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I N F O . T E N D _ G E N N A I O / F E B B R A I O 2 0 1 3 a n n o X X V n umero 01

P. Joachim Rego cp

superiore Generale dei Passionisti

“Che la passione di Cristo sia sempre nei nostri cuori.”


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La pagina di Padre Francesco Carissimo, In tutti i numeri del nostro giornale, in questo anno, noterai con una certa evidenza, il numero 25 in ogni pagina…, è la celebrazione gioiosa e festosa dei 25 anni della vita del giornale Tendopoli. Anche se i gloriosi inizi sono riconducibili agli anni precedenti, immortalati nell’indimenticabile “Echino”, frizzante inserto dell’Eco di San Gabriele, la nascita dell’attuale testata avvenne 25 anni fa. Rileggendo e sfogliando i vari numeri, si rimane ammirati, quasi sorpresi dell’impegno profuso dai giovani, per la realizzazione di questo periodico. Come sia stato possibile questo miracolo, lo sa solo Dio. Venticinque anni di storia, colorati di speranza e di giovinezza. Scorrendo le pagine si rimane sorpresi dalle personalità della chiesa, della politica, della cultura che hanno frequentato la Tendopoli e che il giornale ha saputo raccontare. Il santo dei giovani ha trovato nella Rivista Tendopoli un eco qualificato e incisivo, una proposta di vita per un cammino di risposta alla chiamata del Signore. Nell’anno della fede. Come abbiamo scritto nel numero precedente, in questo anno della fede, la nostra attenzione editoriale è orientata a sviluppare questo

tema. Abbiamo iniziato nel numero precedente con la riflessione, adatta al tempo di avvento: la fede è attesa. In questo numero che verrà letto nel periodo della quaresima proponiamo: la fede è camminare in ascolto della parola della croce.

assordante delle parole vuote degli aspiranti alle poltrone parlamentari. Nei salotti televisivi, nella “fiera” dei così detti, cavalli di razza e dei somari in estinzione, ci si pavoneggia a “spararla più grossa”, marionette di un nascosto burattinaio che non persegue la verità, ma gli indici di ascolto. La verità non viene proposta, e la convenienza viene venduta. E chi ascolta, convinto di vivere “in un mondo di libere volpi, in un libero pollaio”, digrigna i denti se è una volpe, o se è una gallina, becca, incurante degli altri, prima di essere beccata. Che fare? Come difendersi dalla menzogna venduta come verità? Sempre più mi convinco, in questo sistema di apparente democrazia, che non è la politica a generare un modo di vivere, ma è un modo di vivere che fa la politica. Non me la prendo allora con chi fa la politica, che intelligentemente vende quello che il “popolo di dura cervice” vuole comprare, ma con chi - per incoscienza o per i suoi interessi privati - manda nella vetrina del parlamento certe figure, che per usare un’espressione misericordiosa,

devono definirsi per lo meno strane. Dio per educare il suo popolo non a “fare politica” ma ad essere polis, popolo, lo ha spinto nel deserto, lo ha costretto a camminare e a provare la fame e la sete. Quando radunò il “parlamento” sotto il monte Sinai, la prima parola della “costituzione del popolo” fu: Ascolta Israele: io sono il Signore Dio tuo… e guardati dal dire “la mia forza e la mia bravura mi hanno meritato queste cose ma riconosci in cuor tuo che tutto viene dal Signore”. Ricorda ancora che “questa legge e queste norme che io ti do sono perché tu sia felice, viva e giunga alla terra promessa”. Paradossalmente, ed è una mia personale convinzione, per fare una buona politica bisogna fare una buona quaresima. In questo

tempo di penitenza, che coincide con la campagna elettorale, dinanzi ai serpenti che strisciano nei salotti televisivi, alziamo lo sguardo a Colui che per essere Parola vera e credibile si è messo sulla Croce. Credere è ascoltare la Parola e non le parole. Ma non basta parlare per essere ascoltati e seguiti, Gesù, la Parola piantata nel tempo, è diventata credibile quando si è immolata sulla croce. Solo quando le parole sono testimoniate dalla vita, la politica diventa credibile. Auguro a tutti un buon cammino di preghiera e di riflessione in questo tempo di grazia, nella consapevolezza che Dio non abbandona il suo popolo e ci fa provare la “fame e la sete” solo per la nostra felicità. p. Francesco

Dalle parole alla Parola Scrivo mentre sta crescendo il rumore

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Messaggio da parte del superiore Generale dei Passionisti

Il nuovo padre generale della congregazione Passionista Joachim Rego eletto a Roma il 27/09/2012. Il 46° Capitolo Generale della Congregazione della Passione di Gesù Cristo ha eletto Consultori Generali i seguenti religiosi (da sinistra verso destra): Padre Antonio Maria Munduate Larrea CP della Provincia della Santa Fede, Colombia; Padre Augusto Canali CP della Provincia del Calvario, Brasile e Mozambico (Primo Consultore Generale); Padre Sabinus Lohin CP della Provincia di Nostra Signora, Regina della Pace, Indonesia; P. Generale è il Joaquim Rego, della provincia dello Spirito Santo Australia (ma originario della Birmania); Padre Giuseppe Adobati CP della Provincia del Cuore Immacolato di Maria, Italia (Nord); Padre Michael Ogweno CP del Vicariato di Nostra Signora, Madre dell’Africa, Botswana, Sudafrica e Zambia; Padre Denis Travers CP della Provincia dello Spirito Santo, Australia.

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f.cordeschi@tendopoli.it Le vostre lettere. @tendopoli.it FARE DESERTO… E’ POSSIBILE? Caro Padre, faccio una grande fatica a pregare sa dirmi perché? Spesso vedendo e ascoltando certe mie amiche che dicono di pregare tanto, che provano gusto a pregare, mi sorge il dubbio che io non sono normale. Bisogna andare per forza in certi luoghi per pregare? Si deve far parte di qualche gruppo per imparare a pregare? Ho una famiglia, i figli, un lavoro… come faccio?” (Marta)

Carissima Marta, in un altro numero del giornale ho risposto a questa tua domanda, ma visto che siamo nella quaresima ti dono la testimonianza di fratel Carretto che di preghiera ne sapeva più di me. “Senti cos’è capitato a me in proposito. Quando partii per il deserto avevo veramente lasciato tutto com’è l’invito di Gesù: situazione, famiglia, denaro, casa. Tutto avevo

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lasciato meno... le mie idee che avevo su Dio e che tenevo ben strette riassunte in qualche grosso libro di teologia che avevo trascinato con me laggiù. E là sulla sabbia continuavo a leggerle, a rileggerle, come se Dio fosse contenuto in un’idea e che avendo belle idee su di Lui potessi comunicare con Lui. Il mio maestro di noviziato mi continuava a dire: “Fratel Carlo, lascia stare quei libri. Mettiti povero e nudo davanti all’Eucarestia. Svuotati, disintellettualizzati, cerca di amare... contempla...”. Ma io non capivo un bel nulla di ciò che volesse dirmi. Restavo ben ancorato alle mie idee. Per farmi capire, per aiutarmi nello svuotamento mi mandava a lavorare. Mamma mia! Lavorare nell’oasi con un caldo infernale non è facile! Mi sentivo distrutto. Quando tornavo in fraternità non ne potevo più. Mi buttavo sulla stuoia nella cappella davanti al Sacramento con la schiena spezzata e la testa che mi faceva male. Le idee si volatilizzavano come uccelli fuggiti dalla gabbia aperta. Non sapevo più come cominciare a pregare. Arido, vuoto, sfinito: dalla bocca mi usciva solo qualche lamento. L’unica cosa positiva che provavo e che cominciavo a capire era la solidarietà coi poveri, i veri poveri. Mi sentivo con chi era alla catena di montaggio o schiacciato dal peso del giogo quotidiano. Pensavo alla preghiera di mia madre con cinque figli tra i piedi e ai contadini obbligati a lavorare dodici ore al giorno durante l’estate. Se per pregare era necessario un tempo di riposo, quei poveri non avrebbero mai potuto pregare. La preghiera, quindi, quella preghiera che avevo con abbondanza praticato fino ad allora era la preghiera dei ricchi, della gente comoda, ben pasciuta, che è padrona del suo tempo, che può disporre del suo orario. Non capivo più niente, meglio incominciavo a capire le cose vere. Piangevo! Le lacrime scendevano sulla “gandura” che copriva la mia fatica di povero. E fu proprio in quello stato di autentica povertà che io dovevo fare la scoperta più importante della mia vita

Continua lo strumento di condivisione con i lettori della Storia meravigliosa che siamo chiamati a vivere, con i suoi dubbi, le sue difficoltà ma anche le gioie e la Speranza. Scrivete le vostre lettere all’indirizzo di posta elettronica: f.cordeschi@tendopoli.it

di preghiera. Volete conoscerla? La preghiera passa nel cuore, non nella testa. Sentii come se una vena si aprisse nel cuore e per la prima volta “esperimentai” una dimensione nuova dell’unione con Dio. Che avventura straordinaria mi stava capitando. Non dimenticherò mai quell’istante. Ero come un’oliva schiacciata dal torchio. Al di là della “sofferenza” che dolcezza indicibile mi inondava tutta la realtà in cui vivevo! La pace era totale. Il dolore accettato per amore era come una porta che mi aveva fatto transitare al di là delle cose. Ho intuito la stabilità di Dio. Ho sempre pensato, dopo di allora, che quella era la preghiera contemplativa. Il dono che Dio fa di sé a chi gli offre la vita come dice il Vangelo: “Chi perde la sua vita la troverà” E allora: coraggio! Scegli una settimana per fare “deserto”, cioè cercare il deserto nel cuore della città, nel mezzo dei tuoi impegni. Tieniti vicina la Bibbia. Troverai qui per ogni giorno un tema da sviluppare con le indicazioni bibliche necessarie. Uno di questi giorni ti confesserai ad un sacerdote. Cerca di terminare il tuo ritiro con la commemorazione della morte e della Resurrezione di Gesù che è il giorno del Signore, la domenica, prendendo parte ad una Liturgia Eucaristica per comunicarti al Corpo e al Sangue di Gesù. Se vuoi che il tuo deserto nella città dia frutti immediati e sensibili fa’, ogni giorno – meglio ogni notte – un’ ora di preghiera contemplativa impegnando anche il tuo corpo in un atteggiamento orante. Buon deserto! P. Francesco Cordeschi

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a cura di P. Pino Simeoni / pino.simeoni@gmail.com

Dalle parole alla “Parola”. Eccola qui la politica, dalle parole che promettono e non mantengono, dalle parole vuote, false, ipocrite, e piene di non senso, alla “Parola” della verità, della fiducia, della concretezza, alla “Parola” che si incarna e diventa vita, gruppo, comunità, società, popolo, mondo, alla Parola di Cristo che fa della Politica un arte nobile e difficile. “Arte nobile e difficile”, lo diceva qualche anno fa Don Tonino Bello e non fu preso molto sul serio (1985)… oggi le sue parole, in un clima di confusione sempre crescente e di smarrimento ci richiamano al vero, ci fanno assaporare la speranza di un passaggio dalla politica dell’utopia (del non realizzabile, del non luogo) all’eutopia della politica (al luogo nuovo, al buon luogo) dove la “Parola verità” è il fondamento di un’etica nuova della politica. Quindi “arte nobile e difficile” diceva Don Tonino: In primo luogo “arte”, il che significa che chi la pratica deve essere un’artista. Un uomo di genio. Una persona di fantasia. Disposta sempre meno alle costrizioni della logica di partito e sempre più all’invenzione creativa che gli viene richiesta dalla irrepetibilità della persona. Arte, cioè programma, progetto, apprendimento, tirocinio, studio. E’ un delitto lasciare la politica agli avventurieri. E’ un sacrilegio relegarla nelle mani di incompetenti che non studiano le leggi, che non vanno in fondo ai problemi, che snobbano le fatiche metodologiche della ricerca e che magari pensano di salvarsi con il buon cuore senza adoperare il buon cervello. E’ un tradimento pensare che l’istinto possa supplire la tecnica e che il carisma possa soppiantare le regole interne di un mestiere complesso. In secondo luogo, “arte nobile”, perché legata al mistico rigore di alte idealità, Nobile, perché emergente da incoercibili esigenze di progresso, di pace, di giustizia, di libertà. Nobile, perché ha come fine il riconoscimento della dignità della persona umana, nella sua dimensione individuale e comunitaria. In terzo luogo, “arte nobile e difficile”: Difficile, perché le sue regole non sono assolute e imperiture, sicché, proprio per evitare i pericoli dell’ideologia, vanno rimesse continuamente in discussione. Difficile, perché postula il riconoscimento di tecniche concorrenziali che si ispirano a ideologie diverse da quelle della propria matrice culturale. Difficile, perché esige il saper vivere nella

conflittualità dei partiti, contemperando il rispetto e la lotta, l’accoglimento e il rifiuto, la convergenza e la divaricazione. Difficile, perché richiede, nei credenti in modo particolare, la presa di coscienza dell’autonomia della politica da ogni ipoteca confessionale, e il riconoscimento della sua laicità e della sua mondanità. Difficile, perché significa sottrarsi alla tentazione, sempre in agguato, dell’integrismo. Difficile, perché significa affermare, pur nell’ambito della comunità cristiana, un pluralismo di opzioni: anche se questo non significa che tutte si equivalgono o che siano tutte efficaci e significative. Arte difficile per il credente soprattutto, il quale “deve essere consapevole che il Vangelo non è una metodica di emancipazione e che la povertà e la sofferenza non sono soltanto un oggetto da eliminare, bensì una realtà di cui farsi carico come il Servo sofferente. In questo senso la testimonianza politica del cristiano deve diventare vita con i poveri, per un cammino di redenzione radicale. Arte difficile, per il credente, soprattutto, che ha il compito, più che di menar vanto della sua ispirazione cristiana, di trovare quelle mediazioni culturali che rendono credibile il suo impegno politico.”. Questo il pensiero di uno dei pochi profeti del nostro tempo, e come non dargli ragione, basterebbe leggere i giornali di questi ultimi tempi che ci parlano di corruzione di uomini politici di tutti gli schieramenti per chiedersi, ma questa che politica è , per chi è e da che tipo di persone è fatta. Cosa sono questi politici, cosa servono: il bene comune o la carriera? Il popolo o lo stemma? Il municipio o la sezione? Il tricolore o la bandiera del partito? E’ ora di aprirsi al nuovo, c’è bisogno di cambiamento, anche se non tutta la classe politica è da rinnovare, ci sono ancora persone che rendono la politica “arte nobile”. E dunque dopo questa requisitoria la domanda regina, di sempre, è: quali sono le caratteristiche per essere un politico degno di appartenere alla classe degli “artisti nobili”? Credo che un buon politico debba sentire nel cuore la serietà e l’onestà del servizio che sta rendendo al suo paese. Debba sentire nel cuore la voce dei “poveri” (dei senza tetto, dei disoccupati, degli anziani soli, delle famiglie numerose senza un reddito adeguato, del pensionato che per mangiare si reca alla caritas, dei giovani che per lavorare devono offendere

la loro dignità facendosi raccomandare...) che l’incalzino a trovare soluzioni che aumentino la qualità della vita di chi è senza voce. In poche parole deve considerare prioritario nel suo impegno gli ultimi quelli che difficilmente lo voteranno perché sono considerati dalla società drop out (caduti fuori) e non hanno voce, ne sanno rivendicare il loro essere caduti fuori. Partire da questi ultimi, per ridargli la dignità perduta, e la speranza di una vita buona. A partire dagli ultimi saprà occuparsi anche delle necessità e delle priorità che servono al suo paese per renderlo veramente all’altezza delle sfide dei tempi dove giustizia e pace si baceranno e le guerre avranno fine. Correre il rischio per questo di non essere rieletto, e sentire a fine mandato di essersi spremuto fino alla fine per la giustizia, la pace, la verità, essendosi impegnato con onestà e senza risparmio di energie. Accorgersi alla fine di non aver incrementato a dismisura il suo portafoglio, di non essersi arricchito con la politica ma essere ricco dentro dall’esercizio dell’onestà e dal servizio reso al suo paese. Tutto questo ci descrive un impegno politico che ha bisogno per essere eseguito di una persona che trae la sua forza non dalle parole ma dalla “Parola” . Un politico come quello sopra descritto ha bisogno di nutrirsi della Parola di Cristo, che illumina il pensiero, che apre orizzonti nuovi di dialogo e di mediazioni con le diversità delle scelte culturali, nella tolleranza e nel rispetto delle pluralità delle diverse vedute. Una “Parola” che ha saputo donarsi fino alla fine e che per questo è l’icona del servizio, della giustizia, della pace, della nobiltà d’animo, per questo è amore, da imitare dai politici, nel loro servizio al bene comune, cosi come da ogni uomo di buona volontà che voglia veramente essere Uomo. Sarà difficile incontrare politici di questa caratura? Non disperiamo, la Speranza è alle porte, a noi resta il compito di cercarli, (perché posso garantirvi che ci sono) per offrirgli il nostro consenso e augurargli buon lavoro.

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Il dono di Isaac Ogni tanto dichiaro guerra a questo mondo, ma invece di combattere, cercando di migliorarlo, lo fuggo, in cerca di pace. Veder ribaltate le proprie priorità può essere spiazzante. Ci sono luoghi dove i piaceri che ci attendono sono così numerosi che non si sa da che parte cominciare; e luoghi dove invece finisce tutto, dove si resta soli con se stessi. Ecco, io preferisco questi ultimi, e il mio luogo dell’anima l’ho trovato: è il Monte Athos, l’Agion Oros dell’Ortodossia, l’ultima grande oasi spirituale della Cristianità. Lì mi sento non in un luogo, ma uno del luogo: come i monaci, da sempre gli unici

di privazioni e di sofferenze sostenuta dal loro epigono, San Pietro l’Athonita, l’eremita che era felice di potersi nutrire solo “di erbe, di luce e di stelle”. San Pietro l’Athonita è il primo asceta dell’Athos di cui abbiamo notizie storiche. Vissuto nella prima metà del IX secolo, trascorse 53 anni sulla Santa Montagna, praticando la più pura esichia, la pace dell’anima che si raggiunge nella solitudine e nel silenzio della meditazione. Aspettavo da tempo di vivere l’esperienza di Agios Petros - la chiesetta eretta sul luogo dell’eremitaggio di San Pietro l’Athonita - e quest’anno Agathangelos

costruita con pietre rossastre, un balcone naturale affacciato sui dirupi rocciosi dell’Eremos, un rozzo tavolo di legno all’ombra di un verde pergolato: è Agios Petros, la mia mèta. Entriamo nella chiesa, e resto di sasso: una sagoma scura sta lavorando di cazzuola sul muro della parete di sinistra. Agathangelos pronuncia un nome: “Isaac”. Con enorme lentezza, l’uomo si volta, e strabuzza gli occhi. Agathangelos gli sorride, io cerco di fare altrettanto, ma sono troppo sorpreso; dunque, ad Agios Petros vive un asceta: perché Agathangelos non me l’aveva detto? Quando il monaco si avvicina a noi, mi

abitatori fissi della Santa Montagna. Nel corso dei primi pellegrinaggi sono stato accolto nei monasteri dell’Athos, fra i più antichi e belli del mondo: cittadelle medievali dove si perpetua una tradizione spirituale millenaria, dove l’incedere del tempo viene scandito non dagli orologi, ma dalle celebrazioni liturgiche. Dopo aver visitato quasi tutti i monasteri della Santa Montagna ho sentito di dover andare oltre la loro realtà tranquillizzante, e ho cercato l’Athos estremo, quello degli eremiti e degli asceti. Non è stato facile, ma mi è andata bene; se non ho corso il rischio dell’incomprensibilità e dell’estraneità è perché nei pellegrinaggi lungo gli impervi sentieri della penisola athonita mi ha sempre accompagnato Agathangelos, l’asceta di nazionalità russa che ho avuto la fortuna di conoscere in occasione della mia prima incursione nell’Eremos. Eremos, in greco, vuol dire deserto: è la parte meridionale dell’Athos, un territorio inospitale e selvaggio, con falesie strapiombanti direttamente nell’Egeo, nei cui recessi vivono gli ultimi asceti della Cristianità. Sono i folli in Cristo, gli atleti della fede allenati alla vita

ha deciso di accontentarmi. Iniziamo l’ascesa dal porticciolo della skiti Kafsokalyvia, dunque dal livello del mare. Saliamo spediti, e dopo un po’ solo i dolci rumori della natura ci accompagnano. Il rigoglioso manto forestale dell’Athos cede a una vegetazione sempre più scarna, sino a divenire cespuglio, arbusto, e infine rada erba affiorante dalla roccia. Ancora mezz’ora di cammino e ci troviamo nel mezzo di una pietraia arida, desolata, il famoso deserto verticale athonita. Il deserto si interiorizza, e se per gli asceti l’Eremos è un luogo di refrigerio, di intima comunione col Signore, io invece mi sento svuotato, stanco, inquieto. Agathangelos sorride ironico e mi invita a resistere, “perché stiamo andando ad Agios Petros, il luogo che tanto bramavi vedere…” Ricompare un po’ di vegetazione, in alto si stagliano dei cipressi filiformi. Agathangelos fa dei cenni con la testa: è lassù che ha vissuto San Pietro l’Athonita, l’uomo che l’iconografia bizantina raffigura nudo e scheletrico, con la barba che gli ricopre i genitali, nel viso un’espressione di feroce dedizione alla scelta dell’assoluta solitudine. Un viale fra erbe selvatiche, una chiesetta

viene istintivo chinarmi per baciargli la mano. Lui capisce e ritrae le braccia, scuotendo il capo. Alzo lo sguardo sul suo volto: è un giovane alto e robusto, con lineamenti mediterranei, barba e capelli nerissimi, occhi grandi e dolci. Mi guarda stupito: “Da dove vieni?” “Dall’Italia”. “Ah! Bella Italia”. Sorride e mi invita ad accomodarmi, perché vuole farmi una sorpresa. Da uno scaffale della poverissima kalìvi in cui vive salta fuori qualcosa che assomiglia a una macchinetta del caffè. Penso a un caffè greco, invece Isaac dice che mi preparerà un “buon caffè italiano”. Con una calma che deve provenire dall’identificazione con l’elemento primordiale nel quale è immerso, prende del caffè da un barattolo semiarruginito e lo pigia con forza, più volte, nel filtro. Lo guardo dubbioso, ma non oso dirgli una parola.

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Il Moralista

pensi tu. Questo è un dono”. “Un.. dono?” “Sì, il dono delle lacrime. La capacità di purificarsi, di tornare all’abc dell’esistenza. Devi sentirti parte di questa solitudine, di queste rocce, di queste piante, se vuoi vivere qui”. Annuisco. Mi viene da pensare che il Signore, che ha chiamato Isaac in questo

Mette la caffettiera sul fuoco, e dopo un po’ ciò che temevo si verifica: il caffè fatica a uscire, la macchinetta borbotta roca per interminabili minuti. Alla fine, quello che mi viene versato nella tazzina è un liquido nerastro, che sa di bruciato e che si rivela quasi imbevibile. Ma Isaac è soddisfatto e contento, e io lo sorseggio riconoscente. Dopo il raccogliemento e la preghiera comune nella chiesetta, andiamo a sedere sotto la pergola, attorno al tavolo di legno. Guardo Isaac, il suo volto maschio e dolce allo stesso tempo. Mi viene in mente che nel mondo potrebbe avere tutte le donne che vuole; invece ha scelto di stare qui, anonimo tassello del catalogo della vita difficile da collocare con i parametri cui sono abituato. Non posso evitare una domanda: “Isaac, pensi di rimanere ad Agios Petros per sempre?” Mi fissa intensamente: “Sì, io resterò qui”. Abbassa il volto, poi lo rialza: “E morirò qui”. I suoi occhi, improvvisamente, si inumidiscono. Non me l’aspettavo. Mi sento spiazzato, impotente, forse un velo di pietà si disegna sul mio viso. Agathangelos mi guarda: “Non è come

luogo, non può non aver delineato per lui un disegno più grande e più alto. Un’altra timida domanda: “Che cosa fai durante il giorno?” “In questo periodo restauro la chiesa e prego. Nient’altro. Non si può toccare nulla qui, senza sciuparlo. Mi sento custode di Agios Petros, devo fare in modo che rimanga come è sempre stato”. Le parole di Isaac mi infondono tenerezza, ammirazione, gioia. Non ho mai conosciuto un luogo così carico di forza spirituale. Agios Petros è un luogo ecclesiale dove nella solitudine ci si sente abbracciati dal tutto, un luogo dove la preghiera, come acqua sorgiva, sgorga pura e spontanea dai tersi fondali dell’essere. E questo luogo ha un custode degno di lui, un uomo che più di mille anni dopo San Pietro l’Athonita, e duemila dopo i Padri del Deserto, vuole imitare i primi Santi della Cristianità, che vivevano, pregavano e morivano nell’intima unione col Signore. Ancora un paio di domande reciproche, poi Agathangelos mi fa un cenno, e ad Agios Petros torna a regnare la nuda sapienza del silenzio. Per più di un’ora, nessuno pronuncia una sola parola. Canti

di uccelli, stormire del vento, scricchiolii organici della natura: senso panico, fusione col tutto, pace dell’anima. Al momento del commiato, Isaac infila il braccio nello scuro rasson e un komboskini, il rosario dei monaci ortodossi, compare nelle sue mani. “Prendilo”, mi dice, “ti aiuterà a pregare”. Ora sono io a commuovermi. “Grazie, Isaac”. Abbraccio questa creatura di Dio conquistato da una bellezza interiore che effonde consolazione, gioia, serenità. Forse è questa la muta lezione di Isaac e degli ultimi asceti cristiani, uomini che privandosi di ogni bene materiale umanizzano la vita, aiutandoci ad amarla per come è, non per

come vorremmo che fosse. Sulla strada del ritorno, mi rendo conto che Isaac non ha pronunciato una sola parola su Dio, sulla fede, non ha neppure accennato a un qualsiasi suggerimento morale. Ma Agathangelos mi aveva avvertito: gli asceti non amano dare consigli, e tantomeno lezioni. Separati da noi, fanno qualcosa per tutti noi: pregano il Signore perché ci aiuti e ci salvi. Ora che sono lontano da Agios Petros, sento di non aver mai lasciato del tutto quel luogo santo. Perché vivere un’esperienza con un asceta è trovare un padre, nel senso pieno del termine: un Padre spirituale, un Padre del Deserto, il padre naturale che ho perso, il Padre Celeste che non ho potuto (o saputo) riconoscere come tale. Il dono di Isaac è ogni sera nelle mie mani. Ha cambiato il modo di concludere le mie giornate, e lo ha cambiato in modo splendido. Mentre mi raccolgo, so di essere presente nelle preghiere di Isaac, come so che il suo cuore misericordioso è entrato nella casa della mia anima. Armando Santarelli

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a cura di Marco Cola

Il mondo della Chiesa …

Questa vuole essere una pagina aperta sul mondo. Riporteremo notizie di attualità, che ci sembrano interessanti riguardanti la vita della Chiesa, e il mondo che le gira intorno nel bene e nel male. ANNO DELLA FEDE I PRIMI CENTO GIORNI SECONDO MONS. FISICHELLA L’11 ottobre scorso Benedetto XVI ha inaugurato l’Anno della fede. Mons. Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova evangelizzazione, traccia un bilancio dei primi cento giorni. «Le prime reazioni sono state di grande entusiasmo e di profondo interesse. E questo si può toccare con mano in tantissime micromanifestazioni: nelle molte lettere pastorali — scritte da vescovi alle proprie diocesi — che nel programma sono tutte dedicate alla fede; nelle iniziative promosse a livello parrocchiale per riflettere sui diversi articoli del Credo; e nella estrema diffusione avuta dal logo ufficiale dell’Anno della fede, dove su un campo quadrato è rappresentata una barca in navigazione, immagine della Chiesa, e il cui albero maestro è una croce che issa delle vele, le quali realizzano il trigramma di Cristo. La scritta Anno della fede che lo accompagna, così come il calendario dei “grandi eventi” sono

costituisce una opportunità di diffondere l’amore di Gesù a tutti e soprattutto ai moribondi da loro assistiti. È questa il parere di Suor Glenda, superiora del Nirmal Hriday (Casa del cuore puro), prima casa fondata dalla Beata Madre Teresa di Calcutta. Riportiamo qui di seguito un passo della sua testimonianza raccolta da Asianews. «Questo Anno della Fede sta portando numerose grazie e benedizioni, non solo per i nostri pazienti, ma anche per le centinaia di volontari che provengono da tanti Paesi, per condividere il servizio con i poveri delle nostre case. Essi vengono da tutti i ceti sociali, ognuno con aspettative diverse. Noi invitiamo questi giovani a partecipare alla messa della mattina; dopo aver prestato servizio e aver toccato Gesù nei poveri, chiediamo loro di prendere parte alla nostra Adorazione e alle nostre preghiere. È bellissimo vedere questi volontari, provenienti da culture e nazioni diverse, uniti nell’amore misericordioso di Dio, pieni di Spirito Santo, con cui condividere le umili opere d’amore per i più poveri tra i poveri, insieme alle Missionarie della Carità. L’amore porta l’unione con Gesù e con gli altri. Ricordo quando un giorno una giovane donna si è avvicinata a Madre Teresa, e raggiante di gioia dirle: Ho trovato Gesù nella casa dei moribondi. […] Per noi Missionarie della Carità, questo Anno della Fede è un momento di grazia, per rinnovare l’amore per il nostro sposo Gesù, che tocchiamo ogni giorno nell’eucarestia e nei malati del Nirmal Hriday». (SUOR GLENDA MC, NIRMALA CARVALHO, Asianews.it, 16 gennaio 2013)

stati tradotti nelle maggiori lingue, ma anche in altri idiomi, persino in cinese. Quindi l’Anno della fede ha raggiunto la Cina, dove è presente nelle comunità e nelle Chiese che vivono anch’esse questa esperienza della Chiesa universale. […] Insomma, c’è un grande fermento in tutto il mondo e direi che siamo partiti con il piede giusto». (GIANLUCA BICCINI, l’Osservatore Romano, 16 gennaio 2013).

VESCOVO DELL’INDIA: SIAMO PERSEGUITATI MA ABBIAMO CONSERVATO LA FEDE Riportiamo un passo dell’intervista di mons. John Barwa svd, arcivescovo di Cuttak-Bhubaneswar, rilasciata ad Asianews, a proposito dell’anno della fede e delle persecuzioni dei cristiani in India. «La Chiesa in Orissa è composta per lo più da membri delle Scheduled Caste [dalit, gli “intoccabili”] e delle Scheduled Tribe [tribali], che con generosità hanno risposto alla chiamata di fede dei nostri primi missionari. Tuttavia, chiamandoci Scheduled Caste e Scheduled Tribe, è chiaro e cristallino che ci viene dato un

INDIA - SUORE DI MADRE TERESA: ANNO DELLA FEDE, MOMENTO DI GRAZIA PER NOI L’anno della fede è un momento di grazia per le Missionarie della Carità, perché

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“colore”: ci rende persone diverse più di chiunque altro. Dopo 100 anni di impegno dei missionari e della Chiesa, i cristiani sono arrivati a oggi. Come ben sappiamo, veniamo incolpati, puniti, perseguitati, segretati ed emarginati. I nostri nomi vengono rimossi dalle liste dei beneficiari del governo, sebbene meriteremmo come chiunque altro in India i privilegi e i provvedimenti presi dallo Stato. […] So bene che noi, il popolo dell’Orissa e del Kandhamal in particolare, abbiamo un messaggio per il resto del mondo. Anche se l’Orissa è lo Stato più povero e illetterato dell’India, siamo ricchi nella nostra fede in Dio. Sono orgoglioso di poterlo dire. Sto visitando i diversi angoli della mia arcidiocesi e vedo manifestarsi il potere della fede. La voce della nostra gente dice: “Abbiamo perso case,

proprietà, persone care, ma non abbiamo perso la nostra fede”. Quando visito le parrocchie e le missioni trovo una folla di persone ad attendermi per celebrare la Santa messa, e ringraziare Dio per il Suo amore incondizionato». (SANTOSH DIGAL, Asianews.it, 23 gennaio 2013).

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… La chiesa nel mondo.

In questa rubrica desideriamo esporre brevemente il pensiero della Chiesa su alcuni problemi di attualità. Ci serviremo della parola del magistero in particolare del Papa e dei vescovi. BENEDETTO XVI CREDERE IN DIO È ANDARE CONTROCORRENTE In occasione dell’anno della fede, il papa ha iniziato una serie di catechesi per le udienze generali del mercoledì, basate sulla spiegazione degli articoli del Credo. Ecco un passo dell’udienza del 23 gennaio 2013, basata sul primo articolo del Credo: “Io credo in Dio”. «Il Credo comincia così: “Io credo in Dio”. […] Quando affermiamo: “Io credo in Dio”, diciamo come Abramo: “Mi fido di Te; mi affido a Te, Signore”, ma non come a Qualcuno a cui ricorrere solo nei momenti di difficoltà o a cui dedicare qualche momento della giornata o della settimana. Dire “Io credo in Dio” significa fondare su di Lui la mia vita, lasciare che la sua Parola la orienti ogni giorno, nelle scelte concrete, senza paura di perdere qualcosa di me stesso. [...] Abramo, il credente, ci insegna la fede; e, da straniero sulla terra, ci indica la vera patria. La fede ci rende pellegrini sulla terra, inseriti nel mondo e nella storia, ma in cammino verso la patria celeste. Credere in Dio ci rende dunque portatori di valori che spesso non coincidono con la moda e l’opinione del momento, ci chiede di adottare criteri e assumere comportamenti che non appartengono al comune modo di pensare. Il cristiano non deve avere timore di andare “controcorrente” per vivere la propria fede, resistendo alla tentazione di “uniformarsi”. […] Affermare “Io credo in Dio” ci spinge, allora, a partire, ad uscire continuamente da noi stessi, proprio come Abramo, per portare nella realtà quotidiana in cui viviamo la certezza che ci viene dalla fede: la certezza, cioè, della presenza di Dio nella storia, anche oggi; una presenza che porta vita e salvezza, e ci apre ad un futuro con Lui per una pienezza di vita che non conoscerà mai tramonto». (vatican.va, 23 gennaio 2013) IL PAPA: LE DIVISIONI TRA I CRISTIANI DETURPANO IL VOLTO DELLA CHIESA Nell’angelus di domenica 20 gennaio, il papa ha dedicato una parte del suo discorso all’ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani, che si è svolto tra il 18 e il 25 gennaio scorso. «… una delle colpe più gravi che deturpano il volto

della Chiesa è quella contro la sua unità visibile, in particolare le storiche divisioni che hanno separato i cristiani e che non sono state ancora superate. Proprio in questi giorni, dal 18 al 25 gennaio, si svolge l’annuale Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, un momento sempre gradito ai credenti e alle comunità, che risveglia in tutti il desiderio e l’impegno spirituale per la piena comunione. In tal senso è stata molto significativa la veglia che ho potuto celebrare circa un mese fa, in questa Piazza, con migliaia di giovani di tutta Europa e con la comunità ecumenica di Taizé: un momento di grazia in cui abbiamo sperimentato la bellezza di formare in Cristo una cosa sola. Incoraggio tutti a pregare insieme affinché possiamo realizzare “Quello che esige il Signore da noi” (cfr Mi 6,6-8), come dice quest’anno il tema della Settimana; un tema proposto da alcune comunità cristiane dell’India, che invitano ad impegnarsi con decisione verso l’unità visibile tra tutti i cristiani, e a superare, come fratelli in Cristo, ogni tipo di ingiusta discriminazione». (vatican.va, 20 gennaio 2013) IL SANTO PADRE AI DIPLOMATICI: LA DIMENTICANZA DI DIO ALL’ORIGINE DELLE VIOLENZE TRA GLI UOMINI Nel discorso ai membri del corpo diplomatico presso la Santa Sede del 7 gennaio scorso, il papa, commentando una frase del vangelo della notte di Natale (“gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”, Lc 2,14) vede uno stretto legame tra la glorificazione di Dio e la pace tra gli uomini, affermando di conseguenza che la negazione di Dio genera violenza nell’umanità. Ecco il relativo passaggio del discorso del papa. «Oggi si è indotti talvolta a pensare che la verità, la giustizia e la pace siano utopie e che esse si escludano mutuamente. Conoscere la verità sembra impossibile e gli sforzi per affermarla appaiono sfociare spesso nella violenza. D’altra parte, secondo una concezione ormai diffusa, l’impegno per la pace si riduce alla ricerca di compromessi che garantiscano la convivenza fra i popoli, o fra i cittadini all’interno di una nazione. Al contrario, nell’ottica cristiana esiste un’intima

connessione tra la glorificazione di Dio e la pace degli uomini sulla terra, così che la pace non sorge da un mero sforzo umano, bensì partecipa dell’amore stesso di Dio. Ed è proprio l’oblio di Dio, e non la sua glorificazione, a generare la violenza. Infatti, quando si cessa di riferirsi a una verità oggettiva e trascendente, come è possibile realizzare un autentico dialogo? In tal caso come si può evitare che la violenza, dichiarata o nascosta, diventi la regola ultima dei rapporti umani? In realtà, senza un’apertura trascendente, l’uomo cade facile preda del relativismo e gli riesce poi difficile agire secondo giustizia e impegnarsi per la pace». (vatican.va, 7 gennaio 2013)

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a cura di Marco Staffolani

La parola del creato. La parola “creato” mi fa subito venire in mente immensi paesaggi, stupendi deserti mossi dal vento, folte giungle piene di vita e di acqua, immensi ghiacciai bianchi ed incontaminati, i rossi canyon scavati nei lunghi secoli da fiumi ormai estinti … ma una cosa che proprio mi impressiona (se questo creato non fosse abbastanza) è che di tutto quanto ciò che è stato creato, finora non abbiamo visto che una piccola traccia… Si! La meraviglia che mi meraviglia è che ancora il più deve essere scoperto! Pur se con circostanze assai diverse, oggi 2013, (a proposito, Santo anno nuovo a tutti!) siamo nella stessa situazione degli esploratori del 1800 che affrontavano i viaggi più rischiosi per arrivare ai confini del mondo, per scoprire nuovi posti, nuove civiltà, per arrivare al traguardo e alla soddisfazione di dire “ora tutto è conosciuto”. Oppure, ancora meglio, seppur cambiano i mezzi, siamo nelle stesse condizioni del genovese Cristoforo Colombo che si accingeva a compiere l’epocale viaggio del 1492 che avrebbe rivoluzionato l’idea di un mondo piatto ormai antica di secoli (anche se Cristoforo secondo la sua idea era diretto verso le Indie alla fine scoprì l’America). Si una volta si viaggiava per mare, per terra e da non molto (appena 109 anni e un mese) anche per aria grazie all’invenzione dei fratelli Wright… da qualche tempo in meno (appena 41 anni e qualche mese) stiamo andando nello spazio e sulla Luna grazie a pionieri come il russo Gagarin e l’americano Armstrong… allo stato attuale dell’arte si prospetta nei prossimi decenni un viaggio umano su asteroidi vicini oppure fino a Marte … ma il viaggio che voglio proporvi in questo articolo è … molto più .. spaziale. Da quando Galileo mise nelle mani della scienza e della tecnica il suo

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telescopio, dopo averne saggiato le potenzialità scoprendo i 4 satelliti più grandi di Giove ed aver osservato per primo i crateri lunari, sono passati più di 400 anni. Da quel tempo l’universo che conosciamo è “diventato” sempre più grande. Oggi sappiamo che il nostro pianeta Terra è uno degli 8 del sistema solare (purtroppo dalla lista dei 9, che forse qualcuno ricorda a memoria dagli studi delle superiori, è stato tolto Plutone che nel 2006 è stato declassato a “pianeta nano”, cioè troppo piccolo e troppo eclettico per avere il titolo in pienezza). Ma se ricordate le gerarchie, come in una sorta di matrioska spaziale, il nostro sistema solare non è altro che un piccolo tassello in un vasto e intrigante puzzle: piccolo tassello collocato nella “periferia” della complessa struttura chiamata Via Lattea. Durante le limpide notti d’estate, soprattutto se in alta montagna, lontano dalle luci e dagli smog cittadini, si può ammirare una tenue banda luminosa biancastra dall’aspetto lattiginoso che attraversa diagonalmente la sfera celeste: questa fioca luce è proprio la Via Lattea, cioè una visione dall’ “interno” della galassia a cui il nostro sistema solare appartiene, ed in particolare se osserviamo verso la costellazione del Sagittario, li vediamo il centro galattico intorno al quale tutto il sistema solare (e altri milioni di stelle…) ruotano in un tempo da era geologica: 225 milioni di anni. Un po’ come se guardassimo verso un ipotetico cupolone centrale, illuminato in maniera esagerata, in un viaggio (assai) lungo percorrendo il raccordo anulare e attraversando in cerchio la periferia romana. Se vi sembrasse che tale viaggio finisca qui … vi sbagliate di grosso infatti … non siamo che all’inizio! Gli addetti ai lavori infatti hanno stimato in (almeno) 100 miliardi il numero delle galassie visibili, ciascuna delle quali (come la nostra) contiene circa 100 (o più) miliardi di stelle. E la stima è

sicuramente per difetto, destinata a crescere man mano che gli strumenti e le ricerche continueranno negli anni a venire. Ma neppure questo strabiliante numero totale di stelle (qualcosa come un 1 seguito da 22 zeri) è la cosa più “eccitante” che la scienza astronomica ha scoperto di recente! Negli ultimi anni gli strumenti si sono affinati al punto tale da osservare (nella maggior parte dei casi ancora in modo indiretto) la fioca presenza di altri oggetti celesti che potrebbero essere la meta di futuri e fantascientifici viaggi alla scoperta di nuovi mondi. Questa nuova acquisizione della scienza è la ricerca degli esopianeti. La parola esopianeta, lungi dall’indicare un posto per vacanze stravaganti, si riferisce a quei corpi celesti simili in composizione e grandezza ai pianeti del nostro sistema solare, con la differenza che invece di orbitare intorno al Sole, questi orbitano altre stelle. Si! La ricerca è iniziata da qualche decennio, e tramite sofisticate tecniche di analisi e misurazione, fino ad oggi si contano con certezza almeno 800 pianeti extra-solari, o esopianeti, ossia mondi figli di altre stelle le cui caratteristiche ci rimangono per lo più sconosciute. Finora la ricerca non ha trovato nessun esopianeta con le stesse caratteristiche della nostra Terra, ossia dimensione e distanza dalla stella madre che permettano una temperatura superficiale e una stabilità climatica tale da poter ospitare la vita, almeno similmente a come noi la conosciamo sulla terra, principalmente legata al ciclo dell’acqua. Ma, guardando la progressione con cui la presenza di questi nuovi mondi viene accertata, sembra solo una questione di tempo prima che una “Terra bis” sia trovata. Per il momento però togliamoci dalla testa di fare un giretto su questi nuovi mondi … per raggiungerli (almeno con le attuali

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leggi della fisica, ma molto più per l’esiguità dei nostri mezzi spaziali che diventano briciole al vento se confrontati con le immense, se non incommensurabili, distanze stellari) occorrerebbe un tempo di viaggio pari a molte delle nostre vite… Il creato. Più lo guardiamo e più lo scopriamo. Al contempo un dolce ed amaro destino: appena le nostre domande ricevono risposta, i confini aperti dalla ricerca aprono ulteriormente la mente dell’uomo a nuovi e più grandi interrogativi. Ma l’uomo, tutt’altro che stanco e pago del “viaggio” compiuto continua la sua missione. Alla ricerca di qualcosa o di Qualcuno? Chi ha fede si consoli pensando che il suo Dio è molto vicino. Il suo Dio

è nascosto nel piccolo tabernacolo di una chiesa di campagna dove regna il silenzio, o nella più maestosa cattedrale o basilica delle grandi e assordanti città. Il mio pensiero: Colui che creò cosi tante bellezze per i nostri occhi, e le tenne nascoste a noi per tanto tempo, cosi che le cercassimo e le scoprissimo, ha deciso di nasconderSi fino alla fine dei tempi, in un piccolo pezzo di pane, perché Lo cercassimo sempre e non finissimo mai di scoprirLo. Forse per ammirare le meraviglie, o meglio … La Meraviglia di Dio non è poi necessario viaggiare tanto, basta mettere piede in una delle sue tante case … non sugli esopianeti … ma su questa Terra. Ed in fondo se ci pensiamo bene… non noi abbiamo

cercato Lui… ma Lui ci ha creati e “cercati” …da sempre. Marco Staffolani Per chi volesse approfondire: marco.staffolani.stf@gmail.com

Illustrazione del pianeta Fomalhaut B mentre passa attraverso il disco di polvere intorno alla stella Fomalhaut. Credit: ESA; Hubble, M. Kornmesser; and ESO, L. Calçada and L. L. Christensen

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a cura di Mario Cappelluti

News e info dal terzo settore IL RAPPORTO “NOI ITALIA” E I DATI RETE IMPRESE FOTOGRAFANO UN PAESE IN GRAVI DIFFICOLTÀ. Nel 2011 le famiglie in condizioni di povertà relativa sono l’11,1%: si tratta di 8,2 milioni di individui poveri, il 13,6% della popolazione residente. È quanto rileva l’Istat nel rapporto ‘Noi Italia’, aggiungendo che la povertà assoluta coinvolge il 5,2% delle famiglie, per un totale di 3,4 milioni di individui. Guardando al 2010, fa sapere sempre l’Istat, circa il 57% delle famiglie residenti in Italia ha acquisito un reddito netto inferiore a quello medio annuo (29.786 euro, circa 2.482 euro al mese). In Sicilia si osserva la più elevata diseguaglianza nella distribuzione del reddito e il reddito medio annuo più basso (il 28,6% in meno del dato medio italiano).

DISOCCUPATI. Nel 2011 in Italia è occupato il 61,2% della popolazione di 20-64 anni, solo un decimo di punto in più rispetto al 2010. Nella graduatoria europea, solamente Ungheria e Grecia presentano tassi d’occupazione inferiori. Guardando alle donne, le occupate sono solo il 49,9%. La disoccupazione di lunga durata, che perdura cioè da oltre 12 mesi, ha riguardato, nel 2011, il 51,3% dei disoccupati nazionali, il livello più alto raggiunto nell’ultimo decennio. Nel 2011 il tasso di disoccupazione giovanile

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italiano (15-24 anni) è al 29,1%, in aumento per il quarto anno consecutivo e superiore a quello medio dell’Unione europea (21,4%). INATTIVI. Nel 2011 il tasso d’inattività tra i 15 e 64 anni è al 37,8%, valore tra i più elevati d’Europa, con l’Italia battuta solo da Malta. Particolarmente elevata è l’inattività femminile (48,5%). Sono considerati inattivi coloro che né sono occupati né sono in cerca di un lavoro. POPOLAZIONE ANZIANA. In Italia ci sono 147,2 anziani ogni cento giovani: è quello che si chiama «indice di vecchiaia», e in Europa solo la Germania presenta un indice più accentuato del nostro. La Liguria si conferma la regione più anziana, mentre la Campania, con un indice per la prima volta superiore a 100, la più giovane. L’Italia presenta una crescita naturale della popolazione leggermente negativa ed è agli ultimi posti in ambito europeo, vicino alla Grecia e al Portogallo; viceversa, l’aumento dovuto ai fenomeni migratori è significativo e colloca l’Italia ai primi posti della graduatoria dei paesi più «attrattivi». La vita media delle donne è di 84 anni e mezzo, quella degli uomini poco più di 79 anni, fra le più lunghe dell’Unione europea. LIVELLI DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE SOTTO LA MEDIA UE. Nel 2011 il 44% circa della popolazione tra i 25 e i 64 anni ha come titolo di studio più alto la licenza di terza media, un valore molto distante dalla media Ue27 (26,6%), e fra i 18-24enni il 18,2% ha abbandonato gli studi prima di conseguire il diploma (43,5% tra i giovani stranieri), contro il 13,5% dei Paesi Ue. Il Belpaese resta indietro anche per quanto riguarda la spesa in istruzione e formazione, 4,5% del Pil nel 2010, valore più basso di quello dell’Ue27 (5,5%), e il livello delle competenze degli studenti: l’indagine Pisa dell’Ocse colloca il nostro Paese agli ultimi posti nella graduatoria dei 25 paesi

Cari Amici, ritorna la nostra rubrica che raccoglie notizie e info dal terzo settore. La nostra attenzione si posa ancora, purtroppo, sulla povertà che sempre più sta attanagliando il nostro Paese. Dopo aver analizzato il rapporto povertà della Caritas 2012 vogliamo concentrare la nostra attenzione sul Rapporto Noi Italia dell’Istat pubblicato proprio qualche giorno fa. Allora avanti amici… stringiamoci un po’ così facciamo entrare tutti sulla nostra UTILITARIA…. Salite a bordo gente, stiamo partendo!!!! Ue partecipanti alla rilevazione. Il 20,3% dei 30-34enni ha conseguito un titolo di studio universitario (o equivalente), ma nonostante l’incremento che si osserva nel periodo 2004-2011 (+4,7 punti percentuali), la quota è ancora molto contenuta rispetto all’obiettivo del 40,0% fissato dalla strategia europea «Europa 2020». Nel 2011, infine, sono oltre due milioni i cosiddetti Neet, cioè i giovani tra i 15 e 29 anni non inseriti in un percorso scolastico e/o formativo né impegnati in un’attività lavorativa (il 22,7% del totale), un valore fra i più elevati in Europa. Significativa è anche la differenza di genere, con una percentuale del 20,1% fra i ragazzi e del 25,4% fra le ragazze. DIVORZI. Infine, l’Italia e l’Irlanda sono i paesi Ue con la più bassa incidenza di divorzi, rispettivamente 0,9 e 0,7 ogni 1.000 abitanti. Nel nostro Paese lo scioglimento per via legale delle unioni è tuttavia un fenomeno in costante crescita: tra il 2000 e il 2010 le separazioni sono aumentate da 12,6 a 14,6 e i divorzi da 6,6 a 9,0 ogni 10 mila abitanti Bene cari amici, si scende..siamo arrivati alla nostra fermata…ma preparatevi per il prossimo viaggio insieme! A prestissimo… il vostro autista, Mario

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Portare la croce con gioia Ben tornati e felice anno a tutti. Questo numero è stato scritto nella settimana del ricordo di quel terribile genocidio degli Ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale. Il mio primo pensiero va subito al film di cui voglio parlare oggi, nonostante sia molto datato, credo sia quello che ancora oggi riesce a smuovere le nostre coscienze e ad emozionare. La vita è Bella di Roberto Benigni, un capolavoro di film oserei dire e un Benigni geniale. Uscito nel 1997, La vita è bella ha come protagonista un padre ebreo, Guido (Roberto Benigni appunto), che viene deportato insieme a suo figlio in un lager (la moglie Dora-Nicoletta Braschi, lo seguirà dopo), dove conoscerà le terribili sorti che il suo popolo è costretto a patire, ma nonostante tutto farà

premi quindi, così come la guerra è un gioco folle, indispensabile da giocare per sopravvivere, nonostante le difficoltà dell’esistenza, perché in fondo ‘la vita è bella’ anche laddove sembra non esserci speranza e l’unica flebile luce è quella rappresentata dall’affetto dei propri cari. La vita infatti, è piena di momenti difficili, di sofferenze, di insidie che sembrano insormontabili ma nonostante ciò bisogna sempre puntare a quel qualcosa o quel qualcuno che ci possa aiutare a sperare, sorridere, amare e credere per poter andare avanti. Ci furono molte polemiche, in quanto il film mescola insieme comicità (nella prima parte) e drammaticità (nella seconda parte), cosa che per molti critici, alla luce di come sono andati i

credere al piccolo Giosuè di trovarsi alle prese con un gioco a eliminazione, il cui premio finale è un carro armato. Fa tutto questo non perché sia completamente impazzito, ma bensì per nascondere a suo figlio l’immane crudeltà della shoah. Benigni decide di dar voce ad un tema indicibile, come la negazione della vita umana nei campi di concentramento, ribadendone proprio l’indicibilità: poiché nessuna logica potrebbe spiegare a un bambino finito in un lager ciò che sta vivendo. La prigionia diventa un gioco a

fatti reali, sono aspetti che non potevano coesistere. Invece il grande Benigni, poeta oltre che attore, è riuscito a calibrare perfettamente questi due “opposti”. Anche la colonna sonora, del maestro Nicola Piovani, accentua questi due aspetti che si alternano con l’evolversi della storia narrata, prima infatti vi è una musica colorata, allegra che poi diventa malinconica, triste, ma che nello stesso tempo si fa portatrice di speranza. La canzone di Noa “Beatiful that way” fa capire perfettamente il tema principale

del film: l’allegria, il sorriso, l’amore che prevale sul male. Il film fece il tutto esaurito in tutte le sale, conquistò tre Oscar (sette sono state le candidature), andati nel 1999 alla Miglior Colonna Sonora di Nicola Piovani, al Miglior Film Straniero e al Miglior Attore Protagonista, oltre ai cinque Nastri d’Argento, i nove David di Donatello e il Gran Premio della Giuria al 51° Festival di Cannes. Penso che tutti lo abbiate visto una volta, ma fa sempre bene rivederselo per poter continuare a non dimenticare e a ricordare alle generazioni future. Ciak e...buona visione. Matteo Zingaretti Fonte: Salvatore Buellis

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Jovanotti / questa è la mia casa Il Testo Oh signore dell’universo ascolta questo figlio disperso, che ha perso il filo e non sa dov’è e che non sa neanche più parlare con te. Ho un Cristo che pende sopra il mio cuscino e un Buddha sereno sopra il comodino, conosco a memoria il Cantico delle Creature grandissimo rispetto per le mille sure del Corano; c’ho pure un talismano che me l’ha regalato un mio fratello africano, e io lo so che tu da qualche parte ti riveli, che non sei solamente chiuso dietro ai cieli e nelle rappresentazioni umane di te, a volte io ti vedo in tutto quello che c’è. E giro per il mondo tra i miei alti e bassi e come Pollicino lascio indietro dei sassi sui miei passi, per non dimenticare la strada che ho percorso fino ad arrivare qua, e ora dove si va? Adesso si riparte per un’altra città. Voglio andare a casa (la casa dov’è?), la casa dove posso stare in pace con te. Io voglio andare a casa (la casa dov’è?), la casa dove posso stare con pace con te. Oh Signore dei viaggiatori ascolta questo figlio immerso nei colori, che crede che la luce sia sempre una sola, che si distende sulle cose e le colora di rosso, di blu, di giallo, di vita, dalle tonalità di varietà infinita; ascoltami, proteggimi ed il cammino quando è buio illuminami. Sono qua in giro per la città e provo con impegno a interpretare la realtà, cercando il lato buono delle cose, cercandoti in zone pericolose ai margini di ciò che è convenzione, di ciò che è conformismo, di ogni moralismo; e il mondo mi somiglia nelle sue contraddizioni mi specchio nelle situazioni e poi ti prego di rivelarti sempre in ciò che vedo. Io so che tu mi ascolti anche se a volte non ci credo

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Voglio andare a casa (la casa dov’è?), la casa dove posso stare in pace con te. Io voglio andare a casa (la casa dov’è?),

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Note sotto il Gran Sasso la casa dove posso stare con pace con te. Oh Signore della mattina che bussa sulle palpebre quando mi sveglio, mi giro e mi rigiro sopra il mio giaciglio e poi faccio entrare il mondo dentro me; e dentro al mondo entro fino a notte. Barriere, confini, paure, serrature, cancelli, dogane e facce scure. Sono arrivato qua attraverso mille incroci di uomini, di donne, di occhi e di voci; il gallo che canta e la città si sveglia ed un pensiero vola giù alla mia famiglia e poi si allarga fino al mondo intero e poi su vola alto fino al cielo, il sole la luna e Marte e Giove, Saturno coi suoi anelli e poi le stelle nuove e quelle anziane piene di memoria che con la loro luce hanno fatto la storia, gloria a tutta l’energia che c’è nell’aria

vo a fianco al Vaticano. Non ho un’opinione precisa riguardo a Dio e alla religione, faccio fatica, ma le scritture, la Bibbia, le vite dei Santi, e i salmi, mi piacciono molto come letture. Soprattutto i salmi, che si leggono nel tempo di una canzone, ma ho difficoltà a credere alla Chiesa come istituzione”.

Voglio andare a casa (la casa dov’è?), la casa dove posso stare in pace con te. Io voglio andare a casa (la casa dov’è?), la casa dove posso stare con pace con te.

“..oh signore dell’universo ascolta questo figlio disperso, che ha perso il filo e non sa dov’è, e che non sa neanche più parlare con te..”

Questa è la mia casa è una canzone di Lorenzo Jovanotti, lanciata come singolo nell’estate del 1997 e contenuta, come quarta traccia nell’album Lorenzo 1997 - L’albero. Nel video della canzone Jovanotti compare su una zattera in mare aperto, a simboleggiare che la sua casa è dappertutto, in ogni parte del mondo; nel testo Jovanotti mette sè stesso di fronte alla figura della divinità (Signore, Buddha, etc.) cercando aiuto per trovare la sua meta. L’immagine di Lorenzo è associata dai molti ad una forte spiritualità, se non addirittura ad una vera e propria religiosità, e canzoni come questa, in cui viene invocato Dio in quanto figlio disperso, hanno probabilmente accentuato questa caratterizzazione. In una recente intervista, Lorenzo ha dichiarato: “Credo in Dio, anche perché basta ascoltare le mie canzoni per capirlo, ma faccio fatica ad accettare alcune regole imposte dalla Chiesa. Sono cresciuto dentro la religione cattolica e ho preso tutti i sacramenti, fino al matrimonio. Ho fatto lo scout come tanti altri ragazzi e col tempo ho maturato un forte interesse e una certa familiarità con i temi religiosi, anche perché, ci sono cresciuto davvero dentro: a Roma, abita-

“..e io lo so che tu da qualche parte ti riveli, che non sei solamente chiuso dietro ai cieli e nelle rappresentazioni umane di te, a volte io ti vedo in tutto quello che c’è..”

Nonostante questa difficoltà oggettiva, credo personalmente che le parole che da tanti anni escono dalla penna di Lorenzo, siano in qualche modo “guidate” da Dio. In questo caso non mi sento di commentare personalmente, ma preferisco segnalarvi qualche passaggio importante sul quale riflettere personalmente nei vostri gruppi durante l’incontro di preghiera tend.

Buon anno nuovo a tutti!! Passata la “paura” (non ditemi che ci avevate creduto) della fine del mondo, per il primo numero del 2013 ho scelto un pezzo pieno di significato e con una sonorità che io personalmente adoro: “questa è la mia casa” di Lorenzo Jovanotti. Un brano che porta a riflettere tutte le volte che lo si ascolta, e che lascia dentro tanto “sole”, così come è nello stile di Jovanotti; energia, musica e grande carica interiore che si fondono in un mix perfetto. Come sempre vi segnalo anche il link youtube: http://www.youtube. com/watch?v=kgt91OWfcfw Non mi sento davvero di aggiungere altro, perché basta un click e.. Buon Ascolto..

Giacomo

per te scintilleranno le stelle. Siediti ai bordi del torrente, per te canterà l’usignolo. Siediti ai bordi del silenzio, Dio ti parlerà.” (Swami Vivekananda) Possa il Signore parlare ai vostri cuori.. vi abbraccio!! “..e poi ti prego di rivelarti sempre in ciò che vedo, io so che tu mi ascolti anche se a volte non ci credo..” Un antico mistico indiano, scomparso a inizi ‘900, scrivendo di Dio disse: “Siediti ai bordi dell’aurora, per te si leverà il sole. Siediti ai bordi della notte,

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Giacomo

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Tendopoli ha bisogno di te: rinnova l’abbonamento e invita altri a farlo! Lorenzo 23.01.2013 figlio di Scatozza Egidio e Lina Cannone

Giorgia nata 13.01.2013 figlia di Cristian Sansonetti Barbara Zito Mina

Diego Fortuna è nato il 17.03.12 abita a trodica di morrovalle e i suoi genitori sono Marco Fortuna e Fabiana Ribichini

Silvia, figlia di Gianfranco Franzoni e Norma Bonacci di Villalfonsina

Spurio Giuseppetti Mirko, nato il 7 agosto 2012, fratello di Erika, figlio di Gianluca e di Montanari Samantha, del “Gruppo-Famiglie” di Matelica.

Cerqueto 2012 Catia di Luigi, collaboratrice del giornale Tendopoli, con suo figlio Francesco, mentre figurano nelle vesti della Madonna e del Bambino Gesù nel presepe vivente di Cerqueto

La tendopoli si è diffusa in tutto il mondo. Ecco i risultati della nostra preghiera in atto: gustiamo il piccolo manifesto che ci testimonia come la spiritualità della tendopoli si è ormai diffusa anche nel continente latino americano!

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Tendopoli info.tend bimestrale d’informazione dell’associazione TENDOPOLI - S. GABRIELE ONLUS Direzione P.Le S. Gabriele, 2 - 62010 Morrovalle (MC) Tel. 0733.222272 (lun e mer dalle 21 alle 23) segreteria@tendopoli.it www.tendopoli.it Direttore Responsabile Padre Francesco Cordeschi

Redattori Armando Santarelli, Giacomo Petruccelli, Maria Cristina Teti, Mario Cappelluti, Matteo Zingaretti, Padre Giuseppe Simeoni, Padre Marco Cola, Marco Staffolani. Fotografie Fototeca Tend Impaginazione mcomunicare.it Stampa Grafiche Martintype (Te) Spedizione Gruppo Tend Trodica

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