GLI ETRUSCHI E I POPOLI DEL MARE di Alberto Palmucci

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S O C I E T A’

STORICA

CIVITAVECCHIESE

ALBERTO PALMUCCI

GLI ETRUSCHI E I POPOLI DEL MARE DA OCCIDENTE AD ORIENTE. LA SPADA TROVATA NEL MARE DI S. MARINELLA

Estratto da BOLLETTINO DELLA SOCIETA’ STORICA CIVITAVECCHIESE n. 21

CIVITAVECCHIA 2015


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Alberto Palmucci DA OCCIDENTE AD ORIENTE: I POPOLI DEL MARE E LA SPADA DI CAPO LINARO Ripreso e aggiornato dal cap. IV de Le origini degli Etruschi di A. Palmucci, Roma 2013 A Glauco Stracci 1). I MICENEI NELLA VALLE DEL FIUME MIGNONE Già dal XIV sec. a.C., fra gli Appenninici che abitavano lungo il bacino idromontano del fiume Mignone, nella regione che poi apparterrà alla lucumonia di Tarquinia, giunsero dalla Grecia i mercanti Achei, cosiddetti Micenei. Approdavano alla foce del Mignone, dove è stata trovata un’àncora di tipo egeo, e risalivano il fiume forse a cercare l’allume che abbondava sulle colline di Allumiere. In una delle tavolette micenee di Pylos è scritto KUPIRIJO TURUPTERIJA ONO1. L’unico vocabolo greco che corrisponde a TURUPTERIJA è Strypterìa che vuol dire “allume”. In altre tavolette poi si nomina CURITU (Corythus-Tarquinia in Italia?) fra i luoghi dove ci si recava a commerciare2. E forse, come qualcuno ha ipotizzato, i mercanti micenei, con l’occasione dello sfruttamento delle miniere, reclutavano anche mercenari per le loro flotte3. Gli indigeni italici potrebbero comunque aver appreso a percorrere in senso inverso la rotta già aperta dai Micenei, e così a loro volta portarsi nel Mediterraneo orientale. La tradizione virgiliana narrava infatti che da Cory(n)thus (oggi Corneto di Tarquinia) i Tirreni, guidati da Dardano, partirono per le isole Egee e l’Anatolia dove poi avrebbero addirittura fondato Troia (o meglio probabilmente rifondato la città già rasa al suolo da una prima distruzione avvenuta ad opera di un terremoto attorno al 1280 a,C.). Dopo la rovina di Troia, i loro discendenti troiani, guidati da Enea, sarebbero poi tornati in Italia fino a Còrito (Tarquinia). Strabone a sua volta riferì l’esistenza d’una tradizione secondo cui una migrazione partì da Regisvilla ( = città del re >Tarquinia?) ch’egli pose a nord di Gravisca (che era poi il porto di Tarquinia). La migrazione sarebbe stata guidata da un re ch’egli chiama Maleo o Maleoto e definisce “pelasgio”, ma che in altre fonti è ritenuto “tirreno”. Questo re sarebbe arrivato fino in Lidia per poi tornare in Etruria come un “tirreno” della Lidia4. Anche Plutarco scrisse che “i Tirreni dalla Tessaglia si trasferirono nella Lidia e dalla Lidia vennero in “Italia”5. Secondo altre versioni sarebbero stati i Pelasgi stessi che dalla Tessaglia vennero in Etruria a fondare Tarquinia ed altre città6. In tutte queste tradizioni la formazione della nazione etrusca sarebbe avvenuta a seguito di migrazioni circolari. Torniamo ora ai Micenei. 1

J.Chadwick, Pylos Tablet, 1964, p. 23; A. Marpurgo, Mycenaenae Graecitatis Lexicon, 1953, p. 343; F. PuglieseCarratelli, Achei nell’Etruria e nel Lazio, “La Parola del Passato”, 17, 1962, p. 5 ss.; C. E. Ostemberg, Luni sul Mignone e problemi della preistoria d’Italia, 1967, p.252. 2 Questo nome non è riferibile alla città greca di Corinthos (lat. Corinthus e Coritus), bensì a un luogo non ancora identificato (J, Chadwich, Lineare B, Torino, 1959, p. 147 e 208; A. Morpurgo, Mycenaeae Graecitatis Lexicon, Roma, 1963, p. 138; El. Bennet Jr. EJ. P. Olivier, The Pylos Tablettes Transcribed, Roma, 1976, II, p. 97). 3 C. E. Ostemberg, op. cit., p. 251. 4 Per una più esauriente trattazione dl personaggio di Maleo e della sua migrazione vedi il mio libro Le origini degli Etruschi: da occidente ad oriente e da oriente ad occidente, Roma 2013, pp. 31-34; 36; 42; 53; 171-175; 180-181. 5 Plutarco, Vita di Romolo, II, 1. 6 Fiustino, Epitome di Trogo Pompeo, XX, 1, 11: “A Tessalis in Tuscis Tarquinia et Spina in Umbris”.


3 Nel periodo della massima fioritura, i Micenei stabilirono molti contatti con le coste della Sardegna, dell’Italia meridionale e delle sue isole. Lungo le coste dell’Adriatico giunsero fino al corso finale del fiume Po. Nell’Italia centrale interna, risalirono forse il Tevere, e giunsero sull’Appennino, a Contigliano, presso Rieti, ed a Piediluco presso Terni7. Lungo le coste meridionali dell’Italia tirrenica, si spinsero fino a Vivara ed Ischia presso Napoli. Nell’Italia centrale tirrenica abbiamo prove di isolati contatti presso Latina e presso Ladispoli. Ne abbiamo però plurime subito dopo Civitavecchia, nei bacini idromontani del Mignone e del Marta. Frammenti di ceramica micenea di XIII sec. a.C. sono stati trovati pure a Scarceta alle origini della valle del Fiora. Qui terminano le prove archeologiche finora trovate della salita dei Micenei lungo le coste tirreniche d’Italia (f. 1). • Recentemente, Lucio Perego ha reso noto che, a Roma, fra i documenti di Villa Giulia, risulta che in data 4/5/1982, è stata consegnata un’àncora micenea trovata da Benvenuto Frau alla foce del fiume Mignone. • Nell’entroterra, sulla sponda destra del fiume, a Luni sul Mignone (Blera) e a S. Giovenale (Blera) sono stati trovati frammenti di ceramiche micenee che vanno dal XIV all’ XI sec. a.C. 8 • A Scarceta, presso Manciano (GR), sono stati rinvenuti frammenti micenei di XIII sec. a.C.9 • A Monte Rovello (Allumiere), Odoardo Toti ha trovato un frammento miceneo di fine sec. XII10. • A Norchia (Vetralla) è stato rinvenuto un frammento (non pubblicato)11. • A Vaccina (Ladispoli) sono stati trovati vari frammenti italo-micenei12. • A Coste del Marano (Tolfa) sono stati rinvenuti manufatti bronzei di XI secolo, alcuni dei quali richiamano analoghi tipi dell’Europa centrale, altri del Mediterraneo orientale13. • Lo stesso Odoardo Toti ha trovato all’Elceto di Allumiere anche un rozzo frammento protoetrusco (ca.1050-1000 a.C.) grossolanamente dipinto che costituisce l’anello di collegamento fra la ceramica micenea importata sui colli di Allumiere, e la ceramica protoetrusca. • A Tarquinia, in una tomba degli inizi del primo Ferro (ca. 1020 a.C.) è stato rinvenuto uno specchio miceneo di XIII-XI sec. a.C.14 Questo specchio è formato da due pezzi ricomposti: il manico ed il disco. Il manico ha le caratteristiche di quelli egei, mentre il disco potrebbe essere di origine anatolica. I due pezzi furono uniti durante la seconda metà dell’XI sec., e deposti, a Tarquinia, dentro una tomba dei primi anni dell’età del primo Ferro.

I frammenti trovati dal Toti sulle alture di Alllumiere, e lo specchio rinvenuto nella tomba di Tarquinia potrebbero essere indicativi di una certa continuità fra la cultura orientale e quella dei protoetruschi che abitavano nel bacino idromontano del Mignone. Dal canto loro, Micene ed altre città della Grecia e delle isole Egee presentano reperti archeologici che testimoniano la presenza di maestranze venute dall'occidente15. Renato Peroni ha ipotizzato che alcuni Micenei, ai loro ritorni dall’Italia in patria abbiano indotto una parte di indigeni a seguirli sulla rotta verso oriente: col tempo questo movimento potrebbe aver assunto le dimensioni d’una migrazione. Egli ha pure ritenuto che 7

L. Vagnetti, Appunti sui Bronzi Egei e Ciprioti del Ripoatiglio di Contigliano (Rieti), “MEFRA”, 86-2, 1974, pp. 657-71. Ostemberg, Luni sul Mignone e problemi della preistoria d’Italia, 1967, p.p. 128-150; 245-254. 9 .R. Poggiani Keller, Scarceta di Manciano (GR), un centro abitativo e artigianale delle età del Bronzo, sulle rive del Fiora, Pitigliano (GR), 1999; R. Grifoni Cremonesi, Il Neolitico e l’età dei Metalli in Toscana, Dipartimento Scienze Archeologiche, Università di Pisa. 2006, p. 207. 10 B. Biancofiore, O. Toti, Monte Rovello, testimonianze dei Micenei nel Lazio, Roma, 1973; Emilio Peruzzi, Mycenaeans in Early Latium, Roma, 1980. 11 Comunicazione personale di Alessandro Mandolesi. 12 F. Trucco e altri, Il complesso archeologico del Bromzo Recente sulle sponde del Vaccina e le nuove testimonianze italomicenee, in “Preistoria e Prostoria in Etruria, X incontro di studi, Valentano 10 sett. 2010, Pitigliano 11-12 sett. 2010”. 13 O. Toti.ed altri, La “Civiltà Protovillanoviana” dei Monti della Tolfa, Allumiere, 1986, passim. 14 Lo specchio, di importazione micenea, passò di mano in mano per più generazioni finché fu deposto nella tomba 77 di Poggio Selciatello a Tarquinia durante la seconda metà dell’XI sec. a. C. (F. Delpino, Rapporti e scambi nell’Etruria meridionale villanoviana, in “Archeologia della Tuscia”, II, C.N.R., 1986, II, pp. 167-168). 15 A. M. Mietti Sestieri, The Metal Industry of Contineltal Italy (13th to 11th Century b.C.) and its Connections with the Aegean, “Proceedings of the Prehistoric Society”, 39, 1973, p. 383, sg. 8


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non si trattava di semplici “individui o di piccoli gruppi, ma di gruppi più ampi trasferitisi dall’Occidente all’Egeo e colà integratisi, che le fonti archeologiche sembrano attestarci, in singolare consonanza con le fonti scritte orientali sui Popoli del Mare” 16.

A sua volta, Gilda Bartoloni17 nota che, nel XIII e nel XII sec. a.C., a uno stesso tipo di spade, pugnali, spilloni ed altro, che si ritrova dagli estremi della Scandinavia, nel mare del Nord, fino alla coste della penisola italiana, in Sicilia e nel Mediterraneo orientale (vedi ff. 3; 4; 10), si aggiunge a Micene, in Grecia, una forma di fusione di un’ascia ad alette, di tipo estraneo all’area egea, che sembra indicare una produzione legata alla presenza di artigiani giunti dall’occidente. Avremmo dunque la documentazione archeologica di uno spostamento di persone dall’Italia nella Grecia micenea. La Bartoloni conclude infine che la presenza nel Mediterraneo orientale di gente arrivata dall’Italia potrebbe esser confermata dai documenti egizi dei secc. XIII e XII a.C. dove, fra i Popoli del Mare invasori dell’impero ittita ed aggressori dell’Egitto, si elencano Shekelesh (Siculi), Sherden (Sardi), Pelescet (gr. Pelastoi - Pelargoi – Pelasgoi = cicogne), e Turuscia / Tursci-a / Truscia (Etruschi). Si consideri che la parola egizia Turu-sci-a / Tur-sci-a / Tru-sci-a (cfr. um. Tursci e Tusci, lat. Tusci ed E-trusci) mantiene il suffisso “sci” che nelle lingue italiche formava il nome dei popoli. In lingua egizia po l’aggiunta della “a” formava il plurale. Anche il Pallottino ammise “la possibilità che i Turuscia assalitori dell’Egitto siano genti che provengono dall’occidente” (Etruscologia, 1957, p. 71). Noi riteniamo ipotizzabile che già dal XV-XIV secolo la venuta dei Micenei in Italia centrale abbia permesso agli indigeni di conoscere quale fosse la rotta da seguire per recarsi nell’Italia meridionale e nel Mediterraneo orientale dove si poteva godere di un maggiore benessere. Oggi, allo stesso modo i coloni europei che si son portati in Africa ed in Asia hanno permesso alle popolazioni di quelle terre di conoscere quale sia la via da seguire per venire in Europa a conseguire una vita che essi ritengono migliore. Come oggi migliaia di persone dall’Asia e dall’Africa attraversano il mare e vengono in Italia per recarsi in Europa, così negli ultimi secoli del II millennio prima di Cristo migliaia di persone dall’Europa centro settentrionale, dai Balcani e dall’Italia si portarono a nel Mediterraneo orientale dove scossero dalle fondamenta la stessa civiltà micenea, determinarono il crollo dell’impero Ittita e tentarono d’invadere l’Egitto. I punti privilegiati di partenza delle prime migrazioni di coloro che scendevano dall’Europa centro settentrionale e dall’Italia del nord dovettero essere proprio quelle regioni delle coste adriatiche e tirreniche dove ad oggi sono stati trovati i reperti dei più settentrionali contatti micenei col mondo italico. Sul mar Adriatico, la regione più settentrionale è quella del tratto finale del corso del fiume Po. Strabone riferì, infatti, la tradizione d’una partenza di Pelasgi da Ravenna verso la Tessaglia18. A sua volta, la regione più settentrionale raggiunta dai Micenei nell’Italia tirrenica durante il XIV ed il XIII secolo a.C. è quella attorno a Tarquinia (Luni sul Mignone: secc. XIV e XIII) e Vulci (Scarceta: sec. XIII). L’ipotesi d’una migrazione con partenza da questa zona e comunque dall’Italia verso oriente trova conforto non solo nei racconti di alcuni storici greci quali Mirsilo di Lesbo (IV-III sec.a.C.), Dionigi di Alicarnasso (I sec. a.C.) e Strabone (I sec.a.C.), ma anche nell’Eneide di Virgilio (I sec. a.C.). Mirsilo di Lesbo (III sec. a.C.), raccontò che, molto tempo prima della guerra di Troia, I Tirreni ”furono i primi ad emigrare dall'Italia e ad andare in Grecia e in molte regioni dei barbari … costoro, lasciata la loro patria, assunsero nel corso dei loro spostamenti senza meta fissa il nome di “Pelargoi (Cicogne)” a somiglianza degli uccelli chiamati Pelargoi perché come questi migrano a

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R. Peroni, Presenze micenee e forme socioeconomiche nell’Italia protostorica, in Magna Grecia e mondo miceneo (Atti del XXII convegno di studi sulla Magna Grecia), Taranto 1982, Napoli 1983, p. 212 sg. 17 G. Bartoloni, La cultura villanoviana, Roma, 1989, p. 63 ss. 18 Strabone, op. cit., V, 1.


5 stormo per la Grecia e le regioni dei barbari. Essi innalzarono pure il muro di cinta che circonda l'acropoli di Atene, il cosiddetto muro Pelargico”19.

Fig. 1 – Carta delle presenze micenee in Italia

Virgilio, poi, cantò che i Tirreni partirono da Còrito (oggi Corneto di Tarquinia) e giunsero fino in Anatolia dove avrebbero fondato Troia. Anche Strabone parlò d’una migrazione verso oriente partita da Regisvilla ( = Città del Re > Tarquinia?) che egli pose a nord di Gravisca (che era il porto della stessa Tarquinia).

2). ULU BURUN La presenza lungo le coste dell’Anatolia di guerrieri provenienti dal Mediterraneo centrale è confermata dal rinvenimento d’una spada e di dieci cuspidi di lancia nel relitto d’una nave che negli ultimi decenni del XIV sec. a.C. (TE IIIA tardo) fu assalita e affondata o naufragò a Km. 8,5 dalla costa di Ulu Burun nella odierna Turchia centro meridionale20.

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Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, I, 23-24; 28. R. Jung, I “bronzi internazonali” ed il loro contesto sociale fra Adriatico, Penisola Balcanica e coste levantine, in Dall’Egeo all’Adriatico: organizzazioni sociali, modi di scambio e interazione in età postpalaziale (XII-XI sec.a.C.), 2009 (Atti del Seminario Internazionale; Udine, 1-2 dicembre 2006), a cura di E. Borgna e P. Càssola Guida, p. 129 ss.. 20


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Fig. 2 - Spada dalla necropoli di Plemmirio e spada dal relitto di Ulu Burun Sia le cuspidi che la spada sono di rame cipriota, ma la fattura è quella delle spade italiane del tipo Thapsos e o Pertosa . Questo tipo è caratteristico dell’Italia e della Sicilia21. Quindi, o le spade erano state fabbricate in Italia con rame cipriota, oppure erano state fabbricate nel Mediterraneo orientale da artigiani venuti dall’Italia. In ambedue i casi, i loro proprietari potevano essere d’origine italica. Secondo Jung, queste spade somigliano pure a quelle degli Sciardana rappresentati nelle figurazione egizie dei mercenari nella battaglia di Cadesh22. Poiché la spada e le cuspidi di lancia ivi trovate sono tipiche dell’Italia meridionale e della Sicilia, si può comunque pensare che gli uomini (guerrieri o mercenari, pirati o mercanti) che le utilizzavano appartenessero ai primi Siculi dei Popoli del Mare che già frequentavano il Mediterraneo orientale.

3). I PUGNALI DI TIPO PERTOSA Nei successivi periodi del TE IIIB medio (cioè da ca. il 1250 a.C.) le testimonianze di armi di tipo europeo si infittiscono. Ma stavolta gli apporti provengono soprattutto dall’Italia del nord. Si tratta dei pugnali del tipo Pertosa. Questi appartengono alla più vasta famiglia dei pugnali a lingua da presa di Peschiera. Il loro centro iniziale di produzione fu l’Italia settentrionale transappenninica (Peschiera, nr. 28; ecc. della fig. 3). Si diffusero in Austria, ed a nord, fino in Scandinavia. Li ritroviamo pure nell’Italia centrale fino ad Assisi (Capitan Loreto, nr. 6), in alcuni siti dell’Italia meridionale (Pertosa, nr. 27; 39; 43), della Sicilia (Monte Dessueri, nr. 21), della Grecia occidentale (Dhodhomi, nr. 12) e meridionale (Teichos Dymaion, nr. 42, Nemés, nr. 25, Micene, nr. 20 ), delle isole di Creta e di Cipro, fino ad Ugarit sulle coste della Siria (nrr 33, 34, 13 e 44 )23. I pugnali trovati nell’Italia settentrionale non hanno manici fatti con materiale pregiato. Invece, sia i pugnali trovati in Sicilia (a Monte Dessueri, nr. 21) 21

L. Vagnetti, in L. Vagnetti, F. Lo Schiavo, Late Bronze Age Long Distance Trade in the Mediterranean: the Role of the Cypriots, in Early Society in Cyprus, Edimburgh, 1989, pp. 222-224 e f. 28.2. 22 R. Jung, I “bronzi internazioali ...”, cit., pp. 133-134. 23 R. Jung, I “bronzi internazioali ...”, cit., p. 136.


7 e presso Salerno (Pertosa, nr. 27) sia quello trovato in Grecia (a Nemés, nr. 25) hanno il manico d’avorio. Anche una spada Nave II di tipo italico, rinvenuta nell’acropoli di Micene, ha il manico d’avorio24.

Fig. 3 - Mappa della distribuzione dei pugnali di tipo Pertosa. Da R. Jung, I Bronzi internazionali ... , cit. fig. 4.

Nell’Italia meridionale l’avorio veniva da oriente attraverso la Grecia micenea. E’ dunque verosimile che la diffusione dei pugnali senza manico d’avorio passò in Grecia e nel vicino oriente direttamente dall’Italia settentrionale o da quella centrale attraverso il mar Adriatico o il mar Tirreno, e che in un secondo momento l’uso dei pugnali rifluì dalla Grecia nell’Italia meridionale con 24

R.Reinard, I”bromzi internazionali“..., cit., p. 138.


8 l’aggiunta dei manici d’avorio. Allo stesso periodo appartiene uno stampo per la fusione di asce, trovato a Micene, ma proveniente dall’Italia centrale25.

4). COLTELLI

Anche i coltelli a lingua da presa dell’ultimo periodo del Tardo Elladico, in particolare uno trovato a Lefkandi ed un altro a Cnosso, hanno riscontri nei coltelli italiani di tipo Matrei.

5). SPADE A CODOLO

La spade a codolo appartengono ad una famiglia che è molto diffusa nell’Europa centrale e soprattutto in Italia, ma che è rarissima nel bacino orientale del Mediterraneo26. Esse si suddividono nei tipi Pénpiville, Arco, Terontola e Monza. Una spada del tipo Terontola, è stata rinvenuta in Siria, fra le rovine di Ugarit (f. 4)27. Un’altra, del dipo Pénpiville, è stata trovata in Egitto ad al Qantara, presso l’antica Sile, nel delta del Nilo durante i lavori di costruzione del Canale di Suez (f. 4)28.

A) La spada di al Qantara è la testimonianza della presenza nel delta del Nilo di guerrieri provenienti dall’Italia peninsulare. Essa dovrebbe esser appartenuta ad uno di quei Turuscia o di quei Pelescet dei Popoli del Mare che, nel tentativo di penetrare nel delta del Nilo, furono sconfitti una prima volta (nel 1227 a.C.) dal faraone Merenptah, ed una seconda volta (nel 1185 a.C.) dal faraone Ramesses III. Ogni parte della spada di al Qantara corrisponde perfettamente a quelle della famiglia Pénpiville. La mappa di distribuzione di queste spade e dei loro tipi Arco, Terontola, Monza e Briandronno, indica che la loro diffusione inizia dalle regioni della Svizzera, scavalca le Alpi italiane, si ritrova abbondantemente nelle terramare della Pianura Padana, ignora l’Appennino Tosco Emiliano, e finisce in Toscana e nell’alto Lazio (vedi f. 4). Attorno al 1200 a.C. iniziò per i Terramaricoli della Valle Padana una forte crisi che nel corso di pochi decenni portò all’abbandono di quasi tutti gli insediamenti. E’ stato ipotizzato che gruppi di terramaricoli siano allora discesi nell’Italia centrale dove convissero con le popolazioni locali di cultura appenninica29. Le loro spade si ritrovano infatti sul Lago Trasimeno, nel Lago di Mezzano e nel mare di Capo Linaro (vedi f.. 4).

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A. M. Bietti Sestieri, The metal industry of continental Italy, 13th-12th Century B. C. and its Aegean connections, “Proceding of the Prehistoric Society”, 1973, fig. 15.2; L’italia nell’età del Bromzo e del Ferro, Roma, 2010, p. 165-166. 26 V. Bianco Peroni, Prahist. Bronz., IV, 1, Munchen, 1970, p. 34 ss; M. Bettelli, op. cit., p. 134. Contra: R. Jung, op. u.cit., p. 139-143. 27 C. F. A. Schaeffer, A Bronze Sword from Ugarit with Cartouche of Menptah (Ras Shamra, Siria), “Antiquity”, 29, 1955, p. 226 ss. 28 N. K. Sandars, The Sea people, London, 1978, p. 159, f. 110; M. Cupito, Materiali pre- protostorici in bronzo e in ferro del deposito del Museo Civico Archeologico di Padova, in G. Zampieri, B. Lavarone (a cura di), Bronzi Antichi, Roma, 2000, p. 87 ss. 29 A. Cardarelli, The collapse of the Terramare Culture, “Scienze dell’Antichità” 15, 2009 (Un. di Roma La Sapienza).


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Fig. 4 - Mappa dei ritrovamenti delle spade a codolo Ad oggi il ritrovamento più meridionale, trovato nell’entroterra, si ha nelle acque del lago di Mezzano (Valentano, prov. Viterbo). Sulla costa il ritrovamento è ancora più meridionale ed è stato effettuato nelle acque del mare davanti a Capo Linaro (Santa Marinella, prov. Roma)30. In ambedue i luoghi è stata trovata una spada a codolo della variante Arco. Quest’ultimo tipo di spada presenta caratteri molto vicini a quelli del tipo Pépinville che si ritrova in Egitto nella Valle del Nilo. Nessuna spada a codolo è stata trovata in Italia meridionale, Sicilia , Grecia ed isole Egee. Dopo un lungo balzo, queste spade si ritrovano solo nel delta del Nilo (in Egitto), e ad Ugarit (in Siria). Ad oggi, dunque, nell’entroterra, le acque delle palafitte del lago di Mezzano sono il luogo più meridionale dove s’è rinvenuta una spada a codolo. Le acque del mare davanti a Capo Linaro poi sono ancora più meridionali. Però stavolta non dovrebbe trattarsi della provenienza della spada da una zona di palafitte, ma di quel che resta del naufragio d’una nave. E poiché si tratta dell’unica spada 30

F. Enei, Una spada dell’età del Bronzo nel fondale di Capo Linaro, “Castrum Novum”, quaderno 1, 2011, p. 28..


10 trovata nel mare, si può supporre che i portatori di queste spade avevano preso il mare dalle coste dell’Italia centrale tirrenica. Ciò in linea con la mitica migrazione dei Tirreni di Còrito (Corneto di Tarquinia) ricordata da Virgilio, e dei Pelasgi di Regisvilla ( = Città del Re > Tarquinia?) che Strabone poneva a nord di Gravisca che era il porto della stessa Tarquinia.

Fig. 5 - SPADE E NAVI DEI PELESCET (“eg. Pelescet; gr. Pelasti > Pelargi > Pelasgi”) / TURUSCIA (“eg. Turuscia; um. Turaci / Tusci > lat. Tusci ed E-trusci; gr.Tyrsanoi > Tyrsenoi > Tyrrhanoi > Tyrrhenoi”) DEI POPOLI DEL MARE. Riproduzione vietata senza citare l’autore.


11 Il Lago di Mezzano è un piccolo specchio d’acqua che si trova accanto all’odierno lago di Bolsena. Quest’ultimo, in antico, secondo la testimonianza di Plinio il Vecchio31, si chiamava Lacus Tarquiniensis (Lago Tarquiniese).

Fig. 6- La “barca-cicogna”. Riproduzione vietata senza la citazione dell’autore.

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Plinio, Storia Naturale, III, 5.


12 Dal lago di Mezzano esce il torrente Olpeta che dopo un brevissimo corso si immette nel fiume Fiora. Quest’ultimo attraversa tutto il territorio dell’antica Vulci e va a sfociare nel mar Tirreno davanti all’odierna Montalto di Castro. Così, dopo un viaggio di trenta chilometri, le acque del Lago di Mezzano raggiungono il mar Tirreno. Dal lago di Bolsena esce a sua volta il fiume Marta. Questo attraversa il territorio dell’antica Tarquinia e va a sfociare anch’esso nel mar Tirreno ai piedi della odierna Tarquinia. Da qui, secondo la tradizione virgiliana, sarebbe partita la migrazione dei Tirreni versi la Troade. Dalla stessa regione poi, secondo Strabone, sarebbe partita la migrazione dei Pelasgi del re Maleo o Maleoto. Strabone considera questo re come “pelasgio”, però altri fonti lo considerano “tirreno”. Da altre fonti poi

Fig. 7- Modellini di barche, amuleti e spilli con protomi di uccello. Riproduzione vietata senza la citazione dell’autore.


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si evince che questo re, pelasgio o tirreno che sia, andò errando per tutto il Mediterraneo orientale fino alla Lidia per poi tornare in Etruria. Nei testi egizi, infine, proprio i Turuscia (E-truschi) e i Pelescet (Pelasgi) sono fra i nomi dei componenti di quei Popoli del Mare che per varie volte tentarono d’invadere l’Egitto, attraverso il delta del Nilo. Qui, nel delta del Nilo, ad al-Qantara, s’è trovata la spada a codolo di cui abbiamo parlato. Ad oggi, nell’entroterra dell’Etruria, il lago di Mezzano è il luogo più meridionale dove s’è rinvenuta una spada a codolo. A circa 30 chilometri dal lago, alle origini del bacino idromontano del Fiora, si trova il sito di Scarceta (Manciano) dove sono stati rinvenuti frammenti di ceramica micenea di XIII sec. a.C.32. Qui terminano le prove archeologiche finora trovate della salita dei Micenei lungo le coste tirreniche d’Italia. Dunque dove, ad oggi, terminano le prove della discesa dei portatori delle spade a codolo, parimenti terminano, ad oggi, le prove della salita dei Micenei sul versante tirrenico delle coste italiane. Come già abbiamo anticipato, è verosimile che questi micenei, con la loro venuta dall’oriente e per aver risalito i fiumi Mignone, Marta e Fiora, abbiano indicato ai portatori delle spade a codolo la via marina per l’Italia meridionale e l’oriente. Le partenze potrebbero essere avvenute dalla spiaggia della odierna Tarquinia, come voleva Virgilio, e/o da Regisvilla ( = città del re: Tarquinia?)33 come la chiamava Srabone che d’altronde la poneva a nord di Gravisca che era il porto della stessa Tarquinia. La spada a codolo, trovata nel mare davanti a Capo Linaro di Santa Marinella, potrebbe essere la prova di un naufragio avvenuto nella prima parte del viaggio. E’ però anche verosimile che i punti di partenza abbiano avuto un largo raggio, e che uno di essi sia stato proprio la zona della odierna Santa Marinella.

fig. 8 – La spada a codolo di Capo Linaro (S. Marinella), prima del restauro. Altezza cm 43, 5; larghezza massima cm. 3,3. Da Flavio Enei, op. cit. p. 28, f. 81.

B) Dalle rovine di Ugarit, in Siria, provengo due spade di tipo italico, una delle quali sembra appartenere al tipo Terontola delle spade a codolo, e reca impresso il cartiglio del faraone Merenptah (1224 –1214)34. La presenza del cartiglio del faraone Merenptah dimostra che questo tipo di spade era stato fabbricato in Egitto da artigiani che erano venuti dall’Italia o comunque dall’Europa al 32

R. Poggiani Keller, Scarceta di Manciano (GR), un centro abitativo e artigianale delle età del Bronzo, sulle rive del Fiora, Pitigliano (GR), 1999; R. Grifoni Cremonesi, Il Neolitico e l’età dei Metalli in Toscana, Dipartimento Scienze Archeologiche, Università di Pisa. 2006, p. 207. 33 Nella traduzione greca che Giovanni Lido fece della versione latina del testo etrusco del Calendario Brontoscopio, il divino Tagete allude alla sua nativa Tarquinia con l’eufemismo di ”Basilis Polis” ( = Città Regina; etr. Mech Rasna?). 34 C. F. A. Schaeffer, loc. u.cit.


14 tempo in cui, nel 1223 a.C., durante il regno dello stesso faraone, una coalizione dei Popoli del Mare, fra cui i Turuscia (E-truschi), aggredì per la prima volta l’Egitto tentando di penetrare nel delta del Nilo. Dalle fonti Egizie risulta che furono presi molti prigionieri fra cui 732 Turuscia.

Fig. 9 - Il sarcofago di Anan Turuscia, trovato nel Delta del Nilo 6). SPADE A LINGUA DA PRESA (TIPO NAUE II) Durante il Bronzo recente e finale, In Europa e particolarmente nell’Italia settentrionale, si usavano spade a lingua da presa sia da punta e fendente che da fendente. Esse sono comunemente conosciute come spade Naue II. In un momento più tardo, le spade italiane della famiglia Naue II di tipo Cetona e Allerona si ritroveranno nella varietà A e C di quelle del Mediterraneo orientale. Fino ad allora, in quest’ultima area, s’erano usate solo spade a punta. Nel Mediterraneo centro orientale le spade da fendente compariranno quasi improvvisamente tra la fine del Tardo Elladico IIIB ed il Tardo Elladico IIIC (seconda metà del XIII sec. a.C.)35. Siamo al tempo del declino della civiltà Micenea e della presenza dei Popoli del Mare in tutto il Mediterraneo orientale. 35

M. Bettelli, Italia Meridionla e Mondo Miceneo, Firenze, 2002, p. 134.


15

Fig. 10 - Carta dei ritrovamenti delle spade a lingua da presa (Naue II)

Fig. 10. Rielaborazione ed aggiornamento da Kristin Romey, The Vogelbarke of Medinet Habu, fig. 23, a sua volta da J. Bouzek, The Aegean, Anatolia and Europe, 1985, fig. 57. Si sono trovati circa trenta esemplari di spade da fendente europee ed italiane nell’area che va dalla Grecia alle sue isole, a Cipro, all’ Egitto ed al Vicino Oriente36. Ancora nel delta del Nilo, a Bubastis è stata trovata una spada del tipo Reutligler-Cetona che appartiene alle armi di tipologia europea ed italiana37. Le spade a lingua da presa del tipo cosiddetto Naue II appartengono alla categoria delle nuove armi che furono in uso nel Mediterraneo orientale prima, durante e dopo la distruzione dei Palazzi micenei, cioè a cominciare dalla metà del XIII sec. a.C. Se ne son trovate in Grecia, nell’isola di Cipro, in Palestina, in Siria e perfino a Mergama, nel nord del regno di Babilonia38. Senza voler affermare che nel XIII-XII sec. a.C. gente venuta dall’Italia, o comunque dall’Europa centrale, giunse assieme alle proprie spade fino al regno di Babilonia, noi possiamo rilevare che ci troviamo di fronte alla prima prova archeologica del più antico contatto fra la cultura Babilonese e quella italica, o comunque europea. Ciò rimanda al fatto che l’aruspicina Babilonese e quella etrusca risultano essere così vicine fra loro da farci sostenere che quella etrusca deriva in gran parte da quella babilonese. Ne abbiamo trattato ampiamente nel nostro lavoro Aruspicina Etrusca ed Orientale a Confronto al quale rimandiamo. Reinhard Jung e Mathias Mehofer fanno osservare che, a partire dal Tardo Elladico IIIB Medio in avanti, nella parte orientale del Mediterraneo, appaiono queste prime spade da taglio e spinta. Le 36

H. W. Catling, Bronze Cut and Thrust Swords in the East Mediterranean, “PPS”, 22, 1956, p. 102 ss. M. Cupito, Materiali pre- protostorici in bronzo e in ferro del deposito del Museo Civico Archeologico di Padova, in G. Zampieri, B. Lavarone (a cura di), Bronzi Antichi, Roma, 2000, p. 87 ss. 38 R. Jung ed M. Mehofer, A Sword of Naue II Type from Ugarit and the Historical Significance of talian-type Weaponry in the Eastern Mediterranean, “Aegean Archaeology” VIII, 2005, p. 114 con bibliografia. 37


16 prime sono quelle di Micene: una trovata nel Centro di Culto, ed un’altra nel quartiere di nord ovest dell’Acropoli. Allo stesso periodo sembra appartenere una delle altre e quattro spade del medesimo tipo trovate ad Enkomi nell’isola di Cipro. Queste, assieme a due trovate a Tirinto e ad un’altra trovata a Langada nell’isola di Kos, possono esser approssimativamente datate al Tardo Elladico IIIIC iniziale. Esse appartengo tutte al tipo A/Cetona delle spade Naue II39. Le spade Naue II furono create in Europa centrale e sviluppate in Italia. La prima prodotta in Italia è del Bronzo Recente iniziale (contemporaneo in Grecia al Tardo Elladico IIIB iniziale – Tardo Elladico IIIC iniziale), e proviene dalla necropoli di Olmo di Nogara (f. 5:6 di Jung Mathias). Essa è dunque contemporanea o un po’ più antica delle due più vecchie spade greche ritrovate a Micene e nel Mediterraneo orientale. Perciò sembra giustificata l’ipotesi che queste spade abbiano seguito il percorso dei loro portatori: forse i guerrieri Turuscia (E-truschi) e Pelescet (Pelasgi) che durante il XIII ed il XII sec.a.C. sciamarono nel Mediterraneo orientale fra il continente greco, le isole Egee, le coste dell’Egitto e quelle della Siria e dell’Anatolia. Nello stesso delta del Nilo, in Egitto, s’è trovata a Tell Fara una spada a fendente (tipo Naue II) con cartiglio del faraone Seti II (1210 - 1190)40, figlio di Merenptah. Anche questa spada è simile a quelle delle coeve produzioni europee e particolarmente italiche. Ciò dimostra una continuità di utilizzo in Egitto di fabbri venuti dall’Italia o comunque dall’Europa. Evidentemente, qualcuno dei prigionieri fatti dagli Egiziani nel delta del Nilo conosceva bene l’arte di fabbricare quelle spade, e fu perciò utilizzato per riprodurle ad uso degli stessi Egiziani. Da una tomba di Kallithea, vicino Patrasso, proviene una spada a lingua da presa di tipo italico41. In Siria, ad Ugarit (oltre alla spada a codolo col cartiglio di Merenptah) s’è trovata una spada a fendente del tipo Cetona, cioè del tipo A delle cosiddette Naue II ( vedi f. 10). Questa spada è simile a quelle rinvenute in Argolide (Tirinto, Micene), e nelle isole Egee.

Fig. 11. - ESEMPLARI DI SPADA NAUE II DELL’ITALIA E DEL MEDITERRANEO ORIENTALE Nr. 1: spada Naue II di tipo Cetona, proveniente da Olmo di Nogara (da L Salzani, La necropoli dell’età del Bronzo all’Olmo di Nogara, “Memorie del Museo Civico di Storia Naturale di Verona”, 2 serie, sez. Scienze dell’Uomo, 8, Verona, 2005, fgg. 6:4. Nr. 2: spada Naue II proveniente dal quartiere Nord Ovest della cittadella di Micene (da Th. G. Spyropoulos, Biblioteca archeologica di Atene, Atene, 2005, fg. 6:41. Nrr. 3 e 4: spade Naue II provenienti da Enkomi “isola di Creta” (da J. Lagarce, La cachette de fondeur aux épées, Enkomi 1967 – et l’atelier voisin, in C. F. A. Schaeffer, Alasia I, Paris, 1971, fgg. 18: 1,4. Nr. 5: spada Naue II proveniente da Ugarit (da R. Jung e M. Mehofer, A Sword of Naue II Type from Ugarit and the Historical Significance of Italian-type Weaponry in the Eastern Mediterranean, in Aegean Archaelogy, volume 8, 2005 – 2006, p. 112, fg.1).

39

Idem, pp. 123-124. W. Wolf, Die Bewaffnung des altagypttischen Heeres, Leipzig, 1926, p. 103. 41 M. Bettelli, Italia Meridionla e Mondo Miceneo, Firenze, 2002, p. 133. 40


17 La mappa dei rinvenimenti di queste spade (vedi f. 10 ) va dall’Europa centro settentrionale ai Balcani, all’Italia centrale, alla Grecia, a Creta, a Cipro, alla Siria ed al regno di Babilonia. Però gli esemplari italiani sono maggiormente simili a quelli greci ed orientali: ciò permette di sostenere che la diffusione verso oriente di questo tipo di spade avvenne dall’Italia. 7). LE SPADE DELLA CASA DEL GRAN SACERDOTE AD UGARIT Ad Ugarit (Siria), nel ripostiglio votivo della Casa del Gran Sacerdote sono state trovate quattro spade risalenti ai primi decenni del XII sec. a.C.42 Due di queste possono essere classificate come spade da punta, e due possono esser assegnate ad un tipo misto fra la spada da punta e la spada da fendente. La loro costruzione è incompleta, e le loro lame non sono affilate. Dall’esame delle impugnature, Bianco Peroni ed Harding hanno dedotto che si tratti di spade a lingua da presa43. Jung le relaziona invece ad un tipo di spade a codolo trovate in Egitto, nel Levante ed in Asia Minore44. Ma, nell’uno e nell’altro caso, tutte queste spade dovrebbero rappresentare una variante orientale delle spade di derivazione europea e particolarmente italiana. La mappa dei ritrovamenti di queste armi mostra infatti che la loro diffusione in Egitto, in Siria, in Tracia e nell’impero Ittita (Attusa, Arzawa), durante gli inizi del XII sec.a.C., corrisponde alle regioni che a quel tempo furono invase dai Popoli del Mare, soprattutto da quei Pelescet (Pelasgi) che la tradizione mitostorica faceva partire proprio dall’Italia. Quanto ad Attusa, la città è espressamente nominata dal faraone Ramesses III fra quelle conquistate dai Popoli del Mare. 8) LA CERAMICA E’ poi significativo che in Siria, ad El Kazen, nella sua regione, nella pianura di Akkar e pare anche nella stessa Ugarit si siano trovate ceramiche che ricordano quelle di origine italiana trovate nella Grecia micenea45. La diffusione dei vari tipi di ceramica appenninica del Bronzo recente va dall’Italia centrale (soprattutto dalla regione che poi apparterrà alla antica lucumonia di Tarquinia) all’Italia meridionale, a Lipari, alla Sicilia, alla Grecia, a Troia ed alla Siria . Nelle sue linee generali, essa sembra ripetere il proseguo verso oriente del percorso compiuto dai portatori di spade che scendevano dall’Europa centrale e dall’Italia del nord. Questo proseguo da occidente a oriente richiama pure il percorso delle mitiche migrazioni dei Tirreni (cfr. Virgilio) e dei Tirreni-Pelasgi (cfr. Mirsilo, Strabone, ecc.) dall’Italia centrale verso il Mediterraneo orientale. Ho trattato ampiamente l’argomento nel mio libro su Le origini degli Etruschi: da occidente ad oriente e da oriente ad occidente al quale rimando. L’opera si trova anche in Internet ed è scaricabile gratuitamente. La distinzione, infine, nelle fonti classiche, d’una duplice migrazione partita dall’Italia centrale tirrenica dovrebbe conseguire a due ondate migratorie. La prima: quella di coloro che i Greci chiamarono Tyrsenoi (eg. Turuscia o Turscia, um. Tursci, lat. Tursci / Tusci / E-trusci) che, secondo Virgilio, avrebbero addirittura rifondato Troia (itt. Tarusia / Trusia). La seconda: quella di coloro che i Greci chiamarono sia Tyrsenoi che Pelargoi (cicogne) o Pelasgoi o Pelastoi (cfr. eg. Pelescet) che scesi dal nord nell’Italia centrale tirrenica, si fusero coi Tyrsenoi ed insieme portarono in oriente il nuovo tipo di spade e di ceramiche.

42

R. Jung, I Bronzi internazionali , cit., p. 143. V. Bianco Peroni, Die Schwerter in Italien / Le spade nell’Italia continentale “PBF”, IV, 1, Munchen, 1970, p. 74, tav. 24, 172; A. F. Harding, The Mycenaeans and Europe, London, 1984, p. 183, n. 44. 44 R. Jung, I Bronzi internazionali , cit., pp. 140-143. 45 R. Jung, I Bronzi internazionali, cit., p. 145. 43


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Alberto Palmucci VIRGILIO AVEVA RAGIONE? FIGURE CHE AGGIUNGO DOPO LA PUBBLICAZIONE DEL SAGGIO NEL BOLLETTINO 21 DELLA SOCIETA’ STORICA CIVITAVECCHIESE

Fig. 12 - VALENTANO (VT). Museo della preistoria della Tuscia e della Rocca Farnese. Età del Bronzo. Vasi provenienti dal lago di Mezzano. Notare i due grandi vasi cordonati ed aventi quattro prese. Essi sono anteriori rispetto ai simili vasi di Troia VIIb1 e VIIb2 (XII sec. a.C,). Ringrazio il direttore del museo per i chiarimenti che mi ha fornito


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Fig. 13 - Particolare della figura precedente. IL VASO CORDONATO ED AVENTE QUATTRO PRESE,SIMILE AI VASI TROIANI.


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Fig.14

VASI SIMILI A QUELLI DEL LAGO DI MEZZANO, PERO' PIU' RECENTI. Dalla regione di Corito-Tarquinia a Troia: VIRGILIO AVEVA RAGIONE?


21

Fig. 15 - Museo archeologico di Istambul (Turchia). Vasi di Troia VIIb1 e VIIb2


22

Fig. 16 – Particolare della precedente fig. 15. IL VASO TROIANO CORDONATO EA A QUATTRO PRESE SIMILE A QUELLO DEL LAGO DI MEZZANO


23

FIG. 17 – TARQUINIA. Vasi cordonati. Civiltà Appenninica.


24

Fig. 18 - VASI CORDONATI DI TROIA VIIb1 (1a metà XII sec. a.C.) Simili a quelli di Tarquinia


25

Fig. 19


26 Fig. 20 Le anse cornute dei vasi di Tarquinia e territorio sono pi첫 antiche di quelle di Troia


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