TechGP | IL BRIVIDO DELLA VELOCITÀ | di Jan Witteveen

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VELOCITÀ

Il brivido della

PER UN TECNICO LA PISTA ASFALTATA PUO’ RAPPRESENTARE UN TARLO CHE STA NELLA MENTE FINCHE’ NON ARRIVA A QUELL’OBIETTIVO – PRIMA PARTE La gara MotoGP di Misano del 13 settembre credo abbia entusiasmato e comunque fatto discutere molti appassionati, non ricordo troppe situazioni di doppio cambio moto con sconvolgimento di posizioni e messa in campo delle strategie di gara così come avviene in Formula 1, è stato un evento molto particolare (potremmo vederne altri, pensandoci bene…) che mi ha portato su una certa categoria di argomenti. Ho pensato a me e al momento in cui lasciai il cross per passare alla velocità perché, va sottolineato, la pista è uno di quei tarli che ti può entrare nella mente per un motivo semplice, l’asfalto ti dà la possibilità di avere una misura molto più precisa del campo da cross sull’efficacia degli interventi motoristici e ciclistica studiati in Azienda.

Da Cagiva ad Aprilia IRIDATE. Le Aprilia RSW 250 di Max Biaggi ed RSW 125 di Kazuto Sakata.

Questo articolo autobiografico si apre obbligatoriamente con una data, 1 luglio 1987. Fu allora che entrai in Aprilia con la responsabilità delle corse di velocità. Cagiva dove ero prima, aveva preso il brand Husqvarna ma stranamente decise di stoppare l’attività ufficiale nel mondiale cross, così, detto che a Schiranna in quel momento c’era un team GP dove non c’era spazio per me, pensai altre cose. E casualmente – certe volte tutto si incastra nella maniera che non ti aspetti – incrociai Aprilia alla ricerca di un responsabile corse motovelocità. Venne un giorno a casa mia Massimo Fiorentino, allora P.R. della Casa veneta, e si presentò con un mazzo di fiori per mia moglie. Come altro contributo storico, posso dire che i successivi colloqui con responsabili dell’Azienda non si svolsero a Noale perché loro evidentemente avevano un certo stile, cercavano ma non volevano far vedere. Fu una trattativa breve, io stavo vivendo la situazione strana del ritiro dalle competizioni quando paradossalmente avremmo dovuto impegnarci di più, poi c’era quel famo-

so tarlo di cui vi ho parlato e che mi aveva già portato varie volte sulle piste di velocità, l’ultima con Adriatica tra il mio periodo in Simonini e quello in Gilera. Aggiungo una osservazione di carattere tecnico, la 125 di Noale usava un Rotax monocilindrico, la 250 aveva un bicilindrico Rotax controrotante a V di 90° che assomigliava molto al motore Adriatica.

A Noale una grande voglia di fare A Noale trovai tante cose da fare e soprattutto un’azienda con una grandissima voglia di costruirsi un futuro. Era l’azienda di Ivano Beggio, l’aveva creata e l’aveva fatta crescere, lui e tutti laggiù avevano una positiva voglia di fare. All’epoca produceva già decine di migliaia di pezzi, però era anche una Casa giovane, attiva nelle piccole cilindrate, che aveva fatto delle belle cose in velocità (i motori erano Rotax) ma che a confronto dei mostri sacri quali i vari giapponesi o anche altre Case italiane, aveva una storia più recente. Il contatto col Team fu da brividi. Invitato al GP di Hockenheim a fine giugno a fare conoscenza con la squadra, ebbi la sfortuna di dover assistere a un evento nefasto, al primo giro della 250 vi fu una caduta generale che coinvolse molti piloti; purtroppo Ivan Palazzese, del Team interno Aprilia, perse la vita proprio lì. La pista mi presentò immediatamente il suo aspetto peggiore, non fu un episodio che mandai giù in fretta, dopodichè – non prendetemi per cinico – nei giorni successivi continuammo tutti a fare quanto sapevamo e dovevamo fare.

Aprilia e racing Nel 1989 Aprilia correva nella 125 con Gresini e Casanova del Team Italia mentre in 250 si era presentata con un Team interno per Didier De Radigues e il povero Palazzese. C’erano vari problemi da affrontare. Il reparto corse era strutturato all’italiana, cioè con la maggior parte del personale in pista per tutto il campionato, poi nella stagione morta si pensava alla moto per l’anno dopo. Chiaramente con quella struttura eri in svantaggio sui giapponesi che a casa hanno sempre un buon gruppo di tecnici a studiare qualcosa di nuovo, bisognava cambiare ma non c’era personale sufficiente. La decisione per il 1990 fu di non avere più un Team interno e di dedicare quelle risorse allo sviluppo. Tecnicamente c’era un problema di affidabilità. Albero, biella, as-

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se di accoppiamento… Potevi sbiellare presto o tardi senza sapere perché. Entro fine campionato, anche perdendo prestazioni, l’affidabilità venne trovata. In discussione c’era anche la moto 1990: che fare? Potevamo provare a copiare chi andava più forte oppure proseguire con tecnologia nostra specifica. La mia scelta fu di cercare una nostra strada, modellando strutture e risorse anche in chiave futura. Avevamo quattro piloti forti, De Radigues col Team Iberna, Martin Wimmer col Team Hein Gericke, Carlos Lavado col Team Greco, Loris Reggiani con Gallina, poi nella 125 Gramigni e Debbi col Team Italia. C’erano inoltre le moto replica delle ufficiali per i team privati la cui gestione da dentro l’azienda era affidata a Fabrizio Guidotti. Fu una stagione durante la quale le prestazioni vennero ottenute senza intaccare l’affidabilità, in più lavorammo molto sulla ciclistica. Nel 1991 prendemmo Loris Reggiani, pilota di grande esperienza già Honda ufficiale (1989) poi pilota Team Gallina, come collaudatore. Vincemmo con lui una gara, un’altra con Gramigni poi anche con Chili (Team Iberna): la nostra moto era diventata competitiva. Il 1992 fu una stagione in cui dal punto di vista tecnico lavorammo sul software, mentre da quello sportivo ottenemmo la maggiore soddisfazione possibile. Entrò Max Biaggi che era stato Campione Europeo l’anno prima, e in varie gare facemmo primo, secondo e terzo; il titolo Mondiale 250 sfuggì per vari motivi, ad esempio non avevamo esperienza su circuiti come Giappone e Australia. Invece arrivò il titolo della 125, firmato da Alex Gramigni e ottenuto a Kyalami, più o meno nelle stesse ore in cui al GP degli Stati Uniti Tommi Ahvala conquistò per Aprilia l’iride Trial.

Iridati ma non ancora grandi Un titolo Mondiale è quella cosa che proietta un costruttore alla ribalta internazionale. Non necessariamente però dice che sei tra i Grandi. Aprilia nell’89 usava motori Rotax: l’impegno divenne importante (considerare le moto che vendevamo ai privati) al punto che nel 1990 gli proponemmo di fare un reparto corse gestito al 50% con loro, ma Rotax disse no (nel 1989 aveva vinto il Mondiale 125 con la JJ Cobas e Alex Crivillè). Chiuso quel discorso, ci muovemmo autonomamente, materiali Rotax ma implementazioni nostre senza rendere conto di quanto si faceva: negli anni

successivi i motori diventarono sempre più nostri fino a che nel 1992-93 vennero marcati Aprilia. Passando al 1993, ai primi test in Malesia, freschi di Mondiale, ci trovammo spiazzati dai costruttori giapponesi che nel frattempo avevano digerito male e si erano attrezzati, facevamo 10-15 km orari meno di loro. Eravamo messi male, fu una stagione difficile, i piazzamenti e le gare a podio arrivarono solo dopo metà campionato (da Misano 250, primo Jean-Philippe Ruggia, terzo Loris Reggiani).

1994 anno memorabile La stagione in cui Aprilia si affermò dal punto di vista sportivo come grande costruttore fu il 1994, quando vincemmo il Mondiale 125 con Sakata e quello della 250 con Biaggi. Avevamo lavorato molto, avevamo motori dal punto di vista tecnico con la soluzione disco rotante che i giapponesi pensavano vecchio e superato, sviluppammo l’elettronica che divenne decisiva (carburatore con power jet comandati elettronicamente, ad esempio) raggiungendo i jap in un settore dove erano stati obiettivamente più avanti di noi. Quel doppio titolo fu il risultato di un grande lavoro. In pochi anni era stato fatto tanto, quando ad esempio arrivai in Aprilia, il mio ufficio e il reparto corse erano degli spazi angusti in fondo alle linee di produzione, ma l’Azienda decise di impegnasi sempre di più per far crescere le proprie capacità e tutti insieme ci riuscimmo. Anche coinvolgendo fornitori OEM su progetti Corse, stringendo accordi con specialisti dei vari settori (Ferrari Engineering tra gli altri) per sviluppare nuovi particolari, come nel 1992 una aerodinamica particolare di carena e codone, o utilizzando il carbonio nelle parti strutturali (anche nei cerchi ruota) ottenendo il comportamento dell’alluminio e minor peso. La mia opinione sul mio periodo Aprilia degli anni 1989-1995 è che in Azienda tutti crescemmo insieme. Nell’89 il personale Corse occupato in ricerca e sviluppo era formato da due o tre persone, poi c’erano i tecnici impegnati sulle piste coi vari team. Nel 1994 arrivammo a essere un gruppo di 40-50 persone per le due classi 125 e 250, successivamente quando gli impegni aumentarono e andammo a fare la 500 e la Superbike, arrivammo anche ad essere circa 130. Mi fermo qui. Troppe altre cose ancora da dire, serve un ulteriore articolo…

[PISTA perchè]

IOPENSO CHE... “ Il fascino della velocità negli Anni 80 derivava anche dal fatto che un piccolo costruttore addirittura una squadra corse potevano puntare a misurarsi con le grandi Case e, lavorando bene, anche metterle in crisi. Oggi è completamente diverso, chi è piccolo non può avere la tecnologia e nemmeno le risorse, si è instaurato un sistema voluto dai costruttori dedicato sostanzialmente a difendere i loro interessi. Un costruttore oggi non può permettersi di perdere contro un team, l’affermazione di un player di piccole dimensioni, se non impossibile, è certamente molto difficile.“

L’asfalto ti permette una verifica molto veritiera dell’attività di sviluppo; nel cross è diverso, la prestazione che vedi in fase di ricerca spesso non trova riscontri sul campo per un sacco di variabili ben note. Ecco perché lavorare in motovelocità puo’ rappresentare un traguardo intrigante per un tecnico

CHE, TRA INDIVIDUALI E COSTRUTTORI, HANNO VINTO 40 TITOLI MONDIALI

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APRILIA

Gli anni

NELL’AZIENDA DI IVANO BEGGIO: DAL PRIMO SUCCESSO DI VALENTINO, ALL’INGRESSO IN MOTOGP FINO Seconda parte) ALL’USCITA DI SCENA DEL “PARON” A INIZIO 2005 QUANDO SI CHIUSE UN’ERA… (S L’anno scorso Ivano Beggio, lo storico fondatore nonché anima della Grande Aprilia, diede una festa per i suoi 70 anni. Invitò anche me e ne ebbe a male perché non partecipai, non volle credere al momento che non ero troppo in salute, successivamente comunque andai trovarlo a casa sua e parlammo a lungo. Anche della sua uscita a fine 2004 che, per come andò poi il mercato con la crisi degli anni 2007- 2008, lasciò un Beggio, vorrei dire, sereno. Difficile dire perché l’Azienda si ritrovò in quella situazione, nel c’era un preciso perché, col senno di poi possiamo vedere delle concause, ad esempio si era chiusa la collaborazione con BMW che dava varie garanzie, ci fu il crollo del mercato dei cinquantini, ci furono gli acquisti Laverda e Moto Guzzi con quest’ultima probabilmente costosa nonché bisognosa di forti investimenti. Per quanto si diceva, tuttavia, non c’era un dissesto economico da fallimento, la liquidità sembrava dover arrivare dalla canadese Bombardier (proprietaria dell’austriaca Rotax, partner per i motori) invece quell’opzione tramontò a vantaggio di una soluzione più politica dedicata a conservare l’italianità del Gruppo.

In Aprilia ci lasciai il cuore

di quanto avevamo fatto che provo a esporre molto rapidamente dato l’argomento di natura pistaiola, utile però ai fuoristradisti per recuperare alcune informazioni dirette su personaggi come Ivano Beggio o come Jean Michel Bayle che, insieme alla velocità, fecero molto anche nel cross.

Jean Michel Bayle

FOTO RICORDO della stagione 1994 per il Team Aprilia Campione del Mondo Classe 125: alle spalle di Kazuto Sakata e di un giovane Carlo Pernat si scorge il ”paron” Ivano Beggio. Nell’altra immagine le Aprilia 125, 250 e 500 del 1996.

Col 31 dicembre 2004 dell’addio di Beggio, me ne andai anch’io. Nemmeno mia moglie capì. A me che ero partito quasi da zero oltre 15 anni prima, provocò un forte dispiacere. Vedevo tutto difficile, avevamo vinto sì il campionato marche 2004 ma sentivo addosso una grande fatica. La mentalità Piaggio non era cambiata da che l’avevo sperimentata anni prima in Gilera, stare in una azienda privata è diverso, quindi decisi in fretta e altrettanto in fretta me ne andai, lasciando a Noale il cuore. Molti conoscenti mi fecero capire successivamente che ero stato poco avveduto a comportarmi così, ma così sentii e così feci. Il perché di questa separazione è nella storia

Il 1995, anno in cui Biaggi vinse il Mondiale 250, fu quello in cui arrivò da noi un certo ex crossista, Jean Michel Bayle. Il portanumero 111 stava a dire che aveva vinto i Mondali Motocross 125 (1988), 250 (1989) e poi il Supercross, nel 1991, che fu la stagione del suo grande slam, primo anche nel National AMA 1991 della 250 e anche della 500! Verissimo che il motocross è una buona base per la strada, però approdò alla velocità probabilmente tardi. Poi lui, aerodinamicamente, non era il massimo, non eravamo ancora all’epoca dei piloti-fantini, di sicuro il francese aveva (e ha) una certa statura (è più alto di Valentino) ed un certo peso. Morale, andava bene ma non fu un vincente: era veloce, bravo, con un fisico che su una 500 avrebbe rappresentato un problema minore, ma che sulla 250 pagava pegno. Poi secondo me, al di là del poter essere un talento naturale, alla velocità ci devi arrivare da giovane, lui vi arrivò a 25 anni quando, per imparare, gli anni migliori li hai già passati. Nel 1995 da noi vi fu anche Biaggi che rimase pure nel 1996. Vinse il Mondiale in Australia. Con lui il problema fu che non aveva manager, faceva tutto da solo, e i risultati in gara, nei periodi di discussione del contratto, ne risentivano una volta bene e una volta male. Il 1996 fu l’anno in cui Valentino Rossi vinse una gara con la 125. “Vale”, seguito da papà Graziano, all’epoca non era ancora considerato un vincente, era reduce dall’Europeo 125 , andava veloce ma non era il fenomeno che tutti abbiamo conosciuto successivamente. La metamorfosi avvenne nell’inverno 1996-97, imparò come si guida la moto, trovò il modo giusto di stare in carena perché come sa-

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pete lui è alto e le 125 erano piuttosto piccole. Fatto il salto di qualità, l’anno successivo collezionò una caduta e 11 vittorie mondiali. Nel ‘97 con noi ci fu anche Harada che per come stava nella carena aveva come velocità massima cinque chilometri in più rispetto a Biaggi; col giapponese, al Mondiale della 250, anche Capirossi.

Honda e la benzina verde La stagione 1996 fu accompagnata da molte discussioni attorno alla necessità di abbandonare i carburanti speciali e passare alla benzina verde. Era Honda in particolare a dire “green”, c’era movimento tecnico e di opinione di cui Kanazawa, capo della HRC, era il leader. All’epoca in velocità le decisioni venivano prese solo se a unanimità, io ero fortemente contrario, serviva del tempo per fare sviluppo, riuscii a ottenere che il passaggio alla “verde” venisse posticipato al ‘98. Avemmo in sostanza un anno per lavorare: le prestazioni scendevano e l’affidabilità pure. Mi aspettavo, per l’inizio del Mondiale, delle sorprese da parte dei jap, tuttavia a Suzuka 1998 non prendemmo nemmeno una grandissima paga, vero è in ogni caso che i grippaggi in pista ci furono, e parecchi. Eravamo sostanzialmente a posto. Il nostro specialista dei carburanti, IP, ci fornì una benzina tipo pompa che andava benissimo, e dalla seconda gara ottenemmo successi a raffica. Considerate ad ogni buon conto che la precedente affidabilità media di 2.000-3.000 chilometri venne riparametrata a circa 500… Noi ci collocammo fra 200 e 300, sufficienti a coprire un GP ed avere prestazioni migliori rispetto ai giapponesi: Honda e anche gli altri erano meno preparati di noi, facemmo 1°, 2° e 3° nella 250 con Capirossi, Vale e Harada e nella 125 vincemmo con Sakata. Il 1998 fu anche il nostro anno migliore dal punto di vista tecnico, avevamo un vantaggio di un secondo e anche un secondo e mezzo al giro. Vincere quella sfida fu bellissimo, è una stagione che ricorderò sempre.

Da Valentino alla MotoGP Il modo di festeggiare che aveva Valentino rappresentò una novità. Assistere ai suoi dopogara fu inizialmente una simpatica sorpresa, piaceva, era comunicativo. Diventò una regola. Come pilota faceva fatica nei tempi (anche oggi…), usava quelle sessioni per la messa a punto della moto. Ricordo che in Sudafrica partiva con più di un secondo di gap dal primo: mi disse, “domani vinco”! E così av-

venne. All’epoca ci poteva stare, oggi è molto più difficile. Nel 1999 ci presentammo anche nella Superbike; nel 2000 arrivò Corser che ottenne dei successi. Nel 2002, prima stagione della 500 GP 2T contro le 1000 4T (fino a 2006 1000 cc., poi 800), portammo in gara la 3 cilindri 1000 caratterizzata da soluzioni tecniche che all’epoca ancora non c’erano, valvole a comando pneumatico, albero controrotante e gas ride by wire: date le molte novità, ebbe un inizio difficile, tuttavia il progetto secondo me era interessante, diede molte informazioni ai tecnici, una spinta tecnologica importante e fece vedere cosa serviva per fare andare bene la moto. Quella moto doveva diventare la nostra motoGP ma Piaggio decise che dal gennaio 2005 avremmo chiuso. Peccato, poteva essere la moto giusta per la massima cilindrata. Tra il ’94 e il ’95 ci avevamo provato con la bicilindrica 2 tempi di 410 cc. con cui tentammo di sfruttare il peso minimo ammesso di 105 chili contro i 115 dei tre cilindri e i 130 dei quattro, all’inizio con tempi sul giro lenti che andarono migliorando. Sviluppammo il motore in vari step dal ‘95 al 2000 passando da 410 a 430, 450, 480 e 500 cc.; ottenemmo un vantaggio in curva ma c’erano difficoltà in partenza e a superare i quattro cilindri: facemmo alcune pole position, il tempo sul giro era ottimo ma per vincere era necessario partire davanti. Il progetto 500 cc. 2T venne sostituito (2002) col 3 cilindri 4T.

Lo stop con cross? I miei anni in Aprilia iniziarono dopo che Noale abbandonò il cross. Vi si era cimentata fino ai primi Anni 80 ma progressivamente le priorità cambiarono, a fare i numeri erano strada e scooter, la mia esperienza coi motori disco rotante venne esclusivamente dedicata alle attività di pista. Come sapete il ritorno al fuoristrada racing arrivò da fine 2003 col bicilindrico del team di Macchi in cui l’azienda e Ivano Beggio videro anche, credo, una forte valenza comunicativa, dal mio punto di vista il progetto di ritorno al motocross sarebbe stato più efficace affrontando la concorrenza sullo stesso piano tecnico (monocilindrico) fino a vincere, per rendere poi disponibili ai clienti delle Replica, con la stessa strategia adottata in velocità. La scelta comunque fu quella e la sostenemmo in sede di MSMA dove il motore bicilindrico non era gradito (vedi esperienza Gilera) e alle corse velocità fornimmo supporto per quanto ci venne chiesto.

IOPENSO CHE... “ Ivano Beggio sia stato un grande personaggio. Come sapete, recuperò a inizio Anni 70 l’attività paterna di costruttore di biciclette per dare vita, con sede a Noale, a una produzione di ciclomotori, moto e scooter. Aprilia si dedicò al fuoristrada con prodotti cross, enduro e trial; negli Anni 80 portò in serie delle piccole cilindrate (50 e 125 cc.) che diedero al marchio veneto una grande spinta per successi commerciali e tecnologici importantissimi. Da ricordare tra le moto tutta la saga delle monocilindriche ETX e Tuareg motorizzate Rotax che condusse a una fortunata partnership con BMW rivelata nel 1992 e durata circa 12 anni. “

[Un GRANDE PERIODO] “In Aprilia ci ho lasciato il cuore insieme a oltre 15 anni di lavoro e di successi. Il 2004 fu parecchio difficile per me, l’arrivo di Piaggio fu una sorpresa (ci si aspettava Bombardier), vedevo tutto difficile, mi sentivo tante cose addosso. Decisi in fretta. E molti poi mi dissero che a farmi da parte in quel modo ero stato uno scemo...”

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