II.
Giorgio Orelli
I. A una bambina tornata al suo mare
Ti dirò, Grazia, che posso pensare a capre, a sere scivolate sopra schiene curve di vacche ai pascoli. Da quanto tempo è chiusa la stanza dove ho inciso il mio nome senza superbia, scritto i miei primi versi. Fermi i groppi del soffitto, che un tempo erano occhi Morte le vecchie zie.
Ma i ruscelli hanno agli orli del loro canto il più giovane verde. E raggio insieme a raggio del sole posso sentire posarmi in quest’ora sul corpo, e non mi lagno se come un vecchio dentro ne risuono. Volentieri perdóno al vento, e in un esiguo prato m’arresto a ricordare te che immersa nell’erba mi gridavi: «Guarda, nuoto nel mare». (1948)
II. A Giovanna, sulle capre
No che non sono cattivose le capre di Dalpe. Più che la voglia ingorda e l'anima vagabonda saggezza le sospinge nei luoghi più solivi della nostra conca quando l'inverno è quasi senza neve, e in giorni come questo luminosi, vedi, non hanno corpo, non sono che macchie nere sul greppo; e quella, immota contro il cielo,
potremo attraversarla tenendoci per mano. Presto esulti, le chiami, gli porti fili d'erba, lasci che l'una o l'altra ti venga a trovare, e mentre t'annusa le tocchi il piccolo campano che suona leggero ma franco più delle campanelle dell'albero di Natale.
Guardala bene negli occhi,osserva la tenace pupilla, e come (non piangere, non vanno) a una giusta distanza ci circondano e pregano per noi.
(1964)
III. A Lucia, poco oltre i tre anni
«Di chi è questo odore?» «Questo odore è del sambuco.» «Del san cosa?» «Del sambuco, d’una pianta diversa dal pino sotto cui siamo passati tante volte in questa falsa estate; coi fiori del sambuco la nonna, la nonna Maria, faceva la gazosa.» «Sì, è morta.» Dura l’odore del sambuco, così diverso da quello del pino, l’odore fresco del sambuco, parente della robinia, qui, dove rane e immondizie esagerano, e il sole sembra affliggerti, figlia nemica di ciascun crudele, che a volte mi guardi come sapessi la vita che noi morti qui viviamo.
(1973)
IV.
Che fa Matteo Delbrück quando carponi nel prato incontra una margherita? La guarda stupefatto? la coglie? la bruca? Fa tutte queste cose, e poi sorride. Come sorride alla rissa dei merli tra le ruote del passeggino, ai treni giallorossi che volpeggiano filando verso Flüh, al becco rosa che tanto si svia dal fuso bianco e nero della cicogna, al cavallo (in pensione) che accende col muso la luce nella stalla e non la spegne mai, e alla sua ombra che in vetta alla mia si allunga: perché tutto è nuovo per il figlio di mia figlia tutto è meraviglia. (1989)
V.
Maria che nel suo dolce stile ama la perla del superlativo assoluto. D’un nerobarbuto: «Che schifo!» proclama, «il mio nonno è morbidissimo» D’un sasso: «Frégalo con la mano, è calduccissimo». Oppure dice che le piace il giallo perché è oro orissimo. E: «Il rosa è bello perché è bellissimo». È come in altalena quando spinge spinge e con le foglie infinite del platano s’inciela. (1996)
III.
Giorgio Caproni – A mio figlio Attilio Mauro che ha il nome di mio padre
Portami con te lontano …lontano… nel tuo futuro.
Diventa mio padre, portami per la mano dov’è diretto sicuro il tuo passo d’Irlanda - l’arpa del tuo profilo biondo, alto già più di me che inclino già verso l’erba. Serba di me ricordo vano che scrivo mentre la mano mi trema. Rema con me negli occhi al largo del tuo futuro, mentre odo (non odio) abbrunato il sordo battito del tamburo che rulla - come il mio cuore: in nome di nulla - la Dedizione.
Saba – A mia figlia
Mio tenero germoglio, che non amo perché sulla mia pianta sei rifiorita, ma perché sei tanto debole e amore ti ha concesso a me; o mia figliola, tu non sei dei sogni miei la speranza; e non più che per ogni altro germoglio è il mio amore per te.
La mia vita, mia cara bambina, è l'erta solitaria, l'erta chiusa dal muricciolo, dove al tramonto solo siedo, a celati miei pensieri in vista. Se tu non vivi a quei pensieri in cima, pur nel tuo mondo li fai divagare; e mi piace da presso riguardare la tua conquista.
Ti conquisti la casa a poco a poco, e il cuore della tua selvaggia mamma. Come la vedi, di gioia s'infiamma la tua guancia, ed a lei corri dal gioco. Ti accoglie in grembo una sì bella e pia mamma, e ti gode. E il suo vecchio amoreoblia.
Umberto
Tiziano Rossi – Varietà
Merita passione la varietà del mondo e grande è il fascino della quantità delle attitudini; ed anche la neve - ad esempio - si cala con imprevedibile balletto. Pertanto si vorrebbe essere all’altezza della pluralità e di più voci essere capaci parlando scandito, precipitoso, squillante, roco o fioco; ed anche in tanti modi guardare a questa piazza in confusione: interrogativi, timorosi, stupefatti, ostili o veneranti.
Però quasi tutto è già di fumo: pin, pin, uselìn, così è corso il tempo e molte sono le strade non potute.
Ora ho saputo che mio figlio s’addentra nella regione mirabile delle montagne, e là sale e poi sale piano coi suoi perché: e dunque non io ma lui saprà - rispondendo a una centesima domanda –dire di sì ad un'altra commozione. E allora vado a letto tutto contento.
IV.
Franco Scataglini – Da La rosa … Se ora raviso bene una fanciulla viene: Gioventù soridente cosina adolescente presta e legera d’anni. Ecola: senza inganni, ardita, incontroversa, trepidamente persa nei gioghi de l’età
Attilio Bertolucci – La crescita di una bambina
La parola crisi applicata a te il cappello di paglia viola scolorita posato con sprezzatura (garbo) femminile sui tuoi capelli - ce n'era anche troppo per turbare il corso d'un estate imboccato dalla parte opposta alla tua che per necessità parla di sotto la cupola-galleria dei platani infestati da cicale. Ma ora ci siamo riuniti qui per la vacanza che ti sei meritata con tanti otto e qualche nove, con quei quaderni (già di terza già con righe come quelle senza le quali non so scrivere) che sono campicelli ben scompartiti con i filari della prosa semplice - paesaggi e ritratti, nevi di Parma e nonne d'Australia, e anche di più, il sale delle tue riflessioni a tempo giusto, la clausola, spesso d'un giudizio personale in cui la verità di generazioni di secoli i conforti della fede ma anche quanto Galileo e Colombo seppero intrepidi osare con mezzi umani sono verità, luce di mattina e ordine dell'intelligenza, ardore già d'un carattere, per cui il caos famigliare prima della
scuola prima dell'ufficio e della donna a ore si ricompone in un interno di fiandre illuminate, a metà ombrate dal vapore dissolventesi adagio, nell'aria fresca, di caffè e tè. Che dubbi, che riserve mentali potevano reggere al tuo ingresso alato e così terrestre, ormai anche il cerchietto, plastica ma puro corallo sul tuo miele naturale, fissato con l'arco assoluto d'una mezzaluna? Non così oggi, mentre il libeccio risospinge le svogliate masnade verso una terra di pensioni e di garofani mercenari e tu non ti stacchi dall'assito madido del capanno, il vecchio copricapo di tua madre che fingi di portare per difenderti dal sole, tu fino a ieri invulnerabile, non così: pencola paurosamente, ti nasconde quasi un occhio, e questo ti fa ancora più graziosa. Ma se te ne rendi conto, sei tu ora a imbrogliare le carte, a falsificare l'anagrafe e a fare del petit déjeuner versiliano non un caos, ma l'inferno.Eppure se il mattino ti svegli piangendo nontutto è perduto: Freud ha ragione ma torto, la nevrosi è sì la condizione della salute: la salute esiste però, accontentiamoci che
passate l'estate e l'età anche tu sia «abbastanza sana, non troppo malata».
Corrado Govoni – Punta secca
Sei magra e lunga eppure hai tanta forza plastica nel corpo gentile che se abbandoni i gomiti sul pozzo o contro il muro del cortile il bel capo rovescio serrati gli occhi strette le labbra sciolti i ginocchi con quell'uncino di riccio nel mezzo della fronte e ad un capriccio improvviso ti distacchi t'impenni e via saetti come da fionda su quegli alti tuoi tacchi di stella che nel sole quasi non ti si vede più tanto sei bionda; si può giurar per certo che tu con quel tuo premer duro un incavo hai aperto nel docile marmo e nel muro. Attacchi d'ali strappate ti palpitan le reni; così sottile e senza seni: li hai tutti nei ginocchi. Ma l'orchidea tu l'hai negli occhi.
V.
Leonardo Sinisgalli – Epigrafe
Quando partisti, come è nostra usanza, inzepparono la cassa dei tuoi piccoli oggetti cari. Ti misero l’ombrellino da sole perché andavi in un torrido regno e ti vestirono di bianco. Eri ancora una bambina, una bambina difficile a crescere. Pure fosti accolta con rassegnata dolcezza, custodita e portata alla luce come matura la spiga in un campo esausto. Io ricordo, sorella, il tuo pigolìo quando ti chiudevi a piangere sulla loggia perché volevi andare sul tetto a stare. Eri felice soltanto se potevi sollevarti un poco da terra.
Ti misero nella cassa gli oggetti più cari, perfino una monetina d’oro nella mano da dare al barcaiolo che ti avrebbe accompagnata all’altra riva. Noi restammo di qua nella grande casa che tu sapevi rivoltare come un sacco. Per un po’ di giorni nessuno ebbe voglia di riassettarla. Ci raccogliemmo intorno al camino pensando al tuo grande viaggio, alla tristezza di mandarti sola in un paese sconosciuto. La nonna stava ad aspettarci da anni. Da anni nessuno di noi era stato chiamato. Nell‘immensa plaga, in quella lunga quarantena come avete fatto a riconoscervi?
Ti avevamo messo dentro la cassa gli oggetti più cari, il tuo ombrellino, il tuo pettine, un piccolo mazzo di fiori. Mia madre ti seguiva ad ogni tappa, dalla casa alla chiesa, dalla chiesa al cimitero. Dava ricetto nella sua stanza ad ogni farfalla, e tenne per lungo tempo la casa aperta nella speranza che tu potessi tornare.
Un giorno una donna venne a bussare alla porta, a dirci che ti aveva sognata. La donna aveva una bimba malata, una tua compagna, e tu avevi visitata. Parlasti in sogno a quella donna, chiedesti qualcosa che ella non sapeva: perché non sentiva in sogno e tu parlavi e pareva che chiedessi una cosa che nella confusione del distacco era stata dimenticata.
Mia madre rovistò tra le tue carte, stette a lungo a cercare i tuoi quaderni a uno a uno. Guardammo per l’ultima volta la tua scrittura tenera, il tuo esile nome scritto dalla tua piccola mano. Furono legati con un nastro bianco i tuoi quaderni che avevamo dimenticati. La bambina te li avrebbe portati. Aggiustammo i tuoi quaderni nella cassa della compagna che tu avevi prediletta. Anch’essa venne vestita di bianco nel torrido regno da cui nessuno è mai tornato.
Barile – Lamento per la figlia del pescatore
Nel fresco giorno ha calcato sì poca terra il tuo piede scalzo! Hai fatto questi due passi fra l’orlo del mare e la piana soglia iridata di salso della tua casa a terreno.
Eri sul lembo del suolo che il grande azzurro frantuma. Da questa ruga di spuma vacillavi già in braccio al sereno come sull’uscio del mondo.
Oh, sulla nostra marina il tuo soggiorno fu mite e sottovoce, fanciulla ammainata come una vela nel bianco dei tuoi pensieri. Ora canti sull’altra tua riva. Noi tristi che non ti vedremo più cucire le bionde reti, riempir di guizzo i panieri, i tuoi occhi di calmo celeste. Ora tuo padre ha dipinto le sue barche di un filo di lutto, gli tremi viva nel flutto battuto dal lacrimante remo.
Angelo
Gatto - Lelio
La tua tomba, bambino, vogliamo sia sbiancata come una cameretta e che vi sia un giardino d’intorno e l’incantata pace d’una zappetta.
Era un dolce rumore che tu lasciavi al giorno quel cernere la ghiaia azzurra e al suo colore trovar celeste intorno la sera. Ora, che appaia
la luna e del suo vento lasci più solo il mondo, ci sembrerà d’udire nell’aria il tuo lamento. Era un tuo grido a fondo l’infanzia, un rifiorire…
Inventaci la morte, o bambino, i tuoi segni come d’un gioco infranto rimasero alla sorte del vento, ai suoi disegni di nuvole e di pianto.
Alfonso
Ogni giorno che passa è un ricadere brullo nell’ombra che c’invita. Irrompi a testa bassa nel ridere, fanciullo, devastaci la vita un’altra volta e vivi.
VI.
Fine dell ’infanzia
Il tempo fugge anche quando passa, nei giorni di vacanza, soprattutto. Da giorni, il tempo passa sulla spiaggia: fatta conoscenza, potersi trovare - uomini in barca, con larghe vedute –castelli di sabbia, scampati per aria ai ciottoli caldi… Coi piedi per terra possiamo andare. E andiamo, a vedere cosa riserva l’area protetta per razze, paguri, conchiglie abitate, mante, sirene, e certi locali di poco conto, se possono andare. Siamo dei loro. Prendendone atto, segniamo il passo: ci basta la febbre dei cercatori, dell’oro trovato. E quelle risate quasi rapide dentro a tronchi cavi, come scelte cerbottane, ancora in tasca, pronte, a rovesciare i viaggiatori! Tutto questo è nei miei sogni. Ora da queste parti si vola più basso, e i climi sulla terra rimangono sereni: la scuola è dell’obbligo e i compiti, a casa, guidate le visite, presso musei di arte moderna, la piena coscienza del santo libretto, e l’otto in condotta si deve a vacanze e assenze di mesi con settimane bianche, splendide per nevi. L’albero da cocco, nell’orto di mattina
quando è caldo, risacca che si muove fino in fondo, la sera. Marina stella che, tarda, splende.
Questo
richiede un consiglio, un concistoro urgente dei due o tre vivi per queste plaghe; i nostri amici, stanno crescendo.
Alla mia futura figlia Pronta? Scesa
nella notte di coperte e bei sogni, risali al mondo, risali verso tende e biscotti, segni o senso, di vita, per l’oggi. Come il guanto o il cappotto non metti ti è messo, da altri, con grazia malcerta, e fuggita da un dubbio, se questa è la vita d'adulto. Ma i canti, le gesta, i grandi diplomi, dei nonni orgogliosi, e almeno una lite da fare impazzire, per tutta l’estate, i giorni perduti e altre avventure di tutti i colori, le fughe, gli umori neri e le saghe, le forze e i destini d’armi e di amori, coi primi rumores - son fuochi di paglia, racconti d’autunno da stare tranquilli: non sanno toccarti il succo di mele e di ogni discorso: se il giro del mondo è il primo soccorso ai bimbi sperduti, ai nuovi venuti, gli ultimi arrivi - le prove del fuoco e quelle del nove, le buone novelle con quello che segue, le scene matrigne, le figlie figliastre, le fiabe, le stelle
son da venire si fanno aspettare. Io potrei continuare. Ma scende l’estate. Tu ed io, adesso, andiamo a dormire.
Quasi un ’infanzia
Poca storia, da quando mi salti in mente il parco giochi, sta fuori ti attende.
O.