Renzo Marinelli - omaggio al maestro

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Stampato nel mese di gennaio 2008 LitoFlash - Roma


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RENZO MARINELLI (1922 - 2003)

“Omaggio al Maestro”

a cura di Riccardo Tartaglia testo critico Lucrezia Rubini

8 - 29 febbraio 2008

Galleria

TA R TA G L I A A R T E Vi a X X S e t t e m b r e , 9 9 8 c / d - 0 0 1 8 7 R o m a tel./fax +39 06 4884234 - gallerie@tartagliaarte.com www.tartagliaarte.com - www.tartagliaarte.it


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le opere di Renzo Marinelli sono archiviate e trattate in esclusiva dalla galleria

Tutti i diritti sono riservati Š 2008 - Galleria Tartaglia Arte - Roma


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4 Parlare di Renzo Marinelli significa parlare, prima che di un artista, di un uomo, di un luogo, di un tempo, di un ambiente. L'artista fu sempre, coerentemente, uomo impegnato moralmente e politicamente, nella Verona degli anni SessantaSettanta, crogiuolo 'a latere' delle grandi capitali della cultura e dell'arte, come poteva essere la vicina Milano. In tal senso è da ricordare almeno il suo impegno per costituire il sindacato degli artisti o, dal 1990, l'organizzazione della manifestazione "Arte in fabbrica"-- presso l'azienda di falegnameria di Ivano Bissoli, grazie alla quale il Nostro, esponendo in un luogo non convenzionalmente deputato all'arte, riesce però ad avvicinarla alla gente--, o infine l'impegno nell'insegnamento. Potremmo fissare la nascita artistica di Marinelli nel 1942 quando, finito il Liceo Artistico, frequentando l'Accademia delle Belle Arti "G.B.Cigagnoli", fu coinvolto suo malgrado nella II Mostra d'arte della Gioventù Italiana del Littorio. Nell'ottobre del '60 si formò il "Gruppo dei Quattro", secessionista, di cui facevano parte, oltre al Nostro, Eugenio Degani, Giulio Martinelli, Federico Chiecchi. Ad essi si affiancarono anche Pierluigi Rampinelli, Quirino Sacchetti (pittore e poeta), Alessandro Mozzambani (poeta). I luoghi erano: la Galleria La Cornice, la Galleria Zero (di cui fù anche fondatore), la Galleria del Cappello, e soprattutto, la Galleria di Enzo Ferrari, ma anche il caffè

Dante, la Bottega del Vino, oppure il Circolo Sandro Bini, la Società di Belle Arti e il Sindacato Artisti. Nel 1967 l'artista fa parte del comitato organizzatore della 58° Biennale Nazionale di Verona, che segna una svolta significativa, in termini di divergenza di scelte rispetto all'ambiente ristagnante della provincia, in senso moderno e anticonformista allo stesso tempo. Nell'ambito della galleria Ferrari il "gruppo di frangia" si interroga sul ruolo dell'arte, sul rapporto tra arte e società, sulla necessità di intraprendere la sperimentazione artistica. Renzo Marinelli, dunque, impronta la sua ricerca artistica supportandola con valori morali, politici, sociali, di stampo popolare, in modo coerente, rigoroso, severo, fuori da facili modernismi e drammatici solipsismi, ma, anche, all'insegna di un atteggiamento ironico e disincantato: "…ti guardava con un mezzo sorriso e ti apostrofava con qualche frase arguta, con un accento burbanzoso, da uomo fatto", dice di lui l'amico Checco Arduini. Dunque, alla fine, un elemento salvifico, ironico e di divertissement, si insinua nel rigore e nella severità calibrata delle sue opere. Negli anni Sessanta -Settanta partecipa a molte mostre, ma sempre a Verona, portando avanti una ricerca personale, che si farà sempre più originale e divergente a partire dagli anni Ottanta, quando il gruppo perde la sua carica eversiva e gli artisti si


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5 rinchiudono nei loro studi. E’ solo negli anni Novanta, infatti, che, con una scelta coerente e consapevole, l'artista si fa promotore, come abbiamo visto, di un' iniziativa politica e sociale come quella dell'"Arte in fabbrica", atta a recuperare il divario tra arte e pubblico, all'insegna dell'attività artistica, intesa come attività artigianale e fattuale, tramite l'elemento legno. L'operazione svolta da Marinelli, ovvero il suo contributo personale e specifico apportato alla storia dell'arte e della cultura, è di non poco conto. Avvinghiato alle radici e alle tradizioni della sua terra e della sua famiglia-suo padre era falegname e lui viveva in una famiglia numerosa, che aveva saputo rispettare e assecondare le sue inclinazioni per l'arte-, intraprende un'azione fatta di lavoro quotidiano e indefesso, severo e modesto, con pochi elementi-base della sua forma mentis, della sua memoria, della sua formazione: la terra, la natura vegetativa, il legno. Questi costituiscono i lemmi del suo lessico, che imbastisce negli anni, con un linguaggio individuale, eppure universale, essenziale, eppure dai rimandi complessi, sperimentale, eppure con un fondo sempre uguale a se stesso. In tal senso la sua arte racconta sempre se stessa, in quanto autoreferenziale, non mimetica, ma narrativa, arcaica, primigenia, come gli elementi a cui rimanda. La distinzione tra figurativo e non figurativo non funziona per definire Marinelli, poiché

quei temi, che egli tratta sin dalle prime opere- una natura morta, un albero, un paesaggio urbano, un operaio al lavoro-rimangono sempre uguali a se stessi, calandosi in forme e colori sempre più essenziali e sintetici. E' sintomatico che già in quelle opere, in cui una realtà concreta e referenziale potrebbe essere ingenuamente individuata, vengano dall'artista titolati invariabilmente "Senza titolo". Ciò a cui fanno riferimento quelle immagini, infatti, è senza titolo, in quanto travalicano già il dicibile, il visibile, il logico, il verbalizzabile, il connotativo, il descrittivo, il mimetico, e assurgono già ad una realtà outre, non riducibile in parole. Facile fare riferimenti al Costruttivismo, per le opere degli anni Quaranta, all'Espressionismo, per le opere degli anni Cinquanta- Sessanta, a De Stijl o Malevic per le opere degli anni Settanta, a Klee per le opere degli anni Ottanta, a Kandinsky o Mirò per le opere degli anni Novanta: l'opera di Marinelli non è inquadrabile in nessun movimento, in nessun "ismo", in nessuna moda, perché è linguaggio di tutti e di tutti i tempi. E' proprio negli umori della provincia che le suggestioni, pure assimilate dal Nostro, derivanti dalle capitali dell'arte, vengono passate al setaccio di un lavorio rigoroso, in cui l'estetica diventa etica, linguaggio eterno al di là del transeunte, fatto di gesti antichi e rituali. L'artista sente l'esigenza di ricongiungere l'arte all'artigianato, l'intellighentia al


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6 popolo, la sperimentazione all'antico, e invece di evadere dalla sua terra, permane in essa, affinché il nuovo possa innestarsi su quell'antico, su quelle tradizioni contadine e artigianali. La ricerca artistica allora si fa lavoro quotidiano, procedere caparbio, giorno dopo giorno. Nelle opere degli anni Quaranta l'impaginazione compositiva è scheggiata, già essenziale, le forme sono appuntite, quasi scarnite, i colori sono secchi, opachi, quasi a voler scavare un'essenza che da esse trapela ed emerge. Le campiture cromatiche, per quanto non uniformi ma tormentate, sono antiplastiche, sono settori individuati da linee di contorno nere. Qui già i segni di forme e colori autonomi, autorefenziali, sono stati stabiliti e continueranno ad essere coerentemente declinati nel linguaggio morelliano con la stessa filosofia estetica, che impronterà tutta la produzione futura. Negli anni Cinquanta e Sessanta il gesto si fa più libero, il colore più corposo, ma tende ad addensarsi in ordini analogici, che diventano sempre più elementi essenziali, autonomi, isolati, concrezioni di vite fitomorfe. Negli anni Settanta e Ottanta, accanto all'uso di diversi pigmenti- oltre all'olio, gli acrilici- e materiali - oltre alla tela i legni-, sembrano delinearsi due percorsi di ricerca paralleli: da una parte l'artista sembra indagare forme appartenenti ad un plasma primordiale o ad un microcosmo cellulare fatto

di alchimie inedite e non formulabili (Senza titolo, 1988, olio-acrilico su tavola, cm76x76), in cui i verdi e i blu sono a volte intaccati da 'ferite' rosse, con frammenti dispersi di un Tutto non più ricomponibile; dall'altra egli sembra recuperare l'artigianalità del legno, assemblando liste inchiodate che si sovrappongono, si stratificano, si intersecano, cariche di una 'presenza' evocativa talvolta drammatica. Quelle tavole, dipinte con colori puri e uniformi, ricordano le tavole inchiodate sui vagoni della shoah, recinzioni impenetrabili, ma che pure lasciano spiragli. Nella texture di quelle tavole intricate, qualcosa trapela, ipostatizzando la condizione stessa dell'opera d'arte, che dice e non dice, ostenta una concretezza, che fa appello ad una dimensione immateriale. Schegge di legno sagomate, scarti di lavorazione di altri oggetti, oppure riutilizzazione di oggetti scartati, che dell'esperienza precedente si fanno carico, per ricostruire, rivivendola, un'altra esperienza, anzi, un'esperienza "altra", e una dimensione "altra", non umanamente misurabili. Membra disejecta, provenienti da un arcano scempio dionisiaco, sembrano ricomporsi con un ordine inedito e finalmente salvifico. Settori si incuneano secondo proporzioni solo apparentemente casuali, ma calibrate reciprocamente secondo una "giusta proporzione", finalmente ritrovata dall'artista, basata su regole matematiche non scritte, ma rispondenti a "formule esteti-


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7 che" solo intuibili. L'artista sente che quelle barre lignee "poste così" e solo così, funzionano, universalmente, anche presso il sentire del riguardante stesso. A volte la grande pulizia formale, le linee-incisioni e i colori, che creano cesure nette, si aggrumano orizzontalmente a formare sagome ovoidali, presenze eroiche, come il fregio di una gigantomachia ( Senza titolo, 1987, acrilico su tavola, cm 70x90): allora il Moderno recupera l'Antico, trovando nell'opera d'arte un topos, che è coicidentia oppositorum. Infine negli anni Novanta, e quindi nell'ultimo periodo di produzione, l'arte di Marinelli, unendo le due suddette tendenze, si libra, finalmente, in un linguaggio libero, legge pieno di un'armonia lirica, solare, vibrante, musicale, facente riferimento ad un mondo fiabesco, immaginario, non di questo mondo, eppure vivibile, per chi saprà usare quegli strumenti antichi, che l'artista stesso ci mette a disposizione nei suoi assemblaggi (Senza titolo, 1995, olio-acrilico su legno, cm 45x85). Tali strumenti analogici- un arco, una canna, un barattolo, un ramo biforcato- sono collocati in una zona liminare, tra "quella del quadro" e "quella del riguardante", invadendo quasi lo spazio di questo, sporgendo da quello, spezzando i confini, invitando l'uomo che guarda ad impossessarsi di quei vademecum per entrare altrove, in un fuori luogo e fuori tempo, pure umanamente esplorabili. In questo consiste ciò che sembra

restituirci, finalmente, nelle sue ultime opere, l'artista: il segreto della Vita stessa; ultimo grido, inno alla speranza e alla gioia, in una zona liminare, pure umanamente accessibile. Le tabulae di Marinelli costituiscono la preziosa testimonianza di una stagione felice, vissuta in una sorta di piccolo specchio convesso di provincia. La sua eredità, linguaggio universale e atemporale, potrà individuare percorsi divergenti e aprire allo spazio infinito del pensiero dianoetico: la sua lezione, di arte e di vita, non è per pochi studenti, né dell'ultima ora. Critico e storico dell'arte Lucrezia Rubini


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“Senza titolo� 1985 olio-acrilico su tela cm 80 x 100 (coll. privata)


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“Senza titolo� 1990 olio-acrilico su tavola cm 79 x 80


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“Senza titolo� 2001 tecnica mista su tavola cm 45 x 100


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“Senza titolo� (trittico) 1996 tecnica mista su legno e tela cm 72 x 118


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“Senza titolo� 1995 olio-acrilico su legno cm 45 x 85


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“Senza titolo� 1987 acrilico su tavola cm 70 x 90


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“Senza titolo” 1978 acrilico su tavola cm 40 x 40

“Senza titolo” 1978 acrilico su tavola cm 40 x 40


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“Senza titolo� 1988 olio-acrilico su tavola cm 86 x 86


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“Senza titolo� 1988 olio-acrilico su tavola cm 76 x 76


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“Senza titolo� 1998 tecnica mista su tela e tavola cm 120 x 122


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“Senza titolo� 1997 (scultura in legno f/r) tecnica mista cm 48 x 93 x 97


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BIOGRAFIA

Renzo Marinelli nasce a Verona, nel popolare quartiere cittadino della "Carega", il 10 agosto del 1922. Ultimo dei sei figli che suo padre Tullio, falegname, e sua madre Elvira Bergamaschi misero al mondo, il giovane Renzo frequenta le normali scuole del suo tempo, manifestando una precoce predisposizione per il disegno e l'uso dei colori, tant'è che questa passione indusse i suoi genitori ad iscriverlo al Liceo Artistico. Conclusa l'esperienza liceale il giovane Marinelli frequenta l'Accademia delle Belle Arti "G. B.Cignaroli", partecipando nel maggio l942 alla II° Mostra d'arte della G.I.L. ordinata nel ridotto del teatro Filarmonico a conclusione della I° leva artistica e dei Ludi Juveniles. Questa è la prima occasione in cui i quotidiani veronesi dedicano attenzione all'opera di Marinelli: su "L'Arena" Aldo Ettore Kessler scrive che i suoi quadri "giungono ad una certa conclusività compositiva e coloristica". Giudicato non idoneo al servizio militare, i tedeschi lo trasferiscono a San Valentino, dove lavora per l'organizzazione Todt. Per alcuni anni, soprattutto a causa della guerra, che oscura addirittura il II° Premio Verona, importante "mostra nazionale d'arte a celebrazione dell'agricoltura" dotata di ben 75.000 lire di premi, Marinelli non partecipa ad alcuna pubblica esposizione. Due anni

dopo la fine del conflitto egli viene invitato al "Concorso Verossì" riservato ai giovani artisti. L'anonimo redattore de "Il Gazzettino", recensendola mostra, "giudica con riserva i due quadri accesamente futuristi di Renzo Marinelli". Nel 1950 figura alla "Mostra dei due secoli" (1750-1950) e al III° Premio Suzzara dove espone due oli: Falegname e Manovale. In questi anni il tema dominante dei suoi quadri è il mondo del lavoro, quello dei proletari, degli operai e dei contadini. Infatti alla m o s t r a "Cento anni - P.L. Rampinelli, F. Chiecchi, R. Marinelli incontri nel tempo 1962 Cinquanta mostre" egli espone Braccianti di Canove, opera caratterizzata - scrive l'estensore dell'articolo - "da un segno secco e polemico". Negli anni Cinquanta ordina una personale presso la galleria del "Cappello", continuando però ad aderire alle mostre sindacali: partecipa ad una mostra per la pace e promuove l'organizzazione sindacale degli


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33 artisti. Nel 1962 aderisce alla rassegna "Quattro pittori" ospitata dalla galleria Ferrari a cui prendono parte anche Rampinelli, Chiecchi e Savoia. Nell'autunno dello stesso anno un'altra rassegna di gruppo: "Unicità", ordinata sempre presso la galleria Ferrari e presentata in catalogo da Alessandro Mozzambani, mette ancora insieme Renzo Marinelli, Pierluigi Rampinelli e Federico Chiecchi. Questa mostra, decisamente osteggiata dai tradizionali ambienti artistici cittadini, ottiene giudizi poco lusinghieri sulle pagine dei quotidiani locali. "Il Gazzettino", ad esempio, si limita a scrivere che le opere "esposte non raggiungono un livello tale da consentire una disamina critica. "Fra l'altro - si legge per principio gli autori non intendono sottoporsi alla critica, rifiutando ogni e qualsiasi elemento figurativo, che renda i loro lavori comunque intelleggibili". In ogni caso Alessandro Mozzambani in catalogo non definisce astrattisti né Chiecchi, né Rampinelli, né Marinelli "le cui strutture naturalistiche sono incontrovertibili nell'ambito di una dinamica formale non contraddittoria e senza soste". L'anno successivo Marinelli ordina una personale alla galleria Ferrari: mostra corredata da un catalogo in cui sono raccolte le testimonianze del poeta Quirino Sacchetti e di Alessandro Mozzambani. "I tuoi dipinti? Si chiede Sacchetti. Ogni artista deve essere figlio del suo tempo. E tu questo, l'hai sempre sentito. E nessuno può smentirti!".

Mentre Mozzambani, entrando nello specifico del linguaggio, scrive: "Marinelli depone sulla tela a spicchi la paziente attesa di se stesso e il quadro delle sue ribellioni è l'acquisto di una diversa dimensione". Negli anni sessanta egli partecipa a numerose collettive: al Premio Nazionale di pittura di Termoli, alla Mostra Mercato di Arte Contemporanea di Firenze, ad una collettiva di artisti veronesi a Lubiana, alla rassegna "Segni nello spazio" a Trieste, ad un'altra mostra di gruppo alla galleria "Luna 2" di Torino e ad altre manifestazioni ancora. Nel 1967 fa parte del comitato organizzatore della 58° Biennale Nazionale d'Arte di Verona, una edizione, ricorda il pittore Silvano Girardello, tra le più belle se non la più interessante di quegli anni. Una rassegna la cui autorevole giuria è formata da Umbro Apollonio, Renato Barilli, Mario De Micheli, Licisco Magagnato e Giuseppe Marchiori. L'organizzazione è affidata ad Aldo Tavella, Orazio Pigato, Antonio Nardi, Silvano Girardello e Renzo Marinelli. "Fu quella la Biennale veronese che ruppe definitivamente con i criteri abbastanza fuori rispetto ai tempi nuovi che già avevano cambiato in Italia tutte le altre manifestazioni analoghe", ricorda con lucidità e precisione Silvano Girardello. È una sorta di passaggio di testimone tra generazioni, quella dei Trentini, dei Pigato e dei Tavella e quella dei Girardello, Marinelli, Rampinelli, Degani e altri. Alla 58° Biennale veronese partecipano, tra gli altri,


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34 Birolli, Bodini, Cappello, Ghermandi, G. Pomodoro, Pozzati, Alviani, Trubbiani, ecc.: cioè alcune delle più signifcative figure dell'arte contemporanea nazionale. Nel 1971 Marinelli ritorna ad esporre a Verona con una personale alla Galleria "Linea 70". Nei successivi due decenni, a causa di una lunga "pausa di riflessione" e anche di una sua intensa e L’artista Renzo Marinelli - anni 80 coinvolgente collaborazione artistica con un importante studio di architettura veronese, egli partecipa a poche manifestazioni artistiche. Nel 1980 ritorna ad esporre presso la galleria "Novelli" in una mostra che, almeno nel titolo "4 Artisti", sembra ricordare quella del 1962. Ma poi per tutti gli anni Ottanta Renzo Marinelli si tiene lontano dalla scena espositiva, allestendo solo una personale nel 1986 presso la galleria "Studio Toni De Rossi. Nel 1990 riprende la voglia di esporre. E con altri artisti veronesi suoi coetanei ed alcuni giovani progetta e realizza la manifestazione "Arte in fabbrica", rassegna di quadri e sculture ordinata nell'azienda di Ivano Bissoli raffinato falegname, amante dell'arte e fornitore di "materiali" a quasi tutti gli artisti veronesi che in questa fabbrica si ritrovano spesso, non solo per le loro esi-

genze tecniche, ma anche per confrontare idee e progetti. Un'altra importante rassegna alla quale Marinelli partecipa nel 1990 è "Pittura a Verona", manifestazione artistica organizzata da Alessandro Mozzambani e Alberto Cinquetti. In occasione di questa mostra Gian Luigi Verzellesi coglie nelle opere dell'artista "una vena inventiva continuamente alimentata da una rara sapienza di matrice artigianale. La sua arte - egli scrive - cresce al di fuori delle serre costruttiviste per manifestarsi nello spazio di paesaggi, stratificati - a liste e ritagli lignei sovrapposti - fino ad assumere lo spessore di un bassorilievo azzurro, predisposto per il risalto delle tinte, che s'accendono e spengono quasi in una luminaria ravvivata da piccoli bengala rossi e gialli: così luminosi da svelare certe zone del paesaggio come angoli di natura incantati dai raggi della luna". Con Luciano Dal Molin, suo grande amico, partecipa alla rassegna "Superando infinite barriere" presso la Galleria Civica di Sassuolo (presentato da Franco Pone): poi lo ritroviamo, in rapida succesione, alla collettiva "Per arte e per amicizia" a Reggio Emilia, alla "Mostra itinerante di dieci artisti veronesi" presentata da Dino Formaggio e Alessandro Mozzambani, all' "Omaggio a Giulio Martinelli" ordinata a Villa del Bene a Volargne ed ancora a Caprino dove in "Continuazione" la sua opera viene definita da Vera Meneguzzo, "un intrico di piccoli legni, arbusti, ramoscelli e radici, che tinge di colori raggianti per poi conglobarli sulla


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35 tela e raccogliere il sottobosco delle stagioni". Una delle ultime apparizioni di renzo Marinelli è in occasione della mostra allestita presso lo "Spazio Culturale" della Festa Provinciale dell'Unità nel 1998, intitolata "Verona anni '60. Arte una questione aperta". Con lui altri sette artisti (F. Arduini, M. Casari, F. Chiecchi, P. Dal Gal, E. Degani, N. Finotti, S. Girardello, P.L. Rampinelli, A. Robotti). Una attenta ricognizione di quel "leggendario" decennio in cui, come scrive Luigi Meneghelli, "riprende l'istanza del nuovo, la manifestazione di una agguerrita sensibilità, il rinnovato modo di intendere e di rapportarsi alla realtà".

R. Marinelli, E. Degani, G. Martinelli e F. Chiecchi, 1970

Giorgio Trevisan

Si lavora alla preparazione di pannelli per una Festa dell'Unità. Anni '60.


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