Alberto Palmucci
IL FANUM VOLTUMNAE ERA A TARQUINIA CENTRO DELLA FEDERAZIONE ETRUSCA
RIPRESO E SVILUPPATO DALL’OMONIMO ARTICOLO PUBBLICATO DALL’AUTORE
su NUOVA ARCHEOLOGIA dei GRUPPI ARCHEOLOGICI D’ITALIA
ROMA 2011
Collana di “Etruscologia” 3
Studio in memoria di Maurizio Gori
In copertina. TARQUINIA. Dal Frontone del Tempio dell’Ara della Regina La coppia dei Cavalli Alati del dio Vertun / Veltun (?) = Vertumnus / Voltumna
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INDICE Capitolo Primo: Il Fanum Voltumnae era a Tarquinia
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14.
Notizie biografiche. … p. 4 Opere di Alberto Palmucci. … p. 5 Le mitiche origini di Tarquinia. ... p. 7 Tarquinia centro della Federazione Etrusca. ... p. 9 Tarquinio nella tomba François di Vulci. ... p. 11 Enea ed il Campo Federale di Tarconte a Tarquinia. ... p. 12 Il culto di Vertumnus (etr, Vertun) a Tarquinia ed a Roma. ... p. 13 Tagete e Tarconte. ... p. 13 Tagete ed il dio Vertun a Tarquinia. ... p. 15 Il dio Veltun (lat. Vertumnus, Voltumna). p. ... p. 16 Il tempio di Tarquinia dedicato a Giove/Tinia e Giunone. ... p. 17 Tito Livio ed il Fanum Voltumnae. ... p. 20 Tarquinia e Volsini. ... p. 21 Tarquinia “Città Regina”. ... p. 23 Laris Pulena ed il Collegio Federale dell’Ordine dei Sessanta Aruspici... p. 29 Il Rescritto di Spello è falso. ... p. 32 Capitolo Secondo: La Virgiliana città di Còrito-Tarquinia
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.
Nota preliminare. … p. 36 Dardano capostipite dei Troiani. ... p. 37 Le insegne del potere federale. ... p. 38 Tagete. ... p. 39 Il fiume Mignone ed il Campo Federale di Tarconte “13 Agosto, festa di Vertumnus/Silvano?). ... p. 40 Enea nella città di monte Còrito “13 Agosto”. ... p. 44 Il triofo di Augusto. ... p. 46 Venere guida Enea. ... p. 47 Tarquinio nato a Corinto. ... p. 48 Prospetto dei nomi di Cori(n)to. ... p. 49.
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Alberto Palmucci NOTIZIE
BIOGRAFICHE
Alberto Palmucci, nato nel 1933, si è laureato all’Università di Roma. Ha insegnato a Civitavecchia dove ha trascorso la sua giovinezza. E’ stato direttore didattico a Rimini e a Genova. Per lunghi anni è stato docente presso l’Istituto Regionale di Ricerca, Sperimentazione e Aggiornamento Educativi (I.R.R.S.A.E.) della Liguria, dove ha pure svolto attività di ricerca filologica su Virgilio e Còrito (Tarquinia). Attualmente vive a Genova. E’ autore di numerosi saggi pubblicati con l’Accademia Nazionale Virgiliana di Mantova, l’Università di Genova, l’Università di Bari e di Roma Tre, l’Università di Innsbruck, il Messaggero Italiano di Manchester (Inghilterra), i Gruppi Archeologici d’Italia, la S.T.A.S. di Tarquinia, e la Società Storica di Civitavecchia. Nel 1998, La S.T.A.S., con il contributo della Regione Lazio, ha pubblicato per lui il volume Virgilio e Còrito-Tarquinia: La leggenda troiana in Etruria. Nel 2005, l’Assessorato alla Cultura della provincia di Viterbo ha sovvenzionato un secondo volume dal titolo Gli Etruschi di Corneto (oggi Tarquinia) fra Mito e Archeologia. Ultimamente sono uscite altri suoi libri: La Filosofia e la Pedagogia di John Dewey (Roma 2010), Aruspicina Etrusca ed Orientale a Confronto (Roma 2010) ed Odisseo e gli Etruschi (Roma 2010). E’ anche autore di opere letterarie. Si è classificato al primo posto nel Premio di Poesia “Janua 1997”. Da anni i suoi lavori sono primi classificati in Internet (Google, Yahoo, ecc.). Vedi, per esempio, la voce Etruschi DNA.
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OPERE DI ALBERTO PALMUCCI
STUDI VIRGILIANI E DI ETRUSCOLOGIA 1- Tarquinia e la virgiliana città di Còrito, Silver Press, Genova, 1987; 2- La virgiliana città di Còrito, “Atti e Memorie della Accademia Nazionale Virgiliana di Mantova”, 56, 1988; 3- Il ruolo della città di Còrito-Tarquinia nell'Eneide, “Atti e Memorie della Accademia Nazionale Virgiliana di Mantova”, 58, 1990; 4- Analisi della mitologia propedeutica alla figura di Dardano e alla città di Còrito-Tarquinia nell'Eneide, “Atti e Memorie della Accademia Nazionale Virgiliana di Mantova “, 59, 1991; 5- Ancora sugli antecedenti mitologici della figura di Dardano e della città di Còrito-Tarquinia nell'Eneide, “Atti e Memorie della Accademia Nazionale Virgiliana di Mantova”, 60, 1992; 6- La figura di Dardano e la città di Còrito-Tarquinia nell'Eneide, in Latina Didaxis. Atti del congresso, Bogliasco, 28-29 Marzo 1992, Università degli Studi di Genova (Compagnia dei Librai), Genova, 1992; 7- Còrito-Tarquinia e il porto dei "Ceretani", “Atti e Memorie della Accademia Nazionale Virgiliana di Mantova”, 61, 1993; 8- Gli Etruschi e Còrito-Tarquinia nell'Eneide (Risvolti scolastici), “Bollettino Informazioni I.R.R.S.A.E. Liguria”, 26, 1994; 9- Virgilio e gli Etruschi, “Aufidus” (Università di Bari), 24, 1994; 10- Tarconte e Mantova, Virgilio e Còrito-Tarquinia, “Atti e Memorie della Accademia Nazionale Virgiliana di Mantova.”, 62, 1994; 11- Mantova, Còrito-Tarquinia e Roma (Mantua, Còrito-Tarquinia and Rome), in Il Messaggero Italiano, 4, 25, Manchester, Gennaio, 1997; 12- Còrito-Tarquinia, “Archeologia”, 5, 1997; 13- I Troiani a Còrito-Tarquinia (13 Agosto), “Bollettino della Società Tarquiniense d’Arte e Storia (d’ora in poi BollSTAS)”, 25, 1996; 14- Cori(n)to-Tarquinia e la Leggenda di Dardano, “Aufidus”, 31, 1997; 15- Ulisse in Etruria, “BollSTAS”, 26, 1997; 16- Virgilio e Cori(n)to-Tarquinia. La leggenda Troiana in Etruria, Tarquinia, S.T.A.S – Regione Lazio, 1988; 17- Enea, Tarquinia e Roma, “Archeologia”, 7/8/9, 1998; 18- I re Tarquiniesi: Demarato Corinto e suo figlio Lucumone, “BollSTAS”, 1999; 19- Gli Elogi degli Spurinna, “Archeologia”, 11/12, 2000; 20- Odisseo in Etruria, “Aufidus” (Università di Bari), 42, 2000; 21- Corneto (oggi Tarquinia) Etrusca?, “BollSTAS”, 29, 2000; 22- Corneto Etrusca?, “Archeologia”, 1/2, 2001; 23- Odisseo e gli Etruschi, “Archeologia”, 10/11, 2001; 24- La figura di Tarconte: un ponte mitostorico fra Tarquinia e Troia, in Anatolisch und Indogermanisch (Anatolico ed indoeuropeo), Acten des Kolloquiums der Indogermanischen Gesellschaft, Pavia, 22-25 Settembre 1998 (Università degli Studi di Pavia, Dipartimento di Scienze dell’Antichità), Innsbruck, 2001, pp. 341-353; 25- Tarquinia e i Tirreni del mar Egeo, “BollSTAS”, 30, 2001; 26- Gli Etruschi, Tarquinia e il vino, “Archeologia”, 8/9, 2002. 27- L’elogio di Tarconte, “Archeologia”, 12, 2002; 28- Le origini degli Etruschi nelle fonti etrusche, “BollSTAS”, 31, 2002; 29- La Corsica e Corneto, “Archeologia”, 2003, 1. 30- Corneto (Tarquinia) città etrusca davanti alla Corsica, “BollSTAS”, 2003. 31- Gli Etruschi di Corneto, Tarquinia, 2005. 32- Il cielo di Tarquinia visto da Tagete, “Archeologia e Beni Culturali”, 2005. 33- I libri Tagetici. il Calendario Brontoscopico, “BollStas”, 2005. 34- I Secoli Etruschi, “BollSocStorCiv”, 2005. 35- I Numerali Etruschi, “BollSocStorCiv”, 2006. 36- Tarquinia e i Libri Tagetici, “Nuova Archeologia”, 2006.
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37- La leggenda di Odisseo in Etruria, “BollSocStorCiv”, 2006. 38- Còrito-Tarquinia, DNA e origine degli Etruschi, “Nuova Archeologia”, 2006. 39- I libri Tagetici. La partizione del cielo e del fegato, “BollStas”, 2006. 40- Le mura premedioevali di Corneto (Tarquinia), “Nuova Archeologia”, (Luglio-Agosto), 2008. 41- Virgilio, Erodoto, il DNA e l’origine degli Etruschi (Còrito-Tarquinia), “Aufidus” (CNR, Università di Bari e di Roma Tre), 62-63 (2007). 42- Aruspicina Etrusca ed Orientale a Confronto (Tarquinia.: Fanum Voltumnae, Libri Tagetici e Liber Linteus, Roma, 2010. 43- Odisseo e gli Etruschi, Roma. 2010. 44- Il Fanum Voltumnae era a Tarquinia, “Nuova Archeologia”, 2010. 45- Etruschi: DNA, miti e archeologia,”BollSocStorCiv”, 2010. STUDI SUL MEDIOEVO 1- Il “Trattato di pace fra i Cornetani e i Genovesi”, “BollSTAS”, 1994. 2- I rapporti di Genova e della Liguria con Corneto e l’odierno alto Lazio nei notai liguri tra 1186 e il 1284, “BollSTAS”, 1995. 3- Anno 1385: il Papa cede Corneto in pegno ai Genovesi, “BollSTAS”, 1996. 4- I rapporti fra Corneto e Genova nei secoli XII e XIII, in Atti del Convegno di Studi “I pellegrini della Tuscia medioevale: vie, luoghi e merci”, Tarquinia 4-5/10/1997, (STAS, 1999). OPERE LETTERARIE * Poesie varie, in Poeti e Novellieri 1995, Genova, Silver Press, 1995. * Poesie varie, in Fior da fiore, Genova, Golden Press, 1996. * L’ultrima Muraglia (poesie e racconti), Genova, Golden Press, 1997 (poesia prima classificata nel Premio “Janua 1997”). * Poesie varie, in Calendario dei Poeti, Genova, Golden Press, 1997. * Alla mia terra, in Voci del 2000, Genova, Golden Press, 2000. * Stelle e zanzare, in Voci del 2000 (ed. 2001), Genova, Golden Press, 2001. * Bambino triste, in Voci del 2000 (ed. 2002), Genova, Golden Press, 2002. OPERE FILOSOFICHE * La Filosofia di John Dewey, Roma, 2010.
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Alberto Palmucci
PARTE
PRIMA
IL FANUM VOLTUMNAE ERA A TARQUINIA
Il Fanum Voltumnae era a Tarquinia per le ragioni che andremo esponendo. 1). LE MITICHE ORIGINI DI TARQUINIA. I fratelli Tarconte e Tirreno, secondo una antica tradizione, riferita dal tragediografo greco Licofrone (IV-III sec. a.C.) ed integrata dai suoi scoliasti, erano figli di Telefo, re della Misia (confinante con la Troade), e di Iera (o di Astioche sorella di Priamo re di Troia1). Costoro, dopo la fine di Troia, vennero in Etruria dove si unirono ad Enea già arrivato dalla Troade alla guida degli scampati alla rovina della città2. I Troiani s’erano già tanto stabilmente fissati in
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Scolio Ad Hom. Od. XI, 520; Euripilo, per Elio Donato, è figlio di Telefo e di Astioche figlia di Laomedonte: “Eurypylus filius Telephi, Herculis et Auges filii, ex Astioche Laomedontis filia (Servio Dan., Ad Verg. Buc. 6, 72) “. Lo stesso autore, in altra occasione presenta Tirreno come figlio di Telefo (Servio Dan., Ad Verg. Aen. 8, 558: “Tyrrheno Telephi filio”), e Tarconte come fratello di Tirreno (Servio Dan. ,Ad Verg. Aen. 10, 198: “Tarchone Tyrrheni fratre”). 2 Licofrone, Alessandra, 1240, ss.
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Etruria, che Enea aveva già potuto concedere “un po’ di mare e un po’ di terra” all’errante Odisseo che gli aveva chiesto perdono3. Tarconte fondò Tarquinia, mentre Tirreno diede il nome di Tirrenia alla regione colonizzata4. Enea avrebbe poi sposato una sorella di Tarconte, di nome Roma, che diede il nome alla città di Roma5. Secondo altri la moglie di Enea si chiamava Tirrenia: da lei nacque Romolo, e, da Romolo nacque Alba, e da Alba nacque Romo che fondò Roma6. Secondo la tradizione virgiliana, questa migrazione da Troia in Etruria era stata un ritorno alla “antica madre”. Virgilio sosteneva che un etrusco di nome Dardano era emigrato da Còrito (Tarquinia)7 fin sulle coste dell’Anatolia, dove i suoi nipoti avrebbero fondato o rifondato Troia. E sarebbe stato questo il motivo per cui, dopo la rovina della città, gli dèi avrebbero ingiunto ad Enea di riportare a Còrito (Tarquinia) i profughi Troiani8. Pare, peraltro, che la leggenda della venuta di Enea in Etruria risalga ad Arctino di Mileto (VIII-VII sec. a.C.)9 ed a Lesche di Lesbo (VII sec. a.C.)10. In Etruria, essa trova comunque il suo corrispettivo nei reperti iconografi risalenti fino al VII secolo a.C. (LIMC, s. v. Aimeia). Più tardi però Erodoto (V sec. a.C.) disse che il Lidi raccontavano che la migrazione verso l’Etruria s’era mossa dalla Lidia. Seguendo questa versione, Strabone (I sec. a.C. – I d.C.) scrisse: Ati, uno dei discendenti di Ercole e di Onfale, in seguito ad una carestia, avendo due figli, estrasse a sorte Lido e lo tenne con sé; invece fece emigrare Tirreno con la maggior parte del popolo. Giunto in questi luoghi, Tirreno, dal suo nome, chiamò Tirrenia la regione e fondò dodici città assegnando loro come ecista Tarconte, dal quale prende il nome la città di Tarquinia, e che per la sua perspicacia, come si dice, nacque con i capelli bianchi [...]. A quel tempo, dunque, gli Etruschi, governati dal un sol capo, furono molto potenti (V, 2,2). Aulo Cecina (I sec. a.C.), poi, storico etrusco di Volterra, raccontò che Tarconte, passato l’Appenninio con l’esercito, fondò la città che egli chiamò Mantova [ … ]. Lì ordinò il calendario, e parimenti consacrò il luogo dove fondare dodici città11. L’area di Tarquinia sembra dunque essere stata non solo il centro delle mitiche migrazioni verso oriente e dall’oriente, ma pure l’epicentro dell’espansione sia verso l’Etruria propria che verso l’Etruria Padana. Del resto, è ovvio: dal principale luogo d’arrivo 3
Parafrasi greca alla Alessandra di Licofrone. Il testo greco della Parafrasi è in Eduardus Scheer, Lycofronis Alexandra, vol. I, 1958, p. 102, vv. 1243-1247; trad. italiana in G. Buonamici, Fonti di Stoira Etrusca, Firenze, 1939, p. 106. Vedi Alberto Palmucci,Virgilio, Erodoto e il Dna degli Etruschi: Corito Tarquinia, “Aufidus” (Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università di Bari; Dipartimento di Studi del Mondo Antico dell’Università di Roma Tre), 62, 2007. 4 Scholia Vetera ad Lyc. Alex., 1240 ss. ; Giovanni Tzetze, ad Lyc. Alex. 1240 ss. 5 Plutarco, Romolo, I, 2. 6 Alcimo Siculo (IV-III sec. a. C.), in Festo , De Signicatione Verborum., s.v. Roma. 7 Nel prossimo capitolo tratteremo particolarmente dell’identificazione di Còrito con Tarquinia. 8 Virgilio, Eneide, III, 170 ss. 9 Dionigi di Alicarnasso, Antichità Romane, I, 68. 10 Tzetze, ad Lyc. Alex. 1232.. 11 Scholia Veronensia, ad Verg. Aen. 200.
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della migrazione parte poi la conquista del territorio da colonizzare. Come dice Torelli, le vicende di questa fase formativa della nazione sono personificate nella figura di Tarconte che viene dall’Oriente, fonda Tarquinia ed in subordine tutte le altre città dell’Etruria propria e della Padana. Per l’età del Bronzo finale e del primo Ferro, Tarquinia e il suo territorio (monti di Tolfa) hanno infatti restituito importanti testimonianze archeologiche. 2). TARQUINIA CENTRO DELLA FEDERAZIONE ETRUSCA. Strabone aggiunse: Dopo la fondazione di Roma, venne Demarato portando popolo da Corinto. I Tarquiniesi lo accolsero amichevolmente, e da una donna del paese gli nacque Lucumone. Questi [...] cambiò il suo nome in quello di Lucio Tarquinio Prisco (V, 2, 2) […]. Demarato aveva portato con sé dalla sua patria una ricchezza tanto grande in Etruria, che egli stesso non solo regnò sulla città che lo aveva accolto (Tarquinia), ma il suo figlio fu fatto re anche dei Romani (VIII, 6,20) […]. Da Tarquinio, e prima dal padre, fu molto abbellita l'Etruria. Il padre, grazie alla quantità di artisti che lo avevano seguito da Corinto; il figlio con le risorse di Roma. Si dice pure che da Tarquinia furono trasportati a Roma gli ornamenti dei trionfi, dei consoli e, in generale, di tutte le magistrature, così pure i fasci, le scuri, le trombe, i sacrifici, la divinazione e la musica di cui fanno uso pubblico i Romani (V, 2,2)”. I particolari del trasporto dall’Etruria a Roma delle insegne federali del potere furono raccontati da Dionigi di Alicarnasso. Egli scrisse che i capi delle singole città etrusche, dopo una guerra perduta contro Tarquinio Prisco re di Roma, si riunirono più volte in concilio, e lo riconobbero capo della loro Federazione. Essi poi inviarono ambasciatori che trasferirono in Roma, e consegnarono a Tarquinio le insegne della supremazia, con le quali essi adornano i propri re: una corona d'oro, un trono d'avorio, uno scettro con l'aquila alla sommità, una tunica di porpora con fregi in oro, e un mantello di porpora ricamato, proprio come lo indossavano i re della Lidia e della Persia [...]. Gli recarono anche, come dicono, dodici scuri, portandone una da ogni città. Era, infatti, usanza degli Etruschi che il re d’ogni città camminasse preceduto da un littore recante un fascio di verghe e una scure. Quando poi si effettuava una spedizione comune delle dodici città, le dodici scuri venivano consegnate a colui che in quel momento aveva il potere supremo [...]. Per tutto il tempo della sua esistenza, Tarquinio portò dunque una corona d'oro, indossò una veste di porpora ricamata, tenne uno scettro d’avorio, sedé su un trono eburneo; e dodici littori, recanti le scuri con le verghe, gli stavano intorno se amministrava la giustizia” (III, 73). Dopo Strabone e Dionigi, le vicende del trasporto delle insegne del potere dall’Etruria a Roma furono riprese da vari autori. Floro (I - II sec.) ripeté: Tarquinio sottomise con frequenti combattimenti i dodici popoli della Tuscia, onde furono presi i fasci, le trabee, le sedie curuli, gli anelli, le falere, i paludamenti, le toghe dipinte e le tuniche palmate, tutti, insomma gli ornamenti e le insegne con le quali si distingue la dignità del comando12. 12
Floro, Epitome, I, 1, 4.
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Cassio Dione (II-III sec.) scrisse: Tarquinio mutò il suo abbigliamento e le insegne in una più magnifica foggia. Questi consistevano di toga e tunica rosso porpora in ogni parte, e variegata d’oro, di una corona di pietre preziose incastonate nell’oro, di uno scettro e di un trono d’avorio. Più tardi, essi furono usati non solo dai suoi successori, ma anche da quelli che tennero il potere come imperatori. Egli, anche in occasione di un trionfo, sfilò su un carro trainato da quattro cavalli, e si circondò di dodici littori per tutta la vita […]. Egli combatté contro i Latini che si erano rivoltati, e più tardi contro i Sabini che, aiutati dagli Etruschi come alleati, avevano invaso il territorio romano, e li sconfisse tutti13. Paolo Orosio disse: Tarquinio Prisco abbatté con innumerevoli lotte tutti i confinanti e a quel tempo potenti popoli della Tuscia14. Zonara (VIII, 8A) racconta che Tarquinio combatté contro tutti i Latini che si erano ribellati, poi anche contro i Sabini che avevano invaso il territorio romano, alleati con gli Etruschi, e li sopraffece tutti.
Sul piano storico, non è verosimile che, in epoca arcaica, un re di Roma, come tale, abbia sottomesso la Federazione Etrusca, ed abbia così rivestito in contemporanea la carica di re di Roma e quella di re della Federazione Etrusca. Gli storici romani hanno certamente rovesciato in loro favore l’antica subordinazione di Roma ai Tarquini venuti da Tarquinia. E’ Infatti piuttosto probabile che Lucumone (che in Etrusco significa “re”) di Tarquinia sia stato a capo della Federazione Etrusca, ed abbia esteso su Roma il proprio potere. Al riguardo, abbiamo già visto che Strabone conosceva una tradizione dove Lucumone (che significa re), figlio di Demarato, divenne lucumone (cioè re) sia di Tarquinia che di Roma, e che, divenuto anche re di Roma, trattò questa da città vassalla: egli da un lato portò con sé da Tarquinia le insegne del potere e le costumanze regali tarquiniesi, e dall’altra tributò alla terra d’origine “i proventi che gli venivano dai Romani”. Probabilmente, nella tradizione romana, il racconto delle guerre sostenute da Tarquinio contro i Latini e gli Etruschi ripeteva e mascherava, in chiave antietrusca, la difesa che i Tarquiniesi di Tarquinia e di Roma dovettero sostenere insieme contro varie coalizioni etrusco latine che tentavano di soppiantarli nel controllo di Roma e del Lazio. Parallelamente, la figura di Tarquinio re di Roma, che nella tradizione romana, diventa pure capo della Federazione Etrusca, potrebbe aver ripetuto in veste romana gli eventi di un momento storico in cui i Tarquiniesi erano riusciti a mantenere sia il controllo di Roma che quello della Lega. Il nome personale Lucumone (re), attribuito a Tarquinio Prisco, sembra allora riflettere la funzione sovrana svolta da un etrusco di Tarquinia sia in patria che a Roma; ed è verosimile che Strabone e Dionigi abbiano attinto ad una tradizione, etrusca o romana o greca che fosse, che ripeteva il ricordo che i Tarquiniesi serbavano dei loro rapporti con la Roma dei tempi arcaici.
A Tarquinia (donde Tarquinio avrebbe trasferito a Roma le insegne del potere), littori con 13 14
Cassio Dione, nella Epitome di Zonara, VII, 8. Paolo Orosio, Hist. Adv. , II, 4, 12.
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fasci ed altre insegne si vedono su fregi di sarcofagi e di pitture parietali di tombe (f. 1). Fig. 1 – Tarquinia. Tomba del Convegno (III sec. a.C.)
Sulle due pareti di sinistra e destra della tomba del Convegno si snoda un corteo regale. A cominciare dalla parete di sinistra si vedono tre littori con fasci, un personaggio coronato, altri e tre littori con fasci, un altro personaggio coronato. Dopo quest'ultimo, proseguendo sulla parete di centro, c'è lo spazio per almeno altre e sei figure purtroppo perdute; seguono quattro littori di cui due con fasci, e due con doppie scuri e lance, simboli del potere supremo. Chiude il corteo un mesto personaggio seguito da un servo che, munito di sacco da viaggio, lo accompagna verso gli Inferi. In alto, sopra il mesto personaggio, è scritto che si tratta di Larth figlio Arnth (il gentilizio è perduto) e che fu Zilch Cechaneri: Secondo A. Maggiani ("StEtr", 62, p. 108) dovrebbe trattarsi della carica di capo supremo della Federazione Etrusca.
In una fossa votiva degli inizi del VII sec. a.C., poi, sono state trovate le insegne etrusche del potere: una tromba-lituo, uno scudo ed una scure ripiegati insieme. 3). TARQUINIO NELLA TOMBA FRANÇOIS DI VULCI. La tradizione romana che un Tarquinio fosse stato insieme capo della Federazione Etrusca e re di Roma trova riscontro in Etruria nelle pitture della tomba François di Vulci (f. 2). Qui si vedono alcuni congiurati che sorprendono nel sonno e uccidono i capi disarmati d’una coalizione di città etrusche: le vittime sono nell'ordine un anonimo soanese, un anonimo blerano, un anonimo volsiniano e uno Gneo Tarquinio romano (Tarchunie rumach). In linea con la tradizione sopra esposta, dobbiamo considerare “Tarquinio romano” il capo di una coalizione di città subordinate fra cui Volsini personificata dall’anonimo volsiniano. Il fatto che le vittime vengano sorprese nel sonno in un’unica località fa 11
pensare che l’eccidio sia avvenuto durante un concilio federale tenutosi a Roma a o Tarquinia. Forse vi partecipavano gli stessi congiurati. Fig. 2
4). ENEA E IL CAMPO FEDERALE DI TARCONTE A TARQUINIA. Tarquinio, come abbiamo visto nelle tradizioni sopra riferite, è un re di Tarquinia che diviene anche re di Roma, e come tale utilizza le risorse di Roma per abbellire l’Etruria; e mentre è re di Roma diventa pure capo della Federazione Etrusca: questa investitura gli viene proprio da Tarquinia. Il tutto trova un perfetto parallelo nell’Eneide. Virgilio vi narra che, in epoca mitica, Tarconte, re della Federazione Etrusca, da Còrito (Corneto Tarquinia), inviò ad Evandro, re del Palatino di Roma, le insegne del potere per cedergli spontaneamente la “corona del regno etrusco” (VIII, 505). Il troiano Enea, poi, delegato da Evandro, si recherà a Còrito-Tarquinia (IX, 1), presso il lucus del dio Silvano (uno degli aspetti di Vertumnus15, dio della Federazione Etrusca) e la foce del Mignone, nel giorno stesso della festa del dio (vd. p. 40 ss.), ed entrerà nel “Campo” federale di Tarconte (VIII, 597). Qui assumerà il comando della Federazione Etrusca. Nella cronologia degli eventi dell’Eneide, questo fatto avviene il 13 agosto (vd. pp. 40 e 44 )16. Proprio in quello stesso giorno, a Roma, sull’Aventino, si celebrava ogni anno la festa dello stesso Vertumnus17. I commentatori d’epoca romana all’Eneide, poi, riferirono che, per tradizione orale e scritta, il “Campo” federale di Tarconte era posto su un colle pianeggiante lungo il fiume Mignone, ed affermavano d’averlo pure visitato (quod hodieque videmus et legimus).18 Spiegavano infine che il Mignone era il fiume che si trovava a nord di Centumcellae (cioè fra la odierna Civitavecchia e Tarquinia) dove in effetti il fiume sfocia19. Lì, a Còrito (oggi Tarquinia), Tarconte cederà ad Enea il comando supremo della Federazione Etrusca20. 15
Fauno o Silvano era uno degli aspetti che sapeva assumere il dio federale Vertumnus (Properzio, Elegie, IV, 2, 33-34: “sed harundine sumpta Fauno plumoso sum deus aucupio”. 16 A. Palmucci, “Bollettino Società Tarquiniense d’Arte e Storia (S.T.A.S.)”, 1996, p. 44. La data si evince dal fatto che Enea il giorno precedente era sul colle Palatino ad assistere alla festa che Evandro aveva istituita in onore di Ercole. Questa festa, a Roma, fu poi ripetuta il 12 agosto di ogni anno. 17 Vd. G. Vaccai, Le feste di Roma antica, Roma, 1986, pp 162-163; F. Della Corte, L’antico calendario dei Romani, Genova, 1969, pp. 195-196. 18 Virgilio, Eneide VIII, 597 ss.: apud Caeritis amnis ; Servio, Commento all’Eneide, VIII, 597 ss. :Amnis autem Minio dicit; VIII, 603: “intellegamus quod hodieque videmus et legimus, hanc collium fuisse naturam, ut planities esset in summo, in qua inierat castra Tarchonis”. 19 Servio, Commento all’Eneide X, 183: MINIONIS, fluvius est Minio Tusciae ultra Centumcellas. 20 Virgilio, Eneide, X, 147.
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Nel terzo capitolo di questa terza parte di libro noi svilupperemo ed approfondiremo i particolari delle notizie portate in questo paragrafo. Pare poi che nel testo etrusco scritto sul famoso Liber Linteus si possa leggere che il 13 agosto di ogni anno gli Etruschi, sul luogo del centro federale, celebrassero “la festa di Enea (ISVITN ENAS)” (LL, VIII, 2), e che presso lo stesso centro esistesse il monumento o la tomba o il cenotafio di Enea (CERETHI ENAS) (LL, VII, 23)21. 5). IL CULTO DI VERTUMNUS (etr. VERTUN) A TARQUINIA E A ROMA. Abbiamo già detto che, a Roma, la festa di Vertumnus o Voltumna (etr. Vertun e Veltun), dio della Federazione Etrusca, si celebrava il 13 Agosto di ogni anno. Varrone dice che il culto di Vertumnus era stato introdotto a Roma ad opera degli Etruschi di Celio Vibenna venuti in aiuto di Romolo contro Tito Tazio. Lo stesso Tito, poi, divenuto regnante assieme a Romolo, avrebbe eretto al dio un‘ara sull’Aventino22. Nel Vicus Tuscus, infatti, esisteva una statua di Vertumnus, la cui base è stata oggi ritrovata23. Il poeta latino Properzio24 infine fece dire al dio d’aver assistito all’arrivo a Roma di un certo Lucumone (Tarquinio?) in aiuto di Romolo contro Tito Tazio. Nei dipinti della tomba François di Vulci, però, e nelle fonti letterarie più vicine agli Etruschi (come Verrio Flacco, Claudio e Tacito) la figura di Celio Vibenna non era connessa a Romolo, bensì a quel Lucumone di Tarquinia, che divenne re di Roma col nome di Tarquinio Prisco. E’ allora possibile che l’introduzione a Roma del culto di Vertumnus sia avvenuta, insieme alle insegne del potere federale, durante il regno di Lucumone Tarquinio Prisco. D’altra parte nel museo di Tarquinia esiste un vasetto votivo degli ultimi decenni dell’VIII sec. a.C. sul quale si può leggere la dedica al dio Vertun scritta nell’alfabeto etrusco che Tarquinia aveva da poco mutuato da quello Greco (f. 95). La forma etrusca più antica del nome del dio era Vertun (donde il latino Vertumnus). La più recente era Veltun (donde il latino Voltumna) quale si legge nel famoso specchio di Tagete (f. 4). 6). TAGETE E TARCONTE. Si diceva che mentre Tarconte25, secondo altri Tarquinio26, arava la terra attorno a Tarquinia, da un solco tracciato in maggiore profondità emerse un bambino che aveva la sapienza d’un vecchio. Il bimbo fu chiamato Tagete perché nato dalla terra27; ed era il figlio del Genio di Giove28. Tarconte o Tarquinio allora, ch’era il sacerdote di Giove, lo raccolse e lo “portò nei luoghi sacri”29, evidentemente a Giove, per farsi rivelare i segreti della divinazione. “Poiché l'aratore”, raccontava Cicerone, “stupito da questa apparizione, mandò alte grida di meraviglia, ci fu un accorrere di gente in massa; e, in breve tempo, tutta l'Etruria convenne sul luogo”30.
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Vedi la traduzione italiana del Liber Linteus in A. Palmucci, Il Fanum Voltumnae era a Tarquinia, Roma, 2011, p. 210. 22 Varrone, De Lingua Latina, V, 46; 74. 23 C.I.L. , VI, 804. 24 Properzio, IV, 2. 25 Giovanni Lido, De ostentis, 2-3. 26 Commento Bernese a Lucano, 1, 636. 27 Commento Bernense, cit. 28 Festo, De significatione verborum, s.v. Tages. 29 Giovanni Lido, op. cit. Proemio. 30 Cicerone, Divinatione, II, 5.
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Tagete, allora, prendendo Tarquinia come centro, divise il cielo in sedici parti, assegnò ad ognuna di esse una divinità, e dettò a Tarconte (o a Tarquinio) e agli altri lucumoni delle città etrusche lì convenuti l’arte di interpretare i fulmini a seconda della
Fig. 3 Tarquinia. Museo Etrusco Nazionale. Vaso con dedica a Vertun (Vertumnus).
parte di cielo dalla quale questi fossero venuti. Prese poi un fegato di pecora, e, come aveva fatto con il cielo, stabilì il centro, divise il bordo in sedici parti, e dettò le
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norme per leggervi il volere degli dèi. Tarconte, infine, ne compose un poema in forma di dialogo poetico in lingua etrusca. N. B. In un frammento della prima colonna del Liber Linteus di Zagabria è scritto: “zichri (devi scrivere) cn (questo) thunt (nell’unico/comune) [ .?.].” . La parola che è andata perduta è forse “libro”. Si tratta verosimilmente dell’inizio del mitico poema che Tarconte compose sotto dettatura di Tagete. Come ha evidenziato recentemente Maggiani, il Liber Linteus fu scritto nell’alfabeto in uso a Tarquinia nel IV-III sec. a.C.31
Nel linguaggio mitico, il raggio d'azione del grido dell'aratore (Tarquinio o Tarconte) che da Tarquinia si stende per tutta l'Etruria, esprime il prestigio che la città aveva sulla nazione. Il concorso, poi, di tutti gli Etruschi sul luogo donde era partito il richiamo esprime l'autorità e la capacità aggregante che Tarquinia aveva sulla Confederazione. L’essere infine il luogo della rivelazione di Tagete, e del dettato di norme religiose a tutti i capi degli Stati Etruschi lì convenuti, nonché il trovarsi al centro dell’universo celeste, fanno di Tarquinia il centro religioso e politico della nazione. Nella città, si formerà una scuola di aruspicina che poi i Romani istituzionalizzeranno nel Collegio dei Sessanta Aruspici al quale ognuna delle dodici città federate doveva inviare cinque allievi32 (vd. p. 30). 7). TAGETE E IL DIO VELTUN A TARQUINIA. Sui graffiti di uno specchio etrusco, trovato a Tuscania, presso Tarquinia, si vede Tagete che insegna a Tarconte e agli altri le norme dell’aruspicina (f. 4). Alla scena assiste un dio, al di sopra del quale è scritto Veltune. Ora, la desinenza “e” di Veltune potrebbe essere sia quella di una rara forma di caso nominativo di teonimo, sia quella di un comune caso locativo. In quest’ultima possibilità indicherebbe il luogo dove a Tarquinia il dio era venerato. Allo stesso modo, sul lato destro della scena la parola etrusca Rathlth è una forma di locativo che sta ad indicare il luogo dove il dio Rath era venerato. Ora, poiché noi conosciamo la più antica forma Vertun (fine VIII sec. a.C.) del nome del dio (vd. f. 3 a p. 14), possiamo dire con quasi certezza che Veltun (metà IV sec. a.C.) sia la forma più recente, e che Veltune sia un locativo indicante il luogo dove a Tarquinia il dio era venerato, cioè il Fanum Voltumnae. In ogni caso, ci troviamo dinanzi ad una forma etrusca del nome latino di Voltumna ovvero Vertumnus. Finora non sono state trovate altre immagini di questo dio. Come già abbiamo visto, c’è solo un’altra iscrizione col suo nome (Vertun); e certamente non è un caso che tutti e due i documenti appartengono a Tarquinia ed al suo territorio. Presso il tempio del dio avveniva il congresso dei capi dei vari Stati33, si formavano gli eserciti federali e si eleggeva il re della Federazione34, proprio come secondo Virgilio era avvenuto quando Tarconte, a Corito (Tarquinia), aveva riunito presso il “Campo” federale i vari capi delle città etrusche, ed aveva loro proposto di eleggere Enea a capo della Federazione. E’ evidente che il dio Vertun / Veltun, o Veltune che sia, aveva pertinenza col luogo della rivelazione di Tagete. Questo luogo, e con ciò Tarquinia, dovrebbe esser quello del centro della Federazione e della sede del Fanum Voltumnae. 31
A. Maggiani, Dove e quando fu scritto il Liber Linteus Zagabriensis? In “Studi in Ricordo di Fulviomario Broilo”, Atti del Convegno, Venezia, 14-15 ottobre 2005, pp. 403-426. 32 Cicerone, Divinazione, I, 90. 33 Livio, IV, 23; 25; 61; V, 17. 34 Livio, VI, 2.
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Fig. 4 - Lo specchio di Tagete
8). IL DIO VELTUN (lat. VERTUMNUS, VOLTUMNA). Si ritiene che il nome etrusco del dio che i Romani chiamavano Vertumnus e Voltumna,) sia stato un particolare appellativo del sommo dio etrusco Tinia35. Ora, i Romani attribuirono le caratteristiche del dio etrusco Tinia/Veltune al loro Giove. Infatti, nella vulgata romana e greca, Tagete è il figlio del Genio di Giove, e Tarconte è il “sacerdote di Giove”36. Secondo la vulgata latina e greca, Tarconte solleva Tagete dal solco e lo va a deporre nei luoghi sacri (evidentemente a Giove) perché qui il bambino gli riveli i segreti della divinazione37. Nell’originaria tradizione etrusca, però, quale è rappresentata sullo specchio di Tuscania, era stato Veltun (e non Giove o il Genio di Giove) il dio che aveva avuto la paterna funzione di assistere Tagete durante i suoi insegnamenti a Tarconte. 35
Vd. per tutti, M. Cristofani, Dizionario della Civiltà Etrusca, s.v. Tinia. Commento Bernense a Lucano, I, 636, H. Usener, p. 41. 37 Giovanni Lido, Proemio al De Ostentis. 36
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Fig. 5
Al dio Veltun/Tinia, dunque, della tradizione etrusca, dovrebbe corrispondere il dio Giove della tradizione romana. Ciò può esser carico di conseguenze come vedremo subito. Infatti, in epoca romana, la famosa Ara della Regina, che è il più grande tempio d’Etruria, era dedicata proprio alla diade Giove e Giunone. Ciò dovrebbe voler dire che in epoca etrusca il tempio era dedicato a Tinia, e verosimilmente a Tinia-Vertun/Veltun.
9). IL TEMPIO DI TARQUINIA DEDICATO A GIOVE (TINIA) E GIUNONE. Il tempio etrusco che a Tarquinia è detto significativamente Ara della Regina è il più grande d’Etruria (f. 5). Ora, è stato recentemente trovato un cippo, proveniente dall’interno dell’edificio, dal quale si apprende che, in epoca romana, il tempio era dedicato a Giove (etr. Tinia) e Giunone38. Peraltro, le più antiche iscrizioni votive a Tinia, provengono da 38
M. Torelli, Tarquitius Priscus Haruspex di Tiberio, in Archeologia in Etruria Meridionale, a cura di M. Pandolfini, p. 249 ss.
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Tarquinia39; e da Tarquinia proviene pure l’iscrizione su vaso votivo con dedica a Vertun (f. 3 a p. 14). Sulla destra, poi, della fronte del tempio di Giove/Tinia, c’è una sontuosa vasca marmorea d’epoca augustea sulla quale è scritto che era utilizzata per i Ludi (pro ludis); e, come Torelli ha evidenziato, era il contenitore dell’olio usato nei ludi atletici e religiosi che in epoca romana si svolgevano nella vasta area antistante il tempio (f. 6)40. Fig. 6
Fig. 6. La sontuosa vasca marmorea di epoca augustea sulla quale è esplicitamente inciso che colui che la aveva donata lo aveva fatto perché essa venisse utilizzata “per i giuochi (pro ludis)”.
Per il periodo etrusco, varie gare atletiche sono più volte documentate nelle pitture tombali di Tarquinia. Ricordiamo quelle delle Olimpiadi e delle Bighe. In quest’ultima sono addirittura raffigurate anche le strutture lignee dello “stadio” che racchiudeva i giochi, il pubblico che v’assisteva, e il dio guerriero (Vertun / Veltun?) che li presiedeva (f. 7).
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I. Krauskopf, in M. Cristofani, Dizionario Civiltà Etrusca, s.v. Tinia. M. Torelli, op. cit. p. 260; Elogia Tarquiniensia, p. 164.
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Fig. 7
Fig. 7. TARQUINIA. Tomba delle Bighe (ca. 500 a.C.). Le strutture lignee dello stadio che racchiudeva i Ludi, il pubblico che vi assisteva vivacemente, l’ara del Templum e la statua del dio guerriero (Vertun / Veltun?) che li proteggeva.
In cima alla gradinata del tempio esiste ancora un altare di VI sec. a.C., mantenuto dai Tarquiniesi così come costruito nonostante le future ristrutturazioni da loro operate nell’edificio. Ai piedi dell’altare è stato oggi trovato un sepolcro vuoto, dello stesso VI secolo. Accanto ad esso è stata rinvenuta un’epigrafe mutila che voleva evidentemente ricordare il titolare del cenotafio. La prima riga contiene i resti del nome di (TAR)CHO(NTE) oppure di CHO(RITON), la seconda di (ET)RURI(A), la terza di (T)ARQU(INIA), e la quarta di HAM(AXITOS). Tarconte era il fondatre di Tarquinia, e Chòriton era il figlio di Paride, ed il fondatore di Còrito (oggi Tarquinia) (Servio, ad 19
Verg. Aen. III,170)). Amaxitos è il nome d’una città costiera della Troade, sulla strada che da Troia portava alla città tirreno pelasgica di Larissa41, al confine con la Misia42 di cui Telefo, padre di Tarconte, era re. Si diceva peraltro che ad Amaxitos avesse un tempo approdato Teucro, ritenuto capostipite dei Troiani, in alternativa a Dardano. Il nome di questa città poteva dunque suggerire agli Etruschi di Tarquinia varie connessioni mitostoriche che, al momento, noi possiamo solo congetturare. A titolo di pura ipotesi, si può immaginare che il testo, nel suo complesso, potesse ricordare lo sbarco nella Troade della mitica migrazione degli Etruschi di Còrito (Tarquinia), oppure il loro ritorno a Tarquinia condotto da Tarconte o da Còrito (figlio di Paride), o da Enea. Ai piedi della scalinata del tempio s’è trovato anche un cippo di marmo (II-III sec. d.C.) che in origine recava una scritta già scalpellata in epoca antica. Nel basso, però, si legge ancora: “Tarquinienses Foeder[ati]”43. E’ possibile che in origine il testo integrale contenesse un riferimento all’antica Federazione Etrusca, e che poi quel testo sia stato scalpellato per damnatio memoriae. Il tempio dinanzi al quale era il cippo dovrebbe esser comunque quello della Federazione Etrusca in epoca romana44. A Tarquinia, peraltro, si trova la quasi totalità delle attestazioni epigrafiche delle sepolture del capo della Lega: lo Zilath mechl Rasnal o lo Zilch Cechaneri45. E’ poi dal frontone di questo tempio che proviene la coppia dei famosi scalpitanti Cavalli Alati (vd. f. 10 a p. 28). Questi erano attaccati ad un cocchio del quale purtroppo rimangono solo il timone e i finimenti. Ma poiché da fonti romane noi sappiamo che il dio Vertumnus sapeva e poteva assumere sia l’aspetto dell’acrobata che volteggia da un cavallo all’altro sia l’aspetto dell’auriga46, noi possiamo immaginare che il personaggio che, nell’originale composizione del frontone, guidava i cavalli fosse stato il dio Vertumnus. 10). TITO LIVIO ED IL FANUM VOLTUMNAE. Tito Livio spiegò che le riunioni dove gli Etruschi, durante la prima metà del IV secolo, eleggevano il capo supremo avvenivano al Fanum Voltumnae, cioè nel tempio di Voltumna. Egli però non disse presso quale città si trovasse il tempio; pose comunque Tarquinia a capo di un esercito federale condotto contro Roma alla metà del secolo. In ogni caso, è da escludere ch’egli intendesse che il Fanum fosse a Volsini, come alcuni vorrebbero credere. Egli, infatti, in altra occasione, parlerà di Volsini, Perugia e Arezzo, e le presenterà tutte
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Tucidide, La Guerra del Peloponneso, VIII, 101, 3; Strabone, Geografia, IX, 5, 19; XIII, 2. Plinio, Storia Naturale, V, 124. 43 M. Torelli, Elogia Tarquiniensia, p. 16. 44 In quella etrusca il Fanum era verosimilmente sul colle della vicina Corneto (Corito), nel luogo della Corneto medioevale o presso il Mignone dove doveva trovarsi il luco di Silvano (cfr. Virgilio, Eneide, VIII, 597 ss.). Quella del dio Silvano/Fauno era una delle forme che Vertumnus sapeva assumere (Properzio, IV, 2). Silvano, similmente a Giove/Tinia e a Vertumnus era anche la divinità che proteggeva i confini e sanciva i patti e i giuramenti. Non è da escludere peraltro che in epoca etrusca il tempio dell’Ara della Regina fosse dedicato a Veltun Tinia/Silvano. In merito a questo argomento vd. A. Palmucci, Aruspicina Etrusca ed orientale a confronto, Roma, 2010, p. 81, n. 7. 45 Per lo Zilath: CIE Tarquinia 5360 (TLE 87); 5472 (TLE 137); 5811 (TLE 174); ThLE, s.v. Zilath. Per lo Zilch: CIE, Tarquinia, 5385 (TLE 90); 5423 (TLE 126). Vd. A. Maggiani, Appunti sulle magistrature etrusche, “StEtr” 62, 1996, p. 107. 46 Properzio, Elegie, IV, 11, 3-36: “Est etiam aurigae species Vertumnus et eius tracit alterno qui leve pondus equo (Vertumno inoltre ha l’aspetto di auriga e di colui che sposta il suo lieve peso da un cavallo all’altro)”. 42
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insieme come tre distinte “capitali d’Etruria”, ognuna del proprio singolo Stato: “Tres validissimae urbes, Etruriae capita, Volsinii, Perusia, Arretium”47. Lo specchio etrusco sopramenzionato, dove si vede il dio federale Veltun presente a Tarquinia, è proprio del IV secolo. Nello stesso secolo, nelle tomba François, come abbiamo visto, è ricordato un Tarquinio Romano e non un Volsiniese quale capo della coalizione di città etrusche alla quale la stessa Volsini apparteneva (vd. p. 13 e f. 2). Fig. 8 - Cerveteri. Il trono di Claudio
Fig. 8. Nei rilievi del cosiddetto Trono di Claudio, eretto dagli Etruschi di Cere, erano rappresentati i dodici popoli della Federazione Etrusca. Tarquinia, personificata da Tarconte (o da Tagete) occupa ancora il primo posto della rassegna
11). TARQUINIA E VOLSINI. Quando Roma sottomise Tarquinia, il ruolo di centro, limitato all’Etruria settentrionale ancora indipendente, dovette essere svolto da Volsini. E quando, nel 264 a.C., il console M. Fulvio Flacco sottomise anche questa città, egli stesso trasportò a Roma la statua di Vertumnus48. Il culto del dio però preesisteva sul colle Aventino già dal tempo di Romolo o di Tarquinio (vd. p. 13). Dopo che i Romani ebbero sottomesso anche Volsini, altre città, come Chiusi, Arezzo e Volterra poterono via via assumere al momento il ruolo di centro federale per l’Etruria settentrionale; ma, completatasi l’occupazione romana, Tarquinia dovette nuovamente estendere il suo primato sull’intera nazione. E’ qui infatti che ancora ritroviamo le sepolture di personaggi che in vita hanno rivestito la carica di presidente della 47 48
Livio, op. cit., X,37; lo stesso significato ha dunque pur Caput Etruriae habebatur di Valerio Massimo “IX,1”. Festo, s.v. Picta; Properzio, IV, 2.
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Federazione; ed è qui che i Romani istituzionalizzeranno l’antica scuola di aruspicina nel Collegio Federale dei Sessanta Aruspici dove ognuno dei principi delle dodici città federate doveva inviare i propri figli a studiare49 (vd. p. 30). Nei rilievi del cosiddetto Trono di Claudio, eretto dagli Etruschi di Cere, sono rappresentati i dodici popoli della Federazione Etrusca; e Tarquinia, personificata da Tarconte (o da Tagete) occupa ancora il primo posto della rassegna (f. 8). La Tabula Peutingeriana (IV sec. d.C.) è una carta geografica romana d’epoca imperiale. Essa pose Tarquinia al centro delle grandi vie di comunicazione (f. 9); inoltre, mentre ogni altra città, Volsini compresa, vi fu raffigurata con due torrette, solo Milano (capitale dell’Impero Romano d’Occidente) e Tarquinia stessa (capitale d’Etruria) lo sono da due torrette poste su un piedistallo. Fig. 9- Tabula Peutingeriana
In piena epoca imperiale, troviamo ancora a Tarqiuinia la sepoltura del praetor Etruriae P. Tullio Varrone50. Più tardi, peraltro, la città fu la sede del Consularis Tusciae. Dagli Acta Santorum (9 agosto), sappiamo che, attorno al 250 d.C., un cristiano chiamato Secondiano fu inviato da Roma a Centumcellae (oggi Civitavecchia) ed a Colonia (Gravisca), il porto di Tarquinia, dove fu processato e martirizzato da Marco Promoto, consularis Tusciae51. La residenza di questo Consularis Tusciae era evidentemente Tarquinia. Il martire fu sepolto in Colonia (Gravisca). A Corneto (oggi Tarquinia) dove il santo divenne patrono se ne conservava un braccio. Un governatore della Tuscia e dell’Umbria, poi, sotto Diocleziano, si chiamava Tarquinius, nome 49
Cicerone; Le leggi, VI, 9, 21; La divinazione, I, 92; Tacito, Annali, XI, 15; Valerio Massimo, I, 1. CIL, 3364. 51 Acta Santorum, 8 Agosto. 50
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che potrebbe essere significativo della città dov’egli svolgeva la sua funzione52. 12). TARQUINIA “CITTÀ REGINA” Da A. Palmucci, “Nuova ARCHEOLOGIA “, sett.-ott., 2007. Abbiamo pubblicato la traduzione dal Greco in Italiano di tutti i Libri Tagetici che Giovanni Lido aveva tradotto dal Latino in Greco, nel nostro lavoro “Aruspina Etrusca ed Orientale a Confronto”, Gruppo Editoriale l’Espresso, Roma, 2010.
Il bizantino Giovanni Lido (VI sec.d.C.), nel Proemio al De Magistratibus Populi Romani, scrisse: Tirreno, trasferitosi dalla Lidia in occidente, insegnò i Misteri dei Lidi a quelli che allora si chiamavano Etruschi ed erano un popolo di Sicani. Nell’opera, poi, su I Prodigi, Lido sostenne di aver letto sia in Etrusco che in Latino quei Libri Tagetigi che si dicevano scritti in forma poetica da Tarconte o da Tagete stesso. Egli narra: Tarconte era un aruspice, com’ egli stesso dice nel libro, uno di quelli istruiti dal lidio Tirreno […]. Costui dice che un tempo, mentre lavorava la terra [...], da un solco uscì fuori un bambino [...]. Questo bambino era Tagete [...]. Tarconte dunque, sollevatolo e postolo nei luoghi sacri, pensò di imparare da lui qualcosa sulle cose segrete. Ottenuto poi ciò che aveva chiesto, compose un libro delle cose trattate, nel quale egli interroga nella lingua comune degli Itali, e Tagete risponde attenendosi alle lettere antiche e poco comprensibili a noi. Nondimeno cercherò, per quanto possibile di riferirvi quelle cose facendo uso da un lato delle informazioni (cioè di quel ch’era contenuto nel testo etrusco) e dall’altra di coloro che le tradussero in Latino, cioè di Capitone, di Fonteio, di Vicellio, di Labeone, di Figulo e del naturalista Plinio. Per eseguire questo proposito, Lido, nel proseguo della sua opera, tradusse in greco alcune delle traduzioni latine fatte dagli autori sopra citati. Fra queste opere egli portò in Greco il Calendario Brontoscopico che Publio Nigidio Figulo (I sec.a.C.) aveva a sua volta tradotto dall’Etrusco in Latino. Sia i testi etruschi che quelli latini non esistono più, ma le traduzioni greche di Giovanni Lido esistono ancora. Noi le abbiamo riportate in italiano. Il testo dei giorni per noi più significativi del Calendario è il seguente. Traduzione letterale del Calendario Brontoscopico locale, basato sul corso della Luna, secondo il romano Figulo, tratto dai Libri Tagetici. Se è vero che gli antichi in ogni scienza augurale han preso a guida la Luna poiché è da lei che dipendono i segni tratti dai tuoni e dai fulmini, a ragione dovremo parimenti regolarci sulla posizione della Luna. Perciò partendo dal Cancro e dal novilunio, secondo i mesi lunari, noi formuliamo l’esame giornaliero dei temporali. E’ a seguito di un simile esame che i Tusci hanno tramandato le osservazioni locali riguardanti le regioni colpite dal fulmine.
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L. Cantarelli, La diocesi italiciana, 1964, p. 116.
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GIUGNO 5 Se tuonerà sarà segno infausto per la campagna. Coloro che governano i borghi e le città minori (polichne) avranno turbamenti. 13 S.t., è minaccia di rovina per un uomo molto potente. 27 S.t., ci sarà un pericolo militare per chi ha il potere supremo. 29 S.t., le cose della Città Regina (tes basilìdos poleos) miglioreranno. LUGLIO 5 S.t., si avrà un raccolto abbondante, e la caduta del potere d’un arconte eccellente (archontos agatou). 8 S.t., vuol dire pace per le Comunità (tois coinois), ma la malattia e la tosse secca prenderanno le greggi. 14 S.t., vuol dire che il potere di tutti (panton dynamis) toccherà ad un sol uomo molto iniquo per gli affari dello Stato. 16 S.t., il re dell’Oriente (o anatoles basileùs) subirà la guerra e la malattia a seguito del calore secco. 17 S.t., annuncia la successione di un grande arconte (megàlou archontos). 19 S.t., annuncia guerra e strage d’uomini potenti (dynaton); si avranno molti frutti secchi. AGOSTO 3 S.t., annuncia al popolo processi e assemblee. 4 S.t., la fame vesserà uomini ed animali. 5 S.t., annuncia che le donne saranno più assennate. 14 S.t., presagisce guerra per le Comunità (tois coinois), e abbondanza per le messi. 18 S.t., minaccia guerra interna (polemon emfylion). 19 S.t., donne e schiavi oseranno stragi. 20 S.t., minaccia morte per i buoi, le greggi e gli affari pubblici (tais pràgmasin). 24 S.t., minaccia morte per giovani nobili. 30 S.t., minaccia malattie per la città (te polei) su cui erompe il tuono. SETTEMBRE 6 S.t., le donne avranno un potere più grande di quel che loro conviene. 7 S.t., minaccia malattia e anche strage di schiavi. 8 S.t., rivela che nello Stato i più potenti meditano cose subdole, ma che non entreranno nella futura gestione delle cose pubbliche. 10 S.t., tra le regioni sulle quali il tuono eromperà, e pure su altre, accadranno motivati dissidi. 11 S.t., i clienti dei nobili tenteranno di fare qualcosa di nuovo nelle Comunità (en tois coinois). 19 S.t., gli alberi produrranno frutti, ma ci saranno malattie e sedizioni popolari. 25 S.t., a seguito dei disordini dello Stato, un tiranno salirà al potere. Egli perirà, ma i potenti subiranno mali intollerabili. 24
26 S.t., il cattivo principe (dynastes = dominatore, signore, principe) perirà per volontà di Dio. 27 S.t., quelli che hanno il potere (dynatoi) si divideranno fra loro e si distruggeranno vicendevolmente. 30 S.t., le Comunità (ta coinà) passeranno da una situazione meno buona ad una migliore. OTTOBRE 1 S.t., minaccia che un tetro tiranno avrà il comando dello Stato. 3 S.t., annuncia tempeste e turbini che distruggeranno gli alberi; e ciò sarà indizio di grandi tempeste per le Comunità (tois coinois). 4 S.t., gli inferiori prenderanno il posto dei superiori, e la temperatura dell’aria sarà più salubre. 8 S.t., c’è d’aspettarsi terremoti con muggiti. 13 S.t., si avranno commerci vantaggiosi e soprattutto abbondanza; il dominatore importuno della repubblica non durerà a lungo. 19 S.t., presagisce la caduta (ptosis) d’un principe (dynastes = dominatore, principe) o l’espulsione d’un re (basileùs); e così discordie, ma pure abbondanza per il popolo. 24 S.t., per la dissensione dei principi il popolo diverrà superiore. NOVEMBRE 1 S.t., annucia discordie per la città (te polei). 3 S.t., accadranno avvenimenti per i quali gli inferiori supereranno i superiori. 7 S.t., minaccia malattie per uomini e animali che sono in occidente. 9 S.t., alcuni plebei subiranno il supplizio del palo. Si avrà un raccolto abbondante. 10 S.t., le inopportune dispute tra i prìncipi (tois cratousin). avranno fine. 16 S.t., pericolo per il re (to basilei). 18 S.t., annuncia guerra e affanno per gli abitanti delle città. 19 S.t., è prosperità per le donne. 24 S.t., un castello utile allo Stato cadrà in potere dei nemici. 26 S.t., annuncia guerra interna (pòlemon emfylion) e molti morti. 28 S.t., molti dell’Assemblea (tes syncléton) se ne andranno per scoraggiamento. DICEMBRE 14 S.t., annuncia insieme guerra civile ed abbondanza. 24 S.t., presagisce guerra civile. 27 S.t., il re (o baliseùs) sarà utile a molte cose. 30 S.t., predice ribellione contro il Regno (catà tes basileìas), e appunto guerra. GENNAIO 7 S.t., annuncia guerra servile (doulamachìa) e numerose malattie. 8 S.t., il dominatore (signore, principe) della Stato (o dynastes tes politeias) correrà pericolo da parte del popolo. 9 S.t., il re dell’Oriente (o anatoles basileùs) affronterà un pericolo. 15 S.t., rivolta di schiavi e loro punizione. 25
16 S.t., il popolo sarà vessato dal re (ypò tou basiléos). 19 S.t., il re (o baliseùs) vincerà, e lo stesso popolo otterrà una posizione più elevata. 21 S.t., il re (o basileùs), tese molte insidie, diverrà egli stesso oggetto di complotti. 23 S.t., significa buon ordine per la città (te polei). 25 S.t., ci sarà una guerra servile (doulomachya). 26 S.t., molti saranno trucidati da colui che ha il potere (pros tou cratountos), ma poi sarà il suo turno. FEBBRAIO 3 S.t., avverrà un dissidio interno (stasis emfilios). 8 S.t., avverrà un grande avvenimento per lo Stato (te politeia). 13 S.t., ci sarà abbondanza, si avrà tuttavia un dissidio politico (stasis politiké). 16 S.t., cose fauste per il popolo, infauste per i potenti (dynatois) a causa di dissensi. 27 S.t., al popolo annuncia dissidi. 30 S.t., significa insieme cose buone e lunghi dissensi per il popolo. MARZO 7 S.t. , il principe della città (o craton) farà cambiamenti. 12 S.t., un principe dello Stato (dynatos tou politemaia), o un capo d’esercito (strategos), correrà un pericolo; in proposito, avverranno combattimenti. 23 S.t. annuncia dissensi. 26 S.t., annuncia acquisizione di schiavi importati. 29 S.t., le donne conseguiranno maggior gloria. 30 S.t., un possente (dynatos) sarà signore del Regno (encratès basileìas): la cosa procurerà gioia. APRILE 1 S.t., minaccia dissidio interno, e rovina di fortune. 6 S.t., nasceranno guerre interne (polemoi emfylioi). 9 S.t., annuncia vittoria (niken) per il Regno (te basileìa), e gioia per i potenti (tois dynatois). 19 S.t., un uomo potente nella città rovinerà insieme la sua fortuna e la sua autorità. 24 S.t., ci saranno dissensioni dei potenti (dichònoia ton dynaton), ma i loro progetti saranno scoperti. MAGGIO 14 S.t., annucia guerre orientali (anatolicòs pòlemos) e molte rovine. 19 S.t., qualcuno, col favore del popolo, arriverà al colmo della fortuna. 20 S.t., ci sarà abbondanza nell’Oriente (perì tèn anatolèn), ma non così in Occidente (epì dysin). 24 S.t., grandi mali, così i sudditi (toùs ypecoòus) verranno meno (leipothymesai) per lo scoraggiamento. 27 S.t., avverranno prodigi, e appariranno comete. 29 S.t., significa guerra settentrionale (pòlemon arktòon), ma senza pericolo per la vita pubblica. 26
Giovanni Lido, in fondo al testo di Nigidio, pose una propria nota dove informava che l’autore del Calendario “giudicava che questo Diario Brontoscopico non ha valore generale, ma solo per Roma”. La notizia contrasta con almeno due punti dell’opera (vd. 30 agosto; 10 settembre): potrebbe trattarsi di un autoschediasma o della nota di un copista. Il Calendario, comunque, anche se certamente adattato ai bisogni dei Romani, proviene dai Libri Tagetici, e come tale mantiene sia la struttura di un primissimo anno etrusco basato sui cicli lunari, sia la nomenclatura delle istituzioni statali del tempo delle sue prime stesure. Siamo dinanzi a un calendario lunare che inizia alla metà dell’anno solare con il novilunio del solstizio estivo. Allo stesso modo per gli Etruschi ogni nuova giornata partiva da mezzogiorno. Questo modo di scandire gli anni e i giorni era usato anche dagli Ateniesi. Per entrambi, era forse il residuo di una antichissima pratica. Da questo calendario si può ricostruire il quadro politico ed amministrativo dell’Etruria. C’è innanzi tutto una Città Regina (29 giugno). Questa, nelle intenzioni di Tarconte e Tagete, autori dei cosiddetti Libri Tagetici, o di chi altro li abbia compilati con il loro nome, sarà stata la loro Tarquinia. Il nome di questa città, etimologicamente, avrebbe proprio il significato di Città Regina o Sovrana o Dominatrice. Si diceva, comunque, che Tarconte ne fosse stato l’eponimo re fondatore, e che Tagete vi fosse nato. Cicerone narrava che in occasione di quella nascita tutta l’Etruria convenne a Tarquinia. Altri precisavano che vi convennero i dodici lucumoni o prìncipi delle altre città. Nella città regina risiedeva evidentemente il re. Costui è nominato spesso (19 ottobre; 16 novembre; 27 dicembre; 19 e 21 gennaio; 30 marzo). Egli governa il Regno (30 mar.; 9 apr.): verosimilmente la Federazione. Anche Virgilio, chiama “Regno” la Federazione Etrusca (VIII, 499). L’appellativo “Città Regina” (cfr. etr. Zilath Mechl Rasnas) col quale Tagete e Tarconte verosimilmente si riferiscono alla loro Tarquinia, richiama quello di “Città del Re” (lat. Regisvilla) col quale Strabone definisce un sito a nord di Gravisca (il porto di Tarquinia). Da qui sarebbe partita la leggendaria migrazione dei Tirreni o Pelasgi verso Atene, le isole Egee e le coste dell’Anatolia (vd. p. 32). Il Calendario menziona poi gli Stati, cioè le Città Stato, comandate da un capo variamente denominato dynastes (26 settembre; 19 ottobre), dynatòs (12 marzo; 19 luglio; 27settembre; 16 febbraio), archon (5 e 17 luglio) e kraton (7 marzo; ecc.), il cui significato generale è “principe” o “colui che ha il potere”. Si tratta verosimilmente di quelle stesse figure che le fonti latine chiamano principi delle città. A volte questi governanti sono buoni, altre volte sono cattivi (16 gennaio) e vengono abbattuti (19 settembre; 8, 21 e 26 gennaio). Avviene che anche i re, ovvero i capi della Federazione, a volte vengono espulsi (19 settembre). Se il re del Regno ottiene una vittoria egli può elevarsi (19 gennaio) Quando vince, i capi delle città esultano (9 aprile); ciò perché evidentemente fanno parte della Federazione che ha vinto la guerra. A volte questi capi si dividono e si distruggono a vicenda (27 settembre; 10 novembre); altre volte alle fine si pacificano (10 novembre). Ci sono pure guerre servili (7 e 25 gennaio; 6 aprile), e schiavi che si rivoltano e vengono puniti (15 gennaio). Abbiamo poi le città minori, dette polichne, i castelli e i borghi, ognuno con il suo governante (5 giugno). Il calendario menziona poi una volta dei sudditi che defezionano per scoramento (24 maggio). 27
Molto spesso si nomina il popolo, qualche volta gli schiavi, e una volta i plebei. A quest’ultimi capita di subire il supplizio del palo (9 novembre). All’interno della Federazione e delle città i rapporti non sono sempre felici né tanto meno pacifici: vi sono sedizioni, dissensi (24 aprile) e cattivi potenti che prendono il potere (14 luglio). Le donne a volte prosperano (19 novembre), ed hanno un ruolo importante nella vita sociale; ma capita che commettano crimini insieme agli schiavi (19 agosto). Spesso gli uomini sono contrariati dal loro comportamento (6 settembre; 5 agosto). Si abbia presente il caso di Volsini dove gli schiavi si ribellarono, presero il potere e sposarono le consenzienti donne dei loro padroni. I responsi del calendario si preoccupano anche del re dell’Oriente (16 lugl.; 9 genn.), di guerre orientali (14 maggio) e settentrionali (24 maggio), nonché di paragoni fra situazioni economiche orientali ed occidentali (20 maggio). Ciò forse per il ricordo di antichi apporti di gente dall’Oriente (Troiani, Misi, Lidi e Pelasgi) come vorrebbero le tradizioni. Nel re dell’Oriente potrebbero adombrarsi vari personaggi mitici.
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Tirreno e Tarconte, figli di Ati, re della Lidia. Giovanni Lido ricorda che Tirreno avrebbe condotto presso i Sicani d’Etruria una colonia di Lidi. Giovanni nella sua versione dei Libri Tagetici scritti da Tarconte, sostiene pure che lo stesso Tarconte in quei Libri avrebbe affermato che Tirreno lo avrebbe istruito nei Misteri dei Lidi. Tarconte e Tirreno, figli di Telefo re della Misia, e di Iera o di Astioche sorella del re di Troia. Egli avrebbe fondato tutte le città della Federazione Etrusca, ed avrebbe dato il proprio nome a Tarquinia. Enea, il troiano che, secondo Virgilio ricondusse a Corito (Tarquinia) i profughi troiani e divenne capo della Federazione Etrusca. In epoca posteriore alla distruzione di Troia, sia la Misia che la Troade fecero parte della Lidia. Còrito, figlio di Paride, fondatore di Còrito (Tarquinia). Fig. 10 – Tarquinia. I Cavalli (di Vertumnus?) nel frontone del tempio dell’Ara della Regina
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13). LARIS PULENA ED IL COLLEGIO FEDERALE DELL’ORDINE
DEI 60 ARUSPICI.
Sul luogo della rivelazione di Tagete sorse una scuola di aruspicina istituzionalizzata poi dai Romani nel Collegio Federale dei Sessanta Aruspici. Numerose epigrafi contenenti nomi di aruspici appartenenti al Collegio sono state rinvenute a Roma, ad Ostia e soprattutto a Tarquina dove il Collegio aveva sede (f. 11). Nessuna epigrafe è stata trovata in altre città etrusche. Fig. 11
Fig. 11 – Tarquinia. Lapide elogiativa di un membro del Collegio Federale dei Sessanta Aruspici. Ricostruzione di M. Torrelli (Elogia Tarquiniensia).
A Tarquinia, la statua che è sul coperchio del sarcofago che raffigura Laris Pulena che apre fra le mani un libro d’aruspicina, contiene notizie sulle sua vita (f. 12). Fra le altre cose, si nomina una scuola (alumna), coi suoi giovani alunni (huzrnatre) ed una collegialità (alumnathura), della quale Laris fu decano (parnich). Presentiamo qui un’ipotesi di traduzione dell’intero testo etrusco riservandoci di ritornarci un una prossima specifica trattazione. Per il significato del vocabolo METHLUM (= città capitale, centro federale) vedi il mio libro Aruspicina Etrusca ed Orientale a Confronto, Gruppo Editoriale l’Espresso, Roma, 2010 p. 103. LRIS - PULENAS - LARCES - CLAN - LARTHAL - PAPACS / Laris Pulena di Larce figlio, di Larth nipote VELTHURUS - NEFTS-PRUMS – PULES – LARISAL – CREICES / di Veltur nipote, pronipote di Laris figlio di Pule il Greco. AN - CN - ZICH - NETHSRAC - ACASCE - CREALS Egli questo libro aruspicino compose come sacerdote di Cere. TARCHNALTH A Tarquinia, ● SPU / RENI - LUCAIRCE - IPA - RUTHCVA - CATHAS - HERMERI – SLICACHE / PER LA CITTÀ fu lucumone. Durante la carica i <giri> del Sole <nel mese di Agosto> fissò M / APRINTHVALE – LUTHCVA – CATHAS - PACHANAC ed i sacri ludi del Sole e i Baccanali. ALUMNATHE - HERMU / MELE - CRAPISCES L’Erma nella scuola , <il tempio> di Gravisco, PUTS - CHIM - CULSL - LEPRNAL - PSL - VARCHTI - CERINE -
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ed ogni pozzo <del tempio> di Culsu <Infera> presso la palude fece. PUL / ALUMNATH – PUL - HERMU - HUZRNATRE-PSL <e pure> la Scuola, <e pure> l’Erma nel Collegio della Gioventù del Tempio. ● TENIN[E] [- - - - -] – METHLUMT- PUL - / HERMU - THUTUITHI NEL CENTRO FEDERALE tenne la carica di <Zilath?>, e l’Erma (pose) nel Conciliabolo. MLUSNA - RANVIS – MLAMNA - [- - - - - - - - - - - ] Addetto all’Altare, soprintendente all’offerta ............. ALUMNATHURAS - PAR / NICH - AMCE – fu patrono del Collegio degli Alunni. LESE - HERMERIER. Fondò <l'ordine dei fedeli di Ermes>
Fig. 12
*** Tacito raccontò che, nell’anno 47 a.C., l’imperatore Claudio, riferì in Senato attorno al Collegio degli Aruspici, affinché quell'antichissima disciplina d'Italia non venisse in disuso per pigrizia. Spesso nei momenti difficili per la repubblica gli aruspici erano stati chiamati, per ammonimento dei quali le cerimonie furono dapprima rinnovate, e poi compiute in maniera più rituale. I priores degli Etruschi, di loro iniziativa o sospinti dal senato romano, avevano custodito quell'arte e l'avevano propagata di famiglia in famiglia. Questo ora avviene con minor diligenza per colpa della comune trascuratezza verso le buone arti, e perché prevalgono superstizioni straniere. E sebbene per ora tutto vada bene, bisogna pur render grazia alla benignità degli dèi, affinché la posterità non dimentichi i riti delle cerimonie tra le incertezze del culto. Allora il Senato decretò che i pontefici esaminassero quelle cose dell'aruspicina che si dovevano conservare e consolidare53. 53
Tacito, Annali, XI, 15.
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I “priores dell'Etruria” che, nel discorso di Claudio, avevano “di loro iniziativa” custodito l'arte dell'aruspicina, e “l'avevano propagata di famiglia in famiglia”, ci richiamano alla mente quella mitica folla (Cicerone), o quei lucumoni (Censorino), o quei dodici figli dei principes etruschi (Scoliasta di Lucano), che erano convenuti a Tarquinia per ricevere gli insegnamenti di Tagete. I priores dell'Etruria, dice Claudio, lo avevano fatto di loro iniziativa, oppure per impulso (impulsu) dei senatori romani. Noi possiamo cercare di ricostruire la delibera del Senato Romano. C'è un passo de Le leggi, dove Cicerone dice: Se tale è l'ordine del Senato, i prodigi e i portenti siano annunciati agli aruspici etruschi; e l'Etruria insegni la disciplina ai prìncipi54. Ne La Divinazione, poi, Cicerone specifica: A quel tempo, presso i nostri padri, quando lo Stato fioriva, il Senato giustamente decretò che, tra i figli dei prìncipi, sessanta (cod. sex) presi dai singoli popoli dell'Etruria fossero istruiti nella Disciplina, affinché un'arte così importante, a causa della povertà di chi la praticava, non scadesse ridotta al livello del pagamento e del guadagno55. La notizia è ripetuta con qualche variante da Valerio Massimo (I sec. a.C. – I d.C.): A quel tempo, poiché lo Stato era fiorente e ricchissimo, dodici (cod. decem) figli dei prìncipi, con decreto del Senato, furono presi fra i singoli popoli dell'Etruria per imparare la disciplina delle cose sacre56. Si tenga presente la tradizione, seguita anche dallo scoliaste di Lucano, secondo cui Tagete “dettò la scienza dell'aruspicina ai dodici figli dei prìncipi” (Commento. Bernense a Lucano, 1, 636). Dodici era il numero dei singoli popoli dell'Etruria. Il luogo del Collegio dei Sessanta Aruspici era a Tarquinia, come indica il mito, e come i ritrovamenti archeologici hanno confermato. Nella città sono stati ritrovati numerosi frammenti dei fasti del Collegio fino ad almeno due aruspici di nome Tarquizio Prisco57.
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Cicerone, Le leggi, II, 9, 21: “Prodigia, portenta ad Etruscos haruspices, si senatus iussit deferunto Etruriaque principes disciplinam doceto”. Che non si tratti di principes romani, ma etruschi, si evince dal confronto con il discorso di Claudio, dove si parla di “priores dell'Etruria”, e con il mito di Tagete, dove si parla di dodici figli di principes etruschi. Inoltre, dall'elenco fatto da Thulin, e integrato da M. Torelli, comprendente tutti gli aruspici attestati nelle fonti letterarie ed epigrafiche, figura che il luogo di origine dei personaggi è soltanto l'Etruria, almeno fino a tutto il primo secolo dopo Cristo. 55 Cicerone, De Divinazione, I, 92: ”Bene apud maiores nostros senatus tum, cum florebat imperium, decrevit ut de principum filiis sexaginta (cod. sex) [ex] singulis Etruriae populis in disciplinam traderetur, ne ars tanta propter tenuitatem hominum a religionis auctoritate abduceretur, ad mercedem atque quaestum”. Per analogia con il numero dei membri del Collegio dei Sessanta Aruspici, archeologicamente documentato a Tarquinia, “sex” va corretto in “sexaginta ex”. 56 Valerio Massimo, I, 1: “Ut florentissima tum et opulentissima civitate duodecim (cod. decem) principum filii senatus consulto singulis Etruriae populis percipiendae sacrorum disciplinae gratia traderentur”. 57 M. Torelli, Tarquitius Priscus aruspex di Tiberio, in Archeologia in Etruria Meridionale, a cura di M. Pandolfini, Roma, 2006, p. 249, ss.
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14). IL RESCRITTO DI SPELLO È FALSO Durante l’impero di Diocleziano (284-305 d.C.) l’Umbria fu unita amministrativamente all’’Etruria. Ora, nel 1733 fu trovata a Spello, in Umbria, presso l’anfiteatro, la copia marmorea di un presunto rescritto emanato dall’imperatore Costantino (274-337 d.C.). In questa copia si legge che gli Umbri della città di Spello avrebbero chiesto all’imperatore sia l’esonero di recarsi in Etruria, a Volsini (dice il presunto rescritto), per celebrare annualmente i giochi scenici e gladiatori, sia il consenso di poterli separatamente celebrare nella loro città. L’imperatore avrebbe accettato, fatto salvo che a Volsini gli Etruschi avessero ancora potuto celebrare i loro ludi scenici e gladiatori. In cambio della concessione, Costantino avrebbe acconsentito e ordinato che il tempio pagano presso cui gli abitanti di Spello avrebbero poi dovuto celebrare i loro giochi scenici e gladiatori fosse stato dedicato alla gente Flavia cui egli stesso apparteneva58. Sebbene il presunto rescritto non contenga allusioni al Fanum Voltumnae né a divinità federali come Voltumna o Vertumnus, si è pensato che ci fossero buone ragioni per ritenere che presso Volsini fosse comunque esistito il famoso Fanum, centro federale degli Etruschi, del quale Tito Livio aveva più volte parlato senza tuttavia precisare dove si trovasse. Però la cosa, come sostenne il Muratori, non è affatto pacifica perché il rescritto è un falso59. Egli osservò innanzitutto che l’indizione del presunto rescritto non è conforme ai canoni con cui tali atti venivano redatti. Analizziamo il testo. Esso inizia così. COPIA DI SACRO RESCRITTO L'IMPERATORE CESARE FLAVIO COSTANTINO, MASSIMO, GERMANICO, SARMATICO, GOTICO, VINCITORE, TRIONFATORE, AUGUSTO E (I FIGLI) FLAVIO COSTANTINO, FLAVIO GIULIO COSTANZO, FLAVIO COSTANTE:
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Per cominciare, manca il datum (cioè il luogo e la data di emissione). Poiché lo stesso imperatore in precedenza (26 luglio del 322 d.C.) aveva emanato una disposizione secondo cui gli atti legislativi non erano validi se mancavano di quel particolare60, potrebbe bastare questo solo difetto per sostenere la falsità del “rescritto”61. Manca il nome del destinatario del presunto rescritto62. Costantino, nei decreti imperiali del suo tempo, ha la qualifica di Augusto; i suoi figli (Costantino Juniore, Costanzo, Costante) ed il suo nipote Dalmazio hanno quella di Cesare con l’aggiunta frequente di nobilissimo. Costante
In cuius gremio aedem quoque Flaviae hoc est nostre gentis ut desideratis magnifico opere perfici volumus. 59 L. A. Muratori, Novus Thesaurus, pp. 1791-95. 60 Cod. Theod., I, 1,1: Si qua posthae edicta sine constitutiones sine die et consule fuerint deprehensae, auctoritate careant. 61 In risposta, il Mommsen (Berichte der sachs. Gesellsch. d. Wiss., 1850) ha congetturato che il datum potesse essere stato inciso in alto o a lato del tempio che l’imperatore avrebbe ordinato di costruire. 62 J. Gascou pensa ad una omissione del lapicida (J. Gascou, Le Rescrit d’Hispellum, “Mélanges d’Archeologie et d’Histoire”, 79, 1967, n° 2, p. 623).
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fu eletto nel 333, e Dalmazio nel 335; e poiché il “rescritto” contiene i nomi dei primi tre, ma non quello di Dalmazio, ne consegue che l’atto dovrebbe essere stato emanato dopo che Costate fu eletto Cesare, e prima che lo fosse Dalmazio, cioè fra il 333 ed il 335. Nel nostro rescritto comunque manca ai figli di Costantino sia il titolo di Cesare che la qualifica di nobilissimo. E’ questo un ulteriore indizio della falsità del documento63. C’è poi da considerare quanto segue. Nel 325 d.C., l’imperatore Costantino, dopo aver composto nel Concilio di Nicea (a circa Km. 130 da Costantinopoli) le controversie delle sette cristiane che travagliavano l’intero impero, emise da Berito (in Fenicia), sede di una scuola di giurisprudenza, un decreto in cui proibì per tutto l’impero i ludi dei gladiatori perché turbavano la sensibilità dei cittadini64. Eusebio di Cesarea, che conosceva personalmente Costantino, e ne scrisse la vita in lingua greca, confermò che l’imperatore 63
Il Dessau pensa che l’omissione sia accidentale e dovuta alla negligenza del lapicida. Sarebbe però strano che un superficiale lapicida abbia potuto copiare su un marmo da esporre alla cittadinanza un atto così importante senza la accorta assistenza delle autorità cittadine. Mommsen (op. cit) ha voluto azzardare che il “rescritto” sia stato emanato prima che Costante fosse nominato Cesare, ma che il suo nome fosse stato ugualmente incluso; ora, per non umiliare Costante che non poteva esser definito Cesare non lo si sarebbe fatto nemmeno per gli altri. Giustamente, Andreotti obietta che la teoria del Mommmsen “è insostenibile nella sua stessa motivazione: un atto governativo doveva essere emanato con tutti i requisiti esteriori per la sua validità e, d’altra parte, senza l’aggiunta della menzione di persone non ancora partecipi del potere sovrano” ( R. Andreotti, Contributo alla Ddiscussione del Rescritto costantiniano di Hispellum, in Problemi di Storia e Archelogia dell’Umbria, “Atti del Convegno di Studi Umbri (Gubbio, 26-31 Maggio 1963)”. Andreotti però, in sostituzione di quella del Mommsen, costruisce una propria teoria secondo cui il “rescritto” si data nel breve lasso di tempo che va dalla morte di Costantino (22-05-337) alla proclamazione di Costantino Iuniore, Costanzo e Costante a nuovi Augusti. Sarebbe accaduto che, dopo la morte di Costantino, i suoi parenti da parte della matrigna Teodora, compreso Dalmazio, furono trucidati. Andreotti suppone che durante l’interregno gli atti di governo siano stati ancora emanati col nome di Costantino: ciò però poneva il problema se negli atti emanati i tre figli del defunto imperatore dovessero esser chiamati Cesari oppure già Augusti. “Ciò spiegherebbe”, dice Andreotti, “la mancanza di qualsiasi data “ nel rescritto. Tuttavia, come ammette lo stesso Andreotti, l’iscrizione di Spello rimane incompleta perché priva di ogni qualifica data ai figli di Costantino. Ciò sarebbe imputabile alle turbinose vicende che seguirono alla morte di Costantino. “La copia del rescritto”, conclude Andreotti, “dopo la fretta del primo entusiasmo, fu sostituita da un’altra o, più probabilmente, dimenticata. Il provvedimento concedeva una celebrazione della Gens Flavia, ben presto inattuale per i tragici colpi inferti dal destino”. In sé, però, il testo del “rescritto” non consente di spostarne la data di emissione; e comunque Andreotti non spiega alla fine come o perché nell’iscrizione di Spello i figli dell’imperatore siano privi della qualifica di Cesare che loro competeva. Gascou (op. cit., p. 621) gli ha replicato che non c’è alcuna ragione di pensare che la cancelleria abbia sostituito la copia del “rescritto”, né che le autorità di Spello abbiano preso l’iniziativa di modificare la formula di un messaggio imperiale. Egli propone questa nuova ipotesi: “il rescritto deve essere stato redatto sia negli ultimi mesi di vita di Costantino sia nel periodo dell’interregno; ma esso non sarà stato inciso che dopo il 9 settembre 337: in quel momento il figli di Costantino erano stati dichiarati Augusti, ma l’esemplare pervenuto avanti quella data alle autorità di Spello portavano il titolo di Cesare per i figli di Costantino. Non era possibile, senza assurdità, dare il titolo di Augusto sia a Costantino che ai suoi figli. Per contro, dare ai figli il titolo di Cesare sarebbe stato anacronistico: le autorità di Spello, davanti a questa difficoltà, si sono risolute di non dare loro alcun titolo”. Anche a lui però si può obiettare che in sé il testo del rescritto non consente di spostarne la data di emissione; né è possibile sostenere che le autorità di Spello avevano il potere di modificare la formula di un “rescritto” imperiale; né c’era alcuna necessità di farlo. 64 L. I, De Gladiator., Cod. Theod.: “Cruenta spectacula in otio civili, domestica quiete non placent. Quapropter qui omnino Gladiatores esse proibemus eos, qui forte delictorum causa hanc conditionem adque sententiam mereri consueverant, metallo magis facies insrvire ecc.”
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“proibì a tutti (diataxeti tois pasi) ... di non contaminare le città con i cruenti spettacoli dei gladiatori”65. Pare che i giochi tuttavia non si estinsero completamente perché solo con una legge emessa da Onorio nel 402 si riuscì a ottenere la loro definitiva chiusura66. Costantino comunque non li ripristinò mai; e non si capisce come egli, nel presunto rescritto (333-335 d.C.), avrebbe potuto preoccuparsi non solo che in Etruria i giochi gladiatori fossero mantenuti, ma che nell’Umbria, a Spello, ne fossero addirittura istituiti dei nuovi. Aggiungiamo che l’unità amministrativa di Etruria ed Umbria non fu mai revocata né da Costantino né dai suoi successori; così di nuovo non si capisce come mai egli, che nel presunto rescritto si sarebbe preoccupato di precisare che i nuovi ludi gladiatori da istituire in Umbria non abolivano quelli già esistenti in Etruria, non si sia contemporaneamente preoccupato di precisare che la separazione dei ludi dell’Umbria da quelli d’Etruria non aboliva comunque l’unità amministrativa delle due regioni: ciò anche per non dare appiglio a cattive interpretazioni che avrebbero potuto creare future complicazioni sul piano amministrativo. Il Muratori ha poi osservato che Costantino, favorevole com’era verso il Cristianesimo non avrebbe mai ordinato agli abitanti di Spello di costruire un grande tempio pagano dedicato alla gente Flavia alla quale egli stesso apparteneva. Si pensi che Costantino, nella religione cristiana Ortodossa, è stato portato agli onori della santità. Egli, per dirla con le parole del Muratori, non era “ethnichus et Cristianus (Cristiano e Pagano)”. Questa sua espressione ha porto il fianco a una obiezione apparentemente fondamentale. Gli è stato obiettato che Costantino in effetti era proprio “pagano e cristiano” perché non aveva mai rinunciato alla carica di Pontefice Massimo, e che alcune volte non si era rifiutato di assecondare alcune usanze pagane; inoltre aveva preso il battesimo cristiano solo negli ultimi giorni della sua vita. Tutto ciò è vero, però a quel tempo non esisteva ancora il sacramento della confessione, e molti attendevano gli ultimi giorni della loro vita per farsi battezzare: ciò perché questo sacramento cancellava tutti i peccati. E comunque non si capisce come mai Costantino che, negli ultimi anni della sua vita, “fece costruire il sepolcro suo presso il magnifico Tempio de gli Apostoli, eretto e dedicato da lui in Costantinopoli” (L. Muratori, Annali, III, anno 335), in quegli stessi ultimi tempi della sua vita, abbia permesso e ordinato agli abitanti di Spello di erigere un grande tempio pagano dedicato alla gente Flavia alla quale lui stesso apparteneva. Se poi, come recentemente e stato sostenuto, il rescritto fosse stato emesso negli ultimi giorni della vita dell’imperatoe, e pubblicato addirittura dopo la sua morte, allora ci sarebbe da chiedersi come mai Costantino,
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Eusebio di Cesarea, Vitae Costantini, 4, 25. Vedi il testo greco e latino in L. A. Muratori, op. cit. p. 1794. Gascou ritiene tuttavia che Costantino non abolì mai i giochi gladiatori, ma che si limitò a commutare la pena di morte di coloro che per delitti che venivano assegnati ai ludi gladiatori in quella dei lavori in miniera. Ma quali erano le vere intenzioni di Costantino si ritrovano pure nella sopra citata vita di Costantino, scritta da Eusebio di Cesarea, dove si dice che l’imperatore “proibì a tutti ... di non contaminare la città con i cruenti spettacoli dei gladiatori”. Come si vede, la legge valeva per tutti i giochi gladiatori, e non era limitata a nessun territorio né a nessuna categoria di persone. 66 Il Muratori opportunamente scrisse: “ Pretese il Gothofredo (1587- 1652 d.C.) che quella legge fosse solamente locale né si estendesse per tutti il romano imperio; e non per altro, se non perché sotto i successori di Costantino s’incontrano né più né meno gli spettacoli de’ gladiatori. Credo io d’avere abbastanza dimostrato, massimamente con l’autorità di Eusebio, che veramente fu universale quel divieto di Costantino, ancorché i suoi figliuoli non sapessero poi sostenerlo: tanto erano impazziti i pagani dietro que’ barbarici e sanguinosi giuochi” (Annali, III, p. 367).
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che prossimo alla morte si fece battezzare cristiano, avrebbe mantenuto il proponimento di far costruire un tempio pagano a se stesso a costo della salvezza della sua anima. C'è infine da osservare che l'antica capitale, o centro religioso, degli Umbri non era Spello bensì Gubbio. Si evince dalle famose Tavole Iuguvine del secondo sec. a.C. Spello manca anche nella Tabula Peutingeriana, mentre Gubbio vi è menzionata. E’ tuttavia possibile che Volsini abbia mantenuto qualcosa del ruolo centrale che, dopo la caduta di Tarquinia, doveva aver assunto verso le ancor libere città della media valle del Tevere. L’estensione all’Umbria era dovuta alla riforma di Augusto che unì questa regione all’Etruria.
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Alberto Palmucci PARTE
SECONDA
LA VIRGILIANA CITTA’ DI CÒRITO TARQUINIA
Ripreso e aggiornato dai nn. 56; 58; 59 e 60 di “Atti e Memorie” (Accademia Nazionale Virgiliana di Mantova); da Latina Didaxis, 1992 (Università di Genova); dai nn. 24; 26 e 31 di “Aufidus” (Università di Bari); da Virgilio e Cori(n)to Tarquinia, Tarquinia, S.T.A.S., 1998; da Anatolisch und Indogermanisch, 2001 (Università di Innsbruck)
NOTA PRELIMINARE. L’etrusca città di Còrito e gli omonimi personaggi legati ad essa furono spesso chiamati anche Corinto (vd. nota)67. E’ questo il motivo per cui noi, a volte, adotteremo la grafia Cori(n)to oppure Corinto. 67
CORI(N)TO NELLA LINGUA GRECA. Alcune glosse ad Eschilo presentano korinthos e korintheys in luogo di korythos e Korytheys. Parimenti, l'epiteto di Apollo a Corone è conosciuto nella forma Korinthos (Pausania, La Grecia, IV, 34,7). Da questi casi, Pierre Chantraine (Dictionaire Etym. de la langue Greque, II, Paris, 1979, p. 575) ha ipotizzato un rapporto etimologico fra korys-korithos (elmo) e il nome della città greca di Korinthos. In merito, noi abbiamo trovato molti casi sia in Greco che in Latino. In Grecia, il demo attico di Tri-korythos (TriCòrito) era chiamato anche Tri-korynthos (vd. G. Radke, in Real-Emcyclopadie der Classischen Altertumswisseuschaft, 1939, s.v. Trikory(n)thos ). Stefano di Bisanzio (De urbibus, s.v. Tricorynthon ) ci documenta la alternanza anche in un unico testo quando chiama Trikorynthon la città, e Trikorysioi gli abitanti Anche il nome dell'eroe eponimo del luogo era Trikorythos e Trikorynthos (vd. G. Radke, loc. cit.; K. Preisendanz, in Lexicon Griechischen Romischen Mythologie, 1916, s.v. Trykorythos). Korythos era il nome di uno dei figli che Paride ebbe da Elena di Troia; ma sia Eustazio che Tzetze lo chiamano Korinthos (Eustazio, Ad Om., p. 1479; Tzetze, All’Aless., 851). Secondo una leggenda (Servio Dan. Ad Verg. Aen.. III, 170), un altro Corythus, figlio di Paride e della ninfa Enone aveva fondato, in Etruria, la città di Corythus (Tarquinia). Ma, in Tzetze, il nome di questo personaggio, è Korythos, Korinthos (cod. Kointon), e addirittura Couron (Tzetze, Ad Lyc. Alex., 61). Telefo, poi, padre di Tarconte, fondatore di Tarquinii, era figlio adottivo del re arcade korinthos, secondo Apollodoro (II sec.a.C.). Invece, per Diodoro Siculo (I sec.a.C.), lo stesso personaggio si chiamava korythos (Apollodoro. Bibl., III, 9,1; Diodoro Sic., Storia Universale, IV, 33,11). n Còrito- Corisijo era poi la forma in cui era scritto il nome di Cori to nelle Tavolette micenee (J. Chadwick, Lineare B, Torino, 1959, p. 147; 208; E. L. Bennet jr. e J. P. Oliver, The Pylos Tablettes Translated, Roma, 1976, II, p. 97). CORI(N)TO NELLA LINGUA LATINA. Virgilio, nell'Eneide (III, 170; VII, 209; IX, 10; X, 719), nomina quattro volte Corythus, delle quali una volta il codice “n” presenta la variante Corinthus (IX, 10: Extremas Corinthi penetravit ad Urbes). I commenti all'Eneide di Servio e di Elio Donato alternano Corythus e Corinthus (Servio Dan., op. cit., III, 207; 209). Altrettanto avviene ne Le istituzioni divine (I, 23) di Lattanzio. In una glossa latina si legge Corinthus Etruriae (= Corinto d'Etruria), evidentemente per distinguere la città etrusca dalla omonima città Greca (C.G.L., IV, p. 436). Servio (All’En., VI, 603) conosce un mito secondo cui Tantalo regnava sui Corithii o Corinthii. Nei Mitografi Vaticani (I e II), il nome della città patria di Dardano è esclusivamente Corinthus, così come Corinthii sono i sudditi di Tantalo (Si riteneva che Tantalo avesse governato anche su Troia; i suoi sudditi Corithii o Corinthii potrebbero esser dunque in relazione con la migrazione di Dardano da Còrito
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1) DARDANO CAPOSTIPITE DEI TROIANI. Omero, nell'Iliade, canta che Dardano, capostipite dei Troiani, era figlio di Giove, ed era nato in Frigia alle pendici del monte Ida. Più tardi si disse, invece, che fosse nato a Samotracia o in Arcadia da Giove e dalla ninfa Elettra. Virgilio, infine, nell'Eneide, recepì una tradizione secondo cui Dardano era nato in una città etrusca chiamata Còrito o Corinto. Da qui Dardano avrebbe emigrato nell'isola di Samotracia ed in Asia minore dove i suoi nipoti avrebbero fondato Troia. In seguito, dopo che i Greci ebbero distrutto la città, Apollo e gli Dei Penati ordineranno ad Enea, che era un discendente di Dardano, di ricondurre i superstiti troiani in Italia, a Còrito, perché questa era “l'antica madre (antiqua mater)” della stirpe. In Italia, poi, secondo Virgilio, i discendenti di Enea fonderanno Roma68. Al tempo del poeta, sotto l'impero di Augusto (fine I sec. a.C.), Roma era all'apice della sua potenza, perciò gli storici greci tendevano a sostenere che i Troiani, dai quali i Romani pretendevano di discendere, fossero di origine greca. In opposizione a questa tendenza, Virgilio volle rivendicare l'originaria italicità del popolo romano; e, con ciò, fece sua la tradizione che Dardano, capostipite di Troiani e Romani, era nato a Còrito (oggi Tarquinia). In epoca molto antica, la parola Italia significava solo la punta estrema della penisola, poi comprese l'intera regione meridionale, e via via quella centrale e settentrionale, finché l'imperatore Augusto la estese ad indicare tutta la penisola fino alle Alpi. Il poema che il mantovano Virgilio scrisse sul ritorno di Enea alla “Antica madre” italica dei Troiani si configura, pertanto, come la più antica espressione del sentimento di unità nazionale, e la città di Còrito (Corneto Tarquinia) ne assume il ruolo di matrice in quanto progenitrice di Roma e del suo Impero. Alcuni hanno pensato che il poeta abbia inventato che Dardano fosse nato a Còrito (oggi Tarquinia) in Etruria, e lo abbia fatto per spirito nazionalistico nei riguardi dei Greci. Costoro, conseguentemente, svalutano la funzione che Virgilio, nelle vicende dell'Eneide, assegnava agli Etruschi ed alla città che egli chiamava Còrito (oggi Tarquinia). La cosa, invece, è di primaria importanza perché riguarda non solo la attendibilità di Virgilio, ma, come vedremo, sarà la chiave di comprensione di molti passi oscuri del poema. Il problema preliminare sarà, pertanto, quello di individuare quale
nella Troade: il Boccaccio conosceva, infatti, una tradizione secondo cui Dardano, quando proveniente dalla etrusca Còrito approdò nella Frigia, fu accolto da Tantalo dal quale ebbe una parte del regno). Troviamo, poi, che Corinium, città illirica della Dalmazia sulla spiaggia Adriatica, veniva chiamata anche Còriton e Corinton (Anonimo Ravennate, Itin., IV, 22, p. 223). Nel Martyrologium Hieronymianum, alla data dell'otto Agosto, il nome di un santo è variamente attestato come Corithonis, Corinthonis, Corinthionis e Corvintonis. In un cippo funerario di età imperiale, il nome Corinthus è scritto Coritus (C.I.L., VI, 10013). Un figlio di Priamo, nel Diario della guerra di Troia di Ditti Cretese (IV, 7), è chiamato sia Chorithon che Corinton. Nella Biblioteca di Apollodoro (III, 12,5), egli ha il nome greco di Gorgythion. Anche la città greca di Corinto, nelle due menzioni fatte nel succitato Diario della guerra di Troia (VI, 2), è chiamata Choritus come la omonima città etrusca. Il fatto assume particolare significato se confrontato con quanto disse Isidoro di Siviglia (560-636 d.C.). Questi, in una occasione, sostenne che i fratelli Dardano e Iasio venivano dalla Grecia, in un'altra precisò che Dardano veniva da Corinto (Isidoro, Etimologie, IX, 2,7; XIV, 3,41). Isidoro, dunque, o la sua fonte, confondeva la etrusca città di Corythus/Corinthus con la greca Corinthos/Choritus al punto da ritenere che Dardano fosse partito da quest'ultima. Questi casi chiariscono l'intercambiabilità delle forme Còrito e Corinto. Analoghe oscillazioni si trovano nella lingua etrusca, per es. nelle varie forme del nome di persona Arath, Aranth, Arnth, Ar(n)thna e *Arnath (lat. Arruns = Arunte). *Arnath si ricava da Arnath-alisa (C.I.E., 1219). 68 Verg., Aen., III, 94-98; 154-171; VII, 195-242.
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fosse stata, nelle intenzioni del poeta, questa città. Secondo una antica tradizione, questa città era Corneto (oggi Tarquinia). 2) LE INSEGNE DEL POTERE FEDERALE. Nella struttura dell'Eneide c'è una contraddizione. Da un lato Virgilio dice che gli dèi impongono ai Troiani di tornare alla “antica madre”, cioè a Còrito (oggi Tarquinia) in Etruria, dall'altro egli però farà poi approdare Enea nel Lazio vetus alla foce del Tevere. Egli poteva, tuttavia, definire “etrusco” questo fiume perché esso nasceva in Etruria e ne segnava il confine con il Lazio antico. A quel tempo la regione era limitata alla valle della sponda sinistra del Tevere. Il poeta narra che Enea, nel cuore dell'estate del settino anno dopo la rovina di Troia69, approda sulla riva sinistra della foce del fiume, e pone il campo. Gli abitanti della regione, però, come i Latini, i Rutuli e gli Etruschi di Agilla-Cere (oggi Cerveteri), vorrebbero ricacciarlo in mare. Per questo motivo, l'eroe va a domandare soccorso al re Evandro che regnava su alcuni Arcadi che dalla Grecia erano andati a fissarsi sul Palatino. E’ su questo colle che poi verrà fondata Roma. Quando Enea arriva sul Palatino (futura Roma) per chiedere aiuto, Evandro è intento nei festeggiamenti che lui stesso aveva istituito in onore di Ercole. Nella futura Roma, la festa verrà poi ripetuta ogni 12 Agosto. Il re, il giorno dopo (13 Agosto), fa presente ad Enea che il proprio esercito non è adeguato ad aiutarlo; dice però di avere comunque il modo per ottenere un fortissimo aiuto. Il crudele Mezenzio, spiega Evandro, re della città etrusca di Agilla-Cere, è stato espulso dai suoi sudditi; ma Turno, re dei Rutili di Ardea, nel Lazio, lo sta ospitando. Per questo motivo, Tarconte, re della Federazione Etrusca, ha riunito i capi e gli eserciti di ogni città etrusca, e minaccia di guerra i Rutuli se non gli consegnano Mezenzio. Un responso di aruspicina, tuttavia, dice Evandro, ha sentenziato a Tarconte che gli dèi gli ingiungono di passare il comando ad un duce straniero. Per ciò, continua il re, Tarconte stesso mi ha inviato gli ambasciatori con la corona del regno e lo scettro, ed ora mi affida le insegne perché mi rechi nel suo accampamento ad assumere il comando degli Etruschi (VIII, 506-507). Evandro fa poi presente ad Enea d’esser vecchio e di non potersi assumere un peso così grave. Tu però, egli dice, puoi farlo. Così lo incita ad andare in Etruria, da Tarconte, per ricevere l’investitura di capo della Lega Etrusca. Già in epoca romana si notò che le insegne del potere consegnate dagli ambasciatori di Tarconte ad Evandro, re del Palatino di Roma, rimandavano alla tradizione secondo cui un tempo i fasci furono davvero trasportati dagli Etruschi a Roma70. Si raccontava, infatti, che da Tarquinii, gli ambasciatori avevano trasportato a Roma, e consegnato al re Tarquinio la corona d’oro, i fasci e le altre insegne del potere per riconoscerlo capo della loro Federazione71. Ne abbiamo ampiamente trattato in precedenza (vd. p. 9 ss.). Sia il trasferimento delle insegne del potere federale da Tarquinia a Roma sia il fatto che Tarconte ceda ad Enea il comando della Lega Etrusca si ritrovano in embrione già nella tragedia Alessandra di Licofrone (vv. 1240 ss.), dove Tarconte, venuto dalla Misia unisce le sue forze a quelle di Enea venuto da Troia. La fonte primigenia della tradizione poteva peraltro risalire ad Ellanico di Lesbo (V sec. a.C.) ed addirittura a Lesche di Lesbo (VIII-VII sec. a.C.) ed Arctino (VIII sec. a.C.). 69
Secondo la cronologia del greco Eratostene (275-194 a. C.), Troia era caduta nel 1184 a.C. Servio Danielino, Ad Verg. Aen. VIII, 506: “qui ad Romanos a Tuscis translati sunt”. 71 Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, III, 59-62; Strabone, Geografia, V, 2,2. 70
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3) TAGETE. Si narrava che Tarconte avesse la sede a Corneto72. Egli sarebbe stato tanto saggio da esser nato con i capelli bianchi; ed avrebbe fondato dodici città fra cui Tarquinii che prese il suo nome73. Egli stesso avrebbe scritto che, mentre arava la terra, da un solco più profondo emerse un divino fanciullo di nome Tagete (etr. Tarchies) che gli rivelò gli aspetti segreti dell’Aruspicina74. In alcune fonti Tarconte è chiamato Tarquinio75; in altre si specifica che la nascita di Tagete avvenne nel territorio di Tarquinii, e che, in quella occasione tutti i lucumoni delle altre città convennero sul posto, e lì appresero da Tagete l’arte dell’aruspicina76. Il luogo era forse identificato con Corneto. Secondo Silio, infatti, fu questa la “sede di Tarconte” (vd. n. 72); e, secondo Virgilio, fu questo il luogo dove l’eroe riunì i capi delle città etrusche. Tarconte e Tarquinii (o Corneto che sia) venivano, comunque, posti all'origine della nazione etrusca. Massimo Pallottino osservò: Se le notizie relative alla supremazia di uno degli antichi sovrani delle città etrusche non sono del tutto prive di fondamento, si può pensare ad una qualche forma particolare di stretti rapporti fra i centri dell' Etruria meridionale in età arcaica, sotto l'egemonia di una o dell'altra città. La grande preminenza che ha Tarquinii nelle leggende primitive dell'Etruria può far pensare ad un periodo di egemonia tarquiniese. Più tardi questa antica unità potrebbe aver assunto il carattere di confederazione religiosa”77. Se confrontiamo i dati della tradizione letteraria con la documentazione archeologica, troviamo corrispondenze di notevole significato. Il pianoro di Cornetum e quello di Tarquinii presentano una ricchissima documentazione risalente all'età del bronzo finale e a quella del primo ferro. L'importanza di questo periodo storico s’incarna nella figura di Tarconte. Egli ha la sua sede a Cornetum, ma fonda Tarquinii ed ogni altra città dell’Etruria e della Padania. Il mito di Tagete rispecchia significativamente la posizione di preminenza che Tarconte e Tarquinii, o Corneto che sia, ebbero sull'Etruria. Si narrava, come abbiamo visto (vd. p. 13 ss.), che quando Tarconte trasse dalla terra il divino fanciullo, mandò grida di stupore tali che furono udite in tutta l’Etruria, e tutti i lucumoni convennero sul luogo ed appresero l’arte dell’Aruspicina. Questi eventi sono dichiaratamente collocati nel territorio di Tarquinii, forse a Cornetum, ch’era considerata “sede di Tarconte”, e riflettono non solo il primato religioso e culturale della città, ma anche la forza coesiva ch’essa esercitava sui popoli etruschi. Se a questo aggiungiamo che si diceva che Tarconte fondò tutte e dodici le città dell’Etruria, e che, conquistata militarmente la Padania, vi fondò altre e dodici città, allora dobbiamo dire che quel primato era anche militare e politico. Virgilio, nell'Eneide, presenta Tarconte come re della Federazione. Se nel poema dovesse quindi apparire che Còrito (Cornetum di Tarquinii) sia il luogo dov’egli riunisce capi, esercito e flotta di tutte le città, ciò sarebbe consono ai suoi rapporti con
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Silio Italico, Puniche, VII, 472: “Corneta (cod. Corona) Superbi Tarconis domus). Strabone, Geografia, V, 2, 2; Eustazio, Greografi greci minori, II, p. 277, v.42. 74 Giovanni Lido, De ostentis. 75 Commento Bernese a Lucano, I, 636. 76 Cicerone, La divinazione, II, 70; Commento Bernese a Lucano, I, 636. 77 M. Pallottino, Etruscologia, Milano, 1957, p. 174. 73
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Cornetum, Tarquinii, la Lega e il ruolo conferitogli da Virgilio. Pure il Pallottino, nella Enciclopedia Virgiliana, riconosceva che presso il campo di Tarconte […] dovrebbe immaginarsi Tarquinia78. 4) IL FIUME MIGNONE E IL CAMPO FEDERALE DI TARCONTE (13 AGOSTO, FESTA DI VERTUMNUS “SILVANO?”). Siamo al 13 Agosto. In questo stesso giorno, a Roma, ricorrerà ogni anno la festa di Vertumnus (etr. Vertun e Veltun), dio della federazione etrusca (vd. p. 13); e pare che in quello stesso giorno, in Etruria, da sempre, era ricorsa la stessa festa79. Era quella durante la quale i vari capi delle città etrusche, riunite in concilio, sceglievano il capo della Federazione. Su questa data, Virgilio fa cadere una coincidenza implicita, ma molto chiara per i contemporanei che conoscevano bene lo stato dei fatti e delle date. Vediamo. Sollecitato da Evandro, Enea a cavallo va in Etruria e si ferma presso il fiume Mignone. Non lontano da qui, sulla sommità pianeggiante d’un colle, c’era il campo dove Tarconte aveva radunato i vari capi etruschi coi loro contingenti. Narra Virgilio: Nei pressi del fresco fiume Caeritis (il Mignone: vd. oltre) si stende un grande luco (lucus) largamente sacro per il culto che i padri vi praticavano. Intorno, le colline formano una concava valle, e rinchiudono il bosco (nemus) cingendolo con scuri abeti. E' fama che quegli stessi Pelasgi, che un giorno occuparono per primi le terre Latine, consacrarono a Silvano, dio dei campi e del bestiame, il luco e il giorno della festa (lucumque diemque). Non lontano da qui, Tarconte e gli Etruschi tenevano gli accampamenti, sicuri per la natura dei luoghi; e dall'alto colle tutto l’esercito già poteva comparire, ed era attendato in vasti campi (celsoque omnis de colle videri iam poterat legio et latis tendebat in arvis). Qui il padre Enea e la gioventù guerriera giungono e, stanchi, si curano dei cavalli e del proprio corpo (VIII, 597- 608). Elio Donato (IV sec.) e Servio (V sec.), i quali compendiavano la precedente (per noi perduta) esegetica virgiliana d’epoca romana, riferivano che esistevano fonti letterarie le quali confermavano che i vasti campi dov’era accampato l’esercito di Tarconte, si trovavano sulla sommità pianeggiante di un’altura. La cosa, essi dicevano, poteva anche esser verificata visitando il luogo dove la tradizione poneva il colle (quod hodieque videmus et legimus)80. Per quel che riguarda il luco di Silvano, Servio dice che Virgilio lo definisce “largamente sacro” perché “lo era non solo agli abitanti del luogo, ma anche ai confinanti”. Servio poi spiega che Silvano, oltre ad essere il dio dei campi e del bestiame, era anche simile al dio Pan al quale si attribuiva l’origine di tutte le cose81. Pan, ovvero 78
M. Pallottino, Enciclopedia Virgiliana, Treccani, Roma, 1989, II, s. v. Etruschi. W. Eisenhut, in Real.Enciclopedie, s.v. Vertumnus, col. 1679. 80 Servio, op. cit., VIII, 603: «TARCHO ET TYRRHENI TUTA TENEBAT CASTRA LOCIS, hoc est et industria et natura munitissima. Sed novimus castra per naturam munita esse non posse nisi in collibus fuerint: quod si in montibus sunt quomodo procedit "latis tendebat in arvis"? Ne sit ergo contrarium, intellegamus quod hodieque videmus et legimus, hanc collium fuisse naturam, ut planities esset in summo, in qua inierat castra Tarchonis. Quamquam multi velint "celsoque ommis de colle videri iam poterat legio" ad Aeneam referre, ut intellegamus venientes in collibus fuisse Troianos, castra vero Etrusca in campis. Quod si velimus accipere, quemadmodum procedit "tuta tenebat castra locis"? Id est per naturam locorum”. 81 Servio, Op. cit., VIII, 598; 601. 79
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Fauno, era una delle forme che poteva assumere Vertumnus, detto anche Veltumna (etr. Vertun e Veltun), dio della Federazione Etrusca82. Silvano poi era anche il dio protettore dei confini; e nel suo nome venivano stipulati patti e fatti giuramenti83. Se, come sembra ovvio, il giorno in cui Enea giunge presso il luco del dio, è quello stesso in cui se ne celebrava la festa, questo è il 13 Agosto. Siamo nello stesso giorno in cui si celebrava la festa di Vertumnus dio della Federazione Etrusca. E’ durante questa festa che gli Etruschi nominavano il capo della loro Federazione. Ed è proprio per assumere la carica di capo della Federazione Etrusca che Enea si è recato presso il luco di Silvano (Vertumnus/Voltumna?). Noi possiamo dunque realizzare che a livello mitico, nell’Eneide, Silvano assume lo stresso ruolo che storicamente gli Etruschi affidavano a Vertumnus. Sappiamo, del resto, che Silvano (Pan, Fauno) era uno degli aspetti che Vertumnus sapeva assumere. Fig. 13 - Strade etrusco-romane che da Roma portavano a Còrito-Corneto
Quanto al fiume Caeritis, presso il quale erano il luco del dio e il colle pianeggiante dove la tradizione scritta e orale poneva il campo di Tarconte, sia Elio Donato che Servio sostenevano che il poeta intendeva riferirsi al Mignone (Caeritis amnis autem Minio dicit). Donato specificava, poi, che il fiume si trovava a nord di Centumcellae (oggi Civitavecchia)84, cioè sulla spiaggia fra Civitavecchia, Tarquinii e Corneto, dove esso appunto entra nel mare. 82
Properzio, Elegie, IV, 2, v. 34. I. Krauskoff, in Dizionario della civiltà etrusca, Firenze, 1985, s.v. Selvans. 84 Servio (Op. cit.,VIII,597), dice che il vero nome del Caeritis amnis virgiliano è Mignone (Minio dicit), e ricorda che altrove Virgilio dice che “coloro che abitano a Caerete sono nei campi del Mignone (Amnis autem Minio dicit, ut "qui Caerete (cod. F: Certe) domo qui sunt Minionis in arvis")”. Elio Donato precisa poi che “il Mignone è il fiume della Tuscia che si trova a nord di Centocelle (Fluvius est Minio 83
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Esisteva, dunque, una tradizione secondo cui il luco federale del dio Silvano, e la sommità pianeggiante della collina dove Tarconte aveva riunito i capi delle varie città federate, si trovavano lungo il fiume Mignone, fra Corneto, Tarquinii e Civitavecchia. In questo medesimo luogo, ad Enea sarebbe stata affidata la guida della Federazione Etrusca. Come abbiamo già rilevato, i commenti d’epoca romana all’Eneide, riferivano che si trattava d’una tradizione scritta e controllabile sui luoghi menzionati (quod hodieque videmus et legimus). Evidentemente si sapevano due cose: • •
nella regione attorno alla foce del Mignone c’era il luco di Silvano, presso il quale si tenevano adunanze religiose, e si eleggeva il re della Federazione Etrusca; la sommità pianeggiante dei colli vicini era il luogo dove un tempo i contingenti dell’esercito federale etrusco usavano accamparsi.
Siamo al Centro della Federazione Etrusca. D’altra parte, si diceva che la sede di Tarconte, capo della Federazione, fosse proprio Corneto. Il nome di Silvano è rimasto nel toponimo longobardo altomedioevale “Valdimandia (= Territorio di Silvano. Vd. ted. Waldmann = satiro, fauno, silvano)” col quale si designava la bassa valle del Mignone presso Corneto (oggi Tarquinia)85. *** Il Mignone è un piccolo fiume, però fu il più rinomato d’Etruria86, ed il solo corso d’acqua etrusco menzionato da Virgilio. Già dal XIV sec. a.C i mercanti micenei ne avevano risalito il corso: ciò giustifica le connessioni con le figure di Tarconte, Enea ed Ulisse. In epoca storica, poi il fiume venne a trovarsi vicino a Tarquinii e a Cornetum. Virgilio, infine, gli pose accanto il luco federale del dio Silvano, il “campo” federale di Tarconte e la mitica città di Còrito patria di Dardano capostipite dei Troiani. Il fiume origina dal Poggio di Coccia (612 m.s.m.), che sta accanto ai Monti Sabatini e al lago di Bracciano. Andando verso il Tirreno, scorre ad una ventina di chilometri da Cerveteri (l’antica Cere), poi volge a nord, aggira i Monti di Tolfa, piega ad ovest, e, scorrendo infine fra quei monti e i colli di Tarquinia, sfocia sulla spiaggia fra Tacquinia e Civitavecchia (Centumcellae) (f. 105). In epoca etrusca, il corso mediano e finale del fiume apparteneva al territorio tarquiniese, ma l’alto corso segnava il confine fra lo Stato di Cere e quello di Tarquinia: forse per questo Virgilio lo chiamò “fiume di Cere”. Nelle carte del XVI secolo, esso aveva ancora la doppia denominazione di Mignone e di Cerito. Leandro Alberti (1479-1543) nella Descrittione di tutta Italia, a proposito di Corneto, scrisse: Tusciae ultra Centucellas)” (Servio Dan., Ad Verg. Aen., VIII, 597; X, 183) cioè tra Civitavecchia (Centumcellae) e Tarquinia, dove in effetti sfocia. 85 Bolla di Leone IV a Virobono (a. 853). Contra: S. del Lungo, Toponom. prov. Viterbo, 1999, p. 187. 86 Dopo Virgilio, nel 44 d.C., Pomponio Mela, nella Geografia, scrisse: “Dall'altra parte del Tevere, ci sono Pirgi, Mignone, Castrum Novum, Gravisca, Cosa, Cecina e Pisa, località e nomi etruschi”. L'Itinerario Antonino non nomina il Mignone; ricorda, però, il porto di Rapinium (Rasinium ?) alla sua foce. Rutilio Namaziano (De reditu suo, 239) lo chiamò Munione (Munio) donde la variante italiana Mugnone (da non confondere con il Mugnone che passa accanto a Fiesole e Firenze). Il Mignone fu l'unico fiume dell'Etruria meridionale incluso negli Itinerari dell'Anonimo Ravennate e di Guido. Nelle copie medievali della romana Tabula Peutingeriana il suo tracciato non fu riprodotto; ma vi si legge “fiume Mignone” accanto a una vignetta che, nella Tabula, caratterizza i bagni termali. Vibio Sequestre (IV sec.), attingendo a Virgilio, Silio Italico e Lucano, compilò per le scuole un duzionario con i nomi dei fiumi più noti. Fra tutti i corsi d'acqua dell’ Etruria, egli nominò solo il Mignone, significando che questo era l'unico fiume che esauriva non solo le reminiscenze virgiliane, ma anche il quadro mitico che si poteva offrire agli studenti in fatto di fiumi etruschi. Egli specificò pure che il fiume desumeva il nome da una località chiamata Mignone.
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Dicono che traesse questo nome di Corneto da Còrito padre di Dardano [...]. Seguitando il lito sulla marina incontrasi poi il fiume Mignone da Vergilio nominato Minio [...]. Fu talmente nominato da Glauco, per memoria di Minosse suo padre [...]. Esce de i vicini monti, e dirittamente scendendo quivi mette capo alla marina; anche si nomina Cerito per uscire de i monti vicini a i Ceriti; di poi vedesi Città Vecchia [...]. Seguitando poi il lito, vedesi il fiume Eri entrare nel mare, che penso sia quel fiume da Plinio nominato Caeretanus [...]. Passato il detto fiume sopra il lito appare il monasterio di S. Severa87. Virgilio, dunque, poté chiamare “fiume Caeritis” il Mignone perché tale era l'effettivo altro nome del fiume, oppure perché questo nasceva in territorio cerita, ed il suo alto corso ne segnava il confine con quello di Tarquinii. Parimenti, anche se il Tevere passava sotto i colli di Roma, Virgilio lo chiamò “fiume Etrusco” perché nasceva in Etruria e ne segnava il confine con Roma. Fig. 14 – L’approdo di Enea secondo Licofrone e secondo Virgilio Licofrone
Virgilio
D’altra parte, poiché si diceva che da Tarquinii fossero state inviate a Roma le insegne del potere, non deve destar meraviglia se anche per Virgilio il luogo donde Tarconte invia sul Palatino di Roma le insegne del potere fu Tarquinii e, in particolare, Corithus, come egli chiama Cornetum ch’era la residenza ufficiale di Tarconte. Per quanto riguarda il dio Silvano, il suo culto è archeologicamente documentato a Tarquinii da vari reperti.
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L. Alberti, Descrittione di tutta Italia, pp. 36-37.
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a) Cippo di nenfro con dedica in Etrusco a Selvans e Suri vicino ad una delle porte della città88. b) Statuetta bronzea votiva con dedica in etrusco a Selvans Canzate (III sec.a.C.)89. c) Statuetta votiva di bambino con volto di Tagete dedicata a Suri Silvano90. Come già abbiamo detto, il nome di Silvano è rimasto nel toponimo longobardo altomedioevale “Valdimandia ( = Territorio di Silvano. Vd ted. Waldmann = “satiro, fauno, silvano”)” col quale si designava la valle del Mignone presso Corneto. Se guardiamo a Cere, non abbiamo ad oggi alcuna testimonianza della presenza del culto del dio etrusco Silvano (etr. Selvans). Solo una tarda dedica in lingua latina fa riferimento a un Silvano assimilato a Marte (Silvanus Mars)91. In questa iscrizione, addirittura, Silvano potrebbe esser solo un epiteto di quella particolare figura di Marte venerata a Roma come divinità della vegetazione.
5) ENEA NELLA CITTÀ DI MONTE CÒRITO (13 AGOSTO). Virgilio prosegue narrando che, mentre Enea si trovava presso Tarconte, la dea Giunone incaricò Iride, la sua messaggera, di recarsi ad Ardea, da Turno, capo dell’esercito avverso ai Troiani, per informarlo che Enea dapprima s’era recato sul colle Palatino per ottenere l’aiuto di Evandro, e poi era anche andato in Etruria fino alla città di Còrito per accordarsi pure con Tarconte1; pertanto, Iride incita Turno ad assalire subito il grosso dei Troiani rimasti soli e senza duce alla foce del Tevere. Il poeta dice testualmente: Mentre in una regione profondamente diversa (diversa penitus) avvenivano queste cose, la saturnia Giunone mandò dal cielo Iride all’audace Turno [...], la quale con la rosea bocca così parlò: “O Turno, il corso del tempo ti ha spontaneamente portato ciò che speravi e che nessun dio avrebbe osato prometterti. Enea, lasciato l’accampamento, i compagni e la flotta, si è recato alla reggia di Evandro sul Palatino; né basta, è penetrato fino alla lontana città di Còrito (extremas Corythi penetravit ad urbes) ed arma la schiera degli Etruschi, agresti riuniti. Perché indugi? Questo è il momento di preparare cavalli e cocchi. Rompi ogni indugio, ed assali l’insicuro accampamento”92. E’ ovvio che la città di Còrito sia nello stesso contesto geografico del campo di Tarconte dove gli “agresti”93 etruschi si sono riuniti, e presso il quale Enea si è recato. Anche Elio Donato e Servio, quegli stessi autori che in epoca romana, avevano testimoniato l’esistenza, presso il Mignone, della collina pianeggiante dove una tradizione scritta e orale poneva il campo di Tarconte, affermano che in quel contesto c’erano il monte e la città di Còrito 94. In particolare, dicono che “città di Còrito”, vuol dire “città di 88
M. Rendelli, Selvans Tularia, “StEtr”, 59, 1993, p.164. Ibidem. Il Rix la attribuisce a Tarquinii per ragioni epigrafiche. 90 C.I.E., 5549. 91 CIL, XI, 7602. 1 Virgilio, Eneide, IX, 1-10. 92 Virgilio, op. cit., IX, 8-11. 93 “Agresti”, in particolare, qualifica gli Etruschi come fedeli di Silvano, “dio dei campi e dei boschi”, presso il cui luco s’erano riuniti. 94 Riportiamo il testo di Elio Donato e Servio (Donato è sottolineato): “”E MENTRE IN UNA REGIONE PENETRALMENTE (penitus) DIVERSA AVVENIVANO QUESTE COSE”, cioè mentre si offrivano le 89
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monte Còrito”; la città, infatti, spiegano, è posta sul monte così chiamato dal nome del re Còrito (vd. n. 94). Anche un’anonima nota d’epoca romana apposta all’Eneide afferma: “Còrito è il monte (Corythus mons est)” (vd. nota)95. I commentatori di epoca romana volevano spiegare che urbes Corythi non significava “le città di Còrito”, bensì “la città di (monte) Còrito”. In Latino, il plurale urbes in luogo del singolare urbs era molto frequente. Questo significa pure che l’analisi dell’espressione virgiliana Corythi urbes era determinata dalla certezza che la città di Còrito era nel luogo indicato.
Con l’arrivo a Còrito, finisce il viaggio di Enea in Etruria, e si compie il ritorno all’antica madre etrusca dei Troiani, ordinato all’eroe dagli dèi. Eppure, nel 1554, per stornare da Tarquinia le connessioni con la Còrito virgiliana, Annibal Caro, nella versione italiana dell’Eneide, ne cambiò il testo, ed arbitrariamente tradusse: “Enea è giunto fine alla estreme città d’Etruria”, vanificando in tal modo la localizzazione di Còrito. La sua versione è rimasta canonica; così egli ha trasmesso l’arbitrio a una miriade di pedissequi traduttori e commentatori vecchi e nuovi, anche “importanti”, e ha dato appiglio a ritenere che la virgiliana città di Còrito fosse altrove. Esempio: nelle varie edizioni di Arnoldo Mondadori, il “consideratissimo” testo dell’Eneide, tradotto da L. Canali e commentato da E. Paratore, traduce “Non basta, si è spinto fino alle estreme città dell’Etruria”.
armi, mentre si davano gli aiuti … “PENETRALMENTE (penitus) DIVERSA”, molto diversa, cioè molto lontana, sia presso il Palatino che in Etruria. Per cui, poco dopo, Virgilio dice: Né basta, Enea è penetrato fino alla lontana città di Còrito ed arma una banda di Etruschi. “DI CÒRITO E’ PENETRATO”, affinché sembrasse che Enea avesse percorso tutta l’Etruria. “DI CÒRITO (Corythi)”, poi, vuol dire del monte della Tuscia, il quale, come abbiamo detto, prese il nome dal re Còrito con la cui moglie Giove concubì per cui nacque Dardano.“E’ PENETRATO” e’ poi ben detto poiché prima (IX 1) Virgilio aveva detto che Enea stava agendo in un luogo penetralmente lontano (Servio Danielino, ad Verg. Aen., IX, 1: “ATQUE EA DIVERSA PENITUS DUM PARTE GERUNTUR, scilicet dum offeruntur arma, dum dantur auxilia) [...]. DIVERSA PENITUS, valde diversa, id est longius remota, vel apud Pallanteum vel in Etruria , unde paulo post dicit: nec satis extremas Corythi penetravit ad Urbes Lydorumque manus”; IX, 11: “CORYTHI PENETRAVIT, ut totam Etruriam peregrasse videatur. CORYTHI”, autem montis Tusciae qui, ut supra diximus (IX,1), nomen accepit a Corytho rege cum cuius uxore concubit Iuppiter unde natus est Dardanus. PENETRAVIT, bene quia supra dixerat penitus (cod . T : Bene dicit penetravit quia supra dixerat penitus diversa parte)”. Come si vede, Donato e Servio pongono Enea nella regione fra il Palatino e il campo di Tarconte, cioè fra Roma e la foce del fiume che essi stessi hanno chiamato Mignone. Qui finisce il viaggio di Enea in Etruria. Secondo i due esegeti, poi, il fatto che Virgilio dica che il luogo dove si trovava Enea era “profondamente” diverso e lontano da Ardea preparava l’espressione che il poeta stesso userà subito dopo quando dirà: “Enea è penetrato fino alla lontana città di Còrito”. Elio Donato, infine, chiude il discorso sostenendo che Virgilio, nel dire che Enea era entrato nella città di Còrito, aveva fatto buon uso del verbo penetrare, perché in precedenza il poeta stesso aveva definito il Palatino e Còrito come una regione profondamente lontana da Ardea. Con quest’ultima considerazione, Donato piazza inequivocabilmente il monte e la città di Còrito nel contesto geografico compreso fra la zona del Palatino di Roma e quella della foce del Mignone presso Tarquinii. Il verbo latino penetrare è composto da penitus (= profondamente) più intrare (= entrare), e significa “entrare profondamente”. 95 C.G.L., VI, p. 277, s.v. Coritus. I commentatori di epoca romana volevano spiegare che urbes Corythi non significava “le città di Còrito”, bensì “la città di (monte) Còrito”. In Latino, il plurale urbes in luogo del singolare urbs era molto frequente. Questo significa pure che l’analisi dell’espressione virgiliana Corythi urbes era determinata dalla certezza che la città di Còrito era nel luogo indicato.
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Riassumiamo. Virgilio diceva che il campo di Tarconte era vicino al mare96 e presso un fiume. Gli esegeti virgiliani d’epoca romana sostenevano che il “campo” di Tarconte si trovava sulla cima pianeggiante dei colli, e riferivano che la notizia non solo era contenuta in tradizioni scritte, ma poteva anche esser controllata sul posto. Questo luogo era vicino al fiume Mignone; e il fiume si trovava oltre il porto di Centumcellae (oggi Civitavecchia). In effetti, il Mignone sfocia fra Civitavecchia e Tarquinia. Evidentemente, a quel tempo non solo si poteva andare di persona nella regione attorno alla foce del Mignone a visitare la sommità pianeggiante della collina dove le fonti scritte ponevano il campo federale di Tarconte e il luco di Silvano, ma si sapeva pure che lì c’era, o che una volta ci fosse stata, la mitica città di Còrito. Giustamente, nella Vita di S. Gugliemo, il discepolo Alberto ( ? - 1187) scrisse: Corneto, un tempo detta Còrito, dove Dardano è nato (Cornetum olim Corythum unde Dardanus ortus). Paolo Perugino e Boccaccio, poi, ci tramandarono che “Còrito [...] era quella città che oggi [...] si chiama volgarmente Corneto”. D’altronde, gli dèi avevano ingiunto ai Troiani di tornare a Còrito, perché questa era la loro “antica madre”. Così l’arrivo di Enea nella città risolve la contraddizione imputata a Virgilio. E’ vero che il poeta aveva presentato l’arrivo dei Troiani alla foce del “Tevere etrusco” come se qui si fosse compiuto il ritorno all’antica madre. Egli però fece subito un atto riparatorio. Riallacciandosi alla vecchia tradizione di Licofrone, spedì Enea in Etruria, a Còrito, per chiedere aiuto a Tarconte contro i Latini che volevano respingerlo. Qui finisce il viaggio di Enea in Etruria, e si compie, sia pure in modo obliquo, il ritorno a Còrito. Enea, peraltro, s’incontra con Tarconte vicino alla foce del Mignone: verosimilmente, Virgilio vi riconosceva la leggendaria foce del Linceo dove Enea, secondo la tradizione filoetrusca di Licofrone, era sbarcato al suo arrivo in Etruria. Prima di entrare nel mare il Mignone riceve il fosso Cranchese (oggi Ranchese), che scende dal colle di Corneto. Non so se possa avere significato il fatto che in Etrusco krankru significa gatto, gattopardo, lince.
Riconoscendo che Còrito è Corneto (oggi Tarquinia) realizziamo che la concentrazione, nell’Etruria meridionale, di fonti e reperti del mito troiano è indicativa dei rapporti che gli Etruschi di questa zona ritenevano di aver avuto con Troia. Possiamo supporre, credo ragionevolmente, che Virgilio abbia recepito e piegato in favore di Roma una tradizione nata in questa regione. 6) IL TRIONFO DI AUGUSTO. Dobbiamo ora tornare al momento in cui Enea, il 13 Agosto, si trova sul colle Palatino (Roma) in casa del re Evandro. Il re spiega ad Enea che Tarconte ha riunito esercito e flotta, e sta per portare la guerra proprio contro quegli stessi popoli che vorrebbero respingere i Troiani. Tuttavia, continua Evandro, gli dèi hanno ordinato a Tarconte di cedere il comando ad un condottiero straniero. Tarconte, allora, l’ha offerto a lui, Evandro. Ma egli è troppo vecchio per assumere un impegno così gravoso. Tuttavia, egli dice ad Enea, “io porrò te a capo di quell'esercito”, e lo spinge a recarsi da Tarconte, in Etruia, per assumere il comando della Lega Etrusca. Intanto, mentre Enea è intento ad ascoltare, Virgilio dice che
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VIII, 555: “Tyrrheni ad litora regis”.
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un fulmine, lanciato a cielo sereno vibrò con fragore, e ad un tratto sembrò che tutto crollasse, e che nel cielo muggisse uno squillo di tromba etrusca (VIII 624, ss.). Enea ed Evandro sollevano gli occhi, e vedono che nel cielo risplendono e risuonano le armi che Venere aveva promesso al figlio in caso di guerra. Un fulmine a cielo sereno era, per gli Etruschi, un segno positivo; e uno squillo venuto dal cielo annunciava l'inizio di un’epoca storica. Virgilio, dunque, presenta l'imminente ritorno di Enea a Còrito (13 agosto), e l'imminente passaggio del comando della Lega Etrusca da Tarconte ad Enea, come un evento così importante per gli Etruschi da determinare l'inizio di un'epoca storica, se non addirittura della loro storia stessa. Ma è significativo che il prodigio annunciatore avvenga nel cielo della futura Roma, come se i ruoli di Roma e di Còrito fossero intercambiabili. Ed è pure significativo che è sul luogo della futura Roma che Venere mostra ad Enea le armi divine, però giele consegnerà solo quando il figlio sarà rientrato nel seno dell’”antica madre”, cioè a Còrito (Corneto di Tarquinia). Il poeta canta che, una volta giunto Enea presso Tarconte, la madre Venere, bianca fra eteree nubi, scese portando i doni; e, appena vide il figlio che, allontanatosi dal tiepido fiume (Mignone), si era appartato nella valle remota, gli si presentò improvvisa e disse queste parole: “Ecco i doni fabbricati dall'arte del mio sposo (Vulcano), che ti avevo promesso. Ora, non esitare, o figlio, a sfidare in battaglia i superbi Laurenti o il fiero Turno”. Questo disse Venere, cercò l'abbraccio del figlio, e depose le armi splendenti sotto la quercia che stava di fronte (VIII, 608-616). Allora, Enea ammira l'elmo e si sofferma a contemplare lo scudo sul quale il dio Vulcano aveva inciso la prefigurazione degli avvenimenti futuri della storia romana fino alla rappresentazione del trionfo che l'imperatore Augusto, discendente di Enea, celebrerà in Roma dal 13 al 15 Agosto del 29 a.C. Sta qui peraltro l’origine del nostro Ferragosto. Su questa data, Virgilio fa cadere dunque, oltre alla festa di Vertumnus, una seconda coincidenza implicita. Egli immagina non solo che Enea, nel giorno della festa del dio, sia tornato a Còrito (oggi Tarquinia) ed ivi incoronato capo degli Etruschi, ma che in quella stessa occasione, e proprio a Còrito (oggi Tarquinia), dove aveva avuto inizio la stirpe di Augusto, l’eroe avesse contemplato, incisa sul proprio scudo, la scena del trionfo che il suo discendente celebrerà il 13 Agosto di undici secoli dopo. Lo stesso imperatore, di certo, non aveva scelto a caso il giorno del proprio trionfo. Enea è stupito. Non comprende il senso delle scene che ammira; ma quando poi, dice il poeta, l'eroe imbraccia lo scudo e se lo impone sulle spalle, egli assume su di sé, consapevole o meno, la gloria e il destino dei suoi discendenti romani97. CòritoCorneto (oggi Tarquinia) assume qui il ruolo di matrice etrusco-troiana dell'impero di Roma; e si comprende come il ritorno di Enea nel seno di questa “antica madre” possa essere stato segnato, proprio nel cielo del Palatino di Roma, dai prodigi annunciatori di una nuova epoca storica. 7) VENERE GUIDA ENEA. Varrone (116-27 a.C.), che scrisse prima di Virgilio (70-19 a.C.), narrò che la dea Venere, sotto forma di stella aveva di volta in volta guidato il 97
Virgilio, op. cit., VIII, 731.
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cammino di Enea da Troia fino a Lavinio, nel Lazio, dove poi era sparita per far capire al figlio che lì doveva stabilirsi98. Dal canto suo, Virgilio narra che, durante la distruzione di Troia, Venere, nell’aspetto di madre, si presentò ad Enea per invitarlo a raccogliere i Troiani superstiti e guidarli alla volta d’una nuova patria, poi assunse l'aspetto di stella. In seguito, durante le vicende dell'Eneide, Venere non si mostrerà più al figlio nel suo aspetto di madre. Enea potrà rivederla come tale ed abbracciarla solo dopo esser rientrato in seno alla ”antica madre” etrusca della stirpe, vale a dire a Còrito (oggi Tarquinia); e sarà per l’ultima volta. Evidentemente, Virgilio recepì una tradizione più antica di quella di Varrone, dove Venere aveva guidato i Troiani fino a Còrito (oggi Tarquinia). In proposito, ha qualche significato uno specchio etrusco del III sec. a. C. trovato a Tarquinia99. Dietro lo specchio è graffita la scena dell'Iliade nella quale Venere salva Enea che sta per morire in un duello con Diomede100. Nell'Eneide, Virgilio fa dire a Giove che, in quella circostanza, egli aveva permesso che Venere salvasse Enea solo perché destinato a guidare i Troiani verso l’Italia101. E’ dunque verosimile che gli Etruschi conoscessero questa tradizione prima di Virgilio. M. J. Gagé si chiedeva perplesso perché mai il poeta avesse preferito un luogo qualsiasi dell'Etruria per consegnare ad Enea le armi fatali. Sarebbero stati più idonei alla gloria di Roma, dice Gagé, il colle Palatino o la spiaggia di Laurento102. Il fatto è che Gagé, ingannato dalla falsa traduzione di Annibal Caro (vd. p. 45), ritenne che Enea non fosse mai arrivato a Còrito. Ma se si rimane fedeli al testo latino e si realizza che Enea ritorna fino a Còrito-Tarquinia (sede del Concilium Etruriae ed antiqua mater di Troiani e Romani), allora diviene chiaro che Venere, per Virgilio, non aveva altro posto migliore di Còrito-Tarquinia, per consegnare al figlio lo scudo istoriato con le scene del destino di Roma. Destino glorioso che l'eroe, come dice il poeta, insieme allo scudo, “assume per sé sulle spalle”. Còrito-Tarquinia diviene “madre” dell’impero romano. 8) TARQUINIO NATO A CORINTO. Valerio Massimo (I sec.a.C.-I sec.d.C) scrisse: Fu la fortuna che spinse Tarquinio ad impadronirsi del potere in Roma: straniero in quanto [exactu?], più straniero in quanto nato a Corinto, da rifiutare con disprezzo in quanto nato da un mercante, da doversene vergognare in quanto era anche nato dall'esule padre Demarato. Ciononostante [ ... ], con le sue preclare virtù fece in modo che Roma non si pentisse di aver scelto il suo re tra i popoli confinanti piuttosto che fra i suoi cittadini103. Tarquinio, secondo Valerio, nacque a Corinto. Però, secondo la versione più diffusa, egli nacque a Tarquinii dal corinzio Demarato sposato con una nobile della città. Valerio, poi, puntualizza che Tarquinio nacque quando Demarato era esule; ma Demarato non era esule quand’era a Corinto, in Grecia, bensì quando si stabilì a Tarquinii. Ora, una glossa virgiliana dice apertamente “Corinto d'Etruria (Corinthus Etruriae)” per distinguere la città etrusca di Corinto (coè la Còrito virgiliana) dalla 98
Servio Danielino, Ad Verg. Aen., I, 382. Lexicon Iconographicum Mitologiae Classicae, s.v. Aineias, nr. 43. 100 La stessa scena è raffigurata pure su un vaso vulcente del V sec.a.C. 101 Verg. , op. cit., IV, 227-234. 102 M.J.Gagé, Enea, Faunus et le culte de Silvan "pelasge" à propos de quelques traditions de l'Etrurie Méridionale, in Mélanges d'Archéologie et d'Histoire, Parigi, 1961, pp. 80-81. 103 Valerio Massimo, Epitome, III, 4,2. 99
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omonima greca (vd. n. 1 a p. 253). Valerio specifica pure che i Romani scelsero il loro re fra i popoli vicini. Ciò dovrebbe implicare che per lui Corinto era una città etrusca? Esisteva forse una tradizione secondo cui Tarquinio era nato nella etrusca città di Corinto (presso Tarquinii), e Valerio giocava sull’omonimia di questa città con quella greca, per stornare il lettore dal fatto che Tarquinio potesse esser nato a Corinto d’Etruria (oggi Tarquinia)? 9. PROSPETTO DEL NOME DI CORI(N)TO. • • • • • • •
Corythus, chiamato anche Dardano, figlio di Paride e di Elena. Cory(n)thos, troiano, figlio di Enone e Paride, fondatore di Corythus in Etruria. Cory(n)thus, re di Cory(n)tus, padre di Dardano capostipite dei Troiani. Dardano, figlio di Cori(n)thus fondatore di Cory(n)thus in Etruria . Tarconte risiede a Corneto-Cory(n)thus e fonda Tarquinii; egli è figlio di Telefo, re della Misia, a sua volta figlio adottivo del re arcade Cory(n)thos. Demarato Corinthius, re di Tarquinii, capostipite della dinastia dei Tarquini . Demarato provieniente dalla città greca di Corinthos detta anche Choritus.
Fig. 15 – Il viaggio di Enea da Troia a Còrito-Tarquinia
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