsi”. Non vivono alla giornata ma cominciano a condividere qualche “ambizione”. Non hanno paura di volare, ma cominciano a crescere. Non odiano ma comprendono. La parola “dovere” diventa “piacere”. La logica del “potere” si evolve in “solidarietà”… Finalmente, scoprono che la vita si può ripensare. La percezione della comunità da parte degli utenti (ragazzi e ragazze) varia da individuo a individuo e dipende principalmente dal tipo di relazione instaurata con gli operatori adulti della comunità (spazio di confidenza dialogica, disponibilità del sostegno emotivo, sentimento di accettazione, confronto con il modo di porsi dei vari educatori, affidabilità, riservatezza, delazioni, tradimenti…), con i coetanei (sentimento di appartenenza reciproca, negoziazione dei conflitti, chiarezza dei rapporti, amicizia…), con le regole (responsabilità, condivisione sociale, occasione per nuovi apprendimenti, necessità per la convivenza, significato del limite…) e con lo stile di conduzione dell’organizzazione. Quando si sentono “riconosciuti” eliminano le distanze, tendono a confermare le aspettative della comunità e trasformano il deserto affettivo in un piccolo verdeggiante giardino.


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Le fatiche e le principali difficoltà vanno riscontrate negli abbandoni da parte di alcuni operatori perché hanno trovato altro lavoro più sicuro o migliori occasioni. Il turn over degli educatori minaccia il clima relazionale faticosamente costruito durante il percorso di formazione. Ogni volta che cambia un educatore si perde la sicurezza di poter fare affidamento su un gruppo stabile e ben affiatato. Il continuo avvicendarsi degli operatori disorienta il funzionamento della comunità. Ma ci ha dato anche una nuova buona cultura del turn over: l’instabilità e la discontinuità degli operatori permette ai progetti flessibilità ed elasticità. Altri intoppi possono essere evidenziati anche nel sistema di turnazione che, data la sua peculiarità, non riesce ad accontentare le esigenze di tutti gli operatori. Il rapporto con il territorio non è prevalentemente conflittuale. Il venir meno della capacità di difesa della famiglia tradizionale ha reso le pareti sociali più penetrabili e chiunque può guardare meglio senza pregiudizi. Infatti, a questo indebolimento della struttura familiare ha corrisposto il senso del rafforzamento del volontariato. La rivoluzione culturale in atto facilita il cambiamento degli atteggiamenti e l’approvazione dei nuovi strumenti educativi. La gente prende coscienza del fenomeno, lo riconosce e comincia a facilitarlo.

Uno degli studi per i colloqui di psicoterapia con annesso il salottino di attesa.


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ABBIAMO CREATO UNA NOSTRA RETE DI SERVIZI PER FACILITARE IL CONTATTO CON LA GLOBALITÀ DEL VISSUTO SOCIALE · Piccolo Carro: cooperativa sociale che gestisce la comunità per minori (progetto “L’isola che non c’è”) e una serie di servizi per l’infanzia e l’adolescenza, quali ad esempio il Baby parking: una modalità di intrattenimento dei bambini non scolarizzati (progetto “L’erba voglio”); il Baby bus, il Telefono Psicologico 24 ore su 24…. · Grande Carro: cooperativa sorella che offre possibilità concrete di integrazione lavorativa a tutti gli ospiti che intendono ricostruire un futuro solido senza più frane. Si tratta di autentiche esperienze lavorative: laboratorio di falegnameria, restauro, montaggio porte, daghettato, pronto intervento, manutenzioni varie, edilizia, imballaggio, collaborazioni industriali per manifattura di tessuti… · La casa di Pietro: L’azione educativa, agita in questo ambiente accogliente e organizzato, riduce il disordine e il caos. Si tratta di una struttura efficace e ad alto livello che integra i vari piani comportamentali che portano al benessere individuale e sociale. · Assistenza pedagogica: didattica per apprendimenti lacunari, punti incontro-ascolto per genitori e docenti… psicologica: servizi di consulenza psicologica, psicoterapia, tirocinio per operatori vari e psicologi…. biomedica: prestazioni di terapie alternative finalizzate al benessere fisico… domiciliare: interventi di emergenza per situazioni di infermità temporanea o permanente… · Formazione: aggiornamento e perfezionamento a ciclo continuo per psicologi, operatori dell’educazione, della sanità, del mondo del lavoro… · Biblioteca specializzata: oltre seimila volumi di psicologia, psichiatria, medicina, sociologia, pedagogia, antropologia, sessuologia, letteratura… · Collaborazioni: con il CePASA di Spoleto (Centro di Psicologia Applicata e di Sudi sull’Apprendimento - associazione scientifico-culturale), gruppi di ricerca, Università…


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USIAMO UNA METODOLOGIA IN CONTINUA COSTRUZIONE E RICOSTRUZIONE Secondo la nostra ottica, gli educatori di comunità sono operatori socio-educativi (da noi meglio denominati joyleader cioè produttori di gioia), la cui funzione è aperta nell’ambiente circostante e radicata nel territorio per non restare isolata all’interno di una struttura, che altrimenti diverrebbe emarginata ed emarginante. Ma sono soprattutto degli educatori professionali perchè hanno chiare le idee su alcuni concetti che qualificano la loro competenza operativa. Contatto: Dal punto di vista pedagogico, ogni allontanamento temporaneo dalla famiglia dovrebbe servire per ricreare un nuovo intreccio di rapporti e di relazioni in un nuovo ambiente libero da tensioni e problematiche tali da non sfociare in ulteriori patologie interpersonali. L’operatore, pertanto, stando insieme ai ragazzi utilizza il principio rogersiano dell’accettazione incondizionata e totale. Accettare vuol dire assumere un atteggiamento non giudicante. Essere “accettanti”, però, non vuol dire essere “empatici”. Chi educa non mette nessuna maschera ma cerca di essere reale “hic et nunc”, non giudica ma comprende, non utilizza la permissività ma usa l’autorevolezza. Nell’atto educativo non conta la ricerca della causa né la sottolineatura della conseguenza, ma la percezione che ognuno ha di sé e degli altri all’interno del progetto, di cui l’educatore ha piena consapevolezza, affinchè ogni minore possa risolvere adeguatamente i propri conflitti, le proprie frustrazioni e i propri disagi nella partecipazione alla vita quotidiana. La comunità, così, diventa un secondo utero per una seconda rinascita. È un nascere contro che offre nuove condizioni per il cambiamento, percorsi alternativi alla ridefinizione della vita… utilizzando soprattutto i compiti che riguardano la conduzione della casa, la preparazione del cibo, la pulizia personale, la cura di sé, il gioco, le attività del progetto… insistendo sull’acquisizione dell’obbedienza alle regole essenziali di buona educazione e ai principi basilari per una corretta conduzione dell’organizzazione, per creare un clima minimo di fiducia reciproca e di sicurezza di sè, al di là di ogni senso puramente repressivo; infatti, le regole di conduzione della comunità mirano ad evitare lo scontro catastrofico con la vita quotidiana e servono alla riaffermazione dei valori dell’amicizia, della responsabilità, della interdipendenza positiva… Soprattutto alcune regole di base servono a garantire la sicurezza: nessuna violenza contro se stessi e gli altri (se si verificano episodi di violenza si discutono e si elaborano impegni scritti…), niente droga e alcool, niente sesso libero (ma educazione alla sessualità, all’amicizia, all’altruismo, all’apertura affettiva, all’incontro d’amore…). Perché le regole? Le regole, se sono il risultato delle aspettative reciproche, diventano un elemento tranquillizzante che dà stabilità alla vita quotidiana perché non vengono


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percepite scariche di valenze persecutorie e il gruppo non fa più da cassa di risonanza alle proprie tentazioni. Un sistema di idee condivise diventa teoria implicita: il minore è un oggetto sociale da “dominare” cognitivamente e emotivamente attraverso schemi e semplificazioni che ne possono far vedere gli esiti. Perché l’autorevolezza dell’adulto? La letteratura psicologica afferma che il bisogno di rispecchiamento del minore nell’adulto significativo (genitore, educatore, docente…) ha un’importanza basilare per il processo di autostima e per l’acquisizione di una propria identità sociale, anche se con l’età il bisogno di guida tenda ad essere trasferito sui coetanei. La comunità diventa la bottega dove ogni minore fa l’apprendista. Resta chiaro che per favorire la crescita in tutte le direzioni è importante cercare il coinvolgimento della famiglia d’origine (in vista in un possibile reinserimento), la scuola, i servizi territoriali… In una comunità educante ogni elemento ha un suo valore e porta un proprio contributo. Affettività: Nell’ambito della relazione educativa l’aspetto affettivo va chiaramente distinto da quello professionale, al fine di evitare legami emotivi fortemente connotati che danneggerebbero la crescita dell’autonomia personale del ragazzo in quanto si potrebbe sviluppare una relazione confusa, mistificatoria, mascherata, non autentica. Abitualmente, l’ostacolo implicito in certe complicità viene risolto con la differenziazione dei ruoli operativi nei vari campi di competenza: organizzazione interna, dimensione sociale, aspetto pedagogico, attenzione terapeutica… Tale diversità libera dai rischi dei vissuti di onnipotenza suggeriti dalla compassione del singolo educatore per il ragazzo in disagio. Non genera confusione dei ruoli. Quindi, le differenze di posizione mantengono i valori di fondo. E sono questi vari codici espressivi, ben strutturati, che producono comunque effetti non riconducibili interamente all’operato del singolo. Le parti strutturano l’intervento. Del resto, i processi di crescita di una persona non sono influenzati solo dalle caratteristiche ambientali ma anche dalla coordinazione dei ruoli che rivestono le persone che educano. Nessuno può supplire ad una mancanza ricoprendo ruoli parentali assenti o negativi, ma tutti possono contribuire alla realizzazione dei bisogni evolutivi del minore. Così si evita di cadere nelle sabbie mobili. Ormai nessuno dà valore scientifico alla cultura psicologica tradizionale che enfatizzava l’importanza dei primi anni di vita sostenendone l’immodificabilità dei loro effetti disastrosi (cfr. Trauma, complesso, blocco...). Oggi la ricerca scientifica è attestata sul fatto che, durante i processi di sviluppo, conta la relazione. La personalità si struttura principalmente sulla relazione. Di conseguenza, l’operatore, data la sua precarietà, evita la presa in carico totale del ragazzo per non esporlo a ulteriori attaccamenti e a dolorose separazioni e distacchi. Prendersi cura, al di fuori della famiglia e della rete sociale, è un servizio che assicura la protezione dai pericoli, dal disagio e dalla sofferenza, garantendone l’incoraggia-


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mento a sviluppare le proprie potenzialità sociali e intellettuali per diventare una “persona totale autonoma” … L’educatore sostiene il cammino verso l’autonomia dei figli altrui senza slanci invadenti. Sostegno senza sostituzione. A nostro parere, cercare di sublimare o allontanare il male dalle figure parentali per salvarle come genitori interiorizzati, non è sufficiente per sostenere il peso dell’investimento emotivo. Riattivare le passate fantasie elaborate da bambino, comunque, aumentano le difficoltà del rapporto. Quindi, l’educatore non può prendersi il lusso di soffrire insieme al ragazzo o per il ragazzo. Se soffre rischia di perdere la forza e l’equilibrio del guidare con lucido distacco. Spesso, del resto, si rischia di giocare con forme di improvvisazioni emotive. Manca il legame naturale della coerenza genitoriale. E le incoerenze non pagano, anzi aprono il varco verso le sabbie mobili. I ragazzi di comunità sono sabbie mobili e l’educatore non può caderci dentro. Vengono da esperienze che li hanno abituati a tutto: genitori affidatari, assistenti sociali, psichiatri, psicologi, giudici, poliziotti, guardie penitenziarie, carabinieri…famiglie temporanee, ospedali, questura, tribunali, carcere… droga, alcool, violenza, maltrattamento, abuso, prostituzione, spaccio… Processo educativo: A proposito sono state elaborate una serie di schede personali per avere sotto controllo l’andamento all’interno della comunità dal momento dell’ammissione al momento della dimissione (cfr. scheda sociale, profilo dell’osservazione diretta, mappa descrittiva dei comportamenti e degli atteggiamenti… intervista clinica, questionari, test…). Si tratta di strumenti che permettono di tratteggiare un quadro vivacemente realistico della vita dell’ospite. Per evitare la discontinuità comunicativa con la conseguente rottura del clima relazionale, gli educatori hanno incontri settimanali di scambio informativo e un incontro di verifica mensile. Il coordinatore raccoglie le osservazioni secondo un criterio descrittivo e non interpretativo e le sottopone alla riflessione degli educatori per cercare di restituire il vero significato agli eventi al di là delle eterogeneità, contraddizioni, ambivalenze, disfunzioni, alleanze, complicità… Il continuo confronto sugli indicatori e sugli obiettivi costruisce la vita senza deformarla: Alcuni indicatori: • indicatori di stato: cognitività • indicatori di processo: integrazione/opposizione • indicatori di risultato: abilità Alcuni obiettivi: • acquisizione di un buon grado di autostima e di valorizzazione delle risorse personali • sviluppo di una coscienza critica nei confronti della realtà • elaborazione del vissuto personale e familiare • promozione della socializzazione e dei comportamenti prosociali • interiorizzazione delle regole interne ed esterne della comunità


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• preparazione dei pasti • conduzione dei lavori domestici (lavanderia, pulizia ambienti…) • responsabilizzazione nella gestione del denaro • cura degli spazi • allevamento e cura di animali • educazione all’igiene e alla cura della persona • acquisizione di competenze tecniche e professionali • avviamento al lavoro Stare in comunità per noi è osservare il movimento dell’educare: dal tempo biologico al tempo pedagogico per recuperare la storia passata, vivere il presente e progettare il futuro. In tale percorso l’educatore è un audace interprete del quotidiano, istruttore del vissuto giornaliero, catalizzatore degli attimi di serenità... La vita comunitaria è innanzitutto pratica educativa. La diagnosi educativa non è un giudizio sul minore ma un evidenziamento delle potenzialità inespresse, è un punto di partenza per elaborare un programma educativo differenziale, discrezionale e ridefinibile in qualsiasi momento per un allargamento dell’analisi. Il progetto educativo generale della comunità vive dei mini-progetti educativi individuali. Dal progetto presunto (ideale) al progetto palese (reale) come operazione di ottimizzazione. Il lavoro educativo con ogni singolo minore viene puntualizzato e coordinato dalla direzione terapeutica al fine di assicurare le condizione per un normale processo di crescita e per permettere il recupero dei ritardi evolutivi. Si lavora anche in funzione di una possibile modificazione del contesto familiare e ambientale al fine di garantire un rientro con effetti positivi. È ovvio che la messa a punto di questa operazione è un lavoro delicato e complesso perché si tratta di sapere come tradurre bisogni, desideri e richieste attraverso un progetto realistico in funzione del benessere del minore. È evidente che gli interventi di risocializzazione prevedono compiti domestici quotidiani, attività pratiche, apprendimento dall’esperienza, lavoro di gruppo, incontri su discussioni tematiche, apprendimento scolastico, libera ricreazione, uso educativo del tempo libero (sport, teatro, cineforum, arte…). Non si fanno miracoli né guarigioni miracolose. L’agire quotidiano e ordinario diventa fatto educativo straordinario: oltre ad essere un’azione che dura oltre, in quanto produce esiti dalla tangibilità immediata, è anche un’azione che provoca altro, perché innesca metamorfosi. Il tutto si ispira ad un modello di vita familiare. In tal senso la comunità va considerata come un luogo di crescita attraverso la vita di gruppo e, quindi, un territorio di transizione, dove si arriva per imparare ad andarsene per le strade del mondo comportandosi da veri galantuomini.


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Integrazione dei programmi educativi individuali nel progetto generale di comunità: Il progetto educativo di base predilige la fiaba, l’immaginario, il simbolo, la metafora… che diventano gli elementi su cui lavorare per ritrovare le dimensioni smarrite delle singole personalità. Si lavora con l’immaginario per ritrovare l’io disperso. Fiabe come evasione dal quel “carcere” dove ognuno si sente imprigionato. Ogni fiaba diventa mistica (guarda al sovrannaturale), magia (entra nella natura non conosciuta) e umanità (rispecchia la realtà della vita). c’era una volta… come spazio dove si ristruttura la mente: Pinocchio non era un pezzo di legno, ma uno di quelli buoni e non serviva solo ad accendere il fuoco. I nostri ragazzi sono fondamentalmente paragonabili a questo pezzo di legno. Sono tronchi d’albero con una corteccia profonda da non permettere di entrare all’interno dell’anima. Ma se un falegname riesce a plasmare il legno con il cuore ne tira fuori un desiderio chiamato Pinocchio. Geppetto sa vedere e sa come tirare fuori la vita. Realtà e fantasia non sono canali separati. I ragazzi sono scatole di emozioni. Sono eroi per caso. (cfr. P. Salerno – Nell’isola che non c’è la curiosità diventa terapia – Una favola nella favola - pp. 63-69) familiarità … come luogo dove si costruisce la vita: Il ragazzo non è “quello che io vedo”. Il ragazzo abituato a stare in strada è un ragazzo che vive la vita in ogni suo momento con espedienti. La strada non offre il tempo per pensare, non fa ragionare… In strada vince il più veloce, il più forte e il più furbo. Egli è ciò che fa e per questo non è in grado di teorizzare. Non è poesia perchè vive solo di prosa. Manca l’abbraccio naturale dei genitori. Il nostro ragazzo è un ragazzo dall’età negata: è feto non voluto, cellula rifiutata, persona non amata... Si è consumato prima del tempo ed è diventato un ragazzo al limite. È un ragazzo che ha fallito l’accomodamento nelle nuove famiglie approssimate. Non ha stabilità affettiva. È un contenitore vuoto dove le esperienze più strane e dilanianti sono cadute dentro e a cui non è in grado di dare un posto, un nome, un significato… Il contenitore emana sensazioni piacevoli o spiacevoli secondo come è mosso e secondo il genere di confusione che provoca. Il nostro ragazzo non conosce la parola sentimento: ha dovuto imparare a non provare nessun sentimento per sopravvivere. Per questo motivo non è possibile lavorare partendo dai danni subiti. È un tutt’uno con ciò che ha vissuto. L’angoscia profonda è la sua normalità. Non c’è speranza nei suoi pensieri, ma solo fame. È fame più che desiderio. Quindi, occorre aggiungere nuove positive esperienze dentro il contenitore per rimpiazzare quelle negative. L’acqua sporca cederà il posto all’acqua pulita. pet-therapy … come occasione per addolcire i contatti: La pet assisted therapy (terapia coadiuvata da animali da compagnia) è un ausilio terapeutico, conosciuto già nel 1792, che noi utilizziamo come supporto alla situazione di


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disagio e di immaturità. Gli animali fanno da mediatori e diventano coterapeuti in quanto essi hanno un “carattere” fisso, sempre con le stesse caratteristiche e per questo danno gratificazione, attraggono senza tradire, fanno muovere in un clima di sicurezza, scatenano sentimenti di protezione e di contatto, danno affettuosità e ubbidienza gratuita, soddisfano le necessità della vita emozionale, attivano forme di socializzazione e di interazione... Gli animali diventano veri e propri lubrificanti sociali. Ammortizzatori di stress fisico ed affettivo. biblioteca… come scoperta del tempo perduto: La lettura ha un grande valore terapeutico in quanto amplia la visione della percezione della realtà e stimola il cambiamento. L’assenza di un’evoluzione culturale, avendo impedito l’accettazione e l’interpretazione della storia individuale, può essere recuperata attraverso il rispecchiamento della vita da parte di alcuni scrittori e attraverso la riflessione sui problemi esistenziali ad opera di alcuni specialisti. ogni momento… come il momento per crescere: Il colloquio psicologico non avviene nell’ambito del classico lettino o della sedia bollente, ma viene agito al momento in cui si crea l’occasione e il ragazzo apre quella porta che ha sempre voluto tenere chiusa. Ogni momento può essere il momento terapeutico soprattutto quando si sta in gruppo. Da noi la terapia di gruppo non è chiamata tale perché sarebbe rifiutata. Diamo un breve accenno di alcuni lavori in gruppo (cerchio). Il circle-time diventa il “giro delle carezze”. I nostri ragazzi sanno di avere alcuni minuti speciali di attenzione per esprimere i loro pensieri e il senso degli eventi della loro esistenza. Per alcuni, ripartire dalla vita fetale attraverso una serie di giochi corporei proposti dai personaggi delle fiabe, significa colmare quei vuoti generati dalla esperienza ambientale. Dalla globalità di tanti linguaggi (musica, colore, suono…) si arriva all’individualità del soggetto che scopre il ritorno alla gioia di vivere che è nascosta in ognuno di loro. Scintille di autenticità che restituiscono tutti i sapori e i colori del vivere. Il “gioco degli angioletti” diventa l’incontro con l’altro per avere quelle coccole emotive che fanno prendere coscienza dei propri sentimenti in un’esperienza d’amore. Così ognuno ha la possibilità di provare che le relazioni autentiche, come le regole della convivenza, formano il carattere, insegnano la sensazione di amare e di sentirsi amati, fanno apprendere il controllo delle reazioni rispetto agli acting-out (comportamenti distruttivi, cortocircuiti impulsivi…), abituano ad evitare i conflitti inutili.. Stando assieme agli altri si apprende la crescita piuttosto che la perfezione… si prende coscienza della propria realtà senza sentirsi psicoanalizzati… o colpevolizzati. L’incontro di gruppo tematico permette di discutere su un argomento proposto dall’educatore o da un ospite (stima, rispetto, responsabilità, buone maniere, educazio-


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ne, amicizia, cultura, solidarietà…). Si lavora come il contadino sul campo che sta attento a tutto ciò che avviene sul terreno per non rovinare ciò che coltiva. Per un contadino amare è ascoltare il tremore delle zolle intirizzite, è stupirsi del frutto che non c’è, è cogliere la melanconia dei rami nudi, è capire i fremiti dei nuovi germogli… Non è il silenzio dell’orto. E soprattutto si cerca di rovesciare una brutta legge del branco: nelle azioni positive il gruppo isola, mentre nelle azioni negative il gruppo appoggia, sostiene e protegge. un territorio aperto alla globalità del benessere: Vengono privilegiate le terapie naturali alternative, tipiche dei centri di benessere. Quindi, quando lo staff medico-psicoterapeutico lo ritiene opportuno, la cura farmacologia viene sostituita con rimedi di medicina ayurvetica, omeopatia, naturopatia, fitoterapia… … e infine si fanno tante altre esperienze: ambientazioni, temi, scrittura creativa…

Stanze dove si pratica la ricerca individuale o di gruppo con l’uso della biblioteca.


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CERCHIAMO DI SEGUIRE I SEGUENTI PERCORSI DI BASE DI ORIENTAMENTO NELL’AZIONE EDUCATIVA Passaggi educativi per i minori ospiti: - accoglienza: chi sei, chi siamo, cosa facciamo… - contatto: analisi dell’uso delle capacità residue: un individuo si modifica partendo dal positivo, da qualcosa che già esiste e su cui si possa costruire il cambiamento. Ogni ragazzo è una carta bianca sui cui si colora senza usare preconcetti o cartelle di presentazione. Il “foglio bianco” si riempie tenendo conto che ogni colore assume diverse tonalità a seconda chi gli sta vicino… - sverniciatura: cogliere dove inizia il disagio e dove inizia la maleducazione; capire il confine tra aggressività necessaria e senso di responsabilità… - relazionalità: stare con l’altro è scegliere un operatore referente che sa accogliere senza parlare del “disagio”… - terapia globale: comportamentale, cognitiva, sociale… occupazionale… integrazionale…

Bussole psicopedagogiche per gli adulti educatori: - fissare collegialmente gli obiettivi della vita comunitaria, non vista come naturale, ma vissuta come gruppo autoeducante evitando psicologismi, intimismi, moralismi, narcisismi, false alleanze, aggressività sotterranee, colpi bassi… - operare con creatività professionale prevedendo i rischi, garantendo il rispetto della legalità e dei regolamenti, muovendosi secondo le logiche delle finalità organizzative… - discutere le conseguenze e i risultati dei programmi chiarendo i limiti, le responsabilità, il rispetto dei ruoli… - rispettare la naturale leadership per facilitare la soluzione dei conflitti e la condivisione delle decisioni… - valorizzare le competenze e le potenzialità inespresse di ogni singolo membro… - abituarsi allo stile democratico partecipativo di tipo cooperativo: le decisioni vengono prese senza perdere di vista l’opinione delle minoranze... - favorire la mobilità per evitare la strutturazione della relazione con gli ospiti e la possibilità di squalifica del ruolo educatore… favorendo la pluralità dei modelli attraverso l’arricchimento delle presenze socializzanti… a vantaggio dell’unità e continuità culturale dell’organizzazione… - educare significa imparare a essere l’ultimo nella ricerca della gratificazione personale: la gratificazione dovrà provenire dalla cooperazione al raggiungimento del pro-


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getto fissato in èquipe (maturità collaborativa). La crisi della presenza, se vissuta positivamente, fa comprendere il valore della “prosocialità” nel contatto e nei primi approcci, nell’incapacità a fronteggiare la situazione... - iniziare a fare l’educatore significa cominciare ad apprendere a costruire la mappatura dei bisogni dei minori, utilizzando autodefinizioni, osservazioni, interviste a tema... dando visibilità all’invisibile... senza forzare le identità soggettive dentro la cultura della Comunità... Burn out professionale: La prima selezione del personale mira a individuare operatori psicologicamente equilibrati e a verificare il livello di conoscenze possedute circa lo sviluppo, il comportamento umano e la gamma di deviazioni possibili, l’organizzazione sociale del piccolo gruppo, la differenza tra educazione e terapia e gli elementi basilari della conduzione di una struttura residenziale. Tutto ciò, la formazione iniziale e l’aggiornamento, però, non garantiscono la prevenzione del burn out (cfr. scheda in “Interprofessionalità” n.78/2000). Infatti, abitualmente, si registrano difficoltà nel raggiungere un accordo sul mantenimento del sistema, sul modo di raggiungere uno stile buono e utile di interazione reciproca, sulla promozione di un clima soddisfacente per tutti durante l’assistenza residenziale… Per evitare lo stress professionale, pertanto, ad ogni singolo operatore viene applicato un questionario messo a punto per esplorare gli aspetti più significativi della sua azione in comunità (storia culturale e professionale, esperienze di formazione, corsi di specializzazione, modelli di riferimento… situazione lavorativa, previsioni di continuità, orari di lavoro… livelli di soddisfazione, problematiche con gli ospiti e con i colleghi… attività di comunità, progettazione educativa, metodologia di lavoro, supervisione, valutazione…(cfr. questionario del quaderno n. 5 “Educare in comunità” - Regione Toscana - Coordinamento Nazionale Comunità per Minori 1993). L’operatore deve essere protetto dal rischio di diventare un inquieto fantasma che segue l’ossessivo andare dei suoi passi e l’ansioso scorrere delle ore… La comunità non deve tessere vissuta come un arido cammino di ossa polverose, né un calendario di nomi tracciati sulla lavagna delle presenze quotidiane, né uno specchio dove ognuno cerca la riflessione di se stesso… ma un terreno familiare che insegna a prendere il futuro nelle proprie mani… Quando l’esperienza non attinge ad un personale processo di elaborazione porta inevitabilmente al rammarico e all’insoddisfazione di ciò che si fa. Si crede di conoscere ciò che si compie ogni giorno ma se ne subisce l’illusione del gesto quotidiano: l’apparente sapienza mostra tutta la sua debolezza. .. all’entusiasmo iniziale segue la delusione delle aspettative… la mancanza di criteri e di metodi di verifica per ciò che si fa, i limiti e le ambiguità fanno entrare nel cortocircuito emotivo… Allora, stretti dalla morsa di un presente disorientante per il proprio futuro lavorativo, i piccoli inevitabili problemi quotidiani assumono l’aspetto di difficoltà insormontabili. Per chi intende conoscere meglio i principi e le modalità di conduzione delle nostre comunità, lo invitiamo a leggere il volume sul “Piccolo Carro” di prossima pubblicazione (tel. 075 – 8043898)


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Corso “BABY-JOKER” creatore di giocosità Non si tratta di un corso finalizzato alla gestione di un banale parcheggio per bambini. La proposta formativa è centrata sul bisogno di imparare ad attrezzare strutture educative aperte e dinamiche che promuovano la creatività come occasione culturale, l’attenzione psicologica come strumento flessibile per la crescita individuale, il gioco pedagogico per la cancellazione di false esigenze... e soprattutto per far apprendere esperienze interpersonali significative. OBIETTIVI: - favorire la crescita psicofisica del bambino (0-6 anni) - incentivare i processi di socializzazione infantile - promuovere attività creative contro l’isolamento e la solitudine infantile - acquisire abilità psicosociali finalizzate alla conduzione di comunità infantili - facilitare la serenità del diritto dei genitori al lavoro e all’uso del tempo libero - restituire dignità professionale agli operatori - insegnare la maturità collaborativa CONTENUTI generali: Area psicologica e sociologica: i problemi della crescita e dello sviluppo del bambino identità e ruolo degli operatori del baby parking Area pedagogica e metodologica: elementi di programmazione e valutazione maturità collaborativa nella gestione di un progetto Area dell’animazione: giochi formativi finalizzati a far acquisire le abilità professionali DURATA: cento ore

Corso “JOYLEADER DI COMUNITÀ” produttore di gioia E’ una proposta di progetto formativo (master) per l’educatore di comunità che ha come sfondo il rinforzo del pedagogico rispetto alla genericità del sociale. In questi ultimi decenni, infatti, le attenti analisi dei processi del cambiamento hanno risvegliato l’attenzione verso nuove problematiche inquietanti e drammatiche della condizione infantile e giovanile. Con il presente progetto si intende offrire una opportunità di imparare a leggere il fenomeno in chiave nuova onde trovare risposte più adeguate e realistiche che abbiano valore sia per il soggetto che per il gruppo. Più che prediligere l’intervento sul gruppo, preferiamo orientare i partecipanti ad agire anche sull’individuo in modo più mirato, centrando il cuore della persona. Alla logica gruppale deve subentrare il valore della specificità del caso poiché un “io debole” non può subito “fare gruppo”. Il corso si propone la sperimentazione per vedere se questo nuovo percorso funziona o meno. Finalità generale del corso, dunque, è il creare un nuovo tipo di animatore che, oltre a saper agire, sappia progettare in modo specifico e flessibile puntando alla singolarità dell’intervento. Si tratta di abbandonare un po’ la filosofia dell’abituale per immergersi nella sfida dell’insolito introdotta dalla modernità. Animazione non più come arte, ma come un ventaglio aperto ed arricchente di competenze più complesse che mettano in condizione di collaborare in team per costruire progetti di vita controllabili e valutabili senza rigorismo scolastico ma con l’elasticità dell’extrascuola e della cultura del riconoscimento delle diversità... Obiettivi: - acquisire conoscenze in campo socio-psico-pedagogico e i fondamenti epistemologici - sviluppare capacità di lettura nei contesti sociali (gerarchia dei reali bisogni, problemi di una comunità, punti forza...) - fornire strumenti della promozione del benessere alla luce dell’analisi organizzativa multidimensionale - apprendere criteri di progettazione, di intervento e di valutazione degli esiti educativi - avere abilità relazionali e qualità umane sui diversi piani sociali


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Articolazione delle discipline: - Psicologia e pedagogia della formazione (50 ore) - Sociologia del disagio dell’operatore e dell’utente (10 ore) - Patologia psichiatrica e micropatologia del sociale (10 ore) - Condizione minorile e profilo socio-giuridico (10 ore) - Distensione e benessere neuro-psichico (10 ore) - Animazione (30 ore) - Teorie e tecniche dei “giochi psicologici” (30 ore) - Metodi e strategie di conduzione di una comunità (50 ore) Si elencano alcuni contenuti della formazione: analisi multidimensionale dell’organizzazione; personalità di contatto; maturità collaborativa; percezione di sé e degli altri; comprensione e educazione tra ascolto e informazione; analisi di un problema, negoziazione e processi di decisione; i fondamentali strumenti dell’educatore-formatore; la presenza efficace; la mobilitazione dei processi di pensiero individuale e di gruppo; l’allenamento a restare sul tema; l’immersione nelle acque della propria e altrui interiorità gradualmente senza angosce e senza scatenare sentimenti di colpa (perdita di controllo, slatentizzazione di nuclei psicopatologici...); la relazione simmetrico-negoziale; l’analisi e valutazione delle abilità sociali dei vari membri del gruppo; le differenze cognitive, razionali ed irrazionali, dei comportamenti; le tecniche di gestione e controllo degli atteggiamenti di disabilità sociale; la comunicazione competente nell’informazione, nella formazione e nella consultazione; l’ascolto come flusso di stima; le tecniche di gestione della critica, della polemica, dell’opposizione...; la conduzione di un colloquio, di una discussione, di un dibattito, di una riunione...; la valutazione dello stile relazionale (assertività, aggressività e passività)…; la gestione dello stress e della tensione morale (burn-out...). La condizione adolescenziale e il disagio tra teoria della personalità e teoria dell’aiuto. L’indirizzo neorogersiano: dall’ascolto centrato sulla persona al metodo cognitivo-comportamentale. Oltre l’ascolto attivo: dire esplicito e dire implicito (conduzione di un gruppo-incontro con esercitazioni). Tecnica riflettente e confini teorico-applicativi (Rogers, Gordon, Carkhuff, Tausch, Brazer...). Orientamenti nella soluzione dei problemi di comunicazione in classe e in altri ambienti. La conduzione di un gruppo di lavoro e di una dinamica di gruppo. Giochi di animazione e giochi psicologici. Altri argomenti suggeriti dai partecipanti Criteri metodologici: La didattica usata è quella attiva: ai seminari teorico-pratici seguiranno discussioni, simulate, esercitazioni mirate; i vari moduli tematici saranno coordinate da un tutor; ogni partecipante potrà accedere ai laboratori multimediali per approfondire i propri interessi di ricerca. Docenti: Aristei Cristina (psicologa, presidente coop sociale di Comunità per Minori) - Cocchi Franco (psicologo ASL, Perugia) - Dinardo Michele (psicologo rogersiano, Venosa) - Natalicchi Luca (psichiatra Junghiano, Perugia) - Mazzetti Luciano (cattedra di pedagogia, università di Roma) - Menga Renzo (formatore e operatore multimediale, L’Aquila) Minio Antonino (psicoterapeuta, facoltà di medicina e chirurgia, università di Perugia) - Panfili Osvaldo (editore, Arrone) - Rossi Giovanni (giudice, Perugia) - Tordelli Piero (sociologo, Macerata) – Salerno Pietro (psicologo, conduttore di Comunità) Partecipanti: Numero programmato massimo di 20 persone, dietro colloquio di selezione. Requisiti culturali di ammissione: Laurea o diploma di scuola superiore o esperienza lavorativa come volontario in qualche comunità almeno per un anno o come operatore nel settore socio-sanitario, nell’area scolastica, nell’ambito educativo-ricreativo o aziendale. Modalità di iscrizione: Domanda in carta semplice in apposito modulo, fotocopia del titolo di studio, fotografia, curriculum culturale, professionale e scientifico. Certificazione di frequenza: Alla fine della formazione chi avrà frequentato per almeno l’80% del monte-ore, avrà superato l’esame finale e avrà elaborato una tesina, riceverà un attestato-diploma di esperto nella conduzione di comunità nel ruolo di joyleader Durata: duecento ore di lavoro d’aula e cento ore di esercitazioni individualizzate.


interprofessionalità

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Saggi teorici, resoconti di esperienze, contributi di ricerche e programmi d’intervento di vari Autori italiani e stranieri resi al CePASA in congressi e seminari di studio, sono stati raccolti secondo uno schema organico e operativamente utile. Leggere è sempre un buon investimento culturale! AGGRESSIVITÀ E COMPORTAMENTI DIFFICILI (484 pagine) L. 50.000 NELL’ISOLA CHE NON C’É

TIMIDEZZA E INIBIZIONE SOCIALE (372 pagine) L. 50.000

la curiosità diventa

COMUNICAZIONE UMANA E CONDUZIONE DELLA CLASSE (276 pagine) L. 35.000

terapia

CONOSCO UNA SCUOLA DOVE TUTTI VANNO MA CHE NESSUNO FREQUENTA (580 pagine) L. 60.000 IL CORAGGIO COME VITA, EDUCAZIONE E AMORE (758 pagine) L. 105.000 - Cofanetto con tre volumi

C. Aristei, A. Minio, P. Salerno

NELL’ISOLA CHE NON C’È LA CURIOSITÀ DIVENTA TERAPIA (548 pagine) L. 50.000

Percorsi formativi per educatori

MINIMO VITALE (333 pagine) L. 30.000 MESTIZIE (in press … disordini della personalità, nevrosi, psicosi…) SAGGEZZE (in press … tutto ciò che serve alla professione docente...) TENTAZIONI (in press… valori, società, politica, denaro, tempo libero…)

Antonino Minio

Antonino Minio

Fragilità

Antonino Minio

Superficialità

Mediocrità

strumenti psicologici per il mondo degli affetti

zainetto psicologico per il duemila Pag. 333 - £. 30.000

minimalia per la formazione Pag. 336 - £. 35.000

Pag. 344 - £. 40.000

I primi cinque volumi sono dati in omaggio-benvenuto, sino ad esaurimento, a chi diventa Socio CePASA


INTERPROFESSIONALITÀ Periodico mensile dell’associazione scientifico-culturale CePASA di Spoleto Ce.P.A.S.A. Centro di Psicologia Applicata e Studi sull’Apprendimento Viale Marconi, 148 - 06049 Spoleto (PG) - Casella Postale 134 Tel. e Fax 0743 / 48076 - Cell. 0338 / 8364421 Dal 1975 per la “persona” attraverso una “psicologia integrata” alle altre scienze

Il periodico è inviato gratuitamente ai Soci e a tutti coloro che «sostengono» le iniziative del CePASA e del Piccolo Carro Questo fascicolo è stato chiuso nel mese di Ottobre 2000 ed è stato stampato in 3.000 copie Direttore responsabile: Antonino Minio SOCI INCARICATI REFERENTI DELLE SEDI Ce.P.A.S.A. DI SPOLETO: Umbria:

Assisi 06080 - c/o Coop. Sociale Il Piccolo Carro - Zona industriale S. Maria degli Angeli - Tel. 075/8043898

Marche:

S. Ginesio 62026 - Via Vallimestre, 1 - Tel. 0733/656864 (P. Tordelli)

Campania: Casapulla 81020 - Via Brodolini, 19 - Tel. 0823/460860 (G. Di Martino) Avellino 83100 - Via G. Matteotti, 10 - Tel. 0339/8347764 (R. Postiglione) Lazio:

Roma 00199 - Viale Libia, 93 - Tel. 06/86214089 (C. Aurigemma)

Basilicata:

Venosa 85029 - Via Emilia, 3 - Tel. 0972/35622 (M. Dinardo) Potenza 85100 - Tel. 0972/33672 - Cell. 0338/1826975 (E. Giuralarocca) Matera 75100 - Tel. 0835/335597 (A. Falcone)

Si cercano soci per apertura di nuovi “punti” dell’associazione CEPASA Tel. 0743/48076 - cell. 0338/8364421 Fax 0743/48076 Sito internet:

www.cepasa.it

Casella e-mail:

minio@cepasa.it

La collaborazione è aperta a tutti. Manoscritti, dattiloscritti e fotografie, anche se non pubblicati, non si restituiscono. Inserzioni e articoli sono liberi da compensi economici. La responsabilità delle opinioni espresse sugli articoli firmati compete ai singoli autori, dei quali si intende rispettare il libero pensiero e la piena libertà di giudizio. Tutti i diritti sono riservati. È permessa tuttavia la riproduzione di testi senza autorizzazione scritta purché venga citata la fonte ed informata l’associazione PROPRIETARIA CePASA - Viale Marconi, 148 - 06049 SPOLETO. La Legge 675/96 sulla “Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali” obbliga ad informare che i Suoi dati sono inseriti nella nostra “mailing list”. Garantiamo che tali dati sono utilizzati esclusivamente per l’invio delle nostre iniziative e sono trattati con la massima riservatezza. È Sua facoltà richiedere la rettifica e la cancellazione degli stessi. ———— Autorizzazione del Tribunale di Spoleto del 13-11-90 al n. 70 Registro Giornali e Periodici Grafica, Composizione e Stampa: Litostampa 3B - Spoleto Copertina di Pietro Salerno - Foto di Paolo Bartoccioni

in consociazione Cooperativa Sociale a r.l. PICCOLO

CARRO

Sede Legale: Via Primo Maggio, 13 - Bastia Umbra (PG) Sede Amministrativa: Via Zona Industriale - Santa Maria degli Angeli - Assisi (PG) Tel. / Fax 075/8043898 Comunità per Minori - L’isola che non c’è Via dell’areoporto, 26 - Ripa (PG)

sito Internet: www.piccolocarro.it

Babyparking - L’erba voglio Via Mecatti, 19 - S. Maria degli Angeli - Assisi (PG)

e-mail: segreteria@piccolocarro.it


Una rivista aperta a tutto e per tutti “Interprofessionalità” è una rivista per dirigenti, docenti, genitori, medici, psicologi, pedagogisti, sociologi, assistenti sociali, operatori di comunità, amministratori... ed è scritta per essere letta e capita da tutti. Chi desidera riceverla può immediatamente aderire al CePASA, in qualità di socio sostenitore con un contributo straordinario minimo di £. 100.000, e così favorire la pluralità del dibattito culturale. Non contano solo le idee degli “esperti” ma anche quelle di coloro che vivono direttamente un problema. Le riviste con sole “immagini” o con tanta “pubblicità” rischiano di diventare libri per ignoranti...

Se ti tolgono la parola INTERPROFESSIONALITÀ ti presta la sua voce Occasione per chi vuole essere e sentirsi presente con idee nuove e concrete! Sostieni la cultura... Contribuisci associandoti... Invia la tua adesione a

Associazione Culturale CePASA Centro di Psicologia Applicata 06049 SPOLETO (Pg)

C/C Postale n. 12902060

Argomenti monotematici dei numeri precedenti: Leadership e management - La solitudine dei dirigenti - L’isolamento nelle carceri - La libertà del piacere di essere vecchio. L’educazione sessuale entra nella scuola - Una sessualità, felice e consapevole - Il bambino e la cicogna - Le scuole di sessuologia a confronto sull’educazione sessuale - Sesso mal trattato - Violenza sessuale intrafamiliare Pedofilia e violenza sui minori. L’operatore di contesto - La personalità di contatto - I processi di attribuzione della responsabilità - Bulimia, anoressia e obesità - La depressione infantile - Lo sviluppo della morale secondo Kohlberg - Il sentimento amicale - La psicoterapia integrazionale - Interpersonale e intrapsichico. Individualità e metodo dei casi - Moralità ed etica dei comportamenti - Il rilassamento - Sport tradito - Sport umanizzato - L’ascolto attivo - Dire implicito e dire esplicito - L’osservazione come conoscenza impropria. Educazione multimediale - Didattica e laboratorio multimedia - Effetto televisione - Cattiva televisione - Il cinema a scuola - Fare teatro senza troppo psicologismo. Disagio e progetti educativi - Progetto baby fiction - Progetto educazione alla vita - Progetto scrittura creativa Progetto Joyleader - Progetto apprendere con successo - Progetto dispersione scolastica - Progetto impediamo che i barbari entrando in classe saccheggino la scuola - Progetto operatore sanitario di fronte al malato terminale - Progetto mediazione familiare - Progetto creatività televisiva e cinematografica - Progetto centri ascolto Progetto club incontri bambini-anziani - Progetto sostegno psicologico per soggetti in disagio e svantaggio. Dai una mano al CePASA, confermando in qualsiasi momento la tua iscrizione!


C’è qualcosa che ti preoccupa? Hai bisogno del consiglio di uno psicologo? Senti la voglia di essere ascoltato? Il Ce.P..A.S.A. onlus di Spoleto (Centro di Psicologia Applicata e di Studi sull’Apprendimento) ha istituito il servizio gratuito del telefono giallo “PRONTO SOCCORSO PSICOLOGICO” cell. 0 33 88 36 44 22 attivo ventiquattro ore su ventiquattro al solo costo della tua telefonata

in collaborazione con la coop. a r.l. “Piccolo Carro”

Se il tuo corpo sta nella quiete, l’anima si sveglierà e ti aiuterà a realizzare un sogno poichè la mente si esprime totalmente solo in un corpo rilassato. Perchè non ti unisci al nostro gruppo? Vieni a Spoleto o ad Assisi per seguire la proposta di un CORSO DI TRAINING AUTOGENO Telefona 0743-48076 0743-53825 0743-260735 075-8043898 Ti informiamo inoltre dell’attivazione, a ciclo continuo, dei seguenti corsi di perfezionamento: PSICOLOGIA SCOLASTICA MEDIAZIONE FAMILIARE EDUCAZIONE SESSUALE Tel. 0743/48076 oppure 075/8043898


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