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Planetario autori – F. Barricalla

PLANETARIO autori

VINCENZO CARDARELLI

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CARDARELLI A SANREMO di Fabio Barricalla

Quassù è terra di gaja scienza…

1. Secondo quanto è riportato nella Cronologia delle Opere, curate da Clelia Martignoni, e pubblicate nel 1981 in un volume de «I Meridiani» Mondadori, Vincenzo Cardarelli (nato il 1° di maggio 1887 a Corneto Tarquinia, oggi Tarquinia, e morto a Roma il 15 giugno del 1959) soggiornò a più riprese in Liguria: precisamente, cinque volte a Sanremo, tra il 1915 e il 1923. Proprio durante il suo primo soggiorno sanremese, durato dal dicembre del 1915 al maggio dell’anno seguente, il ventinovenne «poeta e prosatore lirico» (così la Martignoni) aveva inviato, il 21 gennaio del 1916, all’editore Gaetano Facchi, il manoscritto del suo primo libro, Prologhi (Settembre 1913 - Luglio 1914), che sarebbe già stato pubblicato nel febbraio seguente presso lo Studio Editoriale Lombardo di Milano. La definitiva stesura dell’opera di esordio, «un centinaio di paginette appena» (così scriveva l’autore all’editore), miste di prosa e versi, alternate in maniera ‘limpida’, ‘quasi geometrica’ (ancora Martignoni), si sarebbe conclusa proprio durante quel primo soggiorno sanremese. – A pubblicazione avvenuta, in una lettera del 28 aprile ’16, lo stesso Cardarelli scriveva all’amico «poeta notturno» Dino Campana, autore dei Canti Orfici, allora «arrestato a Signa [leggasi: Lastra a Signa] per mancanza di mezzi»:

la tua cartolina mi ha fatto un vivo piacere. Inutile dire che se anche non ti scrivo tu sei una delle poche persone presenti e vive nella mia memoria. In quanto a venire costà è un altro affare. Io non credo che tornerò a stare in Toscana almeno per molti anni. Per adesso sono sempre a San Remo;

e ancora: «Quassù è terra di gaja scienza, e io faccio qualche cosa in un ordine, come puoi immaginare, tutto nuovo. Ma non mi fido ancora né di mostrarmi né di parlare».

2. Il rapporto, tutt’altro che infruttuoso, di Cardarelli con la Liguria in generale, e particolarmente con Sanremo, vera e propria sineddoche, è testimoniato da alcuni componimenti, sia in versi che in prosa, che avrebbero trovato una sistemazione definitiva rispettivamente nelle Poesie del 1958 e in Prologhi. Viaggi. Favole del 1946 (entrambi pubblicati da Arnoldo Mondadori Editore): Liguria, Sera di Liguria e Idillio, nelle Poesie; e Addio, Liguria e Notturno, in Viaggi nel tempo (1916-17), seconda parte del trittico mondadoriano.

«È la Liguria una terra leggiadra»: è questo il celebre incipit di Liguria, che Stefano Verdino, introducendo le sue Riviere in versi, ha definito la «poesia forse più vulgata ispirata dalla Riviera», non inclusa però nella sua antologia «per la difficoltosa ubicazione (forse ponentino-sanremese) ed anche – confesso sinceramente – per un che di troppo a réclame con cui si avvia (“È la Liguria una terra leggiadra. / Il sasso ardente, l’argilla pulita”) e qua e là persiste, oltre singole strepitose invenzioni (“In quell’arida terra il sole striscia / sulle pietre come un serpe”; “O chiese di Liguria, come navi / disposte a esser varate!”)». Purtuttavia, in quei versi celeberrimi, non è affatto impossibile rintracciare gli elementi essenziali del paesaggio sanremese, riconoscibilissimi per uno del luogo – seppure, leopardianamente, ‘vaghi’, e ‘indefiniti’ È la Liguria una terra leggiadra. Il sasso ardente, l’argilla pulita, s’avvivano di pampini al sole. È gigante l’ulivo. A primavera appar dovunque la mimosa effimera. Ombra e sole s’alternano per quelle fonde valli che si celano al mare, per le vie lastricate che vanno in su, fra campi di rose, pozzi e terre spaccate, costeggiando poderi e vigne chiuse. In quell’arida terra il sole striscia sulle pietre come un serpe. Il mare in certi giorni è un giardino fiorito. Reca messaggi il vento. Venere torna a nascere ai soffi del maestrale. O chiese di Liguria, come navi disposte a esser varate! O aperti ai venti e all’onde liguri cimiteri! Una rosea tristezza vi colora quando di sera, simile ad un fiore che marcisce, la grande luce si va sfacendo e muore.

E proprio passeggiando «per le vie lastricate / che vanno in su», il poeta ha un «incontro inatteso» con una «villanella» – ed è subito Idillio:

Quel «silenzio» ‘idilliaco’ ritornerà anche in questo Notturno, stavolta in prosa: Per una stradetta ombreggiata fra due muri di pietre rugginose da cui spuntavano pampani soleggiati, vidi un giorno, in Liguria, (oh incontro inatteso!) una giovane contadina ritta sul limite del suo vigneto. Era la via romita, l’ora estuosa. Mi guardò, mi sorrise, la villanella. Ed io le dissi, accostandomi, parole che udivo salire dal sangue, da tutto il mio essere, in lode di sua bellezza. Sotto il rossore del volto imperlato dall’interrotta fatica la bocca sua rideva luminosa. Era scalza. Una scaglia d’argilla dorata rivestiva i suoi piedi usi ai diurni lavacri della fonte. Gli occhi, infocati e lustri, di gioventù brillavano, solare e profonda. E dietro a lei, così terrosa e splendida, l’ombre cognite e fide della domestica vite parevan vigilarla. Tutto era pace intorno e silenzio agreste.

Due donne, una notte, in Riviera, la luna le aveva colte a discorrere perdutamente. Quantunque già nella loro voce circolassero le prime melodie del sonno, il tono flebile e fantastico, di veglia, che avevano le loro parole, sottintendeva: questa sera non si ha proprio voglia di andare a dormire. E il silenzio della notte intorno pareva in subbuglio. Il mare, sotto il raggio smagliante della luna, mandava lampi taciturni, vagamente scosso da un vento che non esisteva. Ed io vi dico che in una maniera così trasognata e idillica non s’è mai messa in musica una notte di luna più straordinaria. Quando un grillo stravagante si mise anch’esso a cantare.

Se, venuto in questo paese di laghi, di pace, di classiche ville disabitate, dove l’acqua tentenna a salire gli ultimi gradini e le rondini stanno a casa loro, potessi almeno non scordarmi di te, calda Liguria, e offrirti un canto spiegato!

Un canto per i miei inverni in Liguria!

Era già il tempo di ritrovarsi altrove. La natura, per molti segni, si preparava ad avviarsi verso la buona stagione. Il cielo, in quelle mattine, aveva il viola tenero e ombreggiato dell’inverno che si riposa; le nuvole erano calate all’orizzonte come un leggero auspicio; miriadi di pesci, appena generate, salivano dal fondo in grande armonia per riscaldarsi al tepore della superficie. Un inesplicabile e lungo turbamento, che a giorni scoppiava in tempeste incredibilmente chiare, aveva fatto nascere la primavera sulle acque. I venti soffiavano dall’una all’altra direzione, carichi di pioggia, di sole, di odori, e il tempo sul mare era sempre mutevole e fluttuante, ostinandosi a non passare. Allora, per andare incontro alla primavera che era sulla bocca dei venti, dovetti dire addio alla Liguria;

Addio, Liguria. Non è possibile essere grati alle terre, agli uomini, alle belle avventure. Mancano le parole.

Addio: per i tuoi grandi paesaggi d’olivi dove il colore in maggio è bronzo fiorito; per il verde chiaro delle vigne di cui vivono anche in estate le ardenti terrazze di pietra sollevate all’infinito sul mare; per la luce che mettono nei giardini le mimose; per le calde costellazioni di aranceti che lungo i greti azzurri e polverosi fanno il paese più folto, più raccolto, più dorato.

3. Ma agli «inverni in Riviera», dopo il suo ultimo soggiorno sanremese, durato all’incirca dall’autunno del 1922 alla primavera del ’23, Cardarelli dovette dire addio – e quell’addio è affidato a un ‘viaggio nel tempo’, intitolato, appunto, Addio, Liguria:

e ancora

Laggiù, dove le tue spiagge s’affumicano e ventila la miseria industriale, vedendo come il vento della sera, nelle piccole stazioni, fa crollare i garofani sui davanzali, ho ancora un insulto di nostalgia. E tu mi lasci con un ricordo quasi di adolescente poesia, di belle cene d’estate, di vita su per i balconi.

Sarà «ancora un insulto di nostalgia» per «quell’arida terra», dove «il sole striscia / sulle pietre come un serpe», a suscitare nel poeta forse i suoi versi migliori, dedicati alla Sera di Liguria, che non a caso ho lasciato per ultimi – e con i quali vorrei congedarmi:

Lenta e rosata sale su dal mare la sera di Liguria, perdizione di cuori amanti e di cose lontane. Indugiano le coppie nei giardini, s’accendon le finestre ad una ad una come tanti teatri. Sepolto nella bruma il mare odora. Le chiese sulla riva paion navi che stanno per salpare.

BIBLIOGRAFIA Dino Campana, Canti Orfici (Die Tragödie des letzten Germanen in Italien), Marradi, Tipografia F. Ravagli, 1914; Id., Lettere di un povero diavolo. Carteggio (1903-1931), con altre testimonianze epistolari su Dino Campana (1903-1998), a cura di Gabriel Cacho Millet, Firenze, Edizioni Polistampa, 2011; Vincenzo Cardarelli, Opere, a cura di Clelia Martignoni, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2007 (1981); Id., Prologhi (Settembre 1913 - Luglio 1914), a cura di Clelia Martignoni, introduzione di Silvio Ramat, Genova, Edizioni San Marco dei Giustiniani, 2004; Giacomo Leopardi, Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura, Introduzione di Giosue Carducci, Firenze, Successori Le Monnier, 1898; Stefano Verdino, a cura di, W, Ventimiglia, philobiblon edizioni, 2002.

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