Fisica Quantistica di Alberto Palmucci (teorie ed esperimenti)

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A L B E R TO

PALMUCCI

FISICA QUANTISTICA Teorie ed Esperimenti

“Molassana” GENOVA 2017


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Alberto Palmucci

LA DUALITA’ ONDA PARTICELLA 1) GLI ESPERIMENTI DI GRIMALDI

Fig.1 – Palazzo Poggi dell’Università di Bologna. Ritratto del padre gesuita Francesco Maria Grimaldi (foto G. Lulli)

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La Luce

La luce è una forma di energia. Quella solare deriva dalle elevate temperature dovute ai processi di fusione nucleare che si verificano sulla superficie della stella attorno alla quale la nostra Terra gira. Possiamo produrla anche trasformando energia elettrica come quando accendiamo una lampadina, oppure con mezzi chimici come quando accendiamo una candela. Una piccola quantità di energia è sufficiente a scaldare qualunque sostanza. Se noi sfreghiamo le palme delle nostre mani, queste si scaldano. Se battiamo con un martello la testa di un chiodo, questa si scalda. Se forniamo abbastanza energia ad un pezzo di ferro, questo si scalda e diventa rossastro, poi, con l’aumentare della temperatura, diviene via via arancio, giallo, verde, blu ed infine emette luce bianca. Però non tutti i corpi emettono luce. La maggior parte di essi la riflette. In pratica, quando un raggio di luce incide su un oggetto, questo lo riflette in tutto o in parte, e così facendo ci appare colorato. E perché ci appare colorato? Il motivo è che la luce è composta di tutti i colori che noi conosciamo, e la loro somma è il bianco. Ora quando la luce colpisce un oggetto, se questo oggetto possiede la qualità di riflettere tutti i colori, esso appare bianco, e se li assorbe tutti, appare nero. Se però li assorbe tutti meno il rosso, esso rimanda il rosso, e così appare rosso. Lo stesso discorso vale per tutti gli altri colori che può assumere. I raggi luminosi poi si piegano se colpiscono il vetro o l’acqua. Questo fenomeno si chiama rifrazione. Se i raggi del sole incidono su una comune lente, essi attraversano la lente, ma nel farlo si piegano e si concentrano in un punto che è chiamato “punto focale”. Ciò fa aumentare la quantità di energia al punto che questa possa innescare un processo di combustione. E’ così che, tramite una lente, noi possiamo concentrare i raggi del sole su un foglio di carta, una foglia secca o uno sterpo e provocarne la accensione. Viceversa, il cosiddetto “spettro”, cioè un prisma di vetro trasparente, è in grado di scomporre la luce nelle sue componenti: rosso, arancio, giallo, verde, azzurro, indaco e violetto (f. 2). Sono questi i colori dell’arcobaleno. Però esistono pure colori che il nostro occhio non è capace di vedere. Da un lato dello spettro (alla nostra destra) abbiamo la cosiddetta gamma infrarossa ad onde lunghe. Dalla parte opposta abbiamo i raggi ultravioletti ad onde corte. 3


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Fig. 2 – Lo “spettro”

Speciali strumenti possono misurare la lunghezza d’onda di ogni colore e rappresentarla in un grafico (f. 2). Per esempio, la luce rossa ha bassa temperatura e corrisponde alle onde lunghe mentre quella violetta ha temperatura più alta e corrisponde alle onde corte. E’ questo il motivo per cui se in una notte serena guardiamo attentamente le stelle ci accorgiamo che alcune brillano di luce rossiccia, altre di luce bianca, ed altre di luce azzurrina. Ciò è dovuto alla quantità residua del combustibile nucleare che hanno consumato durante i diversi stati della loro vita. Quelle azzurrine sono le più calde, poi vengono le bianche ed infine le rossicce. Il suono va a 330 metri al secondo. La luce è molto più rapida. Corre a 299.792,458 chilometri al secondo. In fisica questa velocità è indicata con la lettera “c”. Ma cos’é la luce, o meglio, di cosa è fatta la luce? Sembrerebbe che un raggio di luce sia composto di piccole ed invisibili particelle. Galileo (1564-1642) e poi Newton (1642-1727) ritenevano di 4


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aver dimostrato che queste particelle partivano da una sorgente, si diffondevano in linea retta e se incontravano un ostacolo questo li assorbiva o li rifletteva. Tuttavia, già prima di Newton, il fisico italiano Grimaldi (1618-1663) aveva prodotto alcuni esperimenti dai quali risultava che la luce si comportava come un’onda. Newton conosceva questi esperimenti, ma non li volle seguire. Vediamo. La “diffrazione” Quando una luce passa attraverso un foro od una fenditura abbastanza grandi, fatti su una superficie ostacolante, prosegue al di là del foro in modo rettilineo (f. 3). Ovviamente, solo i raggi che non sono stati intercettati dall’ostacolo sono passati al di là della fenditura. Quando invece una luce passa attraverso un foro od una fenditura abbastanza stretti, fatti su una superficie ostacolante, il fascio di luce che prosegue oltre la fenditura si apre a ventaglio e si diffonde anche dove ci dovrebbe essere buio (f. 4). Fig. 3

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Fig. 4. Gli effetti di diffrazione sono rilevanti quando la lunghezza d’onda è comparabile con la dimensione dell'ostacolo. In particolare per la luce visibile (lunghezza d'onda attorno a 0,5 millesimi di millimetro) si hanno fenomeni di diffrazione quando essa interagisce con oggetti di dimensione sub-millimetrica. Il fenomeno può avvenire anche se la luce incontra un ostacolo sul suo cammino, per esempio una matita. In questo caso la luce aggira l’ostacolo e continua a propagarsi. La diffrazione è tipica di ogni genere di onda, come delle elettromagnetiche, delle sonore e di quelle della superficie dell'acqua. I fenomeni di diffrazione possono essere osservati facilmente. Le onde del mare producono figure intricate quando incontrano uno scoglio o quando attraversano una stretta apertura. La stessa nostra ombra può mostrare deboli effetti di diffrazione nei suoi bordi. Oggi, ogni deviazione di un raggio di luce non imputabile a riflessione o rifrazione è chiamata “diffrazione”. Il termine fu coniato in lingua latina dal gesuita italiano Francesco Maria Grimaldi.

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Fig. 5 - La definizione di "diffrazione" come compare nel trattato De Lumine di Francesco Maria Grimaldi

In antico, si riteneva che la luce si propagasse o diffondesse in linea retta per rifrazione o riflessione. In un primo tempo anche il fisico italiano Francesco Maria Grimaldi (Bologna, 02/04/1618 – Bologna, 28/12/1663) lo riteneva. Però, attorno alla metà del ‘600, egli dimostrò sperimentalmente che la luce produceva fenomeni di diffrazione, e che quindi poteva comportarsi anche come un’onda. Nel 1665, gli esperimenti di Grimaldi e la sua teoria furono pubblicati nell’opera postuma “De lumine”. Egli aveva fatto il seguente esperimento. Grimaldi fece entrare la luce del sole in una stanza attraverso un piccolo foro praticato nell'imposta d’una finestra. Poi egli oppose un corpo opaco, come un ago o un filo, al cammino della luce; e questo corpo produsse la propria ombra su un foglio bianco ch’era stato posto al di sotto del corpo stesso. Quest’ombra, però, si presentò poco definita e sfumata nei suoi bordi. Per di più, spiegò Grimaldi, tutta l'ombra apparve molto più grande di quella che avrebbe dovuto essere se la luce si fosse diffusa in linea retta. La luce dunque, concluse Grimaldi si diffonde talvolta come un’onda. Nel De lumine, alla Propositio I, Grimaldi affermò che "lumen propagatur seu diffunditur non solum Directe, Refracte, ac Reflexe, sed etiam alio quodam Quarto modo, Diffracte" ( la luce si propaga o diffonde non solo in linea retta, per riflessione e per rifrazione, ma anche in un quarto modo, per diffrazione). Alla Propositio II egli disse: "Lumen videtur esse quid fluidum perquam celeberrime, et saltem aliquando etiam undulatum, fusum per corpora displana." (La luce sembra essere qualcosa di fluido estremamente veloce, che a volte assume forma ondulatoria e passa attraverso i corpi levigati).

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Questi aspetti furono illustrati e discussi da Grimaldi insieme alla figura che sotto riportiamo dalla pag. 2 del suo De Lumine (Propositio I).

Fig. 6 . AB è il foro dal quale penetra la luce; EF è l'ostacolo opaco immesso nel cono di luce; MN è l'ombra proiettata, considerevolmente maggiore di quella prevista dalla legge della propagazione rettilinea; IG e HL sono le zone di penombra, GH la zona di piena ombra. Con riferimento alla figura, Grimaldi osservò anche che nelle regioni CM e ND la luce appariva distribuirsi in qualche modo a ventaglio, nel senso che essa si concentrava (in "frange") intorno a certe direzioni privilegiate; nel mezzo di ciascuna frangia la luce risultava "pura e genuina", mentre agli orli presentava qualche colorazione. Le frange, infine, mostravano una certa dipendenza dalla grandezza del foro, e scomparivano se questo diventava troppo grande. Da: http://www.scienzagiovane.unibo.it/scienziati/grimaldi-2.html

Diversamente da quel che comunemente si conosce, questo fu il primo esperimento che evidenziò il comportamento ondulatorio della luce. Il trattato De Lumine di Grimaldi fu stampato postumo a Bologna nel 1665. Proprio in quell’anno il giovane Newton effettuava i suoi primi esperimenti di ottica. Egli conobbe il lavoro del Grimaldi. Infatti, se ne trovano influssi in tutte le opere di Newton, ed egli stesso citò Grimaldi nel suo OpticKs (nella grafia dell'epoca), pubblicato nel 1704. Newton compì molti esperimenti che egli stesso avrebbe potuto intendere come una conferma di quelli del Grimaldi. Egli, tuttavia, si formò l’idea che la .luce si propagasse solo in corpuscoli, e volle trovarne una spiegazione in termini di rifrazioni e riflessioni che sarebbero avvenute sui bordi degli ostacoli posti sul cammino della luce. Anche a motivo della popolarità ed autorità che Newton assunse, non si parlò più di diffrazione della luce fino al 1802 quando il medico inglese Thomas Young riprese gli esperimenti del Grimaldi.

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Interferenza L'interferenza è un fenomeno dovuto alla sovrapposizione, in un punto dello spazio, di due o più onde, secondo un principio chiamato appunto principio di sovrapposizione. Il risultato, in termini di ampiezza ovvero di intensità, di questa interazione fra le onde può essere diverso rispetto alla semplice somma delle caratteristiche associate ad ogni singola onda di partenza. In particolare l'intensità risultante può variare tra un minimo, in corrispondenza del quale non si osserva alcun fenomeno ondulatorio, ed un massimo, coincidente con la somma delle singole intensità. In generale, si dice che l'interferenza è distruttiva nel primo caso (buio) e costruttiva nel secondo (luce). Questo diverso comportamento è legato alla distanza percorsa dalle due onde. Il Grimaldi fu il primo anche ad osservare e descrivere questo fenomeno. Fig. 7

Egli fece entrare i raggi del sole in una stanza da due piccole fenditure circolari. Essi produssero due coni di luce che finendo su uno schermo posto loro davanti si sovrapposero parzialmente a vicenda. Ci si sarebbe aspettato che lo spazio in cui i due coni di luce s’erano sovrapposti risultasse più fortemente illuminato di quanto sarebbe se fosse stato illuminato da un solo cono di luce. La sorpresa fu di scoprire che le parti sovrapposte dei due coni erano più scure di quelle non sovrapposte. Il 9


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Grimaldi concluse che “un corpo illuminato può diventare oscuro con l'aggiunta di nuova luce a quella che ha già ricevuto“ (f. 7). Fig. 8

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2) GLI ESPERIMENTI DI THOMAS YOUNG Nel 1802, il medico inglese Thomas Young riprese e migliorò gli stessi esperimenti già pensati ed eseguiti da colui ch’egli stesso definiva “l’ingegnoso e scrupoloso Grimaldi (the ingenious and accurate Grimaldi)”1 . In particolare, Young confermò e migliorò l’interpretazione del suo predecessore per cui spiegò che le frange chiare e scure, che si osservavano dietro un ostacolo opaco, erano il risultato della sovrapposizione delle due porzioni di onde di luce passanti presso i bordi dell’ostacolo. Young poi riprese anche l’esperimento fatto da Grimaldi sugli effetti di inferenza prodotti dalla luce quando attraversava due fenditure circolari. La cosa interessante è che Young evidenziò che sullo schermo posto davanti ai fori si producevano strisce chiare e scure che si alternavano. Però, se egli chiudeva una delle due fenditure in modo che la luce penetrasse solamente dall’altra, le strisce non apparivano. Young applicò il concetto di interferenza anche alla onde dell'acqua. Egli presentò una vasca con due sorgenti di onde d’acqua. Le creste e gli avvallamenti delle onde che escono dalle sorgenti si intrecciavano e davano così origine ad una figura di interferenza (f. 11). Fig. 11

Infatti, se noi costruiamo una piccola vasca divisa orizzontalmente in due parti dinanzi a noi da una parete dotata di due fenditure, poi riempiamo d’acqua le due parti fino all’altezza delle due fenditure, ed infine gettiamo nell’acqua che è dinanzi a noi un sassolino, questo procurerà delle onde d’acqua che al di là delle due fenditure interferiranno fra loro similmente alle onde di luce della fig. 11.

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YhomasYoung, The Bakerian lecture. Experiments and calculations relative to physical optics Philosophical Transactions of the Royal Society of London, London 1804.

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Fig. 12 – Esperimento di Young

Qualche anno dopo i successi di Young, anche il fisico francese Augustine Fresnel riprese brillantemente la teoria ondulatoria della luce. Rimaneva tuttavia un ostacolo apparente. Le onde d’acqua si muovono nell’acqua, quelle sonore si muovono nell’aria. Dunque se la luce fosse veramente un’onda dovrebbe avere anch’essa una sostanza in cui oscillare. Quale sarebbe allora questa sostanza? Grazie soprattutto all’inglese Michael Faraday (1791-1867), si era scoperto che una corrente elettrica può produrre un campo magnetico, e che viceversa un campo magnetico può produrre una corrente elettrica. 13


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Fu poi un altro inglese, James Clerk Maxwell (1831-1879), che attorno al 1860 riuscì a prevedere l’esistenza delle onde elettromagnetiche ed a stabilire matematicamente che la loro velocità di propagazione era la stessa di quella della luce (ca. km. 300.000 al secondo). Ora, se una corrente elettrica produce un campo magnetico, allo stesso modo un campo elettrico variabile nel tempo può produrre un campo magnetico variabile nel tempo; quest’ultimo a sua volta può produrre un campo elettrico variabile nel tempo, e così via in una vicendevole continua produzione di campi. E’ovvio concludere che la luce è un’onda elettromagnetica, ed è facile intendere che i risultati degli esperimenti di Grimaldi e di Young erano stati veramente l’espressione del fenomeno ondulatorio della luce. Le onde elettromagnetiche entrando dalle due fenditure, diffrangono ed interferiscono fino ad annullarsi reciprocamente nei punti dell’ostacolo in cui vedremo apparire le bande scure. Le bande chiare appaiono invece nei punti in cui le due onde si rafforzano (f. 12). Tuttavia, fra il 1900 ed il 1905 la teoria ondulatoria della luce entrò in crisi a causa della teoria dei “quanti” formulata da Max Planck, Plank non intendeva confutare che la luce fosse un’onda elettromagnetica, però formulò una teoria secondo cui una luce emessa poteva esser divisa in pacchetti ch’egli chiamò “quanti” perché possedevano una certa quantità di energia proporzionata alla loro frequenza. Senza saperlo aveva fatto nascere quella sarà chiamata “meccanica quantistica” o “fisica quantitica”.

3) L’EFFETTO FOTOELETTRICO ED EINSTEIN Una descrizione completa di questo esperimento si trova nell’opera Quantum physics” di Eisberg Resnick. Qui ne riferiamo i principali elementi. Nell’esperimento si osserva l'effetto fotoelettrico (spiegato da Einstein nel 1905 ) cioè l’emissione di elettroni da una liscia superficie metallica colpita da una radiazione luminosa. Fig. 13

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L’esperimento è schematicamente descritto dalla fig. 13 ed illustrato dalla fig. 14. La luce incide su una liscia superficie metallica, e determina la fuoriuscita da questa di elettroni che vengono raccolti in un anodo (polo positivo). Affinché ciò avvenga è ovviamente necessario che ciascun fotone costituente la radiazione luminosa abbia e porti con sé un sufficiente potenziale di estrazione, cioè una sufficiente energia per liberare un elettrone dalla lastra metallica. Tale fenomeno è una delle prove più convincenti della natura corpuscolare della radiazione elettromagnetica. Fig. 14

Nel 1905, Albert Enstein si domandò: se l’energia luminosa, quando viene emessa, sembra sia composta dai quanti di Planck, cioè da tanti pezzettini di energia, la sua composizione non potrebbe esser la stessa anche quando viene assorbita e sempre comunque in ogni caso? Senza addentrarci in troppo difficili dettagli espositivi, diciamo che in quello stesso anno Enstein formulò la teoria delle “particelle di luce” secondo cui la luce si comportava decisamente come composta da particelle, poi chiamate “fotoni” (nel 1926). Nel 1916, la cosa fu confermata dagli esperimenti di Milikan, e poi definitivamente riconfermata nel 1922 con la scoperta dell’effetto Compton. Tutto questo fece nascere nella fisica una situazione problematica in quanto la luce sembrava comunque apparire dualisticamente a volte come onda, ed altre come particella. Da allora trattare il comportamen15


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to della luce in termini di dualismo onda-corpuscolo è diventata prassi comune. Nel 1924, Broglie generalizzò il problema con l’ipotesi che tale dualismo fosse proprio di tutta la materia. La prova sperimentale dello "strano" comportamento della luce fu ottenuta nel 1927 da Davisson e Gemer. Questi constatarono che se un fascio di elettroni attraversava un cristallo di nichel, si ottenevano le figure di diffrazione tipiche delle onde di luce. Da ciò nacque l’esigenza di utilizzare anche fasci di particelle per eseguire esperimenti di interferenza con due fenditure, proprio come le avevano fatte Grimaldi e Young con la luce.

4) ESPERIEMNTI CON BIGLIE E CON ELETTRONI Fig. 15

Un cannoncino spara piccole biglie verso un muro (maschera) che ha due strette e lunghe fenditure rettangolari. Dietro questo muro o maschera c’e un secondo muro (bersaglio) parallelo al primo come nella fig. 15. Molte biglie saranno fermate dal primo muro (maschera), ma altre passeranno attraverso le fenditure ed andranno a colpire il secondo muro (bersaglio). Su questo bersaglio si formeranno così due insiemi di proiettili a forma di rettangoli stretti e lunghi più o meno come le due fenditure dalle quali sono passati (f. 16).

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Fig. 16

Le biglie che sul bersaglio hanno riprodotto i due lunghi rettangoli hanno fatto un percorso piÚ o meno rettilineo. Alcune di loro però sono finite fuori campo perchÊ la loro traiettoria e stata deviata dai rimbalzi provocati dagli urti subiti contro le pareti interne alle due fenditure (f. 17). Fig. 17

Se ripetiamo l’esperimento usando una sorgente che emette raggi di luce ci troveremo dinanzi a risultati diversi: quegli stessi che in prece17


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denza avevamo osservato negli esperimenti condotti da Grimaldi a da Young. Costoro, nei loro esperimenti avevamo visto come le onde giungevano al bersaglio non solo in corrispondenza delle due fenditure o dei due fori che avevano attraversato, ma pure in altre parti, ed avevano così provocato le “figure di interferenza” (vd. f. 12). Ricordiamo che in quegli esperimenti la luce si comportava inequivocabilmente come un’onda. Ovviamente, sia gli esperimenti con lancio di biglie che quelli con emissione di luce avvengono nell’ambito della fisica classica. Così tutto si svolge normalmente secondo le leggi di quel tipo di fisica. Però se al posto delle biglie o dei raggi di luce utilizziamo elettroni le cose si complicano e portano a conclusioni inaspettate ed apparentemente impossibili. Stavolta, la sorgente emette elettroni distinti cioè particelle. Ora, poiché gli elettroni non sono onde ma particelle, dovrebbero presentare un comportamento simile a quello delle biglie, cioè dovrebbero colpire solo le due zone rettangolari del bersaglio in corrispondenza delle due fenditure rettangolari della maschera. Invece, essi producono figure di interferenza come se essi fossero onde (f. 18). Fig. 18

Potrebbe essere accaduto che gli elettroni, dopo aver attraversato le due fenditure della maschera, si siano in qualche modo scontrati ed così abbiano formato le figure d’interferenza. Per evitare questa evenienza, proviamo allora ad inviare un elettrone alla volta, e vediamo quel che accade. Ovviamente, aspettiamo che il primo elettrone sia giunto sul bersaglio, poi facciamo partire il secondo, e così via. L’elettrone attraversa una delle fessure della maschera e va a colpire il bersaglio. Esso dovrebbe aver viaggiato in linea più o meno retta e quindi aver colpito quella zona del bersaglio che è in diretta corrispondenza con la fessura della maschera (f. 19). 18


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Fig. 19

Ma non è così. Esso può anche aver colpito altre zone del bersaglio, e essersi così comportato come un’onda. Infatti, se noi continuiamo a spedire uno ad uno singoli elettroni, questi andranno a ricostruire sul bersaglio le bande di interferenza tipiche delle onde (f. 20). Fig. 20

Se poi chiudiamo una delle due fenditure della maschera e facciamo passare gli elettroni da una sola fenditura le figure d’interferenza non si producono (f. 19). Ciò vuol dire che quando gli elettroni attraversano due fenditure, si comportano come le onde degli esperimenti di Grimaldi e di Young.

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Fig. 21

Sul bersaglio abbiamo lanciato un elettrone alla volta. Le bande di interferenza si incominciano a vedere solo quando gli elettroni sono arrivati a migliaia. Quando ne sono arrivati 50.000 le bande sono ben distinguibili. Se ripetiamo l’esperimento otteniamo che il primo elettrone lanciato non va ad occupare sul bersaglio la stessa posizione che aveva assunto il primo elettrone del primo esperimento. E cosi è pure per gli altri elettroni che lanceremo. Però, dopo la ripetizione di un certo numero di esperimenti, appariranno le frange di interferenza con la stessa struttura, dimensione e posizione di quelle già ottenute nell’esperimento iniziale. La tecnica usata negli esperimenti delle due fenditure per le particelle è poi arrivata a livelli molto ragguardevoli. All’Università di Vienna, nel 1999, Anton Zeilinger ed i sui collaboratori hanno effettuato esperimenti di interferenza utilizzando molecole di fullerene, composte da 60 atomi di carbonio. Mai si era osservato il dualismo onda-corpuscolo con particelle di queste dimensioni. Gli stessi autori, nel 2003 hanno esteso l'esperimento di interferenza a molecole ancora più pesanti, le tetrafenilporfirine o fluorofullereni con 60 atomi di carbonio e 48 di fluoro. Sempre all'università di Vienna, gli esperimenti sono proseguiti, sotto la direzione di Markus Arndt.

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Ma che cosa hanno di così strano e paradossale questi esperimenti, tanto da esser diventati il prototipo di tutti quelli che mettono in luce gli aspetti sconvolgenti della meccanica quantistica? I nostri esperimenti hanno evidenziato il comportamento dualistico della luce. Mostrano, infatti, come questa possa comportarsi allo stesso tempo sia come onda che come particella. Ma com’è possibile che un singolo elettrone si comporti come un’onda e faccia interferenza con se stesso? E da quale dei due fori passa il singolo elettrone? Esso, per poter produrre l’interferenza, deve essere un’onda e passare contemporaneamente dai due fori, il che, secondo il sentire comune, non è possibile. A questo punto potremmo cercare di vedere quel che l’elettrone realmente fa nell’attimo in cui attraversa una od ambedue le fenditure della maschera. Per far questo, noi dobbiamo “rivelare” l’elettrone. Inviamo dunque sull’elettrone una debole luce e verifichiamo se esso la riflette: collochiamo una debole sorgente luminosa davanti ad una fenditura, e vediamo se riusciamo a cogliere cosa l’elettrone fa mentre attraversa la fenditura Ciò è sperimentalmente possibile, ma così facendo la figura di interferenza non si produce. Infatti, quando l’elettrone (onda o particella che sia) attraversa il foro e viene individuato dal nostro rivelatore, in quello steso attimo l’elettrone diventa comunque una “particella reale”, e come tale non può produrre interferenza. Il controllo oggettivo dell’esperimento dei due fori non ci consente di ottenere allo stesso tempo sia le figure di interferenza che la conoscenza del singolo foro da cui l’elettrone è passato. Sembra di assistere a certi esperimenti paranormali, i cui effetti non si verificano se attentamente controllati.

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ARCIBALD WHEELER Jacksonville, Florida, 09.07.1911 – Hightstown, New Jersey, 13.04.2008

Fig. 20 J. A. Wheleer

Jhon Arcibald Wheeler fu il primogenito dei quattro figli nati dal libraio Joseph Wheeler e da sua moglie Mabel. Durante l’infanzia, la sua famiglia si trasferì dalla Florida al Vermont. Grazie ai libri che il padre portava a casa egli s’appassionò alla scienza, e soprattutto alla meccanica, tanto da costruire un lucchetto, una pistola a ripetizione, una calcolatrice (tutti in legno), una radio a cristallo e un telegrafo. Nel 1926 si è laureato al Baltimore City College Highy School, e nel 1933 ha conseguito il dottorato alla John Hopkins University con una tesi sulle righe di assorbimento e dispersione dell’elio, scritta con la supervisione di Karl Herzfeld. Nel 1935, ha iniziato la sua carriera accademica a Chapel Hill presso l’Università of North Carolina. In questo stesso anno Wheeler sposò Janette Hegner dalla quale ebbe tre figli. Janette morì nel 2007 all’età di 99 anni. Nel 2008, all’età di 97 anni mori anche Wheeler per una polmonite. Nel 1937 introdusse la matrice S, un importante strumento nella fisica teorica delle particelle. Nel 1938 fu chiamato ad insegnare all’Università di Princeton, dove rimase fino al pensionamento avvenuto nel 1976. Nel 1939 si recò a Copenhagen per studiare con Niels Bohr ed insieme a lui pubblicò il fondamentale lavoro sul modello a goccia per la fissione nucleare.

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In questa prima parte della sua vita, Wheeler si dedicò soprattutto alla fisica nucleare e, durante la seconda guerra mondiale, interruppe la carriera accademica per partecipare, come tanti altri fisici, al Progetto Manhattan (presso il sito Hartford di Washinton) che progettava e costruiva i grandi reattori nucleari atti a produrre uranio arricchito e plutonio per le bombe atomiche. Un fratello gli mori in guerra nel nord dell’Italia. Dopo la guerra, partecipò ai lavori sullo sviluppo della potente bomba H, prima a Los Alamos e poi a Princeton col Progetto Manhattan. Nel 1951 alcuni documenti riservati sulla bomba ad idrogeno che egli aveva in una valigia andarono persi durante un viaggio in vagone letto. Di conseguenza fu indagato e ammonito dalle autorità militari, e si sentì molto in colpa. Nel 1968, tuttavia, il presidente Johnson gli conferì il Premio Fermi per il suo contributo alla difesa nazionale, e Wheeler si sentì perdonato. Dopo aver terminato il lavoro al Progetto Manhattan sulla bomba ad idrogeno, Wheeler riprese la sua carriera accademica presso l’Università di Princeton. In quel periodo i suoi interessi si rivolsero alla teoria dei campi unificati, come il suo amico e collega a Princeton Albert Einstein. Nel 1957, nell’ambito de lavori che si tenevano sulle estensioni matematiche della teoria della Relatività Generale, Wheleer introdusse il concetto e la parola wormhole per la descrizione di un ipotetico tunnel spazio-tempo. Nel 1962 formulò la teoria della Geometrodinamica con il fine di comprendere i fenomeni elettromagnetici e gravitazionali dentro le proprietà geometriche dello spazio-tempo. Questa teoria è stata spesso caratterizzata come una continuazione della filosofia di Cartesio e di Spinosa. La teoria però non giustificava alcuni aspetti del problema, quindi fu abbandonata agli inizi degli anni ’70. Come egli stesso scrisse nella autobiografia, la sua vera chiamata fu la scoperta della relatività generale, alla fine degli anni ’50. Il suo trattato Gravitation, scritto con Kip Thorne e Charles Misner divenne un classico sul quale studiarono molti futuri scienziati. Diede un importante contributo anche al problema della quantizzazione della gravitazione einsteniana con l’equazione di Wheeler-de Witt. Coniò i termini womholes, geone e buco nero. Pare che quest’ultimo vocabolo gli fu suggerito da uno sconosciuto che era presente ad una conferenza che Wheeler tenne nel 1967 sui pulsar all’Istituto Goddard della NASA a New York nel 1967. Assieme a Remo Ruffini, scrisse Black Holes, Gavitational Wawes and Cosmology, e lo fece pubblicare nel 1973. 23


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In occasione del sessantesimo compleanno di Wheeler, i suoi allievi fecero pubblicare i loro contributi nell’opera Magic Without Magic: Jhon Arcibald Wheeler. A collection of essays in honor of his sixtieth birthhday, a cura di Jhon R. Klauder, (Freeman, 1972). Qunado nel 1976 andò in pensione dall’Università di Princeton, ebbe la nomina di direttore del Centro di Fisica Teorica dell’Università del Texas ad Austin. Nel 1979, chiese alla Associazione Americana per l’Avanzamento della Scienza di espellere la parapsicologia che definì una pseudoscienza, ma la sua richiesta fu respinta. Nel 1980 Wheeler pubblicò Journey into Gravity and Spacetime (trad. it. Gravità e Spazio-Tempo, Zanichelli). Nel secondo periodo della sua vita Wheeler si è occupato soprattutto dei problemi filosofici inerenti l’interpretazione della meccanica quantistica con particolare attenzione agli esprimenti “a scelta ritardata” (Quantum Theory and mesurement con W. H. Zurek et al. 1983). Rimase ad Austin fino al 1986, quando tornò come Professore emerito all’Università di Princeton dove continuò a lavorare e tenere conferenze e lezioni fino al 2006 all’età di 95 anni. Nel 1992 insieme a Edwuin F. Taylor, pubblicò un testo sulla relatività speciale: Spacetime Phisics (tr. It. Fisica dello spazio-tempo Zanichelli, Bologna, 1996). Nel 1998 pubblicò una sua autobiografia Geons, Black Holes, and Quantum Foam: A life in Physicd, scritta con Kenneth Ford. Wheeler fu più volte proposto per il Premio Nobel, ma non gli fu mai conferito. Ebbe invece numerose onorificenze fra le quali il Premio Fermi nel 1968, il premio Wolf nel 1997, la medaglia Franklin, il Premio Einstein, la medaglia Cohr. Fu membro di molte società scientifiche quali l’American Philosophical Society, la Royal Society, l’Accadenia Nazionale di Lincei e l’American Phisical Society, della quale fu presidente. John Arcibald Wheeler morì per una polmonite a Hightstown, nel New Jersey, il 13.aprile del 2008, all’età di 97 anni.

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P. A. M. DIRAC, CHIEN-SHIUNG WU e IRVING SHAKNOV Nel 1930 il fisico britannico Paul A.M. Dirac (1902 – 1984) teorizzò e predisse l’esistenza delle antiparticelle. L’anno seguente, il fisico americano Carl Andersen, dalla analisi dei raggi cosmici, scoprì infatti l’esistenza del positrone. Questo ha carica positiva, ed è l’antiparticella dell’elettrone che ha carica negativa. Quando l’elettrone ed il positrone vengono a contatto si annichiliscono e producono due fotoni. Wheler, a sua volta, nel 1946, suppose che i due fotoni, prodotti dall’annichilimento di un neutrone e di un positone, dovrebbero avere opposte polarizzazioni, cioè se l’uno avesse assunto una direzione orizzontale l’altro avrebbe dovuto assumere una direzione verticale. Chien-Shiung Wu e Irving Shaknov, nel 1849, realizzarono sperimentalmente la supposizione di Wheeler. Essi produssero un elemento artificiale chiamato Positronio, ovvero un insieme di elettroni e positroni che si muovono ruotando l’uno intorno all’altro. La vita di questo Positronio dura solo una frazione di secondo perché gli elettroni e i positroni interagiscono, collassano, si annichiliscono e rilasciano due fotoni. Questi due fotoni risultano avere polarizzazioni opposte, cioè se l’uno assume una direzione orizzontale, l’altro ne assume una verticale proprio come Wheeler aveva previsto. Con il suggerimento di Wheeler e la sperimentazione di Chien-Shiung Wu e Irving Shaknov si dimostrò per la prima volta che se due fotoni sono prodotti da una stessa fonte essi rimangono correlati.

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ESPERIMENTO A SCELTA RITARDATA di JOHN ARCIBALD WHEELER (con l’interferometro di Mack – Zehnder) SPECCHIO SEMIARGENTATO SEMIRIFLETTENTE Fig. .21

Fig. 21. Figura rielaborata da f. 4.7 di Un’occhiata alle carte di Dio di G. C. Ghirardi.

Un fotone, partendo da una fonte, viaggia in direzione x, ma nel punto O incontra lo specchio semiargentato posizionato a 45°. Questo specchio trasmette circa il 50% del campo elettromagnetico del fotone verso il rilevatore X, e l’atro 50% circa verso il rilevatore Y. Però, come mostrato nella parte destra della nostra figura, il campo che lo specchio ha riflesso di 90° ed indirizzato verso il rilevatore Y subisce un ritardo di un quarto di lunghezza d’onda rispetto al campo che lo specchio ha trasmesso verso il rilevatore X. 26


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L’ESPERIMENTO DEL 1980 Fig. 22

1. Da una sorgente (S) parte un fascio di luce che va a colpire uno specchio semiargentato semiriflettente (Sp 1) posto a 45° sulla traiettoria. Questo ne trasmette metà verso un semplice specchio posto a 45° (Sp 2) mentre riflette l’altra metà verso un’altro semplice specchio posto anch’esso a 45° (Sp 3). Ognuno di questi due ultimi specchi (Sp 2 ed Sp 3) riflette comunque la parte di fascio che aveva ricevuto e la indirizza verso il punto (Z) dove i due fasci si incroceranno e finiranno ognuno su un diverso rilevatore (R1 od R2). Però solo uno dei due rivelatori si accenderà. Quindi il fascio dovrebbe aver percorso una sola via. Quale? Si tratta di quella parte che lo specchio semiriflettente ha trasmesso o di quella che invece ha riflesso? 2. Se lo sperimentatore noterà quale dei due rivelatori ha registrato l’arrivo dei fotoni di luce potrà stabilire se si tratta di quella parte che lo specchio semiriflettente ha trasmesso oppure se si tratta di quella cha ha riflesso. Ovviamente, se il rilevatore R1 avrà registrato l’arrivo dei fotoni questi dovrebbero essere appartenuti a quella parte che lo specchio semiriflettente ha trasmesso diretta27


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mente verso il semplice specchio (Sp 1). Se invece sarà stato il rilevatore R2 a registrare l’arrivo de fotoni, questi dovrebbero essere appartenuti a quella parte del fascio che lo specchio semiriflettente ha riflesso verso il semplice specchio (Sp 2) . 3. Ora diminuiamo l’intensità della sorgente di luce fino al punto che questa emani un solo fotone alla volta. Anche stavolta lo specchio semiriflettente dividerà (così come aveva fato col fascio di luce) il fotone in due parti, e ne indirizzerà una verso il semplice specchio S2 e l’altra verso il semplice specchio S3, e così via. Possiamo comunque prevedere che alla fine ciascun fotone sarà rilevato da uno soltanto dei due rivelatori, comportandosi così come una particella. Quindi il fotone ha percorso una sola via. 4. Ora però (vedi fig. 4), nel punto in cui i due fasci provenienti rispettivamente dagli specchi (Sp 2 ed Sp 3) si incrociano, noi posizioniamo un secondo specchio argentato semiriflettente (Sp 4) e ripetiamo ancora l’esperimento. Il nuovo specchio (Sp 4) dividerà ciascuno dei due fasci in altre e due metà, e le indirizzerà ognuna verso i rilevatori R1 ed R2. Stavolta però i due fasci produrranno interferenza. In particolare, uno dei due fasci produrrà interferenza distruttiva su uno dei due rilevatori, mentre l’altro fascio produrrà interferenza costruttiva sull’altro rilevatore. In questo caso la luce si sarà comportata come un’onda. Fig. 23

5. Ora abbassiamo nuovamente l’intensità della sorgente di luce fino a che questa possa inviare solo un fotone alla volta come nel secondo esperimento. Manteniamo però la presenza dello specchio semiriflettente (Sp 4) come nel terzo esperimento. E, come nel terzo esperimento, otterremo interferenza distruttiva su uno dei due rilevatori mentre otterremo interferenza costruttiva suul’altro rilevatore. 28


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Possiamo riassumere dicendo che, quando nello schema il secondo specchio semiriflettente (Sp 4) non è presente, ogni singolo fotone si comporta come una particella e non produce interferenza sul rilevatore. Invece, quando tale specchio è presente, il fotone si comporta come un’onda e produce interferenza su uno dei rilevatori. Ciò vuol dire che in questo ultimo caso il fotone dovrebbe aver percorso entrambi i cammini dello schema. In altre parole, il primo specchio semiriflettente (Sp 1) dovrebbe aver sia trasmesso che riflesso il fotone “tutto intero”. E’ assurdo, ma è così. Se non fosse così ognuno dei due rilevatori avrebbe registrato l’arrivo di una sola delle due parti del fotone e non si sarebbe prodotta nessuna interferenza. Wheeler sosteneva che prima di decidere di inserire o meno il secondo specchio semiriflettente nello schema dell’esperimento noi possiamo solo descrivere i vari stati di potenzialità in cui si trova il fotone all’interno dell’interferometro. Inserire o meno lo specchio semiriflettente è una nostra scelta, ed è questa scelta che attualizza uno degli stati potenziali in cui si trovava il fotone.

LA SCELTA RITARDATA DI WHEELER Sebbene il risultato dell’esperimento che abbiamo provato a descrivere sia già alquanto sorprendente, noi possiamo ottenerne un altro assai maggiore se apportiamo una piccola variante. Fig. 24

Nel 1978 Wheeler propose un esperimento mentale, poi effettivamente 29


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realizzato negli anni ‘80 sia da alcuni scienziati dell’Università dI Maryland sia da altri dell’Università di Monaco. Nell’esperimento effettuato a Maryland è stata utilizzata una apparecchiatura concettualmente equivalente a quella dei famosi esperimenti nei quali la luce passa attraverso due fessure. Fabrizio Coppola lo sintetizza così: Un fascio laser è stato diviso in due fasci separati, uno dei quali attraversava un rivelatore acceso o spento, ed infine i due fasci venivano fatti convergere nel rilevatore finale, dove si poteva verificare l’eventuale interferenza. Lo stesso Coppola ce ne propone una versione semplificata, ma concettualmente identica. Wheeler, spiega Coppola, si riporta agli esperimenti nei quali un fotone viene indirizzato verso le due famose fessure per essere poi misurato da un rilevatore posto nella fessura stessa in cui passa il fotone. Però, invece di porre i rivelatori presso la fessura davanti alla maschera, Wheeler li posiziona fra la maschera ed il bersaglio. Il risultato che si ottiene è lo stesso: la figura di diffrazione rimane fino a che i rivelatori sono spenti, però scompare quando questi vengono accesi. Stavolta, quel che è più sconcertante è che la scelta di far passare il fotone da un solo foro o da entrambi non è stata anteriore al passaggio del fotone bensì posteriore. Questa scelta è pure avvenuta nel momento stesso in cui il rilevatore è entrato in funzione. Sembra dunque che o il fotone avesse saputo in anticipo quel che esso doveva fare oppure che noi stessi, col mettere in funzione il rilevatore, avessimo procurato una sorta di inversione metafisica fra presente e passato . Proprio perché da parte dello sperimentatore la scelta di rilevare o meno il fotone avviene dopo che il fotone stesso ha attraversato la fenditura della maschera, l’esperimento che abbiamo descritto è conosciuto col nome di scelta ritardata *** Wheeler ha poi riproposto in versione astronomica gli effetti dell’esperimento della scelta ritardata. Vediamo. La teoria della Relatività generale di Einstein spiega che i raggi luminosi si incurvano se incontrano un campo gravitazionale (f. 6), proprio come accade alla traiettoria di una particella materiale. Fig. 25

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Supponiamo dunque che un quasar, distante dalla Terra alcuni miliardi di anni luce, emetta luce, e che questa, nel suo viaggio, incontri una galassia. Il campo gravitazionale della stessa galassia incurva i raggi, sì che questi in pratica si allontanano dalla galassia per poi riaccostarsi fra loro e continuare il viaggio verso la Terra. Noi dalla terra vedremo due immagini di luce: la A e la B come nella fig. 25. A noi qui interessa evidenziare il fatto che la galassia, per definire i due percorsi dei raggi luminosi, abbia la stessa funzione che le due fenditure avevano avuto negli esperimenti di Grimaldi e di Young. In linea di principio, se un numero elevato di fotoni provenienti dal quasar va a finire su una lastra fotografica a lunga esposizione, posta sulla Terra, esso dovrebbe dare origine ad una figura di interferenza. Ciò nel caso in cui non si sia in precedenza compiuto nessun tentativo di rilevare la traiettoria dei fotoni. Se invece gli astronomi decidessero di porre dei rivelatori per individuare il reale percorso di ciascun fotone, ci si aspetta che l’interferenza sparisca e che si formino solo due bande luminose. Tutto ciò in analogia con quel che accade in laboratorio durante l’esperimento della scelta ritardata. Fig. 26

Fig. 26. La luce proveniente da un quasar lontano (posto a destra) viene deflessa da una galassia e diretta verso la Terra (posta in c). I fotoni possono raggiungere la Terra lungo due percorsi che simulano le fenditure degli esperimenti di Grimaldi e di Young. I rivelatori sono posti in a e b. Con questo esperimento cosmico, spiega J. Hergon <<si potrebbero misurare i singoli fotoni emessi da un quasar la cui immagine è divisa in due da una galassia che funge da “lente gravitazionale”. In un certo senso, le modalità dell’esperimento stabiliscono se, miliardi di anni fa, ogni fotone si sia comportato come un corpuscolo seguendo un solo cammino intorno alla galassia e finendo in uno soltanto dei due rilevatori (a e b), o come un’onda seguendo entrambi i cammini e generando una figura d’interferenza (c)>> (“Le Scienze”, n. 289, 1992). E’ come se i fotoni, fin da molti miliardi di anni prima della formazione del Sistema Solare, avessero già saputo che noi li avremmo osservati. L'idea di Wheeler rimase solo un affascinante problema di fisica quantistica fino al 2007 quando, in Francia, un team formato da Alain Aspect, 31


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Philippe Gramgier, Jean-François Roch ed altri colleghi della Ecole Normale Supérieure di Cachan ha trovato il modo di realizzare l'esperimento che Wheeler aveva immaginato trent'anni prima . Nei suoi costituenti più elementari, la materia fisica non appare perfettamente definita. Essa rimane piuttosto qualcosa di indeterminato in cui è coinvolta la coscienza. Nel momento in cui noi osserviamo un elettrone o facciamo una misura, sembra che in qualche modo noi stessi determiniamo il suo stato finale. La relazione più fondamentale di tutte potrebbe essere quella della materia e della coscienza che l'osserva. Ma ciò che più sconcerta delle scoperte di Wheeler e della prova di Alan Aspect sono le implicazioni sull'irrilevanza del tempo. Come lo stesso Wheeler ha notato nel 2006, due anni prima di morire: Siamo partecipi di un processo che pone in essere non solo quello che è vicino nel tempo e nello spazio, ma anche ciò che è lontano e che è successo tanto tempo fa. Egli ha persino immaginato l'intero universo come un'onda gigantesca che ha bisogno di essere osservata affinché sia posta in essere. Nei suoi costituenti più elementari, la materia fisica non solo non è niente di perfettamente definito, ma rimane qualcosa di indeterminato in cui è coinvolta la coscienza. Nel momento in cui noi osserviamo un elettrone o facciamo una misura, sembra che noi aiutiamo a determinare il suo stato finale. La relazione più fondamentale di tutte potrebbe essere quella della materia e della coscienza che l'osserva. L’esperienza della scelta ritardata descritta più sopra, con la sua versione cosmica, è stata presa in considerazione da alcuni per spiegare come mai i fenomeni naturali nell’universo appaiono “fatti apposta” o comunque finalizzati per dare luogo alla vita. A loro volta, gli osservatori odierni avrebbero la possibilità di dare forma alla natura della realtà fisica nel passato, quand’essi ancora non esistevano. Ma vediamo quel che lo stesso Wheeler dice a proposito degli esperimenti a scelta ritardata: Gli strumenti di registrazione che operano qui ed ora hanno un ruolo innegabile nel generare ciò che è accaduto [...]. La fisica quantistica dimostra che ciò che l’osservatore farà in futuro definisce ciò che accade nel passato. E ancora: E’ sbagliato pensare al passato come già esistente in ogni dettaglio. Il passato è teoria. Il passato non ha esistenza tranne che per l’essere registrato nel presente [...]. Ciò che abbiamo il diritto di dire circa lo spazio-tempo passato, e circa gli eventi passati, è deciso dalle scelte - di quali misure effettuare - compiute nel passato recente e nel presente. I fenomeni resi esistenti da queste decisioni si estendono all’indietro nel tempo nelle loro conseguenze [...]. Strumenti di registrazione che operano qui ed ora hanno un ruolo innegabile nel generare ciò che appare essere accaduto. Per quanto utile possa essere nella vita di ogni giorno il dire “il mondo esiste là fuori indipendentemente da noi”, questo 32


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punto di vista non può più essere mantenuto. C’è uno strano senso in cui il nostro è un universo partecipato 2. Quanto poi alle conseguenze dell’esperimento a scelta ritardata trasferito su scala interstellare, Wheeler scisse: Ci possiamo alzare una mattina e passare tutto il giorno a meditare per decidere se osservare secondo “quale cammino” o osservare l’interferenza causata da “entrambi i cammini”. Quando poi giunge la notte e il telescopio è finalmente utilizzabile, lasciamo lo specchio semiargentato fuori o lo posizioniamo nell’apparato secondo quanto abbiamo deciso durante la giornata. Il filtro birifrangente posizionato sul telescopio rallenta il ritmo dell’osservazione. Dovremo attendere un’ora prima che il primo fotone arrivi a destinazione. Quando il rilevatore ne segnala l’arrivo siamo in grado di scoprire, con una regolazione dell’apparato, “quale cammino” ha percorso la luce; o viceversa, qual è la fase relativa delle onde associate all’arrivo del fotone, dalla sorgente al rilevatore, “lungo entrambe le vie” (vie separate, nel loro passaggio attorno alla galassia “lente” più o meno da cinquantamila anni luce di distanza). Ma il fotone ha già superato quella galassia miliardi di anni prima della nostra fatidica decisione. Questo è il senso in cui noi, parlando in modo poco tecnico, decidiamo che cosa il fotone farà dopo che l’ha già fatto. In realtà, è scorretto parlare del “percorso”’ del fotone. Volendo in modo più appropriato, dovremmo ricordarci una volta ancora che non ha alcun senso parlare di fenomeno fino a quando non è stato attualizzato da un irreversibile atto di amplificazione. Nessun fenomeno elementare è un fenomeno fino a quando non diviene un fenomeno registrato (osservato)3. John Hergon commenta così: Sembra che quando l’astronomo decide di come osservare i fotoni del quasar stabilisca se per aggirare la lente gravitazionale miliardi anni fa ciascun fotone abbia percorso entrambi i cammini o uno solo. Avvicinandosi al divisore di fascio galattico, i fotoni debbono aver avuto una sorta di premonizione, per sapere come comportarsi in modo da soddisfare una scelta fatta da esseri non ancora nati su un pianeta ancora inesistente. L’errore in cui queste speculazioni affondano le loro radici, spiega Wheeler, consiste nel supporre che un fotone abbia una qualche forma fisica prima che l’astronomo l’osservi: o era un’onda o era un corpuscolo, o ha percorso un solo cammino attorno alla lente gravitazionale o li ha percorsi entrambi. In realtà, dice Wheeler, i fenomeni quantistici non sono né onde né particelle, ma so2

Esperimenti a scelta ritardata e dialogo Bohr – Einstein,. Intervento alla riunione congiunta della Società Americana di Ffilosofia e della Società Reale Inglese, Londra, 1980). Da “internet”: La teoria a quantistica, 2 parte, di Tiziano Cantalupi. 3 J.A. Wheeler, Law without law. Contenuto nella collezione di saggi Quantum Theory and Measurement, di J.A. Wheeler, W. H. Zurek, a cura di, Princeton University Press, Princeton, 1983. Trad. di Massimiliano Pagani in Amir D. Aczel, Entaglement, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2004, p. 82-83.

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no intrinsecamente indefiniti fino all’istante un cui sono misurati. In un certo senso aveva ragione il filosofo irlandese George Berkeley quando due secoli or sono asseriva che “esse est percipi ”. Paradossalmente, la visione “scientifica” di Wheeler dovrebbe condurre a dire che l’Universo non esiste in sé, ma che esso viene ad esistere solo nell’istante in cui il soggetto lo osserva. In altre parole sarebbe l’io che di volta in volta, continuamente, senza soluzione di continuità crea il mondo che lo circonda. Siamo nella posizione filosofica di George Berkeley, dell’idealismo tedesco e dell’attualismo del filosofo italiano Giovanni Gentile, ma soprattutto siamo nella posizione della visione religiosa degli antichi Veda indiani.

Da “internet”: “Le Scienze”, 02- 11-2012: “Due versioni ancora più aggiornate di questo procastinatore quantistico sono state realizzate dai gruppi di Florian Kaiser e colleghi dell’Università di Nizza e di Alberto Peruzzo dell’ Università di Bristol (Regno Unito) che estremizzano l ritardo della “decisione” del fotone, che non sa ancora come comportarsi quando emerge dall’interferometro. Il risultato è stato ottenuto in entrambi i casi sfruttando un altro paradossale fenomeno della meccanica quantistica, quello dell’entanglenet. Si tratta di una fantasmatica “azione a distanza” (come la definì Einstein) che lega due particelle o due stati quantistici opportunamente preparati anche se tra di loro viene posta una distanza arbitraria. I due stati possono vicendevolmente e istantaneamente influenzarsi nelle misurazioni, contravvenendo a qualunque criterio di causalità di eventi a velocità finita. Nei casi di Kaiser e di Peruzzo, l’entanglement viene sfruttato in modo che anche dopo la rilevazione del primo fotone, il fatto che abbia esibito una natura particellare oppure ondulatoria, o ancora una via di mezzo tra le due, dipende dalla misurazione condotta sulla seconda particella, con una apparente retroattività. In conclusione, i due esperimenti di procrastinazione quantistica ritardano di soli pochi nanosecondi la scelta di esibire un comportamento particellare od ondulatorio. Ma se si potesse realizzare una memoria quantistica in cui immagazzinare l’entanglement, la decisione potrebbe essere presa anche in futuro”.

L’ESPERIMENTO DI MANDEL Dopo i successi ottenuti dagli esperimenti con le due fenditure, alcuni fisici avevano tuttavia obiettato che poiché la misurazione era stata ne34


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cessariamente "invasiva", fosse stato pure inevitabile che lo stesso sistema fisico invaso avesse alterato il proprio stato. Ma, nei primi anni ’90, Mandel e i suoi collaboratori dell’Università di Rochster hanno condotto un esperimento che ha dimostrato che basta la sola conoscenza potenziale di un sistema fisico ad alterarne lo stato. I fisici Jaynes e Scully definirono scherzosamente la cosa "negromanzia medievale”. Horgan addirittura parlò di “fotoni psichici” e si appellò all’empirismo idealstico di Berkeley per cui tutta la realtà è riconducibile ad atti di consapevolezza, cioè ad idee, senza necessità che esista la materia oggettiva. Anche l’idealismo di Giovanni Gentile sostiene che il pensiero “di atto in atto” crea e modifica se stesso e il mondo. Ma vediamo in cosa consiste l'esperimento di Mandel. La situazione è simile a quella degli esperimenti di Grimaldi e di Young dove la luce transita attraverso due fenditure. Stavolta, però utilizziamo uno specchio semiriflettente o divisore di fascio che lascia passare solo il 50% della luce, l’altro sarà riflesso. Quindi, se noi spariamo uno alla volta 100 fotoni verso lo specchio semiriflettente, 50 di essi dovrebbero passare, e gli altri e 50 esser riflessi. Ma non è così. Sebbene ogni singolo fotone sia indivisibile, esso si dividerà in due parti fantasma sì che il suo 50% attraverserà lo specchio mentre l’altro suo 50% sarà riflesso. Ciò richiama gli esperimenti già visti delle due fenditure. Peraltro, anche stavolta, in una certa fase dell’esperimento, vedremo presentarsi le figure di interferenza. Descriviamo ora l’espermento. Fig. 27

Il laser (1) lancia un fotone verso lo specchio semi-riflettente (2). Quest’ultimo (2) "divide" il fotone in due parti fantasma . Ognuna delle due parti farà poi un percorso diverso. Una andrà a riflettersi sul normale specchio 3, e l’altra sul normale specchio 4. I due specchi (3 e 4) indirizzeranno le due parti fantasma del fotone verso due convertitori a 35


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bassa frequenza (5 e 6). Ciascun convertitore dividerà poi la propria metà di fotone fantasma in altre e due parti gemelle di energia dimezzata. Una (indicata con S) sarà chiamata “fotone segnale”, l’altra (indicata con A) sarà chiamata “fotone ausiliario”. I due percorsi segnale (indicati con S) andranno ad incidere sullo schermo (9). Qui il fotone S farà interferenza con l’altra parte di se stesso che è passata attraverso l’altro percorso; ed alla fine, quando il laser avrà inviato uno alla volta un sufficiente numero di fotoni, noi potremo vedere sullo schermo (9) una evidente figura di interferenza. I due percorsi ausiliari A sono stati invece indirizzati verso il rilevatore ausiliario (8), per cui ogni volta che un fotone andrà a colpire lo schermo (9) riscontreremo il contemporaneo arrivo di un fotone sul rivelatore ausiliario (8), Fin qui, l’unica differenza fra questo esperimento e quello delle fenditure è che qui la situazione è raddoppiata a motivo dei convertitori (5 e 6) e dei due percorsi ausiliari indicati con A. Vediamo però quel che accade se frapponiamo un ostacolo (7) fra il convertitore (6) ed il rilevatore (8). Poiché l’ostacolo (7) si trova sul percorso ausilario A che conduce soltanto al rilevatore (8), esso non dovrebbe impedire che sullo schermo (9) si formi la figura di interferenza. Infatti, sullo schermo (9) incidono solo i due percorsi segnale indicati con S. Eppure, la figura di interferenza dei due fasci segnale (S) sullo schermo (9) scompare. Ciò contraddice sperimentalmente il principio di località di Einstein. Ovviamente, tutto questo non accade se, come quando nel caso della doppia fenditura, inseriamo un rilevatore che prenda atto della direzione assunta dal fotone.

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L’ A T O M O

LA TEORIA QUANTISTICA DI PLANCK Karl Ernst Ludwig Max Planck, detto Max (Kiel, 23 – 04 - 1858 – Gottingen 04 – 10 - 1947), è stato un fisico tedesco. Ha ideato la teoria dei quanti che, insieme con la teoria della relatività di Alber Einstein, è uno dei pilastri della fisica moderna. Sul finire dell’Ottocento, Planck si interessò ai problemi che nascevano dagli sperimenti concernenti il cosiddetto “corpo nero”. Questo è una specie di pentola che all’interno è completamente nera, e funziona come un forno dotato di un piccolo foro. Un corpo nero emette luce di frequenza diversa. I problemi nascevano dal fatto che la teoria classica delle radiazioni emesse da un corpo non riusciva a giustificare l’alta energia delle emissioni ad alta frequenza di un corpo nero. Planck riuscì ad individuare una formula che giustificava tutte le frequenze: Per ciascuna frequenza le pareti del forno emettono energia con una quantità ben definita che egli chiamò quanta, che è la forma del plurale del vocabolo latino quantum. Il 14 dicembre del 1900 Planck rese nota la sua ipotesi nella quale sosteneva che gli scambi di energia nei fenomeni di emissione e di assorbimento delle radiazioni elettromagnetiche avvengono in forma discreta (proporzionale alla loro frequenza di oscillazione, secondo una costante universale), non già in forma continua, come sosteneva la teoria elettromagnetica classica. Nel 1901 Planck passò dall'ipotesi quantistica alla vera e propria teoria quantistica, secondo la quale gli atomi assorbono ed emettono radiazioni in modo discontinuo, per quanti di energia, cioè quantità di energia finite e discrete. In tal modo anche l'energia può essere concettualmente rappresentata, come la materia, sotto forma granulare: i quanti sono appunto come granuli di energia indivisibili. Nel 1918, la sua teoria gli valse il premio Nobel per la fisica. 37


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LA TEORIA ATOMICA DI DALTON Nel 1803, lo studioso inglese J. Dalton formulò la tesi della discontinuità della materia. La teoria puó essere sintetizzata cosí: • La materia é composta da particelle indivisibili chiamate atomi; • Gli atomi di un particolare elemento sono tutti uguali ed hanno la stessa massa; • Gli atomi di elementi diversi hanno massa e proprietá differenti; • Le reazioni chimiche avvengono tra atomi interi e non tra frazioni di essi; • In una reazione chimica tra due o piú elementi gli atomi, pur conservando la propria identitá, si conbinano secondo rapporti definiti dando luogo a composti.

IL MODELLO ATOMICO DI THOMSON Nel 1904 lo scienziato inglese J. J. Thomson propose il cosidetto modello a panettone che suscitò numerose curiosità e consensi. In base ai dati allora disponibili, Thomson immaginò che gli Elettroni (negativi) fossero dispersi come gli acini di uvetta in un panettone, in una massa elettricamente positiva, in modo da determinarne l'equilibrio delle cariche. Fig. 28

Modello atomico secondo Thomson. Gli elettroni, rappresentati con il simbolo – (meno) sono disseminati nella materia positiva diffusa nell'interno della sfera dell’atomo.

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Nel 1909, l’esperimento di Geiger Marsden confutò il modello di Thomson; e nel 1911 Ernesto Rutherford propose il suo modello alternativo. IL MODELLO ATOMICO DI RUTHERFORD Fig. 29- Modello atomico di Rutherford

- Rutherford, Professore di fisica all' universita' di Manchester, subito dopo la scoperta, del fisico francese A.H. Becquerel, individuo' i tre principali componenti delle radiazioni che chiamò alfa, beta, gamma. - Successivamente, fece un esperimento nel quale voleva dimostrare che, come aveva detto Thomson l'atomo era costituito in ugual numero da particelle positive e negative che condividevano lo stesso spazio. - L' esperimento consisteva in un contenitore di piombo dal quale venivano emesse radiazioni alfa che venivano indirizzate verso una lamina d'oro. Intorno a tutta la costruzione Rutherford pose una pellicola fotografica. - Inizialmente Rutherford pensava che tutte le particelle delle radiazioni trapassassero la lamina e si fermassero sulla pellicola e che alcune deviassero. - In realtà il 99% delle particelle passava e si fermava sulla pellicola, un po' deviavano ma 1 su 8000 tornava indietro. 39


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- Da questi risultati Rutherford dedusse che l'atomo era costituito da un nucleo denso, dotato di massa e di una forte carica elettrica circondato da uno "sciame" di elettroni. -Questo fu il primo modello atomico rappresentato come un modello planetario infatti il nucleo rappresenta la terra e gli elettroni i pianeti che le ruotano intorno. Fig. 30

Rappresentazione del modello atomico di Rutherford per un atomo di azoto. Il nucleo al centro è carico positivamente, mentre gli elettroni carichi negativamente ruotano intorno ad esso. Questo modello tuttavia fu poi superato. Da Roberto Cantoni

- Il modello atomico di Rutherford, tuttavia, presentava alcuni inconvenienti poichÊ gli elettroni a causa del loro moto intorno al nucleo, e dotati di accelerazione non nulla, avrebbero dovuto continuare a irraggiare, perdendo continuamente energia, fino a collassare sul nucleo. - Ciò avrebbe reso impossibile l'esistenza di atomi stabili.

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IL MODELLO ATOMICO DI BOHR

- In seguito a queste considerazioni Bohr propose un nuovo modello atomico frutto delle teorie di Rutherford e di dati sperimentali. - Il nuovo modello e' entrato a far parte dei fondamenti della meccanica quantistica. L' atomo di Bohr. consiste in un nucleo di carica positiva al quale ruotano intorno gli elettroni di carica negativa che percorrono orbite stazionarie. - Le orbite scoperte da Bohr sono fisse ma non equidistanti; ci sono infiniti livelli possibili. - Bohr. afferma inoltre due postulati : 1) allo STATO STAZIONARIO gli elettroni ruotano su orbite definite e fisse senza mai assorbire ne cedere energia. 2) allo STATO ECCITATO gli elettroni assorbono energia dall' esterno, così possono spostarsi dall'orbita stazionaria ad un'altra. - In seguito a ciò si dice che l'energia nell'atomo è quantizzata, cioè la quantità di energia che assorbe un elettrone nel passaggio da un orbita all'altra è definita. - Spontaneamente l'elettrone tenderà a tornare all'orbita stazionaria cedendo la stessa quantità di energia assorbita prima. - Bohr afferma che gli elettroni possono percorrere gli spazi in base alla energia. - LIVELLI ENERGETICI : sono gli spazi che percorrono gli elettroni intorno al nucleo con valore costante di energia. - Spontaneamente l'elettrone perde energia sotto forma di “ONDE ELETTROMAGNETICHE” al fine di far tornare stabile l' atomo. - GLI ELETTRONI POSSONO STARE SOLO IN DETERMINATI SPAZI.

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Fig. 31- IL MODELLO ATOMICO DI BOHOR

Modello atomico di Bohr-Sommerfeld. Il nucleo al centro ospita protoni carichi positivamente e neutroni, mentre gli elettroni carichi negativamente ruotano intorno a esso entro determinati orbitali in dipendenza dal livello di energia.

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Fig. 32- BOHR

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IL PRINCIPIO DI INDETERMINAZIONE DI HEISEMBER 1901 -1976

Se vogliamo determinare con precisione la posizione e la quantità di moto (velocità) di un corpo in movimento occorre che le condizioni della nostra osservazione non modifichino significativamente quel che stiamo osservando. Ma nel campo della fisica nucleare questo non è possibile. Nel merito, presentiamo qui di seguito due esperimenti inerenti rispettivamente all’uno ed all’altro caso. Se noi lanciamo una palla da tennis dentro una stanza buia, e vogliamo stabilire quali sono le varie posizioni della palla durante i sui rimbalzi, possiamo fornirci di una macchina fotografica e di un flash. Nella stanza buia mettiamo in posizione fissa e permanente la macchina dinanzi alle presunte traiettorie della palla. Nella stessa stanza e dinanzi alle presunte traiettorie mettiamo anche il flash con diaframma ed obbiettivo aperti e programmati a produrre lampi con identici e regolari intervalli di tempo. Al termine dell’esperimento otterremo un film che riproduce le singole posizioni in cui la palla si è trovata durante le traiettorie dei suoi rimbalzi . Un’onda è un ente che vibra nello spazio e nel tempo. Possiamo raffigurarcela come nella sotto riportata figura.

Fig. 33 Foto della traiettoria della palla

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Fig. 34

A = Ampiezza od “estenzione”. λ = Distanza fra due creste o “lunghezza d’onda”. F = La Frequenza è numero di volte che il punto oscilla su e giù in un secondo. V = Velocità o “quantità di moto”.

Nei punti in cui l’ampiezza dell’onda e grande c’è grande probabilità di trovare la particella. Dove l’ampiezza è piccola c’è scarsa probabilità di trovare la particella. Dove la lunghezza d’onda è ampia la particella si muove lentamente. Dove la lunghezza è corta la particella si muove con alta velocità; e più la particella è veloce più possiede energia. Per esempio, la luce viola ha alta frequenza e piccola energia perché è formata da fotoni che possiedono elevata energia ed elevata velocità (quantità di moto). La luce rossa ha le caratteristiche inverse. Nel caso presentato dal nostro disegno (fig. 34) la particella si può trovare dovunque lungo l’onda perché l’onda che abbiamo considerato è un’onda estesa cioè tutte le sue lunghezze d’onda sono uguali. Dun45


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que, non è mai possibile prevedere dove si trovi la particella (eccetto il caso di un elettrone di un atomo). Diverso è il caso per il cosiddetto “pacchetto d’onda”. Questo è composto da molte onde di diversa lunghezza come nella seguente figura. Fig, 35

In questo caso la particella si troverà situata in una qualche parte della regione X dove le onde hanno diversa lunghezza. E’ anche più probabile che essa si trovi dove le ampiezze dell’onda sono grandi, e meno dove quelle sono piccole. Nel caso della nostra figura la maggiore possibilità di trovare la particella si ha nella parte centrale del pacchetto d’onda. Più si vuole definire la POSIZIONE della particella (confinandola in un volume sempre più piccolo) più la particella stessa aumenta di VELOCITA’ (fig. 35 B) e viceversa. Se poi fra cresta e cresta del pacchetto d’onda c’è una lunghezza (cioè una distanza) variabile (fig. 35), la particella non avrà una quantità di moto (velocità) ben definita.

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Fig. 36

Tutto ciò vuol dire che v’è incertezza sia nella posizione della particella sia nella sua velocità. Queste due incertezze sono interdipendenti perché l’incertezza della velocità dipende dall’incertezza della posizione e viceversa Se noi vogliamo misurare con precisione la posizione della particella otteniamo che questa non ha una velocità ben definita. Viceversa, se noi vogliamo misurare con precisione la velocità della particella, otteniamo che questa non ha una posizione ben definita. E’ questo il Principio di Indeterminazione di Eisnberg. Questo principio non viene applicato solo alla relazione tra l’incertezza della posizione e quella della velocità della particella, ma ad altre quantità: per esempio, fra l’intervallo di tempo in un cui avviene un processo atomico e l’energia in esso coinvolta. Più forziamo uno dei concetti di posizione, velocità, energia, ecc., più gli altri concetti diventano indeterminati. Ciò accade poiché è la stessa misurazione a perturbare le particelle. Fra l’operatore e la realtà osservata esiste dunque un’interazione.

IL GATTO DI ERWIN SCHRODINGER Quando in laboratorio effettuiamo un’osservazione la funzione d’onda “collassa”, e solo ora noi possiamo rilevare il posto dove la particella si trova. Però prima che avvenga il collasso la situazione rimane indeterminata, e tale è anche il nostro giudizio.

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Fig. 37

Per descrivere questa situazione Erwin Schrodinger ideò il seguente paradosso. Supponiamo di aver chiuso un gatto dentro una scatola. Supponiamo anche che esista un fotone che voglia entrare nella scatola, e che abbia il 50% delle possibilità di entrarci ed il 50% di non entrarci. Se il fotone entra, esso innesca un congegno che faccia sparare un fucile il cui colpo uccide il gatto; se però il fotone non entra il gatto resterà vivo. Ma, poiché il gatto è dentro la scatola, noi non siamo in grado di sapere se egli è vivo o è morto. Esiste cioè una sovrapposizione di stati: il gatto è vivo oppure è morto. Noi ne verremmo a conoscenza solo dopo aver aperto la scatola. Ma nel momento in cui noi apriamo la scatola, noi compiamo un’azione che è equivalente a quella che uno sperimentare compie in laboratorio quando, per trovare il punto in cui trova una particella, fa collassare la sua funzione d’onda. Sembra che sia nel caso del gatto come in quello della particella sia stata la nostra osservazione a determinar la situazione finale. Ne consegue che tutto quel che noi sapiamo di una particella prima della misurazione non sia altro che una “nuvola di probabilità”. E’ questa una elaborazione della cosiddetta “Interpretazione di Copenhagen”.

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L’NDETERMINAZIONE ENERGIA / TEMPO

Quanto detto a proposito del principio di indeterminazione che governa i tentativi di determinare la posizione o la velocità di una particella subatomica, vale anche per la relazione energia-tempo. Ciò è facilmente visualizzabile se consideriamo che il pacchetto d’onda della fig. 35 può esser visto non solo come una forma che è nello spazio ma anche come una forma che vibra nel tempo. Per comprendere il concetto ipotizziamo di voler determinare l'energia di un fotone di luce. Noi abbiamo già visto che dove la lunghezza d’onda è corta la particella si muove a velocità più elevata, e con ciò essa aumenta la propria energia. La stessa cosa avviene al nostro fotone. Ora, secondo Planck, l'energia di un fotone è direttamente proporzionale alla frequenza della luce (E = hv). Per misurare l’energia del fotone occorre quindi misurare la frequenza dell'onda luminosa. Questo si può fare contando il numero delle oscillazioni, cioè il susseguirsi di massimi (creste) e di minimi (valli) in un determinato intervallo di tempo. Per poter seguire questo procedimento bisognerebbe che comunque l’onda luminosa compisse almeno una completa oscillazione. L'onda dovrebbe passare da un massimo (cresta) ad un minimo (valle), e poi di nuovo tornare a un massimo (cresta): ciò in un determinato intervallo di tempo. Misurare la frequenza della luce in un tempo inferiore a quello occorrente per un’oscillazione completa sarebbe evidentemente impossibile anche in via di principio. Per la luce visibile il tempo occorrente sarebbe comunque di un milionesimo di miliardesimo di secondo. In un determinato intervallo di tempo non è dunque possibile misurare con precisione la frequenza e l’energia del fotone. Per ottenere una misura esatta dell’energia si dovrebbe effettuare una misurazione su scala "relativamente lunga". Ma, se quel che noi vogliamo è determinare l’istante in cui l’evento si verifica, lo si potrà ottenere in modo esatto solo a discapito della misurazione dell’energia. Si ripete così un’incompatibilità simile a quella che riguarda la posizione e il moto della particella. Bisogna poi considerare che i limiti alle misurazioni della posizione, della quantità di moto (velocità), della energia e del tempo, non sono imputabili ad insufficienze tecnologiche. Questi limiti sono proprietà intrinseche della natura.

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LA COMPLEMENTARIETA’ DI NIELS BOHR

Niels Bohr (1885-1962) ha introdotto il concetto di complementarietà. Egli ha considerato la rappresentazione corpuscolare e quella ondulatoria come due descrizioni complementari della medesima realtà, ciascuna delle quali è solo parzialmente adeguata ma necessaria per dare una descrizione completa della realtà atomica. Entrambe debbono essere applicate entro i limiti stabiliti dal principio di indeterminazione. Bohor ha pure suggerito che questa complementarità può essere utilmente applicata anche fuori della fisica. Egli infatti ritenne che, per esempio, ci fosse una corrispondenza fra il suo concetto di complementarità ed pensiero cinese.

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ENTANGLEMENT QUANTISTICO

CORRELAZION E

Q U A N T I S T IC A

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IL PARADOSSO EPR Per “paradosso EPR” si intende un esperimento mentale fatto da P (Albert Einstein), B (Boris Pololsky) e R (Nathan Rosen) nel 1935. Nel 1952, poi, David Bohm rielaborò il “paradosso” rendendolo più chiaro. L’assunto che ne sta alla base è che due particelle, come due elettroni o due fotoni, che per una qualunque ragione abbiano almeno una volta interagito fra loro rimangono sempre correlate nelle loro caratteristiche, per esempio, in quello del loro spin (rotazione). Fig. 38

Lo spin rappresenta l’asse sul quale ruotano le particelle elementari. Di due particelle separate, poi, se l’una ha la misura di spin +1/2 (spin up “spin in su”) l’altra deve averla di -1/2 (spin down ”spin in giù”). Ciò perché la somma delle due misure deve essere sempre uguale a zero (+1/2 - 1/2 = 0). Ora, il decadimento del mesone π (il pione), oppure gli atomi di calcio eccitati da un raggio laser, sono in grado di produrre coppie di fotoni correlati.

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Fig. 39

Se noi prendiamo due particelle correlate e le separiamo fin’anche ad una grandissima distanza, e se poi effettuiamo una misura (per es. quella dello spin) su una delle due, otterremo che la particella esaminata collasserà e ci darà la misura del suo spin. A questo punto, se noi decidiamo di invertire il segno dello spin di una delle due particelle, anche l’altra particella invertirà all’istante il segno del proprio spin. Tuttavia, questo istantaneo cambiamento mina il pilastro base della teoria della relatività dello stesso Einstein: nessun segnale può essere trasmesso ad una velocità superore a quella della luce e tanto meno può risultare istantaneamente correlato. Einstein ed i suoi collaboratori si basavano su due principi che ritenevano incrollabili: il realismo e il localismo. Disse Einstein: Riconosco naturalmente che nella interpretazione statistica ... vi è un notevole contento di verità. Ma non posso credere seriamente in essa, perché la teoria che ne deriva è incompatibile con il principio che la fisica debba essere una rappresentazione di una realtà nel tempo e nello spazio, senza assurdi effetti a distanza. Secondo Einstein bisognava scoprire quelle che egli chiamava le “variabili nascoste” che avrebbero sicuramente spiegato in maniera causale e non sincronica i postulati della fisica quantistica. Niels Bohr, dopo pochi mesi dalla pubblicazione del “paradosso di EPR”, obiettò che: “la linea del loro ragionamento non sembra comunque adeguata alle situazioni reali che incontriamo nella fisica atomica”, e che il “Paradosso in questione non rappresenta alcun impedimento alla reale applicazione della teoria dei quanti nella risoluzione dei reali problemi della fisica”. Questa posizione fu condivisa dalla maggioranza dei fisici del tempo.

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Tuttavia, Einstein e compagni avevano condotto un rigoroso e valido esperimento mentale. Il loro errore consistette nel concludere che i postulati della fisica quantistica non erano validi, essi negavano la possibilitĂ del verificarsi di quei fenomeni di sincronicitĂ fra particelle subatomiche i quali invece poi altri fisici confermeranno nei futuri esperimenti condotti in laboratorio.

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L’ “EFFETTO AHARONOV-BOHM” Fu David Bohm che nel 1952 riformulò in maniera più chiara il “Paradosso EPR” Ne riconobbe la validità nella negazione di fenomeni di correlazione sincronica fra particelle distanti, ma affermò il principio che quella correlazione in effetti esistesse perché esiste un legame che unisce a priori tutte le singole particelle, vicine e lontane, che compongono tutto l’universo possibile. Bohm aveva così posto le basi della teoria del tuttto. Nel 1959, Bohm e un suo giovane assistente israeliano, Yakir Aharanov, produssero un interessante esperimento mentale di intercorrelazione quantistica il cui risultato ha poi preso il nome di “Efffeto Aharanov-Bohm” (vd. figura). Si tratta di un effetto “misterioso” che, come nei casi di “correlazione quantisica (entanglement)”, presenta il fenomeno della “non località”. Se si considera un cilindro che abbia al suo interno un campo magnetico, ed un elettrone che passi ad una certa distanza da cilindro stesso, cioè al di là del campo magnetico, l’elettrone sarebbe comunque “misteriosamente” influenzato da quel campo magnetico. Fig. 40

Un anno dopo, nel 1960, l’ipotesi di Bohm e Aharonov fu confermata sperimentalmente. 56


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IL TEOREMA DI BELL

Il "Teorema o diseguaglianza di Bell" può riassumersi dicendo che qualsiasi teoria locale, che assume che determinate coppie di particelle correlate separate ed inviate verso rivelatori lontani abbiano proprietà definite anche prima di essere sottoposte a test, non può riprodurre la distribuzione probabilistica prevista dalla meccanica quantistica allorché si considerino non solo misure "simmetriche / opposte" ma anche test su posizioni intermedie. Fig. 41

Gli atomi di un gas eccitato elettricamente emettono fotoni a "coppie correlate" per cui la polarizzazione verticalmente (“spin su”) od orizzontalmente (“spin giù”) dell’uno corrisponde è la stessa di quella dell’altro. Se noi spediamo i fotoni di ciascuna coppia in direzioni opposte fino a posizioni anche lontanissime, ognuno dei due fotoni rimane polarizzato sullo stesso piano. Ciò implica che in generale se noi conosciamo lo stato di polarizzazione di una delle particelle, conosciamo automaticamente anche quello dell'altra. La figura 42 ci fa vedere come facendo passare entrambi i fotoni d’ogni coppia attraverso dei polarizzatori posti sul loro cammino, noi possiamo verificare che ambedue i fotoni hanno la stessa polarizzazione verticale. 57


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Fig. 42

Come si vede al centro della figura una luce emette una coppia di fotoni gemelli ovvero correlati. Su ciascun lato del corso dei fotoni emessi poniamo un polarizzatore. Dietro ognuno di questi ultimi poniamo poi un Rivelatori di luce che emette un suono ogni volta che un fotone lo colpisce. Accade che ogni volta che il Rivelatore d’un fotone (settore A) emette un suono (click), lo emette anche quello dell’altro fotone (settore B). Ciò accade perché ambedue i fotoni della coppia sono polarizzati sullo steso piano orizzontale, ed ambedue i polarizzatori sono allineati nella stessa direzione verticale. Orientiamo ora in senso orizzontale, cioè a 90° rispetto all'altro, uno dei polarizzatori come nella figura 43. Fig. 43

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Manteniamo il polarizzatore del settore A ancora allineato verticalmente, ma allineiamo orizzontalmente quello del settore B. Con ciò il fotone orientato verticalmente ed indirizzato verso il polarizzatore A passerà attraverso il polarizzatore verticale A perché sono entrambi polarizzati verticalmente; invece l’altro fotone anch’esso polarizzato verticalmente, ma indirizzato verso il polarizzatore orizzontale B, verrà respinto da questo polarizzatore. A questo punto ci chiediamo cosa accadrebbe se nei due settori (A e B) dell'apparecchiatura noi non ponessimo più dei polarizzatori orientati perpendicolarmente ed orizzontalmente, bensì dei polarizzatori orientati in direzioni intermedie. Poniamo dunque un polarizzatore verticale nel Settore A della nostra apparecchiatura, ma poniamo nel settore B un polarizzatore orientato a 45°. Un fotone che si trovi al momento dell'emissione in uno stato verticale avrà il 100 % delle probabilità di attraversare il polarizzatore del Settore A, mentre il suo fotone gemello nel avrebbe il 50 % di attraversare il polarizzatore del Settore B. Ne consegue che in questa situazione sperimentale la sola conoscenza dello stato del fotone che ha attraversato il polarizzatore A non ci consente più di conoscere quale sia lo stato del fotone che è stato indirizzato verso il polarizzatore della sezione B. Andiamo oltre ed esaminiamo ora le conseguenze che detto teorema può avere dal punto di vista dellla "realtà oggettiva scaturita da una serie ipotetica di osservazioni". In questa situazione l'unico punto fermo che si manterrà è che le particelle correlate dovranno reagire alllo stesso modo ai medesimi test di polarizzazione. Scegliamo quindi di misurare simultaneamente per ogni settore (A e B) la polarizzazione di coppie di fotoni in tre stati di polarizzazione: orizzontale, diagonale a 60° e diagonale a 120° Fig. 44

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Se andiamo a vedere le risposte che si ottengono nei due settori A e B in una statistica di un grande numero di casi riscontriamo che abbiamo ottenuto 5 risposte Concordi e 4 Discordi. Ci saremmo invece aspettati che le risposte del settore A fossero pienamente concordi con quelle del settore B. E’ questa la cosiddetta “diseguaglianza di Bell”. Poiché l’esperimento è stato condotto secondo i canoni della fisica classica, possiamo concludere che, al fuori della fisica quantistica, il realismo locale della fisica classica non si concilia con la realtà oggettiva delle osservazioni. In proposito, James T. Cushing dice: Bell non ha mai elaborato alcuna teoria locale e deterministica. Ma, senza mai entrare nei dettagli dinamici, egli ha dimostrato che, in linea di principio, nessuna teoria siffatta può esistere [...] Il teorema di Bell non dipende in alcun modo dalla meccanica quantistica. Esso rigetta un'intera categoria di teorie classiche senza neppur dover menzionare la meccanica quantistica. E accade che i risultati sperimentali non solo escludono l'intera classe delle teorie locali e deterministiche, ma anche che confermano le previsioni della meccanica quantistica. Abner Shimony ha appropriatamente denominato "metafisica sperimentale" questo tipo di radicale soluzione empirica a quello che sembra essere un problema metafisico4. Il fisico David Lindley poi scrive : Quand'anche non ci piacesse la Meccanica Quantistica, e pensassimo che qualche altra teoria potrebbe infine venire a soppiantarla, non potremmo però tornare alla vecchia visione della realtà. Essa semplicemente non funziona: questa è la vera importanza, è il vero messaggio del teorema di Bell. Ma in un procedimento di fisica quantistica quali risultati si ottengono per situazioni come quelle che abbiamo analizzato?. Ci domandiamo quindi quale probabilità ha un fotone polarizzato orizzontalmente di attraversare un polarizzatore posto a 60° o a 120°. Il risultato è di ¼ (la probabilità si ha dal quadrato del coseno di 60° o di 120°). Fig. 45

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Siccome ci interessano risposte Concordi, ci domandiamo anche se pure un fotone polarizzato verticalmente abbia le stesse probabilità di superare un polarizzatore posizionato a 60° o a 120°. Il risultato è che le probabilità sono di ¼ cioè sono le stesse del precedente esperimento (la probabilità si ha dal quadrato del coseno di 60° o di 120°). Fig. 46

Ora calcoliamo, secondo la meccanica quantistica, il numero delle possibilità che le risposte dei due simmetrici polarizzatori (variamente posizionati) posti nei dei due simmetrici settori A e B siano Concordi . Fig. 47

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James T. Cushing, in "Quantum Mechanics" (The University of Chicago Press, Chicago, 1994).

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Come si vede nella tabella sopra riportata In 1/3 dei nove possibili casi nei Settori A e B si eseguiranno misure identiche, ottenendo risultati identici. Nei rimanenti 2/3 dei casi nei Settori A e B si eseguiranno misure diverse, per le quali, come abbiamo già visto, si ha un probabilità di 1/4 di ottenere esiti Concordi. Calcoliamo ora la probabilità globale di ottenere esiti Concordi. Q u e s t a risulterà pari alllla probabilità (1/3) che le misure avvengano nellla stessa direzione, cui va sommata la probabilità (2/3) che le misure avvengano in direzioni diverse moltiplicata per la probabilità (1/4) che gli esiti risultino Concordi. Quindi 1/3 + (2/3 x 1/4) = 1/3 + 1/6 = ½. Si avrà pertanto: La risposta sarà dunque che le probabilità globali di esiti Concordi e di esiti Discordi sono nel rapporto di ½ a ½ cioè sono maggiori delle 5 a 4 probabilità globali che si ottengono dall’analisi della realtà oggettiva delle osservazioni. In altre parole, realizziamo che la cosiddetta “diseguaglianza di Bell” che lo stesso Bell aveva riscontrato nei precedenti esperimenti condotti con i canoni del “non localismo” della fisica di Einstein, non è stato rispettata. E' da questo confronto che, secondo Bell, si dimostra che il realismo locale (rapporto 5 a 4) non può spiegare i fenomeni della fisica quantistica (rapporto 1/2 a 1/2).

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DESCRIZIONE DI UN ESPERIMENTO SUL FENOMENO DELL'ENTAGLEMENT Due particelle gemelle vengono lanciate in direzioni opposte. Se la particella A, durante il suo tragitto incontra una carica magnetica che ne devia la direzione verso l’alto, la particella B, invece di continuare la sua traiettoria in linea retta, devia contemporaneamente la direzione assumendo un moto contrario alla sua gemella. Questo esperimento dimostra che: 1. le particelle sono in grado di comunicare tra di loro trasmettendo ed elaborando informazioni. 2. la comunicazione è istantanea. Il fisico Niels Bohr disse: Tra due particelle [correlate] che si allontanano l'una all'altra nello spazio, esiste una forma di azione-comunicazione permanente. [...] Anche se due fotoni si trovassero su due diverse galassie continuerebbero pur sempre a rimanere un unico ente .."

Fig. 48

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Fig. 49 – Alain Aspect (Agen, 15 –6-1947)

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L’ESPERIMENTO DI ALAIN ASPECT (1982)

Nel 1982 Alain Aspect con la collaborazione di due ricercatori, J. Dalibard e G. Roger, dell’Istituto di Ottica dell’Università di Parigi, raccolse la sfida per una rigorosa verifica delle ipotesi "non localistiche" della teoria quantistica. Egli realizzò una serie di apparecchiature sofisticatissime nel campo dell’ottica-fisica, le quali gli permisero di risolvere il contenzioso che ormai da mezzo secolo opponeva i fisici che si riconoscevano nelle posizioni "classiche" (Einstein, ecc.), e i fisici quantistici della "scuola di Copenaghen". Nella figura di seguito riportata vediamo una schematizzazione delle apparecchiature utilizzate da Aspect e collaboratori nei loro esperimenti. Al centro si trova un atomo di calcio il cui decadimento produce una coppia di fotoni correlati che si muovono lungo percorsi opposti. Lungo uno di questi percorsi (nel caso rappresentato in figura, il percorso A), di tanto in tanto e in maniera del tutto casuale, viene inserito un "filtro" (un cristallo birifrangente) il quale, una volta che un fotone interagisce con esso, può, con una probabilità del 50 %, deviarlo oppure lasciarlo proseguire indisturbato per la sua strada. Agli estremi di ogni tragitto previsto per ciascun fotone è posto un rivelatore di fotoni. Ora, la cosa straordinaria verificata da Aspect con le sue apparecchiature è che nel momento in cui lungo il Percorso A veniva inserito il Cristallo Birifrangente e si produceva una deviazione verso il rivelatore c del fotone 1, anche il fotone 2 (ovvero il fotone del Percorso B: il fotone separato e senza "ostacoli" davanti), "spontaneamente" ed istantaneamente, deviava verso il rivelatore d. Praticamente l’atto di inserire il Cristallo Birifrangente con la conseguente deviazione del fotone 1, produceva un effetto istantaneo a distanza sul fotone 2, inducendolo a deviare. Tutto ciò può sembrare strano, ma è quello che effettivamente accade quando si eseguono esperimenti su coppie di particelle correlate. Queste bizzarrie della natura comunque, precisano i fisici quantistici ortodossi, sono tali solo se si ragiona secondo una "logica classica". In uno scenario ove si immagina che qualsiasi sistema correlato possa godere della prerogativa di non risentire della distanza spaziale, tutto risulta semplificato, "normale". 65


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Abbandonando l’idea che le particelle correlate separate rappresentino enti distinti, scompaiono (dato che si passa da contesti ove le azioni si sviluppano tra luoghi diversi dello spazio a contesti ove le azioni avvengono nel "medesimo luogo) buona parte degli ostacoli concettuali e di fatto che impediscono una comunicazione o un’azione a distanza.

Fig. 50- L’Esperimento di Aspect

L’esperimento di Alain Aspect rivelò dunque la possibilità di ottenere una comunicazione istantanea fra fotoni distanti fra loro. David Bohm potè così ribadire che non esisteva nessuna propagazione di segnale a velocità superiori a quella della luce. Il legame tra fotoni nati da una stessa particella sarebbe quindi dovuto all'esistenza di un ordine delle cose che noi normalmente non percepiamo. Ogni particella non è da considerarsi come una cosa separata e "autonoma", bensì come una cosa che appartiene alla “indivisa interezza (Undivided Wholeness)” di un ordine universale che non è limitato dallo spazio e dal tempo.

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Fig. 51

Da G: Glen kezwer, p. 149: La sorgente del fotone è fatta di atomi di calcio che emettono due fotoni di luce visibile (una verde e una blu) ad un flusso di 50 milioni di secondo. L’esperimento standard dura 12.000 secondi, il che significa che si ottengono misurazioni correlate su gran numero di coppie di fotoni. Gli angoli ai quali le polarizzazioni di ogni fotone vengono misurati sono posti in essere dopo che i fotoni sono già in volo. Questo viene fatto usando un’apparecchiatura ingegnosa che permette di cambiare le angolazioni in 20 bilioni di secondo. In questo periodo estremamente breve ogni cosa che viaggia così velocemente come la luce, anche se si muove a 300 milioni di metri al secondo, può coprire una distanza di soli 6 metri. Aspect ed i suoi colleghi posero i luoghi di misurazione, cioè i due rivelatori di polarizzazione, a 12 metri di distanza. Facendo questo si assicurarono che un segnale che viaggiasse alla velocità della luce non avesse tempo sufficiente per spostarsi da un fotone all’altro durante le misurazioni delle rispettive polarizzazioni. In altre parole, un ipotetico segnale che venga emanato dal primo fotone nel momento della sua polarizzazione e venga registrato e raggiunga il secondo fotone prima che questo venga misurato, dovrebbe viaggiare più veloce della della luce. Poiché nessuna entità può muoversi più velocemente della luce, questo segna un forte punto a favore della non localizzazione.

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L’ESPERIMENTO DI CANCELLAZIONE QUANTISTICA “Kim Y.-H. , Yu R., Kulik S. P., Shih Y. H., Scully M. O., A Delayed Choice Quantum Eraser, Physical Review Letter, 84, 1-4 (2000)” Nel 2000, Kim ed i suoi colleghi dell'Univrsità del Maryland a Baltimora del 2000 hanno eseguito un esperimento di laboratorio per verificare l’esperimento mentale di scelta ritardata già proposto da John Archibald Wheeler. Fig. 52

Configurazione dell'apparato realizzato da Kim. I fotoni di un laser attraversano una doppia fessura e percuotono un cristallo di borato di bario nel punto A o B secondo quale fessura attraversano. Un tale cristallo ha una proprietà ottica particolare: quando assorbe un fotone, riemette dallo stesso punto una coppia di fotoni correlati (entangled) diretti nel senso opposto. Ciò consente di determinare il percorso di un fotone attraverso la misura dell’altro, e ciò anche dopo che il primo sia già stato assorbito dal fotorilevatore, per esempio avendo uno dei percorsi più corto dell’altro. Da file:///C:/FISICA%20QUANTISTICA/Percorsi%20Strani.htm

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Nell'esperimento, un laser ad Argon emette un fascio di fotoni (lunghezza d'onda 321.5 nm) indirizzati a passare verso una doppia fenditura: A e B (vedi la barra nera che è in alto a sinistra nella figura). Un cristallo ottico non lineare di beta-borato di bario (BBO nella figura) è posto subito dopo le due fenditure. Qui, i fotoni incidenti (detti pump “pompa“) subiscono un processo ottico (Spontaneus Parametric Down-Conversion o SPDC) che li divide ognuno in una coppia di fotoni di minor energia (lunghezza d’onda 702.2 nm), chiamati signal (segnale) e idler (pigro). Nella figura, il loro percorso è distintamente colorato: quello del fotone che proviene dalla fessura A è rosso, quello che proviene dalla fessura B è azzurro). Ogni fotone del fascio incidente ha le stesse probabilità di passare per l’una o l’altra delle fendture (A e B) e, quindi di esser diviso nelle rispettive zone A e B del cristallo ottico (BBO). Ciò rende casuale la divisione e l’emissione dei fotoni da ognuna delle due zone. E’ importante tener presente fin d’ora che i fotoni di queste coppie sono entangled, cioè sono quantisticamente correlati fra di loro, come negli esperimenti di Entanglement (Correlazione Quantistica). Infatti, alla fine dell’esperimento, saranno proprio le correlazioni quantistiche di queste coppie di fotoni che permetteranno di effettuare l’operazione della cosiddetta Cancellazione Quantistica. Sia i fotoni Segnale che i fotoni Pigro di ciascuna coppia proveniente dalle due zone del cristallo vengono fatti divergere attraverso il cosiddetto Gian-Thompson Prism ed indirizzati verso due diverse sezioni dell'apparato. I due fasci Segnale (nella figura sia la linea rossa che l’azzurra che vanno verso l’alo) vengono inviati ad attraversare una lente (Lens nella figura) che a sua volta li manda a focalizzarsi su di un rivelatore (D0 nella figura) che ne effettua rilevazioni. Teniamo presente che la lente (Lens) permette al rilevatore D0 di avvicinare maggiormente il cristallo BBO rispetto agli altri rilevatori di cui parleremo. Questo avvicinamento procurato dalla lente (Lens) è fondamentale per il concetto di Scelta Ritardata, infatti quando il fotone Segnale sarà rivelato da D0, il fotone Pigro sarà ancora in movimento su un diverso e ben determinato cammino; di conseguenza D0 non mostrerà nessuna figura di interferenza. Le misurazioni effettuate da questo rilevatore (D0) non sono da sole sufficienti ad indicare quale sia la zona di provenienza (A o B) di questi 69


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fotoni Segnale. La potremo però conoscere (come vedremo) dalle correlazioni che questi presentano con i corrispondenti fotoni Pigri. Questi fotoni Pigri sono stati a loro volta indirizzati verso un prisma (PS nella figura) che a sua volta li invia a tre cosiddetti beam splitter (BSA, BSB e BSC nella figura). Il beam splitter è un dispositivo ottico che divide un raggio di luce (beam) in due parti. Il prisma (PS) li ha ripartiti così: • Quelli che provengono dalla zona B sono stati inviati ad incidere sul beam splitter BSA. Questo ne riflette una parte (50%) al rivelatore D3, ed un’altra parte (50%) la trasmette allo specchio MA. • Quelli che provengono dalla zona A sono stati inviati ad incidere sul beam splitter BSB. Questo ne rimette una parte al rivelatore D4, ed un’altra allo specchio MB. Entrambe poi le componenti, sia quelle riflesse ed inviate ai rilevatoti (D1 e D2) che quelle trasmesse agli specchi (MA e MB) verranno condotte sul beam splitter BSC. Quest'ultimo provvederà infine a ripartirle (50% e 50%) nuovamente tra i due rivelatori D1 e D2. A questo punto, rileviamo quanto segue. • Sul rivelatore D3 sono pervenuti solo i fotoni pigri provenienti dalla fessura B (percorso azzurro nella figura). • Sul rivelatore D4 sono pervenuti solo i fotoni segnale provenienti dalla fessura A (percorso rosso nella figura). • Sui rivelatori D1 e D2 sono pervenuti solo i fotoni Pigri provenienti da entrambe le fessure A e B. Ciò a causa della ridistribuzione casuale effettuata dal beam splitter BSC. Quindi, dai due primi rivelatori (D3 e D4) noi possiamo apprendere il percorso dei fontoni che vi sono pervenuti, Invece, gli altri e due rivelatori (D1 e D2) non lo rendono possibile perché l’informazione è stata annullata dalla distribuzione casuale operata dal beam splitter BSC. Comunque, la lunghezza che i fotoni Pigri hanno percorso dalla fenditura B fino ai rivelatori D1, D2, D3 e D4 è maggiore (di m. 2,5) di quella che i fotoni Segnale hanno percorso dalla fenditura A fino al rivelatore D0. Ciò implica che ogni informazione che possiamo apprendere nei rivelatori D1, D2, D3 e D4 da un fotone Pigro è di 8 ns (nanosecondi) posteriore a quella che nel rivelatore DO abbiamo appreso dal suo entangled (quantisticamente correlato) fotone Segnale. Le informazioni ricavate dal rilevatore D0 vengono poi congiunte con quelle degli altri rilevatori. 70


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Fig. 53

A questo punto, è possibile correlare l’informazione “qualecammino” di questi due gruppi di fotoni con il sotto-insieme corrispondente di fotoni rivelati da D0. Si possono per esempio colorare di viola tutti i punti di impatto in D0 che corrispondono agli impatti in D3 o D4, e si trova che la loro distribuzione non ha alcuna interferenza (ciò in accordo con il fatto che l’informazione “quale-cammino” è conosciuta). Si possono in seguito colorare di rosso tutti gli impatti in D0 corrispondenti agli impatti in D1, ed in blu quelli corrispondenti agli impatti in D2, cioè dopo la cancellazione dell’informazione “quale-cammino”, e si trova che la loro distribuzione mostra due figure di interferenza, una con delle frange per D1 ed una con delle anti-frange per D2, che si annullano quando sono sovrapposte. Al tempo T0 quando D0 è colpito, non appare alcuna interferenza in quanto l’informazione “quale-cammino” è contenuta nel sistema a quel momento. Al tempo T1, che nell’esperimento è qualche nanosecondo più tardi ma che in principio potrebbe essere qualunque tempo futuro quando D1/D2/D3/D4 sono stati colpiti, troviamo una figura di interferenza nei sotto-insiemi correlati delle rivelazioni passate di D0 che hanno subito la cancellazione futura dell’informazione “quale cammino”. Da file:///C:/FISICA%20QUANTISTICA/Percorsi%20Strani.htm I dati raccolti dalla congiunzione di D0 con D1 conterranno una figura di frangia d’interferenza se non sappiamo da quale fenditura (A o B) il fotone è venuto. Lo stesso vale per i dati raccolti dalla congiunzione di D0 con D2. Però nel set dei dati congiunti di D0 e D3 vediamo comparire le frange d’interferenza se sappiamo da quale fenditura il fotone è venuto. A causa della lente, il rivelatore D0 è più vicino degli altri alle doppie fenditure, così esso batte 8 ns prima d’ognuno degli altri rivelatori. Quegli 8 ns sono la ragione per cui questo esperimento è chiamato di 71


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Scelta Ritardata. L’idea è che prima D0 raccoglie i dati, e poi in seguito si scopre da quale fenditura è arrivato il fotone, o no. In altre parole, anche se un fotone Pigro è osservato qualche tempo dopo che il suo entanglement fotone Segnale è arrivato su D0 a causa del percorso ottico più breve, l'interferenza su D0 è determinata dal fatto che il fotone entangled Pigro è rilevato in un rivelatore che conserva le informazioni del percorso (D3 o D4), o in un rivelatore che cancella le informazioni sul percorso (D1 o D2).

SIGNIFICATO Questo risultato è simile a quello dell'esperimento a doppia fenditura quando l'interferenza è osservata fino a che non è nota da quale fenditura il fotone è passato, mentre non si osservano interferenze quando il percorso è noto. Ciò che rende questo esperimento sorprendente è che, a differenza dell'esperimento della doppia fenditura classico, la scelta se mantenere o cancellare le informazioni del percorso non compiuto fino a 8 ns dopo la posizione del fotone, avviene dopo che è già stata effettuata una misura su D0.

RETROCAUSALITÀ Gli esperimenti di scelta ritardata pongono interrogativi sul tempo e sulle sequenze temporali e quindi portano le nostre solite idee di tempo e di sequenza causale in discussione. Se gli eventi su D1, D2, D3 e D4 determinano esiti su D0, allora l'effetto sembra precedere la causa. Se i percorsi di luce Pigra fossero stati molto estesi di modo che fosse trascorso un anno prima che un fotone potesse essersi presentato su uno dei rilevatori (D1, D2, D3 e D4), ciò avrebbe mostrato un segnale fotonico risalente ad un anno prima. In alternativa, la conoscenza del futuro destino del fotone pigro determinerebbe l'attività del fotone nel presente. Nessuna di queste idee è conforme alla normale aspettativa umana della causalità. Il risultato di questo esperimento è sconcertante. . D0 potrebbe, almeno in linea di principio, essere una parte dell'universo (per es. la nostra Terra) e gli altri quattro rivelatori potrebbero essere dall'altro lato dell'universo. L'aspetto notevole sta nel fatto che questo esperimento di laboratorio permette di verificare le assunzioni dall’esperimento mentale della Scelta Ritardata proposto da Wheeler. Infatti, la distanza percorsa dai fotoni 72


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per raggiungere il rivelatore D0 è minore di quella percorsa per raggiungere tutti gli altri rivelatori, e questo assicura che le operazioni di cancellazione praticate sui fotoni Pigri vengano effettivamente eseguite dopo che i fotoni Segnale hanno interagito col rivelatore. La differenza fra i percorsi è di circa 2.5 metri, cosa che equivale ad un ritardo di circa 8 nanosecondi fra le relative rivelazioni. Questo intervallo, se paragonato ai tempi dell'esperimento mentale di Wheeler, sembra esiguo; ma, se lo relazioniamo ai tempi di risposta (circa 1 ns) dei circuiti di coincidenza, basta a dimostrare che ci troviamo comunque dinanzi ad una realizzazione di Cancellazione Ritardata. L'esperimento di Kim e colleghi è stato preso più volte ad esempio e a modello. Molti sperimentatori sono ricorsi a simili strumenti e processi di laboratorio per verificare gli assunti teorici della Cancellazione Quantistica con Scelta Ritardata. Fra gli altri, possiamo ricordare il lavoro del team di V. Jacques del 2006 e di quello di G. Scarcelli del 2007. Si può concludere che questi esperimenti, eseguiti in laboratorio, hanno in qualche modo confermato le previsioni fatte dalla fisica sui processi di Cancellazione Quantistica.

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IL TELETRASPORTO

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IL TELETRASPORTO QUANTISTICO Il teletrasporto quantistico consiste non in un trasferimento di materia alla Star Trek bensì in una istantanea trasmissione di informazione da un punto ad un altro arbitrariamente lontano. Più in dettaglio, nel teletrasporto quantistico è possibile, attraverso il fenomeno dell’entanglement, duplicare istantaneamente “le caratteristiche”(stati quantici) di fotoni, atomi e ioni in altri fotoni, atomi e ioni posti a qualsiasi distanza. Descrizione semplificata del teletrasporto quantistico dello stato di polarizzazione tra un fotone e un altro Supponiamo di voler teletrasportare lo stato di polarizzazione di un fotone Z dal punto A al punto B. A tal scopo si producano, mediante opportuno dispositivo, una coppia di fotoni X e Y correlati e, senza effettuare alcuna misura per non turbare il loro stato entangled, si invii il primo verso il punto A e il secondo verso il punto B. Si indirizzi nel punto A il fotone Z di cui si vuole teletrasportare lo stato di polarizzazione e lo si faccia interagire col fotone X; tale operazione, che dà luogo a uno di quattro possibili risultati (misurazione dello stato di Bell), provoca la distruzione di X e di Z e determina istantaneamente una modifica nello stato del fotone Y. Per perfezionare il teletrasporto bisogna far pervenire, attraverso mezzi convenzionali (telefono, e-mail), il risultato ottenuto in A alla postazione B dove, in base alla comunicazione ricevuta, o si lascia inalterato il nuovo stato di polarizzazione di Y o vi si apporta un semplice modifica (una rotazione di 90°). L’operazione di teletrasporto quantistico dello stato di polarizzazione del fotone Z al fotone Y è così stata effettuata.

I primi esperimenti di teletrasporto sono stati effettuati, tra 1993 e il 1997, da due gruppi di ricerca internazionali diretti rispettivamente da Francesco De Martini dell’Università Sapienza di Roma e da Anton Zeilinger dell'istituto di Fisica Sperimentale di Vienna. Nel 2004, lo stesso De Martini ha effettuato un teletrasporto di 600 metri attraverso una fibra ottica, da una parte all’altra del fiume Danubio.

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Fig. 54

Nel 2006, alcuni ricercatori dell'Istituto Niels Bohr di Copenhagen hanno teletrasportato uno stato collettivo da un gruppo di circa un trilione di atomi a un altro. Il teletrasporto applicato agli atomi – e cioè alla materia – è un processo molto fragile rispetto a quello sui fotoni, a causa del cosiddetto processo detto di decoerenza, che per colpa delle interazioni con l’ambiente distrugge gli effetti quantistici, entanglement compreso. Nel 2010, in Cina, i ricercatori dell’Hefei National Laboratory for Physical Sciences hanno raggiunto i 16 k m e senza l’aiuto di fibre ottiche! Nello stesso anno, alcuni ricercatori cinesi della University of Science and Technology of China di Shanghai diretti da Jian-Wei Pan hanno publicato un articolo in cui annunciano di aver completato con successo un esperimento di teletrasporto di uno stato quantistico di fotoni su una distanza di 97 chilometri, superando di due ordini di grandezza il precedente primato. Pochi giorni dopo, tuttavia, il 17 maggio, il gruppo dell’Università di Vienna guidato da Anton Zeilinger, uno dei pionieri di questo particolare campo di ricerca, ha replicato con una distanza di 147 chilometri, superando così i colleghi di Shanghai. Il gruppo viennese ha battuto il primato di teletrasporto trasferendo lo stato quantistico di fotoni tra due isole delle Canarie, a Km. 147 di distanza. Questi successi aprono la strada a nuovi test su lunghe distanze, usando addirittura satelliti in orbita, e a future tecnologie di comunicazione quantistica di uso pratico.

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Fig. 55- Da La Palma a Tenerife, record di distanza per il teletrasporto

Vista dell'orizzonte dell'isola di La Palma, nelle Canarie, dove il team di Zeilinger ha stabilito il primato di distanza per il teletrasposto quantistico (© Dusko Despotovic/Corbis)

Alla base degli esperimenti sul teletrasporto quantistico vi è l’ormai noto fenomeno dell’entanglement, per il quale due particelle opportunamente preparate (convenzionalmente indicate come “A” e “B” o con i nomignoli Alice e Bob) stabiliscono una correlazione di natura quantistica che si mantiene anche allontanandole a una distanza virtualmente arbitraria. Una misurazione condotta su una delle due fa collassare il suo stato quantistico su un valore definito, e lo stesso avviene per la particella lontana, come se ci fosse una misteriosa interazione istantanea a distanza (spooky action at a distance, come la definì Albert Einstein, che propose per primo il paradosso di questa comunicazione, passato alla 77


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storia come “Paradosso EPR”, da un famoso articolo del 1935 scritto con Boris Podolski e Nathan Rosen). Fig.55

Alla fine degli anni novanta, grazie ai pionieristici studi di Francesco De Martini dell'Università «La Sapienza» di Roma e di Anton Zeilinger, allora all’Università di Innsbruck, la realtà del teletrasporto è stata dimostrata sperimentalmente. Da ciò è nato un fertile filone di ricerca che ha portato a diversi successi, tra cui quello annunciato dallo stesso Pan nel 2010 su una distanza di 16 chilometri. Tuttavia, il risultato era di scarsa applicazione pratica a causa della necessità di preparare i due fotoni entangled in uno spazio molto limitato e non esteso. Per superare questa limitazione, Pan ha introdotto “Charlie”, un intermediario in grado di preparare due fotoni nello stato entangled a una certa distanza, grazie all’invio di un fascio di luce ultravioletta attraverso un cristallo di bario, riuscendo così a teletrasportare lo stato del fotone Alice verso Bob da una sponda all’altra di un lago con una percentuale di successo dell’80 per cento. La distanza era di 97 chilometri in linea d’aria. L’esperimento di Zeilinger si è svolto invece nelle Isole Canarie. Sfruttando nuove tecnologie, quali un’innovativa fonte di fotoni entangled e di rivelatori di fotoni singoli a rumore ultra-basso, e superando notevoli 78


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difficoltà meteorologiche, il gruppo è riuscito a portare a buon fine il teletrasporto dall'isola di La Palma a quella di Tenerife, che distano tra loro 147 chilometri. Con i risultati annunciati da Pan e da Zeilinger s’intravede la possibilità di estendere i test utilizzando i satelliti artificiali in orbita, e, guardando più oltre, di stabilire le basi per tecnologie di comunicazione quantistica di uso pratico.

ENTANGLEMENT QUANTISTICO FRA DIAMANTI Da “Dita di Fulmine” 02/12/013. www.ditadifulmine.net Fig. 56

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I ricercatori dell'Università di Oxford sono riusciti, per la prima volta nella storia dello studio dell'entanglement, a mettere in comunicazione quantistica due oggetti solidi cristallini. Nel caso di un teletrasporto quantistico di luce non si tratta di un vero e proprio teletrasporto, ma di un'istantanea comunicazione tra due particelle, definita "entanglement". L'entanglement non è di certo una novità nella mondo della fisica: molti laboratori nel mondo sono ormai in grado di effettuare esperimenti basati su questo invisibile legame che si instaura tra due particelle. Ma fino ad ora, tutte le sperimentazioni sono state eseguite su "mattoni" di materia dalle dimensioni microscopiche, come i fotoni. Quando due particelle vengono messe sotto entanglement, alcuni dei loro attributi rimangono misteriosamente correlati anche a distanze enormi, e senza alcun tipo di canale di comunicazione fisico. Cambiare una delle proprietà della prima particella, quindi, fa istantaneamente cambiare la stessa proprietà anche nell'altra. Ad esempio, se un elettrone sotto entanglement viene analizzato per scoprire la direzione del suo spin, l'elettrone accoppiato reagirà istantaneamente, anche se la prima particella si trova sulla Terra e la seconda ad anni luce di distanza. "Credo di poter dire con certezza che nessuno riesce a capire la meccanica quantistica" sostenne anni fa il celebre fisico Richard Feynman. In effetti, nessuno fino ad ora è riuscito a capire con precisione il come e il perchè dell'entanglement. Sappiamo, tuttavia, che l'entanglement funziona, è reale, e possiamo eseguire esperimenti su questo bizzarro fenomeno nella speranza di poter capire le sue dinamiche e, se possibile, sfruttarle per creare una nuova era della fisica e della tecnologia. Ciò che i ricercatori del Clarendon Laboratory della University of Oxford hanno fatto è stato mettere in pratica il livello successivo di entanglement quantistico: invece delle tradizionali particelle, i ricercatori sono stati capaci di mettere sotto entanglement due oggetti solidi. L'esperimento è stato eseguito utilizzando diamanti delle dimensioni di qualche millimetro, "e non atomi individuali, o nubi di gas" spiega Ian Walmsley, professore di fisica sperimentale al Clarendon Lab. "Abbiamo utilizzato brevi impulsi laser con la durata di 100 femtosecondi per ciascun impulso" continua Walmsley. "Un femtosecondo sta ad un secondo come un nichelino sta al debito federale americano, per metterla in soldoni". I diamanti sono stati scelti per la facilità nel misurare la loro vibrazione molecolare, e per il fatto che sono trasparenti alla luce visibile. La vibrazione dei cristalli del primo diamante, innescata dal laser, ha immediatamente suscitato una reazione nel secondo diamante, i cui cristalli hanno iniziato a vibrare allo stesso ritmo di quelli del primo.

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"Rimane comunque un modo molto poco intuitivo per vedere la materia" ammette Walmsley. Resta il fatto che, per la prima volta, si è riusciti a mettere sotto entanglement due oggetti enormi rispetto ad una particella fondamentale, e a temperatura ambiente. Questo rappresenta il primo, reale passo verso una tecnologia basata sulla meccanica quantistica. Immaginate, infatti, di poter mettere sotto entanglement due cristalli, e di riuscire a farli vibrare in modo controllato secondo uno schema binario. Vibrazioni piÚ o meno lunghe, rappresentanti sequenze di 0 e 1, potrebbero essere trasmesse a distanze virtualmente infinite in tempo zero, ed essere decodificate dalla stazione di ricezione per essere trasformate in informazioni utilizzabili da un computer. La possibilità di utilizzare l'entanglement in modo pratico sta diventando di giorno in giorno sempre piÚ concreta.

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13 Dicembre 2006 Misteri dell'interazione istantanea e oltre Intervista ad Anton Zeilinger Il fisico viennese Anton Zeilinger parla del teletrasporto, dell'informazione costitutiva di un essere umano e della libertà in fisica. Lei personalmente sarebbe assolutamente contrario al concetto di trasbordo. Perché? Perché dà un'impressione sbagliata del mio lavoro. Il "Trasbordo" ["Beaming", orig.] è presente solo nelle rappresentazioni cinematografiche della scienza, in cui è stato usato come un dispositivo per far soldi. In realtà, dover raggiungere tutti quei pianeti aumentava molto i costi di produzione. Il teletrasporto è conveniente: basta contare fino a tre e ti ritrovi da qualche altra parte. Ma c'è una grande differenza rispetto a ciò che stiamo facendo qui. Cosa state facendo? Stiamo trasferendo le proprietà delle particelle di luce ad una certa distanza dentro altre particelle di luce, senza ritardo temporale. La procedura è basata su un fenomeno che esiste solo nel mondo quantistico, conosciuto come "teletrasporto quantistico". Suona eccitante quasi quanto "trasbordo" ["beaming", orig.]. Sì, ma ci sono due grandi differenze. Primo, noi trasferiamo proprietà, non materia. Secondo, finora abbiamo avuto il maggior successo con le particelle di luce e occasionalmente con atomi, non con oggetti di grandi dimensioni. Nel 1997 il suo gruppo ha effettuato con successo il primo teletrasporto 82


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quantistico. Quale distanza può essere attraversata oggi con questa tecnica? Fig. 57- Illustrazione del teletrasporto di particelle di luce sotto il Danubio

Lo scorso anno abbiamo trasportato particelle di luce per una distanza di 600 metri sotto il Danubio - questo è l'attuale record mondiale. Dico sempre che quando gli americani davvero inizieranno la loro missione per Marte, il viaggio di 280 giorni sarà mortalmente noioso per gli astronauti. Loro potrebbero essere interessati a prendere parte in alcuni esperimenti di teletrasporto lungo il tragitto e si incrementerebbe il record a centinaia di milioni di chilometri o più. Lei ha detto che trasferite solo proprietà, non particelle. "Copiare" non sarebbe un'espressione più accurata rispetto a "Teletrasportare"? No. Primo, differisce dalla semplice copia in quanto l'originale perde le sue caratteristiche. Questo è qualcosa di pazzesco che può esistere solo nel mondo quantistico. Lei può realmente rimuovere tutte le proprietà di una particella e fornirle ad un'altra. Ma entrambe le particelle rimangono dove sono. Sì, ma la questione è: come posso io riconoscere un originale? Io sostengo: solo attraverso le sue proprietà. La materia in sè è completamente irrilevante. Se cambio tutti i miei atomi di carbonio con altri atomi di carbonio, io sono ancora Anton Zeilinger.

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Questo succede nel corso della nostra vita. Noi continuamente cambiamo le nostre proprie cellule. Esattamente. L'unica cosa importante sono le mie proprietà e esse sono basate sull'ordine degli atomi - quello che mi permette di essere chi sono. Gli atomi non sono importanti in sè. Quindi quando traferiamo le caratteristiche durante il teletrasporto, in questo senso noi realmente trasferiamo gli originali. Qualche gruppo di fisici ha già teletrasportato singoli atomi. Quindi cosa davvero manca dal trasbordare esseri umani? Noi qui stiamo parlando di fenomeni quantistici - non abbiamo idea di come produrre questi effetti con oggetti di grandi dimensioni. Ed anche se fosse possibile, il problema da affrontare potrebbe essere enorme. Primo, per ragioni fisiche, l'originale dovrebbe essere completamente isolato dal suo ambiente affinché il trasbordo funzioni. Ciò richiede il vuoto assoluto, ed è abbastanza risaputo che questo non è particolarmente salutare per gli esseri umani. Secondo, lei vorrebbe prendere tutte le proprietà da una persona e trasferirle in un'altra. Questo significa produrre un essere che non ha più nessun colore di capelli, nessun colore degli occhi, nulla. Un uomo senza qualità! Questo non manca solo di etica - è così folle da essere impossibile da immaginare. Beh, a Vienna forse... Ma lei ha detto che un altro problema era la mole di informazioni. Una volta ha calcolato che se registrassimo tutte le informazioni di un essere umano dentro dei CD, dovrebbero essercene a sufficienza per formare una pila che da qui raggiungerebbe il centro della via lattea. Questo era qualche anno fa. Con la tecnologia attuale la pila non sarebbe ancora così alta. Ma possiamo fare un calcolo grossolano. Gli atomi in un essere umano sono l'equivalente di una massa di informazione di circa mille miliardi di miliardi di miliardi di bit. Sempre con le tecnologie di punta oggi, questo significa che occorrerebbero 30 miliardi di anni per trasferire questa mole di dati. Questo è il doppio dell'età dell'universo. Quindi ci serve un maggior numero di passi avanti nella tecnologia, innanzitutto. Quali pensa che siano i limiti del teletrasporto? Chi lo sa, forse tra un migliaio di anni saremo davvero capaci di teleportare una tazza di caffè. Ma attenzione: anche la più piccola in-

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terferenza potrebbe significare che la tazza arrivi senza il manico. Questo metodo è di gran lunga troppo pericoloso per gli umani. Perché la procedura è così sensibile ai disturbi? In quanto ogni disturbo - e questo vale per una misura o un'osservazione - altera lo stato delle particelle coinvolte nel trasporto. Le regole della fisica quantistica sono completamente diverse da quelle del mondo in cui viviamo. Per il teletrasporto qunatistico noi usiamo il metodo della correlazione [entanglement]. Questo è un particolare stato che connette due o più particelle, ma che scompare tanto in fretta quanto prima si cerca di osservarlo dall'esterno. Correlazione [Entanglement] - possiamo immaginarla come... ...non c'è modo di immaginarla. Il fisico austriaco Erwin Schrödinger ha coniato il termine nel 1935 ed ha anche detto che il garbuglio nei fenomeni della fisica quantistica è tale da costringerci a dire addio a tutte le nostre idee più care circa il mondo. Ci aiuti a farlo! Quando due particelle colidono come palle da biliardo nel mondo quantistico, esse sono immediatamente collegate o correlate. Nessuna delle due ha una posizione chiaramente definita o un preciso momento (quantità di energia): posizione e velocità sono incerte, appunto. Il famoso principio di indeterminazione di Heisemberg. Esattamente. Ma poi io posso fare una misura, diciamo, del momento di una delle particelle correlate. A causa di questa misura, il momento che era prima incerto, adesso può essere determinato. La cosa particolare è che nello stesso istante la seconda particella acquista un ben preciso momento. Non ha importanza quanto distante essa sia. Albert Einstein chiamò questo effetto "azione imprevedibile[spooky] a distanza". Esatto. Ma il veramente strano deve ancora venire. Non vedo l'ora. Il risultato delle mie misure sulla prima particella è totalmete casuale. Non c'è modo di predirlo, in linea di principio. Ma appena ho il risultato, posso dedurre il momento della seconda particella. 85


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Quindi posso misurare accuratamente il momento della seconda particella, anche se è a miliardi di chilometri di distanza. Teoricamente sì. L'effetto è stato provato al massimo con una distanza di cento chilometri. La cosa pazzesca è che non c'è stato scambio di informazione tra le due particelle. Esse reagiscono assolutamente in sincrono, sebbene ognuna di esse non può sapere nulla dell'esistenza dell'altra. Può pensare a due dadi lontani tra loro che si fermano sempre sullo stesso numero, senza che ci sia nessun tipo di meccanismo che li connette. Assurdo! Incertezza, coincidenza, effetti imprevedibili - tutto ciò non la stordisce certe volte? E' tutto piuttosto folle. L'effetto imprevedibile a distanza è un processo fuori dal tempo e dallo spazio che neanche io riesco a immaginare. Ma credo che la fisica quantistica ci dica qualcosa di davvero profondo riguardo al mondo. E cioè che il mondo non è come è indipendentemente da noi. Così le caratteristiche del mondo sono in qualche misura dipendenti da noi. Questo suona quasi New Age. Bisogna stare attenti a non equivocare. Io intendo questo: lo sperimentatore può determinare attraverso la sua scelta dello strumento di misura quale grandezza fisica diventa realtà. Prenda una particella con una posizione e una velocità incerte. Quando lei la guarda attraverso un microscopio e la localizza, la particella le fornisce una risposta: "Io sono qui". Questo significa che la posizione diventa realtà in quel momento. Prima, la particella non ha posizione alcuna. Con la scelta di misurare noi abbiamo influenzato la realtà oltre le nostre aspettative. Ma la risposta che la natura ci fornisce è completamente casuale. Io scelgo lo strumento di misura e la natura sceglie il risultato? Giusto. Io chiamo questo "le due libertà" La prima è quella dello sperimentatore nella scelta dello strumento di misura - questo dipende dalla mia libertà di volere [la scelta]; e poi la libertà della natura nel fornirmi la risposta che più le piace. Una libertà condiziona l'altra, per così dire. Questa è veramente una proprietà sottile. E' troppo grave che i filosofi non dedichino molto tempo a riflettere su ciò. Mi piacerebbe tornare sue queste libertà. Primo, se lei assumesse che non ci sia libertà di scelta - e ci sono persone che sostengono questa 86


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posizione - allora può fare a meno di tutte le follie della meccanica quantistica in un sol colpo. Vero - ma solo se lei assume un mondo completamente determinato dove ogni cosa che è accaduta, assolutamente ogni cosa, è fissata in una grande rete di causa-effetto. Allora c'è stato un evento nel passato che potrebbe aver determinato sia la mia scelta dello strumento di misura che il comportamento della particella. Quindi la mia scelta non è più una scelta, l'incidente casuale non è più casuale e l'azione a distanza non è più tale. Può accettare una simile idea? Non posso escludere che il mondo sia fatto così. Ma per me la libertà di fare domande sulla natura è una delle conquiste essenziali delle scienze naturali. E' una scoperta del Rinascimento. Per i filosofi e i teologi del tempo doveva sembrare incredibilmente presuntuoso che le persone improvvisamente iniziassero a ideare esperimenti e a fare domande sulla natura e a dedurre leggi naturali, che erano di fatto esclusiva di Dio. Per me ogni esperimento sta in piedi o cade assieme al fatto che io sono libero di fare domande e effettuare le misurazioni che voglio. Se questo è tutto determinato, allora le leggi di natura apparirebbero solo come leggi e le scienze naturali nella loro interezza cadrebbero. Ci sono fisici che propugnano il completo determinismo? Ne ho incontrato uno. Quando ero molto più giovane e maleducato di oggi, e l'ho intenzionalmente insultato pubblicamente in una conferenza. Lui era infuriato. Gli ho detto: "Perché sei seccato? Nè tu nè io siamo liberi in quello che facciamo." Mi piacerebbe arrivare alla seconda libertà: La libertà della natura. Lei ha detto che, per esempio, la velocità o la posizione di una particella sono solo determinate al momento della misura ed in modo completamente casuale. Io sostengo: E' così casuale che nemmeno Dio conosce la risposta. In ultimo, questo implica qualcosa di mostruoso: ossia che la particella non ha assolunamente nessuna caratteristica prima che questa venga misurata. Il grande fisico Niels Bohr una volta disse: "Nessuno ha mai visto una sedia". Non c'è una realtà oggettiva. Solo ciò che viene misurato esiste. Noi costruiamo la realtà e lo facciamo solo nel momento dell'osservazione o della misura.

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Credo che lei debba fare una distinzione: secondo me c'è qualcosa che esiste indipendentemente da noi. In fisica lo chiamiamo l'evento singolare. Per esempio l'attività di un rilevatore di particelle. O l'attività di certe cellule nel mio occhio, che registra un certo numero di particelle di luce e poi provoca una reazione chimica che viene successivamente registrata nel cervello. L'immagine che creiamo alla base di esso sono nostre costruzioni. La sedia di Bohr o ad un livello più astratto, l'equazione di stato della meccanica quantistica o i nostri concetti su un oggetto. Naturalmente siamo molto orientati agli scopi, in quanto ci siamo abituati con un uso ripetuto degli oggetti. Quindi c'è di fatto qualcosa che esiste indipendentemente da noi. E la luna è comunque lì anche se io non la guardo. Qualcosa esiste, ma non ci è direttamente accessibile. Solo indirettamente. E se questa cosa deve essere davvero chiamata "luna" è un'altra questione. Questa è anche un costrutto. Ma c'è qualcosa lì sopra... ...la parola "lì" è un altro costrutto. Spazio e tempo sono concetti finalizzati a dare significato al nostro mondo di apparenze. Quindi sono costrutti del tutto razionali. Non voglio in nessun modo dare l'impressione che io creda che ogni cosa sia semplicemente una nostra immaginazione. Il mondo è un enorme teatro che è rappresentato solo nelle nostre teste. Questa non è certamente la mia visione delle cose. Quindi come vuole chiamarlo, questo qualcosa che non può chiamare luna o spazio o tempo - questo qualcosa che esiste indipendentemente da noi? Non starei dando un'altra qualificazione se cercassi di dargli un nome? Non sarebbe sufficiente dire semplicemente che esiste? Appena utilizza parole come "mondo" o "universo", lei ricomincia a trascinarsi dietro tutta quella zavorra concettuale. Ma lei difende la tesi che c'è una "materia originaria (costitutiva, ndt.) dell'universo": l'informazione. Sì. Per me il concetto di informazione è alla base di ogni cosa che noi chiamiamo "natura". La luna, la sedia, l'equazione degli stati, niente e tutto, in quanto non possiamo parlare di alcunché senza de facto parla88


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re dell'informazione che noi abbiamo di queste cose. In questo senso l'informazione è il blocco costruttivo basilare del nostro mondo. Ma proprio ora noi stiamo parlando di un mondo che esiste indipendentemente da noi. E' vero. Ma questo mondo non è direttamente accertabile o descrivibile. Questo perché ogni descrizione deve essere fatta in termini di informazione e quindi lei entra inevitabilmente in un ragionamento circolare. C'è un limite che non possiamo attraversare. E anche una civiltà su Alpha Centauri non può attraversarlo. Per me questo è qualcosa di quasi mistico. Nel suo ultimo libro lei ha scritto: "Le leggi di natura non dovrebbero fare distinzioni tra realtà e informazione." Perché? Noi abbiamo imparato nelle scienze naturali che la chiave di lettura può essere spesso trovata se rimuoviamo certe linee di demarcazione nelle nostre menti. Newton ha mostrato che la mela cade al suolo in accordo a certe leggi che governano l'orbita della luna intorno alla Terra. E con questo ha reso obsoleta la vecchia differenziazione tra fenomeni terrestri e fenomeni celesti. Darwin ha mostrato che non ci sono linee divisorie tra l'uomo e gli animali. Ed Einstein ha rimosso la linea di demarcazione tra spazio e tempo. Ma nelle nostre menti, noi ancora tracciamo una linea di separazione tra "realtà" e "conoscenza sulla realtà", in altre parole tra realtà e informazione. E lei non può tracciare questa linea. Non c'è nessuna regola, nessun processo di distinzione tra realtà e informazione. Tutto questo pensare sulla realtà è pensare sull'informazione, che è il motivo per cui lei non può fare questa distinzione in una formulazione delle leggi di natura. La meccanica quantistica, correttamente interpretata, è una teoria dell'informazione. E può definitivamente spiegare tutti questi strani fenomeni quantistici col suo concetto di informazione? Non ancora tutti, ma ci stiamo lavorando sopra. Con la limitazione funziona in modo eccellente. Come? Io immagino che un sistema quantistico può portare solo una limitata quantità di informazione, che è sufficiente solo per una singola misurazione. Torniamo indietro alla situazione delle due particelle che collidono come palle da biliardo così da entrare in uno stato di limitazione. In termini di teoria dell'informazione questo significa che l'informazione è 89


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distribuita su entrambe le particelle, invece che su ogni particella che individualmente porta l'informazione. E questo significa che l'intera informazione che abbiamo pertiene alla relazione tra le due particelle. Per questa ragione, dalla misurazione della prima particella posso anticipare la velocità della seconda. Ma la velocità della prima particella è completamente casuale. In quanto l'informazione non è sufficiente. Esatto. La sua casualità è in ultimo una conseguenza della finitezza dell'informazione. Professor Zeilinger, lei appartiene alla rara specie di fisici filosofanti. Una volta ce n'erano di più, specialmente in Austria: Wolfgang Pauli, Schrödinger, Ludwig Boltzmann, Ernst Mach... Non solo in Austria. Può essere che Vienna sia una città speciale, ma c'era e c'è ancora una tradizione in Europa di pensiero filosofico tra i fisici. Me ne accorsi nel 1977, quando andai in America per la prima volta. Già dopo un po' di settimane ho iniziato a sentire la mancanza della discussione di stampo filosofico. Qui noi siamo più pronti a farci domande davvero fondamentali. In Europa è importante chiedere cose. In America è importante essere in grado di costruire qualcosa. Io non intendo dire che questo sia totalmente negativo. E' probabilmente la ragione della superiorità americana, specialmente in tecnologia. Certamente. Ed ha anche a che fare con lo spirito pionieristico e con il "successo" nelle scienze naturali durante la seconda guerra mondiale. Ma penso che l'approccio europeo sia di maggior successo a lungo termine. Precisamente nel caso di quelli che sono i maggiori problemi che la fisica affronta. Noi ora stiamo lavorando all'unificazione della gravitazione e della fisica quantistica da quasi ottant'anni - ci deve essere qualcosa di sbagliato nella nostra concezione. Sono convinto che potremo riuscirci solo con un approccio filosofico completamente nuovo. Ma in tempi recenti ha anche avanzato una idea prettamente in stile americano: una università di elite per l'Austria. Sì, abbiamo cercato un buon nome per qualche tempo. Adesso è chiamata "Istituto Austriaco di Scienza Avanzata e Tecnologia". L'idea è di creare una istituzione scientifica a livello mondiale, di quelle in grado di attrarre le migliori persone. Qualcosa come l'ETH di Zurigo, ma...

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...un po' meglio? Già, in qualche ambito l'ETH è molto, molto buono, ma non in ogni ambito. Questo è il maggiore svantaggio delle università europee, ossia questo miscuglio di eccellenza e mediocrità. Lei può trovare questo in quasi tutte le università in Europa. In America, per contrasto, le differenze di qualità esistono più tra diverse istituzioni. Ce ne sono alcune di primissimo livello, ma ce ne sono altre molto mediocri ed altre molto povere. La mia idea è un'università solo per attività di dottorato e postdottorato. Cinquecento persone al massimo, un campus dove la gente costantemente discute e si scambia idee. Nella mia esperienza i migliori risultati si ottengono quando c'è un alto grado di cooperazione interdisciplinare. Quanto è lontano nel tempo l'Istituto Austriaco? Il progetto è pronto, il governo ha espresso la sua approvazione, quello che manca è il denaro. Probabilmente non è economico. Il costo non è più alto che qualche chilometro di autostrada: dai cinquanta agli ottanta milioni di euro di capitali iniziali e circa lo stesso importo per coprire ogni anno i costi operativi. Sono convinto che l'Austria ne abbia bisogno. E sono anche convinto che in dieci o venti anni la nostra regione avrà una università di livello mondiale. La questione è: Quì, a Bratislava o a Varsavia?

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DAVID BOHM

L'Universo è un'illusione ovvero, il "paradigma olografico" di Richard Boylan (per gentile concessione di www.extraterrestre.it) con commenti e immagini a cura di XmX rif. 310102-050402

Le teorie di Aspect, Bohm, Pribram sulla nuova fisica scuotono i principi della scienza tradizionale: dalle particelle subatomiche alle galassie giganti, tutto è parte infinitesimale e totalità di "Tutto". << Nel 1982 un'équipe di ricerca dell'Università di Parigi, diretta dal fisico Alain Aspect, condusse forse il più importante esperimento del 20º secolo. Aspect ed il suo team scoprirono che, sottoponendo a determinate condizioni delle particelle subatomiche come gli elettroni, esse sono capaci di comunicare istantaneamente una con l'altra indipendentemente dalla distanza che le separa, sia che si tratti di 10 metri o di 10 miliardi di chilometri. Come se ogni singola particella sappia esattamente cosa stiano facendo tutte le altre. Un fenomeno che può essere spiegato solo in due modi: o la teoria di Einstein - che esclude la possibilità di comunicazioni più veloci della luce - è da considerarsi errata, oppure le particelle subatomiche sono connesse non-localmente. La maggior parte dei fisici nega la possibilità di fenomeni che oltrepassino la velocità della luce, ma l'esperimento di Aspect rivoluzione il postulato provando che il legame tra le particelle subatomiche è effettivamente di tipo non-locale. David Bohm, celebre fisico dell'Università di Londra recentemente scomparso, sosteneva che le scoperte di Aspect implicassero la non-esistenza della realtà oggettiva. Vale a dire che, nonostante la sua apparente solidità, l'Universo è in realtà un fantasma, un ologramma gigantesco e splendidamente dettagliato. 92


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Fig. 58- David Bohm

Fig. 59- Ologrammi, la parte e il tutto Per capire la sbalorditiva affermazione di Bohm gettiamo uno sguardo alla natura degli ologrammi. Un ologramma è una fotografia tridimensionale prodotta con l'aiuto di un laser: l'oggetto da fotografare viene prima immerso nella luce di un raggio laser, poi un secondo raggio laser viene fatto rimbalzare sulla luce riflessa del primo e lo schema risultante dalla zona di interferenza dove idue raggi si incontrano viene impresso sulla pellicola fotografica. Quan93


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do la pellicola viene sviluppata risulta visibile solo un intrico di linee chiare e scure ma, illuminata da un altro raggio laser, ecco apparire il soggetto originale. a tridimensionalità non è l'unica caratteristica interessante degli ologrammi: se l'ologramma di una rosa viene tagliato a metà e poi illuminato da un laser, si scopre che ciascuna metà contiene ancora l'intera immagine della rosa.

Fig. 60

Fig. 61

Anche continuando a dividere le due metà, vedremo che ogni minuscolo frammento di pellicola conterrà sempre una versione più piccola, ma intatta, della stessa immagine. Diversamente dalle normali fotografie, ogni parte di un ologramma possiede tutte le informazioni possedute dal’ologramma integro.

L’affermazione secondo cui ogni frammento dell'ologramma conterrebbe tutta l'informazione, non è esatta: si verifica sempre una certa perdita di informazione, tanto maggiore quanto più è piccolo il frammento. Questo però non invalida affatto l'ipotesi dell'Universo olografico, ma anzi, restringe le reciproche influenze delle cose (da una precedente inconcepibile infinitezza ad ambiti più circoscritti) rendendo tutta la teoria ancor più credibile.

La rana, l'atomo e la rosa Per quasi tutto il suo corso la scienza occidentale ha agito sotto il preconcetto che il modo migliore di capire un fenomeno fisico, che si trattasse di una rana o di un atomo, era quello di sezionarlo e di studiarne le varie parti. Gli ologrammi ci insegnano che alcuni fenomeni possono esulare da tale approccio. Bohm lo intuì, aprendo una strada alla comprensione della scoperta del professor Aspect. Per Bohm il motivo per cui le particelle subatomiche restano in contatto indipendentemente dalla distanza che le separa risiede nel fatto che la loro separazione è un'illusione. Era infatti convinto che, ad un livello di re94


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altà più profondo, tali particelle non sono entità individuali, ma estensioni di uno stesso "organismo" fondamentale. Bohm semplificava con un esempio: immaginate un acquario contenente un pesce. Immaginate che l'acquario non sia visibile direttamente, ma solo attraverso due telecamere, una posizionata frontalmente e l'altra lateralmente rispetto all'acquario [vedi figura]. Fig. 62

Guardando i due monitor televisivi possiamo pensare che i pesci siano due entità separate, la differente posizione delle telecamere ci darà infatti due immagini lievemente diverse. Ma, continuando ad osservare i due pesci, alla fine ci accorgeremo che vi è un certo legame tra loro: quando uno si gira, anche l'altro si girerà; quando uno guarda di fronte a sé, l'altro guarderà lateralmente. Essendo all'oscuro dello scopo reale dell'esperimento, potremmo credere che i due pesci comunichino tra loro, istantaneamente e misteriosamente. Secondo Bohm il comportamento delle particelle subatomiche indica che esiste un livello di realtà del quale non siamo consapevoli, una dimensione che oltrepassa la nostra. Se le particelle subatomiche ci appaiono separate è perché siamo capaci di vedere solo una porzione della loro realtà, esse non sono "parti" separate bensì sfaccettature di un'unità più profonda e basilare, che risulta infine altret95


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tanto olografica ed indivisibile quanto la nostra rosa. E poiché ogni cosa nella realtà fisica è costituita da queste "immagini", ne consegue che l'Universo stesso è una proiezione, un ologramma.

Il magazzino cosmico Oltre alla sua natura illusoria, questo universo avrebbe altre caratteristiche stupefacenti: se la separazione tra le particelle subatomiche è solo apparente, ciò significa che, ad un livello più profondo, tutte le cose sono infinitamente collegate. Gli elettroni di un atomo di carbonio del cervello umano sono connessi alle particelle subatomiche che costituiscono ogni salmone che nuota, ogni cuore che batte ed ogni stella che brilla nel cielo. Tutto compenetra tutto. Sebbene la natura umana cerchi di categorizzare, classificare e suddividere i vari fenomeni, ogni suddivisione risulta necessariamente artificiale e tutta la natura non è altro che una immensa rete ininterrotta. In un universo olografico persino il tempo e lo spazio non sarebbero più dei principi fondamentali. Concetti come la località vengono infranti in un universo dove nulla è veramente separato dal resto, sicché anche il tempo e lo spazio tridimensionale (come le immagini del pesce sui monitor TV) dovrebbero venire interpretati come semplici proiezioni di un sistema più complesso. Al suo livello più profondo la realtà non è ltro che una sorta di super-ologramma dove il passato, il presente ed il futuro coesistono simultaneamente. Disponendo degli strumenti appropriati un giorno potremmo spingerci entro quel livello della realtà e cogliere delle scene del nostro passato da lungo tempo dimenticato. Cos'altro possa contenere il super-ologramma resta una domanda senza risposta. In via ipotetica, ammettendo che esso esista, dovrebbe contenere ogni singola particella subatomica che sia, che sia stata e che sarà, nonché ogni possibile configurazione di materia ed energia: dai fiocchi di neve alle stelle, dalle balene ai raggi gamma. Dovremmo immaginarlo come una sorta di magazzino cosmico di Tutto-ciò-che-Esiste. Bohm si era addirittura spinto a supporre che il livello super-olografico della realtà potrebbe non essere altro che un semplice stadio intermedio oltre il quale si celerebbe un'infinità di ulteriori sviluppi. Poiché il termine ologramma si riferisce di solito ad una immagine statica che non coincide con la natura dinamica e perennemente attiva del nostro universo, Bohm preferiva descrivere l'Universo col termine "olomovimento". Affermare che ogni singola parte di una pellicola olografica contiene tutte le informazioni in possesso della pellicola integra significa semplicemente dire che l'informazione è distribuita non-localmente. Se è vero che l'Universo è organizzato secondo principi olografici, si suppone 96


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che anch'esso abbia delle proprietà non-locali e quindi ogni particella esistente contiene in se stessa l'immagine intera. Dato il presupposto, tutte le manifestazioni della vita provengono da un'unica fonte di causalità che include ogni atomo dell'Universo. Dalle particelle subatomiche alle galassie giganti, tutto è allo stesso tempo parte infinitesimale e totalità di "tutto". Miliardi di informazioni... Lavorando nel campo della ricerca sulle funzioni cerebrali, anche il neurofisiologo Karl Pribram, dell'Università di Stanford, si è convinto della natura olografica della realtà. Numerosi studi, condotti sui ratti negli anni '20, avevano dimostrato che i ricordi non risultano confinati in determinate zone del cervello: dagli esperimenti nessuno però riusciva a spiegare quale meccanismo consentisse al cervello di conservare i ricordi, fin quando Pribram non applicò a questo campo i concetti dell'olografia. Egli ritiene che i ricordi non siano immagazzinati nei neuroni o in piccoli gruppi dineuroni, ma negli schemi degli impulsi nervosi che si intersecano attraverso tutto il cervello, proprio come gli schemi dei raggi laser che si intersecano su tutta l'area del frammento di pellicola che contiene l'immagine olografica. Quindi il cervello stesso funziona come un ologramma e la teoria di Pribram spiegherebbe come il cervello riesca a contenere una tale quantità di ricordi in uno spazio così limitato. Quello umano può immagazzinare circa 10 miliardi di informazioni, durante la durata media di vita (approssimativamente l'equivalente di cinque edizioni dell'Enciclopedia Treccani!). Di converso, si è scoperto che gli ologrammi hanno una sorprendente possibilità di memorizzazione, infatti semplicemente cambiando l'angolazione con cui due raggi laser colpiscono una pellicola fotografica, si possono accumulare miliardi di informazioni in un solo centimetro cubico di spazio. ...ma anche di idee La nostra stupefacente capacità di recuperare velocemente una qualsivoglia informazione dall'enorme magazzino cerebrale risulta spiegabile più facilmente supponendone un funzionamento secondo principi olografici. Inutile, quindi, scartabellare nei meandri di un gigantesco archivio alfabetico cerebrale, perché ogni frammento di informazione sembra essere sempre istantaneamente correlato a tutti gli altri:si tratta forse del massimo esempio in natura di un sistema a correlazione incrociata. Nell'ipotesi di Pribram si analizza la capacità del cervello di tradurre la valanga di frequenze luminose, sonore, ecc. ricevute tramite i sensi, nel mondo concreto delle percezioni. Codificare e decodificare frequenze è esattamente quello che un ologramma sa fare meglio, fungendo da strumento di traduzione per convertire un ammasso di frequenze prive di significato in 97


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duzione per convertire un ammasso di frequenze prive di significato in una immagine coerente: il cervello usa gli stessi principi olografici per convertire matematicamente le frequenze ricevute in percezioni interiori. Vi è una impressionante quantità di dati scientifici a conferma della teoria di Pribram, ormai condivisa da molti altri neurofisiologi. Il ricercatore italo-argentino Hugo Zucarelli ha applicato il modello olografico ai fenomeni acustici, incuriosito dal fatto che gli umani possono localizzare la fonte di un suono senza girare la testa, pur sordi da un orecchio. Ne risulta che ciascuno dei nostri sensi è sensibile ad una varietà di frequenze molto più ampia. Ad esempio: il nostro sistema visivo è sensibile alle frequenze sonore, il nostro olfatto percepisce anche le cosiddette "frequenze osmiche" e persino le cellule biologiche sono sensibili ad una vasta gamma di frequenze. Tali scoperte suggeriscono che è solo nel dominio olografico della coscienza che tali frequenze possono venire vagliate e suddivise.

La realtà? Non esiste. Ma l'aspetto più sbalorditivo del modello cerebrale olografico di Pribram è ciò che risulta unendolo alla teoria di Bohm. Se la concretezza del mondo non è altro che una realtà secondaria e ciò che esiste non è altro che un turbine olografico di frequenze e se persino il cervello è solo un ologramma che seleziona alcune di queste frequenze trasformandole in percezioni sensoriali, cosa resta della realtà oggettiva? In parole povere: non esiste. Come sostenuto dalle religioni e dalle filosofie orientali, il mondo materiale è una illusione. Noi stessi pensiamo di essere entità fisiche che si muovono in un mondo fisico, ma tutto questo è pura illusione. In realtà siamo una sorta di "ricevitori" che galleggiano in un caleidoscopico mare di frequenze e ciò che ne estraiamo lo trasformiamo magicamente in realtà fisica: uno dei miliardi di "mondi" esistenti nel superologramma. Questo impressionante nuovo concetto di realtà è stato battezzato "paradigma olografico" e sebbene diversi scienziati lo abbiano accolto con scetticismo, ha entusiasmato molti altri. Un piccolo, ma crescente, gruppo di ricercatori è convinto si tratti del più accurato modello di realtà finora raggiunto dalla scienza. In un Universo in cui le menti individuali sono in effetti porzioni indivisibili di un ologramma e tutto è infinitamente interconnesso, i cosiddetti "stati alterati di coscienza" potrebbero semplicemente essere il passaggio ad un livello olografico più elevato. Se la mente è effettivamente parte di un continuum, di un labirinto collegato non solo ad ogni altra mente esistente o esistita, ma anche ad ogni atomo, organismo o zona nella vastità dello spazio, ed al tempo stesso, il fatto che

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essa sia capace di fare delle incursioni in questo labirinto e di farci sperimentare delle esperienze extracorporee, non sembra più così strano. Coscienza e visualizzazione Il paradigma olografico presenta implicazioni anche nelle cosiddette scienze pure, come la biologia. Keith Floyd, uno psicologo del Virginia Intermont College, ha sottolineato il fatto che se la concretezza della realtà non è altro che una illusione olografica, non potremmo più affermare che la mente crea la coscienza (cogito ergo sum). Al contrario, sarebbe la coscienza a creare l'illusoria sensazione di un cervello, di un corpo e di qualunque altro oggetto ci circondi che noi interpretiamo come "fisico". Una tale rivoluzione nel nostro modo di studiare le strutture biologiche spinge i ricercatori ad affermare che anche la medicina e tutto ciò che sappiamo del processo di guarigione verrebbero trasformati dal paradigma olografico. Infatti, se l'apparente struttura fisica del corpo non è altro che una proiezione olografica della coscienza, risulta chiaro che ognuno di noi è molto più responsabile della propria salute di quanto riconoscano le attuali conoscenze nel campo della medicina. Quelle che noi ora consideriamo guarigioni miracolose potrebbero in realtà essere dovute ad un mutamento dello stato di coscienza che provochi dei cambiamenti nell'ologramma corporeo. Allo stesso modo, potrebbe darsi che alcune controverse tecniche di guarigione alternative come la "visualizzazione" risultino così efficaci perché nel dominio olografico del pensiero le immagini sono in fondo reali quanto la "realtà

Il mondo è una tela bianca Perfino le visioni ed altre esperienze di realtà non ordinaria possono venire facilmente spiegate se accettiamo l'ipotesi di un universo olografico. Nel suo libro "Gifts of Unknown Things", il biologo Lyall Watson descrive il suo incontro con una sciamana indonesiana che, eseguendo una danza rituale, era capace di far svanire istantaneamente un intero boschetto di alberi. Watson riferisce che mentre lui ed un altro attonito osservatore continuavano a guardare, la donna fece velocemente riapparire e scomparire gli alberi diverse volte. Sebbene le conoscenze scientifiche attuali non ci permettano di spiegarle, esperienze come queste diventano più plausibili qualora si ammetta la natura olografica della realtà. In un universo olografico non vi sono limiti all'entità dei cambiamenti che possiamo apportare alla sostanza della realtà, perché ciò che percepiamo come realtà è soltanto una tela in attesa che noi vi si dipinga sopra qua99


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lunque immagine vogliamo. Tutto diviene possibile, dal piegare cucchiai col potere della mente, ai fantasmagorici eventi vissuti da Carlos Castaneda durante i suoi incontri con Don Juan, lo sciamano Yaqui. Nulla di più, né meno, miracoloso della capacità che abbiamo di plasmare la realtà a nostro piacimento durante i sogni. E le nostre convinzioni fondamentali dovranno essere riviste alla luce della teoria olografica della realtà. Dr. Richard Boylan Behavioral Scientist www.extraterrestre.it

SCIENZA E FISICA QUANTISTICA 18/2/2015 http://www.scienzaeconoscenza.it/articolo_for_print.php?id=15962 1/6 La non separabilità quantistica di Davide Fiscaletti La meccanica quantistica è la teoria fondamentale che sta alla base della moderna visione dei fenomeni naturali. Tuttavia, malgrado gli incontrastati successi sul piano applicativo e le numerosissime conferme sperimentali che si sono accumulate sin dalla sua nascita (avvenuta nella seconda metà degli anni '20 del secolo scorso), questa teoria ha dato luogo ad un acceso dibattito sui propri fondamenti, su quello che dice a proposito del mondo. Ci sono infatti degli aspetti di questa teoria che la fanno sembrare esotica e misteriosa, lontana dal senso comune. Tra questi, l’aspetto più sorprendente è sicuramente rappresentato dalla non località, dalla non separabilità delle particelle subatomiche. In base a un famoso teorema dimostrato nel 1964 dal fisico irlandese John Stewart Bell (che è considerato da molti esperti nel campo dei fondamenti concettuali della meccanica quantistica come il più importante recente contributo alla scienza), un’esperienza avvenuta nel passato tra due particelle subatomiche crea tra di esse una forma di “connessione” per cui il comportamento di ciascuna delle due condiziona in 100


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modo diretto ed istantaneo il comportamento dell’altra indipendentemente dalla distanza che le separa. Per esempio, nel caso di due particelle subatomiche inizialmente accoppiate e che poi vengono separate e allontanate l’una dall’altra, se ad un certo istante invertiamo il senso di rotazione (chiamato dai fisici con il termine “spin”) di una delle due, in quello stesso istante anche l’altra inverte il suo senso di rotazione, indipendentemente dalla distanza che separa le due particelle. Ai giorni nostri, non è stata trovata ancora alcuna contro-argomentazione significativa in grado di mettere in discussione la validità del teorema di Bell. Tutti gli esperimenti effettuati finora – e particolarmente significativi sono, in questo senso, gli esperimenti di Alain Aspect (1981) al laboratorio di ottica di Orsay, di Yanhua Shih (2001) dell’Università del Maryland e di Nicolas Gisin (2003) dell’Università di Ginevra – hanno confermato il risultato ottenuto da Bell, vale a dire che la non località deve essere considerata una caratteristica fondamentale e irrinunciabile del mondo microscopico, che le particelle subatomiche sono capaci di comunicare istantaneamente a prescindere dalla loro distanza. La comunicazione istantanea, l’intreccio tra le particelle subatomiche – effetto noto anche con il termine tecnico di “entanglement quantistico” – può essere considerato uno dei più grandi misteri della conoscenza umana: pur essendo un fenomeno osservabile e ripetibile, non sembra avere una chiara spiegazione logica. In questo articolo, ci proponiamo di illustrare un’interessante interpretazione della non località e dell’entanglement quantistico sviluppata dal fisico anglo-americano David Bohm (nota anche come teoria dell’ordine implicito o modello olografico della realtà) e le prospettive che può aprire nella descrizione del mondo fisico (in particolare nello studio delle interazioni fondamentali); successivamente, mostreremo che la non separabilità delle particelle subatomiche può essere spiegata sulla base dell’idea che lo spazio fisico, al livello fondamentale, ha un carattere atemporale. Le idee di Bohm: potenziale quantico e diversi livelli della realtà fisica Nel 1952 David Bohm sviluppò un’interpretazione alternativa della meccanica quantistica, nota anche come teoria dell’onda pilota, in grado di fornire una descrizione causale dei processi atomici e, quindi, di mettere in discussione l’immagine soggettivistica della realtà quale emerge dall’interpretazione standard (cioè la versione della meccanica quantistica proposta nella seconda metà degli anni '20 dai fondatori di questa teoria, gli esponenti delle scuole di Copenaghen e Gottinga, e che è risultata vincente sul piano storico). Una delle idee di partenza fondamentali della teoria di Bohm è il dualismo oggettivo onda101


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corpuscolo: ciascun oggetto atomico elementare viene visto come costituito da un’onda e da un corpuscolo contemporaneamente, con l’onda che ha il ruolo di guidare il corpuscolo nelle regioni dove la funzione d’onda (che è l’ente matematico con cui nella teoria quantistica viene descritto lo stato di ogni sistema fisico) è più intensa. Per quanto riguarda il dualismo oggettivo, l’energia e l’impulso vanno pensati interamente associati al corpuscolo mentre l’onda deve essere considerata vuota, priva di energia ed impulso. Nell’ambito della teoria di Bohm, la particella è guidata nel suo moto dall’onda corrispondente sulla base di una legge che ha la forma della seconda legge di Newton della meccanica classica, con l’unica differenza che qui la particella è soggetta, oltre che ad una forza classica, anche ad una forza quantistica, legata ad una forma di energia chiamata potenziale quantico. La caratteristica principale della teoria di Bohm, che consente di fornire una descrizione causale dei processi atomici, è la seguente: qui, la funzione d’onda agisce come un’onda pilota che guida la particella corrispondente, attraverso l’azione del potenziale quantico, nelle regioni dove essa è più intensa. In altre parole, nell’ambito delle idee di Bohm, il moto delle particelle non si manifesta in maniera casuale, ma sotto la guida di un “campo nascosto”, cioè appunto il potenziale quantico, in grado di determinarne la traiettoria. Si tratta di un potenziale nato dal “vuoto” che non opera come i campi elettromagnetici classici, la cui azione dipende dall’intensità e dalla distanza, ma che agisce in maniera istantanea e solo come pura “forma”. La particella si comporta in pratica come una nave che arriva al porto grazie alla potenza dei suoi motori ma sotto la guida di un radar che le indica la strada da seguire. I motori rappresentano il comportamento classico delle particelle nel mondo fisico che conosciamo (per esempio l’azione dei campi elettromagnetici), mentre il radar rappresenta l’azione del potenziale quantico. Ora, Bohm ha mostrato che è proprio il potenziale quantico a determinare la non località dei processi microscopici, la comunicazione istantanea tra le particelle subatomiche: il potenziale quantico informa ogni particella dove andare, come se dietro alla realtà fenomenica spaziotemporale fatta di materia ed energia, esistesse un piano nascosto che la guida e la unisce a tutte le altre particelle in un’unica simbiosi cosmica. Insomma, particelle distanti anche miliardi di anni luce sono in grado di comunicare tra di loro informazioni in modo istantaneo proprio grazie all’azione del potenziale quantico. Per interpretare la non località quantistica, nelle sue ricerche degli anni '70 e '80 Bohm introdusse la distinzione tra foreground e background, ossia tra ordine esplicito (esplicate order) ed ordine implicito (implicate order). Secondo Bohm è possibile individuare nella meccanica quantistica due diversi livelli di descrizione dei sistemi fisici: l’interpretazione 102


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standard e il suo formalismo ci permettono di rendere conto del foreground, dell’ordine esplicito del mondo macroscopico così come ci appare dalle nostre misure, e che è caratterizzato da manifestazioni locali e frammentarie; quello che avviene nell’ordine esplicito rappresenta tuttavia una proiezione del livello fondamentale, nascosto, cioè il livello del background e dell’ordine implicito, caratterizzato da non località e non separabilità. Bohm suggerisce quindi che nell’indagine della realtà fisica bisogna distinguere tra gli aspetti “avviluppati”, legati al livello nascosto e quelli “dischiusi”, che si manifestano come proiezioni del livello fondamentale. In base alle idee di Bohm, il comportamento delle particelle subatomiche indica chiaramente che esiste un livello di realtà del quale non siamo minimamente consapevoli. Se le particelle subatomiche ci appaiono separate è perché siamo capaci di vedere solo una porzione della realtà (cioè il foreground o ordine esplicito); ad un livello più profondo esse non risultano “parti” separate bensì sfaccettature di un’unità più profonda e basilare. A questo livello più profondo e fondamentale (che è appunto il background o ordine implicito), tutte le particelle subatomiche sono infinitamente collegate in una sorta di interezza continua. Si è insomma condotti – usando parole dello stesso Bohm – “ad una nuova concezione di totalità indivisa che nega l’idea classica della possibilità di analizzare il mondo in parti esistenti in maniera separata ed indipendente: la realtà fondamentale è l’inseparabile connessione quantistica di tutto l’universo e le parti che hanno un comportamento relativamente indipendente sono solo forme particolari e contingenti dentro questo tutto”. Per comunicare la sua visione, Bohm usò anche potenti metafore, e tra queste la più famosa è probabilmente la metafora dell’ologramma (per questa ragione l’interpretazione di Bohm della non località quantistica può essere anche definita modello olografico della realtà). Un ologramma è una fotografia tridimensionale prodotta con l’aiuto di un laser, la cui principale proprietà sta nel fatto che ogni sua parte contiene tutte le informazioni possedute dall’ologramma intero. Per estensione, si può parlare di procedimento ologrammatico quando tutte le informazioni di uno spazio a non dimensioni sono contenute in uno spazio di dimensioni minori. L’analogia tra l’ologramma e i diversi livelli della realtà fisica è la seguente: l’ordine esplicito o foreground è come una rappresentazione olografica dell’ordine implicito, cioè del background. Si può anche dire che, al suo livello più profondo e fondamentale, la realtà nel suo insieme non è altro che una sorta di super-ologramma dove il passato, il presente e il futuro coesistono contemporaneamente, cioè l’universo stesso è una proiezione, un ologramma, il magazzino cosmico di tutto ciò che è, che sarà o che sia mai stato.

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Le prospettive aperte dal dualismo oggettivo onda-corpuscolo sui diversi livelli della realtà fisica Sul piano interpretativo, poiché nella teoria di Bohm la non località dei processi microscopici è legata all’azione del potenziale quantico e il potenziale quantico è strettamente connesso al dualismo oggettivo ondacorpuscolo (con l’onda che ha il ruolo di guidare la particella in esame nel corso del suo movimento), risulta del tutto lecito suggerire la seguente idea: nel livello più profondo e fondamentale della realtà, cioè nell’ordine implicito dell’universo, tutte le particelle subatomiche sono infinitamente collegate tra di loro per mezzo delle onde ad esse associate. Nel nostro livello della realtà, le onde associate alle particelle non sono visibili (il problema dell’osservazione delle onde quantistiche stava particolarmente a cuore allo stesso Einstein, tant’è vero che egli le chiamava scherzosamente “campi fantasma”) ed è proprio per questo che, nel mondo che esperiamo, tutti gli oggetti ci appaiono separati. Ma nel livello più profondo, cioè nell’ordine implicito, i fenomeni naturali hanno un carattere non locale, tutte le particelle sono di fatto collegate tra di loro e si può pensare che le entità che le collegano le une alle altre in una fitta rete interconnessa sono proprio le onde ad esse associate. Ora, questo modo di visualizzare come vanno le cose nel livello esplicito e in quello implicito consente di aprire nuove interessanti prospettive riguardo l’interpretazione delle interazioni fondamentali: partendo dall’idea che sono le onde associate alle varie particelle a legarle tra di loro in una fitta rete, è possibile fornire una spiegazione causale, intuitiva, dell’origine dei segnali responsabili delle diverse interazioni e si apre la possibilità di trattare tutte le interazioni in uno schema unitario. Com’è noto, in natura esistono quattro interazioni (o forze) fondamentali: la forza gravitazionale, la forza elettromagnetica, la forza nucleare forte e la forza nucleare debole. La forza gravitazionale si esercita tra tutti gli oggetti dotati di massa. Essa è espressa da una legge di attrazione direttamente proporzionale alle masse interagenti e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza; ha un raggio d’azione illimitato ed è sostanzialmente l’interazione che prevale a scala, diciamo, umana. La teoria oggi universalmente accettata sulla gravitazione è la relatività generale di Einstein, in base alla quale la gravità viene vista come modifica delle proprietà geometriche dello spazio-tempo. In altre parole, la relatività generale stabilisce che è la struttura dello spazio-tempo che determina le traiettorie dei corpi in movimento (o le loro posizioni, nel caso in cui i corpi sono fermi). Le forze elettromagnetiche si esercitano tra le particelle dotate di carica elettrica. Esse hanno una struttura formale diversa le une dalle altre, anche se la legge di Coulomb che ne costituisce un 104


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caso particolare – la quale stabilisce che tra due cariche elettriche in quiete si esercita un’azione attrattiva o repulsiva a seconda che tali cariche siano di segno opposto o dello stesso segno – ha un andamento con la distanza del tutto simile all’interazione gravitazionale. Per spiegare e descrivere l’interazione elettromagnetica oggi i fisici teorici si basano su una teoria, nota come elettrodinamica quantistica o QED, in base alla quale la forza elettromagnetica si trasmette attraverso oggetti privi di massa, i fotoni. L’interazione forte tiene legati i protoni e i neutroni all’interno del nucleo atomico (e, in un altro contesto, è quella che si esercita tra i quark, cioè i costituenti elementari di protoni e neutroni). Si tratta di un’interazione molto intensa, ma il suo raggio d’azione è estremamente corto, dell’ordine di metri, il quale la rende praticamente inesistente a distanze maggiori di questa scala (per esempio, su scala atomica). L’interazione forte nella teoria quantistica dei campi attuale (chiamata cromodinamica quantistica o QCD) è mediata dallo scambio di alcuni bosoni , noti come gluoni (di cui ne esistono otto specie differenti). Infine, esistono un quarto tipo di forze, dette deboli, le quali agiscono disintegrando certe particelle di fatto instabili; per effetto dell’interazione debole, in certi fenomeni radioattivi, queste particelle possono trasformarsi in altre particelle meno pesanti, senza conservare la loro massa. Nella teoria quantistica dei campi attuale le interazioni deboli sono mediate dallo scambio di alcuni bosoni particolari, precisamente tre particelle chiamate W+, W- e Z°. La comunicazione istantanea, l’intreccio tra le particelle subatomiche, pur essendo un fenomeno osservabile e ripetibile, non sembra avere una chiara… Ora, sulla base del dualismo oggettivo onda-corpuscolo, possiamo descrivere tutte le interazioni fondamentali partendo da quest’idea: i due oggetti interessati all’interazione vanno di fatto sempre pensati come costituiti da un’onda e da un corpuscolo contemporaneamente, con l’onda che ha il ruolo di guidare la particella corrispondente nelle regioni dove il campo in esame è più intenso. Di conseguenza, nell’ambito del dualismo oggettivo, si può aprire questa interessante prospettiva: visto che sono sempre le onde a guidare le particelle sotto studio nel loro movimento, si può immaginare che, nell’ordine implicito, l’interazione tra due particelle sia trasmessa da un’onda complessiva la quale è data proprio dalla combinazione delle due onde associate alle particelle interagenti. Questo discorso va applicato a ciascuna delle quattro interazioni. Pertanto, dal dualismo oggettivo onda-corpuscolo si può aprire la seguente interessante prospettiva: tutte le diverse interazioni fondamentali si trattano alla stessa maniera, assumendo che siano sempre le onde associate alle particelle in105


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teragenti a trasmettere l’interazione sotto studio. Più precisamente diciamo che, nel livello fondamentale della realtà, l’entità che trasmette l’interazione tra due determinate particelle è una sorta di onda complessiva data dalla combinazione delle onde associate a tali particelle. Vediamo ora di approfondire in dettaglio che cosa significa questo risultato, cominciando col considerare l’interazione elettromagnetica. In virtù delle nostre idee, nell’interazione elettromagnetica tra due particelle l’entità che funge da mediatrice dell’interazione è, nel livello fondamentale della realtà, un’onda la quale può essere vista come la combinazione delle onde associate alle particelle interagenti. Pertanto, se nella QED l’interazione elettromagnetica tra due particelle è trasmessa attraverso lo scambio di un fotone, sulla base del nostro dualismo oggettivo possiamo suggerire l’idea che, nel livello fondamentale della realtà, l’entità che trasmette l’interazione è l’onda del fotone e che quest’onda è proprio data dalla combinazione delle onde associate alle particelle interagenti. Passiamo adesso all’interazione gravitazionale. Due masse che interagiscono, in base alle nostre idee, devono essere sempre immaginate come costituite ciascuna da una particella e da un’onda contemporaneamente, con le onde che hanno il ruolo di guidare le particelle corrispondenti nelle regioni dove il campo gravitazionale è più intenso, vale a dire in modo tale da provocare l’attrazione delle due particelle stesse (visto che, come sappiamo dall’esperienza, l’interazione gravitazionale è solo attrattiva). Il dualismo oggettivo onda-corpuscolo consente di fornire un’interpretazione intuitiva del risultato fondamentale della relatività generale, secondo cui la gravità si esplica come modifica della geometria spazio-temporale. Infatti, possiamo ipotizzare che, al livello più profondo della realtà, ci sia un’entità mediatrice vera e propria a produrre la modifica della geometria dello spazio-tempo (e di conseguenza, a trasmettere la gravità), e che quest’entità sia proprio un’onda data dalla combinazione delle onde associate alle particelle interagenti. Questo significa che, nell’ambito del nostro modello interpretativo, la modifica della struttura spazio temporale con cui si esplica la gravitazione può essere ricondotta a un’onda. Insomma, sulla base delle nostre idee, si apre questa interessante prospettiva: il mezzo con cui si trasmette l’interazione gravitazionale, determinando a sua volta una modifica della geometria dello spazio-tempo, è l’onda risultante dalla combinazione delle onde associate alle particelle materiali interaVediamo infine l’interazione debole e l’interazione forte. Per quanto rigenti. guarda le interazioni deboli, si può assumere che l’entità che trasmette l’interazione sia un’onda associata ad uno dei tre bosoni W+, W- e Z° e che quest’onda sia data dalla combinazione delle onde associate alle particelle interagenti. In modo analogo, possiamo suggerire l’idea che 106


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l’interazione forte sia trasmessa da un’onda associata a uno degli otto gluoni che conosciamo e che quest’onda risulti dalla combinazione delle onde associate alle particelle interagenti. In definitiva, sulla base dell’idea che sono le onde associate alle particelle materiali a legarle, nel livello più profondo della realtà, in una fitta rete interconnessa, si aprono nella descrizione del mondo fisico delle prospettive particolarmente interessanti. E’ possibile fornire una descrizione unitaria delle diverse interazioni: il dualismo oggettivo onda-corpuscolo, al livello fondamentale della realtà, apre la prospettiva di trattare allo stesso modo fenomeni apparentemente diversi, di descrivere alla stessa maniera tutte le quattro diverse interazioni fondamentali. Ed è soprattutto significativo il fatto che dal dualismo oggettivo si prospetta quest’altro rilevante risultato: la possibilità di dare una spiegazione causale, nel livello fondamentale della realtà, del modo in cui nascono i segnali responsabili delle varie interazioni. Nella visione standard (che ci permette di rendere conto dell’ordine esplicito) ciascuna interazione è mediata dallo scambio di un certo segnale specifico, ma non si riesce a fornire una spiegazione veramente causale dell’origine di tale segnale. Adesso invece, sulla base delle nostre idee, nell’ordine implicito si può visualizzare causalmente – almeno sul piano interpretativo - come nasce questo segnale: esso può essere visto come l’onda complessiva che è data da una sorta di combinazione delle onde associate alle particelle interagenti. Insomma, nel livello fondamentale, implicito della realtà, si apre la prospettiva interessante e significativa di descrivere in maniera simile le diverse interazioni fondamentali che esistono in natura, dando un’interpretazione intuitiva (e sempre in un quadro causale) del modo in cui vengono trasmesse tali interazioni. Non località quantistica e a-temporalità dello spazio fisico Per affrontare e interpretare la faccenda della non località, della strana forma di connessione delle particelle subatomiche a prescindere dalla loro distanza, in base alla ricerca del mio istituto il discorso può essere espresso anche in una maniera più sottile ed elegante (nonché feconda di ulteriori sviluppi nello studio del mondo fisico). Si tratta di basarsi su un punto di vista alternativo, rispetto a quello standard, circa il teatro in cui avvengono i fenomeni naturali. L’idea di partenza della nostra ricerca è la seguente. Sulla base della nostra percezione elementare, è oltre le nostre capacità stabilire se il tempo possa essere considerato un’entità fisica reale. Il trascorrere del tempo, infatti, non può essere percepito chiaramente come materia e spazio in modo diretto; noi possiamo percepire solo i cambiamenti chimici, fisici e biologici irreversibili della materia nello spazio fisico (cioè lo spazio in cui esistono gli oggetti materiali). Pertanto, se ci basiamo sulla nostra percezione elementare, 107


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possiamo concludere che il tempo esiste solo come flusso di cambiamenti materiali irreversibili che avvengono in uno spazio atemporale. Il teatro in cui avvengono i fenomeni naturali non è quindi lo spaziotempo (questo ente fa parte dei modelli matematici dell’universo – in particolare, dei modelli atti a descrivere il livello esplicito - ma non dell’universo stesso): il teatro dell’universo, al livello fondamentale della realtà, è uno spazio a-temporale. Questo è un punto di vista diverso, e per certi versi può anche apparire eretico, rispetto a quello standard, ma è forse più corretto ed appropriato in quanto è più coerente con i fatti sperimentali (vale a dire con il fatto che non c’è nessuna evidenza empirica riguardo al movimento degli oggetti materiali nel tempo). Ora, il carattere a-temporale dello spazio fisico è in grado di gettare nuova luce sulla non località quantistica. La ricerca del nostro gruppo mostra che lo spazio fisico a-temporale consente di spiegare la comunicazione istantanea tra le particelle subatomiche, permette di spiegare perché e in che senso, per esempio, due particelle che provengono dalla stessa sorgente e che poi si allontanano, rimangono legate da un misterioso legame, perché e in che senso se noi interveniamo su una delle due, anche l’altra risentirà l’effetto istantaneamente a prescindere dalla distanza che c’è tra di esse. Secondo le nostre idee, la connessione istantanea tra due particelle quantistiche quando sono a grande distanza può essere vista come un effetto dello spazio fisico a-temporale. Cioè, è lecito pensare che, al livello più profondo (cioè nell’ordine implicito), sia il carattere atemporale dello spazio a trasmettere l’informazione tra due particelle subatomiche, prima unite e poi separate e portate a grande distanza, a farle comunicare istantaneamente. La comunicazione tra due particelle quantistiche è istantanea e non locale proprio perché, al livello fondamentale della realtà, è a-temporale e, come tale, non ha velocità. Insomma, visto che l’a-temporalità dello spazio è in grado di spiegare e riprodurre la non separabilità delle particelle subatomiche, nell’ambito della nostra ricerca noi intendiamo suggerire l’idea secondo cui l’ordine implicito introdotto da Bohm altro non è che lo spazio fisico atemporale. Inoltre, tenendo conto che nell’ambito della teoria di Bohm la non località quantistica (riguardante il livello fondamentale della realtà) è determinata dall’azione del potenziale quantico, la nostra visione apre la possibilità che ci sia una sorta di corrispondenza tra potenziale quantico e spazio fisico a-temporale, in particolare che il potenziale quantico possa essere interpretato come lo “stato” dello spazio fisico atemporale in presenza di processi microscopici. Visto che il potenziale quantico di Bohm è il termine che permette di spiegare l’origine della non località quantistica, e visto che il carattere a-temporale dello spazio fisico è in grado di rendere conto e riprodurre la trasmissione di una informazione istantanea, ne deriva che, quando si ha a che fare con un problema quantistico, è del tutto legittimo interpretare il potenziale 108


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quantico come lo stato di questo spazio fisico a-temporale. In definitiva possiamo dire che, se si considera un processo atomico o subatomico, lo spazio fisico a-temporale assume lo stato speciale rappresentato dal potenziale quantico, e questo produce una comunicazione istantanea tra le particelle in esame. In una teoria fisica completa, si può anche pensare che lo spazio fisico a-temporale includa tutti gli oggetti della fisica. La nostra visione apre la possibilità che lo spazio fisico a-temporale rappresenti l’anello di congiunzione di tutti i fenomeni osservati o previsti dalle varie teorie. A questo proposito, le diverse interazioni fondamentali, i diversi campi fisici possono essere interpretati come stati speciali dello spazio fisico a-temporale (e quindi dell’ordine implicito di Bohm interpretato in senso a-temporale) in determinate condizioni, in presenza di certe particelle materiali (e producono delle modifiche nelle proprietà dello spazio a-temporale stesso). Per esempio, in quest’ottica, il campo elettromagnetico creato nello spazio circostante da una particella carica può essere visto come lo stato dello spazio fisico atemporale in questa determinata situazione.

Conclusioni In virtù dell’analisi svolta in questo articolo, la non separabilità delle particelle subatomiche può essere spiegata sulla base dell’idea che esistano diversi livelli nella realtà fisica e che, nel livello più profondo, siano le onde associate alle diverse particelle a legarle tra di loro in una fitta rete, in una sorta di interezza continua. Mediante il dualismo oggettivo si aprono prospettive molto interessanti: al livello fondamentale, è possibile trattare in maniera simile le diverse interazioni fondamentali, visualizzando in modo causale l’origine del segnale responsabile di tali interazioni. Inoltre, in base alla ricerca del nostro gruppo, la comunicazione istantanea tra le particelle subatomiche può essere vista come una conseguenza dell’idea che, al livello fondamentale della realtà, lo spazio fisico abbia un carattere a-temporale. E’ lecito pensare che, al livello più profondo, sia il carattere a-temporale dello spazio a trasmettere l’informazione tra due particelle subatomiche, prima unite e poi separate e portate a grande distanza: in presenza di processi microscopici, lo spazio fisico a-temporale assume lo stato speciale rappresentato dal potenziale quantico, e questo produce una comunicazione istantanea tra le particelle in esame. Sotto questo punto di vista, si può concludere che il livello fondamentale della realtà non rappresenta altro che lo spazio fisico a-temporale (e le interazioni tra le varie particelle possono essere viste come stati speciali del livello fondamentale della realtà, inteso come entità a-temporale).

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INDICE Pag. 2- La dualità onda-particella. “ 2- Gli esperimenti di Grimaldi. “ 3- La luce. “ 5- La diffrazione. “ 9- L’interferenza. “ 13- Gli esperimeni di Thomas Yung. “ 15- L’effetto fotoelettrico di Einstein. “ 17- Esperimenti con biglie e con elettroni. “ 23- Arcibald Weeler. “ 26- P. A. M. Dirac, Chien-Shinny Wu e I. Shakann. “ 27- L’esperimento a scelta ritardata di Weeler. “ 38- l’esperimento di Mandel. “ 41- L’atomo. “ 42- La teoria quantistica di Planck. “ 43- La teoria atomica di Dalton. “ 44- Il modello atomico di Thomson. “ 45- Il modello atomico di Rutherford. “ 46- Il modello atomico di Bohr. “ 50- Il principio di indeterminazione di Heisemberg. “ 53- Il gatto di Ervin Schrodinger. “ 54- L’indeterminazione energia / tempo. “ 55- La complementarità di Niels Bohr. “ 57- Entanglement quantistico. “ 58- Il paradosso EPR. “ 60- L’effetto Aharonov - Bohm. “ 61- Il teorema di Bell. “ 68- Descrizione di un esperimento entanglement. “ 70- L’esperimento di Alain Aspect. “ 73- L’esperimento di cancellazione quantistica. “ 80- Il teletrasporto. “ 81- Il teletrasporto quantistico. “ 85- Entanglement quantistico fra diamanti. “ 88- Intervista con Anton Zeilinger. “ 101- David Bohm. “ 101- L’universo è illusione “paradigma olografico”. “ 102- Ologrammi, la parte e il tutto. “ 103- La rana, l’atomo e la rosa. “ 105- Il magazzino cosmico. “ 106- Miliardi di informazioni. “ 108- La realtà? Non esiste. “ 109- Coscienza e visualizzazione. 110


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“ 110- Il mondo è una tela bianca. “ 110- Scienza e fisica quantistica. “ 111- La non separabilità quantistica. “ 112- Le idee di Bohm. “ 115- Le prospettive del dualismo onda corpuscolo. “ 120- Atemporalità dello spazio fisico. “ 123- Conclusioni.

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