Comunicazione riuscita

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InterprofessionalitĂ Mensile CePASA di Spoleto - Spedizione in abbonamento postale - Pub. inf. 70% - Filiale di Perugia

i l c o ra g g i o c o m e e d u c a z i o n e

I n q u e s t o n u m e ro

La comunicazione riuscita Anno XII - n. 83 Giugno 2002


INTERPROFESSIONALITÀ Periodico mensile dell’associazione scientifico-culturale CePASA di Spoleto Ce.P.A.S.A. di Spoleto Centro di Psicologia Applicata e Studi sull’Apprendimento Viale Marconi, 152 - 06049 Spoleto (PG) - Casella Postale 134 Tel. e Fax 0743 / 48076 - Cell. 338 / 8364421

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Presidente fondatore: prof. Antonino Minio Dal 1975 per la “persona” attraverso una “psicologia integrata” alle altre scienze

Il periodico è inviato gratuitamente ai Soci e a tutti coloro che «sostengono» le iniziative del CePASA e del Piccolo Carro Questo fascicolo è stato chiuso nel mese di Maggio 2002 ed è stato stampato in 3.000 copie Direttore responsabile: Antonino Minio SOCI INCARICATI DELLE SEDI Ce.P.A.S.A. DI SPOLETO: Umbria:

Assisi 06080 - c/o Coop. Sociale Il Piccolo Carro - Zona industriale S. Maria degli Angeli - Tel. 075/8043898

Marche:

S. Ginesio 62026 - Via Vallimestre, 1 - Tel. 0733/656864 (P. Tordelli)

Campania: Casapulla 81020 - Via Brodolini, 19 - Tel. 0823/460860 (G. Di Martino) Basilicata:

Venosa 85029 - Via Emilia, 3 - Tel. 0972/35622 (M. Dinardo)

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Si cercano soci per apertura di nuovi “punti” e “sedi” dell’associazione CEPASA - cell. 338/8364421 La collaborazione è aperta a tutti. Manoscritti, dattiloscritti e fotografie, anche se non pubblicati, non si restituiscono. Inserzioni e articoli sono liberi da compensi economici. La responsabilità delle opinioni espresse sugli articoli firmati compete ai singoli autori, dei quali si intende rispettare il libero pensiero e la piena libertà di giudizio. Tutti i diritti sono riservati. È permessa tuttavia la riproduzione di testi senza autorizzazione scritta purché venga citata la fonte ed informata l’associazione PROPRIETARIA CePASA - Viale Marconi, 148 - 06049 SPOLETO. La Legge 675/96 sulla “Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali” obbliga ad informare che i Suoi dati sono inseriti nella nostra “mailing list”. Garantiamo che tali dati sono utilizzati esclusivamente per l’invio delle nostre iniziative e sono trattati con la massima riservatezza. È Sua facoltà richiedere la rettifica e la cancellazione degli stessi. ———— Autorizzazione del Tribunale di Spoleto del 13-11-90 al n. 70 Registro Giornali e Periodici Grafica, Composizione e Stampa: Litostampa 3B - Spoleto

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Sede Legale: Via Primo Maggio, 13 - Bastia Umbra (PG) Sede Amministrativa: Via Zona Industriale - Santa Maria degli Angeli - Assisi (PG) Tel. / Fax 075/8043898 Comunità per Minori - L’isola che non c’è Via dell’areoporto, 26 - Ripa (PG)

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I LABORATORI DELLA SCUOLA DI COMUNICAZIONE DI ACQUALORETO In questo numero presentiamo una ricerca di Claudio Di Nicola. Ho avuto il piacere di conoscerlo alcuni anni fa quando egli decise di far parte del team CePASA. Scorrendo il suo curriculum professionale, notai che aveva una formazione multidisciplinare da sconfinare persino nelle filosofie orientali. Cosa rara per chi si occupa di psicologia applicata. Nelle scienze umane più si resta aperti, meno errori si commettono. Ho avuto anche l’opportunità di osservare i suoi laboratori di comunicazione umana presso il residence Aurora sulle colline di Todi, riprodotto in copertina, e da qui è nata l’intenzione di pubblicare la “metodologia” al fine di socializzarla ad un pubblico interregionale più ampio. Il metodo, lavorando sulla comunicazione pulviscolare, non assume il semplice valore di promuovere la produttività nei vari contesti delle relazioni interpersonali, ma realizza molto di più. Favorisce la presa di coscienza in ogni “attore” della comunicazione a partire dalla comunicazione con se stesso. Fa scoprire quanto la componente razionale del linguaggio sia interferita e deformata dal proprio mondo emozionale. Fa ri-conoscere il “rimosso” (l’incognito per definizione) che nelle discipline psicoanalitiche viene identificato come causa e componente del cosiddetto equilibrio nevrotico della persona: il rimosso minaccia l’io costringendolo, per difesa, a modificare comportamenti e funzioni in realtà patologiche. Fa pulizia delle antiche scorie educative favorendo la creatività anziché la


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conflittualità. Il metodo permette l’accesso alle sensazioni, alle emozioni, ai sentimenti, alle fantasie, alle immaginazioni, ai desideri, ai sogni, alle intuizioni, ai ricordi facilitando l’incontro autoterapeutico affinchè ognuno possa riappropriarsi del funzionamento del proprio disagio esistenziale, delle proprie situazioni problematiche e delle proprie somatizzazioni. Facilita un apprendimento della comunicazione totale senza fallimento. Insegna a comunicare bene tra persone, a scuola e in famiglia, per comunicare bene poi nella vita. Praticamente, attua una comunicazione efficace. Gli argomenti di tale attività formativa vertono sullo studio e sulla dotazione di un pratico e originale know how di gestione della componente emotiva della persona che abitualmente concorre a determinare comportamenti produttivi positivi o atteggiamenti di conflittualità con le conseguenti ricadute sullo stato di salute dell’individuo sul posto di lavoro e nelle relazioni interpersonali (cfr. A. Minio – Mediocrità – CePASA 2001 - pp.201-250). Obiettivi specifici della metodologia sono l’acquisizione della capacità di identificazione degli stati emozionali, del self-control necessario, dell’autostima, della facoltà di linguaggio e di sintesi nel verbalizzare i propri vissuti e i propri pensieri... che sono abilità che si possono apprendere gradualmente e lentamente con l’esercizio, dietro la guida di qualche psicologo esperto nella comunicazione interpersonale.

Antonino Minio Psicologo psicoterapeuta - Spoleto


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UN NUOVO METODO PEDAGOGICO COMUNICAZIONALE (SPERIMENTAZIONE I.R.R.S.A.E. - ABRUZZO 1992) di Claudio Di Nicola (sociologo, psicologo e psicoterapeuta – Acqualoreto di Baschi di Terni)

Questo laboratorio di esperienza umana riguarda un vero e proprio nuovo metodo pedagogico che è stato ufficialmente sperimentato nel 1992 – ad opera dell’IRRSAE d’Abruzzo - con un gruppo selezionato di presidi e direttori didattici nell’arco di un seminario residenziale. Successivamente ha avuto vari momenti di conferma a livello ufficiale. Nel 1996 la Presidenza del Consiglio dei Ministri ne promosse la valenza quale “attività di formazione preventiva per le tossico-dipendenze” finanziando un importante intervento nelle scuole medie inferiori della città di Avezzano. Nel 1999, nel 2000 e nel 2001, Decreti del Ministro della Pubblica Istruzione hanno autorizzato la Scuola di Comunicazione di Acqualoreto nel comune di Baschi (TR) a continuare a realizzare corsi di formazione residenziali rivolti a docenti e dirigenti scolastici di tutte le scuole del territorio nazionale. Nella terra di San Francesco, in un luogo dello spirito, in un posto adatto per riposare, in un paesaggio pieno di calma ove è possibile meditare e stare in silenzio, in uno spazio che garantisce la guarigione... è possibile ripetere in qualsiasi momento dell’anno un’esperienza arricchente. Si tratta di una metodologia che in parte sorprenderà piacevolmente ed in parte porterà a rendersi conto di come alcune prese di consapevolezza siano presupposti originali da tenere presenti ogni volta che si parla di comunicazione. È un’esperienza che costituisce sicuramente una novità ed anche una certa originalità. L’esperienza cognitivo-formativa può interessare tutte le persone, di qualunque età, qualunque sia lo status o il ruolo. Allora, che cosa posso dare a voi? Innanzitutto una serie di prese di coscienza e di consapevolezze che potremmo definire propedeutiche a ciò che rappresenta la vera e propria conoscenza ed esperienza del mio metodo. Questo metodo propone un nuovo modo di fare socializzazione e


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lo presento come un nuovo metodo pedagogico per l’insegnamento della comunicazione. Sicuramente un qualcosa che potrà aiutare tutti noi a costruire sempre più e sempre meglio il proprio personale stile di comunicare quando insegniamo, quando facciamo una lezione, ma anche quando siamo in conversazione e portiamo la nostra persona all’incontro con altre persone, in tutti gli ambienti in cui si svolge la vita di ogni giorno: casa, scuola, lavoro, chiesa... Parto da alcune riflessioni semplici e fondamentali: di solito, per essere attuale, scelgo il cellulare. Che cosa è un cellulare? E’ uno strumento di comunicazione; serve per trasmettere un messaggio. Questo messaggio, come una lettera, una e-mail, è il contenuto razionale della comunicazione e si realizza attraverso strumenti (un cellulare, un fax, internet…). Che cosa ci interessa sapere subito dello strumento? Le informazioni basilari per far funzionare bene un cellulare, o internet, o il fax. Bisogna conoscere le operazioni fondamentali. Quindi, ciò che conta subito è la conoscenza della strumento per poterlo usare bene, in modo tale che dall’altra parte ci sia la possibilità di capire. Uno strumento di comunicazione è fatto di varie componenti. Se adesso mi suonasse il cellulare, dovrei sapere se questo suono è il trillo di un messaggio scritto GSM o la vibrazione di una comunicazione in arrivo. Devo anche sapere come attivare il funzionamento per non perdere il messaggio o la comunicazione. Anche la persona è uno strumento di comunicazione. Io in questo momento, sono strumento di comunicazione; noi tutti stiamo realizzando una comunicazione: c’è chi parla, c’è chi pensa, c’è chi ascolta. Sta avvenendo uno scambio... Se dentro una persona “risuona” qualcosa, anche lì dovremo essere in grado di sapere che cosa sta risuonando, per poter attivare i canali giusti e aggiustare lo strumento in modo tale che ci capiamo. In questo momento, per me aggiustare lo strumento - me stesso come persona in comunicazione – significa dare un giusto spazio alle interferenze che mi arrivano dal mio mondo immaginario e dalla mia componente emozionale. Per esempio, in questo caso, dare un giusto spazio alla preoccupazione di essere compreso da voi e di essere accettato, al timore di un giudizio... Se non riesco ad integrare bene questi segnali provenienti dal mio mondo emozionale ed immaginario, questi stimoli possono disturbare la mia comunicazione e i miei propositi razionali. Se tutto questo non mi riesce bene, la mia comunicazione è a rischio di errore e mentre vi parlo potrei, senza rendermene conto, trasmettervi incertezze, dubbi sulla mia professionalità, incomprensione...


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LE COMPONENTI DELL’ATTO COMUNICATIVO Comunicare significa identificazione cognitiva dello strumento, cioè partire dalla persona, conoscerne tutte le componenti, soprattutto quelle psicologicamente deducibili. Abitualmente, una persona si presenta al gruppo col suo corpo fisico, mostra la componente corporea; se parla verrà fuori la componente razionale; infine se è capace di analizzarsi tirerà fuori una terza componente che è la componente emozionale, di difficile identificazione perchè non è mai una componente pura. L’emozione, spesso, è il punto di arrivo o di riflesso dell’immaginario, di ciò che fantastichiamo... è una effettualità che ci investe nell’aspetto fisiologico e corporeo. Ora se io chiedo all’amico Antonino che pensiero sta pensando, lui me lo dirà perchè alla domanda di identificazione della componente razionale, “quale pensiero? ”, tutti sappiamo rispondere, perché il razionale è l’esperienza più immediata, quella che ci accompagna da quando ci alziamo a quando andiamo a dormire. Analogamente, se chiediamo ad una persona “come stai fisicamente?”, sa anche rispondere perché la percezione sensoriale della componente corporea è di facile amministrazione. Se sto scomodo sulla sedia o se non ci vedo bene cerco di spostarmi: il corporeo mi fa gestire un messaggio passando per il razionale. In pratica, tutti sappiamo gestire il corporeo e sappiamo anche gestire il razionale. Adesso, se io chiedessi “che emozione provi in questo momento?” ognuno di noi è nelle condizioni di dare un riscontro altrettanto immediato e facile? Posso dire che in questo momento sono impegnato a ricevere sul piano razionale, come pure sono sicuro che ho un corpo che mi assiste mentre parlo. Posso escluderlo dalla comunicazione? No! Il corpo c’è ed è ben presente! Lo stesso vale per la componente emozionale. C’è, ma è in secondo piano; sta sullo sfondo. Però, se io riporto l’attenzione sul corpo so come recuperare se sto scomodo o se sento caldo... Ma per l’emozione non mi resta altrettanto facile. Dovrei educarmi.


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Sono da una vita alle prese con me stesso, strumento di comunicazione, ma della mia componente emozionale ne so poco. Quando mi sono trovato a fare lo psicoterapeuta e mi sono trovato di fronte ad una persona che mi portava la sua ansia, ci fu un momento in cui m’accorsi di essere in ansia anch’io. Constatai che, in quel momento, mi mancava la capacità di gestire la mia parte emozionale. Come uscire da questa situazione? A scuola ci insegnano l’educazione fisica, ma nessuno ha avuto l’idea di farci anche educazione psichica o emozionale. Il mondo emozionale “non educato” ci fa commettere l’errore quando non lo dovremmo commettere. La metodologia che ora tenterò di illustrare ci farà capire come questa “componente” possa essere impostata e promossa didatticamente, proprio come se si candidasse a materia di insegnamento. Quindi, da questo momento in poi scopriremo come noi, a fronte di questa “difficoltà a rispondere” alla semplice domanda “che emozione provi in questo momento?”, possiamo dotarci di strumentazioni adeguate per costruire le risposte. Infatti, se uso lo strumento-comunicazione e mi fallisce una componente, resto limitato nella conoscenza e la mia comunicazione “per definizione” sarà problematica. Se uno è alle prese con uno strumento di comunicazione problematica, quando sarà in due, in tre, in trenta si troverà davanti una moltiplicazione delle problematiche. Non reggerà e perderà. Allora non ci resta che andare a vedere come possiamo cercare le emozioni, dove si nascondono, come si mascherano... Abbiamo detto che le emozioni si manifestano soprattutto fisiologicamente. Allora partiamo da qui e proviamo a dare la risposta alla domanda: “Come sto in questo momento dal punto di vista fisico e corporeo (sensazioni)... dal punto di vista delle reazioni psichiche istintive (emozioni)... dal punto di vista del come pensiamo di trovarci in questo stato (sentimenti)”. Cominciamo a cercare le risposte presenti in ognuno di noi, disponendole su uno schema che per comodità sintetizzeremo così:


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SENSAZIONI (manifestazioni corporee)

Riposato Relax Stanchezza+ Batticuore+ Bene Sazio Torpore+

Batticuore, Piedi freddi Mani sudate Rossore Mal di testa Raffreddore Tosse Mal di stomaco Tensione

CONTESTI EMOZIONALI

+

EMOZIONI (reazioni psichiche istintuali) Calma Ansia+ Tranquillo Sereno Sollievo Coraggio Eccitazione

Fastidio Ansia Paura Stress Impotenza Rabbia Insofferenza

SENTIMENTI (atteggiamenti mediati dalla mente) Rifiuto Timidezza Sfiducia Preoccupazione Tristezza Dispiacere Antipatia

NB: il sottolineato registra la ripetizione del termine da parte di un altro soggetto

Accettazione Piacere Agio Speranza Desiderio Soddisfazione Fiducia


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SENSAZIONI

CONTESTI EMOZIONALI

EMOZIONI

SENTIMENTI

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Ora, nel momento in cui dico che le mie emozioni si vanno a nascondere nel mio corpo fisico, io sto parlando della mia percezione sensoriale. Ad esempio, un batticuore (sensazione) può dare fastidio (emozione) dando l’idea di dispiacere (sentimento).Proviamo a raccogliere in modo schematico tutte le nostre sensazioni (batticuore, mani sudate...), mettendole a sinistra nello schema per identificarle come negative quando non desiderabili; a destra, invece, metteremo le sensazioni notate come positive, cioè che registriamo con favore. Da notare che il valore, positivo e negativo, viene dato dal soggetto per cui un batticuore può anche essere sperimentato positivamente, con sollievo. Ognuno dovrà cercare di trovare le parole di corretta identificazione terminologica... per scoprire che tra una sensazione fisica e un dato emozionale c’è un collegamento. All’inizio, il vero problema non sono le parole, ma gli schemi logici che ci consentono di dire “quali parole” scegliamo per rappresentarci la reazione psichica ad un dato somatico. Se io parto da un dato sensoriale (batticuore), comincio a scoprire che ho un vocabolario per rispondere a quelle domande a cui prima non sapevo rispondere; il problema è che nessuno ci ha insegnato ad adoperarlo. Così si perde una buona parte di comunicazione. Capite, quindi, quanto questa comunicazione problematica renda “problematica” la vita di relazione. Ciò significa che è su questa prima difficoltà che dobbiamo soffermarci. È questa prima difficoltà che innesta ulteriori difficoltà, anche nel sociale. Diventa importante recuperare la mancata educazione: partire dalle sensazioni corporee per capire qual è il nostro modo di reagire e tradurlo in “parlato” . Educarsi significa cominciare proprio con il bisogno di una verbalizzazione adeguata. Dopo le reazioni corporee poniamo attenzione alle reazioni psichiche; questo significa che l’istintualità che è in noi - e che si connota di un’emotività particolare - è immediatamente reagita e reattiva sul dato sensoriale. Identificare tutto questo con termini razionali, con parole dotate di senso e di significato, con un “vocabolario” esperto, ci consente di cominciare a “conoscere” la componente emozionale. Teniamo presente che esiste una diversificazione, a livello di stati emozionali delle persone, per cui alcuni stati emotivi sono immediatamente reattivi ed hanno a che vedere con gli istinti, con reazioni automatiche: fastidio, rabbia, paura…; altri, che vengono comunemente chiamati sentimenti, sono meno decifrabili. Degli stati emozionali distingueremo la parte legata all’istintualità da


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quella legata all’essere umano, che, in quanto dotato di coscienza può consentire un “sentire” mediato dalla mente. Ecco emergere la sentimentalità, il sentimento. Il sentimento connota quello stato emozionale meno immediatamente reattivo bensì più libero di atteggiarsi. Facciamo un esempio: se sto scomodo su una sedia o sento freddo, provo fastidio o rabbia, come reazione psichica (emozione pura), posso ad un altro livello, appunto quello del sentimento, atteggiarmi con rifiuto o accettazione, con un margine di libertà di modificare il primo atteggiamento emozionale (la reazione istintuale). Questo è esattamente quello che noi dobbiamo realizzare: come diventare capaci di amministrare l’emotività. Su questo punto si scommette la nostra formazione. In pratica, lo schema ci serve per dire come stiamo (emozionalmente) mentre stiamo facendo qualunque cosa e per conoscere dove stanno nascoste le emozioni. Si comincia portando l’attenzione della nostra logica razionale sulla parte del corpo che richiama l’attenzione. Poi si cerca di sentire qual è la reazione psichica o emozione a questa attenzione sul corpo. A questo punto, chiunque può vedere dove è collocato il proprio sentimento, positivo o negativo: ognuno diventa più libero di scegliere e di aderire ad un comportamento, più responsabile di gestire la persona come strumento di comunicazione anziché subire confusamente l’istinto. Che cosa ci resta da fare ora? Semplice, mettere in pratica ciò che abbiamo appreso del metodo. Cominceremo a fare un’esperienza che diventerà fondamentale per tutti noi. Impareremo a usare termini che non si identificano con concetti razionali. Sapremo identificare le emozioni: se io sto bene e provo interesse significa che sto calmo, tranquillo o sereno. A questo punto, saremo in grado di dire: conosco la mia componente corporea, quella razionale... e quella emozionale! Ora, se sto bene e tranquillo dal punto di vista delle emozioni, quale può essere il sentimento? Abbiamo detto prima che le emozioni identificano il dato immediatamente correlato e reagito alla componente della sensazione fisica; però l’essere umano ha una sua capacità di prescindere dal dato oggettivo e di orientarsi con un sentire di coscienza elaborato dalla mente (sentimento). È un sentire della mente che coinvolge il cuore e anche l’emozione; però, è uno stato emozionale umano distinto dalla reazione psichica. Come è facile intuire, dallo schema emerge un quadro riassuntivo dei nostri stati emozionali. Una fotografia, una lastra, una mappa che potremmo definire una cassa di riso-


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nanza del nostro mondo emozionale qui ed ora. È utile osservare lo schema. Si noterà l’ordine. È stata evitata la confusione. Allora uno schema di questo tipo consente alla persona di passare dalla confusione alla chiarezza, dal disordine all’ordine. Immaginiamo che dentro di me ci sia questa cassa di risonanza, conoscerla mi consente di identificare e poi possibilmente di gestire la mia componente emozionale, quella che in partenza mi ero reso conto di non conoscere. Passare dall’ambiguità (comportata dalla confusione) all’ambivalenza (quale portato della chiarezza) offre la possibilità di scegliere in libertà e responsabilità la valenza che desideriamo, l’orientamento personale della propria comunicazione. La persona, come strumento di comunicazione, può essere suddivisa in tre parti: testa, corpo ed emotività. Per quanto riguarda la componente razionale la conosciamo abbastanza e la riprova è che se io faccio una domanda a chiunque di voi su “che logica sta seguendo”, la persona sa rispondere. La persona - che ciascuno di noi è - conosce questa parte di sé e, se stimolata, è nelle condizioni di reagire e di gestire. Analogamente per quanto riguarda la componente corporea: se chiedo ad uno di voi “come stai?“ sarà in grado di gestire una risposta livellata su questa componente “corporea”. Se invece gli pongo la domanda “che emozione provi in questo momento?”, avrà delle difficoltà a rispondere, a trovare la parola giusta che identifichi l’emozione. Anche se poi, avendo un’intelligenza, attivando il razionale, una risposta sarà trovata e data. Ovviamente, sulla base della mia e della nostra esperienza, possiamo dire che la persona tende a dare - come risposta valida per l’emozione richiesta - un termine o più termini che invece sono concetti razionali: quali ad es. “interesse”, “curiosità”, “partecipazione”... Questi termini scelti con tutta la logica razionale dentro la quale siamo stati formati sulla base del sistema pedagogico vigente - ci danno una risposta “coerente con la logica e con l’intelligenza del sapere razionale” la quale ci fa avallare per buona una risposta che buona non è. È un imbroglio, di cui non abbiamo coscienza. Non ce ne rendiamo conto. Con lo schema proposto, invece, si ha una prima presa di consapevolezza: si eviterà il conflitto, l’incomprensione, una perdita di tempo, un calo della produttività o del profitto. Senza questa analisi della comunicazione avremo la somma di problematicità dovute alle singole comunicazioni problematiche di partenza. Solo se riuscirò a prendere consapevolezza potrò costruire modelli di risposta, modalità integrative del gap di educazione ricevuta. La map-


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pa emozionale rappresenta uno schema fondamentale per lo sviluppo di questa esperienza di conoscenza irrinunciabile della nostra componente emozionale ed affettiva. Non è pensabile che se a sei anni vivevo l’angoscia del primo giorno di scuola, la stessa angoscia la riviva a venticinque anni, quando vado a fare la mia prima lezione all’università o come docente in una qualunque scuola, questa volta dall’altra parte del banco, sulla cattedra. L’esperienza della “tempesta emozionale” della “prima volta”, è un muro, una linea oltre cui non ci sono più “prime volte” (con la paura di fare brutta figura, di imbarazzo e di timore) da subire “ a tradimento “ ed a creare difficoltà di trasmissione del sapere sul razionale, che si riflettono sul corporeo creando stanchezza, rigidità, tensione, disfunzioni… Questo non riguarda solo gli adulti, ma anche e soprattutto gli allievi a scuola. Infatti, genitori e docenti sono chiamati, pedagogicamente, ad avere il compito di dare un aiuto anche per la componente emozionale, perché molti “abbandonano” l’affermazione a causa di impatti difficili con il mondo della scuola. Ad esempio, il bambino che torna a casa e si sente dire dalla madre: “Ti vedo un po’ strano, che c’è?”, risponde: “Niente” (esattamente come diciamo “niente” noi, quando vogliamo dare nome e cognome alle nostre emozioni, perchè non abbiamo a disposizione le parole giuste a causa di allenamenti mancati, di educazione mancata). Dietro a quel “niente” esiste tutto un mondo che chiede di essere recuperato, integrato, armonizzato per far sì che tutta la persona possa incontrare altre persone e possa comunicare con gli altri. Tutti abbiamo diritto sin da piccoli ad essere aiutati ad esprimere e a verbalizzare le emozioni o stati emozionali . Se, però, l’adulto, di fronte al bambino che dice “niente”, gli dice: “Va bene, ma in questo momento sei più contento o più scontento? Provi più piacere o dispiacere? Sei a tuo agio o sei a disagio?” Se l’adulto è in grado di gestire in termini di linguaggio modalità comunicative di questo tipo, potrà ottenere dal bambino l’informazione che in quel momento è utile per rapportarsi con lui, per sintonizzarsi con lui, per favorire una comunicazione utile; diversamente la comunicazione è già chiusa; aumenteranno le occasioni mancate; molti si continueranno a perdere per il bosco. Se voglio indagare dove e come si vanno a nascondere le mie emozioni, per le quali ho detto “niente”, mi accorgerò che se parto da un dato di immediata esperienza, quello della sensazione corporea, sono già nelle condizioni ottimali di conoscenza. Qualunque emozione io abbia, il mio


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corpo ne porta l’eco, eco che è immediatamente registrabile se solo vi pongo attenzione. Se io cerco e ricerco l’emozione che sto provando in questo momento, se parto da come sto fisicamente, scoprirò che, in questo momento, provo un certo stato di tensione nel basso ventre, dove sicuramente si concentra la tensione legata a questo mio momento di responsabilità. Questa tensione fisica è dovuta ad impegno, accumulo di stanchezza, ma anche ad emozioni rispetto alle quali stiamo cercando il recupero di quel diritto di cittadinanza che ce le faccia esistere anziché rimuoverle, cancellarle, fare finta che non ci stanno… Che ce le faccia identificare con una capacità di linguaggio razionale che consenta di integrare questa conoscenza nella percezione globale di noi come persone. Se provo a dirmi come sto fisicamente, spostando l’attenzione sul mio corpo fisico, già comincio ad agganciare il discorso delle emozioni, perché dietro quello stato di sensazione fisica, potrò dire cosa mi comporta a livello di reazione psichica. Nel fare questi passaggi logici, razionali, mi sono messo nella posizione di dire: “Bene, ho una sensazione fisica, ci penso un po’, ho una reazione psichica”. Ad una sensazione corporea sempre comunque registrabile, se mi alleno un po’, potrò collegare una reazione psichica immediata ed ho anche la possibilità di rifletterci con la mente e di verificare quale sentire mentale, quale sentimento (sentire di coscienza esistenziale) diverso dalla reazione immediata istintuale, io ho e posso comunicare per conoscermi. La tripartizione: sensazione fisica / reazione psichica / sentimento, ci mostra come, rispetto all’animale, abbiamo una possibilità in più. Se mi dai uno spintone e mi pesti un piede, mi faccio male, provo una reazione di fastidio e mi giro per dare immediatamente una risposta aggressiva, come vorrebbe l’istinto. Se però vedo che è un caro amico, ciò modifica il mio sentimento, attenuo la reazione di dolore o quella impulsiva di rabbia; il dispiacere è temperato, ho un diverso grado di libertà, sul piano esistenziale. L’obiettivo, in conclusione, è di favorire automaticamente una presa di conoscenza della componente emotiva di me ogni volta che ne ho bisogno. Noi possiamo disciplinare il pensiero e le emozioni ad esso collegate. “Conoscendomi” posso andare incontro agli altri con una maggiore comprensione ed accettazione anche del mondo emozionale dell’altro, perché, sapendomi gestire come persona, sarò capace di non entrare in risonanza conflittuale. Sarò capace piuttosto di propormi, così, come coscienza accogliente e di realizzare incontri “rassicuranti “. Per tutto questo, comunque, non arriveremo alla terapia, ma ci fermeremo sul fronte della pedagogia.


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Credo che diventi importante non solo conoscere, ma avere consapevolezza del vissuto preliminare di “consegna” di queste cose, perché nel momento in cui io ho, ognuno di noi ha il proprio spazio per vedere rappresentate le componenti emozionali, noi apriamo una pagina dove continueremo a scrivere e a confermarci il diritto del mondo emozionale di essere recuperato, di essere fatto esistere. È ciò che dobbiamo fare da ora in poi. Anche se una persona avesse partecipato silenziosamente senza dire niente, non potrebbe non riconoscersi dentro degli stati emozionali (es. la paura di parlare, di dire delle cose...). Tuttavia, vederli rappresentati nel contesto emozionale significa sentirsi meno solo. Posso rispecchiarmi in una realtà che non mi vede più “abbandonato” perchè ho dei simili, sono in compagnia. Capite a quanti livelli può giocare questo dato di conoscenza e di partecipazione? Fare e seguire lo schema implica allenarsi (sempre più “automaticamente e naturalmente”) a vedere come fotografare il contesto, come fare chiarezza, come capire ciò che voglio. Fare uno schema significa chiedere anche all’altro di darmi il suo, metterci insieme a valutare “come stiamo” per tenerne conto e decidere cosa è meglio fare o prendere delle decisioni con le riserve del caso. Pensate all’amplificazione della ricaduta positiva sulle persone che si aspettano da noi il compito pedagogico. Conoscere e condividere lo schema ci conviene sempre! Perché l’alternativa è un subire, tutti, il comportamento di chi disturba e di ciò che disturba... Inoltre, l’utilità dello schema serve a passare da uno stato di confusione a uno stato di chiarezza circa la conoscenza della propria componente emozionale. Se la confusione mi comporta un messaggio ambiguo perché non sapendo quello che ho, non so nemmeno quello che voglio, l’altro fa fatica a capirmi, quella chiarezza, invece, mi consente (per la discriminazione positiva/negativa e in ragione dello schema) di passare almeno all’ambivalenza. Quindi, là dove la confusione andava a braccetto con l’ambiguità, la chiarezza va a braccetto con l’ambivalenza. Ma avere chiare le due valenze significa che io posso scegliere tra l’accettazione e il rifiuto e posso aiutare l’altro a scegliere tra accettazione e rifiuto, restare o andare, e questo porta all’educazione alla responsabilità, all’accettazione anche del limite in base al quale la persona può anche rendersi conto che “capisce” o “non capisce” lo stato dell’altro. Ognuno, infine, può essere aiutato a confrontarsi con chiarezza, che è il presupposto per ogni intervento pedagogico.


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L’utilità della comunicazione interpersonale è la garanzia che questa avviene nell’autenticità e nella trasparenza. Autenticità e trasparenza significano qualità dei rapporti umani. L’assenza pressoché totale di queste consapevolezze fa sì che ci sia problematicità nella comunicazione perché questa è la logica conseguenza di un uso problematico delle persone come strumento di comunicazione. Abbiamo problematicità perché abbiamo difficoltà ad usare il nostro strumento di comunicazione soprattutto quando questo strumento ci fa risuonare, ci fa subire a tradimento tratti emozionali. Non sapendo come fare a identificare e gestire, subiamo, ci paralizziamo, ci distraiamo e lo strumento si inceppa. Il corpo che non dovrebbe far cadere l’acqua, la fa cadere... Si rompe il bicchiere e la persona si taglia un dito... Se guido mentre ho sonno, e proseguo per paura di commettere un’inadempienza nei confronti degli impegni che ho e non prendo coscienza del mio rifiuto emozionale a fare le cose, il mio corpo si irrigidisce, ed io, mentre mi convinco razionalmente di dover andare avanti, vado a sbattere o provoco un incidente. Accettare il proprio limite significa poter decidere di rifiutarsi di ubbidire ad un imperativo categorico razionale che ti vuole capace quando sei incapace. Allo stesso modo, se non riesco a stare attento è meglio che te lo dico subito e... rimandiamo gli sforzi di attenzione. Purtroppo e spesso, dentro siamo condizionati dall’ideale dell’Io persecutorio: devo essere bravo, buono, bello e ciò diventa un’ossessione. Quando non accetti il tuo limite, il tuo corpo, le tue emozioni, ti ritrovi solo e scontento. Tutto questo, anche se te lo neghi, presto viene comunque fuori e può trasferire verso gli altri una strutturazione della personalità che si evidenzia in termini che uno non desidera. Quindi, conviene ritornare a sottolineare l’importanza di questa consapevolezza ormai acquisita: la comunicazione umana è problematica perché la conoscenza dello strumento di comunicazione, che è la persona, mi difetta un po’. Ma se la comunicazione umana è problematica, allora, ovunque si incontrano persone c’è somma di comunicazioni problematiche. Ovunque c’è in essere una problematicità della comunicazione umana. Ovunque c’è un rapporto interpersonale c’è il rischio di una situazione problematica. È importante poter dire, coscientizzare il proprio stato “sentimentale” di preoccupazione e parteciparlo, quasi per condividerlo ed affrontarlo insieme. La preoccupazione è un sentimento negativo che comporta disagio ed una serie di riflessi visibili dall’interlocutore che inducono l’altro a


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reagire in proporzione, secondo un immaginario ed un’emozionale suo, e rendono difficile la comunicazione in ragione dei tanti possibili fraintendimenti. Pensate se si potesse fare così per l’insieme delle connotazioni emozionali. Comunicare, verbalizzando, la propria ansia, che non ha sempre valenza negativa ma può avere anche connotazione positiva. Quanto ci potremmo capire di più! Pedagogicamente va detto che quando cominciamo a tirare fuori queste cose, subentra la necessità di razionalizzare, di spiegare, come se dopo aver tirato fuori un sentimento, un dato emotivo, bisogna giustificarlo perché la nostra educazione non lo prevede. Non c’è diritto di cittadinanza per l’essere emozionato; è facile immaginare le implicazioni che ciò ha comportato in termini di rigidità di comportamenti razionali e della personalità. Per il cambiamento, la prima esperienza di trasformazione è il vivere consapevolmente quello che proviamo senza razionalizzare, senza il bisogno di spiegarlo. La razionalizzazione è un meccanismo di difesa. Mi sono chiesto, inoltre, se ci può essere confusione nei termini che identificano la reazione psichica ed il sentimento. Per la reazione psichica, dal momento che si aggancia al fisiologico, e alla funzione dell’animale che siamo e quindi alla natura, si farà in modo che la terminologia sia la più normalmente rispondente al tipo di etichettatura che adoperiamo per la natura. Se per la “natura” del cielo dico “cielo sereno” ed analogamente “mare calmo”, “calmo e sereno “ mi identificheranno una reazione psichica positiva. Analogamente “agitato”, sarà un’emozione negativa. Per il sentimento, il fenomeno è più complesso perchè legato al proprio background culturale ed educativo: basta evitare la razionalizzazione, la terminologia astratta... Questo metodo è estremamente funzionale e comunque estremamente aperto a molteplici revisioni, a seconda dei significati che vorremo intendere con il linguaggio, che è convenzione. Il nostro razionale ci dà delle logiche, ma noi siamo anche contraddizioni. E le contraddizioni fanno parte dell’umanità. Contraddizioni non significa necessariamente essere in una posizione negativa. Paradossalmente, una cosiddetta contraddizione può rivelarsi una grande saggezza umana. Purtroppo, abbiamo le enciclopedie del sapere a livello razionale e le enciclopedie della salute a livello corporeo, ma ci manca l’analogo enciclopedico dell’emozionale, che da origine a tutta la branca della psicosomatica e che spara interferenze sul razionale facendone saltare le regole. Noi dovremo imparare, realizzando così la vera trasformazione, a fare esistere la capacità di


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dire: “Io non subisco più le mie emozioni, ma le comincio a conoscere, a riconoscere, e come già faccio con le sensazioni corporee, a rapportarmici in maniera diversa, integrativa e costruttiva di equilibrio”. Quando nella comunicazione, sia bilaterale che interpersonale più allargata, mi metto nella condizione di identificare la realtà emozionale delle persone coinvolte con una distribuzione più chiara, divisa in negativo o positivo, passo da uno stato di confusione ed incertezza ad una situazione di chiarezza e di rassicurazione, dove tutte le persone possono essere meglio accolte perché meglio conosciute o rappresentate. Passare dalla confusione alla chiarezza significa che se prima c’era un messaggio che poteva arrivare come ambiguo, (ambiguità come conseguenza della confusione), ora avremo ambivalenza dovuta alla chiarezza (negativo/positivo). Esistono delle esperienze logicamente non desiderabili, ma vissute con soddisfazione. Se ciascuno ha chiarezza delle proprie ambivalenze, allora la possibilità di scegliere la valenza da privilegiare o a cui tendere con un diverso grado di consapevolezza, di libertà e di responsabilità, è implicita. Vorrei entrare nel vivo delle cose per vedere come questa metodologia ci può veramente servire nelle condizioni di “bisogno di elaborazione” di una situazione problematica. Quindi, cercheremo di capire come può funzionare l’elaborazione di una situazione problematica di relazione. Questo tanto dal punto di vista di chi la vive direttamente ed ha la responsabilità di gestire in trasformazione positiva la situazione problematica, sia dalla parte di chi comunque partecipa, anche se con minor capacità e responsabilità, allo stesso tipo di coinvolgimento, di vissuto problematico. Pensate agli alunni a scuola, ai figli a casa e a tutti i “minori di potere” (ma non per questo meno accreditati come persone), che hanno tanto bisogno di essere aiutati proprio per quelle componenti così difficili da identificare e da gestire, che sono quelle componenti del mondo immaginario e emozionale che condizionano la persona nell’uso di sé come strumento di comunicazione. Noi fin qua ci siamo resi conto di alcuni aspetti fondamentali: la persona che “io” sono e la persona che “ciascuno” è (l’alunno a scuola, il figlio a casa...) sono strumenti di comunicazione. Questi strumenti di comunicazione debbono essere conosciuti. Conoscerli significa sapere, accanto al razionale ed al corporeo, la componente emozionale per la quale registriamo un vuoto di conoscenza. Abbiamo proposto uno schema semplice del quale fare uso, ciascuno per sé, e poi come gruppo classe, per identificare una fotografia, una la-


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stra dell’insieme di questi mondi emotivi che sono poi la cassa di risonanza entro cui ciascuno si ritrova collocato. E qui ciascuno, con suo agio o disagio, ha una possibilità di avere a disposizione una serie di termini di pronto uso per la chiarificazione, per sé e per l’altro, circa le emozioni che caratterizzano il vissuto comune. Ricordo che per poter identificare il proprio mondo emozionale è facilissimo. Basta portare l’attenzione velocemente sulla propria percezione di sè, dal punto di vista corporeo, quindi vedere quale parte del proprio corpo richiama attenzione (il cuore che batte, le mani sudate, ecc.) e a quel punto si riportano nello schema i termini di identificazione di sensazioni, emozioni e sentimenti come abbiamo imparato a fare. Esempio: “mi fa male la testa? Scrivo “mal di testa”. Cosa provo come emozione collegata? Fastidio? Scrivo “fastidio”. Che cosa verifico ancora dal punto di vista sentimentale? Lo scrivo. Mi faccio questa scaletta e già sono in una condizione di verificare questa componente che direttamente già sta interferendo nella direzione del funzionamento mentale ma anche del corpo fisico che “a tradimento” subirà l’acuirsi di un disturbo di tipo somatico. Tutto ciò avrà come conseguenza un calo della capacità di essere attento al compito che sto svolgendo. E questo sempre. Scrivendo, io distribuisco queste componenti così: “Qui c’è il corporeo, qui c’è la reazione immediatamente psichica, energetica legata al mio corpo, qui c’è un’elaborazione che vede accadere la mediazione della mente e quindi del proprio sentire di coscienza, che riflette ed osserva tutto quello che mi si registra nella mente. C’è un’elaborazione propria del mammifero, dell’animale uomo. Da questo punto di vista è importante caratterizzarci calmi, tranquilli… questa parte energetica, reattiva la scriveremo qui... I termini espressione dell’ esistenziale (una coscienza che fa la differenza tra la parte animale e umana) la metteremo tra i sentimenti, che sono poi un “sentire” mediato dalla mente. È un livello nettamente superiore... I termini di “curiosità”, di “interesse” non identificano un sentimento, ma esprimono concetti razionali. Ho bisogno di sapere cosa c’è “oltre” la curiosità. Devo scendere sotto il coperchio rappresentato dal razionale...” Questa consapevolezza e conoscenza mi consentono di favorire lo spazio di accoglienza e intervenire per placare le acque inquiete. Quando c’è un concetto di razionalità, l’interlocutore deve poter fornire gli elementi discriminanti del vocabolario: “Provo più agio o più disagio, accettazione o rifiuto, piacere o dispiacere?” Esprimersi significa sintonizzarci, accogliere di più lo spazio vitale che ci permette di dire: “Vediamo come stiamo, vediamo questo


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momento di condivisione come un valore di conoscerci che è il presupposto per fare bene le cose che comunque spesso siamo costretti a fare “insieme”. Per “prendere coscienza di tutto quello che ci coinvolge”, non bisogna preoccuparsi del messaggio che posso mandare di “non accoglienza”. La cosa importante è partire dal dolore per capire cosa ci sviluppa quel dolore. Quella distrazione da dolore ovviamente inciderà su qualsiasi tipo di produttività e di profitto, ovunque c’è vita di relazione finalizzata ad un obiettivo. Tutti questi stati emozionali dobbiamo accoglierli e favorire un vissuto di amorevolezza. E torno a sottolineare l’importanza, tanto al livello individuale che corale, di poter mettere ordine nella fotografia di “come stiamo” ogni volta in cui lo riteniamo opportuno e utile. Mentre ero in macchina, mi sono detto: “Cosa fa la differenza quando una persona è consapevole? ” Se vedo e riconosco la strada ghiacciata mi rendo conto che, ad una certa velocità posso sbandare. La consapevolezza mi mette quell’innesto di prudenza, che, a parità di bravura, mi evita l’incidente. Conoscersi significa muoversi in maniera diversa con l’accettazione del proprio limite e del limite dell’altro, quindi quasi di una prudenza generalizzata nei confronti di quelle situazioni che sono sempre un po’ potenzialmente stancanti e conflittuali. Disciplinandoci, riusciremo a tirar fuori ciò che ognuno concorre a far esistere come costruzione di sè. Esploreremo la radice di una carota, sezionandola man mano che scendiamo giù. Mentre vado a fare il “carotaggio” scopro in che tipo di terreno c’è anche l’immaginario e se opero una taratura circa i filtri del razionale, a quel punto avrò recuperato un immaginario inquinato. Noi dobbiamo recuperare un immaginario puro, ecco perché il tentativo di una discriminazione attenta dei significati da dare alla parola da consegnare ai nostri schemi emozionali, e anche sui tentativi di significati da dare alle immagini come colore, come fotografia. L’emozionale lo tiriamo fuori perché sia condiviso, perché faccia da cassa di risonanza anch’esso, a quel tanto di immaginario che è lì nella realtà e la fa “problematica” e non vogliamo dubitare che ci sia stata la buona volontà nel volerla affrontare. L’altro deve sentirsi accettato se no immagina che... L’immaginario diventa unità di misura che ci fa sintonizzare sul razionale. Il bambino è emozione più di quanto sia ragione e razionalità e con l’acculturazione diventerà più o meno rigido nella ragione, ma nel frattempo quanto sarà costretto a pagare, quanti aiuti non avrà ricevuto...


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LA RACCOLTA DEI DATI DI CONOSCENZA Tutti coloro che partecipano ai miei corsi, sono per me un laboratorio di innegabile valore, perché è la prosecuzione della consegna di un sapere che chiede di essere partecipato. Ogni volta che ci vediamo, ci diciamo come stiamo mentre arriviamo e come stiamo mentre ce ne andiamo. La cosa più importante sarà questo continuo tararsi e fotografarsi, che diventa la presa di conoscenza e coscienza di un qualcosa – la realtà dei mondi emozionali - che c’è da sempre, da una vita, salvo paletti a difesa, a rimozione, a censura... che rendono ogni situazione di relazione umana problematica. Diventa quindi necessario cercare di governare questa problematicità che caratterizza tutti i rapporti umani. C’è situazione problematica quando due persone non vanno d’accordo o si registrano a fatica in accordo sia nel pubblico che nel privato. Ogni posizione problematica pone delle domande e chiede delle risposte. Perché quella situazione è problematica? Perché quei soggetti rappresentano una problematicità? Per rispondere dobbiamo conoscere meglio, trasversalmente e orizzontalmente. E per fare questa delicata ulteriore operazione cognitiva dobbiamo raccogliere dati di informazione sulla situazione. Nel suo corpus teorico, la metodologia prevede l’indagine sulla situazione problematica per vedere quali dati di conoscenza la definiscono, la descrivono e la riassumono, quali la delimitano e la caratterizzano come problematicità, onde verificarne la possibilità di trasformazione o quanto meno di riduzione della problematicità e, meglio ancora, di risoluzione. Ogni situazione problematica si caratterizza per gli assunti, cioè per l’insieme dei dati. Ogniqualvolta si affronta una situazione problematica ci sono dei dati da acquisire; infatti, la prima necessaria condizione logica o presupposto alla modificazione è avere una sintesi di conoscenza sul piano razionale, un insieme di dati che identificano e descrivono la situazione a 360 gradi. Si comincia con una prima descrizione della situazione problematica per poi lavorarci sopra. Abitualmente, all’inizio la descrizione è confortata solo da dati cognitivi razionali. Quando si hanno tutti questi dati, però, si deve fare spazio di conoscenza anche ai dati che vengono dal mondo immaginario perché l’immaginazione interferisce con le posizioni in corso di realtà e con le decisioni da prendere. E’ importante trovare il modo per arrivare a sapere che cosa c’è dietro il razionale, dal punto di vista di che cosa io, con la mia creatività e con la mia


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fantasia, mi immagino che riguardi questo “razionale”. Questo dato può essere più interessante di quello razionale. La sola conoscenza sul razionale è monca. Devono essere raccolti anche dati cognitivi dal punto di vista dell’immaginario per avere un quadro completo su cui lavorare. Come pure è importante conoscere le emozioni che caratterizzano le persone coinvolte: avere anche dati cognitivi del mondo emozionale permetterà di leggere la situazione da altri orizzonti prima di allora mai pensati. Il sistema educativo non ha ci ha dato la possibilità di reagire, “ aiutati “, alle varie tempeste emozionali che si registrano nell’arco degli anni della crescita. Del resto, la “disciplina” - appresa in vari modi - prescinde da una conoscenza auspicabile e necessaria di quella parte di noi che chiede, dal momento che esiste, di essere meglio governata ed espressa. Dietro questo, però, c’è la salute della persona, il valore, l’equilibrio. La situazione problematica è sempre presente, è costante ogni volta che siamo in relazione. Non è necessario comunicare per essere in relazione. Semplicemente condividendo un ambiente, siamo in relazione e siamo in problematicità. Se di una situazione problematica potessimo conoscere non solo l’insieme riassuntivo dei dati razionali (ti dico come stanno le cose), ma potessimo dare spazio e diritto di cittadinanza anche all’immaginario e a tutte le risonanze che ciò comporta (“ è meglio che non ti dico... penso tra me e me che...”). La realtà è fatta di razionale, di immaginario e di emozionale. E fino a quando non avremo anche questi dati non conosceremo tutta la realtà. Sono dati di estrema ricchezza. In conclusione, il metodo funziona così. Si parte dalla situazione problematica per la vita di relazione di uno dei soggetti presenti, scrivendola sulla lavagna. Il soggetto interessato la rappresenta al gruppo, in un tempo concordato (“in sette minuti cerco di raccontarvi il mio problema...), facendone il migliore riassunto possibile e utile alla conoscenza sul piano descrittivo razionale (le informazioni date vengono trascritte sulla lavagna). Ogni membro del gruppo, quindi, pone domande per ricevere le risposte che portano nuove conoscenze o approfondiscono i dati di conoscenza già posseduti (possono essere introdotti interventi e notazioni didattiche per la correzione degli stili personali di comunicazione improduttivi e conflittuali perché inficiati dall’emozionale). I vantaggi di questo modo di procedere sono evidenti per la visibilità di molti più dati di conoscenza utili per la descrizione, a parità di tempo, rispetto alle normali modalità di analisi del caso.


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A questo punto c’è un apposito passaggio metodologico che prevede la raccolta di dati concernenti l’immaginario delle persone coinvolte nella situazione problematica: tutti i presenti riporteranno le proprie emozioni legate al vissuto di elaborazione che si viene realizzando di volta in volta (quale colore si associa alla situazione... con quale oggetto si rappresenterebbe la situazione... l’immagine o il disegno che viene in mente pensando a questa situazione...) Un ulteriore approfondimento si ha in questa penultima fase dove ciascuno dei partecipanti del gruppo risponde alla domanda: “Secondo te, perché la situazione è problematica?“ La lista delle spiegazioni che è possibile raccogliere – frutto di elaborazione intelligente da parte di ciascuno e di riflessione sugli stessi dati da tutti conosciuti e condivisi - permettono una presa di coscienza e di consapevolezza estremamente rassicurante che fa capire il perché succedono le cose, il perché la situazione è problematica dai vari punti di vista soggettivi. Ciascuno, portando la propria spiegazione, apre lo scenario delle possibili soluzioni. L’ultimo passaggio prevede da parte di ciascun partecipante la consegna del proprio suggerimento o consiglio o indicazione di comportamento, fondato sulla elaborazione personale intelligente e finalizzato al superamento della problematicità. Talvolta le soggettività possono trasformarsi in oggettività. In taluni casi le osservazioni di non psicologi (sotto la supervisione dello psicologo tutor) anziché produrre psicologismo, possono diventare autentica psicologia pratica. Per affrontare qualsiasi situazione problematica e per intervenire sulla persona come strumento di comunicazione devo partire dal presupposto di conoscerla bene; analogamente per intervenire sulla situazione problematica di relazione, devo partire dal presupposto di conoscere bene la situazione problematica che mi riguarda direttamente o indirettamente, ma sulla quale ho la responsabilità di decisione. Partire dai dati di conoscenza della situazione è fondamentale. Faccio dal punto di vista logico-razionale un quadro “razionale” e poi agisco. Con il presente metodo faccio un passaggio in più. Come già dicemmo, occorre andare al di là del piano razionale: la raccolta dei dati razionali ci servirà sempre, però non ci basta e ci accorgiamo o intuiamo che spesso è insufficiente e non ne usciamo. Allora ci proporremo di raccogliere anche dati di conoscenza


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del mondo immaginario che svolge un ruolo importante nella vita di relazione. A seconda di come mi immagino che venga accettato o no il mio ritardo, corro a 100 o 200 all’ora, per non incorrere in un rimprovero o in un rifiuto. Ricordiamo come la conoscenza della situazione problematica prevede una acquisizione di dati cognitivi dal punto di vista “razionale” e dal punto di vista dell’immaginario delle persone coinvolte nella situazione problematica. A ciò si devono aggiungere i dati di conoscenza della dimensione emozionale, delle componenti emozionali delle persone coinvolte. Quando noi raccogliamo questi dati, ci rendiamo conto che cominceremo a fare i conti con una serie di lavorii mentali che avranno il senso di una ritrovata creatività, si darà spazio alle risorse creative che normalmente non attiviamo perché non le sollecitiamo. Avere 100 dati sul razionale e decidere solo su quelli è diverso dal decidere, avendo a disposizione altri 100 dati sull’immaginario. Su questi dati ordinati in un certo modo si possono fare successive elaborazioni. Mi preme sottolineare l’importanza dell’immaginario. Se io so che quel bambino prende a pugni un compagno e se so che anche prima di entrare in classe ha preso a calci e so anche che l’altro bambino che lo ha aggredito l’ha fatto perché “immaginava…”, questo dato sull’immaginario assume la sua importanza. Ma assume importanza anche ciò che prende corpo nel mio immaginario mentre sono alle prese con tutti questi dati di informazione. Il metodo, nel renderci capaci di organizzare i dati di conoscenza sul razionale, sull’immaginario e sull’emozionale, in modo ordinato, di facile fruizione per i presenti (siamo abituati a lavorare con dati cognitivi, con passaggi schematici semplici), ci consente una disciplina degli interventi di lavoro, per la elaborazione degli stessi, caratterizzata da elevata qualità dell’informazione, elevati contributi di partecipazione, elevata produttività. Oggi, abbiamo la responsabilità di testimoniare un modo nuovo di fare educazione. La stessa metodologia può essere applicata alla lezione in quanto situazione problematica. Quindi, il metodo aspira a diventare fondamento per la didattica in generale e per la capacità di “recuperare” la comunicazione, che è lo strumento di trasmissione di ogni sapere. Nelle vostre classi può diventare la cassa di risonanza del mondo emozionale delle tante persone che sono lì, in aula, per svolgere il compito del giorno. Lo schema di lavoro proposto potrebbe servire per ritrovare la capacità di integrare il mondo emozionale nella complessità delle tante consapevolezze


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che riguardano l’allievo. Avere la possibilità di condividere questo schema significa sviluppare una relazione di aiuto, far esistere e recuperare il diritto di cittadinanza del mondo emozionale, permette di conoscere le emozioni, qui ed ora, che potrebbero interferire negli obiettivi del compito che si sta per svolgere. La metodologia aiuta in ogni luogo dove si deve risolvere un problema… e dove non c’è lo psicologo! Ci sono tante piccole situazioni dove entrano in ballo ansie, preoccupazioni, paure che possiamo imparare a gestire meglio anziché subirle in confusione. Schemi di questo tipo consentono di far passare la singola persona e tutte le persone in collaborazione, da una situazione di confusione a una situazione di ordine. Se dalla confusione vengono fuori messaggi ambigui, da questa situazione di ordine vengono fuori messaggi ambivalenti positivi/. In realtà, dopo aver ricordato il modo in cui operare, come laboratorio, si va a conoscere il mondo emozionale per allenarsi: come stiamo mentre trascorriamo un’ora insieme per conseguire migliori obiettivi di produttività, di profitto, di garanzie che non abbiamo perso tempo. Se ad esempio su 10 persone, 3 non hanno imparato l’alfabeto, questo problema se lo porteranno tutto l’anno. Se invece queste tre persone distratte dalla loro componente emozionale possono essere aiutate a vederla “rientrare”, l’insegnante avrà perso 5 minuti, ma avrà guadagnato 55 giorni e quindi una migliore produttività in un sistema auspicabile. Come pure, l’essere stanco di uno studente su un banco di scuola e condividere lo stato emotivo conseguente non è cosa facile; e non è semplice farlo resistere alla nostra attenzione. Con ciò voglio significare didatticamente che la consapevolezza dello stato emozionale permette l’orientarsi a far sì che non si resti troppo infastiditi da queste realtà. Si può anche passare attraverso vissuti di fatica ulteriore, si può passare da situazioni di simpatia a situazioni di antipatia che nessuno vorrebbe. Bisogna invertire le tendenze, bisogna provare a sperimentare modi di essere, di trasformarci, di favorirci, per avviare processi migliorativi. Come pure c’è chi prova sensazioni sgradevoli e non le dice, si irrigidisce e non percepisce più, però con questa metodologia possono venire fuori lo stesso poichè si vedrà dall’espressione del viso che spesso si presta ad essere equivocata perché io penso di aver capito quello che hai, invece non è vero, “presumo”, ma non è verificato perché la verifica non è prevista. Capite dove dobbiamo portare l’attenzione. Se ho fastidio e non me lo dico o lo reprimo o non lo verbalizzo all’altro, questo viene fuori attraverso l’atteggiamento non verbale, continua a far tensione e può interferire nella comunicazio-


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ne verbale e nel rapporto interpersonale. Torno a ricordare che se è giusto che esista l’educazione del corpo e del sapere, è altrettanto giusto che esista l’educazione della psiche. Altrimenti si impara a razionalizzare: il dato emozionale è soffocato, ma c’è, ed è testimoniato dalla parola “desidererei”. Si vuol mediare intelligentemente sul razionale per recuperare tutto ciò che invece c’è di emotivo e che abbiamo perso nelle parole. Tutte le distrazioni di cui facciamo esperienza sono dovute a questo mare di cose vaganti che non sappiamo frenare razionalmente per riportarle nella memoria dell’attenzione. Sul piano fisico sappiamo gestire il bisogno, (“voglio un bicchiere d’acqua” e ottengo il bicchiere d’acqua). Sul piano emozionale “subiamo” e quando cerchiamo di non subire interrompiamo la comunicazione, anche passionalmente, assumendo posizioni che non facilitano decisioni coerenti, chiarezze... La conflittualità è dietro l’angolo, in ragione di questi punti di partenza, di questi schemi che ci portiamo dentro da sempre. Ma non è colpa nostra: il sistema ci ha educato in questo modo. Abbiamo bisogno di acquisire con facilità l’autocritica, l’autoverifica, l’auto osservazione o la verifica incrociata, per invertire questo orientamento, questo sistematico modo di stare in comunicazione con una parte buia della comunicazione che stanca, che fa difficoltà a convenire sugli obiettivi. Pensate ai bambini che anche loro possono avere delle preoccupazioni, e che non sono mai banali. In quel momento c’è enorme distrazione perché l’ambiente, poi, fa da cassa di risonanza. Chi ha paura non può non avere tensione anche sul piano fisico. Talvolta dal quadro delle tripartizioni emerge il “senso del fastidio” ma può essere bilanciato da tanta “tranquillità”. Questo significa che io docente responsabile dico: “Cosa faccio con questa classe che si presenta così?”. Probabilmente vale la pena spendere altri 5/10 minuti per vedere se le persone che hanno provato e sono in contatto col loro fastidio possono essere aiutate in qualche modo, se “ci” possiamo fare qualcosa tutti insieme. Già alcuni possono sentirsi meglio psicologicamente per il fatto che qualcuno presta loro attenzione. È già aprire le porte dell’interesse affettivo, quindi di una potenziale comprensione. Tra l’altro, ai bambini basta molto poco per uscire dal malumore così come per entrarvi, o per passare dal fastidio al dispiacere.


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Aggiungo, schematicamente, un esempio di applicazione del metodo ad una lezione, (ad es. storia; argomento: Garibaldi):

Descrizione razionale dell’argomento (Il docente espone la propria trattazione dell’argomento di Storia e consegna il proprio sapere in termini di dati di conoscenza di natura riassuntivo-razionale. Alla fine dell’esposizione il docente dà spazio a domande e risposte da parte degli allievi. Questa fase consente di acquisire ulteriori dati di conoscenza in termini di approfondimento e di sistemazione (memoria) e di intervenire didatticamente sugli stili personali di comunicazione degli allievi con obiettivi di profitto e di “insegnamento della comunicazione “. Descrizione dal punto di vista dell’Immaginario (Gli allievi vengono invitati – in libertà – a produrre quanto nel loro immaginario si è venuto “disegnando” in ragione degli stimoli comportati dall’acquisizione di dati di conoscenza sull’argomento in trattazione (come immagini Garibaldi?.... con quale personaggio attuale lo assoceresti?...). I disegni prodotti rappresentano i dati di conoscenza dell’immaginario così come reagito nelle menti degli allievi circa l’argomento della lezione. Descrizione dal punto di vista dell’ Emozionale (Gli allievi interrogano i propri stati emozionali e consentono di riportare sullo “schema“ i dati di conoscenza della componente emozionale. La cassa di risonanza che ne risulta è riassuntiva delle emozioni degli allievi con integrazione di quelle emozioni comportate dal “vissuto” della lezione in corso. Gli allievi rispondono alla domanda : “Perché – secondo Te – le cose sono andate in quel modo?“. I contributi raccolti sono occasione di riflessioni ed elaborazione circa i contenuti della lezione (e le “cause” della Storia). Gli allievi rispondono alla domanda : “Cosa avrei fatto - o “farei io” - in analoghe situazioni storiche?“. I contributi raccolti sono occasione di ulteriore elaborazione didattica e pedagogica a discrezione del docente.


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L’ANALISI DELLA SITUAZIONE PROBLEMATICA A parte l’ingresso di routine sul mondo emozionale, la cassa di risonanza, l’allenamento sugli schemi, sulla fotografia di identificazione della propria mappa emozionale e quella corale di gruppo, ora cercheremo di vedere come funziona l’elaborazione di una situazione problematica di relazione di alunni a scuola, di figli a casa e dei minori di potere ma non per questo meno accreditati come persone, ma anzi più bisognose di essere tenute presenti e rispettate, proprio per quelle componenti così difficili da identificare e da gestire, che sono quelle del mondo immaginario ed emozionale. Fin qui ci siamo resi conto di alcune cose fondamentali, che la persona che io sono e la persona che ciascuno ,è vanno letti come strumenti di comunicazione. Ogni strumento di comunicazione è da conoscere. Conoscerlo significa sapere meglio la componente difettosa del mondo emozionale nell’uso della relazione umana nella quale ci troviamo. Abbiamo trovato uno schema semplice dal quale fare, ciascuno per sé e poi nel gruppo, una lastra dell’insieme di questi mondi emotivi che sono la cassa di risonanza entro cui ciascuno si colloca, e dove si può trovare a suo agio o a disagio, ma ora possiede una serie di termini di pronto uso per la chiarificazione, per me e l’altro, su cosa ci conviene fare alle prese con queste emozioni. Per poter identificare il proprio mondo emozionale è facilissimo, uno porta l’attenzione velocemente sulla propria percezione di sè e vede quale parte richiama l’attenzione: “Mi fa male questo... cosa provo?... che cosa viene ancora?” E già sto in una condizione di verificare questa componente che direttamente mi interferisce e mi incepperà le verifiche della mente che deve funzionare, ma anche del corpo che a tradimento subirà l’acuirsi di un disturbo di tipo somatico e in tal caso sarà impossibile restare attento e partecipe. Da notare che il concetto di curiosità in termini di partecipazione non mi identificano un sentimento, ma esprimono un concetto razionale; ho bisogno di sapere, oltre la curiosità, se provo piacere o dispiacere. Questo mi consente di stabilire un rapporto immediato che favorisce lo spazio di accoglienza per ciò che provo; e ciò significa intervenire per placarle. Di fronte ad alcune reazioni somatiche del corpo e della psiche, noi abbiamo la responsabilità di orientare anche il nostro star mal, in una dimensione positiva.Poter parlare di ciò che proviamo dà sollievo, significa sintonizzarsi con l’altro, accogliere di più e, comunque in buona fede, dare per scontato che c’è uno spazio in cui non si devono rincorrere ulteriori cose da fare, che è il presupposto per stare bene insieme e fare bene le cose che comunque qualche volta siamo costretti a fare con altri. In conclusione, prima di parlare di una situazione problematica, dobbiamo prendere coscienza che lo strumento di comunicazione va conosciuto e recuperato socialmente. Ora cerchiamo di capire come si lavora sulla situazione problematica. La situazione problematica va guardata con lo stesso tipo di approccio con cui siamo andati a osservare la componente emozionale dentro lo spinato delle persone. Una situazione problematica non ha solo l’aspetto razionale, anche se precede tutte le altre componenti in quanto riassume come stanno le cose, E questo tutti lo sappiamo fare. Se uno dice: “Questo bambino è arrivato tardi!” è una cosa che tutti sono in grado di fare. Quello che dovremmo aggiungere è iniziare ad andare oltre tutti i dati di conoscenza sul razionale: manca l’aspetto emozionale delle persone coinvolte nella situazione problematica. E che dire dell’aspetto dell’immaginario? Allora, se ho uno che mi da problemi, alla conoscenza del razionale devo aggiungere la conoscenza dell’immaginario, che addirittura precede la conoscenza dell’emozionale, che diventa la modalità espressiva di quanto sta dietro. Lavorare su una situazione problematica vuol dire innanzitutto dargli un titolo, assegnarle un tema, ad esempio “io ho un bambino irrequieto...., io ho un problema mio...” La metodologia non prevede la soluzione della situazione ma capire come può applicarsi per gestire una situazione standard. Ricordo che nel 1990, quando in un asilo comunale prese forma questo metodo, c’era un bambino piccolo che staccava il ciuccio a tutti gli altri e creava problemi. Il titolo di questo problema fu uno di questi tre: “un bambino aggressivo, l’aggressività di un bambino, il bisogno di dominare”. Generalmente lo sceglie la vostra intelligenza. All’inizio, chi relaziona fa il riassunto sul razionale e stabilisce quanti minuti ha bisogno per poter chiarire la situazione. Così si amministrano i tempi che potrebbero dare una difettosa partecipazione di tutti e non solo dei soliti. Il tempo a disposizione si stabilisce facendo i conti con la realtà: se ho due ore, non posso pretendere di prendere venti minuti per presentare il caso. Bisogna dare lo spazio


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anche agli altri. Dobbiamo mettere al conto anche questo. Dobbiamo perfezionare un rapporto alla pari. Dobbiamo disciplinarci nel rispetto della creatività di ciascuno. Ma quando c’è un gruppo, la creatività necessariamente deve essere di gruppo e tutti i membri hanno interesse che ci sia una produttività globale per concludere dicendo: “Più di questo non si poteva fare... quanto bravi siamo stati, tutti!” Così, piano piano, si va al di là delle teorie, che comunque ci servono sempre perchè ci rassicureremo di più nella pratica. Dopo aver raccolto i dati cognitivi del razionale, si passa a raccogliere i dati di conoscenza dell’immaginario e dell’emozionale. Ogni tipo di raccolta dei dati deve avere la migliore descrizione possibile della situazione problematica, che potrà richiedere vari situazioni di interventi per avere chiarificazioni pertinenti ed ulteriori informazioni. Il relatore, infatti, dovrà rispondere alle domande dei presenti. In questa fase vengono messi alla prova gli stili personali di comunicazione. Il linguaggio può orientare la comprensione delle cose e delle persone. Spesso capita che l’altro sta ancora parlando ed io penso di aver capito tutto; allora do le risposte. No! Dobbiamo saper aspettare e allenarci a essere calmi con lo schema emozionale.Dopo aver raccolto tutti i dati, dopo averli aggiornati, bisogna porsi la domanda: “Da queste riflessioni cosa deduco?” Per rispondere, un conto è avere tante informazioni e un conto è averne poche. Ed è così che si impara insieme la produttività migliore nell’acquisire l’informazione attraverso l’essenzialità della domanda e delle risposte.Quello che accade è che ognuno pensa delle cose, tira dei conti agganciando i dati con il proprio emozionale, questo mondo sconosciuto c’è e andrà a condizionare i dati della nostra conoscenza. Mentre noi lavoriamo sul filo della corrente razionale, ci dimentichiamo di lavorare su altri settori (l’emozionale, l’immaginario) che esistono. Sono contestuali per definizione. Quindi, abbiamo bisogno di vedere l’eco che mi fa dentro l’informazione razionale, collegando a questa l’informazione emotiva. Non stiamo qui per giudicare, ma stiamo qui per acquisire conoscenza. Come possiamo andare a conoscere l’immaginario dentro di noi? Il nostro compito è quello di cercare il nostro eco dentro di noi e gestirlo sul piano razionale (ad es. se dovessi rappresentare questa situazione attraverso un colore quale sceglierei?... se dovessi rappresentarlo con un oggetto?... “ Queste due fasce rappresentano il passaggio all’immaginario lasciando aperto lo spazio alla creatività dove non razionalizzo. Entrare nel nonrazionale significa avere a disposizione un mondo ricco di echi, di risonanza... da interpretare. La produzione del non-razionale è una produzione che porta in ballo altri dati di conoscenza in sintonia agli stimoli razionali arrivati, è proprio la purezza di un prodotto creativo purificato del razionale. “Non ho una spiegazione razionale, ma vedo che questo è il miglior immaginario possibile perchè recupera tutto ciò che razionale non è. Se riusciamo, disciplinandoci, a tirar fuori ciò che ognuno concorre a far esistere come costruzione di un dato, il cui spessore è completamente fatto di persone, avremo vinto la scommessa sulla relazionalità difficile perchè non abbiamo usato un immaginario inquinato. Noi dobbiamo recuperare un immaginario puro, ecco perché diventa importante l’operazione della discriminazione attenta dei significati da dare ai nostri schemi emozionali e alle nostre immagini interiori. L’emozionale lo mettiamo fuori perché sia condiviso, perché faccia da cassa di risonanza anch’esso, a quel tanto di immaginario che è lì nella realtà e la fa problematica.L’altro deve sentirsi accettato. L’immaginario diventa unità di misura che ci fa sintonizzare sul razionale. A questo punto si cercherà di chiudere l’elaborazione del dato. Immaginiamo “un bambino piccolo dentro una corazza grande e dura”. Immaginiamo che ognuno lo abbia disegnato. Occorre vedere qual è la cassa di risonanza emozionale su questa situazione problematica. Occorre fare lo schema per vedere qual è il nostro punto in questo momento su questa situazione problematica. Così ogni elemento del gruppo sarà in condizione di fare ipotesi e di dare consigli per la risoluzione della situazione presentata come problematica e di difficile gestione. “In base a questi dati raccolti che spiegazione mi do sulla situazione problematica?... Che cosa si potrà fare su questa situazione?... ”. Ognuno offre il suo perché e il suo come. Ma ciò che conta è che c’è stata un’occasione dove è stato possibile raccogliere molti dati che permettono di farsi un’idea, una lista di spiegazioni razionali. Preso atto delle riflessioni intelligenti di ognuno, basterà mettere in fila il contributo di tutti per elaborare positivamente la situazione. L’articolo è stato tratto dalle registrazioni elaborate dalle dottoresse Silvia Marsiliani, Paola Pernazza e Rosaria Scottegna all’interno del master triennale di “Cooperative Learning” riservato gratuitamente a tutti i docenti del territorio di Spoleto e tenuto presso la scuola XX Settembre.


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interprofessionalità

Tema della situazione problematica ........................................................................................................................................................................................

Dati di conoscenza riferiti ........................................................................................................................................................................................ ........................................................................................................................................................................................ ........................................................................................................................................................................................ ........................................................................................................................................................................................ ........................................................................................................................................................................................ ........................................................................................................................................................................................ ........................................................................................................................................................................................

Dati di conoscenza aggiuntivi ........................................................................................................................................................................................ ........................................................................................................................................................................................ ........................................................................................................................................................................................ ........................................................................................................................................................................................ ........................................................................................................................................................................................ ........................................................................................................................................................................................ ........................................................................................................................................................................................

Probabile causa ipotizzata ........................................................................................................................................................................................ ........................................................................................................................................................................................ ........................................................................................................................................................................................

Consigli offerti al relatore della situazione problematica ........................................................................................................................................................................................ ........................................................................................................................................................................................ ........................................................................................................................................................................................ ........................................................................................................................................................................................ ........................................................................................................................................................................................ ........................................................................................................................................................................................ ........................................................................................................................................................................................

Questo è quello che noi sappiamo del problema... ma cosa dice la ricerca? (Conclusione dell’esperto)


CePASA di Spoleto

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CORSO SULLA COMUNICAZIONE È un’esperienza cognitivo-esperienziale centrata sulla comunicazione e consente di conseguire la consapevolezza che la comunicazione non è la logica razionale del dialogo ma è il metabolismo di tante importanti componenti emozionali. Nella vita di relazione, permette di migliorare la qualità della comunicazione tra persone in famiglia, a scuola, in azienda e nelle altre situazioni sociali.. I livello di base La modalità razionale della comunicazione interpersonale L’esplorazione dei vissuti psicologici personali Sensazioni, emozioni, sentimenti... fantasia, immaginazione, desiderio, sogno, intuizione... II livello di approfondimento La problematicità della relazione esistenziale La fenomenologia del gruppo di lavoro e dell’incontro di gruppo L’interazione autentica tra persone III livello di specializzazione La presa di coscienza dell’aggressività distruttiva e costruttiva L’elaborazione e il superamento della conflittualità La gestione e il controllo delle situazioni problematiche Durata di ogni livello: 10 incontri Numero dei partecipanti: 15-20 (Sarà attivato nelle città dove si raggiunge tale numero) Certificazione: alla fine dei tre livelli, previo esame, verrà rilasciato un attestato con la qualifica di “master del metodo” e di “tutor del metodo” dalla “Scuola di Comunicazione di Acqualoreto”. ISCRIZIONI e INFORMAZIONI cell. 338 8364421 (prof. Minio)

tel. 0744 958187 (dott. Di Nicola)

CORSO SULLA STIMA DI SÈ I livello Perchè continuare a vivere senza contatto e privi di ascolto perdendo ogni giorno valore? Da tale condizione scaturiscono la maggior parte dei disordini psicosomatici, le continue insoddisfazioni relazionali e le mancate affermazioni sociali. Chi s’immergerà in questo laboratorio di esperienza umana ne uscirà con innegabili effetti psicoterapeutici senza ricorrere all’appuntamento con lo psicologo. In maniera piacevole e giocosa ogni partecipante potrà “revisionare” 1. il concetto di conoscenza di sè 2. il concetto di amore di sè

3. il concetto di accettazione di sè 4. il concetto di fiducia in sè

5. il concetto di colpa e di errore 6. il concetto di realtà e passato 7. il concetto di assertività

Durata: dieci incontri pomeridiani o serali II livello La vita contemporanea sta facendo aumentare sempre più gli italiani che vivono senza stima di sè. L’autostima è la valutazione delle informazioni contenute nel concetto di sé che il soggetto tende a mantenere con l’atteggiamento di approvazione o disapprovazione e con la convinzione di essere capace o incapace. Ogni giorno la vulnerabilità della stima di sè la vediamo manifestarsi nel senso di inadeguatezza, nel rapporto difficile con i colleghi, nell’incapacità a reagire di fronte a situazioni problematiche, nella paura di affrontare gli altri... Che senso ha nutrirsi di “se, forse, ma...“. Il corso proposto mira a risolvere questi e altri problemi. 1. Psicologia dell’autostima 2. Metodologia della gestione del mondo emozionale

3. Conoscere la stima di sè nei vari ambiti 4. Come comportarsi di fronte alla disistima di sè

Durata: 10 incontri pomeridiani o serali per imparare a sconfiggere la psicologia del fallimento. I corsi saranno attivati nelle città dove si iscriveranno almeno 20 partecipanti. Certificazione di frequenza firmata dai quattro docenti

Informazioni e iscrizioni: 075/8043898 (Dott. Salerno)

338/8364421 (Prof. Minio) 338/8009597 (Dott. Tordelli)


interprofessionalità

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Leggere è sempre un buon investimento culturale!

Cristina Aristei - Pietro Salerno

Cristina Aristei - Pietro Salerno

Itinere

Plenitude

NELL’ISOLA CHE NON C’É la curiosità diventa terapia

In press

C. Aristei, A. Minio, P. Salerno

Conversazioni con gli educatori

Pag. 280 -

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Un’esperienza di Comunità per minori

Pag. 220 -

Percorsi formativi per educatori

Pag. 550 -

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COMUNICAZIONE UMANA E CONDUZIONE DELLA CLASSE (276 pagine) 20 CONOSCO UNA SCUOLA DOVE TUTTI VANNO MA CHE NESSUNO FREQUENTA (580 pagine) 20 MINIMO VITALE (333 pagine) 20 CONTROCANTI (in press … maturità collaborativa, lavoro di gruppo...) MESTIZIE (in press … disordini della personalità, nevrosi, psicosi…) SAGGEZZE (in press … tutto ciò che serve alla professione docente...) TENTAZIONI (in press… valori, società, politica, denaro, tempo libero…) Antonino Minio

Antonino Minio

Antonino Minio

Fragilità

Mediocrità

Superficialità zainetto psicologico per un minimo vitale

strumenti psicologici per il mondo degli affetti

Pag. 398 -

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minimalia per la formazione Pag. 336 -

Pag. 370 -

20

20

Cinque di questi volumi sono dati in omaggio-benvenuto, sino ad esaurimento, a chi diventa Socio CePASA


Una rivista aperta a tutto e per tutti “Interprofessionalità” è una rivista per dirigenti, docenti, genitori, medici, psicologi, pedagogisti, sociologi, assistenti sociali, operatori di comunità, amministratori... ed è scritta per essere letta e capita da tutti. Chi desidera riceverla può immediatamente aderire al CePASA, in qualità di socio sostenitore con un contributo straordinario minimo di B 50, e così favorire la pluralità del dibattito culturale. Non contano solo le idee degli “esperti” ma anche quelle di coloro che vivono direttamente un problema. Le riviste con sole “immagini” o con tanta “pubblicità” rischiano di diventare libri per ignoranti...

ANTONINO MINIO è il fondatore del Ce.P.A.SA. e di INTERPROFESSIONALITÀ. Psicologo e psicoterapeuta, nato in Sicilia a Bronte (Catania). Dal 1971 vive in Umbria a Spoleto (Perugia). Laureato in Filosofia, perfezionato in Filosofia Teoretica e specializzato in Behavior Modification (Terapia del comportamento) con analisi didattica (quattrocento ore) in Psicoterapia Cognitivo-comportamentale. Laurea honoris causa in Psicologia dalla Miami International University - USA. Psicologo libero professionista dal 1965. Dal 1975 instancabile promotore del CePASA (Centro di Psicologia Applicata e di Studi sull’Apprendimento), che ha sedi in diverse città italiane. Dal 1990 direttore della rivista mensile monografica “Interprofessionalità: il coraggio come educazione”. Dal 1975 al 1994 direttore e didatta della scuola quadriennale di specializzazione in Psicoterapia del CePASA di Terni. Organizzatore di ben diciassette congressi internazionali su problematiche sessuologiche, psicologiche e pedagogiche. Collaboratore come esperto di psicologia alla RAI (Radio anch’io, Frontiere TG1…). Coraggioso pioniere nella scelta del modello “integrazionista” nel panorama italiano della storia delle psicoterapie. Autore di trentasei volumi (particolarmente ricercato è il noto trittico: Fragilità, Mediocrità, Superficialità…) e di centinaia di articoli. È stato collaboratore docente alla cattedra di Pedagogia Generale dal 1996 al 2001 nel corso di laurea in Scienze Motorie (ISEF) presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Perugia. Attualmente è cultore della materia Metodologia e Tecnica del Gioco e dell’Animazione (prof. Luciano Mazzetti) presso il corso di laurea in Scienze dell’Educazione nella facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Roma Tre. Se ti tolgono la parola INTERPROFESSIONALITÀ ti presta la sua voce Occasione per chi vuole essere e sentirsi presente con idee nuove e concrete! Sostieni la cultura... Contribuisci associandoti... Invia la tua adesione a

Associazione Culturale CePASA di Spoleto Centro di Psicologia Applicata Casella Postale 134 06049 SPOLETO (Pg) Dai una mano al CePASA, confermando in qualsiasi momento la tua iscrizione!


una buona iniziativa formativa del CePASA di Spoleto e del PICCOLO CARRO di Assisi

Progetto EDUCAZIONE ALLA LEGALITÀ Un progetto di Educazione alla legalità da realizzare con preadolescenti e adolescenti prende le mosse dall’idea di educare alla conoscenza e alla comprensione delle leggi e delle regole che governano il nostro vivere sociale. Ma non solo. L’aumento di atti di microcriminalità compiuti dai nostri ragazzi e la diffusione del fenomeno della devianza minorile, connessi a più ampie trasformazioni sociali in atto, hanno stimolato negli ultimi tempi numerose riflessioni e svariati tentativi di ricerca di possibili soluzioni al problema per tutelare la società dal diffondersi del fenomeno della criminalità giovanile. Il presente progetto di educazione alla legalità mira ad attivare concreti interventi di prevenzione dei fenomeni devianti affrontando il tema della legalità con gli adolescenti stessi, cioè con coloro che rischiano di diventare le principali vittime del fenomeno che li vede protagonisti. In quest’ottica, l’iniziativa nasce come un percorso il cui obiettivo è portare il ragazzo, più che ad una pura conoscenza delle leggi, a comprendere le ragioni dell’esistenza delle norme, affinché si attivino in lui processi di scelta consapevole del rispetto delle stesse. Attraverso interessanti giochi psicologici si intende promuovere una cultura della legalità traducibile in risultati osservabili e cioè 1. un miglioramento delle relazioni all’interno delle classi; 2. una maggiore capacità di scelta responsabile da parte dei ragazzi; 3. un maggior rispetto delle regole da parte dei ragazzi nei loro normali contesti di vita; 4. una maggiore capacità di collegare presente e futuro, causa ed effetto, ovvero di avere consapevolezza delle conseguenze che le proprie azioni determinano. Destinatari: il progetto è rivolto agli alunni delle scuole medie inferiori e superiori. Durata: 10 incontri di circa tre ore per classe in date da concordare con il dirigente scolastico

INFORMAZIONI e PRENOTAZIONI: cell. 338 8364421 (prof. Minio) tel. 075 8043898 (dott. Salerno) cell. 338/7472289 (dott.sa Marsiliani)

Un team di specialisti per una nuova umanità

www.cepasa.it minio@cepasa.it cell. 338/8364421

www.piccolocarro.it segreteria@piccolocarro.it Tel. 075/8043898


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