Tennis Best Magazine

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attrezzatura interviste tecnica incHieste

beST/magazine Hanno scritto Federico Ferrero Fabio Fognini Marco imarisio jacopo lo Monaco cino Marchese Stefano Meloccaro emilio Sanchez Massimo Sartori Andrea Scanzi Andreas Seppi

bimestrale marzo/aprile ďż˝ 4,50 italy only

Djokovic raccontato da Fiorello

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F o r n i t o r e

U f f i c i a l e

Centro di Preparazione Olimpica Tirrenia (PI) Centro Estivo Castel di Sangro (AQ)

Bergamo ATP Challenger 2012: 11/19 febbraio, 42.500 €

PTT Thailand Open - BANGKOK

ATP World Tour 250: 26 settembre/2 ottobre 2011, 551.000 $

If Stockholm Open - SVEZIA

ATP World Tour 250: 17/23 ottobre 2011 - 531.000 €

St.Petersburg Open - ruSSIA

ATP World Tour 250: 24/30 ottobre 2011 - 663.750 $

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O F F I C I A L S U P P L I E R

28 settembre 2009 - 27 settembre 2010

Thailand Open Bangkok

ATP International Series - 576.000,00 $ dal 2004 al 2010

C.S. Stradivari (CR)

ATP Challenger Series - 30.000,00 $ dal 2005 al 2010

ATA Battisti (TN)

ITF Futures - 15.000,00 $

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Sommario marzo/aprile 2012 Opinionisti 18 ANDREAS SEPPI

20 FILIPPO GRASSIA

22 JOSÉ PERLAS

44 LOVE GAME

I più (e i meno) amati personaggi del tennis attuale raccontati dai nostri top contributors

76 ALESSANDRO GIANNESSI

Riccardo Bisti ha intervista la miglior speranza del tennis italiano

82 THE MATCH

Dopo averla commentata per 5 ore e 53 minuti, Jacopo Lo Monaco ha rivisitato la mitica finale dell’Australian Open

Bar Refaeli fotografata da Greg Kadel per Passionata

92 INCHIESTA

Ma è davvero impossibile organizzare altri tornei del circuito pro in Italia?

100 NEW STORY

Con Grand Slam Tennis 2 e ESPN è possibile riscirver ela storia del tennis

104 IL SEGRETO DELLA VITTORIA

Ti piace vincere facile? Ora la scienza sta imparando a capire cosa c’è dietro una personalità vincente

108 UNITED COLORS...

Il tennis è lo sport più internazionale che esista. Ci aiuta a scoprirlo Corrado Erba

112 VITAS GERULAITIS

Il ricordo del mitico Vitas da parte di chi l’ha conosciuto molto bene: Cino Marchese


116 NOVITÀ 2012

Abbiamo testato tutte le nuove racchette che hanno inondato il mercato in questo inizio stagione.Ecco il nostro responso

120 TEST RACCHETTE

Babolat Pure Drive GT 2012, la racchetta simbolo del nuovo millennio. E come questo telaio ha rivoluzionato il mercato

124 PLAY IT COMFORT

Il nuovo concetto di comfort legato alle superfici in resina della Play It

126 TEST SCARPE

Le nuove Asics Gel Resolution 4, le scarpe top provate sul campo

130 TEST ACCESSORI

Da Andreas Seppi ai giocatori di club, le solette Noene provate in campo

131 CORDE MONOFILAMENTO Mario Parisio, top incordatore italiano, ci spiega come sfruttare al meglio le corde monofilamento

133 TECNICA

Come migliorare in campo con i consigli dei nostri top coach: Emilio Sanchez e Massimo Sartori

143 TURISMO

I tornei ATP non perdere con una guida d’eccezione: Fabio Fognini. E due proposte super: il Geovillage in Sardegna e la GoTennis a Umag, in Croazia


beST/magazine beST magazine Direzione e redazione via Bernabò Visconti 18 - 20153 Milano www.tennisbest.com Direttore responsabile Lorenzo Cazzaniga lorenzo@tennisbest.com

NON SOLO TENNIS / 1 Alla Fine della Fiera

Caporedattore Riccardo Bisti info@tennisbest.com

NON SOLO TENNIS / 2 School Rocks

Hanno collaborato Marino Bombini, Luca Bottazzi, Marco Bucciantini, Marco Caldara, Antonio Di Vita, Corrado Erba, Federico Ferrero, Marco Imarisio, Antonio Incorvaia, Cino Marchese, Jacopo Lo Monaco, Stefano Meloccaro, Cosimo Mongelli, Filippo Montanari, Paolo Moro, Massimo Sartori, Andrea Scanzi Pro Player Fabio Fognini, Andreas Seppi Pro Coach José Perlas, Emilio Sanchez, Massimo Sartori NON SOLO TENNIS / 4 @meloccaros

Photo editor Marco De Ponti Photo Agency Getty Images Art director Giuly Marley Der Prinz

Editore XM MANAGEMENT SRL corso Garibaldi 49 - 20121 Milano Stampa Mondadori Printing S.p.A. Via Mondadori 15, 37131 Verona Tel. +39.045.934111 Fax +39.045.934763 info.printing@verona.pozzoni.it Distributore per l’Italia m-dis S.p.A. Via Cazzaniga, 19 - 20132 Milano tel. 02/25.82.1

NON SOLO TENNIS / 3 La Ferita


RACCHETTA, PALLA E INCORDATORE UFFICIALE DI ROLAND-GARROS Andy RODDICK (USA)

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*Nuova Pure Drive: in una racchetta, il lato oscuro della potenza. Massima energia ad ogni tiro.

Na LI (CHN)

Kim CLIJSTERS (BEL)


DREAM TEAM

Giocatori, coach, manager, giornalisti, scrittori, commentatori tv: una carrellata dei complici che ci hanno permesso di sfornare questo numero di TENNISBEST Magazine. 1

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FEDERICO FERRERO Non è facile commentare la Radwanska il pomeriggio su Eurosport e parlare di Tangentopoli con Primo Greganti la sera, presentando il libro appena scritto "Alla fine della fiera". Però è riuscito a scrivere di Tsonga e Dolgopolov. E a giocare a Grand Slam Tennis 2

FABIO FOGNINI L'inizio di stagione non è stato fortunato, con un infortunio al piede che l'ha costretto ai box. Un professionista che non può scendere in campo è come un animale in gabbia. Per questo ci ha consigliato i suoi 10 tornei preferiti. Dove presto tornerà a competere.

FILIPPO GRASSIA Per la RAI si occupa della moviola nel calcio, ma sotto rete in doppio è ancora bello rapido. Ha inaugurato la sua rubrica facendo subito arrabbiare le donne. Già, perché si è occupato della diatriba sul prize money uguale nei tornei maschii e femminili dello Slam.

MARCO IMARISIO Magari sta seguendo le vicende del Concordia all'Isola del Giglio oppure quelle dei No Tav. Però, potete stare certi che uno streaming per vedere un match lo troverà ovunque. Ecco, proprio lui ci ha spiegato perché tutti noi ci siamo ammalati di tennis.

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JACOPO LO MONACO Battagliare quasi 6 ore come hanno fatto Djokovic e Nadal a Melbourne, è disumano. Ma nemmeno commentare una partita così lunga è una passeggiata! Ma, ripensandoci, Jacopo ci ha spiegato perché Djokovic rivincerebbe (quasi) sempre quella partita.

EMILIO SANCHEZ L'abbiamo ammirato da giocatore, ora lo apprezziamo per aver creato la più importante accademia di tennis europea a Barcellona. Chi, se non lui, poteva spiegare dove possono migliorare i Fab Four, e come potete farlo anche voi?

ANDREA SCANZI Molti lo conoscono per le sue apparizioni tv, per i suoi articoli sul Fatto Quotidiano, su MicroMega e su Playboy (non è uno scherzo) o ancora per il suo spettacolo Gaber se fosse Gaber. Sempre controcorrente, ci ha spiegato perché amiamo il tennis nonostante...

6 STEFANO MELOCCARO Sua la cover story di questo numero. Con Fiorello divide spesso la ormai mitica rassegna stampa dell'edicola romana ed è stato il primo a portargli in trasmissione Novak Djokovic. E proprio di Nole hanno parlato. Anzi, twittato...

5 CINO MARCHESE Il più grande manager dello sport italiano, è uno dei protagonisti dell'inchiesta realizzata da Riccardo Bisti. Ci ha (molto) aiutato a capire perché in Italia non abbiamo un altro torneo ATP oltre a Roma. Ah, e non perdetevi il suo ricordo di Vitas Gerulaitis.

10 ANDREAS SEPPI L'anno scorso abbiamo scoperto che nei pronostici non è esattamente il numero uno d'Italia. Però... non demorde. E anche nel 2012 metterà alla prova la sua competenza tennistica e non. «Tanto non posso far peggio!»

GLOBAL PROFESSIONAL TENNIS COACH ASSOCIATION Nata a New York, è l'associazione che riunisce i migliori coach professionisti del circuito ATP, a partire da Toni Nadal, lo zio-coach di Rafael.Tanti i coach internazionali di primissimo livello che ne fanno parte, tra cui ci piace ricordare i nomi di Alberto Castellani (Presidente dell'associazione) e Claudio Pistolesi. Da questo numero, ospiteremo sempre l'intervento di uno dei top coach della GPTCA. A inaugurare la rubrica è stato José Perlas che ha portato Carlos Moya al n.1 del mondo e, l'anno scorso, Nicolas Almagro tra i top 10. Ora allena il nostro Fabio Fognini e su questo numero di TENNISBEST Magazine ha spiegato cosa vuol dire fare il coach professionista.

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di LORENZO CAZZANIGA

Il SALTO DI QUALIT QUALITÀ È partita una nuova avventura. Come avrete notato, c'è una testata tutta nuova e una grafica rinnovata, ma gli stessi compagni di viaggio. Ai quali si sono aggiunti, tanto per non farci mancare niente, Jacopo Lo Monaco ed Emilio Sanchez. Una squadra di contributors che, senza eccessiva fantasia, abbiamo ribattezzato Dream Team, senza timori di aver esagerato. Una squadra che ha sempre lo stesso obiettivo: raccontarvi il mondo del tennis a 360 gradi, con tanti approfondimenti, inchieste e un pizzico di ironia. E nella costruzione di questo numero di TENNISBEST Magazine, mi sono ritrovato a discutere con tanti appassionati di vari argomenti, che val la pena di riassumere. Il Governo non ha concesso a Roma di lottare per ospitare le Olimpiadi nel 2020: c’è così scarsa fiducia nelle nostre capacità organizzative? (Fabrizio, Roma) La dico con Aldo Grasso: «Non siamo capaci di organizzare il Festival di Sanremo, figurarsi le Olimpiadi». Sono scattate inchieste e scandali per i Mondiali di nuoto, immagini lei per i Giochi Olimpici. E a chi sostiene che le Olimpiadi siano un mezzo straordinario per rivitalizzare l’economia e le infrastrutture di un Paese, ricordo che nel 2008 si sono disputate ad Atene… Gianluigi Quinzi supera un paio di qualificazioni nei tornei Futures e già viene indicato come il Messia del tennis italiano: non rischiamo di bruciarlo? (Paolo, Milano) No, perché ormai ci è abituato e suppongo che coach Infantino gli ricordi quotidianamente che la strada è lunga. Certo, di fenomeni così, in Italia ne abbiamo visti pochi. Però all’estero si sono scottati parecchie volte. A me è tornato in mente il caso Boluda: «A 15 anni mio nipote Rafa non giocava così bene» sentenziò Toni Nadal. Magari aveva ragione, però adesso Boluda si è perso. Però, tanta attenzione dimostra che c’è fame di tennis, che c’è la sacrosanta voglia (e necessità) di trovare un nuovo fuoriclasse. Non Volandri, non Sanguinetti, nemmeno Camporese (oh, con tutto il rispetto, sia chiaro), ma un vero fuoriclasse. Per intenderci, uno Tsonga, se chiedere Nadal è troppo. Ho visto i video di Canal Plus che in sostanza accusano Rafael Nadal e lo sport spagnolo di doping: ma è mai possibile? (Francesco, Lucca) I francesi hanno rotto. Senza prove, traspare solo l’invidia verso un paese (la Spagna) che per decenni abbiamo giudicato come la sorella sfigata e ora dobbiamo inchinarci davanti ai successi di Nadal, ma anche del Barcellona, del Real, di Jorge Lorenzo, di Pau Gasol. Se poi si vuole insinuare il doping di massa, allora bisogna mostrare dei documenti, non solo dei fumetti. Post scriptum: detto questo, la parodia era davvero divertente! Inizio d’anno e nei negozi trovo almeno venti modelli di nuove racchette: ma non è perfino esagerato? E quali saranno secondo lei i crack del mercato? (Claudio, Treviso) Va beh, se ci lamentiamo anche dell’abbondanza! Forse, l’unico neo è vederle uscire tutte insieme, in un momento di bassa stagione per noi europei. Scaglionarle sarebbe più accattivante ma evidentemente vi sono leggi commerciali che impongono altre scelte. I bestseller? Pure Drive (scontato), Prestige S e Six.One 95. Ampliando alle calzature: per le Gel Resolution vale il discorso della Pure Drive. Belle le nuove Federer, mi incuriosiscono le Speed della Asics, soprattutto perché possono rivoluzionare il mercato, e il ritorno di K-Swiss. Ma cosa sta succedendo alla Schiavone che non vince più un match? Il periodo delle vacche grasse è già finito? (Tiziana, Rovigo) Fonti vicine alla Schiavone dicono non abbia più tanta voglia di soffrire. E allora si fa notte. Di certo non può fare come Serena Williams, che si allena a spizzichi e bocconi e tirando solo pallate può ancora vincere degli Slam. La Schiavone è un soggetto molto particolare, bisogna vedere quali stimoli troverà ancora dentro di sé. Però aspettiamo a tirarle la croce addosso perché anche l’anno scorso pareva sotto un treno e poi ha fatto di nuovo finale a Parigi. E comunque sia, dovesse finire qui la favola, il lieto fine è già stato scritto. Io non starei troppo a criticare chi ha già dato tanto (anche se è normale che l’appassionato pretenda sempre il top), ma mi preoccuperei che all’orizzonte non si vedono giovani promesse in grado di arrivare in alto. Non ho ancora capito: ma il tennis in Italia, tira o no? (Gianluca, Genova) Beh, diecimila persone a Milano per un’esibizione femminile, quasi cinquemila a Biella per Schiavone-Tsurenko… C’è tanta fame di tennis, però bisogna fare un salto di qualità. I record di praticanti, tesserati, squadre iscritte ai vari campionati, sono tutti indici postivi che però bisogna trasformare in un movimento dall’immagine più consona a quella che merita. Perché quando leggo che siamo dei fenomeni nel rugby, mi sale la bile…

Editoriale




WHO

Anne Keothavong, Gran Bretagna

WHERE

Municipal Tennis Club, Eilat (Israel)

WHEN

2 febbraio 2012

WHY

Il fascino delle gare a squadre. A qualsiasi livello

WHAT Dai tempi di Virginia Wade (vincitrice a Wimbledon nel 1977), la Gran Bretagna aspetta di trovare una campionessa. Ora, pur senza top players, vi sono alcune giovani promesse che formano un team di Fed Cup che può puntare a tornare nell’élite mondiale. Il primo passo è stato mosso a Eilat (Israele) con la qualificazione ai play-off del World Group II (una sorta di Serie B). Prossima avversaria: la Svezia ad aprile. Il team britannico, capitanato da mamma Murray, si avvale di un mix di esperienza (Anne Keothavong ed Elena Baltacha) ed entusiasmo giovanile (Laura Robson classe 1994 e Heather Watson, classe 1992). Per la nuova Virginia Wade invece, servirà ancora un (bel) po’ di pazienza. photo by Michael Regan


WHO

John Patrick McEnroe Jr.

WHERE

New York City, Stati Uniti

WHEN

Gennaio 1979

WHY

Nostalgia dei mitici anni 70

WHAT Appena ventenne e ancora riccioluto, John McEnroe si rilassa nello stesso modo dei giocatori attuali. Solo che trent’anni fa non c’erano Iphone, e-book e racchette in grafite. Ma, seppur con supporti diversi, per passare un tranquillo pomeriggio in hotel bastavano sempre un buon libro (The Osterman Weekend di Robert Ludlum), qualche musicassetta da infilare in un mangianastri che adesso farebbe la sua figura in un negozio vintage e le immancabili Wilson Jack Kramer. Guardatele bene e immaginate un top player attuale fare serve & volley con quel pezzo di legno tra le mani... photo by David Montgomery



WHO

Victoria Azarenka vs Na Li

WHERE

Sydney Olympic Park Tennis Centre

WHEN

13 gennaio 2012

WHY

La bellezza di un tramonto. Vissuto su un campo da tennis

WHAT Quando si parla di tramonti australiani, salgono alla mente immagini di romantiche coppiette intente ad ammirare il panorama di Ayers Rock, il monolito sacro agli aborigeni aussie, una delle mete piÚ visitate dai turisti. Ma la passione per il tennis va oltre tutto ciò. E lo spettacolo della natura può diventare un tramonto da godersi...mentre si osservano Vika Azarenka e Na Li darsi battaglia nella finale del torneo di Sydney. Photo by Matt King



mo tia t e mm o c S

. . . E H C DREA DI AN

S SEP

PI

La farfallina… i Fab Four… Quinzi… 1. Visti i precedenti del 2011, cominciamo con qualcosa di facile: il Milan passerà il turno di Champions con l’Arsenal? Beh, questo non lo sbaglio nemmeno io. Altrimenti mi ritiro! Dai, troppo facile, partiamo dal 4 a 0… 2. Hai assistito a Milan-Juve di campionato: meglio la tecnologia stile Occhio di Falco o qualche sana polemica post-match? II calcio vive sulle trasmissioni di fine incontro e se ci fosse Occhio di Falco dovrebbero cancellarne la metà! 3. Quanti italiani giocheranno il torneo olimpico di singolare maschile, considerando che il taglio avverrà intorno al numero 70 del ranking mondiale? Tutti e quattro J Io, Fognini, Volandri e Starace. 4. Il Milan sarà la squadra italiana che andrà più avanti in Champions League? Non solo sarà quella che va più avanti, ma il Milan vincerà la Champions! 5. Belen tornerà mai a farci vedere in tv la farfallina? No, ma probabilmente ci farà vedere qualcos’altro! 6. Volandri ha giocato a Sao Paulo un’insperata finale ATP: pensi che ne giocherà mai un’altra? Sì. 7. Novak Djokovic rivincerà nel 2012 sia il Masters 1000 di Indian Wells sia quello di Miami? Entrambi no. 8. Succederà, anche solo per una settimana durante l’anno, che qualcuno riesca a inserirsi nei primi 4 del ranking mondiale? No, nessuno supera quei quattro! 9. A fine stagione, Gianluigi Quinzi, 16 anni, la nostra miglior promessa, quanti match avrà vinto in tornei ATP Challenger? Zero. 10. Juan Martin Del Potro riuscirà ad arrivare in finale in un torneo dello Slam nel 2012? No. 18



LA PARITÀ DEI SESSI . AUSTRALIAN OPEN . (identico montepremi dal 2000) Vincitore/vincitrice: 1.859.000 euro . ROLAND GARROS . (identico montepremi dal 2007) Vincitore/vincitrice: 1.200.000 euro . WIMBLEDON . (identico montepremi dal 2007) Vincitore/vincitrice: 1.313.000 euro . US OPEN . (identico montepremi dal 1973) Vincitore/vincitrice: 1.364.000 euro

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Ma è giusto che... la Azarenka guadagni come Djokovic? Con tutto il rispetto per il tennis rosa, che tanto ha dato e tanto continua a dare allo sport azzurro, non mi sembra giusto che i montepremi dei tornei di singolare maschile e femminile degli Slam siano eguali come entità: tanto agli uni, tanto alle altre. Il maschilismo non c’entra niente. C’entra piuttosto la differenza che, da alcune stagioni a questa parte, si avverte fra i due tabelloni: il livello del torneo riservato alle ragazze è di gran lunga inferiore rispetto a quello di Federer e compagnia, è evidente anche a un neofita. Tutto un altro appeal. Figuratevi, per esempio, se in campo maschile un giocatore, dopo aver interrotto l’attività per oltre un anno, riuscirebbe a ritornare sul tetto del mondo o vincere uno Slam come è successo alla belga Kim Clijsters. In soldoni: ritenete giusto che Victoria Azarenka (nella foto) abbia guadagnato gli stessi soldi di Novak Djokovic per vincere l'ultimo Australian Open? Il primo ha dovuto fare il verso a Sisifo nella finale conclusasi dopo 5 ore e 53 minuti con sommo gaudio dei network che hanno trasmesso la partita, degli sponsor dell’evento e degli inserzionisti pubblicitari comparsi negli spot. Alla 22enne bielorussa sono bastati 88 minuti per far fuori quella fregnona della Sharapova. Un fatto contingente, direte. Ma spesso è così. E comunque, a fare la differenza, non è solo l’atto conclusivo che ha sconvolto i piani domenicali di milioni di telespettatori nel mondo. È anche quanto successo nei turni precedenti. Il serbo, prima di approdare alla finale, ha vinto tre durissime sfide contro Hewitt (mai così competitivo negli ultimi tempi), Ferrer (ogni palla, un match) e soprattutto l’inossidabile Murray superato solo 7-5 al quinto set. A sua volta Nadal è arrivato in fondo dopo aver superato il talentuoso Berdych e messo alle corde il maestro Federer. Quasi una finale via l’altra. Azarenka e Sharapova hanno incontrato qualche difficoltà solo in semifinale, dopo aver passeggiato nei turni precedenti. È diverso anche il modo di giocare con gli uomini che, nonostante i durissimi scambi da fondocampo, riescono a compiere mirabilie tecniche, non solo fisiche. In campo femminile il bum-bum è continuo, intervallato ogni morte di papa da una palla corta e da qualche attacco in controtempo. Clamorosa poi la differenza fra i due sessi nel gioco a rete dove perfino campionesse acclarate compiono errori stucchevoli. Ecco perché Francesca Schiavone, capace di variare gioco a volontà con la sua straordinaria sensibilità, aveva raccolto tanti consensi dopo la vittoria a Roland Garros nel 2010. Ma s’è trattato di un caso, fortunatamente di colore azzurro. Può darsi che in futuro le top ten colmino lo spread. Ma lo spettacolo oggi è tutto dalla parte degli uomini che, nei Major, giocano 3 set su 5. Dei grandi tornei, il primo a regalare la stessa moneta a uomini e donne fu lo US Open nel lontano 1973. Dovettero passare 23 anni prima che l’Australian Open si comportasse allo stesso modo. Nel 2007 capitolarono anche Roland Garros e Wimbledon. Impossibile cambiare registro. Ma ho buone ragioni per pensare che gli organizzatori, se non avessero timore di una reazione sindacale delle tenniste, tornerebbero volentieri al passato. Lo vorrebbero le leggi del marketing che non sono sicuramente maschiliste. 20



Top

h c a o C DI JOS

É PER

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La vocazione del coach professionista Una delle traduzioni letterali del termine “coach” è conducente. Più concretamente, parliamo di qualcuno con la responsabilità di dirigere un individuo o un gruppo. La prima differenza con l’allenatore (sia di un club sia di una scuola tennis) sono i compiti che deve assumere un coach. Non siamo di fronte semplicemente ad una funzione tecnica, bensì ad una responsabilità che tende a soddisfare tutte le necessità di un tennista nel suo sforzo di progredire, raggiungere il top e mantenerlo. La funzione del coach va più in là di quella del consigliere o terapeuta: dovrà creare un contesto tale per cui l’individuo potrà ottenere ciò che da solo non potrebbe conseguire. E per ottenerlo, dovrà essere in grado di circondarsi di un team preparato. Parliamo di un preparatore fisico, al quale il coach darà le priorità più indicate per il tennista e di uno mentale, se necessario. E poi di un professionista che si preoccuperà della nutrizione, delle linee dietetiche e della salute. A seconda del livello dell’atleta, possono poi aggiungersi più elementi, come il manager o l’addetto stampa. Il coach, sulla base del rispetto del lavoro di ciascun membro del team, fungerà da coordinatore in modo che tutto vada a beneficio del tennista. Sono queste competenze aggiunte quelle che lo distinguono dall’allenatore, dedicato quasi esclusivamente all’insegnamento tecnico e tattico. Tra le qualità basilari del coach c’è l’attitudine alla comunicazione, come emittente e ricettore di messaggi. Deve sapere ascoltare, nello stesso modo in cui dovrà essere in grado di ottimizzare la comunicazione tra i membri del team. Un coach di tennis deve avere vocazione e realizzare che il suo lavoro non ha orari fissi e può protrarsi anche 24 ore al giorno. Molti impegni di un coach non si pagano con il denaro e c’è una quota più o meno importante di rinuncia alla vita privata e di lontananza forzata dalla famiglia. Coloro che non realizzano che esiste questa parte di sacrificio, prima o poi finiscono per cambiare professione. Tra le capacità del coach ci deve essere l’esperienza per captare le attitudini fisiche e tattiche del giocatore. Sarà quindi in grado di individuare le abilita del 22

tennista, un particolare fiuto che gli permetterà di ottimizzare le virtù del giocatore, dirigendolo e guidandolo, con lo scopo di sapere quali sono i momenti in cui esigere il massimo e quali invece temporeggiare, con l’idea di fare i cosiddetti “salti in retrocessione”: un passo indietro per prendere l’energia che permetterà di avanzare di due passi. Il coach è un osservatore che lavora concretamente sulla personalità di un giocatore, non un semplice teorico che applica sempre la stessa metodologia. Gli allenatori che passano per le diverse tappe della vita di un tennista offrono al coach la semente. È molto importante che il giocatore arrivi con solidi fondamentali tecnici, senza difetti di base ed è ovvio che la funzione dell’allenatore ha una rilevanza considerevole. Se così non fosse, il processo di miglioramento sarebbe più lento. Il coach deve conoscere in profondità il circuito, i tornei, i rivali, i colleghi, le superfici, il regolamento per prevenire le situazioni, anticipando ciò che può succedere e predisporre la soluzione. Deve avere spirito di osservazione, vocazione e ambizione, facoltà che devono espandersi a tutto il gruppo e ripercuotersi sul tennista. È essenziale creare un distinguo tra il coach e la persona, tra il professionista e il tennista. Mischiare vita privata e professionale è rischioso. È chiaro che condividere tanto tempo implica avere una relazione di amicizia, familiari inclusi, ma conviene delimitare questa frontiera. E la distanza la determina il giocatore stesso. Ci sono giocatori che non hanno alcuna necessità di andare oltre una relazione rigorosamente professionale; altri invece, hanno bisogno di un intervento extra del tecnico. Personalmente credo sia importante una certa confidenza, senza però che questa si trasformi in eccessiva intimità, altrimenti il giocatore rischia di rilassarsi troppo, condizione dannosa per il conseguimento degli obiettivi. Il coach inoltre, non deve mai permettere atteggiamenti irrispettosi da parte del tennista. In taluni casi i giocatori pensano che la vittoria giustifichi tutto, creando la pericolosa confusione fra l’essere vincenti e l’essere maleducati. Una cosa invece, non presuppone l’altra. Uno può


LE 5 REGOLE 1. LO STAFF Dal coach al preparatore atletico, dallo psicologo al manager, tutte le figure devono collaborare. 2. EDUCAZIONE Mai lasciare che un giocatore confonda un atteggiamento da vincente con uno da maleducato. 3. VOCAZIONE Per fare il coach serve vocazione. Se non si è disposti a certi sacrifici, prima o poi si cambia mestiere. 4. ATTORE E REGISTA Il giocatore è l'attore, il coach il regista. E il regista non si mette (quasi) mai davanti alla telecamera. 5. CICLO NATURALE Per un lavoro completa con un atleta, servono 5 anni.

Amdy Murray ha già cambiato diversi coach ma ora sembra aver riposto grande fiducia nel lavoro di Ivan Lendl (nella foto della pagina a fianco). Lo scozzese è molto cresciuto a livello fisico nel corso degli anni grazie al lavoro svolto con Jez Green (qui sopra)

avere un talento aggressivo e vincente perfettamente compatibile con una personalità educata e rispettosa. Attualmente invece, il successo ha generato una certa permissività di comportamento in alcuni elementi della nuova generazione, come se le vittorie dessero loro il diritto a comportamenti capricciosi e a volte irascibili. Arrivano a pensare che sia meglio agire in questo modo e, come dicevamo prima, confondono l’aggressività con la maleducazione. A torto si può pensare che certi difetti del carattere siano difficilmente modificabili ad una certa età. Invece, può essere utile esercitare un diverso approccio verso gli aspetti della vita privata e professionale, anche a costo di notevoli sforzi iniziali: questo può permettere, col tempo, di generare un cambiamento positivo, favorendo la crescita della personalità, delle relazioni e, quindi, del gioco. Un errore molto comune, nel quale è facile cadere, è che il coach accentri troppo il risultato sulla sua persona quando invece dipende dalla personalità del tennista: questi può percepire una dipendenza eccessiva dal suo mentore, condizione che giudico totalmente negativa. Questo non fa crescere l'atleta e può perfino portarlo ad un’involuzione. Uscire troppo allo scoperto ed essere presente nei media non è il compito di un coach. Solo un giocatore dal profilo molto basilare, incapace di prendere decisioni per suo conto, trae aiuto da questa saturazione dottrinale. (I ruoli sono perfettamente delimitati: il protagonista del film è il giocatore, il coach fungerà da regista e, come è risaputo, questa parte non implica andare in scena. Nel suo ruolo di attore principale, al tennista resta un margine ampio di improvvisazione con rispetto delle parti assegnate, una quota che dipenderà in buona parte dalla sua maturità e dal suo talento). Come dicevamo all’inizio, il coach ha la funzione di elemento di coesione all’interno di un team. Ci sono delle peculiarità contrattuali che ci differenziano, per esempio, dall’allenatore di calcio: loro, in caso di cessazione del rapporto, riceveranno un’indennità, noi siamo in una situazione molto più vulnerabile e vittime di una mancanza di difesa legale. In molte occa-

sioni dipendiamo dal capriccio del nostro giocatore e talvolta basta una contrarietà per fare a meno del tecnico e distruggere tutta la pianificazione. Un lavoro adeguato con il giocatore richiede un minimo di un anno di lavoro, partendo da quella che potremmo definire una preparazione pre-campionato. Si compone di un sistema di lavoro con degli obiettivi ben precisi che si tenta di raggiungere nella competizione. La cosa normale è che questo progetto impieghi due o tre anni perché possano prodursi dei cambiamenti, conseguenza delle trasformazioni nel modo di vivere la propria professione di tennista professionista. In realtà, se un giocatore dispone di una buona base, il primo salto di qualità lo si può riscontrare anche dopo il primo anno, ma i secondi passi saranno indubbiamente più ricercati e richiederanno, senza alcun dubbio, più tempo. Con il pericolo che implica la generalizzazione, secondo la mia esperienza direi che il ciclo naturale della relazione giocatore-coach è intorno ai cinque anni. Partendo da questo presupposto, un cambiamento può agire da leva nel tennista nei primi tre o quattro mesi. Ci sono poi relazioni che vanno più in là del semplice rapporto coach-giocatore, in quanto incorporano vincoli familiari. Questi sono casi speciali. Un coach deve imparare e crescere, nello stesso modo in cui deve farlo il tennista. Queste esperienze di apprendimento comune arricchiranno i progressi del giocatore e permetteranno di arrivare meglio preparati al conseguimento degli obiettivi prefissati. È inoltre necessario che il coach e il tennista vivano un’evoluzione simultanea. Se così non fosse, si entrerebbe in uno stato di monotonia, con il giocatore che si spegne e perde le motivazioni, arrivando addirittura ad un blocco. Tuttavia, è normale che di solito, prima o poi, i giocatori abbiano bisogno di un appoggio. Non è un caso che nessun top player viaggi solo, ma conti su una seria di persone di fiducia che lo seguono nei tornei, anche se nessuna è necessariamente un vero e proprio coach. 23


GLOBAL

TOTALE: 91 PAESI • GRAND SLAM • • ATP WORLD TOUR • • WTA WORLD TOUR • • ATP CHALLENGER • • ITF WOMEN • • ITF FUTURES • • NESSUNO •

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ILLUSTRAZIONE: DER PRINZ


TENNIS

SONO 193 GLI STATI RICONOSCIUTI DALL'ONU E IL 47% DI QUESTI ORGANIZZA ALMENO UN TORNEO PROFESSIONISTICO, CHE SIA UN FUTURES DA 10.000$ DI MONTEPREMI O UNA PROVA DEL GRAND SLAM. FRA QUESTI, MALESIA, NUOVA CALEDONIA, GUADALUPA, BAHRAIN, OMAN, GIBUTI, CAMBOGIA, EL SALVADOR, GUAM, KUWAIT, LAOS, BURUNDI, PANAMA, RUANDA. A MARCARE VISITA È SOPRATTUTTO L'AFRICA. 25



TOUR

VOLANDRI OLIMPICO

DA QUANDO L’ABBIAMO SENTITO SU SKY SPORT come spalla tecnica, pensavamo che Filippo Volandri avesse già scelto la strada post-carriera. Dopotutto, per un tizio abituato ai grandi palcoscenici, a battere Federer sul Centrale del Foro Italico e a essere considerato un top 15 sulla terra rossa, era troppo faticoso girare 30 settimane all’anno nei tornei Challenger sparsi per il mondo. Poi, d’un tratto, la risalita e addirittura la finale raggiunta a Sao Paulo, dopo aver battuto Nalbandian. E con un pass olimpico da strappare: in questo momento sarebbero qualificati Seppi, Fognini e proprio Volandri. Chi ci avrebbe scommesso un copeco due anni fa?

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r u To

Sold Out! La salute del tennis? Ottima. Basta guardare ai record di spettatori stabiliti dai grandi eventi Uno dei parametri più importanti nel giudicare la salute di uno sport è verificare il numero di spettatori presenti nei maggiori eventi. Se difatti i rating televisivi sono lo specchietto che serve per convincere i title sponsor ad aumentare gli investimenti, questi sono dati meno attendibili perché dipendono troppo sia dalla qualità e tipologia di giocatori che arrivano alle fasi finali, sia perché coinvolgono anche chi non è eccessivamente appassionato ma si ritrova su quel determinato canale a causa del classico zapping. Andare invece ad assistere live ad un evento comporta una maggior volontà (e quindi passione), anche perché obbliga ad una ulteriore spesa (il biglietto). Ebbene, dando uno sguardo ai dati dei tornei del Grand Slam e dei Masters 1000, i dirigenti del nostro sport possono ritenersi soddisfatti dei risultati raggiunti. Nel peggiore dei casi, il numero di spettatori (pur in momenti di crisi economica) non è sostanzialmente diminuito (e si parte da basi piuttosto alte) e, in altri casi, sono addirittura stati stabiliti nuovi record. Basti citare il caso dell'ultimo Australian Open che ha convinto 686.006 spettatori a varcare i cancelli di Melbourne Park, 33.000 in più dell'edizione record del 2010. Tutto merito della storica finale Nadal-Djokovic? Tutt'altro, visto che ben 15 sessioni hanno battuto il record precedente e il sabato della prima settimana sono arri-

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vate 80.649 persone, primato assoluto per una singola giornata Slam. Se a questi strabilianti numeri aggiungiamo gli oltre 700.000 spettatori dello US Open, il mezzo milione di Wimbledon e i 450.000 di Roland Garros (che paga il fatto di avere le strutture più ridotte, motivo che ha spinto la federazione francese a pretendere un ampliamento dell'area dal comune di Parigi), la presenza totale nei tornei dello Slam supera i 2.200.000 spettatori. Ma il tennis non vive solo di Grand Slam. I match di Coppa Davis fanno spesso registrare il tutto esaurito, come ci ricordano i 25.000 spettatori giornalieri per la finale di Siviglia 2011, ma anche i Masters 1000 tengono botta. Impressiona soprattutto il dato del Sony Ericsson di Miami: 316.267 spettatori (compresi i 14.625 della finale maschile), nemmeno troppo lontano dai dati di Roland Garros. Da notare che il torneo ha registrato un record di presenze in quattro delle ultime cinque edizioni. Non da meno (considerando che si disputa nell'arco di una settimana e non 10 giorni come il torneo di Miami o due settimane come gli Slam) il Masters ATP 2011, giocato nella splendida 02 Arena di Londra e gestito direttamente dall'Associazione Giocatori: 250.000 spettatori. Per certi versi, è ancora più straordinario il risultato ottenuto dal torneo di Indian Wells, considerato che non si gioca in una metropoli ma in un piccolo paesino in pieno deserto della California che conta 4.958 anime. Ebbene,


l'edizione dello scorso anno ha fatto registrare 350.086 spettatori. Larry Ellison, patron di Oracle che ha letteralmente salvato il torneo che si era fortemente indebitato per costruire il nuovo stadio, può essere soddisfatto del lavoro svolto. I Masters 1000 europei propongono numeri meno importanti ma pagano il fatto di svolgersi sempre con la formula combined ma nell'arco di sette/otto giorni o, come nel caso di Monte Carlo, di proporre solo l'evento maschile e senza sessione serale. Proprio in virtù di queste limitazioni (e considerando che il Principato conta 15.000 residenti fissi), i 125.000 appassionati che assaltano il Country Club a metà aprile sono un risultato eccezionale (e sempre in crescita). Lo stesso torneo del Foro Italico può ritenersi soddisfatto dei suoi 160.000 spettatori e del record per la singola giornata registrato nel 2011 con 16.656, soprattutto ora che, proponendo torneo maschile e femminile in contemporanea, si è sottratto al problema dei primi giorni del torneo femminile dove gli spettatori latitavano, a essere gentili. Un

STADI DA RECORD 1 Arthur Ashe Stadium 2 O2 Arena 3 Indian Wells Tennis Garden 4= Centre Court 4= Qizhong Forest Sports City Arena 4= National Tennis Stadium 7 Court Philippe Chatrier 8 Rod Laver Arena 9= Am Rothenbaum 9= Tennis Center at Crandon Park

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Bidoni

di Lorenzo Cazzaniga

New York City Londra Indian Wells, California Wimbledon, Londra Shanghai Pechino Parigi Melbourne Amburgo Key Biscayne, Miami

dato tuttavia inferiore agli oltre 200.000 spettatori del Masters 1000 di Madrid (e in proporzione anche ai 125.000 di Monte Carlo) ma difficilmente migliorabile visto che il Foro italico resta lo scenario tennistico più affascinante del mondo ma non certo il più comodo e accogliente. Diverso il discorso degli altri tornei dei circuiti professionistici: alcuni funzionano particolarmente bene (Rotterdam, Dubai, Acapulco, Bastad, Umag), altri faticano (a Montpellier si sono visti spalti spesso vuoti, a Doha anche ma ci sono i petroldollari e comunque il bacino di utenza è limitato), ma in generale l'ATP può essere ottimista. Al contrario, la WTA deve migliorare perché troppe tappe stentano. Basti pensare alla Spagna che in campo maschile (Madrid, ma anche il Trofeo Godo a Barcellona) garantisce il sold out ai suoi tornei, mentre in quello femminile, i suoi eventi fanno registrare audience da torneo sociale (e non a caso quello di Marbella è scomparso nel 2012). In generale, un dato spiega la differenza di appeal tra i due circuiti: se il Masters ATP ha infatti superato i 250.000 spettatori, quello WTA a Istanbul è arrivato a quota 70.824 (e si è gridato al miracolo). Tuttavia, le donne possono consolarsi col record di spettatori per una singola partita, addirittura un'esibizione: quella dell'8 luglio 2010 al King Baudouin Stadium di Bruxelles tra Serena Wiliams e Kim Clijsters, una festa che ha coinvolto 35.681 appassionati e che ha superato i 30.372 spettatori della mitica Battaglia dei Sessi tra Billie Jean King e Bobby Riggs all'Astrodome di Houston nel 1973.

La classifica degli stadi del tennis più capienti. Il top in Italia resta il Centrale del Foro Italico con i suoi 10.400 posti a sedere

Ho conosciuto Carlos Boluda nell'aprile del 2007. Giocava un torneo juniores in Andalusia e la nomea di nuovo Nadal mi aveva convinto ad abbandonare per un giorno la meravigliosa Siviglia. Giocava bene Carlos, che all'epoca aveva 14 anni, ma quel che impressionava era l'attitudine mentale. Avendo avuto l'occasione di visitare casa Nadal quando Rafa di anni ne aveva 15, non era stato difficile trovare delle analogie nella modestia, nella voglia di lavorare e nell'attenzione mediatica che gli veniva riservata. La Nike gli aveva già messo alle costole un manager, nella speranza di aver trovato un altro fenomeno. Lo stesso zio Toni si affrettò a dichiarare che «Rafa, alla sua età, non giocava così bene». Purtroppo, cinque anni dopo, il ragazzo si è perso. Un brutto infortunio lo ha tenuto lontano dai campi per un lungo periodo, e tracce di sé ne ha lasciate solo su Facebook, nei post amorosi adolescenziali che scambiava con l'allora fidanzatina, la nostra Chiara Mendo. Ora, Boluda di anni ne ha appena compiuti 19 ma i risultati non arrivano. Oh, e non parliamo di Grand Slam o Masters 1000, ma di mettere insieme due vittorie di fila in un torneo Futures. Il finale di stagione 2011 è stato pessimo, l'inizio di quella nuova per nulla promettente. Nonostante l'età gli consenta ancora di sperare in una degna carriera da professionista, la sensazione è che gli infortuni e l'eccessiva pressione che si era creata intorno alla sua figura (e che dovranno affrontare tutte le giovani promesse del tennis spagnolo), abbiano irrimediabilmente frenato la corsa di questo ragazzo. Che, purtroppo, difficilmente convincerà ancora qualcuno a lasciare, anche solo per mezza giornata, la meravigliosa Siviglia.

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The BIGGESTLoser 7

Sono cresciuti tanto in classifica mondiale ma... riusciranno a confermarsi nel 2012? Ecco chi rischia quest'anno di abbandonare il vertice del tennis mondiale 1. CAROLINE WOZNIACKI

Considerata la più debole numero uno della storia del tennis femminile, la bella danese non può sopravvivere solo di corsa e regolarità. Dovrebbe imparare qualche variazione e aggiungere punch a colpi sicuri ma non troppo penetranti. Però, per riuscirci, sarebbe opportuno affidarsi ad una guida esperta. Peccato che papà Piotr accetti i fidanzati ma respinga a piene mani i potenziali coach. E passi avanti, se ne sono visti ben pochi.

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2 JANKO TIPSAREVIC

È già un autentico miracolo che sia riuscito a issarsi fino alla top 10. Però, se arrivarci è difficile, rimanerci è ancor più complicato. E chi era capace di due miracoli consecutivi non si è mai occupato di tennis.

3. ANDY RODDICK

Prima è uscito dai Primi Dieci. Poi da Primi Venti. Fra poco sarà il turno dei Primi Trenta. E l'emorragia potrebbe non finire lì. La bella mogliettina dice che si ritirerà a fine 2013. I risultati potrebbero anticipare, ancor più che posticipare. la decisione.

4. SAMANTHA STOSUR

Qualcuno ancora non crede che abbia vinto una prova del Grand Slam. E quel qualcuno potrebbe essere lei. Chiudere nella top 10 sarebbe un risultato da sottoscrivere subito.

5. FRANCESCA SCHIAVONE Vedi Sam Stosur. E amplifica sorpresa e (possibile) caduta. Già fuori dalle Prime Dieci, qualcuno sospetta possa perfino precipitare nel ranking.

6. STANISLAS WAWRINKA Per anni ha resistito su altissimi livelli. Ora la pacchia pare finita.

7. MARDY FISH

Vale il discorso fatto per Tipsarevic: se arrivare nella top 10 è un merito, restarci è un altro paio di maniche. Se ci riesce, chapeau.

8. SERENA WILLIAMS

Avesse voglia, lotterebbe con Vika Azarenka per la poltrona di numero uno. Ma visto che di voglia ne ha poca, chiudere nella top 10 sarebbe già un mezzo miracolo.

9. VERA ZVONAREVA

Piangina Zvonareva avrà (finalmente) delle buone ragioni per lamentarsi. Pur con la scusante degli infortuni, sembra giunto il momento di saldare il conto. Ha già raggiunto risultati sorprendenti (oh, ha fatto finale a Wimbledon): ora può accontentarsi di una dorata pensione.


Love 40 Scalare da teen-ager il ranking ATP è un'impresa. Lo confermano i numeri attuali

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Nel grafico, i top 40 ATP divisi per età con la loro classifica ATP al 20 febbraio.

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Negli anni 80, Mats Wilander, Boris Becker e Michael Chang hanno vinto un torneo dello Slam prima di compiere i 18 anni. Ora il tennis è diventato sempre più fisico e arrivare nei piani alti del ranking ATP da teen-ager è un'impresa molto difficile. Come dimostra questo grafico, tra i top 40 ATP c'è un solo giocatore sotto i 20 anni (Bernard Tomic) e solo il 22,5% hanno 25 anni o meno.

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PLAY

BESTSELLER

IL 2012 SI È APERTO CON TANTE NOVITÀ NEL SETTORE RACCHETTE. In particolare, sono arrivate nei negozi le nuove Babolat Pure Drive e oltre dieci modelli Wilson, tra cui le nuove “Federer”, la famiglia delle Six.One e le inedite Juice e Steam. Head invece ha proposto tre varianti di Radical ma soprattutto ha rinnovato la linea Prestige, che quest’anno festeggia i 25 anni. Ebbene, la grande novità è la Prestige S, una versione alleggerita a 324 grammi e 33.3 centimetri di bilanciamento (incordata) con ovale da 98 pollici. Perché sarà una bestseller? Perché offre sensazioni da racchetta pro ma una vivissima manovrabilità.

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Una macchina perfetta Il racconto della visita a Tennis Warehouse Europe, l'amico più fidato per gli acquisti on-line Avreste mai pensato che Schutterwald potesse essere considerata la Mecca dell’appassionato tennista? Yes, Schutterwald. Che non è un misterioso atollo appena scoperto da qualche esploratore tedesco, ma la cittadina dove ha sede Tennis Warehouse Europe, migliaia di metri quadri dove il fanatico tennista metterebbe volentieri una brandina e si sistemerebbe per una settimana di full immersion tra racchette, scarpe, corde, grip, abbigliamento, palle e accessori vari. Perché TWE (ormai è diventato talmente familiare da potersi dare del tu…) è qualcosa in più di uno store on-line: è l’esperto di fiducia a cui rivolgersi quando si ha bisogno, il luogo dove si scovano novità in anteprima o pezzi introvabili, il forum dove si discute di tutto quello che concerne l’universo del tennis. Per questo siamo andati a visitare la sede europea, proprio in quella Schutterwald dove non capiti per caso, perché dell’atollo non ha davvero nulla. Tipica cittadina tedesca, fredda, senza troppi divertimenti, a parte avere la bellissima Strasburgo ad una trentina di chilometri. Già, perché fissare la sede al confine tra Germania e Francia non è una scelta nata per caso: «Sono semplicemente i due paesi più importanti per la vendita on-line, in senso generale e in particolare per il tennis» ci spieDAL NOSTRO INVIATO A SCHUTTERWALD

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ga Jean-Christophe Schaffo, il manager che dirige Tennis Warehouse Europe. Tennis Warehouse è in assoluto la potenza massima dello shopping on-line legato al tennis. Anche se in realtà le premesse iniziali erano ben altre. Negli States, dietro ad un grande successo commerciale, si nasconde sempre un grande businessman. In questo caos il suo nome è Drew Munster che cominciò con un negozio specializzato in tennis nel 1992 a San Lui Obispo, in California. Oh, in realtà, la sua storia di successi era cominciata ben prima, quando aveva creato ComputerWare a palo Alto, sempre in California, una società che era diventata dealer esclusivo per una certa Apple Macintosh, tanto da arrivare ad occupare nel 1990 il quinto posto di Inc. Magazine nella lista delle aziende in più rapida espansione degli States, con una crescita in cinque anni del 21.900%. E Tennis Warehouse era esattamente il progetto di un software che poi, se Dio vuole, è diventato uno store on-line. Anzi, lo store on-line per definizione del mondo del tennis. E Munster, che come avrete capito è uno che sa fiutare gli affari, ha poi deciso di varcare i confini degli Stati Uniti, conscio che dazi e ritardi doganali erano un freno all’espansione del suo progetto nel Vecchio Continente. E i risultati non hanno tardato ad arrivare. LORENZO CAZZANIGA


TWE ha subito fatto bingo e sbancato il mercato europeo. Non c’è azienda che non cerchi di entrare nelle loro grazie e, soprattutto, nel loro store. Perfino i grandi gruppi si affidano a loro per testare in anteprima i prodotti, verificarne la qualità e quindi determinare dalle loro vendite quale successo hanno avuto. «Abbiamo un rapporto diretto con i maggiori brand mondiali – prosegue Schaffo -. In realtà non è solo un rapporto di business, una relazione tra cliente e fornitore. Andiamo oltre perché sono consci che il servizio che offriamo al cliente è di primissima qualità». Arrivati negli uffici, si è accolti da… un negozio vero e proprio: «Non è il nostro core business – continua Schaffo - ma ci sembrava logico visto che avevamo lo spazio e il materiale. Chi abita nella zona, e Strasburgo ha un ottimo bacino di utenza e dista poche decine di chilometri, può trovare tutte le maggiori novità in anteprima». Già, perché basta salire al piano di sopra per entrare nel paese dei balocchi. La forza di Tennis Warehouse Europe è data sostanzialmente da tre peculiarità: avere tutti i top prodotti in anteprima, una completezza di offerta senza eguali visto che sono presenti marchi di ogni genere, anche quelli di nicchia, e poter disporre di prodotti unici, come le scarpe Nike create appositamente per TWE o la mitica Wilson Pro Staff Original 85, la cui commercializzazione è stata data proprio a Tennis Warehouse, in via del tutto esclusiva. E a tutto ciò si è aggiunta l'anno scorso la licenza ufficiale per quanto riguarda le linee di prodotto Roland Garros:

«Da quando l'abbiamo presa noi in gestione, i dati di vendita sono cresciuti notevolmente, al punto che abbiamo creato due siti dedicati: uno in Europa e uno negli States, per offrire prezzi e spedizioni più convenienti». Quel che poi è particolarmente apprezzabile, è che non si tratta di un luogo super chic. Niente spazi ultramoderni, niente lusso sfrenato, ma tanta praticità. Ed efficienza. «Mettiamo tanta energia e attenzione nell’offrire un servizio quanto più preciso e puntuale. Il prodotto deve arrivare in tempi brevissimi e senza errori». Per questo vi sono decine di piccoli accorgimenti e qualche piccolo trucco (interessante quello di “mischiare” varie file di scarpe di marchi differenti per evitare troppa confusione da parte degli addetti alla spedizione). Ma il luogo magico si trova in fondo agli uffici, quello dove una serie di incordatori prepara le racchette che poi verranno spedite in tutta l'Europa. Ebbene, la sorpresa è stata scoprire che metà di quelli impegnati erano... italiani (come la mia guida personale, Raffaele Belluccini. Ecco, se qualcuno ritiene che nel nostro Paese non vi sia sufficiente preparazione tra gli incordatori, è servito (oppure si potrebbe pensare che, come succede in settori ben più significativi, anche nel tennis molti validi operatori trovano maggior fortuna all'estero). Tutte le macchine sono fornite da Prince, nel loro ultimo modello, valido dal punto di vista tecnico e anche molto fashion nella sua elettronica a vista. La fase di incordatura, benché non esattamente decisiva nell'ottica di un business on-line, è seguita con grande attenzione e, a turno, tutti gli incordatori si mettono un auricolare e rispondono quale customer care per offrire i consigli più disparati agli appassionati in cerca di un esperto che possa consigliare il telaio giusto, la corda ideale, la tensione adeguata. Perché la filosofia di Tennis Warehouse Europe è finalizzata alla vendita del prodotto, of course, ma tramite una valida consulenza all'utente finale. Per questo è stata creata una sorta di Tennis Warehouse University dove si possono trovare centinaia di informazioni utili per destreggiarsi in un'offerta quantomai ampia. E, in questi tempi di crisi economica, trovare un partner che ti aiuti a fare la scelta giusta... non ha prezzo. La sede di Tennis Warehouse Europe a Schutterwald, piccola cittadina tedesca al confine tra Germania e Francia, e alcuni degli incordatori che lavorano per TWE

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STYLE PALLA O SCARPA?

CHI LO HA DETTO CHE PALLE E SCARPE DA TENNIS non possono andare a braccetto? Airwalk ha dimostrato il contrario creando una scarpa (oh, da passeggio, non per giocarci a tennis) col…feltro di una pallina, abbinata alla pelle delle scarpe da basket. Già negli anni 90, Airwalk aveva creato una scarpa icona chiamata JIM e che richiamava la più amata e odiata ora di lezione scolastica: quella di ginnastica, appunto. Ora ha deciso di provare col tennis. Certo, essendo obbligatorio il colore giallo, serve una certa personalità per indossarla. Però, sicuramente non si passerà inosservati. Il prodotto è disponibile in esclusiva su airwalk.com.

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Bar Refaeli and The Under Tennis La stupenda modella israeliana ha lanciato un nuovo brand. Su un campo da tennis La prima volta fece scandalo sposando un amico di famiglia che le permise di svicolare dal servizio militare, obbligatorio anche per le donne in Israele. Poi ha continuato la sua carriera di modella, diventando una delle top model più pagate. In Italia è appena stata ospite del Chiambretti Show, ma gli appassionati di tennis la ricordano soprattutto per aver posato mezza nuda con Rafael Nadal nell'ultima edizione dello Speciale Bikini di Sports Illustrated. A tal proposito nasce spontaneo chiedersi cosa ne pensi Xisca Perello, la storica fidanzata di Nadal. Già, perché il ragazzo pare di bocca buona e che non faccia niente per nascondere le sue più audaci amicizie. Basti ricordare che, prima degli scatti decisamente hot con la Refaeli per Sports Illustrated, Nadal aveva partecipato molto attivamente ad un video con Shakira, che dalle immagini sembrava gradire molto le attenzioni del giovin spagnolo. Comunque sia, la passione (quella per il tennis, non per Rafael Nadal) ha spinto la bella Bar a scendere in campo per promuovere un nuovo brand da lei creato. Cosa c'è di particolare? Beh, come avrete notato dall'immagine qui sopra e senza bisogno di essere novelli Sherlock Holmes, parliamo di un nuovo marchio di intimo: Under.Me. «Dopo anni di sfilate in cui ho indossato alcuni degli abiti più belli mai creati (e in alcuni casi anche sen-

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za n.d.r.), ho deciso di prestare attenzione a quello che... si porta sotto.». Un intimo per tutti i giorni: chic ed elegante, ma anche comodo e rilassante, perché nello sport femminile è un particolare troppo spesso trascurato ma certamente importante. E per dimostrare che si tratta di capi estremamente confortevoli, Bar li ha impiegati proprio per giocare a tennis, dimenticandosi peraltro di metterci sopra top e gonnellino. Come già aveva dimostrato sul campo durante un evento Nike a New York, la Refaeli non vale esattamente una 3.1, ma l'ex fidanzata di Leonardo Di Caprio ha mostrato un interesse notevole per il nostro sport (che ci sentiamo di ricambiare). Tuttavia, i giornali di gossip, sostengono che la passione per il tennis sia nata anche per cercare di perdere qualche chilo di troppo. A vederla in queste immagini (e nei video a corredo), non si direbbe che soffra di un eccesso di adipe. Anzi. Però sono giunti altri scatti newyorchesi a mostrare il contrario. Qualunque sia la verità e dove e come sia stato applicata qualche funzione di photoshop, interessa poco. Quel che importa è che sempre più vips scendono in campo, restituendo al tennis quell'immagine glamour che era tipica degli anni 80 e che si era un po' persa nelle ultime stagioni.


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Stick It Wear

Dillo con una t-shirt è lo slogan che tanti marchi hanno buttao sul mercato per promuovere i messaggi trasmessi stampandoli direttamente sulla classica maglietta a girocollo. Si è scomodata perfino Madonna, non poteva mancare un'azienda americana che si occupasse del mondo del tennis. Si chiama Stick It Wear e sfrutta le sagome (decisamente riconoscibili) dei più celebri tennisti nelle loro tipiche pose di gioco. da Agassi a Sampras, da Nadal alla Sharapova, un modo simpatico per esprimere la propria passione con una semplice t-shirt. 39


2005

Gotennis offre da anni i migliori pacchetti hotel + biglietti per i più grandi Tornei del circuito professionistico

2012

Da 14 anni Gotennis propone occasioni per migliorare il vostro talento in luoghi selezionati dove apprendere piccoli segreti facendovi divertire con professionalità, passione e tanta allegria. Single, famiglie, coppie, principianti o molto esigenti imparano i superiori contenuti tecnici che eroghiamo, frutto di profonde esperienze presso le più prestigiose scuole del mondo: Academia Sànchez-Casal, Bollettieri Tennis Academy, Van Der Meer Academy

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Grandi Tornei

2010

Imparare con il sorriso è da sempre indice di una buona qualità apprendimento; l’esperienza e la capacità degli insegnanti fanno il resto.

Scuole e AccadEmie

2008

St e Vacanza Stag

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ITALY

IL DRAMMA DEL CONCORDIA

QUELLO CHE È ACCADUTO LA NOTTE DEL 13 GENNAIO scorso sulla nave da crociera Costa Concordia è ormai un fatto noto a tutti. Da diversi giorni sono cominciate anche le operazioni di recupero del carburante e proprio in una di queste occasioni è stata scattata la foto che vi proponiamo qui sopra e che ritrae il campo da tennis della nave, ancora adagiata sugli scogli dell’Isola del Giglio dopo il maldestro “inchino” voluto dal comandante Francesco Schettino e che si è tramutato in una delle più grandi tragedie navali della nostra storia.

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Un futuro da capitano L'obiettivo è diventare capitano dell'ItalDavis. Per adesso studia da coach allenando Go Soeda

CHI Davide SANGUINETTI Viareggio, 39 anni, coach

COSA

PERCHÉ

Ex n.42 ATP, ora è un coach professionista. Segue il giapponese Go Soeda, attuale top 100

Ha dimostrato ottima attitudine come coach e punta a diventare il capitano dell'ItalDavis

intervista di Riccardo Bisti photo by Marco De Ponti

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Davide Sanguinetti è stato uno dei migliori giocatori italiani degli ultimi 20 anni. Ha regalato grandi emozioni raggiungendo i quarti a Wimbledon ma soprattutto battendo Roger Federer in finale nel defunto torneo di Milano nel 2002. Dopo il ritiro e un anno sabbatico, è tornato nel mondo del tennis come coach. Oggi allena il giapponese Go Soeda (nella foto della pagina a fianco), ma la sua esperienza potrebbe essere una risorsa importante per il nostro tennis, magari come capitano di Coppa Davis. Un ruolo che non gli dispiacerebbe:“Vorrei avere una chance, ma solo quando Barazzutti non avrà più voglia”. Com’è la vita da coach vista dall’altra parte della barricata rispetto a quando eri giocatore? Molto stressante. Cerchi di tenere calmo il tuo giocatore e di portare il famigerato “stress” tutto dalla tua parte.Alla sera ne risenti: hai un po’ di mal di testa, sei stanco, non hai voglia di fare granché. Di certo adesso capisco molte più cose: essendo stato sia giocatore sia coach, vedo entrambe le facce della medaglia. Da giocatore, molte volte si è cocciuti e non si vuole capire quello che l’allenatore ti vuole spiegare. Io ho affrontato anche dei litigi molto duri con Pistolesi, ma sempre costruttivi. E i risultati migliori li abbiamo ottenuti subito dopo, quindi penso che un sano litigio possa essere anche positivo. Com’è allenare un giocatore giapponese? Più in generale, come vivono il tennis i giapponesi? I giapponesi ti studiano parecchio, vogliono assimilare tutte le tue


esperienze. Non hanno tanta cultura tennistica e ne sono consapevoli, quindi più idee metti sul tavolo e più sono contenti. Con Soeda mi sono trovato subito bene: lui ha un carattere duro. È un ragazzo calmo ma sa quello che vuole. All’inizio non mi seguiva tantissimo, anche perché c'era qualche problema di comunicazione visto che lui non parlava troppo bene l'inglese. Adesso le cose vanno meglio e credo abbia iniziato a capire gli schemi e le tattiche che gli sto insegnando.

presa in un momento in cui era sotto terra, reduce da una tremenda batosta all’Australian Open.Voleva ritirarsi, ma le dissi: “Proviamo ancora, dammi un mese della tua vita e poi decidi”. Ci siamo allenati bene insieme, e i risultati sono arrivati. Quarti a Indian Wells, buona partita con la Zvonareva a Miami, poi ha iniziato ad aver male alla schiena e purtroppo il dolore non è ancora sparito. È stata sfortunata, ma ci sentiamo ancora al telefono e su Skype. Adesso sta vivendo una seconda giovinezza al di fuori del tennis.

Essere stato un giocatore professionista quanto ti aiuta nel tuo lavoro da coach? Mi aiuta soprattutto sulle sensazioni. Per essere un buon coach non devi per forza essere stato un giocatore importante, però aver giocato mi aiuta nei momenti chiave della partita, e se in quel momento Go è ricettivo, possiamo anche portare a casa un match che magari sarebbe più complicato. Io ho tanta esperienza: credo che 13 anni da professionista siano un buon bagaglio da cui attingere.

Quali differenze ci sono tra allenare un junior (tu hai seguito Nastassja Burnett) e un tennista già formato? A me piacerebbe molto provarci con un giocatore junior, plasmarlo come piace a me. Il problema è che adesso non vedo in giro dei giovani particolarmente interessanti. La Burnett è una grande lavoratrice, ma bisogna riuscire a entrare nella sua testa, manca ancora un piccolo pezzo del puzzle. Tra le donne penso che l’aspetto più importante su cui lavorare sia quello mentale.Tra gli uomini, in questo momento, è fondamentale il fisico. Un 18enne non può essere pronto come un 25enne, anche perché oggi tutti tirano fortissimo. Doping e scommesse: qual è la piaga più grave e quale la più difficile da eliminare? Penso che le scommesse siano orribili. Perdere volontariamente una partita è agghiacciante. Se qualcuno venisse scoperto, vorrei che venisse bandito per tanti anni. Nel doping, purtroppo, anche se vieni preso, trovano delle scuse improponibili. Secondo me dovrebbero dare 2 anni secchi. Se poi ti riprendono… squalifica a vita.

Nella tua carriera hai commesso degli errori che oggi consiglieresti di evitare ad un giovane tennista? Ne ho commessi tanti. Sono convinto che sarei entrato tra i primi 20 se, quando mi allenava, Pistolesi avesse avuto l’esperienza di oggi. Di questo ne sono certo. Purtroppo lui iniziò in quel momento... Però abbiamo imparato tantissimo. Se allenassi un giovane, quali errori gli faresti evitare? È fondamentale avere un team unito, e ci sto provando con Soeda. Oltre al sottoscritto, c'è un ottimo manager al quale si è aggiunto un preparatore atletico.Vorrei che questi fattori creassero un’unica entità per il bene del giocatore. Questo è stato il lato negativo della mia carriera: non avevo un manager e nemmeno un preparatore atletico. Questa figura si è aggiunta dopo con Stefano Macioce, e infatti i risultati sono arrivati più tardi. Lo avessi capito prima... Per diventare coach professionisti, bisogna “studiare” o basta l’esperienza? Bisogna studiare. Io sono stato fortunato perché ho avuto dei maestri che mi hanno insegnato tanto come Benedetti e Pistolesi, ma studiare da coach è fondamentale. All’inizio bisogna fare gavetta e investire su se stessi. Il coach deve studiare con attenzione il prossimo avversario del suo giocatore, la tecnica da utilizzare, tante piccole cose che alla fine fanno la differenza. La teoria invece, la conosci già dopo tanti anni di professionismo. Raccontaci il tuo rapporto con Dinara Safina. È una grandissima giocatrice e con lei ho imparato tante cose. L'ho

Punti a diventare capitano di Coppa Davis? Barazzutti ha fatto bene, ha vinto tre Fed Cup con le donne, mentre tra gli uomini l’inizio è stato più problematico, ma poi ha trovato alcuni buoni giocatori e finalmente sono tornati nel World Group, dove secondo me l’Italia dovrebbe sempre stare. Per quanto mi riguarda, io ho già dato la mia disponibilità alla Federazione. Attenzione: non voglio prendere il posto di Barazzutti, ma quando lui avrà voglia di smettere mi piacerebbe avere una chance. Come giudichi la situazione dei nostri davisman? Io non trovo che il tennis italiano sia in pessime condizioni come dicono in tanti. Seppi è tornato in Davis ed è una buona notizia. Fognini deve ancora esprimere tutto il suo talento e Starace è una roccia: sta nei primi 50-60 da una valanga di anni. Quello che dovremmo cercare di recuperare è Simone Bolelli. Secondo me è il più grosso talento che abbiamo. I giovani non li ho visti giocare tantissimo, tuttavia credo che Giannessi abbia grandi potenzialità, deve migliorare servizio e rovescio ma lo vedo bene, anche se soprattutto sulla terra rossa. 43


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OGNUNO AMA IL TENNIS A MODO SUO. C'è CHI SI è INNAMORATO DELLA VOLéE DI DIRITTO DI STICH, CHI HA VISSUTO ESPERIENZE RELIGIOSE NELL'OSSERVARE ROGER FEDERER, CHI NON PUò FARE A MENO DI AMMIRARE I GONNELLINI DELLA IVANOVIC. NOI ABBIAMO CHIESTO AI NOSTRI TOP CONTRIBUTORS DI RACCONTARE I GIOCATORI ATTUALI CHE AMIAMO DI PIù* (E QUELLI CHE AMIAMO DI MENO)

* NO, QUESTA VOLTA FEDERER E NADAL LI ABBIAMO LASCIATI STARE 123


di marco imarisio

Per LEWIS HOAD, che lo chiamavano il camionista per via della circonferenza dei polsi. Non l'ho mai visto giocare, ma a forza di farmelo raccontare mi sembra quasi di conoscerlo. Il tennis ha il vizio della memoria. Molto più di altri sport. Per MILOSLAV MECIR nella finale di Key Biscayne contro Ivan Lendl, anno 1988. Per come mandava al manicomio la regolarità degli svedesi: ogni volta una palla diversa. Perché era un genio e un pazzo. E nel tennis non è detto che la follia sia un difetto. Per IL DIRITTO DI PETE SAMPRAS, quella presa così classica, quel gesto così pulito. Era bellissimo da vedere, e adesso non c'è più nessuno che lo tira così. Il tennis è il magazzino dei colpi perduti. E noi qui fuori, ad aspettare di rivederli. Per UNA VOLÉE DI DRITTO DI MICHAEL STICH, una qualunque. Nessuno ha mai più giocato come lui. Ce ne sono stati tanti più forti, ma quel misto di potenza e tocco, non l'abbiamo mai più rivisto. Perché non potevo sopportarlo ma amavo i suoi gesti e solo il tennis rende così netta la distinzione tra la persona e il suo gioco. Per LE SMORZATE DI ADRIAN UNGUR, che forse non entrerà mai nei primi cento. Perché tutti noi abbiamo il nostro giardino segreto, la nostra perversione privata, e la custodiamo e difendiamo con cura. Il tennis è anche ossessione. Per ROGER FEDERER, e mai prima d'oggi avrei pensato di scrivere una cosa del genere. Poi ti arrendi, davanti all'ultimo dei classici. Abbiamo già cominciato a rimpiangerlo. E quelli che fanno i bastian contrari di professione, inneggiando alle sue sconfitte ed esaltando per contrasto i muscoli di Nadal e Djokovic... vabbè, c'è posto anche per loro. Per BENOIT PAIRE, che non gli interessa vincere ma solo giocare bene. Esteta fino all'autolesionismo, venderebbe sua madre per un colpo ad effetto. Per lui, e per tutti gli irregolari, quelli che ci mostrano ciò che è stato e potrebbe ancora essere. «Addio ala d'angelo / tenere piume disperse sui court / eco di bellezza ormai lontano / addio Stefan». Per EDBERG. E per GIANNI CLERICI, l'unico poeta capace di spiegare una partita come nessun altro è capace di fare.


Per BERNARD TOMIC, perché non ho ancora capito il motivo della mia attrazione. È di una presunzione innaturale: si è assentato dalla fila quando Dio distribuiva la simpatia e non ha un gioco spettacolare, anzi. Eppure mi piace come gli esce la palla dalla racchetta, mi piace quel diritto che farebbe disperare un maestro di circolo. Qualcuno mi spieghi. Per BJORN PHAU E BENJAMIN BECKER e la loro semifinale al challenger di Bergamo. L'abbiamo vista in streaming, non è stata un granché, ma non eravamo soli. Gli altri, guardavano tutti il Festival di Sanremo. Per KELLY EVERNDEN, misconosciuto neozelandese di origine Maori che riuscì a vincere tre tornei ATP regalando un rene di vantaggio ad ogni avversario. Perché il tennis è pieno di storie belle e terribili. Per IVO KARLOVIC E MARK PHILIPPOUSSIS, per Wayne Arthurs e Andy Roddick, per la linea retta che li collega a Roscoe Tanner e Goran Ivanisevic. Per il servizio, la più misconosciuta arte del tennis, troppo spesso scambiato per bieca dimostrazione di potenza. Invece è proprio un’arte, capace anche di resistere agli sfregi di Jay Berger e Filippo Volandri. Per MARK

EDMONDSON, ANDRES GOMEZ E THOMAS JOHANSSON, vincitori di Slam a loro insaputa, fuori tempo massimo. E per Olli Rahnasto, che nel 1982 al torneo di Stoccolma batté Stan Smith, quello delle scarpe, e Steve Denton, numero dieci del mondo, da non classificato. Non è più accaduto, ma il tennis vive anche di questo, dell'inspiegabile.

Per LE NOTTI BIANCHE E IN BIANCO a guardare i primi turni dell'Open d'Australia, per tutte le ore di sonno perse a guardare la replica di HiguerasBarazzutti senza mai avere la forza di spegnere la televisione. Lo facevo da piccolo, non ho ancora smesso. E non ho alcuna intenzione di farlo. Perché c'è sempre un GRIGOR DIMITROV a ricordarti che il tennis può ancora essere bello. Perché c'è bellezza (un pochino) anche in Troicki-Ferrer. Perché non si cambia mai canale se c'è una palla break o un tie-break, figurarsi per un quinto set. E sarà sempre così.

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Illustrazioni: der prinz

Il pi첫 grande


spettacolo...

by @meloccaros


Stefano Meloccaro @meloccaros

Intellettuale di centro. Infatti residente a Rieti Rieti, umbilicus italiae.

Fiorello @sarofiorello

Stefano Meloccaro @meloccaros Dunque, @sarofiorello, cominciamo dalla tua amicizia con @jokernole. Davvero amici o una cosa di facciata per vips? In risposta a Fiorello Fiorello @sarofiorello Caro @meloccaros, amici veri. anche se la frequentazione non può essere assidua, visto soprattutto il tipo di vita che fa lui! Io sono sedentario per natura, Nole ipercinetico per vocazione. L’ultima volta ci siamo visti al mio show in novembre. (#ilpiùgrandespettacolodopoilweekend, ndM, nota del Melo). Era ospite nella prima puntata, puoi immaginare quanto fossi teso. Lui arrivava direttamente da nonsoddove, e il suo aereo era in grande ritardo. Praticamente si presenta alle 19 per essere in onda con me alle 21. Meno di due ore dalla diretta di uno show del sabato sera su Raiuno! Ansia. Vuol dire fuori tempo massimo per qualsiasi tipo di prova. Non per uno come Nole che, posso garantire, ha lo spettacolo nel sangue. Infatti è andato benissimo. Come al solito. E col suo sorriso ha contribuito a tranquillizzare pure me. In risposta a Stefano Meloccaro Stefano Meloccaro @meloccaros Vabbè, @ sarofiorello, ma non mi dire che non avevate pianificato il tutto sulla carta. Quantomeno via Twitter, suvvia... In risposta a Fiorello Fiorello @sarofiorello Malfidato @meloccaros, certo che ci eravamo sentiti qualche tempo prima per programmare, ma avevamo concordato solo lo scambio di regali sul palco. Io gli avrei donato le giacche del karaoke col codino finto, lui maglietta e racchetta. Era la sola cosa prestabilita. La sfida a tennis padella, vecchia mia reminiscenza dell’epoca villaggi, mi è venuta in mente dopo. E dietro le quinte gli ho proposto di fare una veloce prova. Showtime. Maneggiava quella vecchia padella bucherellata da caldarroste che pareva non avesse fatto altro nella vita! Sconvolgente. Sul palco poi ha barato clamorosamente, facendomi vincere. Ma, credimi, anche con quella padella, metteva la palla dove voleva. E comunque, vederselo dall’altra parte della rete, sia pure per finta, fa paura. In particolare mi impressiona la sua fisicità. È poco più alto di me, ma talmente magro e longilineo che pare lungo 5 metri! In risposta a Stefano Meloccaro Stefano Meloccaro @meloccaros @sarofiorello E poi avete consegnato agli annali un imperituro balletto gay conclusivo. In risposta a Fiorello


Fiorello @sarofiorello Memorabile, @meloccaros! Anche in quel caso, poco prima della diretta in camerino entra Daniel Ezlarlow (fenomeno della danza contemporanea, ndM) e serio serio spiega la coreografia che aveva preparato per l’occasione. Scena: io e Nole che ascoltiamo uno che con accento alla Don Lurio ci spiega delle originali movenze da eseguire a specchio... è stato incredibile! Nole l’ha imparata al primo colpo e non ha più avuto bisogno di ripeterla! Ti dico solo che, sul palco, ero IO a seguire LUI per non correre il rischio di sbagliare! Ma tu mi capisci? In risposta a Stefano Meloccaro Stefano Meloccaro @meloccaros Sì, @sarofiorello. Ma dovevi riprendere tutto col telefonino e twittarlo! Vabbè, e poi? In risposta a Fiorello Fiorello @sarofiorello Manca un quarto d’ora alla diretta. Nole, sei pronto? Oh, avete visto Nole? Ma dov’è??? Che fine ha fatto Djokovic? Niente. Ansia più ansia. Apro tutte le porte, tra cui quella del camerino dove c’era mia figlia Angelica e... eccolo lì, steso per terra, che gioca a Monopoli con la bimba. Io me la facevo sotto e lui era la persona più rilassata dell’universo. Solo che lo showman sarei io! Mi piacerebbe avere un po’ della sua capacità di gestire i momenti di tensione. Ma credo sia qualcosa con cui devi nascere. In risposta a Stefano Meloccaro Stefano Meloccaro @meloccaros Era da solo, @sarofiorello? In risposta a Fiorello Fiorello @sarofiorello No, @meloccaros. Con il fido Dodo Artaldi (un vero e proprio alter ego, ndM) e la sua fidanzata. Molto carina ed educata anche lei, li abbiamo fatti ingrassare di tre chili l’uno, quella sera, a forza di cannoli alla ricotta! Insomma, Nole numero uno in tutto, anche quando si tratta di fare uno strappo alla dieta. Persona positiva e sorridente al 2000 per 100. In risposta a Stefano Meloccaro Stefano Meloccaro @meloccaros Ok, Fiore, spettacolo a parte. Ma una sua partita l’hai vista mai? Sincero. In risposta a Fiorello Fiorello @sarofiorello Occhio, @meloccaros, io sono un grandissimo appassionato di sport. Soprattutto se guardato dal divano di casa! Certo che sì. Chiaro che non sono un grande intenditore di tennis, ma mi appassiono molto quando gioca lui. E poi, quando a casa viene a trovarmi qualche mio amico e vede la racchetta firmata Novak Djokovic, strabuzza gli occhi e commenta: ma è veramente la suaaaa??? In risposta a Stefano Meloccaro


Stefano Meloccaro @meloccaros Diciamo, @sarofiorello, che quella sera ti ha portato bene. Visto il successo del programma, ti toccherà invitarlo sempre! In risposta a Fiorello Fiorello @sarofiorello Sicuro, @meloccaros. Era la prima puntata, dopo anni di assenza da Raiuno. E Nole è stato di buon auspicio. Poi dillo a me, che sono piuttosto scaramantico! Ripeto, la sua capacità di sdrammatizzare mi ha trasmesso molta serenità, mi sono rilassato anche grazie a lui. E alle sue battute. Io lo prendevo in giro: ma Federer lo soffri, eh? E lui, certo che sì. Può battermi, lo so, anche se sono al meglio. Lo soffro, esattamente come Rafa soffre me! È fortissimo, ma da me può sempre perdere. Perché? Questione di testa. Come quando io ti batto con la padella! In risposta a Stefano Meloccaro Stefano Meloccaro @meloccaros Bella la storia degli amichetti entrambi numeri uno. @sarofiorello dello spettacolo, @ jokernole del tennis. In risposta a Fiorello Fiorello @sarofiorello A parti invertite, lui sarebbe meglio di me. Solo per questione di fisico, però! Io sono 1.83, Nole poco di più, ma rispetto a me pare un gigante perché è veramente scheletrico, totale assenza di massa grassa. E te credo, va a petto di pollo e insalata 99 volte su 100...! In risposta a Stefano Meloccaro Stefano Meloccaro @meloccaros Però non twittate granché messaggi reciproci. In risposta a Fiorello

Fiorello @sarofiorello No, preferiamo i messaggi privati. Non per mancare di rispetto ai miei followers (più di 500.000, ndM) ma non mi va di ostentare. E tantomeno di fare «quello che è amico di Djokovic» in pubblico. Da quando lo conosco ho portato in scena 3 spettacoli diversi, e lui è venuto a trovarmi in tutti e 3! Sky Uno, Teatro Sistina e l›ultimo su Raiuno. Il primo incontro fu al Fiorello Show su Sky, teatro tenda di piazzale Clodio a Roma. Ricordi, @meloccaros, o accompagnasti tu (e certo che me lo ricordo, un opera meritoria l›ho portata a termine pure io nella vita!). Al tempo era numero 4 in classifica, Fece l›imitazione di Nadal e Sharapova, e giocammo a volano. Fu divertentissimo, e gli pronosticai che sarebbe diventato numero uno,prima o poi. Quando poi è accaduto l›ho chiamato e lui, in pieni festeggiamenti a Belgrado, mi ha risposto urlandomi al telefono: grande Fioreeeeeeeee, ti voglio bene, mi hai portato fortunaaaaaaaaaaa. Capito che tipo??? A maggio sarà qui per il Foro Italico, se non mi fa uno squillo lo DEFOLLOWO... A proposito di Roma, al Fiorello Show io avevo il gesso perché mi ero strappato il polpaccio. Lui, due giorni dopo lo spettacolo entrò in campo al primo turno (contro Montanes, ndM) zoppicando e con parrucca in mio onore. Ma chi la fa una cosa del genere, oggi, nello sport professionistico??? In risposta a Stefano Meloccaro


Stefano Meloccaro @meloccaros A proposito, ma a te sarebbe piaciuto essere un grande sportivo, invece che un grande showman, @sarofiorello? In risposta a Fiorello Fiorello @sarofiorello La verità, @meloccaros? Immensamente. Il vantaggio di noi dello spettacolo è che la carriera è molto più lunga, guarda Celentano... Ma se potessi chiedere qualcosa al genio della lampada, ebbene sì: voglio rinascere Del Piero, Totti, Baggio, Messi, Djokovic. Adoro gli sportivi che vincono facendo divertire il pubblico! Da ragazzino Djokovic giocavo a pallone, e il mio allenatore si arrabbiava con me urlandomi in siciliano stretto: tu non devi giocare a calcio ma andare al circo! A fare la foca! Perché durante gli allenamenti mi divertivo tantissimo a fare i “numeri” alla Maradona. Lo spettacolo prima di tutto, già allora! A proposito, Nole è milanista e questo è l’unico suo difetto! (Fiore è interista vero, ndM). Ma, credetemi, io sono uno che non gufa mai, e in Europa, ad esempio, faccio un gran tifo per le italiane, sempre e comunque. Mi ritrovo un eccellente spirito patriottico. Se non si tratta di campionato, ovvio... In risposta a Stefano Meloccaro Stefano Meloccaro @meloccaros E col tennis giocato, come la mettiamo @sarofiorello? Te la cavi? In risposta a Fiorello Fiorello @sarofiorello No. Nel senso proprio che non ho mai provato a giocare sul serio. I miei unici tentativi giovanili si bloccarono alla prima lezione. Io - al solito - volevo divertirmi da subito. Il maestro, appena in campo, ci mette in fila e parte subito con riscaldamento si corsa intorno al campo e poi esercizi vari. Fu la mia prima e ultima. Però al tempo dei villaggi il match a tennis padella (tutto torna...) era uno dei miei momenti preferiti. E ti posso dire che non ero per niente male, anche in top spin. Dritto e rovescio mi venivano piuttosto spontanei, la mossa c’era. A Susanna, mia moglie, dico sempre che se avessi continuato sarei diventato un buon giocatore. È un mio piccolo rimpianto, quello di non aver giocato sul serio. Anzi, sai che ti dico? M’è tornata voglia, la prossima estate riprovo. E poi, scendo in campo con la racchetta di Nole: mica male come inizio, no? In risposta a Stefano Meloccaro

post scriptum: la twittata tra @meloccaros e @sarofiorello è stata realizzata con TwitLonger che permette di andare oltre i 140 caratteri


LOVE

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game

victoria azarenka DI RICCARDO BISTI Il padre di una nostra giovane promessa (poi rimasta tale), disse: “Spero che non diventi come la Azarenka, che a 15 anni già non saluta più”. Non sarà un mostro di simpatia, ma la bielorussa è la nuova dominatrice del tennis mondiale. Mentre la Wozniacki guidava la fase di transizione del circuito WTA, tutti parlavano di Serena Williams (“la vera numero 1”), Petra Kvitova (“la futura numero 1”) e Maria Sharapova (“la più carismatica numero 1”). E invece lo scettro se lo è preso la bambola di Minsk, animo schiumante dietro a un aspetto delicato e una naturale vanità femminile. La Azarenka piace perché ha messo d’accordo tutti a suon di risultati: dopo tre tornei, il suo bilancio stagionale parla di 17 vittorie e nessuna sconfitta. «Non paragonatemi a Djokovic, devo fare tanta strada per diventare come lui» si è affrettata a dire, in un raro momento di umiltà, senza peraltro escludere di riuscire ad arrivare imbattuta a Roland Garros, come accaduto al serbo e a Martina Hingis nel 1997.Vika è nata in quel lembo di terra che divide Polonia e Russia, diventata Bielorussia nel 1991. Mamma Alla lavorava in un club locale e se la portava dietro. La piccola Victoria venne notata da un maestro locale che la invitò ad unirsi agli altri bambini: «Dissi di no. Avevo paura, non volevo staccarmi da mia madre». Qualche tempo dopo ha iniziato a vivere sul campo: 10 ore al giorno, come se niente fosse. Una volta si è messa a contare quante palle di fila sarebbe riuscita a colpire. Arrivò a 1.460, roba da far invidia al Dragone di Agassi. La bambina timorosa divenne una belva inferocita. A 15 anni si è trasferita in Spagna, poi l’anno dopo è volata a Scottsdale, in Arizona, grazie ai buoni uffici di Nikolai Khabibulin, ottimo giocatore di hockey che per anni ha militato nei Phoenix Coyotes. Khabibulin l’ha aiutata a crescere e ne ha forgiato il carattere.Tre anni fa, stava battendo Serena Williams sul centrale dell’Australian Open: finì arrosto per un colpo di calore. L’americana disse: «Ha ancora tanti Australian Open davanti a sé». Vika l’ha presa in parola e quest’anno ha massacrato tutte, compresa la Sharapova in finale. Non tutti la amano, soprattutto perché urla troppo durante le sue partite. Channel 7 ha dimostrato che il suo grunting supera i 100 decibel, ma l’argomento la manda in bestia, tanto che ad un malcapitato giornalista ha risposto: «Tu russi, vero? Puoi fare quello che vuoi per smettere, ma è una cosa che non riesci a controllare. Vale lo stesso per le mie urla. E poi nessuna giocatrice è venuta a lamentarsi. Chi usa questo argomento per giustificare una sconfitta si dimostra debole». E pensare che un anno fa aveva pensato di smettere: non aveva più voglia di soffrire e in campo non si divertiva. Ci ha pensato la nonna a rimetterla in piedi. «Mi ha fatto capire che c’è di peggio che perdere una partita di tennis”. Da lì ha ripreso a picchiare duro e ha pure trovato l’amore in Sergey Bubka jr., discreto tennista e figlio del mitico saltatore con l’asta. Martina Navratilova ha detto che Azarenka-Kvitova sarà la rivalità del futuro, ma oggi Vika sembra avere qualcosa in più, a partire da un tennis di pressione che ricorda il Nadal dei primi anni. Brava, bella e con una spiccata personalità: se la WTA era a caccia di una leader, non poteva chiedere di meglio.

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LOVE

the

game

THE GURU

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BY FEDERICO FERRERO

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«REGOLA NUMERO UNO: MAI CONOSCERE IL TUO IDOLO» Me lo diceva un amico, medico di una società di calcio in serie B. Non una società: la sua squadra del cuore. Aveva le figurine, di quel mediano, e pure il poster sull’anta dell’armadio in camera (credo staccato da un numero del Guerin Sportivo ma forse anche di peggio, potrebbe essere Supertifo). Oggi ci va in riunione perché è il suo direttore, quando gli telefona sbuffa, lo manderebbe al diavolo tre volte al giorno ma non può perché è il datore di lavoro. Non voglio andare a parare lì, nel discorso del campione-che-quando-lo-incontri-ti-delude. Non che non sia vero nella gran maggioranza dei casi: noi tendiamo ad attribuire ai nostri idoli qualità che non hanno, né possono, né, tutto sommato, devono avere. E siamo condizionati nel giudizio da quello che in noi suscitano le loro azioni. Il tocco geniale di McEnroe, che è un signore spesso rozzo e sgarbato; la classe dei gesti di Sampras, uomo invero raffinato come un habitué di Burger King. Sai che scoperta, direte voi. In effetti Sophie Marceau non è più la ragazza del banco accanto al tuo ma una signora di mezza età e il tempo delle mele, per me nato nel 1976, è sfiorito: mi batteva forte il cuore ancora nel ‘94, giù di lì, quando mi imbattevo nella figura secca di Michael Stich sulla gradinata vista mare di Monte Carlo. Io con lo zainetto della scuola, lui col pacco di Fischer in mano e lo sguardo torvo che gli valse un truce appellativo di filonazionalsocialista. Gli avrei voluto trasmettere tutta la mia sofferenza per il suo tragico post Wimbledon 1991. Avrei voluto fargli intendere quanto profondamente avessi perso la ragione per la sua risposta di rovescio a sventaglio da destra alla fine del terzo set contro Sampras, nella

finale del Master 1993. Ogni tanto, quando ero triste, me la riguardavo in VHS. Quella era passione. Oggi è un altro mondo. Ho percepito chiaramente l’intiepidirsi degli entusiasmi dell’adolescenza, e tutto sommato credo che il passaggio mi abbia dato più di quanto non mi sia stato tolto , però l’amore per il tennis – se è vero amore, e per me lo è - dura una vita. Si evolve, magari. Lo trovi trasfigurato da Herr Stich e i suoi prati inglesi al campo quattro del Foro Italico, pomeriggio di qualificazioni, quando un tizio senz’altro giovane e butterato, col cerchietto, le scarpe rosse-fluo e il completo viola (scoprirò che in borghese può superarsi ) fa di tutto per ripugnare l’esteta che è in te e invece ha in sé la calamita della magia. Seduto in prima fila a seguirlo c’è il sosia di Ken, il fidanzato di Barbie. Mascellone, capellone, abbronzato, un bel figo. È il suo coach. Si chiama Jack Reader, è australiano ma ha fatto il maestro di tennis sul lago di Garda. Di lui, da giocatore, si diceva che tenesse con la destra la racchetta e con la sinistra la mano di una signorina incontrata nel torneo della settimana, sennò avrebbe guadagnato un best ranking migliore del 749. Invece quel saltimbanco che risponde in smorzata e gioca la volée torna a casa Lassie è Oleksandr Dolgopolov junior, noto negli anni Novanta come «il figlio di Sascha». Sascha, Olexandr senior, era il coach severissimo, sovieticamente disciplinato di Andrei Medvedev, finalista di Parigi 1999 e vittima eccellente della sindrome del Muro di Berlino: si era innamorato un po’ troppo degli agi del consumismo, altrimenti il suo nome vi sarebbe familiare, non dico come quello di Sampras e Agassi, ma Chang e Courier

sì. Il figlio Alex junior, nato nel 1988 e accompagnatore ufficiale del duo Dolgopolov-Medvedev fin dal 1992, non era altrettanto affezionato al magistero dell’ordine e del rigore. Tanto da farsi occidentalizzare il nome (da Olek ad Alek), da cancellare il jr, da dimenticare di frequentare il barbiere dell’esercito e continuare a girare il mondo nonostante la separazione professionale, e non solo nominale, dal padre, decisione maturata nel 2009. Un ex giocatore italiano (sì, italiano), Corrado Tschabuschnig, oggi valente manager della Top Seed, conosceva entrambi: Jack per lavoro, e il maestro aussie aveva notato anni prima il talento del figlio di Dolgo coach, facendolo mettere sotto contratto alla società. Tempo dopo, Alex avrebbe trovato in Jack anche il digestivo antipapà che lo scaraventò dai bassifondi del ranking ai top 20. Inevitabile, quindi, che il dialogo con l’idolo parta da qui. Gli chiedo cosa abbia, Reader, che papà non avesse, in grado di distillare il genio dal giocatore. Io direi tutto, e viceversa: Jack è un cittadino del mondo, un kerouackiano probabilmente, un simpaticone che crede nella filosofia del vivere facile, stare bene con tutti, godersela e lasciare un buon ricordo di sé ovunque si sia passati. Sembrerebbe superficialità, probabilmente è onesta e bontà d’animo. Dolgo ha ricordi pragmatici. «Sapevo di giocare già buoni colpi ma non riuscivo a sfruttarli per mettere insieme una classifica decente. Tecnicamente mio padre mi aveva seguito alla perfezione ma, con me, non bastava per vincere. Alla fine Jack è stata la scelta giusta perché lui è molto diverso dal mio modo di essere, mi ha reso una persona migliore. Più calma, anche più adulta, direi. Più accomo-

1 Per dire: nel 2000 incontrai Stefano Pescosolido e gli feci cenno della mia piccola avventura pomeridiana della primavera del ’92, quando seminai i professori durante una visita a Ravenna per rifugiarmi in un negozio Stefanel, incredibilmente dotato di televisore. Chiesi al commesso di cambiar canale per verificare l’entità dei crampi di Pescosolido, stremato dal calore di Maceiò in una sfida assurda contro il Brasile. Mi sentii l’ultimo degli idioti, via via che raccontavo. Finii dirottando il racconto sulla bottigliata che tirai alla tv l’anno dopo, nel ’93, quando perse contro Bruguera in Davis dopo due set di tennis alieno. Se non avessi cambiato discorso credo che avrebbe finito per offrirmi un rimborso dell’apparecchio e/o per chiamare la sicurezza. Morale: mai raccontare, ai protagonisti delle proprie intime passioni, gli episodi del loro inconsapevole eroismo: sono fatti che noi trasfiguriamo e serbiamo nella mente con un trasporto emotivo e un carico di sensazioni pertinenti del tutto incomprensibili per chiunque, compresi coloro che ne sono stati involontari artefici. Voi andreste a dire a Ray Manzarek che l’intro di Riders on the storm vi ha fatto pomiciare per la prima volta con la vostra dolce metà, il cuore a mille e la testa che volava in Paradiso? Se pensate che potrebbe essere una buona idea, beh, levatevelo dalla testa. Rovinereste tutto.

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dante e riflessiva. Una volta ero solito concedermi troppo in campo e non ero neanche così ben educato, anzi. Ora posso dire che mi presento in maniera decisamente migliore rispetto al passato. Jack mi ha aiutato anche nel tennis perché mi ha insegnato a reagire nella maniera giusta quando sbaglio. Prima, una volta commesso un errore, ne pagavano le conseguenze anche i punti successivi. Ora, quasi mai». Reader è un coach capace di prendere l’automobile e non l’aereo per fare un viaggio insieme al suo pupillo e parlare non solo di palle break, ma anche del senso del nostro essere qui. Regola numero due: credete si potesse chiedere a Picasso come gli fosse spuntata l’idea di dipingere la Guernica e cavarne una risposta degna? Errore. Dolgopolov è inventore inconsapevole di un tennis che non c’era, che è arte senza premeditazione. È stato amore a prima vista, per me. Evidentemente non sa quello che fa:

lui crede di aver copiato da qualcuno, di aver incollato un mosaico di quei campioni che lo facevano palleggiare a pittino . Possibile abbia solo scopiazzato? E da chi, di grazia? «Ispirazione? Mah, ne ho presa sicuramente perché da bambino guardavo talmente spesso i professionisti mentre si allenavano che sono sicuro di aver copiato. O meglio, di aver cercato di riprodurre qualcosa, rubando un pezzo di gioco da ciascuno. So che può far sorridere, ma per esempio Marcelo Rios è stata una delle mie fonti di imitazione. Non si direbbe, lo so. Però guardavo i suoi movimenti e imparavo. Poi cercavo di riprodurli in campo ma con il mio modo di portare i colpi e questo è il risultato. Sul servizio? Quello è mio. Mi piaceva lanciare basso e anticipare perché mi dava l’idea di tirare più forte, sapevo di offrire meno elementi a chi rispondeva per capire dove stessi tirando. Uh, e anche lo slice di rovescio. Era già, come dire, unhortodox quando avevo dodici anni, però funzionava e

a mio padre piaceva, ci lavorammo su a lungo». Dice il saggio: i bravi artisti copiano, i grandi artisti rubano . E gli artisti sono egoisti. Non creano perché noi si goda delle loro opere, se non nel senso più interessato e individualista del termine: sono consapevoli del fatto che – se sono fenomeni riconosciuti già in vita, e io sostengo lo sia - noi pagheremo biglietti e ci sollazzeremo grazie ai frutti dei loro talenti, così ne traggono ulteriore carburante per il loro ego. Glielo domando ugualmente, accettando l’inevitabile: quando giochi smorzata-pallonettosmorzata-controsmorzata vuoi omaggiare anche noi, tuoi fedeli discepoli, vuoi semplicemente risvegliare in me la passione dell’airone Stich o è un modo come un altro per fare il punto spendendo qualche caloria in più? «Uhm, well. No, solitamente non ci penso a quanto un colpo possa far divertire la gente. Certo, a volte può succedere. Se siamo 40-0, o se la partita non è troppo lottata, allora

Capi di vestiario indossati da Alex Dolgopolov: mocassini pitonati Louis Vuitton. Maglia manica lunga con paillettes, design Giorgio Armani. Jeans Dsquared stonewashed e, in un certo qual modo, maculati. Cintura in pelle con fibbia dorata Zilli.Anche l’underwear è frutto del discernimento del fashion-addicted della chiarissima scuola nota come parvenu dell’est: sono boxer D&G con elastico a strisce orizzontali e logo in rilievo. Il cerchietto in testa, onnipresente ma morigerato: niente diamantini Swarowski o pietre baluginanti, solo plastica. Splendida definizione (della volée che rimbalza, si avviluppa e torna nel tuo campo) di un adepto della Setta raeliana del Guru Dolgopolov. Ci arriveremo più avanti. O forse è solo un po’ intontito dal virus influenzale col quale ha tentato inutilmente di convivere nel suo match del pomeriggio prima contro Kubot, a Rotterdam. Lo ha perso e si è preso un giorno di riposo, troppo debole financo per allenarsi. È rimasto a leccarsi le ferite nella stanza 1011 dell’Hotel Manhattan, sulla rive gauche. Per quanto ci pensi, proprio non riesco a trovare una parvenza di similitudine tra il Chino Rios e Dolgo, ma lui la sente quando colpisce come io sento di servire come Stich, e invece batto come Karsten Braasch.

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La setta raeliana del guru Dolgopolov conta 459 membri. Raeliana perché intrisa del concetto di bellezza... in effetti mi capita di pensare a una soluzione che possa essere anche spettacolare e non solo utile. Ma in situazioni normali no. Il fatto è che io gioco così perché è la mia maniera di giocare, è un qualcosa che viene naturale. Da quando ho cinque anni mi piace la sensazione che avverto nel colpire la palla. Provo a trattarla in maniera diversa a seconda della situazione. Se ne viene fuori qualcosa di spettacolare, e a volte me ne rendo conto che lo è, tanto meglio». Cos’è il divertimento, per Alex Dolgopolov? Cosa ti realizza, l’esecuzione in sé? (Magari: ovviamente non deve e non può essere così, altrimenti fai il saltimbanco e non il professionistaazienda). «Io mi diverto da sempre perché ho iniziato prestissimo, stavo tutto il giorno in campo mentre mio padre lavorava. Ma fondamentalmente gioco per competere e per vincere. Non ho tensioni né sensazioni negative in campo, questo è vero, perché non lo avverto come un lavoro da fare controvoglia ma come un fatto quasi naturale, se non quando sto male o sono infortunato , ma se tutto è a posto allora mi trovo a mio agio e la bellezza del tennis, per me, è sfidare e superare un avversario con le armi che ho». Prima o poi gli avrei tirato fuori il discorso della setta. Con una mezza verità. Gli spiego che su Facebook c’è un gruppo, La setta raeliana del guru Alex Dolgopolov. Conta 459 membri al momento del nostro incontro. Raeliana perché Claude ‘Rael’ Vorilhon chiamò così gli adepti della sua setta, intrisa del concetto di bellezza e latrice di un messaggio da slogan del supermercato, eppure di clamoroso successo mediatico a fine anni 90 (esistono esseri alieni, gli Elohim, tutti belli come angeli e vestiti di bianco che vivono in un paradiso fatto di go-

dimenti vari; agli uomini sani e belli tocca selezionare i migliori, un una sorta di graduatoria genetica, per migliorare la specie e favorire il ritorno di costoro sulla Terra che essi stessi crearono 25.000 anni fa). Quello che non riesco a confessare è che la setta l’ho fondata proprio io. Che abbiamo un linguaggio cifrato («Oggi La Luce ha abbagliato l’infedele», cioè ha battuto Granollers; «La Messa Solenne si è conclusa con la conversione del teutonico. Ave Dolgo, Luce di tutti noi», in altre parole ha eliminato Kamke; «Oh Divino, abbacina di luce quell'orrido hooligan avvezzo alla bruma scozzese. Voi fedeli, siate apotropaici», e qui capite che la vittima dello strale e dei riti antisfiga è il povero Murray). Indeciso fino all’ultimo sul da farsi, me lo ritrovo che ride di gusto. Mi giocherei quel briciolo di credibilità avanzato da quando Reader gli ha spiegato che sono colui che ricevette minacce di ritorsioni da tifosi incarogniti, dopo il match della Luce contro Djokovic allo US Open, e rinuncio. Torno sul tennis, la religione è un fatto personale. C’è una partita che ha svelato il destino a Dolgopolov? Quella che lo ha elevato al rango di aspirante top ten? (Secondo me sì: quella giocata a Madrid nel 2010 contro Nadal, più volte irriso dal colpoLassie e da schemi che funzionano solo a Virtua Tennis). «Come importanza ce n’è una, perché un conto è giocare bene una partita, un altro è vincere un match importante. Sicuramente battere Soderling in Australia l’anno scorso, quando era numero 4 al mondo e non aveva perso ancora una partita nell’anno, e arrivare nei quarti di uno Slam per la prima volta è stato un momento importante della mia vita sportiva. Però non credo di poterla ritenere la mia miglior partita in assoluto. Anzi, so di non

aver offerto il mio miglior livello di gioco in quella giornata». E qual è il mostro più duro da abbattere? Rafa sul rosso? Roger in giornata in condizioni veloci? Djokovic sul cemento? «Non saprei chi scegliere, davvero. Perché – e lo pensavo anche quando ero numero 80 al mondo - se gioco bene so adattarmi a tutti i tipi di avversario. Dipende solo dal mio stato d’animo: l’importante è che sia io a funzionare bene. Non dico che se sto bene vinco per forza, dico che entro in campo pensando di poter battere chiunque. Certo, contro Rafa sulla terra o Roger sull’erba e sul cemento, è durissima. Con Djokovic è complicato vincere dappertutto. Ci metterei anche Murray, ormai. Ma non riesco a pensare a nessuno dei quattro come ad avversari imbattibili». Al bar sport è pieno di coach mancati. Gli ricordo che a gennaio, durante l’esibizione di Adelaide, Jack Reader e Brad Gilbert microfonati chiacchieravano dei miglioramenti sbalorditivi di Alex (da 360 a 130 tra luglio e dicembre 2009; primi 100 a marzo 2010; primi 50 a giugno, nell’aprile 2011 tocca i primi 20 fino al best ranking, numero 13, nel gennaio di quest’anno). Ma anche dei suoi difetti: Gilbert insisteva sul fatto che la sua seconda palla fosse ancora deboluccia, se paragonata a quella dei top players, e che dovesse attaccare di più. «A dire il vero, nell’inverno ho lavorato sulla prima di servizio, non sulla seconda. Non credo di avere problemi sulla seconda palla: sì, è più lenta rispetto a quella dei top guys ma è anche molto più lavorata. La vario bene, non mi dà problemi tant’è che difficilmente gli altri riescono ad attaccarla. Invece la prima è un problema, nel senso che non ne metto abbastanza in campo. In tutto l’anno scorso ho servito meno del 50% di prime in campo. Quest’anno la campagna au-

Cosa che capita piuttosto spesso: Dolgopolov è reduce da una campagna australiana iniziata con la finale a Brisbane ma proseguita peggio, con un infortunio al ginocchio rimediato nel primo torneo dell’anno e una sconfitta al terzo turno dell’Australian Open contro Bernard Tomic.A Melbourne – dove difendeva i quarti di finale del 2011 - ha passato due turni sempre al quinto set, annullando anche match point a Tobias Kamke, e il fastidio al ginocchio non è ancora risolto nel momento in cui ci parliamo, a metà febbraio.Alex è anche soggetto a una patologia non grave ma fastidiosa per un tennista, un disturbo di cui parla poco volentieri: ha la sindrome di Gilbert-Meulengracht, un malfunzionamento del fegato che riduce le prestazioni fisiche e intellettive. Non potevo esimermi dal chiedergli conto del trucco di cui è stato vittima all’inizio del quinto set contro Tomic, quando l’australiano ha prima fermato lo scambio, poi fatto lo gnorri quando Alex ha messo in corridoio un diritto chiaramente disturbato dal gesto dell’antisportivo Bernard. «Come comportarsi in campo è una scelta di Bernard e un suo problema. L’errore è stato di Carlos Ramos, che invece ha dato il punto a Tomic. Per me è acqua passata, io guardo al mio comportamento e stop». Prima della cura Reader c’è da scommettere che Dolgo avrebbe azzannato un polpaccio a Ramos, anche perché la ragione era tutta sua.

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straliana è andata meglio, ho servito intorno al 65% ed è un ottimo miglioramento a questi livelli». Attaccare di più: una parola. Che il tennis si sia rallentato è un fatto. Le superfici invogliano, anzi, obbligano a evitare la rete. Voglio sondare la consapevolezza di questa pessima scelta dei padroni del tennis sul guru, che però è più concentrato sugli effetti di queste manovre di freno sul proprio rendimento, più che sulle questioni di principio. «Sicuramente il rallentamento del gioco è stata una scelta chiara. Lo hanno pensato per un fine giusto, rendere il nostro sport più apprezzato dalla gente, visto che gli scambi si sono notevolmente allungati rispetto a quando frequentavo il Tour da bambino e c’erano Ivanisevic, Rusedski, eccetera. Però è anche vero che lo stile dei giocatori si è uniformato: quasi tutti scambiano da dietro e gli altri stili di gioco sono stati uccisi (dice proprio killed), come il serve&volley. In questo momento, poi, la cosa è diventata evidente perché tutti sono più o

meno costretti a giocare nella stessa maniera. Per me va bene, mi piace. Mi piace giocare sul lento perché posso variare, giocare smorzate, insomma ho più tempo per fare le mie scelte sul campo. Non sono sicuro, però, che sia un bene per il tennis». No, che non è il bene del tennis. Il gioco dei bazooka avvitati sulla linea di fondocampo, senza alternative, uccide la fantasia. Che tanta gente si appassioni al tennis cubista di Dolgopolov e preferisca seguire una sua partita su un campo periferico piuttosto che la star nella sua passerella sul centrale (scelta evidente tra i conoscitori del tennis, i turisti preferiscono sempre il nome di richiamo internazionale, anche se gioca a badilate contro nessuno) dovrebbe esserne un segno tangibile. «In effetti a volte mi rendo conto che c’è molto entusiasmo e aspettativa quando sto per giocare. Mi accorgo che ci sono fans che vengono a vedere le mie partite perché si divertono e si aspettano di assistere a qualcosa

di speciale. È una fonte di energia in più: ma non solo quando gioco, anche quando mi alleno e magari sono meno motivato». È ancora un ragazzino, Alex. Pienamente inconsapevole dell’incantesimo che nasce dai suoi polsi. Un baby sacerdote che veste come i tronisti di Maria de Filippi (nel corso della nostra chiacchierata soprassiedo sul vestiario del Dolgo borghese, vedi nota 2), fa i trecento all’ora con la sua Nissan GT-R grigio topo, che pare scartavetrata («Ferrari? Nooo, la mia va più veloce, ha 480 cavalli») e conosce a memoria Forgot About Dre, che riesce a cantare in scioltezza come Eminem con un leggero accento di Madre Ucraina. Per molto meno di una fibbia di Zelli e di una Bat-mobile che spara dalle casse le strofe di Dr. Dre toglierei il saluto a un vecchio amico. Ma l’amore vede solo quello che vuole, e io ripenso a quella smorzata a Nadal, a Madrid: inspiegabile se non l’hai vissuta. Come la passione.

Capitò semplicemente che Nole, messo alle strette in un primo set ventosissimo sul campo Louis Armstrong, non tollerasse il tifo esagerato del popolo di NY per il guru. Si lasciò andare ad atteggiamenti antipatici, da smargiasso, in un’aperta sfida non solo ad Alex (che mantenne una calma olimpica) ma pure al pubblico. Il tie-break del primo set, condito da alcune giocate fenomenali, finì 16-14 per il numero uno del mondo. Dolgo non ne serba un gran ricordo: «C’era tanto vento, troppo. Erano condizioni difficili per entrambi e infatti tutti e due abbiamo fatto degli errori sciocchi. Non me la sento di dire nulla di speciale su quella partita perché io ho servito malissimo, qualcosa come il 30% di prime in campo. Sì, c’è stato il tie-break del primo set, la gente si è esaltata. Per conto mio abbiamo fatto tanta fatica per tenere lo scambio e non è certo da quel match che ho tratto indicazioni sul mio livello di tennis, benché stessi affrontando un giocatore che nell’anno aveva vinto praticamente tutto».

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jo-wilfried tsonga DI FEDERICO FERRERO Ad ascoltare la colecisti, un travaso di bile è sufficiente per chiudere l’argomento: Tsonga ha la mano quadrata. Non può essere altrimenti, suvvia. Se ti tiri una smorzata nei piedi, o la colpisci con la grafite, o provi la demivolée e ne cavi un pallonetto, allora c’è poco cui appellarsi, anche a farsi difendere dal principe del Foro: ti manca il tocco, fratello. Lascia perdere e usa il bastone. Però, c’è un però. Cassius Jo Tsonga è anche qualcosa di più di uno sparapalle vitaminizzato e non è onesto nascondere sotto il tappeto la questione, bocciandolo come un asino qualunque all’esame di ammissione. E questo non ha a che vedere col suo fare da gigione, né coi pollici che indicano un (inesistente: che il suo sponsor provveda) nome sul retro della maglia quando vince. Neppure con le gobbe di addominali che la maglietta umida inizia a disegnare, dalla metà del primo set in poi. Jo è un Mario Brega la cui mano «po’ esse piuma e po’ esse féro» e questa è l’unica scappatoia per decidere se marchiarlo o meno con il numero 1000 dei bovini che oggi frequentano il Tour, quelli capaci di tirare più forte di chiunque altro ma che, se chiedi in via dimostrativa di giocare tre volée di diritto (una profonda, una incrociata stretta, una smorzata) producono in serie un truce stecca-paletto-rete. Jo sta nel purgatorio perché ha l’animo del joker: sente la competizione e il desiderio di vittoria quanto la voglia di stupire, di divertire. Perché no, di appassionare. Ed è una qualità rara, nel tennis dei professionisti del cartellino (mai sentito quelli che perdono e commentano in conferenza stampa: «Just a bad day at the office»? E come no, manco una partita fosse un turno all’ufficio paghe).Va sostenuto, in questa sua crociata contro il conformismo. Poi perché ci prova. Il ricordo è indelebile: China Open del 2004. Tsonga ha 19 anni, la federazione francese ci crede da matti eppure lui è un piccolo fabbro. Mestola servizio e drittone. Appena tocca col rovescio, son risate. Al volo non è che sbagli: liscia la palla. Eppure.Vince 63 63 e Moya esce dal campo con una paresi facciale, dandosi del rimbambito (c’è una tennista italiana che conviene tuttora sulla definizione, peraltro). Ecco, condensando in quattro righe otto anni di infortuni, soste, riprese, risalite e tonfi verticali, oggi il circo ATP, che non se la passa benissimo al reparto mani delicate, può ammettere che Tsonga rivendichi uno status di fantasista. Ci vuole inventiva per mettersi a giocare passanti di rovescio a una mano, in serie, sull’erba (rivolgersi per documentazione al Queen’s 2011 e al match contro Roger a Wimbledon). Serve coraggio per cercare la rete anche seguendo uno straccio, con la sfrontatezza di chi pensa di poter addomesticare la palla come John McEnroe e, magari, per un tentativo riuscito è costretto a deglutire tre carciofi che si afflosciano nel suo stesso campo. Diciamo che Jo è un imprevedibile: tagliando e cucendo i filmati di una sola partita si possono sostenere le tesi di Cassius fenomeno e di Cassius bidone con la stessa possibilità di convincere la giuria, cioè noi. Se sbaglia, lo fa alla grande. Ecco perché non merita di prendersi una porta in faccia da parte dell’intellighenzia, quelli che continuano a rimpiangere i bei tempi che furono e che mai torneranno. Forse.

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DAVID FERRER DI COSIMO MONGELLI Se si deve prendere ad esempio un episodio per raccontare quanto siano anomale la vita, le opere e le gesta di David Ferrer, in un mondo come quello del tennis dove la smania di protagonismo la fa da padrona, non serve nemmeno andare troppo indietro nel tempo: Australian Open, 23 gennaio 2012. Lo spagnolo si è liberato agevolmente in tre set di Richard Gasquet qualificandosi per i quarti di finale. Arriva nell’enorme sala stampa e, salvo quattro stoici cronisti connazionali, si ritrova da solo e viene liquidato dopo pochissime domande.A nessuno interessa l’opinione del numero 5 al mondo. Ma David Ferrer, 30 anni ad aprile, non ha mai ritenuto fosse importante dover dire per forza qualcosa di importante. O di spiritoso. È “solo” un bravissimo e umile e ragazzo che si una volta si definiva «il più scarso top 100 del mondo» e se ne frega di tutto, sì. Perché è proprio vero che non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore. E David ne è sempre stato consapevole, e ne ha fatto il suo punto di forza. Se si scorrono le pagine della sua carriera non si può che rimanere ammirati. Un giocatore onesto che, senza la classe di Federer, senza la potenza di Nadal, senza uno stuolo di ammiratrici urlanti al seguito e centinaia di scribi pendenti dalle sue labbra, è riuscito con un’encomiabile forza di volontà, con la dedizione, con il lavoro, con il sacrificio, con la costanza, con l’intelligenza tennistica e mettiamoci pure con il dritto anomalo, ad arrivare lì dove moltissimi più talentuosi e osannati di lui non sono riusciti e mai riusciranno ad arrivare. Se è vero che non si contano grandissimi successi nella storia di questo giocatore, se è vero che si potrebbe andare avanti per ore a elencare i motivi per i quali si può prescindere da David Ferrer per raccontare il tennis e arruolare proseliti, è anche vero che lo spagnolo è un esempio perfetto per chi vuole avventurarsi in questo sport. Gli ultimi anni ne sono la dimostrazione più lampante. È la semifinale allo US Open 2007 che lo eleva per la prima volta nei Primi Dieci. E lungo il cammino sconfigge nientemeno che Rafael Nadal. Sempre lo stesso anno raggiunge la finale del Masters e si arrende solo di fronte a Re Roger (dopo aver eliminato di nuovo Rafa). Un paio d’anni d’appannamento, senza per altro mai allontanarsi dai primi 20, e poi ancora lì nel mezzo. Da un anno e mezzo stabilmente nella top ten. A lottare senza che le luci della ribalta se ne accorgano e senza che peraltro a lui importi. “David non è uno che vuole essere lodato – ha affermato il suo allenatore di sempre Javier Piles –. Lui vuole in qualche modo essere analizzato, per capire come e dove migliorare. Lui vuole sapere perché è il numero cinque del mondo e non il quattro”. Lui non ha bisogno di risultati roboanti, ma di tanto fieno in cascina: vittorie ad Auckland, finali a Barcellona, Bastad, Roma, Montecarlo, semifinali all'Australian Open e Masters di fine anno (elimina, tra gli altri, Djokovic) e, appunto, i quarti di finale a Melbourne poche settimane or sono, dove con un po’ di cattiveria avrebbe potuto avere la meglio su Djokovic, in preda ad uno dei suoi fastidiosi deliri teatrali. Ma Ferrer di certo non si demoralizzerà, non l’ha mai fatto, e finché ne avrà continuerà a vivere e lottare insieme a noi.

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BERNARD TOMIC DI CORRADO ERBA Nonostante la messe di campioni gentiluomo, (pensiamo a Pat Rafter, John Newcombe o Ken Rosewall) l'Australia è avvezza ai piantagrane. Se poi questi sono di progenie incerta (nazionalisticamente parlando) e hanno padri affatto malleabili, c’est tout! L'ultimo è sicuramente il talentuoso, quanto allampanato Bernard Tomic. Nato a Stoccarda, ma di origine croata, la promessa della stitica scuola aussie si è trasferito presto in Gold Coast con i genitori, divenendo un "new australian", come qualificano qui gli emigrati. Iniziò a pallettare nel court sotto casa, mentre l’irascibile padre John trovava lavoro come taxi driver. Che la stoffa fosse indiscutibile si è capito fin da piccolo,: ancora imberbe, iniziò a ciondolare tra tornei juniores e professionisti e qui iniziò a distinguersi per risultati e grane. Iniziamo dalle grane. Durante un Futures, nel dicembre 2009, contro un altro new aussie, Marinko Matosevic, il padre iniziò a questionare su una serie di foot fault che a suo dire non venivano chiamati. Sotto di un set e un break, al prode Tomic venne suggerito dal padre di ritirarsi, e così fece. Il can can originato portò a una sospensione di un mese e ad una serie di battibecchi tra la federazione australiana e la famiglia Tomic. Battibecchi che continuarono dopo lo "Hewitt incident", ovvero il diniego di Tomic ad un invito di Lleyton Hewitt per allenarsi insieme a Wimbledon. "No grazie, sei troppo scarso", rispose Bernard, mandando Lleyton, fumino di per sé, ai matti (come dicono a Bologna).Tomic senior andò nuovamente su tutte le furie quando al figlioletto non venne garantita la wild card per l'Open di casa del 2010. «Deve fare i play off, una sorta di pre-qualifica che offre al vincitore l'ambito invito», rispose Tennis Australia. Il ragazzo non si presentò, assumendo una sorta di infortunio, anche se il giorno dopo era bellamente in campo. Ricevuta ugualmente la wild card, John ebbe pesantemente a ridire con Craig Tinley, il direttore di Melbourne Park: elemento scatenante? Il match del figlio programmato a ora troppo tarda. A seguire, papà Tomic non fece mancare la solita minaccia (Dokic docet) di andare a giocare per la Croazia. Perdendoci però nei gossip, abbiamo dimenticato di notiziare il fatto che il ragazzo sarà uno dei protagonisti della new era del tennis. Poco meno di due metri, una prima di servizio irruenta, si sposta bene per giocare uno sventaglio di diritto mascherato in maniera inconsueta. Il rovescio bimane può essere migliorato nelle diagonali, mentre la mano a rete è sufficientemente educata. Tatticamente, quando è di buon umore, azzecca buone soluzioni, anche se la giovanile impazienza lo spinge a volte verso la sciolta. È un giocatore moderno, a suo agio sulle superficie veloci e sull’erba, dove è esploso lo scorso anno a Wimbledon, quando è diventato il più giovane dai tempi di Boris Becker a raggiungere i quarti di finale. Ha finito l’anno infrangendo il muro dei primi 50 e il 2012 è iniziato bene: tre vittorie di prestigio all'Australian Open contro Verdasco, Querrey e Dolgopolov. Un trionfo per lui e per Donay Meijer , una bionda melliflua con la quale fa coppia fissa da qualche tempo, beata sotto i riflettori di Channel 7. "Lui e Raonic sono il futuro del tennis" ha chiosato Roger Federer sornione, dopo avergli lasciato una manciata di games, chiudendo il loro ottavo di finale.

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grigor dimitrov

Si definisce «carismatico lottatore e altruista», ma soprattutto è convinto che «per diventare insostituibile, devi essere diverso da tutti gli altri». Eppure Grigor Dimitrov, 20 anni, bulgaro di nascita e francese di crescita (tennistica), è celebre per essere una fotocopia. Oddio, non una qualsiasi, ma sostanzialmente il sosia estetico di Sua Maestà Roger Federer. Grigor ne ricorda le movenze a tal punto che pare quasi scimmiottarlo, come se bastasse una meccanica esecutiva simile per ottenere la stessa efficacia, gli stessi risultati. Invece, per adesso Dimitrov fatica a esplodere, se non nelle speranze degli appassionati, impauriti dall'invecchiare di Federer e spaventati all'idea di doversi accontentare del cyber tennis di Djokovic e compagni. Dimitrov è visto come il San Salvatore, colui che può tenerti incollato alla tv non solo quando il match è drammatico. Perché, come accade con Federer, del bulgaro piace osservare lo stile, il back di rovescio, la pulizia esecutiva, le scelte mai scontate. Poco importa se è un match di cartello, qual è il nome dell'avversario, se sta giocando sul Centre Court di Wimbledon o nel palazzetto di Memphis. Quel che importa è la bellezza estetica che trasuda quando colpisce. Che Dio ci conservi Federer a lungo. Ma che, al contempo, faccia crescere il ricciolino di Sofia. Davanti al cyber tennis che incombe, è un bene di prima necessità. (Lorenzo Cazzaniga) 68


esther vergeer

Dai Laureus Awards, Nole Djokovic ha twittato una bella foto: “Io e una delle donne che ammiro di più al mondo, Esther Vergeer. Non perde un match dal 2003”. E 444 match consecutivi che le sono valsi 39 titoli del Grand Slam e 5 ori paraolimpici. EstherVergeer è dunque l’atleta più imbattuta al mondo. “E io voglio essere riconosciuta per quello. Non voglio la pietà di nessuno”. Trent’anni, in sedia a rotelle da 23 a causa di un problema alla spina dorsale, è diventata (particolarmente) celebre quando ha accettato di posare nuda per ESPN Magazine: «È strano sentirsi dire che sono l’atleta più dominante al mondo. All’inizio tutto era concentrato sul tentativo di superare gli ostacoli della mia disabilità. Adesso, il più bel complimento è dirmi che sono la migliore in quello che faccio». Nella sua striscia vincente, ha affrontato un solo match point, alle Olimpiadi 2008 (“Pensavo: cosa diranno i miei genitori se perdo? Cosa farà la mia avversaria? Mi metterò a piangere?”), ma quel che impressiona è quanto dichiarato da suo fratello Sander: “Ciò che la disturba è se qualcuno non la considerata una persona normale.Al punto che, se anche ci fosse una pillola che le permettesse di camminare di nuovo, non sono sicuro che la prenderebbe. Le sfide le piacciono così tanto!”.

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Tutto quello che non avete mai osato chiedere (di non rivedere mai più…)

Nonostante le volèe di Berdych, il tennis è uno sport meraviglioso. Ci sono, però, tanti aspetti che sarebbe bello non rivedere più. Ecco una piccola lista di quello di cui faremmo volentieri a meno DI ANDREA SCANZI 122

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* La scozzata di Rafa *

La fortuna di assurgere a idoli è anche quella di potersi liberamente presentare per quel che si è: ovvero tamarrissimi. Si è più ravanato il pacco Nadal di Michael Jackson nel video di Bad (o Carlo Verdone in quel vecchio film). La smutandata, addirittura, è diventata un vezzo. Un colpo tennistico: esistono la demi volèe, il dritto a sventaglio e la scozzata a due mani. Ormai, per conquistare una donna, basta smazzarsi il deretano con ostentata naturalezza al primo incontro. E se qualcuno proverà a obiettare che non si fa, che è una roba da maleducati, voi potrete rispondergli: “Me lo ha insegnato un amico, aiuta a vincere”. E giù, un’altra bella scozzata di zebedei come fosse primavera. tEnnis magazinE

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* La madre di Murray *

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* Il sudore della visiera di Roddick *

Nessuno ha mai sudato così tanto nella storia dell’uomo. Neanche Zizou Zidane, il cui volto assumeva – dopo pochi minuti - i connotati di una sindone franco-egizia parcheggiata in una sauna. Andy Roddick ha spinto le ghiandole sudoripare verso le porte della percezione. Già che c’era, si è munito di un cappellino che non attutisce l’effetto: lo esalta. C’è un motivo: anche il cappellino suda. Per osmosi. La visiera è costruita in puri peli di ascella del Mago Oronzo.

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* I rimbalzi infiniti di Nole *

È una sorta di ipnosi collettiva, di rito mantrico, di fermo immagine: prima di servire, Djokovic si imbalsama. Facendo rimbalzare la pallina 400 volte. Perché? Per fissare la concentrazione, per snervare l’avversario, perché gli piace l’effetto che fa? Non è dato saperlo. Di sicuro è l’unica cosa più intollerabile della Addams Family che esulta invasata per ogni suo punto (o per ogni medical time out).

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Ai tanti che ritengono sommamente antipatico Murray, giova forse mostrare qualche immagine di colei che lo ha generato. Dal raffronto tra i due si capisce perché è antica prassi umana asserire: “Tale madre, tale figlio”. Nella mammina amorevole del garbatissimo Andy risiedono la simpatia della Fornero, la duttilità della Thatcher e quel sano spirito sportivo direttamente ispirato ad Attila. Più che una genitrice, è una bomba napalm in perenne esplosione.

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* I Tweet di Edoardo Vianello e Stefano Meloccaro quando perde Federer

I social network hanno fatto più danni di Federico Moccia. Famiglie rovinate, tifosi rancorosi allo stato brado e parole improponibili (follow, hashtag, retweet), al cui confronto il “trend negativo” di morettiana memoria è dotta citazione dalla Crusca. L’unico a beneficiare della creazione di Twitter è stato il tasto “cancelletto”, che nessuno usava più dal 1997. Con Twitter si scoprono chicche meravigliose.Tra queste, che Edoardo Vianello – sì, quello di Pinne fucili e occhiali – ama il tennis. Cioè, no: ama Federer. E basta. Così, ogni volta che Frigo vince,Vianello cinguetta le sue estasi elvetiche. Gli fa eco Stefano Meloccaro, voce e volto Sky che – durante l’epica finale Djokovic-Nadal dell’Australian Open 2012 – ha dichiarato che l’unica cosa bella del match era lo spot con la Rolex. Pubblicità, lo saprete benissimo, in cui compare San Roger (non lo si nota bene perché, quanto a espressività, è difficile riconoscerlo dalle lancette). Se i federasti petulanti sono noiosi come una trasmissione di Antonio Socci, la premiata ditta Meloccaro & Vianello sembra una coppia di comari piangenti perché al mercato non hanno trovato i carciofi al prezzo desiderato. Defollowateli (cit).

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Schiavone che parla di *séLain terza persona

Prima di lei era capitato solo a Pietro Mennea, Alberto Tomba e Renzo Bossi (che però crede tuttora di usare la prima). Quando Francesca Schiavone vinse il Roland Garros, la intervistarono tutti. A chi le chiedeva i segreti del successo, rispondeva come se stesse parlando di una conoscente: «Francesca lavora molto», «Francesca si allena», «Francesca crede nel sudore» (immagine, quest’ultima, di spietato orrore edonistico). A una tale sfasatura grammaticale si aggiungevano la nota piacevolezza del parlato, l’umiltà spiccata, la certosina conoscenza della congiuntura politica («Francesca stima Berlusconi perché ha a cuore la Costituzione») e – ultimamente – dei pantaloncini eleganti come Calderoli in infradito. Va però detto che, di solito, la Schiavone tende a parlare di sé in terza persona solo quando vince. Quindi smetterà presto.

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* Il solito film *

Qui tocchiamo un nervo scoperto. No, nessuna nostalgia. Lasciamo stare i “si stava meglio quando si stava peggio”. Glissiamo sulla conclamata scomparsa del gioco di volo, sugli smash ormai simili a colpi di maglio, sugli Edberg che – come le mezze stagioni – non esistono più. Il dramma vero è altrove: la mancanza di colpi di scena. Si prenda nuovamente a esempio l’ultimo Australian Open: in semifinale i primi 4, in finale i primi 2, vincente il numero 1. Cosa c’è di male? Nulla. Anzi, la classifica ATP – a differenza di quella WTA – evidentemente è molto attendibile. E i Fab Four sono forti. Molto forti. Manca, però, il bicchiere di palinka da rovesciare sulla tovaglia candida. Il Pat Cash che vince Wimbledon, il Goran Ivanisevic che stupisce quasi fuori tempo massimo (no, Thomas Johansson lasciamolo stare). Se il tennis femminile vive un eterno interregno, dove chiunque può fingersi campionessa per un giorno, quello maschile è un film giallo di cui si conosce l’assassino sin dalla prima scena. Fa parte del gioco e non è colpa dei Djokovic se “gli altri” sono molto meno vincenti. L’assenza del colpo di scena, però, si nota. Come si notava durante la dittatura buonista di Frigidaire. È possibile uscirne? In che modo? Con un Tomic re dei mediani? Con un Dolgopolov deluxe? Con un Nishikori qualsiasi? Il dilemma rimane, ahinoi insoluto. Ma la prima cosa che andrebbe rimossa, nel tennis di oggi, è lo sbadiglio. Il nostro.

8 Gli afflati nazionalistici *di Supertennis

È sbagliato spargere fiele sull’Istituto Luce del Tennis. Certo, le scenografie sono di una mestizia che l’Eremo di Camaldoli in confronto è un Resort 5 Stelle. Certo, c’è Massimo Caputi che incensa la Fit come neanche la Pravda di Breznev. Certo, la qualità audio/video è quella che è.Va però riconosciuto a Supertennis di trasmettere dei tornei che altrimenti gli appassionati non potrebbero vedere (se non in streaming). Bravi, quindi. Il problema è un altro: la linea editoriale, secondo cui tutto ciò che è Italia è santo e quindi celebrabile. Ogni vittoria italiana è eroica, ogni sconfitta sfortunata. Ogni punto conquistato è uno sbarco in Normandia, ogni rovescio subìto una lettera da Iwo Jima mai arrivata. D’accordo: i soldi li mette la Federazione. Ma c’è un limite a tutto. E il tennis italiano, di limiti, dovrebbe intendersene.

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* Elena Pero e la Sindrome Milo-Ciro *

Ah, Elena Pero. Dolce Elena Pero. Amorevole Elena Pero. Quanto è brava. Certo, dice più o meno 70 volte a game la parola “’nzomma”, ma ha bella voce. Ed è competente. Molto. Purtroppo ha una kryptonite. Si chiama Andreas Seppi (per meglio pronunciare: “Andreasssssssseppi”). Ogni volta che le capita di commentarlo, Elena abbandona ogni spirito critico e tradisce un insopprimibile amore materno. Seppi sta ad Elena come Ciro (anzi “Cirooooooooo”) a Sandra Milo. Un bel guaio, ma risolvibile. Ogni volta che gioca Seppi, Sky potrebbe appaltare la telecronaca ad altri. Anche ad esterni. Per dire: Aldo Forbice, la voce dittatoriale di RadioUno, sarebbe perfetto. La monotonia marziale degli incontri del McEnroe di Caldaro diverrebbe totale. Ed Elena, la dolce Elena, avrebbe salva la carriera.

9 * I primi piani di Mirka *

So bene che, con queste righe, disturberò le femministe: per questo le scrivo. La presenza di Mirka Vavrinec all’angolo di Federer è uno dei deterrenti più efficaci all’insano desiderio di tifarlo. Se è doveroso rispettare il monormone di Roger, unica spiegazione per legarsi diuturnamente a cotanto fiorellino di campo, appare inutilmente sadico (nei confronti dei telespettatori) inquadrarla con ostinazione durante i match.Anche perché, ogni volta che la eternano nel piccolo schermo, il marito di Federer - non è un refuso – ha l’aria di chi pensa a quanto dinero le entrerà nel conto corrente dopo la partita. Non certo alla gioia, sportiva ed esistenziale, del Presunto Divino.

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INTER VISTA

ALESSANDRO

GIANNESSI UN AQUILOTTO IN VOLO

È LA MIGLIOR SPERANZA DEL TENNIS ITALIANO DEI PROSSIMI ANNI. GRAN LAVORATORE, HA LE IDEE MOLTO CHIARE: ««VOGLIO SOLO MIGLIORARMI TANTO ED ENTRARE NEI PRIMI 30 DEL MONDO. IL MIO SOGNO? COME PER TUTTI, VINCERE UN TORNEO DEL GRAND SLAM SLAM» da La Spezia Riccardo Bisti

PHOTO BY MARCO MARTUCCI


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INTER VISTA

L

a nostra città di gabbiani, di pesci, di mare / se canta più forte vedrà gli aquilotti volare”. Inizia così uno degli inni dello Spezia Calcio, principale attrazione sportiva di un angolo della Liguria affacciato sul Golfo del Poeti, a due passi dalle Cinque Terre. Ma a volare potrebbe essere soprattutto un tennista. Alessandro Giannessi, 21 anni, si è portato a ridosso dei top 100 al termine di un 2011 incredibile, in cui è partito dai Futures e ha finito col diventare protagonista nel circuito ATP. Giannessi è un vero figlio della sua città: ha iniziato a giocare al Circolo Tennis Spezia, distante meno di tre chilometri dalla sua abitazione, nel quartiere Migliarina. E, come ogni spezzino che si rispetti, è fiero di tradizioni come la Fiera di San Giuseppe e il Palio del Golfo, non può fare a meno della farinata e non disdegna le “vasche” nella centralissima Via Prione, il corso dove i giovani fanno “avantindrè”. Su 365 notti, “Gianna” non ne dorme più di 40 nel suo letto, ma non ne potrebbe fare a meno. Gli servono per ricaricarsi e giocare meglio nel tour pro, in cui è diventato l’azzurro più futuribile a suon di risultati. Qualche anno fa era meno considerato rispetto a Trevisan, Fabbiano, persino a Daniel Lopez. Ma da spezzino testardo (“Stiamo aspettando, nel cielo, che l’Aquila voli” recita ancora, ostinatamente, l’inno dello Spezia) è andato avanti per la sua strada e si è costruito un percorso importante. Noi lo abbiamo accompagnato al Tennis Spezia (“Ho iniziato su quel campo lì” racconta, mentre i maestri Giorgia Mori e Franco Paolini lo coccolano, indicando un pallone pressostatico che anni fa ospitava un campo in mateco, oggi convertito in terra battuta). Qualche metro più in là, lo scorso luglio, ha perso contro Philipp Oswald nella finale di un torneo Future. Ci teneva da matti a vincere, ma è andata così. Papà Giovanni e mamma Brunella lo seguono con affetto, per quanto si debbano accontentare del livescore o di uno streaming, quando va bene. Stessa sorte per i fratelli maggiori, Marco e Francesco. È anche grazie a loro che Alessandro tiene la testa sulle spalle, con un atteggiamento molto professionale e la giusta corazza per un ragazzo dai pensieri delicati, quasi timidi.

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A luglio hai giocato contro Antonio Comporto, numero 900 ATP. Due mesi dopo hai battuto un top 50 come Albert Montanes: come è possibile? Nel tennis moderno il livello medio è cresciuto. Tra il n.200 e 900 ATP, la qualità tennistica è molto simile. Le differenze si notano nel fisico, nelle scelte tattiche e nell’attitudine mentale. Contro di me, Montanes non ha giocato il suo miglior tennis, ma si vede che è un signor giocatore. La tua esplosione è arrivata a 21 anni. Ti senti in ritardo rispetto ad altri tuoi coetanei stranieri o pensi che la tua crescita sia stata lineare? E nei momenti difficili, hai mai pensato di mollare tutto e tornare a studiare? In realtà penso di essere ad un livello superiore rispetto a tanti altri. Basta guardare il ranking ATP. Ma è cambiato tutto nel 2011, perché l’anno prima, in effetti mi sentivo un po’ in ritardo. Nel 2011 ho “preso due anni in uno”. Momenti difficili ne ho avuti parecchi. Due anni fa c’è stato un periodo in cui giravo da solo. La mia forza è stata quella di non abbattermi e trovare una strada per continuare a giocare. Devo ringraziare la Federazione: mi sono sempre stati vicini, soprattutto Renzo Furlan, Giancarlo Palumbo e Pino Carnovale. Senza dimenticare la mia famiglia e la mia fidanzata, con cui ormai sono fidanzato da 4 anni. Essendo una tennista (Roxana Vaideanu n.d.r), mi capisce meglio di chiunque altro. Raccontaci cosa ti hanno lasciato Giorgia Mori e Andrea Nistri, i maestri con cui hai lavorato fino ai 14 anni, prima di trasferirti a Tirrenia. Giorgia Mori è stata la mia prima maestra. Mi ha dato la base tecnica adeguata per iniziare a giocare. E poi, ancora oggi, tanto affetto. Andrea Nistri mi ha fatto crescere tennisticamente fin da subito e gli sono legato sotto tanti punti di vista. Poi c’è stata la convocazione al Centro Tecnico di Tirrenia. Le figure-guida per la tua crescita sono state Renzo Furlan e Giancarlo Palumbo. Renzo mi ha trasferito molte informazioni, soprattutto nei primi anni di Tirrenia. Grazie a lui ho compreso i segreti e le difficoltà di questo sport. È una persona diversa rispetto agli altri. “Jack” Palumbo invece, mi ha fatto capire i miei errori. Quando sbagliavo me lo faceva presente, ed è un aspetto fondamentale. Da lui ho imparato la disciplina. Una delle ragioni della tua esplosione è stata la pre-season svolta in Argentina, un’idea di coach Eduardo Infantino. Ed è stata una grande fortuna poter lavorare con lui. Infantino non lo scopro io, è uno dei top coach a livello mondiale. Mi ha fatto lavorare duramente, insegnandomi la disciplina del lavoro. Nei momenti in cui facevo fatica, lui continuava a massacrarmi. Così ho capito il senso della parola lavoro applicata al tennis. Nel 2010 hai lavorato anche con Nicola Ce-

ragioli, mentre lo scorso anno hai viaggiato con Gabrio Castrichella. Con Ceragioli non c’è stato alcun problema. Mi ha fatto lavorare molto sul piano tecnico, affinando le basi per la crescita che poi è arrivata nel 2011. Gabrio è un’ottima persona, siamo stati insieme per 30 settimane e mi è stato vicino in ogni momento, non solo quando si vinceva, ma soprattutto quando ne avevo bisogno. Sei l’unico giocatore di livello uscito da Tirrenia. Come te lo spieghi? Di sicuro in questo centro ci sono alcune difficoltà sul piano logistico: io ho la fortuna di averlo a 50 minuti da casa, mentre per altri ragazzi è più difficile. Sinceramente non ho riscontrato grosse problematiche, anzi vedo che migliora di anno in anno e fornisce tutto quello di cui c’è bisogno. Io sono maturato come persona, e credo che questo sia importante perché l’età in cui si sta al Centro non è quella in cui si è maturi al 100%. Tuttavia, credo e spero che possano uscire altri elementi interessanti. Se la sede del Centro Tecnico fosse stata più lontana, che scelta avresti fatto? Eventualmente, come avresti vissuto la lontananza da casa? Avevi 14 anni… Se anche fosse stato lontano, non avrei perso l’opportunità di lavorare in un Centro Tecnico. Di sicuro le difficoltà sarebbero state maggiori, ma non mi avrebbero fermato perché sogno di diventare un professionista da quando ero piccolo. Quali sono i tuoi obiettivi e i tuoi sogni, sia per il 2012 sia per la carriera. L’obiettivo stagionale è migliorarmi parecchio, anche perché so di avere delle lacune. E poi progredire nel ranking mondiale, anche se oggi è inutile dare delle cifre. Per quanto riguarda la carriera, punto a entrare tra i primi 30. E il sogno è quello di ogni tennista: vincere un torneo del Grand Slam. Abbiamo chiesto ad Andreas Seppi un parere sul tuo ingresso nei top 100 del ranking mondiale. Ha risposto: “Non credo nei primi 6 mesi della stagione, ma certamente a fine anno”. Cosa ne pensi? Apprezzo quello che ha detto, ma secondo me è più facile riuscirci nei primi sei mesi che dopo. Fino a giugno non ho punti in scadenza, poi nella seconda parte dell’anno ho diverse cambiali. Devo giocare bene all’inizio, poi si vedrà. Io spero di entrarci e la tempistica non è così importante. Tecnica, testa e fisico: quale dei tre aspetti è più importante per creare un giocatore di alto livello? Nel tennis moderno credo si equivalgano, anche se qualche anno fa la pensavo diversamente. Da ragazzino sei convinto che la tecnica sia l’aspetto più importante, ma in realtà è il fisico a recitare un ruolo fondamentale. Anzi, quasi quasi lo metterei davanti a tutto. Senza dimenticare la testa: nel 2011, il salto di qualità è arrivato proprio nell’aspetto mentale.

ALESSANDRO GIANNESSI Nato a: La Spezia Il: 30 maggio 1990 Residenza: La Spezia Altezza: 1.83 m Peso: 81 kg Coach: G. Castrichella Best Ranking: n.133

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INTER VISTA Hai detto che non cambieresti mai la tua città. Quanto è importante per te tornare a La Spezia, e perché le sei così legato? Mi piace qualsiasi cosa di La Spezia. Ci vivo benissimo e proprio per questo non la cambierei. Ho la fortuna di girare il mondo, ma quando sono nella mia città sto proprio bene. Sono tranquillo e amo ogni sua tradizione, ogni sua piccola cosa. Tornarci mi ricarica e mi aiuta anche per il mio tennis. Ultimamente hai giocato quasi esclusivamente sulla terra battuta. La tua programmazione prevederà qualche torneo in più sul veloce? È un aspetto fondamentale. Ogni tennista deve saper giocare su tutte le superfici. Nel tennis moderno poi, i tornei sul veloce sono la maggioranza, quindi dovremo senza dubbio lavorarci. Il mio caso è un po’ diverso: oltre a giocare meglio sulla terra, ho avuto un grave infortunio al ginocchio e questo, sulle superfici rapide, mi porta a soffrire fisicamente. Ma stiamo lavorando bene: a Tirrenia ho effettuato la preparazione sui campi veloci e credo che nel 2012 giocherò un buon numero di tornei lontano dalla terra battuta.

NEI MOMENTI IN CUI FACEVO FATICA, COACH INFANTINO MI MASSACRAVA. COSÌ HO CAPITO IL SENSO DELLA PAROLA LAVORO APPLICATA AL TENNIS

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Qual è la differenza tra la giornata tipo a Tirrenia e quella a Tandil? Il clima.A Tirrenia fa piuttosto freddo e piove molto, mentre a Tandil puoi allenarti al caldo, abituandoti alle condizioni di gioco dei primi tornei dell’anno. A dicembre, tuttavia, mi sono trovato molto bene a Tirrenia. C’era Paolo Lorenzi, i ragazzi del college (Gaio, Colella n.d.r.) e ogni settimana c’è un raduno o la presenza di qualche giocatore che viene da fuori. Insomma, ci si può allenare bene. Però a Tandil si può andare oltre perché il clima lo consente. Qual è la cosa più curiosa che ti è mai capitata su un campo da tennis? E quella che ti ha fatto più arrabbiare? Da Under 16 ero ancora nervosetto sul campo e mi è capitato di prendere un penalty point sul matchpoint per il mio avversario. Era un incontro di Serie A2 con l’Albinea. Eravamo 5-4 al terzo e sul 40 pari sbagliai una volèe e preso dalla rabbia scagliai la palla fuori dal campo.Avevo già avuto un warning… e confezionai la frittata! Sei un ragazzo composto, educato, affabile: hai mai fatto qualche follia?

(Ride, ci pensa…) Ne ho fatte, ne ho fatte, di cose pazze…forse qualche bevutina di troppo! Scherzi a parte, niente di gravissimo! Argomento Coppa Davis: pensi che debba essere sempre una priorità o in determinate fasi della carriera si può anche decidere di saltare qualche match? Mi piacerebbe tantissimo far parte della squadra, sarebbe stupendo. Personalmente credo che la Davis sia una priorità: detto questo, a un certo punto della carriera può entrare nella testa qualche altra idea, come il preservarsi fisicamente, magari dopo averla giocata a lungo. Dico questo oggi che sono ancora lontano da quel momento, magari cambierò idea! Di certo trovo che sia una splendida manifestazione. Sei tesserato per il Park Genova, neopromosso in Serie A1. Che impegno darai alla Serie A? Giocherò ogni volta che potrò. Se ci sarà un torneo importante, ovviamente la priorità andrà al torneo, ma darò la massima disponibilità.A proposito di gare a squadre, ho siglato un accordo di 3 partite per il 2012 con il club di Halle: le gare a squadre aiutano tanto sul piano economico. I primi risultati hanno creato un certo interesse intorno a te. Come vivi l’attenzione mediatica? Mi fa piacere che ci siano richieste di interviste, servizi fotografici, apprezzamenti. Magari rifammi questa domanda tra 5 anni! Di certo sono consapevole che il rapporto con la stampa è una parte del mio lavoro, e come tale va trattato con grande rispetto. Prova a descriverti con tre aggettivi. Allora... sono molto esigente, nel senso che sono molto severo con me stesso. Penso di essere abbastanza simpatico e il terzo….boh, dicono che sono un ragazzo tranquillo…e allora dico tranquillo! Qual è stato il primo match che ricordi? Ho due fratelli più grandi, le prime partite che ho visto sono state le loro. Io passavo le giornate al Circolo Tennis Spezia, erano bei momenti. E appena potevo andavo a giocare…A livello di campioni, il primo che ho visto è stato Marcelo Rios, a Monte Carlo. Rimasi colpito dal suo talento. Un tennista, a 21 anni, conduce una vita piuttosto particolare, in cui è facile perdere la percezione della realtà. In un momento difficile come questo, trovi il tempo di informarti, anche solo per renderti conto dei tuoi privilegi? Seguo molto i notiziari, i giornali. Mi sono reso conto che questi sono anni difficili per tutti. Un tennista lo nota meno, ma so bene che i giovani di oggi hanno tantissime difficoltà anche solo ad arrivare a fine mese. Beneficenza se dovessi guadagnare un prize money importante? Sicuro al 100%, anche con molto meno. Anzi, ti dirò di più: secondo me dovrebbe essere obbligatoria.


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LA SFIDA 82


Dopo averla commentata per 5 ore e 53 minuti,

JACOPO LO MONACO ha rivisitato l'incredibile ďŹ nale dell'Australian Open. E, dati alla mano, ci ha spiegato perchĂŠ quella partita, 99 volte su 100 la vincerebbe sempre Novak Djokovic

INFINITA 83


«SE DOVESSE PERDERE LA PARTITA, NADAL SI SOGNERÀ A LUNGO QUESTO ROVESCIO LUNGOLINEA» La frase l'ho pronunciata in diretta su Eurosport pochi attimi dopo un errore commesso dallo spagnolo nella finale dell'ultimo Australian Open. Nadal aveva appena ottenuto il break nel quinto set e stava servendo in vantaggio 4-2, 30-15. Djokovic dava l'impressione, questa volta per davvero, di essere pronto ad arrendersi. Nel corso del quarto punto del game, il numero uno del mondo si è trovato costretto a venire a rete, un modo per abbreviare lo scambio ed evitare di procurarsi ulteriore dolore ai muscoli delle gambe ormai in fiamme. Il primo passante di Nadal non è stato preciso, ma, dopo più di cinque ore di 'guerra', Nole aveva smarrito quella freschezza atletica che gli avrebbe permesso di ritrovarsi a tu per tu con il nastro per chiudere al volo. Invece, Djokovic ha giocato la volée di diritto con i piedi ancorati sulla riga del servizio. Che fare da quella posizione? L'unica soluzione possibile per chiudere il punto era inventarsi una stop volley perfetta. Idea vincente, esecuzione deficitaria. La palla dava l'impressione di non voler concludere la propria parabola e, quando finalmente è atterrata nel rettangolo del servizio opposto, Nadal era già lì con davanti 'chilometri' di campo deserto. Djokovic, disgustato

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da se stesso, ha provato con una finta a disorientare Nadal, anche se in realtà avrebbe preferito voltare le spalle alla rete ed evitare di osservare il colpo vincente dell'avversario. A Rafa sarebbe bastato depositare il proprio rovescio lungolinea all'interno delle righe. Un colpo talmente facile che lo avrebbe potuto giocare in mille maniere: in back, con la destra, bendato, con un calcio di collo pieno, forse anche in tuffo di testa alla Butragueño. E invece ha scelto la soluzione più scontata, più ragionevole: un classico rovescio a due mani. Appena colpita la palla il terrore deve aver attraversato ogni centimetro del suo corpo. «L'ho angolata troppo». Eh sì; talmente larga che nemmeno un Occhio di Falco brevettato da Mr. Magoo avrebbe potuto vederla buona (nella circostanza, Rafa lo ha chiesto lo stesso). Djokovic, incredulo, deve aver pensato: «Ma allora non riesci proprio a battermi». Nadal, demoralizzato, si sarà detto: «Ho perso». Due punti più tardi: il contro-break. Cinque game più tardi: il terzo successo consecutivo di Djokovic in un torneo del Grand Slam. UNO SU 369 Ma un punto può decidere una partita nella quale se ne sono disputati 369? L'impressione che ho avuto 'live'

è quella giusta? Ed è corretto credere che il rovescio lungolinea fallito da Nadal diverrà un incubo ricorrente come lo era Freddy Kruger per i teen-ager di Elm Street? I NUMERI DELLA VERITÀ Visto che ero io a non darmi pace, appena salito sul treno a pochi minuti dal termine della finale, ho aperto il mio quaderno e ho iniziato a osservare con maggior attenzione lo score della partita. Più numeri memorizzavo e più il mio pensiero si modificava. E dopo averli inglobati tutti mi è rimasta una sola certezza: Nadal ha compiuto un miracolo portando il match al quinto set. Ecco il perché. Nei primi quattro set Nadal ha fronteggiato 16 palle break cedendo il proprio servizio cinque volte (31%); Djokovic ne ha concesse quattro salvandone una (75%). Non è una statistica che amo particolarmente perché spesso non racconta in maniera precisa quanto è realmente accaduto. Partiamo dal presupposto che l'obiettivo è di conquistare ogni game e che non ha importanza se ci si riesce disputando quattro punti (game a zero) o venti. Da un punto di vista del punteggio vi ritroverete con un solo game vinto (o perso) ma conquistare un gioco


Djokovic Nadal % primo servizio

59

67

ace

9

10

doppi falli

2

4

winner

57

44

errori gratuiti

69

71

palle break

7/20

4/6

punti a rete

23/31

16/19

punti totali

193

176

risultato finale

5-7 6-4 6-2 6-7 7-5

durata: 5 ore e 53 minuti

Per rivedere il facile passante di rovescio di Nadal, cliccate su www.youtube.com/watch?v=ZRHhlWMUeBo al minuto 33.30

a zero o dopo aver annullato cinque palle break, non ha lo stesso valore sul piano mentale (e in secondo luogo fisico). Per tornare alla statistica iniziale, se Nadal avesse salvato quattro palle break in un game, ma alla fine lo avesse perso (alla quinta concessa), la percentuale sarebbe stata dell'80% (palle break salvate nel match), ma il suo avversario avrebbe comunque raggiunto l'obiettivo in quel determinato game: strappare il servizio all'avversario. Ipotizziamo, invece, che Nadal avesse concesso le cinque palle break, salvandone quattro, ma in cinque turni diversi al servizio. La sua percentuale resterebbe dell'80%, ma il suo avversario avrebbe raggiunto l'obiettivo una volta su cinque (20%). OCCASIONI MANCATE Torniamo alla finale australiana per analizzare le palle break concesse. Nei primi quattro set, entrambi i protagonisti hanno servito per 22 volte a testa. Sappiamo che Djokovic ha concesso quattro palle break in tre turni di battuta (per essere precisi ha concesso palle break nel 14% dei turni di servizio); questo significa che nei game nei quali ha conquistato la palla break, Nadal è sempre riuscito a strappare il servizio al serbo (ha

ottenuto tre break). Lo spagnolo, invece, ha concesso le 16 palle break in 10 turni di battuta (il 45% dei suoi turni), cedendola cinque volte (50% di realizzazione per Nole, contro il 100 per Rafa). Quindi, non solo Nadal ha sfruttato tutte le occasioni che ha avuto sul servizio di Djokovic ma è riuscito ad annullare la metà delle opportunità concesse sulla sua battuta. VANTAGGIO NADAL Un altro fattore decisamente favorevole allo spagnolo sono i game vinti ai vantaggi. Nei primi quattro set tredici game su 44 (30%) si sono decisi dopo il 40-40. Dieci li ha vinti Nadal (77%). In questi tredici game ai vantaggi, Nadal ha avuto dodici volte una palla per aggiudicarseli, chiudendo il gioco, come abbiamo visto, in dieci occasioni (83%). Djokovic ha avuto nove opportunità di concludere uno di questi game e ne ha sfruttate tre (33%). Sono dati a dir poco atipici in un qualsiasi match (per esempio nella finale femminile a senso unico tra Azarenka e Sharapova che si è conclusa 6-3, 6-0, la bielorussa ha vinto tre game ai vantaggi e la russa due), figuriamoci in un match così equilibrato. Se Nadal non fosse riuscito a salvare anche una sola delle nove palle break

annullate nei cinque turni in cui non ha subito il break nei primi quattro set o se Djokovic avesse vinto uno solo dei 13 punti game non sfruttati nello stesso numero di parziali, la partita si sarebbe conclusa in quattro set. Ed è per questi motivi che ritengo che Nadal abbia compiuto un capolavoro mentale per rimanere agganciato alla partita ed essere riuscito ad allungarla al quinto. Al punto che, se fosse possibile simulare cento volte il match al computer concedendo ai due rivali le stesse identiche possibilità che hanno avuto nella finale di Melbourne, ho la sensazione che in 95 casi Djokovic la vincerebbe in quattro set, tre volte in tre, una volta al quinto e nell'ultima circostanza Nadal avrebbe messo in campo il rovescio lungolinea chiudendo l'incontro poco dopo. Nonostante i 'miracoli' compiuti da Nadal per quattro set e mezzo Djokovic non si è mai definitivamente dato per vinto. A fine partita Rafa si sarà sentito un po' come Dr. Samuel Loomis che, dopo aver sparato per sei volte a Michael Myers, guarda giù dal balcone e non vede il corpo del protagonista di Halloween. Per sua fortuna, come accade nei migliori film horror, le opportunità per eliminare il nemico sono quasi infinite.

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THE BEST OF...

CLASSIC CLASSIC

MATCH Djokovic e Nadal hanno dato vita ad un incontro epico. Ma quali altri match hanno scritto la storia del nostro sport? Quali sono stati i più belli, i più emozionanti, i più sorprendenti? Ecco la nostra personalissima top 10 di LORENZO CAZZANIGA 86

Bjorn Borg b. John McEnroe 1980 Wimbledon

È stato qualcosa in più di un semplice match di tennis. Eravamo nel pieno del boom tennistico globale e non è un caso che per questa partita si registrò una qualità di audience sorprendente. Andy Warhol si alzò di buona lena nella casa della madre a Manhattan per non perdersi il Wimbledon at Breakfast della NBC e Nelson Mandela chiese almeno una radio ai suoi carcerieri di Robben Island per poter seguire The Match. Un confronto di stili dentro e fuori del campo. E, a rendere ancor più epico l’incontro, il tie-break più bello, meglio giocato e più emozionante della piccola storia del tennis, durato ventidue minuti, trentaquattro punti e con due match point annullati da McEnroe (e altri cinque mancati dallo svedese nel set). Una situazione che avrebbe ammazzato un toro. Ma, evidentemente, non un orso. E difatti, Borg è riuscito a risollevarsi e vincere 8-6 al quinto (1-6 7-5 6-3 6-7 8-6 lo score completo) contro un giocatore che gli era già superiore, soprattutto su quell’erba (allora) viscida che faceva schizzare via gli slice mancini e rimbalzare quasi nulla le volée. Eppure, di solo coraggio e passanti di rovescio, l’Orso svedese è riuscito a cavarsela fino a vincere il suo quinto titolo consecutivo ai Championships, impresa eguagliata solo dal signor Federer. “Quando mi sono seduto dopo aver perso il tiebreak, onestamente pensavo che avrei perso - ricorda Borg -. Nel primo game del quinto set sono andato sotto 0-30 e probabilmente, avessi concesso quel break, non avrei più recuperato. Invece, vinto quel game, cominciai di nuovo a giocare piuttosto bene. È il ricordo più bello della mia vita, eccetto le volte che sono diventato padre. E comunque, ci va molto vicino!”.

1



CLASSIC

MATCH

Pete Sampras b. Andre Agassi 2001 US Open Jim Van Alen avrebbe pianto ad ammirare il match. Non solo per le prodezze balistiche dei due fenomeni, ma perché la sua personale (e vittoriosa) lotta per introdurre il tie-break, ha permesso di mettere la parola fine ad un match che altrimenti, dopo tre ore e 45 minuti di gioco, sarebbe stato fermo sul 24 pari del primo set. Oddio, non che ci si annoiasse, tutt’altro. Pete Sampras e Andre Agassi hanno giocato contro 34 volte senza però mai raggiungere le vette toccate sull’Arthur Ashe Stadium nell’anno 2001, una settimana prima che si compisse, a pochi chilometri di distanza, la più immane tragedia dei giorni nostri. In quattro set non abbiamo visto un singolo break, nonostante fosse in campo uno dei tre migliori ribattitori della storia (Agassi). Palle break? Quattro nel primo set, nessuna nel secondo, una nel terzo e ancora quattro nel quarto. Sampras ha buttato via il primo set (avanti 6-3 nel tie-break), ha dominato lo “jeu decisif” del secondo e del terzo, mentre nel quarto, ormai fisicamente stremato, Pistol Pete ha raccolto un paio di errori gratuiti di Agassi che ne ha commessi solo 18 nel match), per chiudere 7-5 al terzo match point. Per alcuni è stato tecnicamente il miglior match di sempre. Per Boris Becker invece, «non si può considerarlo tale perché è stato pur sempre un quarto di finale, mentre le finali sono un’altra storia: più tensione, più suspence, più adrenalina. Insomma, più emozioni». Sampras deve però essersi confuso e aver pensato che quella con Agassi fosse davvero una finale. Perché in quella vera ha spedito il fratellino scarso, che l'ha persa contro Lleyton Hewitt.

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Rafael Nadal b. Roger Federer 2008 Wimbledon Se al Bar del Tennis lanciassimo la discussione su quale sia stata la partita più bella, emozionante, drammatica, eccetera eccetera, della storia, finirebbe con un sostanziale pareggio. Perché se il Borg vs Mac del 1980 ha segnato un'epoca, quella tra Rafael Nadal e Roger Federer del 2008 ha fatto altrettanto per le nuove generazioni. Federer andava a caccia del record di sei vittorie consecutive a Church Road, con Bjorn Borg in tribuna che gufava contro. Già vittorioso a Parigi, di Nadal sorprende la capacità di adattamento all'erba. Pur senza più essere l'erbetta tagliata bassa degli anni 90, la duttilità con la quale Nadal passa dal giocare due metri dietro la riga di fondo fin tanto a provare qualche serve&volley, è quantomeno sorprendente. Avanti due set a zero e con l'avversario incapace di concretizzare una qualsivoglia situazione di vantaggio (alla fine Nadal salverà 11 delle 13 palle break concesse), a rimettere in corsa Federer ci ha pensato la pioggia, giunta puntuale nel terzo set.Al rientro, pare un'altra partita. Più convinto, Federer riesce perfino a vincere due tie-break consecutivi, annullando due match point nel quarto set, il secondo con un rovescio che merita una ricerca su YouTube. Al quinto, di nuovo la pioggia torna sul Centre Court (e forse in quell'istante i dirigenti firmano il contratto per costruire il tetto retrattile attualmente in uso). Zio Toni racconta: "Sono tornato negli spogliatoi e pensavo di trovare Rafa distrutto. La sconfitta dell'anno prima era stata dura. Ricordo quanto aveva pianto. Invece Rafa mi ha guardato negli occhi dicendomi: 'Ehi, tranquillo: questa volta non perdo!' Non sapevo se mi stesse prendendo per i fondelli!". No zietto, per niente: 6-4 6-4 6-7 6-7 9-7.

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Senza tie-break, dopo 3h45' sarebbero stati 24 pari nel primo set


Ken Rosewall b. Rod Laver 1972 WCT Dallas Dispiace che 40 anni fa l’HD televisivo non esistesse. E così, ai posteri sono state tramandate immagini sbiadite raccolte a frammenti in un DVD.Tuttavia, bastano 34 secondi di video su YouTube per capire perché Rino Tommasi l’ha considerato per quattro decenni, il più bel match della storia. Anno 1972, Dallas ospitava come di consueto le finali WCT, un circuito alternativo creato dal petroliere Lamar Hunt che per qualche tempo è risultato perfino di miglior livello rispetto al tour tradizionale. Rod Laver aveva 33 anni, Ken Rosewall 37; il primo si affidava ancora al legno e al serve&volley, mentre Muscle era già passato ad una delle prime racchette in metallo e ad un gioco a tutto campo, basato su un formidabile senso delle geometrie. Perso il primo set, Rosewall ha giocato un’ora e mezzo di tennis perfetto. Avanti un set e un break, Laver è riuscito comunque a trascinare il match al quinto. Sul 4-5, Rocket ha annullato un primo match point con un ace centrale, prima di cedere al tie-break decisivo (4-6 6-0 6-3 6-7 7-6 il punteggio conclusivo). Gli ottomila spettatori che gremivano il Moody Coliseum giurano di aver contato sulle dita delle mani gli errori gratuiti. Era chiaramente un tennis ben diverso da quello attuale, fatto di meno muscoli e più cervello, di meno top spin e più volée. Ma, pur senza voler azzardare inutili quanto impossibili paragoni, era un tennis più umano. Certamente non meno apprezzabile di quello odierno.

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John McEnroe b. Jimmy Connors 1984 US Open C'era già di che andarsene soddisfatti, quell'otto settembre 1984. Ivan Lendl aveva battuto Pat Cash in un confronto di stili che rende un incontro di tennis qualcosa di speciale. Il fatto poi che Lendl avesse vinto 7-6 al terzo set annullando un match point con un pallonetto miracoloso, aveva reso la vicenda ancor più drammatica.A seguire, Martina Navratilova aveva domato 6-4 al terzo l'eterna rivale Chris Evert nel più bello dei loro 80 confronti diretti. E qualcuno deve anche essere scappato davvero, forse convinto che Johnny Mac avrebbe fatto un sol boccone di Jimbo. Ipotesi plausibile, visto che in quella stagione McEnroe perse solo 3 partite su 85 e nella finale di Wimbledon aveva talmente malmenato Connors da farlo apparire un semplice sparring partner. Ma forse proprio quel ricordo, deve aver spinto Connors all'eccellenza: cinque set intensi (6-4 4-6 7-5 4-6 6-3), come può accadere solo quando i due avversari si odiano profondamente. Alla fine, la classe di Mac ha prevalso. E se l'ammirazione per Connors e la sua capacità di rifiutare la sconfitta sono doverose, certe pennellate di McEnroe sotto rete bastano a dar ragione a chi lo considera, nonostante Federer, il più grande talento tecnico della storia del tennis.

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CLASSIC

MATCH

Ivan Lendl b. John McEnroe 1984 Roland Garros Perché una rivalità sia accesa, non c'è bisogno che i due avversari si odino. Però aiuta. Nel caso della saga Ivan Lendl contro John McEnroe, andata in scena 36 volte, il dubbio non esiste. Abituati alle smancerie di Nadal e Federer, è bastato Djokovic per far riaffiorare una qualche sensazione di legittimo disprezzo tra i primi della classe. Tuttavia, a confronto di Lendl e Mac, Nadal e Djokovic sembrano amici fraterni. Certo affermare che "ho più talento io nel dito mignolo che Lendl in tutto il corpo" non ha aiutato a creare un'atmosfera amichevole, così come provare ad abbattere l'avversario con un diritto in faccia. Così, il ceko deve aver provato doppia, tripla felòicità nel vincere la sua prima prova del Grand Slam rimontando due set e un break proprio a SuperMac, impedendogli di fatto di realizzare un Grand Slam che sarebbe stato in saccoccia, vista la superiorità che mostrò lo yankee nel suo anno magico, il 1984. Invece, bastò un fotografo invadente per distrarre Mac mentre dominava l'avversario mostrando il miglior tennis d'attacco mai visto sulla terra rossa. Si arrese, Mac per 3-6 2-6 6-4 7-5 7-5, sbagliando sul match point una volée a campo aperto ("che non avrei più sbagliato nemmeno bendato e con la mano destra").

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Roger Federer b. Novak Djokovic 2011 Roland Garros Doveva essere una passeggiata o qualcosa di molto simile. Novak Djokovic aveva infilato un filotto di 43 vittorie consecutive ed era riuscito nella clamorosa impresa di battere Rafael Nadal, il più forte terraiolo della storia, sia in finale a Roma, sia a Madrid. Come poteva fermarlo un Roger Federer che in tanti davano già sul Sunset Boulevard? E ancor di più su quella terra battuta parigina che aveva sconfitto solo l'anno prima, grazie a Robin Soderling che gli aveva tolto di torno Rafa Nadal. E invece, vuoi le palle sempre più rapide come chiedono ogni anno gli organizzatori per cercare di agevolare l'amato Roger rispetto agli odiati arrotini spagnoli, vuoi per la supponenza di un Djokovic che si sentiva troppo sicuro di poter disporre di un avversario che non faceva più paura, ed ecco che si è compiuta la sorpresa. Oh, in tutto questo, Federer ha sciorinato una prestazione di cui tanti non lo credevano più capace. 7-6 6-3 3-6 7-6, con Federer intoccabile al servizio e perfino coraggioso da rischiare sempre nei momenti decisivi, lui che non è esattamente un cuor di leone. A ringraziarlo (e tritarlo) in finale c'era Rafael Nadal. Per un altro Slam bisognerà aspettare tempi migliori e un duplice miracolo.

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Doveva essere una passeggiata per Nole Djokovic. Invece Roger... 90

Marat Safin b. Roger Federer 2005 Australian Open Dopo esserne stato travolto nella finale dello US Open 2000, Pete Sampras era stato chiaro: "Se questo qui continua a giocare a 'sti livelli, dominerà il circuito". Questo qui era Marat Safin ma non ha (quasi) più giocato a quei livelli.Tuttavia, le potenzialità erano talmente elevate che il russo era considerato l'unico in grado di battere Federer in quel gennaio del 2005, quando ancora Rafael Nadal era impegnato con gli esami a scuola. O quantomeno di tenere il ritmo dello scambio perché con i colpi fondamentali sapeva essere devastante. "Poi perderà, perché tenuta fisica e mentale non sono eccelsi" dicevano gli esperti. E invece, Safin è riuscito a vincere rimontando due volte un set di svantaggio: 5-7 6-4 5-7 7-6 9-7. Giocava, Marat, un tennis di rara potenza: impugnava una Prestige midsize e colpiva piatto, sfruttando un fisico che reggeva una decina di notti brave consecutive. Però non aveva una mano dolcissima e si pensava che Federer potesse sfruttare la sua capacità di variare tagli e ritmo. Perché invece se Safin ti azzannava, faceva male, col servizio, col diritto ma soprattutto col rovescio bimane. Il problema, è che Marat aveva un leggerissimo debole per le belle fanciulle che, in qualche modo, ne ha limitato i successi.

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Rafael Nadal b. Fernando Verdasco 2009 AusOpen Già il tennis di certezze ne offre poche, poi ci si mettono anche match come questo a eliminare anche le più ovvie. Sembrava infatti matematico che, tirando 96 colpi vincenti in un match, non si potesse in alcun modo perdere. Ebbene,Verdasco ha sfatato questo mito. Tanti winner non sono infatti bastati allo spagnolo per battere Rafael Nadal nella semifinale dell'Australian Open 2009: 6-7 6-4 7-6 6-7 6-4 e dopo in 5 ore e 14 minuti, Nando è uscito tra l'ammirazione generale ma pur sempre sconfitto. Già, perché il numero di vincenti è un dato fondamentale, ma conta pure sapere quando giocarli. E lui, nell'ultimo game e sul terzo match point consecutivo che offriva a Nadal, è riuscito a tirare un doppio fallo. Dopo 96 vincenti, sul match point ha tirato un doppio fallo.Verdasco è così, prendere o lasciare. Ci hanno provato in tanti a cambiarlo, ma l'unico capace di farlo maturare è stato... Rafael Nadal. Già, quando l'anno prima ha disertato la trasferta di Mar del Plata e ha lasciato che fosse Verdasco l'eroe della finale di Davis. Deve aver provato tanto piacere, il buon Fernando, da decidere di abbandonare la movida a cui è sempre stato abituato dalla ricca famiglia, per trasferirsi qualche mese alla corte di Gil Reyes, il preparatore atletico che aveva giù formato il corpo di Andre Agassi. E così, per un anno Verdasco ha giocato da top 5. Poi ha deciso che era meglio tornare alla movida.

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Jimmy Connors b. Aaron Krickstein 1991 USOpen Aaron Krickstein ha un solo incubo nella vita: la pioggia newyorchese. Già, perché ogni volta che a Flushing Meadows scroscia, le tv ripropongono immancabilmente lo straordinario match che ha giocato contro Jimmy Connors negli ottavi di finale del 1991. E che ha incredibilmente perso, nonostante Connors viaggiasse per i quaranta. E, come non bastasse, Jimbo si era pure infortunato ad un ginocchio già nel secondo set.Ma se c'era qualcuno in grado di compiere miracoli su un campo da tennis, quello era James Scott Connors. Convinto da mamma Gloria che l'intero mondo ce l'avesse con lui, sapeva colmare lacune tecniche non indifferenti con una carica agonistica che nessuno prima (e nemmeno dopo) ha saputo mostrare. Reduce dalla maratona contro Pat McEnroe (e prima di vincere quella contro Paul Haarhuis nei quarti), Jimbo ha recuperato uno svantaggio di 5-2 nel quinto e chiuso il match dopo 4h41'. Per resistere alla fatica e prendere tempo tra uno scambio e l'altro, Jimbo aveva studiato un metodo a tavolino: incitare la folla all'applauso e poi lamentarsi con l'arbitro per il rumore! Ma a quel Jimbo, abbiamo perdonato anche le scorrettezze.

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Verdasco ha cancellato una delle poche certezze di un match di tennis: perché si possono tirare 96 colpi vincenti, e perdere 91


BY GABRIELE VILLA

Qui sopra, in senso orario, il torneo di Bergamo apre la stagione professionistica in Italia, la premiazione del torneo challenger di Palermo, una veduta del centrale dell'Harbour Club di Milano ed Ernesto De Filippis, organizzatore della Grande SďŹ da. Poi Edi RafďŹ n, titolare del ricco torneo challenger di Cordenons, Robin Soderling col trofeo dell'ultimo torneo ATP di Milano. e Fabio Fognini con Mauro Iguera e il trofeo dell'ATP Challenger di Genova 2010

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INCHIESTA

MISSION IMPOSSIBLE DI RICCARDO BISTI

A livello di circuiti maggiori, in Italia si giocano solo gli Internazionali d’Italia e il WTA di Palermo, quando nel 1982 ospitavamo ben otto tornei. Ma è davvero impensabile di tornare ad organizzare un altro grande evento? Pare proprio di sì… 93


M

ilano, 3 dicembre 2011. Undicimila persone affollano il Forum di Assago per assistere alla “Grande Sfida”, danarosa esibizione con in campo le sorelle Williams e le nostre Flavia Pennetta e Francesca Schiavone. Un trionfo di popolarità, una boccata d’ossigeno. La dimostrazione che in Italia c’è tanta fame di tennis. Fame di tornei dal vivo. Gli undicimila di Assago infatti, stridono con la carenza di tornei di alto livello nel nostro paese. In Italia si organizzano appena due tornei del circuito maggiore: gli Internazionali di Roma (evento combined, gestito dalla Federazione Italiana Tennis) e il piccolo WTA di Palermo, tappa estiva post Wimbledon. Un po’ poco per un paese con le nostre tradizioni: basti ricordare che nel 1982 abbiamo ospitato addirittura otto tornei del circuito maggiore. Poi, dopo che nel 1990 l’ATP ha preso in mano il circuito mondiale, gli anni più “prolifici” sono stati il 1992 e il 1993, con ben sette tornei. Abbiamo resistito con quattro eventi fino al 1997, poi sono diventati tre e nel 2006 sono rimasti soltanto Roma e Palermo. Dopodichè, l’ATP ha acquistato la data del torneo siciliano (senza rivenderla a nessuno), e da allora si giocano solo gli Internazionali d’Italia. Ma perché, con tanta voglia di tennis, in Italia non è rimasto quasi niente? È possibile che in un prossimo futuro l’Italia possa tornare a ospitare qualche torneo ATP? E i tornei challenger, almeno i più forti, possono sperare di fare il grande salto? MOMENTI DI GLORIA Cino Marchese è stato il più importante manager tennistico italiano. Conosce perfettamente la storia dei nostri tornei ed è stato l’inventore del torneo di Palermo, non a caso il più longevo di tutti (28 edizioni dal 1979 al 2006), Internazionali d'Italia esclusi. Quando gli chiediamo il perché della moria di tornei, quasi sospira: «È un discorso complicato. Si può dare un’interpretazione in chiave storica: secondo me abbiamo perso il momento favorevole quando c’è stato il rilancio degli Internazionali d’Italia, che avevo condotto in prima persona. Quando lavoravo con IMG, abbiamo vinto un’asta nel 1979 e abbiamo iniziato a gestirli nel 1982». Marchese ha sdoganato il concetto di “Villaggio Ospitalità”, strumento potentissimo per attirare gli sponsor. Erano anni di grande euforia, in cui un’aggressiva politica di marketing aveva permesso di coinvoglere aziende importanti come Volvo, Peugeot, Mercedes. «E poi c’erano le aziende di settore: all’epoca i maggiori produttori di abbigliamento erano italiani. Fila, Tacchini, Ellesse, Diadora si facevano una sana concorrenza e ci permettevano di far lievitare i prezzi – continua Marchese –. Pensate che nel 1984 e nel 1985, Lacoste pagava un miliardo di vecchie lire per essere presente. Una cifra enorme». In verità, IMG non guadagnava più di tanto dagli Internazionali. «Noi producevamo il 90% degli utili, ma bisognava dare il 50% a Publicitas in virtù di un precedente accordo. Ma era uno straordinario veicolo promozionale. Grazie agli Internazionali di Tennis abbiamo firmato accordi di management con campioni del calibro di Paolo Rossi e Alberto Tomba». Il circolo virtuoso creato da Marchese permise di raggiungere un risultato che è il sogno di qualsiasi organizzatore: tutti volevano essere presenti agli Internazionali, ma non tutti ci riuscivano. «Allora abbiamo imbastito una delle primissime operazioni di compravendita di tornei: acquistammo l’ATP di Milano da Carlo Della Vida. Dopo il crollo del Palasport, il torneo era morto. Lo pagammo una bella cifra, ma fu un investimento felice che rese parecchi soldi, almeno fino a quando si giocò al Palatrussardi. Poi arrivarono i problemi». L’anno chiave è il 1993, quando Marchese diede le dimissioni. 94

Con lui venne meno la figura di riferimento per questi tornei. Non c’erano solo Roma e Milano: all’epoca si giocava a Palermo, a Bari (poi Genova), Saint Vincent, Bologna…«Io facevo operazioni a pacchetto – continua Marchese – se uno sponsor voleva essere presente a un torneo, doveva investire anche sugli altri e questo consentiva a tutti di sopravvivere. Ci sono state aziende come Kim Top Line e Peugeot che erano presenti in quasi tutti i tornei». Firenze aveva una buona tradizione, poi venne inserito nel “pacchetto” e visse la sua ultima edizione nel 1994. Bari era un’altra creatura di Marchese: «L’ho ideato io, avevo molta fiducia nella città. Ma ci furono situazioni poco chiare, il club aveva paura di perdere dei soldi…e allora il torneo finì a Genova. Il dottor Albertelli, manager di IP, si interessò e grazie al bell’impianto di Valletta Cambiaso si andò avanti ancora per qualche anno». Poi c’era Saint Vincent: «Quello fu portato avanti da Carlo Della Vida. Io lo seguii per un anno, quando si giocò a Sanremo, ma tante cose non qua-

dravano». L’ultimo a morire, prima di Milano e Palermo, è stato Bologna. «Piazza strana, con grandi ambizioni senza averne le possibilità. Prima era indoor, poi si inserì il vicepresidente FIT Paolo Francia. Aveva interesse a far crescere il Cierrebi Club e ci impose di prendere il torneo come contropartita per non aver problemi nell’asta-appalto degli Internazionali di Roma». L’ultima edizione si è giocata nel 1998. Nel 1992 e nel 1993 si è invece disputato un torneo indoor a Bolzano, poi nel 1999 c’è stata l’unica edizione del torneo ATP di Merano. «Bolzano lo organizzò Alex Tabarelli, poi a Merano provarono a rivitalizzare un torneo che non aveva futuro. È folle giocare un torneo ATP da quelle parti». Lo sgretolamento dei tornei ATP italiani dunque, nasce dalle dimissioni di Marchese. «Non è per essere presuntuosi, ma da soli non ce la facevano. Io avevo le relazioni internazionali per garantire certe situazioni». Senza questo appoggio, sono andati avanti finchè hanno potuto ma poi hanno alzato bandiera bianca. L’unico che poteva farcela da solo era Palermo, che aveva importanti contributi dalle istituzioni. Non a caso, è l’ultimo ad aver mollato. NESSUNA GARANZIA Una volta rimasti “soli”, i tornei ATP italiani hanno avuto convenienza a cedere i propri tornei. Negli anni 80-90 era piuttosto facile. La data veniva regalata o comunque pagata cifre quasi irrisorie. Sul finire degli anni 90 invece, si è arrivati al punto in cui le date a disposizione erano decisamente meno e c’era sem-


Sopra, Novak Djokovic festeggia la vittoria dell'anno scorso al Masters 1000 di Roma, in finale su Rafael Nadal. Sotto, una veduta del nuovo campo centrale del Foro Italico

pre più richiesta organizzativa, soprattutto dai paesi emergenti come Emirati Arabi, oriente e Sudamerica. Allora i tornei hanno assunto un valore sempre più importante che i proprietari hanno cercato di monetizzare. Ce lo spiega Giorgio Tarantola, ex arbitro ATP e oggi direttore di tre tornei challenger italiani (Monza, Genova e Alessandria). «In Italia non c’era ancora la crisi, ma era sempre più difficile trovare i soldi per organizzare un torneo. 10-15 anni fa, date di tornei ottenute gratuitamente, sono state rivendute per 500 milioni o addirittura un miliardo di vecchie lire. Per tanti è stata una bella plusvalenza. Prendiamo San Marino: con i soldi della cessione del torneo hanno rifatto l’intero Centro Sportivo». «Però sono scappati i buoi – sottolinea Marchese –. I tornei andavano tenuti quando c’erano.Adesso è quasi impossibile organizzarne uno. I costi sono aumentati in modo impressionante. Quando siamo partiti, il montepremi del torneo di Palermo era di 50.000 dollari. Adesso il minimo

per un ATP 250 è di 400.000. E poi l’ATP ha fatto una politica di riduzione dei tornei. Se anche ci fossero le risorse, sarebbe difficilissimo entrare nel circuito. Credo che solo una piazza come Milano potrebbe reggere un torneo ATP. Ma i costi sono troppo alti: si partirebbe con un disavanzo difficilmente recuperabile». Come si possono quantificare questi costi? Ci viene in soccorso Tarantola: «Entrano in ballo molti fattori, su tutti la bontà della data: è normale che una buona collocazione costi di più. Ad ogni modo, il solo acquisto della data è di circa un milione di euro». A cui bisogna aggiungere i costi organizzativi, che vanno ben oltre il montepremi (minimo) di 400.000 dollari. Un torneo costa circa due milioni di dollari, cifra che non tutti possono permettersi. «Ottenere una data è difficilissimo, anche perché la compravendita di tornei deve essere fatta con un certo criterio – continua Tarantola –. Se, per esempio, un torneo si gioca in un continente, è preferibile che continui a giocarsi lì. E lo stesso vale per la superficie. Se poi ti aggiudichi la data, devi dare garanzie importanti. Se il torneo non si gioca, hai una penale altissima perché devi comunque versare l’intero montepremi». Il problema è che un torneo ATP 250 non è affatto garanzia di successo, anche perché è difficile portare i giocatori più forti. I migliori giocano pochissimi eventi “extra” oltre a quelli obbligatori, quindi ci vogliono soldi e fortuna. «Nei tornei ATP, gli ingaggi sono permessi – dice Tarantola – però per portare un Federer devi sborsare un altro milione. E lo stesso vale per Nadal o Djokovic”. Gli fa eco Mauro Iguera, presidente del Comitato Organizzatore del challenger di Genova, uno dei più floridi del nostro panorama. «Organizzare un torneo ATP è un rischio imprenditoriale vero e proprio. Anche se organizzassimo un torneo del circuito maggiore, non solo non riusciremmo a portare Nadal o Djokovic, ma probabilmente nemmeno un Berdych. Credo che in Italia solo Milano, Torino e forse Napoli avrebbero il bacino d’utenza necessario per sostenere un torneo di questo livello. Noi a Genova non abbiamo una situazione imprenditoriale che consente di trovare sponsorizzazioni adeguate». COSTI PROIBITIVI È d'accordo anche Marco fermi, direttore del torneo challeger di Bergamo: «A Bergamo siamo partiti con l'idea di fare un grande torneo challenger. L'obiettivo era crescere in questa categoria, ma a un certo punto ci siamo accorti che non era così importante: ciò che conta è avere un'organizzazione di alto livello. La vera crescita ci sarebbe organizzando un torneo ATP, ma oggi non è possibile farlo. Prima di tutto non c'è una data: l'unica possibilità sarebbe acquistarne una, ma i costi sono eccessivi. Non si può partire con un un milione di euro di deficit. Difficilmente il torneo guadagnerebbe una cifra del genere. Forse la FIT o la stessa ATP potrebbero dare una mano, magari chiedendo una percentuale sugli utili, ma partire con un segno negativo così importante non è un'operazione fattibile». Già, ma la Federazione Italiana Tennis come vede la possibilità di organizzare un altro torneo ATP? «È un'idea interessante - ha

UN TORNEO ATP È UN RISCHIO VERO E PROPRIO. IN ITALIA SOLO MILANO, TORINO E NAPOLI POTREBBERO SOSTENERE UN EVENTO DI QUESTO LIVELLO. MAURO IGUERA, ATP CHALLENGER GENOVA

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dichiarato il Presidente Binaghi - ma va relazionata ad altri strumenti di promozione. Dovremo fare un'analisi di costi e benefici e vedere cosa sarebbe conveniente fare. È una bella ipotesi, ma anche molto costosa». «Eh già, un evento ATP costa troppo – conferma Edi Raffin, direttore del challenger di Cordenons, 85.000 euro di montepremi –. Quando ho cominciato la mia avventura ero piuttosto aggressivo, mi ero interessato. Ma ho visto che era difficile e rischioso. E poi oggi, in tempi di forte crisi, dobbiamo pensare a restare dove siamo. Organizzare un torneo ATP è questione di manico e di soldi. Sono le persone che fanno gli eventi: ci vuole qualcuno che sappia prendersi carico di tutte le necessità, e tanta disponibilità economica. Anni fa, Mahesh Bhuphati possedeva una data ATP: in virtù dei buoni rapporti con il nostro direttore tecnico Mosè Navarra, ci chiese di affittarla: voleva 300-400.000 dollari l’anno. Ho dovuto rinunciare perché non avevamo i soldi. Attualmente organizziamo un bel challenger, gli sponsor sono contenti e mi stanno vicino. Ma adesso non me la sentirei di fare un passo in più». La compravendita dei tornei è un aspetto chiave: da quando l’ATP ha adottato una politica di riduzione dei tornei, oggi non si possono più creare nuovi eventi. Chi vuole entrare nel circuito, deve acquistare la data da chi vuole rinunciarvi. Tarantola ha vissuto in prima persona un paio di trattative non andate a buon fine. Era direttore del defunto challenger di Lugano, 100.000 dollari di montepremi, tante ambizioni e una notevole disponibilità economica. Lugano avrebbe potuto acquisire la data del torneo ATP di Varsavia, programmato a inizio aprile: «Proprietaria di quella data era la Octagon. Non volevano perdere il torneo, ma soltanto affittarlo. Chiesero 400.000 euro l’anno di affitto, ma a Lugano lasciarono perdere. Il Tennis Club non voleva assumersi alcun rischio imprenditoriale. In fondo un circolo di tennis non è come una società, che se ha una perdita la mette a bilancio e poi cerca di recuperarla. Il circolo rischia di scomparire. Anche se io resto convinto che sarebbe stato un grandissimo evento». Lugano era in trattativa anche per acquistare la data del torneo di Indianapolis. «Si trattava

I TORNEI PER CATEGORIA

In Italia abbiamo pochissimi eventi del circuito maggiore, ma in compenso si organizzano tanti tornei minori. A livello maschile, siamo il paese che ospita più challenger. Quest’anno, tuttavia, il numero è destinato a calare perché la crisi sta mettendo in difficoltà più di un organizzatore. Sono già saltati i tornei di Courmayer, Roma Garden e Cremona. Altri sono in pericolo. Avere un così grande numero di tornei minori è fondamentale perché aiuta i nostri giovani a fare esperienza e a costruirsi una classifica ATP senza spendere una fortuna. Ma c’è anche un’altra faccia della medaglia: potrebbe esserci la tentazione di rinunciare a viaggiare e fare esperienze, privilegiando una programmazione troppo provinciale e comunque poco efficace. Insomma: si tratta di un’arma a doppio taglio. Ecco di seguito un riepilogo dei tornei professionistici che si disputano in Italia divisi per categoria. Come si evidenzia, abbiamo tanti club che hanno il coraggio di ospitare una prova del circuito Challenger, ITF femminile o Futures, ma ci mancano gli eventi di spicco, esclusi ovviamente gli Internazionali d'Italia. CIRCUITO ATP: 1 (Roma) CIRCUITO WTA: 2 (Roma e Palermo) CHALLENGER: 24 ITF FUTURES MASCHILI: 31 ITF FEMMINILI: 23

di una cifra relativamente bassa: volevano un milione di dollari prima della negoziazione, ma in quel caso fu l’ATP a mettere il veto perché non voleva che il torneo si spostasse di continente e di superficie. Infatti il torneo di Indianapolis si è poi trasferito ad Atlanta». ATP O CHALLENGER? Mancano i tornei ATP, ma l’Italia è il paese che organizza più challenger. Nel 2011 se ne sono giocati 24 (più San Marino). «I challenger sono operazioni prevalentemente territoriali – dice Cino Marchese – e so che molti sono in difficoltà. Qualcuno è già scomparso. Secondo me i tornei più ricchi non devono pensare al grande salto, ma stare attenti a restare dove sono. Un challenger non può contare troppo sul pubblico, sull’incasso, sugli sponsor e sulla TV. Però costa molto meno. Puoi organizzarne uno anche con un budget di 100-120.000 dollari. È un’operazione che con una certa oculatezza si può fare, ma si sopravvive senza grosse prospettive di crescita». La questione degli sponsor è vitale: trovare 2-3 milioni di euro per acquistare la data e organizzare il torneo è quasi impossibile. «A Palermo prendevano importanti contributi dalla Regione Sicilia – dice Edi Raffin – ma nel momento in cui non li hai più, come fai da solo? Per reggere a certi livelli c’è bisogno della politica, ma purtroppo ora non è il momento ideale. In Friuli abbiamo qualche aiuto e la Regione può arrivare a spendere un milione e mezzo per un evento come il Mittelfestival. Però oggi non mi sento di chiedere un contributo maggiore». Continua Tarantola: «Attualmente non vedo una realtà che possa assumersi il rischio di organizzare un ATP. Esiste qualche buon torneo challenger, ma gli sponsor sono soprattutto locali. A Genova hanno sponsor di livello internazionale come Famiglia Messina,AON ed ERG, ma sono tutte società con sede a Genova. C’è una forte dimensione territoriale. E gli altri sponsor non possono versare grosse cifre. Se qualcuno investe 50.000 euro su un torneo, lo fa perché è radicato in quella zona. Infatti, se gli chiedi di investirne 3.000 in un altro torneo, non lo fa». Insieme a Cordenons, Manerbio e Torino, Genova è il più ricco challenger italiano. «Abbiamo preso in considerazione la

UN ATP 250 COSTA DUE MILIONI DI DOLLARI, TUTTO COMPRESO. IN ITALIA NON VEDO UNA REALTÀ CHE POSSA ASSUMERSI QUESTO RISCHIO. GIORGIO TARANTOLA, DIRETTORE TORNEI CHALLENGER

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I TORNEI ATP IN ITALIA DAL 1970 A OGGI

La tabella è un perfetto riassunto di come sia cambiata la situazione dei tornei del circuito maschile ATP organizzati in Italia negli ultimi 40 anni. Nel 1971, si erano affiancati agli Internazionali d’Italia, i tornei di Palermo, Catania e Bologna. Il boom del tennis negli anni 80 ha permesso di giocare nel nostro paese ben otto prove ATP nel 1982 (Genova, Milano, Firenze, Roma, Venezia, Palermo, Napoli e Ancona) Alla fine, abbiam tenuto bene fino al 1993, poi i vari tornei sono pian piano spariti. Particolarmente duro è stato il colpo subìto nel 2006, quando il torneo di Milano (che già dal 1998 al 2000 si era trasferito a Londra) è stato spostato a Zagabria. E non sembra ci siano le condizioni per riportarlo nel capoluogo milanese in tempi brevi. Anche perché, nonostante i tentativi di rinnovare il Palalido, Milano non ha un palazzetto accogliente in città. E lo stesso Mediolanum Forum di Assago, appare ormai vecchiotto se paragonato alle migliori arene sportive europee.

1970 1971 1972 1973 1974 1975 1976 1977 1978 1979 1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

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possibilità di crescere – racconta Mauro Iguera – siamo nati per scherzo e poi siamo cresciuti parecchio. La nostra cena di gala e gli eventi collaterali non hanno nulla da invidiare ad un torneo ATP. In tanti mi hanno chiesto di provarci, ma non sono sicuro che ne valga la pena. Sinceramente mi sono accorto che il torneo funziona quando vanno bene gli italiani. Per le finali FogniniNaso e Fognini-Starace abbiamo fatto il tutto esaurito. Siamo sicuri che con il numero 30 ATP faremmo altrettanto? Poi sono un po’ deluso dal seguito che hanno i tornei ATP in giro per il mondo. Mi è capitato di vedere tornei con pochissimo pubblico. Fai una fatica incredibile per portare il numero 30, ma poi non sai come va a finire». UN NUOVO MARCHESE Problemi economici e organizzativi a parte, oggi c’è qualcuno che potrebbe prendere il posto di Cino Marchese? «Qualcuno c’è – attacca l’ex manager IMG – ma oggi è difficile, soprattutto se non hai ottimi rapporti con le istituzioni per avere i giusti finanziamenti. Uno dei migliori è Sergio Capraro, colui che ha riportato il tennis a Palermo. Gli ho insegnato come dare consistenza a un torneo, e gli ho consigliato di riportare il suo challenger al Circolo Tennis Palermo. È lì che si deve giocare. Sergio è un ragazzo in gamba, ha competenza, riesce a ottenere buoni finanziamenti. Ma di altre situazioni come quella di Palermo non ne vedo». E il diretto interessato cosa ne pensa? «I tornei ATP mancano per una concomitanza di fattori – spiega Capraro -. Manca un top 10 italiano, prima di tutto. E il tennis sta vivendo una fase stazionaria in termini di popolarità. Non è in crollo, ma nemmeno in ascesa. Poi ci sono i problemi economici, che in Italia sono più sentiti che in altri paesi. I grandi investitori hanno preferito puntare sui paesi emergenti. Palermo ha perso una data che costa un milione di euro, e per riacquistarla bisognerebbe scalzare una piazza importante. L’anno prossimo la Regione punterà ancora di più sul torneo, ma non posso chiedere loro di investire così tanto. Onestamente sarebbe un salto nel buio. Gli sponsor privati? In un challenger al massimo arrivi a 50.000 euro di finanziamento: come fai ad arrivare a certi budget?». TENERE DURO Riportare un ATP in Italia è quasi impossibile, almeno nel breve periodo. «Oh, se poi arriva il boom economico e le condizioni migliorano, io non mi tiro certo indietro» dice Edi Raffin. Ma per il movimento e il tennis italiano in genere, sarebbe meglio avere venti challenger come oggi o tre tornei ATP e qualche challenger in meno? «Penso che 98

CLASSIFICA PER NAZIONI

Sono 122 i tornei ATP-WTA in calendario nel 2012. Di questi, soltanto tre si giocano in Italia: il combined di Roma e il torneo WTA di Palermo. In realtà, a livello WTA la situazione è comune a tante nazioni, perché solo i quattro paesi che ospitano i tornei del Grand Slam ospitano più di due eventi all'anno. In campo maschile invece, l’assenza di tornei è pesantissima: siamo alla pari con paesi senza alcuna tradizione tennistica come Malesia, Qatar, Messico, Romania, Marocco e India. Gli Internazionali d’Italia, ovviamente, valgono molto di più dei tornei di queste nazioni, ma un paese con le nostre possibilità meriterebbe almeno un paio di tornei in più, magari un evento indoor (e sarebbe particolarmente piacevole riavere una tappa invernale a Milano) e un altro sulla terra battuta, come prologo al Masters 1000 del Foro Italico. Dopotutto, nel 1992 e nel 1993, l’Italia ha ospitato la bellezza di sette tornei ATP. Arrivare a quota tre sarebbe un grande risultato. - NUMERO TORNEI ATP E WTA Stati Uniti ............. 24 Francia ................... 9 Gran Bretagna ......... 7 Australia ................. 7 Germania ................ 6 Spagna ................... 5 Cina ....................... 4 Austria .................... 4 Italia ...................... 3 Giappone ................ 3 Messico .................. 3 Canada ................... 3 Svezia .................... 3 Olanda .................... 3 Russia .................... 3 Svizzera ................. 2 Croazia ................... 2 Thailandia ............... 2 Nuova Zelanda ........ 2 Qatar ...................... 2 Emirati Arabi ........... 2 Malesia .................. 2 Portogallo ............... 2 Marocco .................. 2

le due cose possano essere complementari – conclude Raffin –. Io non sottovaluterei i challenger perché creano entusiasmo e interesse. Se ce ne sono venti, vuol dire che ci sono venti località dove si può vedere del buon tennis. Per un torneo ATP invece, la gente dovrebbe spostarsi. Però ce ne vorrebbe un altro in una grande città come Milano». Tarantola valuta i pro e i contro: «Da appassionato dico tre tornei ATP, però è anche vero che gli appassionati amano anche seguire i giovani emergenti. Il grande nome attira le masse, ma i tanti tornei sparsi sul territorio consentono ai ragazzi locali di provare ad emergere senza spendere una fortuna». Mauro Iguera, da buon imprenditore, non crede più di tanto nei tornei ATP di medio-basso livello: «Non vale la pena prendere un rischio imprenditoriale senza poter offrire un prodotto con un top 10. Però vedrei bene un torneo indoor a Milano». Già, tutti dicono Milano, ma cosa ne pensa Carlo Alagna che da anni organizza un torneo challenger all'Harbour Club di Milano? «La crescita del torneo di Milano può avvenire solo con un evento del circuito maggiore, ma attualmente è dura pensarci perché stiamo attraversando un periodo di crisi economica e le istituzioni non sostengono più queste iniziative. È un peccato, perchè avrebbero valenza sia sportiva sia turistica, interessando due assessorati. Ma anche nelle regioni più ricche si fatica a ottenere contributi. Un tempo era più semplice. Due anni fa, il nostro challenger di Milano copriva il 30-40% delle spese con investimenti pubblici, adesso questo supporto è venuto a mancare: Regioni, province, comuni...se prima davano tre, adesso danno uno. Il torneo dell'Harbour potrebbe fare un salto di qualità se decidessimo di cambiare superficie, passando all'erba nell'imminenza di Wimbledon. Sarebbe un bel colpo, perchè porteremmo ottimi giocatori e ci sarebbe grande interesse mediatico perchè in Italia non c'è mai stato un torneo sull'erba. A questo progetto crede molto Massimo Policastro, direttore del torneo. Ci stiamo lavorando per il 2013». L’assenza di una figura “alla Cino Marchese”, la mancanza di soldi, la crisi economica, le difficoltà di accesso per i limiti imposti dall’ATP, la difficoltà nel coinvolgere le istituzioni: sono troppi i fattori che ostacolano il ritorno del circuito ATP in Italia. Per gli appassionati è un boccone amaro da mandare giù, ma oggi è il momento di tenere duro e non fare voli pindarici. È bene tenersi stretti i tornei che ci sono e sperare che vengano tempi migliori. La “Grande Sfida” di Milano ci ha insegnato che qualcosa di buono si può ancora fare. Quando le condizioni (economiche) saranno diverse, probabilmente anche l'Italia potrà tornare a sognare in grande.


GIOCATORI

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TECNICA

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ALIMENTAZIONE

TURISMO


New Volete riscrivere le pi첫 importanti pagine della storia del tennis?


story Ora potete. Almeno virtualmente... DI FEDERICO FERRERO


Qui e nella doppia pagina precedente, alcune immagini tratte da Grand Slam Tennis 2. Il cast è eccezionale con i top players attuali e quelli del passato, compresi Pete Sampras, John McEnroe, Bjorn Borg, Chris Evert, Martina Navratilova

Nel 1992 uscì un articolo su una rivista specializzata. Diceva che entro dieci anni, massimo quindici, avremmo giocato contro Bjorn Borg in salotto. Si chiamava realtà virtuale e non era sicuramente migliore di quanto Jules Verne potesse aver immaginato nelle sue avventure intergalattiche. Anzi: il giornalista del 1992 era certo che entro poco tempo ci saremmo dotati di un casco simile a quello che usano i lattonieri per ripararsi dalle scintille della fiamma ossidrica, di un guanto con fili penduli e che uno schermo avrebbe proiettato l'ologramma di Borg sul nostro tappeto persiano, pronto per rispondere alle nostre prime di servizio. Pare che non ci abbia indovinato. Difatti siamo qui, vent'anni dopo: su Marte non facciamo ancora le vacanze – ma non dovevamo piantare la bandierina sul suolo marziano proprio di questi tempi, entro il 2009? - il nostro mezzo di spostamento non è la navicella spaziale ma un ferro che funziona con dei pistoni che scoppiano in un cilindro quattro tempi, così come accadeva nel 1900, e la realtà virtuale non c'è. Ci sono, però, delle simulazioni e una, anzi, l'ultima presentata sul mercato si chiama Grand Slam Tennis 2. Che ha in sé una chicca gustosa: la possibilità di pilotare la macchina del tempo, sintonizzarsi sul canale Espn Grand Slam® Classics e rigiocare a proprio gusto alcune tra le più grandi partite dell'era moderna e contemporanea. Sfoglio il menu e trovo subito una delizia: l'ottavo di finale tra Pete Sampras e Roger Federer a Wimbledon 2001. L'unico incrocio reale tra i due. Per quanti anni, almeno finché Federer non ha superato nei Major Mister 14 Slam, ci siamo sfidati a colpi di statistiche e ragionamenti arzigogolati per stabilire chi dei

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due sia stato Il Migliore? Tranquilli: non ne parliamo qui. Di vero c'è che è un peccato, un vero peccato che tra Pete e Roger ci siano stati dieci anni di differenza. E di altrettanto vero, permettetemi, c'è che Sampras avrebbe dovuto vincere quella partita, non perderla 7-5 al quinto, per rendere il confronto tra i due ancora più affascinante. Il gioco ci dà la possibilità di riscrivere gli eventi della storia tennistica, riprendendo il match dal due pari al quinto. A quel punto della partita, Sweet Pete aveva già capito che non c'era solo il Safin dello US Open dell'anno precedente, come candidato alla sua eredità. Anzi, che questo tizio svizzero era veramente un fenomeno. Morale: devo far vincere Sampras. Ho imparato i comandi (non è facile: qui non ci sono, come in sala giochi, il tasto A per tirare forte e quello B per il pallonetto. Di tasti ce ne sono otto e, per dire, la volée smorzata ha la sua combinazione, il servizio in kick seguito dalla discesa a rete un'altra: serve un po' di tempo per assimilare il tutto). Pete ha la lingua penzoloni o, almeno, mi pare sia così. Lo hanno fatto un po' più scuro e olivastro di quanto non sia: a volte sembra di vedere un ragazzo pakistano vestito da tennis, un Qureshi, non King Sampras. Roger ha una strana frangetta che s'appoggia sulla fascia bianca Nike. Incredibile! Prima di servire Pete si toglie il sudore dalla fronte col pollice. Proprio come faceva lui. La gente ulula perché ho imparato a servire forte e riesco a fare servizio-volée come ormai è impossibile fare nel mondo reale a Wimbledon. Si sente passare un aereo mentre un ragazzo grida «Come on Peeeeeeete!» e io piazzo la volée di diritto facile. Siamo sei-cinque per me (che sono Federer, però: lo scenario mi impone di giocare vestendo i suoi panni). Sul trenta pari ricor-


GAME STOP: L'INTERVISTA

do la risposta di diritto d'incontro che Roger piazzò sul match point. Pete distrutto, Roger in ginocchio, Peter Lundgren che balla la lambada nel players' box. Al diavolo lo slice, Sampras: mi devi servire solo al centro, da destra. Avessi potuto giocarti la partita qui, caro mio, avresti capito che non s'aveva da fare, una cosa così... Beh, non c'è problema: carico la risposta a tutta, miro al giudice di sedia e tanti saluti al match point. Siamo al tie-break. Cinque pari. Ma non me la sento, non oggi. Forse non ha senso cambiare la storia. Federer, cioè me stesso, ha già sbagliato due risposte di rovescio nel tie, e ha ancora quel rovescino tagliato leggero che negli anni diventerà un colpo di rasoio. Clic. Vuoi abbandonare la partita? Ma sì, abbandoniamola. Mi sento come quelli che sfregiano le statue agli Uffizi. Non si violenta la storia. Nel menu di Espn Grand Slam® Classics posso togliermi il gusto di pasticciare il libro di ciò che è stato come mi pare: rigiocare il quinto set della finale di Wimbledon1980 tra McEnroe e Borg, per esempio (lo faccio per un solo game: lascio Borg sotto 0-40, così impara a recuperare una partita psicologicamente persa tre volte e a vincere 8-6 nel set finale). Ma non è finita: c'è veramente di tutto. Volete far rivincere la finale dei Championships del 2008 a Rafa? Avanti, c'è posto. Oppure vi va di concedere a Chris Evert la rivincita della finale di Flushing Meadows del 1984, quella persa in tre set contro Martina Navratilova nel mitico Super Saturday dell'otto settembre? Io l'ho fatto. Solo che ero Martina. Nessun problema: mi lascio amabilmente frustare dal diritto in cross della Evert sul mio rovescino slice. E vai, Chrissie, che quella finale te la meritavi tutta: tanto, per Martina, Slam più o Slam meno non faceva differenza. Per te, sì.

Grand Slam Tennis 2 si aggiunge a Top Spin 4 e Virtua Tennis quale top game tennistico. E per fare il punto della situazione abbiamo intervistato Marco Micallef, Managing Director di Game Stop, catena di negozi di videogame leader in Italia. Che ruolo recitano i videogame di sport nel mercato? “Alcuni titoli sono tra i top game dell’anno, in particolare quelli legati al calcio in Europa, al basket e football americano negli Stati Uniti. Il tennis si è ricavato il suo spazio ma la proporzione rispetto al titolo di calcio più venduto è di 1 a 20”. Come giudica i tre principali giochi di tennis: Grand Slam Tennis 2, Top Spin 4 e Virtua Tennis? “Il tennis è uno sport con tantissimi praticanti e i giocatori di videogame li peschi tra loro. Per questo i giochi di simulazione si fanno preferire. In questo senso Top Spin 4 è bellissimo e, anche se è appena uscito, anche Grand Slam Tennis 2 promette molto bene perché dietro ha la corazzata di EA Sports. Virtua invece è un gioco più arcade e si rivolge ad un tipo di giocatore che ama questa tipologia di gioco”. Grand Slam Tennis 2 propone anche di rigiocare dei match storici con i campioni del passato: quanto contano i testimonial per un videogame? "Per me, che sono anche un appassionato di tennis, è un'idea meravigliosa, la possibilità di rigiocare McEnroe-Borg nella finale di Wimbledon 1980 e magari cambiarne l'esito! La completezza dell'offerta è un aspetto decisamente importante. Per questo Grand Slam Tennis 2 promette bene, perché ha tutti i giocatori e i maggiori eventi: una corretta simulazione è quello che spinge l'appassionato tennista ad acquistare il videogame". Tra le varie console, quale si lascia preferire? Se pensiamo ad una console per i giochi sportivi, PS3 e XBox 360 sono una scelta obbligata. Per giocare in famiglia invece, la Wii rimane la console più adatta.

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PSICO TENNIS

IL SEGRETO DELLA

VITTORIA GLI SCIENZIATI COMINCIANO A CAPIRE MEGLIO I FATTORI CHE RENDONO VINCENTE UNA PERSONA. E CHE FUNZIONANO NEL TENNIS COME NEL LAVORO. E PERFINO NELLE GUERRE by Nick Summers / Stati Uniti

photo by Wil iam West / Getty Images

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ndre Agassi stava perdendo di brutto. Dopo un inizio di carriera fulminante, in cui si era fatto notare per la miglior risposta al servizio e i riflessi più veloci del circuito tennistico, all’inizio degli anni 90 era diventato la classica eterna promessa: collezionava sconfitte e crollava sistematicamente nelle finali. Nel marzo del 1994, a Key Biscayne, in Florida, Agassi perse contro un Pete Sampras debilitato da un’intossicazione alimentare rimediata pochi minuti prima che cominciasse la partita. Frustrato e senza una guida, accettò di andare a cena con un possibile nuovo allenatore, un ex tennista di cui non ammirava particolarmente lo stile. Brad Gilbert era infatti l’anti-Agassi, un giocatore modesto che spesso era riuscito a vincere partite in cui non

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sembrava avere la minima chance. Glibert aveva appena pubblicato un libro: Winning Ugly (Vincere Sporco). Durante la cena a Key Biscayne, Agassi gli chiese un giudizio spassionato sul suo gioco: perché continuava a perdere con tennisti meno bravi di lui? Gilbert lo rimproverò per la sua inutile ricerca della perfezione. Invece di tentare un colpo vincente a ogni punto, doveva limitarsi a rimettere la palla in campo e aspettare che fosse l’avversario a commettere un errore. Nella sua autobiografia, Open (Einaudi 2011), Agassi ricorda le parole di Gilbert: «È tutta una questione di testa, amico. Con il tuo talento, se fisicamente sei al 50 per cento ma di testa sei al 95 per cento, vinci. Se fisicamente sei al 95 per cento e di testa sei al 50 per cento, perdi, perdi e continuerai a perdere» Agassi lo scelse immediatamente come allenatore e Gil-


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bert cominciò a lavorare sul suo gioco. All’inizio le sconfitte non mancavano, ma lentamente arrivarono anche le prima vittorie, in partite che il vecchio Agassi avrebbe perso. Così, cinque mesi dopo il tennista conquistò il suo primo US Open, travolgendo gli avversari come uno schiacciasassi. «Cado in ginocchio - scrive Agassi nella sua autobiografia ricordando quei momenti -. Gli occhi mi si riempiono di lacrime. Guardo verso il mio angolo…tutto quello che devi sapere su qualcuno lo capisci quando lo guardi in faccia nel momento del tuo trionfo più grande. Ho creduto nelle capacità di Brad fin dall’inizio, ma adesso, vedendo la sua gioia pura e incondizionata per me, credo incondizionatamente in lui». Finalmente la sua testa si era liberata. Agassi si tagliò a zero la sua mitica, lunga chioma e sconfisse Sampras in quattro set nella finale della sua terza vittoria in un torneo del Grand Slam, l’Open d’Australia del 1995, quando salì per la prima volta al numero uno della classifica mondiale. Ci sarebbero state (molte) altre sconfitte nella sua lunga carriera. Ma Andre Agassi aveva imparato a vincere. Cosa distingue un vincente da un perdente? La risposta più ovvia è che, almeno nello sport, chi vince ha un dono che i comuni mortali non hanno, come si potrebbe concludere guardando Novak Djokovic, il campione di Wimbledon e degli Open d'Australia e degli Stati Uniti, che all’improvviso sembra diventato inarrestabile: ad un certo punto nel 2011, aveva un record di due sole sconfitte su 66 incontri disputati. Ma la condizione fisica non spiega tutto. «Al mondo ci sono più giocatori di grande talento che giocatori vincenti» sostiene Timothy Gallwey, autore

una serie di collegamenti sorprendenti tra la chimica cerebrale, la teoria sociale e perfino l’economia. Messi insieme questi collegamenti ci offrono indicazioni sul perché alcune persone hanno regolarmente la meglio sulle altre.

LA DOMINANZA

Grandi passi in avanti sono stati fatti nello studio della dominanza, un sostituto scientifico abbastanza preciso del concetto di vittoria. Per anni gli scienziati hanno pensato che la dominanza fosse in gran parte determinata dal testosterone: più se ne ha, più alta è la probabilità di prevalere, e non solo nello sport. Un alto livello di testosterone è desiderabile anche in un consiglio d’amministrazione, in un tribunale e in tutti i contesti che premiano il rischio e il coraggio. Venticinque anni fa gli scienziati hanno dimostrato che gli ormoni hanno un ruolo nei cicli vincenti. Ogni vittoria dà un’iniezione di testosterone, che a sua volta dà un vantaggio nell’incontro successivo, dove si produrrà altro testosterone, innescando un circolo virtuoso. L’anno scorso però, alcuni ricercatori dell’università del Texas e della Columbia hanno scoperto che il testosterone è utile solo quando è regolato da piccole quantità di un altro ormone, il cortisolo. Infatti, per chi ha molto cortisolo nel sangue, avere un alto livello di testosterone potrebbe rappresentare perfino un impedimento alla vittoria. Sempre alla Columbia, un gruppo di ricercatori sta mettendo alla prova la nuova scienza della dominanza, prelevando campioni di saliva agli studenti del master in economia aziendale per misurare il livello di testosterone e cortisolo.

I VINCENTI SONO QUELLI CHE NON INTERFERISCONO CON L'ESPRESSIONE DEL LORO TALENTO. MA PRIMA DEVONO VINCERE LA GUERRA CONTRO LA PAURA di molti saggi sulla componente mentale nel tennis, nel golf e in altre discipline sportive. «Da un certo punto di vista, i vincenti sono quelli che non si mettono i bastoni tra le ruote da soli e interferiscono di meno con l’espressione pura del loro talento. Per riuscirci, prima devono vincere la guerra contro la paura, contro il dubbio, contro l’insicurezza. E non sono vittorie da poco». Secondo questa definizione, vincere è un concetto che non si limita al contesto fisico-sportivo: può essere esteso agli scacchi, alle gare di spelling, al mondo del lavoro e perfino alle guerre. Naturalmente non può essere esteso a tutto. L’ampiezza della nostra definizione di “vincere” indica che non esiste un unico gene della vittoria capace di abbracciare tutti i campi, né un interruttore cerebrale che trasforma chiunque in un campione. Tuttavia, neuroscienziati, psicologi e altri ricercatori stanno cominciando a capire meglio il concetto di “vittoria” e hanno scoperto

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Ogni studente riceve delle istruzioni per mantenere entrambi gli ormoni in equilibrio: deve mangiare cereali integrali ed eliminare il caffè per abbassare il cortisolo; deve andare in palestra e assumere vitamina B per alzare il testosterone. Il leader ideale, spiega il professor Paul Ingram, è «calmo, ma si contraddistingue per una forte spinta alla dominanza». Questo vale sia per gli uomini sia per le donne, e in teoria si adatta alla “vittoria” in diverse situazioni, per esempio per un contratto, una promozione o un utile trimestrale. Questa nuova scienza ci aiuta a fare luce sui grandi vincenti del passato. Proviamo a esaminare il caso di quello che forse è stato il più bravo di tutti a demolire gli avversari nelle sfide di ragionamento: il campione di scacchi Bobby Fischer. «Era consumato da un desiderio implacabile di distruggere l’avversario» dice Liz Garbus, regista del documentario Bobby Fischer against the world. «Bobby


si divertiva a far disperare chi aveva davanti. C’era qualcosa di sadico nel suo atteggiamento». Prima della sfida leggendaria con il russo Boris Spassky, nel 1972 in Islanda, Fischer si sottopose a un intenso allenamento in palestra. Al suo preparatore disse che quando avrebbe stretto la mano a Spassky gliel’avrebbe stritolata. Più si avvicinava l’incontro, più Fischer tergiversava ed era sfuggente, facendo richieste sempre più assurde ed esasperando il suo avversario prima ancora che cominciasse la partita. «Non credo nella psicologia - diceva Fischer a proposito dei giochi mentali -. Credo nelle buone mosse». Sotto gli occhi di tutto il mondo, Fischer si presentò finalmente a Reykjavik, e con il punteggio in parità sul due e mezzo a due mezzo, fece con grande freddezza una mossa che lasciò Spassky di stucco: pedone in C4. Fischer apriva sempre, invariabilmente di re, e questa era l’unica configurazione che Spassky aveva studiato. Quindi era impreparato alla nuova situazione. L’implacabile bellicosità di Fischer si era trasformata in una giocata sottile, subito seguita da una nuova aggressione. Spassky non fu più in grado di riprendersi: riuscì a vincere solo una partita delle quindici successive. Grazie alla forza della mente e al cocktail testosterone-cortisolo, Fischer era il numero uno al mondo.

hockey su ghiaccio alle olimpiadi invernali del 1980. Questa specie di gestione delle aspettative avviene anche nella mente degli atleti, spiega Scott Huettel, direttore del Center for Neuroeconomic Studies della Duke University. Al termine di una gara olimpica, l’atleta che vince la medaglia d’oro è, ovviamente, il più soddisfatto. La cosa sorprendente, osserva Huettel, è che il secondo più contento è chi vince la medaglia di bronzo, mentre chi prende l’argento è il più deluso. «Il nostro cervello mette costantemente a confronto quello che è successo con quello che poteva succedere - spiega Huettel -. Chi ha vinto la medaglia di bronzo pensa: ‘Ehi ce l’ho fatta per il rotto della cuffia. Che bello stare sul podio’. Chi ha preso la medaglia d’argento, invece, pensa solo agli errori che gli hanno impedito di vincere l’oro». Naturalmente a tutti piace vincere. Ma gli Stati Uniti, che sono nati vincendo sul campo di battaglia, hanno un rapporto speciale con la vittoria. «Quando tutti voi eravate bambini, avete ammirato il più bravo al gioco delle biglie, il più veloce nella corsa, il pugile più forte, i campioni di baseball, i migliori giocatori di football delle università - disse una volta il generale George S. Patton a un gruppo di soldati dell’esercito degli Stati Uniti in Inghilterra -. Gli statunitensi amano i vincitori e non tollererebbero dei perdenti» tuonò Patton. Il giorno seguente era il 6 giugno 1944, il D-day, e i soldati erano quelli che avrebbero invaso la Normandia. Tutti sappiamo dove collocare quella giornata nella colonna delle vittorie e delle sconfitte. Ma perché ammiriamo i vincenti? Perché mettiamo in gioco anche la nostra felicità quando li vediamo gareggiare? A un certo livello della nostra attività cerebrale immaginiamo di essere al loro posto. Il 4 novembre 2008, la notte delle ultime elezioni presidenziali, alcuni neuroscienziati della Duke University e dell’università del Michigan hanno dato della gomma da masticare ad un gruppo di elettori. Hanno raccolto dei campioni alle otto di sera, l’ora della chiusura dei seggi, e poi di nuovo alle 23.30, quando è stata proclamata la vittoria di Barack Obama. Normalmente a quell’ora il livello di testosterone si abbassa, ma tra i sostenitori di Obama era avvenuto il contrario. L’ormone, invece, era crollato negli elettori che avevano votato per John McCain. La partecipazione per interposta persona, spiegano gli scienziati, riflette quello che succede nella testa di chi gareggia. Lo stesso vale per le persone che seguono il football, il basket e qualsiasi altro scontro molto acceso, dai grandi match di Andre Agassi alla sfida di Bobby Fischer ai russi. Perché noi statunitensi amiamo chi vince? Perché ci fa amare noi stessi.

COSA C'È DI MEGLIO DELLA VITTORIA? VINCERE MENTRE QUALCUN ALTRO PERDE

RICOMPENSA ASSOLUTA

Cosa c’è di meglio della vittoria? Vincere mentre qualcun altro perde. Un esperimento di un economista dell’università di Bonn ha dimostrato che chi riceve un premio per il raggiungimento di un obiettivo trae molta più soddisfazione se qualcun altro non centra l’obiettivo o fa peggio di lui. Il risultato è in contraddizione con le teorie economiche tradizionali, secondo le quali la ricompensa assoluta è la motivazione centrale di ogni individuo. Questa è una delle molte incursioni della neuroeconomia nelle dinamiche sociali della vittoria. Gli studi neuro economici, un nuovo campo in cui si mescolano elementi della neuroscienza, dell’economia e della psicologia per individuare la motivazione delle scelte individuali, riguardano spesso il sistema dopaminergico, una zona del cervello legata alla ricompensa e all’anticipazione della ricompensa. I ricettori della dopamina sarebbero in grado di leggere le varie possibilità (per esempio una palla da tennis carica d’effetto che potrebbe rimbalzare dentro o fuori dal campo) e di valutare il loro livello di prevedibilità. Questo aiuta a capire perché la vittoria di una testa di serie contro uno sconosciuto non è particolarmente emozionante, mentre lo sono le vittorie inaspettate, come quella della nazionale statunitense di

© Newsweek 2011


United colors of tennis ÂŞ i e t par

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VENGONO DA PAESI BEN LONTANI DALLE TIPICHE ROTTE TENNISTICHE: EGITTO, NUOVA CALEDONIA, PAKISTAN, NIGERIA, ALGERIA, RHODESIA. EPPURE, ANCHE LORO HANNO LASCIATO TRACCE (NON SEMPRE INDELEBILI) NELLA STORIA DEL TENNIS di Corrado Erba

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VENGONO (O VENIVANO...) DA PAESI PICCOLISSIMI, PUNTI QUASI INESISTENTI SULLA CARTINA DELLA GALASSIA TENNISTICA, NAZIONI CHE DA SEMPRE HANNO NAVIGATO NELL’OBLIO TENNISTICO. EPPURE, PER QUALCHE SFOLGORANTE E ILLOGICO MOMENTO, ABBIAMO FATTO IL TIFO PER LORO. E CHI SI RICORDA DI WANARO N’GODRELLA, A CUI PER INCISO È STATO DEDICATO IL CENTRALE DEL TENNIS CLUB DI NOUMEA? OPPURE DEL NIGERIANO NDUKA ODIZOR, RIBATTEZZATO SENZA TROPPA FANTASIA IL DUCA? O DEI TOCCHI FATUI DELL’ALGERINO LAMINE OUAHAB? O ANCORA DEL SERVE AND VOLLEY D’ANTAN DEL PRINCIPE EGIZIANO ISMAIL EL SHAFEI? ALCUNI LI RITROVIAMO SOLO NEGLI ARCHIVI POLVEROSI DEI TABELLONI DI QUALIFICAZIONE DI REMOTI TORNEI CHALLENGER, MA ALTRI SONO GIUNTI A SFIDARE E A VOLTE BATTERE, I GRANDI CAMPIONI. LO GARANTIAMO NOI: TALI FANTASMATICHE FIGURE HANNO CALCATO, ECCOME, I COURTS DEL GLOBO TERRAQUEO, LASCIANDO IMPRONTE, A VOLTE DELEBILI, NELLA STORIA DEL GIOCO.

VICTOR ESTRELLA (fig.1) g.1) REPUBBLICA DOMINICANA Quella di Victor è una piccola, deliziosa storia di tennis. Unico giocatore professionista della Repubblica Dominicana, Victor dispone di mezzi (economici) talmente limitati da essere costretto a giocare ad intervalli. In sostanza, quando riesce a racimolare i soldi per viaggio, vitto e alloggio. Lontano anni luce dal jet set tennis, viaggia su Pullman Greyhound, alloggia presso famiglie e incorda le sue racchette a soli 18 chili, «principalmente perché cosi si rompono di meno». Lo scorso novembre ha conquistato a Medellin, il primo e unico titolo nel circuito challenger, battendo il local Alejandro Falla. Quando finisce i soldi, torna a fare il maestro di tennis nei villaggi a Bayahibe e a raccontare agli attoniti turisti che, a volte, gioca contro Raonic o Verdasco. ISMAIL EL SHAFEI (fi ( g.2) EGITTO Davisman figlio di Davisman, erede di una benestante famiglia egiziana uscita indenne dal post seconda guerra mondiale, il giovane Ismail non tardò a seguire le orme paterne, divenendo per gli agiografi del tennis, il più forte giocatore africano di tutti i tempi. Nonostante fosse cresciuto sui courts polverosi di Alessandria d’Egitto, il nostro rivelò ben presto una curiosa propensione per l’erba. Dotato di un ottimo servizio mancino e di un tocco non disprezzabile, venne spedito a giocare il torneo boys di Wimbledon, dove riuscì a perdere solo un match in due edizioni. Particolare non secondario, l’unico match perso fu una finale. Fece il suo esordio tra i grandi nel 1968, quando i pro si erano finalmente annessi al circuito dei finti amateur. Gli esiliati avevano appena rimesso il piede nel cancelletto che portava alla Porte d’Auteuil, ai Doherty Gates e a Kooyong, mentre vecchi marpioni si abbracciavano, ritrovandosi increduli. Si parla

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di Laver, di Newcombe, di Rosewall. Il circuito finalmente aveva ritrovato i suoi protagonisti. Nonostante cotanta concorrenza, il mancino egiziano calcò con successo ed eleganza i prati londinesi e se date un occhio agli yearbook, troverete che fu uno dei pochi eletti (quattro per l’esattezza) a battere un certo Bjorn Borg a Wimbledon: 62 63 61 nel 1974! Rimase molti anni nei top 100, sfiorando i migliori 30. Una volta ritiratosi, è stato Presidente della Federazione egiziana e membro di quella internazionale. Nessun altro tennista egiziano ha mai più giocato a Wimbledon. WANARO N’GODRELLA (fi ( g.3) NUOVA CALEDONIA Wanaro “Bill” N’Godrella è stato l’unico tennista professionista mai uscito dalla Nuova Caledonia. Nerissimo, tutto mossette e treccioline, la barba color carbone a contrastare il completo di un candido abbagliante. Giocava un tennis variopinto, fatto di potenza e improvvise accelerazioni, bombe tremende e pallate esplosive che si infrangevano sui teli di bordo campo. Con un tennis cosi rischioso, il miglior risultato non poteva che venire sull’erba di un non irresistibile Australian Open del 1972, dove Wanaro raggiunse i quarti di finale, battendo tra gli altri Phil Dent e venendo eliminato dal tedesco Karl Meiler. Nativo di Noumea, di etnia Kanac, fu il primo giocatore non europeo a rappresentare la madre Francia in Coppa Davis, giocando due match. Gestisce attualmente una scuola tennis in Nuova Caledonia e il campo centrale del Noumea Tennis Club, sede del locale Challenger ATP, è stato a lui dedicato. COLIN DOWDESWELL RHODESIA Veniva dalla remota Rhodesia, Colin Dowdeswell, figura singolare di tennista businessman. Il viso abbronzato, l’aria scanzonata

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da afrikaans, sembrava più un cacciatore coloniale con tanto di elmetto, sahariana e spingarda che un tennista professionista. In realtà, fu una mente sopraffina. Nato a Londra, presto trapiantato ad Harare in Rhodesia (l’attuale Zimbabwe) dove frequentò la prestigiosa Prince Edoard School, Colin si distinse nel tennis e nel golf. Dotato di un buon serve and volley, raggiunse presto i top 50 della classifica ATP, ma nel 1981, dopo pochi anni di tour, decise di mettere a frutto il suo Master in finanza internazionale, lasciando il circuito per una grossa “firm” londinese. Forse stufo di OPA e stock options, tornò dopo un paio d’anni, affatto scorato, raggiungendo immediatamente la finale degli Open Sudafricani. Nel 1984 divenne l’italico spauracchio in uno spareggio di Davis Cup dove il nostro, ormai emigrato in Inghilterra, rappresentava il classico ostacolo (quasi insormontabile) per la spaurita Italietta del dopo Panatta. Ma tanto bastarono un discreto Ocleppo e il vecchio Barazza. AISAM UL-HAQ QURESHI (fi ( g.4) PAKISTAN Aisam Ul-Haq Qureshi sarà ricordato per due particolari talenti. Il primo, un bel serve and volley che l'ha portato ad essere il miglior giocatore pakistano di tutti i tempi, il secondo, quello di sapersi scegliere sempre il partner di doppio più ingombrante possibile. Nativo di Lahore, ha cominciato a giocare solo in pre-adolescenza, ma presto è diventato uno dei migliori sul circuito dei boys, raggiungendo i top 20. Passato pro, ha ben presto intuito che il suo elegante ma leggero volleare l'avrebbe portato avanti solo nel circuito dei doppisti, dove si è creato fin da subito una discreta classifica. Tuttavia, è giunto alle cronache mondiali durante il torneo di Wimbledon 2002, quando decise di partecipare insieme ad Amir "Cinquepance" Hadad, un pacioso e talentuoso giocatore israeliano. Ora, accade che tra la nazione islamica del Pakistan e Israele non vi sia alcuna relazione diplomatica e il solo sportivo accoppiarsi scatenò un can can, amplificato dal fatto che si giocava a Wimbedon, con contorno di manifestanti pro e contro. I due raggiunsero il terzo turno e Qureshi rischiò di essere espulso dalla federazione pakistana.Affatto scontento di questa esperienza, che, per inciso, non durò molto, Qureshi si scelse un altro bel compagno di viaggio: Rohan Bopanna, un elegante giocatore indiano. Come noto, il Pakistan e l'India sono vicini di casa in stato di semi belligeranza da anni e la scelta scatenò altre ire. Per nulla scoraggiato, il nostro ha continuato a giocare con il partner indiano, raggiungendo i top 10 del doppio e conquistato una messe di vari premi umanitari.

LAMINE OUAHAB (fi ( g.5) ALGERIA Divenne, Lamine, un fedele compagno delle primavere fresche. Lo ritrovavo sui campi laterali di Lugano, Reggio Emilia, Milano, un tracagnotto tanto indolente da giocare un numero spropositato di drop shot, che morivano sulla terra allentata dalle pioggie di maggio. Ricordo in particolare un match infinito, contro un brasiliano di terza fascia al Lido di Lugano. L’altro tirava missili e Lamine, al secondo scambio, faceva partire il drop. La notte era fresca e silenziosa, i giudici di linea bambini di circa 12 anni (lo giuro, ho le foto), si sentiva il profumo del lago e con l’amico Teacher che spingeva per trasferirci in qualche locale di malaffare. Resistetti sino alla mezzanotte. Unico giocatore algerino pervenuto, non si è impegnato più di tanto: ha girato solo in Nord Africa, al più nel Sud dell’Europa. Ha vinto due challenger, a Montauban e nell’affine Tunisi. Pago del best ranking al numero 114 ATP e delle medaglie d’oro conquistate ai Giochi Panafricani (!?), il nostro si è di fatto ritirato, tra Algeri e Barcellona. N’DUKA ODIZOR (fi ( g.6) NIGERIA N’Duka Odizor, detto Il Duca, fu una delle meteore più fiammeggianti del continente africano. Dotato di un robusto gioco all court, sfiorò i top 50 ATP e rimase nel circuito dei grandi per una decina d’anni, conquistando un titolo in singolare (Taipei 1983) e ben 11 in doppio. Scoperto a soli 15 anni da Robert Wren, un professore texano in trasferta in Nigeria mentre tirava pallate su un campo impolverato di Lagos, il ragazzone venne trasferito sul primo aereo per il Texas, dove non tardò a mettersi in luce nei tornei junior, tanto che l’Università di Houston gli offrì una borsa di studio. Tanta fiducia fu ben riposta, visto che il Duca divenne “all american” (una specie di Nazionale) per ben tre anni di fila e gareggiò con successo anche nelle gare di atletica. Passato ai professionisti dopo aver ottenuto una laurea in marketing, rimase nei primi cento e dintorni per cinque anni filati. Molto ben voluto nel circuito per i suoi modi affabili e le movenze eleganti, si ritirò a inizio anni 90, iniziando la carriera di coach e allenando tra le altre Lory McNeil. Attualmente vive in Texas dove gestisce la Do-it, Duke Odizor International Tennis seguendo precetti tennistico-cristiani: “Il tennis è un microcosmo della vita. La fede cristiana è evidente nel mio modo di allenare. Se cercate un allenatore il cui metodo consista nello strapazzare i vostri ragazzi, non sono il vostro uomo.

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I racconti di Cino Marchese

Vitas Gerulaitis TENNISTA, STATI UNITI, 1954-1994 GIFTED ATHLETE , JOYOUS SPIRIT, GENTLEMAN AND GENTLE MAN. Alla sua cerimonia funebre, a cui ho tristemente partecipato, fu distribuita una fotografia di Vitas con la scritta sopra riportata che sintetizza l’esistenza di una persona apprezzata da tutti quelli che l’hanno conosciuta e frequentata proprio per quel suo spirito gentile e scanzonato.Vitas però è stato anche un grande giocatore. Magari non grandissimo, ma con un’immensa capacità di comunicazione. Ha vissuto grandi emozioni e sul campo è stato un giocatore generoso e leale. Forse ha commesso solo il peccato di non voler mai rinunciare a nulla. Si presentò sul grande palcoscenico del tennis mondiale a metà degli anni 70 e quel suo fisico asciutto e dinoccolato, quella sua capigliatura selvaggia che lo faceva un po’ figlio dei fiori, quel suo sorriso sincero, quel suo incedere dinamico e naturale, lo trasformarono subito in un grande beniamino. Erano i tempi del grande Elvis e anche sui campi da tennis proliferavano una miriade di sue imitazioni. Mi ricordo che lo incontrai la prima volta allo US Open del 1975 e anch’io ne fui attratto. La leggenda di quegli anni lo descrivevano come discendente di una famiglia molto ricca, ma non era così. Il padre era impiegato in una grande agenzia di viaggio ed era benestante, ma certamente non miliardario come veniva descritto.Vitas Senior era un uomo divertente, come sua moglie Donna e sua sorella Ruta, anche lei buona giocatrice. Insieme, formavano una bella famiglia.Vitas però era unico e la sua enorme carica vitale lo rendeva simpatico a tutti. Sul campo poi, nessuno metteva in dubbio le sue doti naturali. Bjorn Borg, suo principale avversario, ne era semplicemente ammaliato e cercava in tutte le maniere di imitarne lo stile di vita. Contro Borg,Vitas perdeva quasi sempre e, a parte una famosa partita a Wimbledon quando perse in 5 set combattuti e bellissimi, era sempre costretto a subire dei risultati molto netti. Ciononostante, divennero molto amici e, per stargli vicino, Bjorn acquistò una casa a Long Island, poco distante da quella di Gerulaitis. Erano tempi in cui la sera, durante i grandi tornei, i giocatori frequentavano i ristoranti e i locali alla moda, e Vitas era sempre l’ospite più ricercato e conteso.A Parigi da Castel, a Londra da Trump o da Annabel, a New York prima allo Studio54 e poi allo Xenon.A Roma, non c’era sera, anche prima di un match importante, senza che Vitas fosse segnalato al Piper. Tutti volevano bene a Vitas e anche Jimmy Connors, che non amava passare il tempo con i suoi colleghi che considerava nemici che volevano togliergli qualcosa di suo, con Vitas faceva un’eccezione.A tal proposito, mi ricordo che un anno con Ilie Nastase se lo affiliarono in tutto e per tutto.Vitas era alla fine della sua carriera e aveva cominciato ad eccedere in brutte abitudini e cattive compagnie, al punto che a Roma, Jimmy e Ilie lo curavano come un bambino perché se sfuggiva loro di mano sapevano dove sarebbe andato a finire. Una notte però,Vitas riuscì a liberarsi della loro guardia e scappò dall’Hilton. Mi telefonarono nel pieno della notte perché li aiutassi a trovarlo. Ci riuscimmo che era quasi giorno. E quel giorno, Connors rischiò di perdere da Gianni Cierro. Gerulaitis era anche un grande obiettivo degli sponsor che in quegli anni cominciavano a vestire i grandi campioni dello sport. Cominciò con Sergio Tacchini, poi fu messo sotto contratto da Maggia che per lui creò una linea di grande successo. Ovviamente faceva parte della scuderia di Mark Mc Cormack e fu particolarmente ambito anche per pubblicità, esibizioni e special events. Vitas amava anche la buona tavola e, di conseguenza, frequentare i migliori ristoranti del mondo. Ricordo che a Bruxelles, ci fu proposto un tavolo in uno dei più celebri locali di tutto il mondo, il celeberrimo “Comme chez soi“. Erano anni che tentavamo di andarci, ma la lista d’attesa era sempre troppo lunga. Quella sera fu possibile.Vitas, che conosceva le mie abitudini, informò il sottoscritto e Peter McNamara, australiano grezzo e non abituato a locali del genere, oltre a Jeremy Palmer Tompkinson, baronetto inglese e mio collega in IMG. Ci misero in una saletta al primo piano e ordinammo il menu “degustazione”. McNamara stava morendo di fame e dopo una consistente attesa ci venne servito la prima portata, servitaci elegantemente con dei maxi piatti coperti da una boule d’argento. All’unisono, i camerieri levarono il coperchio e in quell’immenso piatto candido, c’era una cozza gratinata.A quel punto, McNamara ci mandò tutti a quel paese!.Alla fine la cena fu eccellente e anche il rozzo Peter capì che a venire con noi cascava bene. Vitas ci manca molto.Tutti lo abbiamo amato per quella sua predisposizione all’amicizia. Sul campo fu un gran signore, sempre leale con i suoi avversari e altamente corretto. Fuori dal campo era magnetico e difficilmente ho visto gente piangere così sinceramente come al suo funerale.Anch’io ho pianto una persona che ho sempre rispettato anche quando ha ecceduto, bruciando una vita piena di momenti esaltanti, ma che forse doveva essere vissuta diversamente.

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TEST

SI CHIAMA ERT 300 e lo vendono gli svizzeri, gente concreta, abituata ad affidarsi ai numeri, prima ancora TENSIONE che alle sensazioni. Gente a cui non basta picchiettare le corde col palmo della mano per intuire se hanno perso SOTTO tensione ed è ora di sostituirle, senza aspettare che si rompano. L’ERT 300 è uno strumento che simula l’impatto CONTROLLO della palla e misura la tensione dinamica del piatto corde.Attenzione, dinamica, non statica: un dato oggettivo che traduce le sensazioni che avvertiamo all’impatto. Noi testeremo i vari modelli di corda, controllando la tensione dinamica dopo 24h, e poi dopo una e tre ore di gioco. Fatelo anche voi: i risultati possono essere sorprendenti.

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NOVITÀ 2012

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by Lorenzo Cazzaniga

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COSA CI È PIACIUTO

Grande sfornata di nuovi telai in questo inizio di 2012, anche perché sono arrivate le novità dei Big Three (Babolat, Head e Wilson).Tanti i motivi per essere soddisfatti. A partire da...

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La quantità di nuovi modelli è impressionante. Solo Wilson ne ha presentati oltre dieci. In totale parliamo dunque di oltre 20 nuovi telai che si aggiungono alle linee che restano sul mercato (basti ricordare, a solo titolo esemplificativo, la Babolat AeroPro Drive e la Wilson BLX Blade). Un numero davvero impressionante: non trovare una (nuova) racchetta che si addice al proprio gioco è sostanzialmente impossibile.

La nuova Pure Drive. È la racchetta simbolo degli anni 2000 e i complimenti ai designer francesi sono doverosi. A livello di puro style è il telaio più bello, a livello di prestazioni è del tutto simile a quello precedente (e ci mancherebbe altro). Anzi, la sensazione di maggior controllo è un piacere in più di cui godere. Tuttavia, passa troppo spesso in secondo piano la versione Roddick: perché chi è in grado di supportare i 15 grammi in più, avrà a disposizione un attrezzo ancora più performante.

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Che la Pure Drive GT rappresenti un bestseller non è certo una novità (ormai accade ininterrottamente da un decennio). Però anche la Head Prestige S promette di far molto, molto bene. C'era grande curiosità (nel 2012 si festeggia anche il 25esimo anniversario della linea Prestige) e le attese sono state confermate dalla qualità del prodotto. Per il giocatore dallo stile classico, che vuol continuare a usare un telaio in pieno stile Prestige ma cerca una racchetta più leggera, la versione S è perfetta. Certo, poi prendi in mano la Pro e ti accorgi che, se il braccio regge, è ancora meglio.

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l numero di nuovi telai Wilson è addirittura impressionante e comprende diverse linee nuove.Tuttavia, la Six.One 95 BLX resta il top di gamma per i giocatori agonisti. Bella, bellissima per l'agonista dallo stile classico e perfino la scelta tra due schemi di incordatura: 16x19 per un filo di potenza in più, 18x20 per un maggior controllo.

Il prezzo medio delle novità. Nonostante un lieve rincaro sia normale (ogni versione resta in commercio per circa due anni), le racchette da tennis continuano a essere uno dei pochi oggetti il cui prezzo non è cresciuto da quando è stato introdotto l'euro. E anche nel 2012, forse per non rischiare un calo nelle vendite data la crisi economica internazionale, i prezzi sono rimasti sostanzialmente invariati o comunque con rialzi più che accettabili.

È un tema controverso: tutti i nuovi telai sono usciti in concomitanza con l'Australian Open, tra metà gennaio e l'inizio di febbraio. Che per L'Europa non è il periodo dove si gioca di più (e nemmeno quello in cui si spende di più, visto che il Natale è appena passato). Davvero non sarebbe meglio scaglionare le uscite? Certo, quando ci siamo visti recapitare oltre 20 novità di racchette abbiamo goduto non poco...

Il numero di linee agonistiche (e varie declinazioni) di Head: Prestige, Radical, Speed, Extreme, Instinct. Oh, non lamentatevi, eh!

Leggi i test di tutte le novità 2012 su Tennisbest.com 118


COSA NON CI È PIACIUTO

Tuttavia, nonostante l'apprezzabile sforzo di offrire una gamma sempre più completa, non proprio tutto quello che è stato sfornato ci ha convinti totalmente. In particolare...

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La "Federer", alias Wilson Pro Staff Six.One Tour 90 BLX: il fatto che la utilizzi Roger spinge qualche appassionato a rischiare una racchetta che in pochissimi possono permettersi di utilizzare. E in ogni caso, la manovrabilità della vecchia Pro Staff Original 85, non si è più riusciti a riprodurla. Siamo convinti che, tranne rarissime eccezioni, sia impossibile (anche nella stessa, immensa gamma Wilson) non trovare un modello con il quale si giochi meglio. E siamo altrettanto convinti che, una volta ritiratosi Federer, si ritirerà anche la racchetta. Il bumper bianco della Prestige. Avrà anche la sua utilità, però rovina lo styling della racchetta, quel total look amaranto che ha fatto storia. Certo, quando si scende in campo l'efficacia è più importante del design, ma anche l'occhio vuole la sua parte.

E a proposito di stile, i designer Wilson dubito che prenderebbero un Oscar per quello che hanno combinato con le nuove linee, certamente aggressive ma anche molto (troppo?) colorate. Alla fine, la Juice in pieno stile caraibico, finisce anche con attrarre l'attenzione. Un azzardo, forse eccessivo.

I bidoni dei giocatori professionisti. Su tutti, Juan Martin Del Potro per il quale Wilson ha creato una linea sostanzialmente a lui dedicata, la Juice appunto, e invece l'argentino insiste nell'utilizzare un modello di due anni fa. E non solo, vincendo tanto, continua a slittare la data nella quale JMDP dovrebbe passare al nuovo telaio. Come non bastasse, per far spazio a questa nuova linea,Wilson ha tolto dalle mani di tutti i testimonial la Open, che invece resta uno dei telai migliori del marchio americano.

Babolat vive sostanzialmente di due linee: la Pure Drive e la AeroPro Drive, declinate in vari pesi, misure, eccetera eccetera. Un lusso che attualmente il marchio francese può permettersi perché dispone del telaio più venduto (la Pure Drive) e di un testimonial straordinario (Rafael Nadal).Però è indubbio che, per stare al passo con i competitor, arriverà il giorno in cui dovrà allargare la sua gamma (in questo senso si notano i sempre maggiori sforzi di spingere la linea Storm). Anche perché la AeroPro Drive è molto legata alla figura di Nadal che non giocherà in eterno.

Spesso si dice che il classico giocatore di club (ovvero la maggioranza assoluta dei praticanti) utilizza una racchetta troppo difficile, che non lo aiuta abbastanza. Poi osservi attentamente le novità del mercato, e ti accorgi che in gran parte sono racchette agonistiche e anche piuttosto dure, rigide. E gli stessi modelli, declinati in pesi inferiori, non offrono performance straordinarie. Ma non si potrebbe educare l'utente finale creando più modelli facili, studiati esclusivamente per i giocatori di livello amatoriale? Sempre nello spirito di voler educare il consumatore finale, non si potrebbe provvedere a offrire maggiori indicazioni scritte sul telaio (talvolta è difficile anche solo trovare le classiche specifiche tecniche) o comunque fornire qualche approfondimento? O anche solo il tipo di corda consigliato (magari non solo marca e modello, ma anche qualche spiegazione aggiuntiva)?

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pure drive MORE THAN A RACQUET RACQUET, DICONO GLI AMERICANI QUANDO PARLANO DELLA «BABOLAT AZZURRA», DI CUI È APPENA USCITA LA VERSIONE 2012. UN TELAIO CREATO NEL 1994 E CHE HA RIVOLUZIONATO IL MODO DI GIOCARE A TENNIS. DAI PROFESSIONISTI AI GIOCATORI DI CLUB

Giovanni Pietra aveva riportato con precisione e onestà, quanto gli aveva suggerito un amico, esperto in analisi di mercato: «Vuoi lanciare un nuovo marchio di racchette? Lascia perdere, rischi di fare una brutta fine. Il mercato è saturo, non c'è spazio per un nuovo brand». Eravamo a metà degli anni 90 e Pierre Babolat (allora Chairman dell'azienda, ora presieduta dal figlio Eric) aveva deciso di sbarcare nel settore delle racchette, dopo che per anni si era limitata a lavorare le budella del bue per farle diventare corde per strumenti musicali, preservativi e, infine, corde per le racchette da tennis. Niente poteva fargli cambiare idea, né un esperto analista dei mercati mondiali, né i (leciti) dubbi che potevano insorgere nell'ampliare la propria produzione. Anzi, la necessità arrivava proprio dal voler sfruttare l'enorme know-how che si era creato in oltre un secolo di attività (Babolat creò la prima corda da tennis nel 1875, due anni prima della nascita di un torneo inglese: Wimbledon) e, questione da non sottovalutare, la volontà di crescere nei fatturati (tanto per darvi un'idea, il fatturato della filiale italiana è cresciuto

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da 2 a 8 milioni circa dall'introduzione delle racchette). Il nocciolo era però scegliere una prima linea di telai che incontrasse i favori del pubblico. E mai scelta fu più azzeccata. Nel 1994 arrivò sul mercato un modello che non presentava reali novità (se a qualcuno avesse tra le mani una vecchia Pero Kennex Destiny troverebbe delle analogie sorprendenti) ma che divenne presto un'icona. A favorirne l'esplosione, un bel giovanotto delle Baleari, a nome Carlos Moya. Nel 1997, a meno di tre anni dal lancio, Moya arrivò in finale all'Australian Open, decretando il boom di una racchetta che era destinata a cambiare non solo gli aspetti economici di un'azienda, ma il modo di giocare, dai professionisti ai giocatori di club. Ed è incredibile pensare che Moya in realtà utilizzava un modello ancora più facile, meno agonistico, addirittura pensato per le socie non più giovani dei nostri circoli: la Soft Drive. La Pure Drive non si è però fermata a Carlos Moya, tutt'altro. Però (e qui si vede che il destiny era segnato nel DNA della racchetta) proprio i buoni uffici di Moya ha permesso


agli scout francesi, all'epoca guidati da Luca Appino, piemontese doc, di avvicinare una giovane promessa spagnola: «Diventerà un fenomeno» sintetizzò Moya. Quel ragazzino, anche lui della Baleari, si chiamava Rafael Nadal. E fu proprio in onore di quella sana amicizia che legava il brand francese a Carlos Moya che spinse Babolat a firmare Nadal al posto della maggior speranza transalpina (tale Richard Gasquet), nonostante il nazionalismo francese e il fatto che fino ai 16 anni, Gasquet era considerato più forte di Nadal. I primi successi di Nadal arrivarono proprio impugnando la Pure Drive, la quale però era talmente performante da non necessitare di un particolare testimonial; e difatti Babolat riuscì, a metà anni 2000, a dirottare Nadal su un altro telaio, del tutto simile ma che sfruttava una nuova tecnologia (Aero), creando così non una, ma due linee di successo. Nel corso degli anni, la Pure Drive ha subito leggere modifiche, quali l'inserimento della tecnologia Woofer, poi l'aggiunta di tungsteno, quindi il sistema antivibrazione Cortex. Ma nella sostanza non è mai cambiata granché, tantomeno nelle specifiche tecniche: 100 pollici di ovale, 300 grammi non incordata, costruzione tubolare per una maggior spinta e resa delle rotazioni, profilo allargato senza eccessi e schema di incordatura aperto da 16 corde verticali e 19 orizzontali. Per chissà quale alchimia, la racchetta funzionava (e funziona) nelle mani dei professionisti come tra quelle dei giocatori di club. Certo, esalta soprattutto le rotazioni e se ne avvantaggia il giocatore moderno che ama picchiare piuttosto che quello che gioca molto classico e ama toccare di fino. Però la sua duttilità è perfino sorprendente. Tuttavia, monsieur Babolat deve ringraziare un'azienda belga che all'inizio del nuovo millennio inondò il mercato con nuove corde: si chiamava Luxilon e, insieme ai telai in stile Pure

Drive, avrebbe rivoluzionato il modo di giocare a tennis. Se Agassi le definì illegali, montati sulla sua Head Radical, su telai tubolari esaltano ancor di più un concetto che Todd Martin mi espresse nella meravigliosa club house del Real Club de Barcelona, dieci anni fa: «Se prendi una racchetta come la Pure Drive e ci monti sopra un Luxilon Big Banger, puoi tirar forte quanto ti pare, tanto la palla non uscirà mai. E se qualcuno prova ad attaccarti, lo passi che è un piacere perché puoi imprimere delle rotazioni pazzesche e trovare angoli un tempo impossibili. Con questo binomio racchetta-corda è come se d'improvviso avessero allargato il campo. Peccato che così facendo, non vedremo più vincere un giocatore serve&volley». Todd Martin fu abile profeta, ma si dimenticò di dire che, grazie alla Pure Drive, stormi di giocatori e giocatrici, diciamo senza una particolare predisposizione, possono giocare tranquillamente, sfruttando una manovrabilità, una potenza e un comfort all'impatto che non ha sostanzialmente trovato eguali. Oddio, in realtà c'è chi si è avvicinato notevolmente. Dato l'enorme successo commerciale (nel 2000 è sbarcata sul mercato americano grazie anche al modello Roddick, 15 grammi più pesante, ed è rimasta in testa alle vendite dei negozi specializzati per decine di settimane), è il modello che attualmente vanta il maggior numero di imitazioni, più o meno evidenti. Tanto che tutti i marchi, piccoli e grandi, alla fine nella loro gamma hanno un "300 grammi, ovale 100", concetti tecnici che sono diventati ormai un marchio di fabbrica. Post scriptum: non è dato sapere se Giovanni Pietra ha continuato a chiedere analisi di mercato al suo amico (di cui, per ovvie ragioni, si preferisce tenere riservate le generalità).

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PURE DRIVE GT

BABOLAT

Dopo aver raggiunto i quarti di finale all'Australian Open, Sara Errani ha ringraziato... la sua nuova Pure Drive: «Tiro più forte, più profondo e con maggior rotazione: un cambiamento che mi ha aiutato tanto»

Bellissima, anche esteticamente. Rispetto alla versione precedente, si avverte una maggior solidità all’impatto che si traduce in maggior controllo (tanto di potenza ne resta sempre tanta). Si adatta al giocatore di club che cerca spinta o all’agonista che usa tanto le rotazioni e quindi trova adeguati compromessi tra potenza e controllo (trovando il giusto set-up con le corde, monofilamento in testa). In fase di recupero è quasi insuperabile. L’agonista che ama il gioco classico fatto solo di botte piatte non sfrutterebbe appieno le peculiarità dell’attrezzo.

Test A CHI LA CONSIGLIAMO Giocatori agonisti che amano picchiare ma soprattutto usare forti rotazioni, top spin in particolare. Oppure giocatori di club che cercano potenza, comfort e manovrabilità.


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Uso tranquillamente la versione in commercio, con tanto di sistema Cortex. Rispetto a quella precedente è migliorato il controllo e ne sono contento perché la potenza non ha mai fatto difetto. Ora però sento di poter picchiare con maggior tranquillità e fiducia. Come corda, uso un monofilamento

ALESSANDRO GIANNESSI, 131 ATP

Il sistema Cortex è stato migliorato per ottenere maggior feeling e smorzare ancor di più le vibrazioni. Per il resto, è la classica Pure Drive da 100 pollici, 315 grammi incordata, schema da 16x19, profilo allargato fino a 26 mm e un buon grado di rigidità. La spinta è sempre ottimale è la maggior solidità all’impatto è un fatto che offre solo vantaggi.

on court

Fantastica, anche perché ne hanno migliorato il controllo. Alla fine, ai miei clienti faccio provare diversi telai e lascio la Pure Drive per ultima. E alla fine, quasi sempre finisce che scelgono questa perché ci si adatta facilmente ed è ideale sia per l’agonista sia per il giocatore di club.

GIANLUCA, MAESTRO CLASSIFICA 2.8

Il sistema Trusstic offre un ottimo supporto mediale, mentre la gomma Ahar è garanzia di durata. Il battistrada a spina di pesce modificato si adatta alle varie superfici di gioco.

Non la cambierei per nessun’altra racchetta. Oltre a essere bella esteticamente, riesco a tirare molto, molto forte. Rischio di perdere controllo? Mah, il mio problema non è tirare lungo ma non tirare troppo corto!

FABRIZIO, 22 ANNI CLASSIFICA 4.1


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Test

PLAY-IT La stessa Federazione Italiana Tennis ha lanciato il Progetto Campi Veloci perché il tennis si sta sempre più spostando verso questa tipologia di superfici, soprattutto a livello professionistico. Per questo, un circolo che vuole svolgere una buona attività agonistica, non può prescindere dall'avere (anche) dei campi in superficie dura. Già, ma quanto dura? Play It, azienda leader nel settore, propone tre differenti mescole di resine che si adattano alle varie esigenze. In particolar modo ci è piaciuta la scel-

ta del Play Flex Comfort perché, come suggerisce il nome, aiuta a muoversi con maggior agio e senza traumi per le articolazioni. La differenza principale è data dal tappetino di gomma pre-fabbricato che risulta molto più morbido rispetto ai granuli di gomma posati a mano: il comfort per il giocatore è certamente migliore. Inoltre, uno strato maggiore rallenta anche la velocità del campo, consentendo di scambiare senza problemi sia al giocatore agonista sia al giocatore di club.


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Cambiamo spesso tipo di superficie sintetica, ma in generale ora sono decisamente più confortevoli di qualche anno fa. Soprattutto gli hard court all'aperto e le ginocchia ringraziano. In più, non sono molto veloci e questo permette di scambiare dal fondo e non solo di vedere botte di servizio.

Si è trovato il giusto compromesso tra comfort e velocità. La palla rimbalza sempre bene, prende le rotazioni ma non schizza via come sulle vecchie moquette. Però bisogna chiedere la versione comfort per un appoggio più elastico. Unico neo: le palle si consumano abbastanza velocemente.

PAOLO, 50 ANNI CLASSIFICA 3.3

Da giocatore ho sempre preferito Il sistema Trusstic i campi in terra offre un ottimo battuta, anche supporto mediale, perché 20 anni fa i mentre la gomma Ahar garanzia campi in ècemento di in durata. Il erano realtà battistrada a spina in mateco e te licato di pesce modifi raccomando. Ora si adatta alle varie superfi ci di gioco.è che la tecnologia avanzata, offrono ottimo comfort e dei costi di manutenzione tali che molto spesso diventano la scelta più conveniente.

Mi piacciono perché si adattano al gioco moderno. A me piace picchiare la palla e non devo temere i pallettari terraioli: almeno qui, se rischi la botta, tiri un winner. Altrimenti che senso ha? Ho giocato su tanti campi diversi: i migliori sono quelli più "soffici" perché riesci a muoverti meglio.

FILIPPO, 16 ANNI CLASSIFICA 4.1

È la scelta ideale perché rappresenta il miglior equilibrio tra la giocabilità e il comfort per il giocatore. In sostanza, è la soluzione più moderna e confortevole per un hard court.

Viene incollato un tappetino prefabbricato di granuli di gomma, quindi posati i tre strati di resina. In totale, misura 6 mm. Il vantaggio è dato dal tappetino che risulta meno rigido, offrendo un campo più elastico. Comprensiivo di incentivo FIT, costa 18.500 euro.

PLAY COMFORT

GRAZIANO, PRESIDENTE DI CLUB

Rispetto al Play Flex tradizionale riduce i traumi alle articolazioni, risultando più confortevole. Piace perché non troppo rapido e consente di scambiare con notevole facilità anche dal fondo.

Si tratta della classica superficie in resina moderna per i campi outdoor. Molto giocabile, con rimbalzo regolare e abbastanza alto. La palla si consuma piuttosto velocemente.

ANDREAS SEPPI TOP 50 ATP

Certificato ITF Classe 3 (velocità media), la tecnologia shock-absorber riduce le vibrazioni all'impatto col terreno. Sono posati a mano mircrogranuli di gomma e poi tre strati di resina. Nel complesso misura 4 millimetri. Comprensiivo di incentivo FIT, costa 16.500 euro.

PLAY CUSHION

Play Flex è un rivestimento costituito da una mescola di resine, fibre minerali e sabbie silicee. Adatto anche in condizioni climatiche estreme, vengono posti tre strati di resina che alla fine misura 2-3 millimetri. Comprensiivo di incentivo FIT, costa 12.500 euro.

PLAY FLEX

on court


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Test

GEL RESOLUTION 4

ASICS Un concentrato di tecnologia. La tomaia è leggera e traspirante con un disegno che segue bene la forma del piede e un rinforzo sul puntale. Asics segue quella che è una filosofia di design, l'Impact Guidance System che punta a far funzionare insieme (e in modo efficace) tutti i componenti della scarpa per garantire un movimento naturale. In sostanza, i designer Asics cercano di seguire, non di correggere il movimento dei piedi. Il Personal Heel Feet è invece una schiuma modellante posta intorno al collo del piede per una calzata an-

cor più personalizzata, mentre l’intersuola in materiale Solyte unisce durata e ammortizzazione. La suola è nella collaudata gomma Ahar che viene usata nelle zone di maggior usura con disegno del battistrada studiato sia per i campi in terra battuta sia in sintetico. Per chi gioca soprattutto sul rosso, da notare il sistema Anti Gravel Tongue che impedisce alla terra rossa di penetrare. Il sistema ammortizzante in gel sfrutta il silicone ed è utilizzato sia nell’avampiede sia nel tallone per ridurre i carichi di spinta e migliorare la stabilità.


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Ogni volta è una sfida a trovare qualcosa di meglio. E alla fine si torna sempre alla Gel Resolution. Comoda, stabile, supporta il piede, lo fascia senza esagerare, ammortizza gli impatti e favorisce gli scatti. È leggera e traspirante. Oh, ma che si vuole di più?

LORENZO, 40 ANNI CLASSIFICA 3.5

Impact Guidance System è la filosofia Asics che punta a far funzionare insieme tutti i componenti della scarpa, dalla parte posteriore, all’avampiede, per garantire un movimento naturale del piede e del corpo.

on court

Mettiamola così: io resterò fedele alle mie Resolution a vita fin quando non mi dimostrano che con un’altra volo! Non vado nemmeno a cercare un’alternativa, è perfetta. Su tutto, la grande stabilità, sia sulla terra battuta sia sul sintetico, e il supporto al piede: mi muovo con etsrema sicurezza.

GIACOMO, 50 ANNI CLASSIFICA 4.3

Dicevano che la versione Il sistema Trusstic precedente, ogni offre un ottimo tantosupporto si rompeva mediale, sulla mentre tomaia, a la gomma Ahar garanzia livello delè puntale. di durata.risolto Il Ora hanno battistrada a spina anche quel di pesce modificato difetto e hanno si adatta alle varie superfici di gioco. sostanzialmente raggiunto la perfezione (fino a quando non uscirà la Gel Resolution 5)

Brutte, brutte, brutte. Dai, scherzo, sono mica fesso. Però mi piacerebbe vederle addosso ad un super top player: diventerebbero ancora più belle! Mi piacciono soprattutto quelle nere e verdi: very aggressive!

VALERIO, 25 ANNI CLASSIFICA 4.1

Il disegno della tomaia segue la forma e i movimenti del piede per un maggior comfort, grazie anche al Personal Heel Feet, una schiuma modellante intorno al collo che personalizza la calzata.

PAOLO, 45 ANNI CLASSIFICA 4.2

Ideale sia per campi in terra sia in sintetico, la gomma Ahar garantisce presa del terreno e resistenza, grazie ai rinforzi nelle zone di maggior usura. Il supporto mediale offre ottima stabilità.


t s e T

La nuova tendenza? Il peso piuma Da buoni italiani, vogliosi di shopping in Montenapo o negli outlet di lusso (dopotutto siamo sempre un paese in crisi), anche nella scelta della scarpa da tennis, la questione look è preminente. Si può così raccontare di gel, cushioning, gomme indistruttibili e pelle morbidissima; alla fine, se il design è "tedesco", la scarpa resta sullo scaffale. Tuttavia, non trattandosi di una scarpa da passeggio o da mostrare ad una cena di gala, è chiaro che l'aspetto tecnico debba essere preso in serissima considerazione, qualunque sia la superficie sulla quale si gioca: sulla terra per ottenere adeguata trazione e stabilità, sul rapido (anche) per non incorrere in spiacevoli incidenti, cutanei e distorsivi. In particolare, le scarpe si differenziano in base all'ampiezza della calzata e si distinguono in due categorie ben precise: le superleggere, quasi fossero un mix tra una scarpa da tennis e una da running, e quelle "carro armato", più pesanti, solide, stabili. Generalmente, più sale il peso dell'atleta e più si dovrebbero privilegiare scarpe robuste che possono offrire degno supporto. In realtà, dipende anche dalle condizioni fisiche del giocatore. Il dott. Luca Avagnina è uno dei maggiori esperti in podologia in Italia, ha lavorato con diversi atleti professionisti e curato la creazione tecnologica di scarpe specifiche per il nostro sport: "In linea generale , potremmo affermare che un tennista dovrebbe utilizzare la scarpa più leggera possibile, senza che questo implichi perdere stabilità col terreno e supporto per gli arti inferiori". In sostanza, vale lo stesso discorso di quando si dice che si dovrebbe optare per la racchetta più pesante che si riesce a manovrare con agio. "La scarpa leggera certamente affatica meno. Nel running è fondamentale perché in una maratona

di 42 chilometri, immaginate cosa voglia dire migliorare anche solo impercettibilmente la qualità della corsa e diminuire l'affaticamento. Nel tennis la condizione non è così estremizzata, ma ha comunque la sua valenza. Però il peso non è la sola caratteristica che bisogna valutare nella scelta di una scarpa da tennis". Verissimo: se nel running infatti, si corre solo in avanti (per quanto molto a lungo...), nel tennis i cambi di direzione sono continui: "E per questo - continua Avagnina - la stabilità che offre la scarpa è un aspetto fondamentale. Ancor più importante del peso. A me piace paragonare la situazione a quella della Torre di Pisa: se sotto hai delle fondamenta solide, la Torre può restare inclinata senza cadere. ma se le fondamenta fossero deboli...". tradotto: se la scarpa è superleggera, ma non offre sufficiente stabilità, il rischio sono distorsioni, slogature eccetera eccetera. Inoltre, bisogna tener presente un altro fattore: "La scarpa molto leggera - dice Avagnina - è ideale per quei giocatori che hanno un appoggio neutro. Se invece si ha un piede valgo o si soffre di eccessiva pronazione o supinazione, allora la scarpe superleggera tende ad amplificare tale situazione creando disturbi che, nel migliore dei casi, saranno di tipo dermatologico, come le vesciche". Già, nel migliore dei casi, però. Quindi, è chiaro che se non si è particolarmente robusti oppure si cerca soprattutto comfort nella corsa, si può optare per una scarpa dal peso piuma, ma solo dopo aver verificato la piena stabilità sulle varie superfici. Quel che è certo, è che il mercato si sta muovendo in questo senso. Sfruttando inserti stabilizzatori sempre più efficaci, soprattutto nella zona mediale, la tendenza è quella

DI LORENZO CAZZANIGA

IN COLLABORAZIONE COL DOTT. LUCA AVAGNINA

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QUESTIONE DI GRAMMI

Ecco la classifica delle top scarpe del mercato, partendo dalle più leggere. Per tutti i modelli è stata utilizzata una misura 44.5. Una sola è rimasta sotto i 400 grammi.

Una corretta scelta della scarpa aiuta a prevenire i problemi al piede del tennista

di abbassare sempre più il peso della scarpa. Le nuove Asics Solution Speed hanno abbattuto la barriera dei 400 grammi (per una misura 44.5, vedi tabella a fianco), ma lo stesso Roger Federer è stato categorico nell'incontro con Tinker Hatfield:, celebre designer Nike, autore di tante versioni delle mitiche Air Jordan: "Caro Tinker, voglio una scarpa da running-tennis". Le nuove Vapor Tour 9 lo hanno accontentato. Stesso discorso anche per le Barricade 7, che restano una scarpa più pesante, che punta sull'estrema stabilità e supporto, ma che è stata comunque alleggerita e affiancata dalla linea Feather, estremamente leggera e confortevole. Quindi, uno sguardo ai grammi potete sempre darlo, se amate i pesi leggeri: Ma senza trasformarla in ossessione.

365 GRAMMI Le superleggere Asics Speed: (quasi) 50 grammi in meno della seconda.

408 GRAMMI Yonex SHT 307, appena sopra quota 400 grammi, ai piedi di Lleyton Hewitt.

411 GRAMMI Adidas adizero Feather, la linea (molto) leggera che punta soprattutto sul comfort.

411 GRAMMI Nike Vapor Tour 9: su richiesta di Roger Federer, una scarpa da running-tennis.

423 GRAMMI Wilson Tour Vision 2, offre un ottimo equilibrio tra la stabilità e il comfort di gioco.

430 GRAMMI Asics Gel Resolution 4: non la più leggera, ma la miglior scarpa da tennis sul mercato.

445 GRAMMI Nike Zoom Breathe 2K11, la terza linea Nike, per molti appassionati la vera numero 1.

445 GRAMMI Prince Rebel, un concentrato di tecnologie abbinato ad un look decisamente aggressivo.

448 GRAMMI Lotto Ultra Raptor II, ideale per chi cerca una scarpa di ottimo sostegno e stabilità.

456 GRAMMI Head Prestige Pro II, offre in particolar modo sostegno e traspirabilità al piede.

456 GRAMMI Nike Air Court Ballistec 4.3, la scarpa di Rafael Nadal: bella tosta, offre ottimo sostegno.

459 GRAMMI Babolat Propulse 3 Clay, non un peso piuma ma ottima fasciatura e stabilità del piede.

* FINE *

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solette NOENE GLI SLOGAN SONO PIUTTOSTO ACCATTIVANTI: “RIDUZIONE DEL 30% DEI TEMPI DI RECUPERO”, SEGUITO DA “98% DI ASSORBIMENTO DEGLI SHOCK” E UN CONFORTANTE “96% DI ATLETI SODDISFATTI DOPO L’UTILIZZO”. TUTTO VERO? Possibile che ‘ste solette Noene offrano tanti e tali vantaggi? Certo, il fatto che Andreas Seppi abbia garantito sulla qualità del prodotto (oh, senza che Noene sia un suo sponsor) ci aveva tranquillizzati. Due mesi di test hanno confermato le prime impressioni, così come le parole di Barbara Rossi, coach professionista (ed ex top 50 mondiale), che trovate qui sotto. Ma di cosa si tratta esattamente? Sono solette di vario genere che possono sostituire il sottopiede delle scarpe oppure (laddove non fosse possibile) essere infilato sotto (in questo caso si utilizzano solette di 1 o 2 millimetri). Noene è un materiale vibro-assorbente: in sostanza, elimina (al 98%...) i traumi all’impatto col terreno. In più, è stato abbinato il tessuto Nexus che, grazie alle Onde Infrarosse Lontane, migliora la circolazione sanguigna. Tradotto, possono aiutare chi soffre di tendiniti, tensioni muscolari, dolori alla schiena. Per questo sono efficaci in particolare se si gioca su superfici dure (sono consigliate anche… per le calzature non sportive); se invece giocate sull’amata terra rossa, il vantaggio sarà soprattutto un minor affaticamento muscolare. Sul prossimo numero, troverete un ampio servizio sui problemi ai piedi dei tennisti. E su come risolverli.

Test

ANDREA SEPPI N.1 D'ITALIA «Ho cominciato a usarle alla fine dell'anno scorso. nel 2011 mi sono infortunato al piede e volevo un prodotto che mi aiutasse sia nel ridurre gli shock all'impatto col terreno sia ad affaticarmi meno. Ormai le uso da diverse settimane e i risultati sono anche superiori alle attese. Soprattutto sui campi duri, mi aiutano a finire il match senza fastidi o traumi»

130

BARBARA ROSSI COACH PRO «Le avevo già provate tempo fa, ora ho cominciato a utilizzarle con maggior frequenza. Passo molto ore sul campo e anche se non devo muovermi come le giocatrici che alleno, da quando le utlizzo mi sono accorta che a fine giornata ho le gambe meno stanche. E considerando che ci alleniamo praticamente tutti giorni... E se poi funzionano anche con le scarpe non da tennis, è una vera manna!»

LORENZO CAZZANIGA GIORNALISTA «Un anno e mezoz fa mi sono operato al legamento crociato. Riprendere è stata dura. Pur con tutte le precauzioni del caso, dopo un'oretta di sforzo sentivo affaticamento e dolore. Ho cominciato a testare queste solette e la situazione è migliorata. Solo grazie a loro? Difficile dirlo con certezza, anche se la coincidenza è sospetta. In ogni caso, visto che infilarle nella scarpa costa poco...»

GIACOMO PICCHI GIOCATORE DI CLUB “Ero tormentato da una fastidiosa tendinite, soprattutto quando giocavo sui campi in cemento e il trucco della doppia calza non bastava più. Queste solette mi hanno cambiato la vita: il tendine che si infiammava dopo un match, non mi fa più male. Un test di verifica? Basta togliere la soletta... Poter riprendere a giocare sui campi in duro è stata una grande gioia. E motivo di qualche vittoria in più!»


Ogni giovedì, segui i consigli dei nostri esperti sulle corde su TennisBest.com

Test

Il monofilamento

Sono le corde più utilizzate dai giocatori pro. Ma come le possono sfruttare i giocatori di club?

Mario Parisio è uno dei migliori incordatori italiani con esperienze a Wimbledon, Roland Garros, US Open e tanti altri tornei ATP. Da questo numero, comincerà a illsutrare le varie tipologie di corda per aiutarvi a scegliere al meglio quella più adatta. Monofilamento: sono corde solo per professionisti? «Quelle più recenti sono più morbide e le possono utilizzare anche i giocatori di 4° categoria, facendo attenzione a tenere bassa la tensione: 24 kg è considerato il limite massimo. Dopotutto, anche i professionisti stanno scendendo di 2-3 kg. Il top però, il monofilo lo raggiunge come metà di un ibrido». Sono in atto dei cambiamenti in questo tipo di corda? «Grossi cambiamenti perché si sono accorti che stratificando materiali anche leggermente diversi tra loro, si possono ottenere grandi risultati. Le corde più evolute hanno l’anima in materiale morbido, una seconda sezione con rivestimento più rigido e infine una terza che può essere più morbida per ottenere maggior velocità di palla o rigida per migliorare la resistenza». Si parla spesso di un materiale: Olefine. «Si tratta di un composto del carbonio, quindi è piuttosto stabile, e si adatta bene al nuovo sistema di incordatura Jet (John Elliott Technique) che consiste nel tirare le corde orizzontali molto lentamente (come tempi di esecuzione) per dar modo alla corda di assetsarsi meglio. Tomic e Raonic la vogliono così e la differenza si sente: le corde orizzontali risultano più tese, ma funziona solo con le corde in Olefine, altrimenti si romperebbero troppo rapidamente». Quale è la racchetta ideale sulla quale montare una corda monofilamento? «Nel caso di un giocatore di club, le corde sagomate agiscono

meglio su una racchetta dal profilo sottile, quindi più sensibile. I professionisti invece, preferiscono corde lisce o leggermente zigrinate perché altrimenti romperebbero troppo in fretta». A livello di perdita di tensione, come si comporta il monofilamento? «Direi che 15 ore sono il limite massimo di utilizzo, dopo è meglio cambiarla, acnche se non si è rotta. Con le corde in Olefine si può arrivare a 20 ore. Certo, s epoi il livello di gioco cresce, il cambio deve avvenire prima perché la corda rischia di morire prima. magari non si rompe, magari non ha una evidente perdita di tensione, ma qualcosa nella struttura si modifica". Vi sono giocatori come Filippo Volandri che incordano a 13-14 kg: è una scelta condivisibile? «Può funzionare ma si otterrebbe il risultato in maniera innaturale, cioé per un movimento elastico e non per deformazione data dalla pressione all'impatto con la palla.Teoricamente, dopo un'oretta e mezza bisognerebbe cambiarla». Ma quanto costa un monofilamento? «Considerate che all'inizio le aziende li producevano perché costavano poco. Far produrre 200 metri di monofilamento (che equivalgono a 16-17 incordature) costa dai 9 euro per la più scadente ai 30 euro per le più performanti». E quanto conta la mano dell'incordatore? «Tantissimo. Ricordo che Forget utilizzava un multifilamento Tecnifibre e il suo ottimo incordatore è riuscito a fargli avvertire sensazioni pressoché uguali con un TS60, una corda molto economica. Così come un cattivo incordatore può rovinare anche le prestazioni di un budello». 131


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3/4 DIRITTO

1/4 ROVESCIO

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TECNICA 2 by Tom Parham, USTA coach

CIRCLE STINGER

È UNO SCHEMA IDEALE SULLA TERRA ROSSA: controllare lo scambio rimanendo nel “cerchio”, che rappresenta una posizione di totale comfort, e cercando di controllare lo scambio sfruttando il diritto anomalo. Serve una prima di servizio potente per rimanere con i piedi dentro il campo e colpire la palla in fase ascendente. Si deve coprire il campo per 3/4 col diritto, sfruttando l’esecuzione anomala da sinistra verso destra per attaccare il rovescio avversario. È uno schema non troppo difficile tecnicamente ma che necessita di un’ottima condizione fisica che permetta di girare intorno alla palla. Per questo, sulle superfici rapide bisogna essere ancora più veloci.

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TECNICA LA FORMAZIONE AGONISTICA

AGONISMO GIOVANILE

È INUTILE AFFIDARSI A FALSE SPERANZE: LA STRADA VERSO IL PROFESSIONISMO È COMPLICATA. PER QUESTO NON BISOGNA ABBANDONARE LA SCUOLA PRECOCEMENTE. E COMUNQUE, L'ESPERIENZA AGONISTICA AIUTERÀ UN RAGAZZO ANCHE NELLA VITA DI LUCA BOTTAZZI

D

IL FENOMENO DEL CAMPIONISMO a alcuni anni, nel nostro Paese, si è registrato un sensibile aumento di adolescenti che abbandonano la scuola per dedicarsi a tempo pieno al tennis.Tutto ciò è causato da diversi fattori tra i quali tre sono i principali. Il primo è relativo all’ambiente che tende ad alimentare, chiunque ne abbia il desiderio, il fenomeno del campionismo. Il secondo riguarda la dequalificazione della base, tutti si classificano e credono di essere giocatori e retrocedere è difficilissimo anche se si ottengono risultati prevalentemente negativi. Il terzo è l’elemento-vittorie ottenute nelle categorie giovanili a livello provinciale, regionale e, nel migliore dei casi, nazionale. Giovani di medio livello aderiscono a scuole o accademie agonistiche con programmi di allenamento particolarmente intensivi e attività internazionale. Oggigiorno l’attività internazionale giovanile è distinta in quattro o cinque fasce. Questo aspetto permette praticamente a tutti, specialmente a coloro i quali sono disposti a recarsi nei Paesi più disagiati e di minor cultura tennistica, di partecipare alle qualificazioni o addirittura entrare in tabellone, per cominciare a costruirsi una classifica mondiale. Questa attività ha costi molto elevati, ma quale genitore non sarebbe disposto a sacrificarsi per la carriera del figlio? Anche negli USA si sono verificati casi di abbandono scolastico, ma solitamente tra sportivi in età universitaria e non adolescenziale. Ricordiamo che hanno giocato per le università americane anche futuri vincitori di tornei del Grand Slam come Smith, Connors, McEnroe (fig.3). Qualcuno potrebbe obiettare che rispetto agli anni 70, il tennis è cambiato e che attualmente per arrivare al professionismo bisogna rinunciare precocemente a una formazione culturale. Di fatto già la generazione dei Sampras e degli Agassi non proveniva più dal bacino dei college né tantomeno da quello universitario, ma bensì da quello delle Academy, dove al confronto, la formazione scolastica del cliente-allievo è praticamente un optional. La questione in merito a quanti giovani abbiano frequentato Academy e attività internazionale e quanti poi siano diventati campioni o almeno giocatori top 100, forse merita più di una riflessione. Da segnalare che dagli anni 70 ad oggi, si sono comunque affermati campioni che hanno proseguito gli studi in forma tradizionale, tra cui ricordo Gaudenzi (fig.1), Pernfors, Blake (fig.2), molti altri invece sono diventati ottimi giocatori top 200. L’argomento trattato genera un interrogativo: “È possibile per chiunque diventare professionista nel tennis o bisogna possedere attitudini e requisiti particolari? Oltre 2.000 tennisti maschi e 1.800 femmine sono presenti nelle classifiche mondiali professionisti. Attraverso la sola attività dei tornei utili a costruire classifica, il pareggio economico per il sostentamento e per l’attività tennistica si raggiunge all’incirca arrivando al numero 300 del mondo tra gli uomini e 200 tra le donne. In queste classifiche vi sono generalmente tennisti di età compresa tra i 19 e i 33 anni, quindi appartenenti a quindici differenti annate di nascita. Di conseguenza, per aspirare al professionismo, è ragionevole ritenere che tra i giocatori sia necessario valere almeno i primi 20 del mondo della propria annata e tra le giocatrici le prime 14. Ovviamente possono esserci eccezioni. Se l’evidenza dei numeri non basta si può pensare anche di raddoppiarli, ma andare oltre questi riferimenti, il desiderio di diventare un tennista professionista in grado almeno di pareggiare i conti diviene velleitario. IL RUOLO FONDAMENTALE DELLA SCUOLA Gli argomenti sopraccitati, per noi del gruppo R.I.T.A., sono parsi da subito evidenti e ci hanno suggerito di rivoluzionare il segmento formativo dedicato all’agonistica. Pur aspirando a perseguire la finalità di formare tennisti in grado di giocare un tennis completo, consapevoli e autonomi, anche con aspirazioni professionistiche, i nostri allievi non coltivano false aspettative in merito a fantasiose carriere. Tutti i nostri utenti sono tenuti a frequentare la scuola come qualsiasi altro coetaneo. Riteniamo che la scuola, oltre a svolgere il suo riconosciuto ruolo formativo, concorra in maniera importante allo sviluppo di un tennista più capace di apprendere e in grado di prendere decisio134

(fig.1)

(fig.2)

(fig.3)


ni cruciali in merito alla scelta dei propri tecnici e del proprio percorso verso il professionismo con maggior serenità. Affermiamo, senza alcun dubbio, che è preferibile formare un giocatore culturalmente preparato piuttosto di sacrificare l’educazione di una persona a una carriera da tennista di pseudo vertice solo per fargli giocare qualche torneo Futures o Challenger in più degli altri e infine, acquistare il biglietto per Wimbledon come spettatore. Nelle diverse accademie o scuole agonistiche, il prodotto solitamente più conosciuto e venduto, passa attraverso l’offerta di grandi quantitativi di ore di allenamento. Questo prodotto è spesso incompatibile con la frequenza di un liceo, ma assai compatibile con un elevato esborso di denaro. Per strutturare un percorso agonistico conforme alle nostre finalità abbiamo dovuto rielaborare l’approccio metodologico e didattico per riuscire a conciliare il tempo da dedicare allo studio con quello per gli allenamenti. Inoltre, fatto non trascurabile, offriamo all’utenza la possibilità di un costo sensibilmente ridotto rispetto al mercato, equo e compatibile, fondato sulle reali capacità e prospettive del discente. La nostra soluzione è la ricerca di una elevata qualità delle sollecitazioni allenanti che col crescere del livello non richieda un ingente incremento di quantità. Gli obiettivi che vengono prospettati ai nostri allievi e alle loro famiglie, circa le opportunità che offre il tennis attraverso il nostro percorso formativo, sono aspetti correlati in primis a un modello educativo e di salute. Le prospettive che si susseguono riguardano altri elementi, come la facilitazione nelle relazioni, viaggiare, accedere a borse di studio universitarie all’estero, l’inserimento nel mondo del lavoro in ambito sportivo. La prospettiva di carriera da tennista professionista è l’unica ipotesi che non viene mai menzionata, perché è un fattore che si determina da sola, qualora ne emergessero i presupposti. Per approcciare a quest’ultimo obiettivo consigliamo all’allievo che ne ha i requisiti di arrivare in età universitaria, dove è possibile cominciare a valutare l’opportunità di continuare a conciliare l’attività agonistica con gli studi, dando prevalenza all’uno o all’altro aspetto, qualora si dovesse decidere di impegnare un biennio per provare la via del professionismo. Riteniamo comunque opportuno l’iscrizione dell’allievo all’università, sia pur con frequenza e numero di esami subordinati all’impegno sportivo. L’eventuale scelta di dedicarsi successivamente all’insegna-

mento deve essere consapevole e completata da studi adeguati e mai conseguenza di un percorso formativo incompleto e inadatto a professioni diverse. MODELLO ORGANIZZATIVO E OBIETTIVI L’accademia agonistica del metodo R.I.T.A. prosegue il percorso formativo iniziato con la propedeutica (4/7 anni) e la scuola tennis (7/13 anni). I diversi segmenti formativi realizzano nel loro complesso la “R.I.T.A. Tennis Academy”. L’agonistica è rivolta a ragazzi tra i 14 e i 19 anni, abbraccia l’intero periodo delle scuole superiori fino all’accesso all’università e viene distinta in agonistica base, dai 14 ai 16 anni e specializzazione dai 17 ai 19 anni. Il calendario dell’accademia ricalca quello istituzionale scolastico, mentre quello di gara si sviluppa prevalentemente nei periodi di chiusura delle scuole, per le festività natalizie, pasquali e soprattutto estive. Per i quattordicenni che frequentano l’agonistica base, la seduta di allenamento è di due ore e mezza per quattro volte a settimana, di cui una collocata nel week end, per far fronte con maggior agio agli impegni scolastici. Nella parte tecnica la lezione varia da 100 a 120 minuti, quella complementare da 80 a 60. Gli obiettivi principali riguardano il consolidamento dei fondamenti strategici e l’introduzione dei fondamentali tattici, riconoscere le situazioni di gioco e selezionare tempestivamente la risposta adeguata. Il livello di maestria esecutiva deve permettere di attuare molteplici strategie di gioco con controllo di angoli, traiettorie e velocità della palla, correttamente correlate tra loro. Le esercitazioni sono improntate principalmente a seguire i parametri di continuità e precisione in un modello di tennis attivo, verticale, non interlocutorio. Gli aspetti a cui dedicarsi con particolare attenzione sono servizio e risposta. La formazione attraverso le gare deve prevedere circa trenta singolari in incontri ufficiali, individuali e a squadre, prevalentemente nell’ambito delle categorie giovanili e, per quanto complicato dalla sconsiderata emulazione di quanto avviene tra i professionisti, un simile numero di doppi. Per i diciassettenni che frequentano l’agonistica di specializzazione, le sedute di allenamento settimanali sono cinque, due delle quali nel fine settimana, di cui una dedicata ad attività gestita autonomamente dagli allievi su tematiche strategiche e tattiche indicate dall’insegnante. Gli obiettivi principali riguardano il completamento degli aspetti della fase precedente con l’aggiunta del parametro dell’intensità. In questa fase si comincia a ricercare il proprio modello strategico prevalente per arrivare a definire lo stile individuale, con la finalità di elevare la massima prestazione. Inizialmente le esercitazioni saranno orientate alla valorizzazione dei punti di forza degli allievi e successivamente a colmarne le debolezze.Attraverso il consolidamento dei fondamentali tattici migliorerà ulteriormente la gestione delle situazioni di gioco. Il numero di incontri ufficiali è prossimo ai quaranta incontri di singolare annuali, da disputare principalmente nelle categorie Open. Il doppio è ancora un ottimo strumento formativo anche se poco diffuso nelle competizioni nazionali. SAPER VINCERE E SAPER PERDERE Il tennis è uno sport per tutti. Al contrario, il tennis di vertice è uno sport per pochi. La probabilità di diventare un campione rispetto alla base dei praticanti è talmente ridotta che statisticamente è più facile vincere un grosso premio alla lotteria. Percorsi sportivi equilibrati con obiettivi concreti e costi normali esistono. L’utente deve informarsi e scegliere tra le varie offerte, evitando di diventare consumatore a caro prezzo di speranze. La falsa speranza è il prodotto più venduto al mondo e l’ambiente sportivo non fa eccezione. Fortunatamente non mancano i fattori positivi, ma importante è saperli identificare. Il tennis è innanzitutto uno sport di alto valore pedagogico formativo. Si tratta di un gioco che aiuta a mantenere la salute, è possibile praticarlo per quasi tutta la vita, è un’attività straordinaria per esercitare e ampliare l’intelligenza. È tra gli sport più diffusi al mondo, ha un’attrattiva relazionale unica, è il solo dove si gioca insieme e contro tra uomini e donne. Nello studio e nel lavoro le opportunità sono particolarmente flessibili, l’impiego professionale si sviluppa dal principiante al campione. Il tennis insegna valori e competenze imprescindibili quali saper competere, rispettare le regole, lottare, vincere e soprattutto saper perdere. Saper perdere e ripartire è probabilmente il fattore che fa la differenza nella vita di ognuno di noi. I campioni sono coloro i quali sanno accettare meglio di chiunque la sconfitta, elemento fondamentale, da cui traggono insegnamento per costruire il loro successo; osserviamoli e cerchiamo di imparare anche noi. LUCA BOTTAZZI, ex giocatore professionista e docente di Scienze Motorie all'Università, commentatore SKY e socio fondatore di R.I.T.A. Per approfondire le tematiche trattate, potete scrivere a info@tennisbest.com 135


NESSUNO È PERFETTO NEMMENO I FAB FOUR. ANCHE DJOKOVIC E NADAL, FEDERER E MURRAY, HANNO ASPETTI DEL LORO GIOCO CHE POSSONO MIGLIORARE. SOPRATTUTTO QUANDO SI TRATTA DI PASSARE DALLA FASE DIFENSIVA A QUELLA OFFENSIVA. ECCO QUELLO CHE ANCHE VOI POTETE IMPARARE DAI (POCHI) ERRORI DEI TOP PLAYERS MONDIALI

DI MASSIMO SA

RTORI*

di EMILIO SANCHEZ

ATTACCO TRANSIZIONE DIFESA

LEGENDA

TRAIETTORIA DELLA PALLA

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SPOSTAMENTO DEL GIOCATORE


NOVAK DJOKOVIC

DOVE MIGLIORARE Dopo un anno di grande crescita, Djokovic ha stabilizzato il suo livello di gioco, diventando ancora più completo. È molto migliorato sotto l’aspetto fisico, mentale ed emozionale, cioè il cuore che mette in ogni partita. Djokovic ha pochi buchi nel suo bagaglio tecnico ed è capace di adattarsi ad ogni superficie. Dunque, c’è ben poco da migliorare, ma se c’è un momento in cui soffre è quando gioca contro avversari molto aggressivi. In quei casi, fatica a impostare i suoi schemi infatti contro Federer fatica molto di più che contro Nadal. E anche l’ultimo Nadal visto in Australia, certamente più aggressivo e propositivo del solito, lo ha messo alle strette. In sostanza, a lui non piace quando il gioco diventa troppo veloce (e infatti la superficie dove rende meno è il carpet indoor).

COME MIGLIORARE Io lavorerei così: dividerei il campo nelle classiche tre zone di difesa, transizione e attacco; Djokovic si sente a suo agio quando non è costretto ad andare troppo dietro la riga di fondo, posizione che non vorrebbe mai abbandonare. Anche in fase di risposta, cerca sempre di restare con i piedi sulla riga di fondo. Però, quando il gioco va veloce e si è obbligati a difendersi, non sempre è possibile. Infatti, contro un Federer che lo attacca, dovrebbe spostare la fase di difesa un paio di metri più indietro, per poi ritornare nella sua zona di comfort. Invece insiste troppo nel restare sulla riga di fondo, una posizione che in certi casi non gli permette né di difendersi adeguatamente, né di attaccare. Il primo passo indietro, che lui spesso rifiuta di eseguire, è invece quello più importante.

Djokovic dovrebbe allenarsi a difendersi anche dietro la riga di fondo. Quindi l’esercizio consiste nel farlo allontanare da quella riga, per poi farlo rientrare dentro al campo, nella sua zona di comfort. Bisogna farlo sia dal lato del diritto, sia da quello del rovescio. E quando viene attaccato, non deve cercare ad ogni costo di rispondere con i piedi dentro il campo, ma preoccuparsi di mettersi meglio dietro la palla.

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ANDY MURRAY

DOVE MIGLIORARE Si è avvicinato agli altri tre ma in tutti gli aspetti (tecnica, fisico, mentale) è ancora un passettino indietro perché ancora non li ha battuti in un match importante negli Slam. Lendl, che ha vissuto la stessa esperienza, potrà sicuramente aiutarlo. Lui fatica soprattutto a passare da una zona all’altra; fatica a passare dalla zona di transizione a quella di attacco quando spinge. E lo stesso avviene quando è attaccato perché resta troppo indietro, soprattutto dal lato del rovescio. E anche quando serve, deve imparare a stare dentro il campo, mentre quando risponde resta troppo lontano. COME MIGLIORARE Deve quindi imparare a difendersi, tornare sulla riga di fondo, ed essere pronto a spingere e attaccare. E bisogna esercitarsi a farlo soprattutto dal lato del rovescio, generalmente quello più debole a livello di giocatori di club.

DOVE MIGLIORARE Nel 2011 non ha vinto Slam ma il suo sistema di gioco è apparso più solido. Ha imparato a venire di più a rete ma ancora soffre contro il suo Mostro, Rafael Nadal. Il suo problema è che deve credere di più nelle sue qualità fisiche perché talvolta pare voglia risparmiarsi, come se non credesse di reggere cinque set ad alta intensità. Questo fatto lo spinge a cercare di chiudere il punto troppo in fretta. Deve invece imparare a cercare di più il cambio di ritmo, l’accelerazione improvvisa, mentre lui gioca sempre ad una sola velocità. Talvolta sembra quasi stizzito se quando accelera la palla torna indietro (e con Nadal accade spesso), mentre dovrebbe pensare a continuare a spingere, chiudendo bene gli spazi. Ma giocando ad una sola velocità, questo è più difficile. COME MIGLIORARE In questi casi bisogna allenarsi a spingere per tre, quattro volte in uno scambio. Il giocatore di club potrebbe allenarsi sulla terra rossa con palle un pochino sgonfie e contro un avversario che corre tanto e si difende bene, così da essere costretto a spingere per tanti colpi prima di chiudere uno scambio.

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ROGER FEDERER


RAFAEL NADAL

DOVE MIGLIORARE È stato un 2011 ricco di sorprese perché ha vinto Roland Garros ma ha perso tutte le altre finali importanti contro Djokovic. Durante la pausa invernale ha lavorato tanto per tornare ai massimi livelli e già in Australia ha dimostrato di saper applicare in partita quanto imparato negli allenamenti. Tuttavia, il tennis è uno sport mentale e l’aver perso così tante volte di fila contro Djokovic ha alzato una barriera; la stessa che deve superare Federer quando gioca contro di lui. In Australia, Nadal ha giocato un buon match in finale, ma provare a eseguire i nuovi schemi nei momenti di massima tensione è la cosa più difficile per un giocatore. In quei casi infatti, entra in gioco il subconscio che non puoi assolutamente controllare. Sai per

COME MIGLIORARE esempio che devi giocare aggressivo, ma il tuo subconscio ti riporta a giocare come eri abituato prima. Il miglior colpo di Nadal resta il diritto giocato... dal lato del rovescio. Lui infatti soffre quando viene buttato fuori dal lato del diritto. Ora ha imparato il colpo che gli consente di resistere a questa soluzione il diritto lungolinea. Il problema è che Federer riesce a buttarlo fuori poche volte, Djokovic anche più di una volta a scambio! Dove Nadal è migliorato (ma può fare ancora meglio), è nel non finire sempre più dietro la riga d fondo ad ogni colpo di difesa che gioca. Ora, dopo essere stato spinto fuori, riesce a rientrare verso il centro del campo, riportandosi con i piedi sulla riga di fondo, pronto per cercare nuovamente di essere aggressivo.

Se avete lo stesso problema di Nadal, esercitatevi facendovi buttare lontano dalla riga di fondo dal lato del diritto (o del rovescio); giocate una palla di difesa, ma poi non spostatevi lateralmente restando troppo dietro la riga, ma cercate di muovervi in diagonale, riguadagnando una posizione più aggresisva. Il diritto (o rovescio) lungolinea è il colpo che può consentire ad un giocatore di uscire dall’angolo e ritornare a comandare lo scambio. Nadal lo sta imparando per controbattere le offensive di Djokovic.

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La risposta di MURRAY Non vi è alcun dubbio che Andy Murray sia uno dei migliori ribattitori del circuito, in particolare dal lato sinistro. Lo scozzese è infatti più sicuro col rovescio anche nei colpi da fondo ma si esalta quando deve rispondere ai servizi dell’avversario. E se le sue notevoli doti di incontrista gli permettono di neutralizzare anche le prime palle più veloci, diventa decisamente offensivo quando può spingere sulla seconda palla. Generalmente, un buon battitore serve una seconda palla in kick, cioè con rotazione in top spin che fa rimbalzare molto la palla dopo il rimbalzo. Questo per tenere lontano l’avversario dalla riga di fondo e impedirgli di diventare pericoloso. Ebbene, sfruttando perfetDI MASSIMO SA RTORI* tamente la presa bimane che consente di colpire la palla anche all’altezza delle spalle, Murray riesce

Tecnica

ad attaccare anche una buona seconda palla in kick. Inoltre, con questo atteggiamento aggressivo, mette pressione all’avversario costringendolo a forzare la seconda e magari incorrere in qualche doppi fallo. Dalla posizione che assume, pare che Murray sappia benissimo che tipo di palla gli arriverà ed è quindi in grado di organizzarsi perfettamente. Inoltre, è un tipo di soluzione che può portare avanti per tutto il match. E se l’avversario non ha una grande seconda palla, non è semplice giocare col fiato dell’avversario sul collo fin dai colpi di inizio scambio. Una situazione che vi farò notare nell’analisi delle varie foto è il fatto che Murray tiene sempre piegato il gomito destro, che la mano dominante è la sinistra e che il saltino serve per avere maggior spinta, nel caso di una seconda palla piuttosto lenta. * Massimo Sartori è il coach del n.1 italiano Andreas Seppi

L’IMPUGNATURA

SINISTRA DOMINANTE

APERTURA CONTENUTA

Punto primo: Murray parte già dentro al campo, quindi vuol dire che si aspetta una seconda palla di servizio piuttosto lenta e ha già deciso di aggredire la risposta. Una situazione che gli permette di organizzarsi con anticipo e in maniera molto accurata. Come impugnatura, utilizza una continental con la mano destra e una eastern di diritto con la mano sinistra. Per un rovescio a due mani, è una scelta abbastanza classica.

C’è un aspetto molto interessante da sottolineare: Murray “tira” la racchetta con la mano sinistra, mentre la destra è morbida. Ciò vuol dire che la mano sinistra è quella dominante, ma non solo quando va a impattare la palla, ma già nella fase di preparazione. Perché è la mano sinistra che spinge dietro la racchetta. Le due mani sembrano lontane perché si nota dello spazio (quel tassello blu dell’overgrip che si vede tra le due mani); in realtà, se osservate bene, l’indice della mano destra tocca il mignolo di quella sinistra, confermando che sono molto vicine. La punta del piede destro si sta già preparando a spingere per eseguire il salto.

L’apertura non è per nulla esagerata, infatti non va oltre la linea del corpo di Murray. Questo perché ha già deciso di spingere su una seconda debole, sfruttando il saltino. Un’eccessiva apertura lo sbilancerebbe, impedendogli tutto ciò. Un aspetto molto, molto interessante è che Murray tiene il braccio destro sempre piegato. In un modo o nell’altro, non è mai disteso per tutta la durata dell’esecuzione. Il vantaggio è quello di poter colpire la palla a qualsiasi altezza, a qualsiasi distanza, in qualsiasi modo. L’ovalizzazione è piuttosto ridotta e il gesto risulta molto compatto

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L’ATTEGGIAMENTO

Il primo aspetto che va sottolineato è l’atteggiamento molto aggressivo che mostra Murray. Parte già dentro la linea di fondo per mettere pressione e costringere l’avversario (conscio che arriverà una risposta molto rapida) ad essere veloce nell’uscire dall’esecuzione del servizio. È altrettanto chiaro che per riuscire ad attuare una tattica di questo genere per tutta una partita, vuol dire che la seconda palla dell’avversario non è granché incisiva! Altrimenti, bisogna cercare di farlo solo in determinati momenti e avanzando nel campo quando l’avversario alza gli occhi verso la palla, perché non si accorga delle vostre intenzioni.

BRACCIO PIEGATO

IL SALTO PER SPINGERE

IL FINALE

Il braccio destro è piegato anche al momento dell’impatto, mentre quello sinistro è esteso (a questo punto dell’esecuzione, è una meccanica normale ma conferma che a dominare è il braccio sinistro). Il punto d’impatto è piuttosto alto (Murray ha anticipato molto la risposta), tanto che colpisce la palla quasi all’altezza delle spalle. Il braccio destro è piegato quasi a 90 gradi, ma potrebbe esserlo anche a 90, 110 o 70 gradi, perché è il braccio sinistro che comanda. È il vantaggio di avere una presa continental con la mano destra, perché è un’impugnatura che consente di muovere la mano come si vuole. Da notare che quando colpisce, Murray ha già i piedi per aria.

Il saltino (che poi non è nemmeno così ridotto) indica che Murray si aspettava una seconda palla piuttosto debole. Si è organizzato con anticipo e in maniera precisa. Perché salta? Per dare una maggior spinta alla sua risposta. Se infatti impattare un servizio veloce è più complicato, dall’altra permette quantomeno di sfruttare la velocità di arrivo della palla. Dopo l’impatto, le mani proseguono bene la loro corsa in avanti e il braccio sinistro quasi si distende completamente per trasferire la massima energia. Da notare l’anca sinistra che, dopo l’impatto, finisce a sinistra (guardando la foto) rispetto alla destra.

Murray è stato talmente aggressivo da saltare sopra la palla e questo gli permette di non dover accentuare il finale del movimento per trovare adeguata spinta e profondità. Dopo l’impatto, in fase di ricaduta torna ad appoggiarsi sul piede destro ma ormai la palla è già andata. Posso scommettere che Murray, dopo aver preso un rischio cercando una risposta aggressiva, sarà molto rapido anche nell’uscita dall’esecuzione della risposta per continuare a spingere col colpo successivo.

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TRAVEL

DREAM TENNIS

È IL SOGNO DI OGNI TENNISTA. Un’isoletta circondata da un mare cristallino dove campeggia solo ed esclusivamente un campo da tennis in erba. Cosa chiedere di più che giocare tre set e poi tuffarsi ad ammirare pesciolini in acque incontaminate? Beh, forse sarebbe il caso di avere un altro isolotto di appoggio con spiaggia, ristoranti, Spa... E se questa immagine è solo frutto della fantasia, il resto lo si può davvero scovare. Dove? Ecco tre nomi di resort per godere di mare paradisiaco e buon tennis: Kanuhura alle Maldive, Le Touessrok a Mauritius e Four Seasons a Nevis.

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Luxury tennis

Non è uno scherzo: una settimana di stage da tre ore di tennis al giorno con Paolo Canè su 10 campi incastonati in un resort di lusso della nostra meravigliosa Sardegna. A partire da 645 euro. E, tennis a parte, mare cristallino, piscine, sport acquatici, escursioni e Spa. Cosa chiedere di più per le vostre vacanze tennistiche? DI LORENZO CAZZANIGA

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Partiamo dalla location, quindi dalla Sardegna. Se non siete esterofili convinti, gente disposta alle 10 ore di volo per andare a beccare uragani in pieno agosto pur di raccontare di essere stata ai Caraibi, è chiaro che vien facile considerare la Sardegna come la meta ideale delle proprie vacanze. Pur con tutte le bizze del postNiño, le giornate di sole sono garantite al 99%, con mare cristallino, sabbia bianca e scorci mozzafiato. Insomma, sostanzialmente quello che potete trovare ai Caraibi ma ad un'oretta di volo. Se poi si vuole abbinare un discorso sportivo, e tennistico soprattutto, allora il cerchio si restringe ulteriormente e possiamo scoprire la parola magica: Geovillage, un resort che si trova ad Olbia, città che ha già ospitato il grande tennis e che ora ha deciso di rifarsi il look. Le strutture non mancano di certo al Geovillage, categoria quattro stelle con forte tendenza alle cinque: 10 campi di cui 6 in terra battuta e 4 in Play-It, versione outdoor. Campi curati con grande attenzione, come spesso non accade più nei nostri circoli. Però qui anche il tennis deve stare al passo col resto dell'offerta, che è di primissima qualità. Camere, piscine, ristoranti, tutto all'insegna dell'estremo comfort. La Spa poi, è di quelle che devono venirti a recuperare, altrimenti non esci più. Dunque, in sostanza il Geovillage risponde a quelle che sono le tre esigenze principali del tipico turista-tennista italiano: location invidia-

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bile, resort confortevole, tennis a raffica. Ma se riguardo alle prime due situazioni, il turistatennista è disposto a chiudere un occhio (per esempio, va ricordato, come unico neo, che il mare dista 5 minuti di navetta, ma si tratta di un compromesso decisamente accettabile vista la qualità delle strutture che mette a disposizione), dove si dimostra particolarmente esigente è nell'aspetto tennistico. Su quello, non è disposto a perdonare manchevolezze di alcun genere. Consapevoli di ciò, è stata posta notevole attenzione all'assistenza tecnica, andando a pescare addirittura un davisman. E tra questi, il più talentuoso: Paolo Canè. L'intero pacchetto-tennis è stato messo nelle sue mani, sia per quanto riguarda la pura scuola tennis che dura tutto l'anno (riescono perfino a coprire dei campi nel periodo invernale), sia le clinic settimanali, create ad hoc per i singoli clienti o sfruttando maestri di circoli che creano il gruppo e non devono poi inventarsi agenzia di viaggio per trovare un hotel che li ospiti

(e non è un aiuto banale, perché trovare alberghi con camere a disposizione non è complicato, ma con 10 campi da tennis è un filino più difficile...). Canè, che in Sardegna ha vinto il suo match più bello, quello contro l'allora numero uno del mondo, Mats Wilander, nella storica vittoria della squadra italiana di Coppa Davis contro la Svezia), si occupa di preparare tutti i programmi di insegnamento (per qualsiasi livello di gioco, da quello base a eventuali giocatori professionisti che cercano una base

LOCATION INVIDIABILE E TENNIS A RAFFICA. IL TUTTO, NELLA MERAVIGLIOSA ATMOSFERA DELLA SARDEGNA

efficiente dove allenarsi) e mette a disposizione tutta la sua esperienza per imparare a migliorarsi sul campo (senza contare i mille aneddoti che può raccontare sulla vita da professionista). Il tutto ad un prezzo davvero conveniente che parte da 645 euro del mese di marzo per arrivare ai 992 e 1.087 dell'alta stagione, rispettivamente nei mesi di luglio e agosto. Ecco dunque che anche l'ultimo tassello è stato messo per completare un mosaico diventato pressoché perfetto.

OLBIA Luogo: Olbia, Sardegna Date: tutto l'anno Hotel: Geovillage Clinic: 4 giocatori/maestro Lezioni: 3h al giorno Plus: stage Paolo Canè Prezzo: da 645 euro website: geovillage.it


L'INTERVISTA: PAOLO CANÈ Una delle attrazioni principali degli stage al Geovillage è la presenza di un campione come Paolo Canè. Ma la domanda sorge spontanea: quale sarà la sua reale presenza in queste clinic? «Costante. Ormai mi sono spostato in Sardegna e il mio compito sarà sia quello di organizzare gli stage settimanali, sia quello di rivitalizzare la scuola tennis». Perché proprio il Geovillage? «Sono molto legato alla Sardegna. A Cagliari ho giocato il mio match più importante, quello vinto in Coppa Davis contro Wilander. Al principio ti innamori di Porto Cervo e Porto Rotondo, poi scopri che la Sardegna più bella è un'altra. E così, quando mi ha chiamato l'ingegner Gavino Docche, non ho avuto dubbi: dopotutto il Geovillage offre uno scenario perfetto: location meravigliosa, strutture bellissime e tanto entusiasmo. Ora bisogna solo offrire un pacchetto-tennis adeguato». Quindi vedremo Paolo Canè sempre sul campo?

«Sempre. E con tutti, dai giocatori di club ai super agonisti. Le clinic prevedono fino a tre ore al giorno di lezione, oltre a tornei per tutti i livelli. Chi è ammalato di tennis, troverà tutto quello che cerca. In più, metterò a disposizione la mia esperienza per dare i consigli giusti su come preparare un match sotto tutti i punti di vista: tecnico, tattico, fisico, alimentare.Vogliamo coccolare i nostri giocatori a 360 gradi». Perché serve un team affiatato per sfondare, giusto? «Vero. Con me lavorano i maestri Vittorio Boi e Simone Muresu. In più, cercherò di coinvolgere anche i miei ex compagni di Davis. La struttura credo abbia pochi eguali, a partire dai 10 campi. E intorno, il paradiso della Sardegna è un plus innegabile». Che obiettivi vi siete posti per quest'anno? «Semplice: far conoscere la struttura e nostri programmi di tennis. Siamo convinti che l'appassionato che passerà anche solo una settimana con noi, poi tornerà molto volentieri».

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Go... Umag È L'APPUNTAMENTO CLOU DELLA STAGIONE 2012 DI GOTENNIS,CHE QUEST'ANNO HA SCELTO LA CROAZIA.DUE SETTIMANE PRIMA DEL TORNEO ATP, UN ALTRO TOP EVENT CON OTTIMI MAESTRI, HOTEL DI LUSSO, VIDEOANALISI E TANTO (MA TANTO) TENNIS

di Gianluca Roveda


S

e esistesse un Trip Advisor nel circuito tennistico, Umag riceverebbe senza dubbio le cinque stelline. Basta parlare con qualche giocatore ATP per capire che il torneo che si disputa in questa bella località dell'Istria è considerato il top dell'estate, per location, accomodation e divertimento. Per questo Filippo Montanari (che da queste parti era venuto come coach di Omar Camporese) ha deciso di organizzare qui il top event 2012 della sua GoTennis, agenzia leader in Italia per le tennis clinic. Tradotto: soggiorni settimanali in meravigliosi luoghi di vacanza con racchetta al seguito. La formula ormai è super collaudata: gruppi di massimo quattro allievi che giocano un'ora e mezza al giorno con maestri di primissimo livello; videoanalisi col guru Danilo Pizzorno, lo stesso che la esegue per campioni del livello di Ivan Ljubicic, Andreas Seppi, Fabio Fognini e, in certe occasioni, anche Novak Djokovic; in più, lezioni teoriche, giochi e tornei per ogni livello, ideali per dare un tocco di agonismo e provare a mettere in pratica gli insegnamenti dei giorni precedenti. A Umag si giocherà su otto campi in terra battuta che sembrano dei biliardi, perfettamente preparati, con cura quasi maniacale. Si vede che è una cittadina che respira tennis, al di là del torneo ATP, che resta un fiore all'occhiello per tutta la zona. L'intero complesso

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UN'ORA E MEZZA CON I MAESTRI, VIDEOANALISI, LEZIONI DI TEORIA E TORNEI. È IL TOP PER UN APPASSIONATO DI TENNIS Stella Maris è infatti incastonato di campi da tennis che spuntano ovunque come funghi. Ne abbiamo contati almeno una quarantina nello spazio di poche centinaia di metri. Il programma è suddiviso per livello di gioco dei partecipanti: da una parte si svilupperanno i colpi fondamentali, dall'altra (soprattutto per i giocatori con una classifica FIT o comunque di chiaro livello agonistico) sono previste lezioni che prendono spunto dall'esperienza maturata dal maestro Montanari nelle varie accademie che ha

freqeuntato (Bollettieri e Sanchez in primis). In sostanza, si cercherà di prendere esempio dai top players per capire le scelte tecnico-tattiche da applicare nel match. Ovviamente ridimensionate a livello di club. Un altro aspetto fondamentale è la videoanalisi di Danilo Pizzorno, un tassello molto apprezzato perché è l'occasione per rivedersi mentre si gioca, scoprire i propri difetti e poterne discutere con un maestro di livello assoluto. Il momento più duro è quando il maestro Pizzorno metterà a confronto il vostro stile con quello di un giocatore professionista. ma la curiosità di vedere il proprio diritto il slow motion a fianco di quello di Roger Federer, non ha prezzo. Per rendere la settimana perfetta però, serve anche un hotel di livello assoluto. Due le proposte: un 5 stelle come il Sol Coral (di fronte al quale si trovano i campi dello stage), con piscina e ristorante di valore e servizio inappuntabile. Da non perdere (assolutamente) la Spa. In alternativa il Sol

Garden (che dista un centinaio di metri): 4 stelle e una garanzia assoluta di efficienza visto che si tratta dell'albergo ufficiale dei giocatori del torneo ATP, spazi molto ampi, design a gogo, comfort assoluto e la possibilità di usufruire comunque delle facilities del Sol Coral. Ah, il mare. Basta una piacevole passeggiata in pineta per raggiungerlo. Il panorama non si discute, ma la natura in Croazia è abbastanza selvaggia. Le strutture non mancano di certo ma, tanto per intenderci, non troverete le distese di sabbia della nostra Romagna.

UMAG Luogo: Umag, Croazia Date: 24 giugno/1 luglio Hotel: Sol Garden Istra Clinic: GoTennis Lezioni: 1h30' al giorno Plus: videoanalisi Prezzo: da 895 euro website: gotennis.it


Alcune immagini del complesso che ospita i due hotel scelti da GoTennis per il top event 2012: il Sol Coral (5 stelle) e il Sol Garden (4 stelle). Quest'ultimo è lo stesso dove soggiornano i tennisti impegnati nel torneo ATP di metà luglio. Lo stage si svolgerà su otto campi in terra battuta con tanto di videoanalisi, lezioni teoriche, tornei e giochi vari. La location è molto comoda da raggiungere dall'Italia visto che Umag dista circa mezz'ora di auto dal confine italiano a Trieste

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Una bellissima veduta aerea del campo centrale dell'ATP Challenger di Genova e (a fianco) dell'Australian Open. Quindi, tifosi aussie, Andy Murray che firma autografi e una curiosa opera tennistica di sabbia sulla spiaggia di Acapulco

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MONDO PER 40 SETTIMANE ALL'ANNO, IL NOSTRO DAVISMAN VIAGGIA NEI TORNEI PIÙ BELLI E IMPORTANTI. UNA GUIDA D'ECCEZIONE PER SCOPRIRE IL MEGLIO DEL TOUR ATP Fabio Fognini

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utti mi dicono: «Bella vita che fai... in giro per il mondo tutto l'anno!». Beh, se passare la giornata in miniera è certamente più faticoso, non è che la vita del tennista professionista sia così semplice, anche se ci sono tanti vantaggi ed è ben remunerata. Tuttavia, non faccio certo il turista per quaranta settimane l'anno. Spesso potrei quasi non riconoscere in quale città mi trovo perché giocare un torneo ATP vuol dire passare dall'albergo al club, dal club all'albergo. Non sono ammesse grandi distrazioni perché tra allenamenti, fisioterapia e match, avanza tempo solo per... riposare. E quando hai perso, l'unica cosa a cui pensi è trovare il primo volo per rientrare (a noi giocatori non piace granché restare in un posto dove si è appena subito una sconfitta e comunque, spesso c'è immediatamente un alto torneo da giocare). La mia quindi non sarà una guida turistica delle città, ma essenzialmente sui tornei più belli e divertenti del circuito, cercando di consigliare le tappe dove l'appassionato di tennis potrebbe trovarsi più a suo agio per la bellezza del club dove si gioca il torneo, l'atmosfera che si respira e la possibilità di avvicinare i top players. Per questo, sotto certi punti di vista, ho lasciato perdere i tornei del Grand Slam. Per l'amor del cielo, se scovate un biglietto per la finale di Wimbledon, acchiappatelo al volo, ma divincolarsi tra migliaia di persone e far coda per accedere a qualsiasi campo, può rendere frustrante la vostra esperienza. Una piacevole eccezione è l'Australian Open, vuoi perché il caldo d'inverno guarisce da tutti i mali, vuoi perché luogo e cordialità delle persone sono uniche. Però, consiglio altre location per vivere al meglio l'opportunità di vivere una settimana (anche solo un week-end) di tennis e vacanza. E qualche volta, sono i tornei più piccoli a regalare le emozioni più belle. Per il resto, posso consigliare i migliori hotel (ecco, uno dei vantaggi è che i tornei ATP obbligano gli organizzatori ad ospitare i giocatori sempre in bellissimi alberghi!) e ristoranti e... darvi qualche dritta sui tornei che è meglio evitare. Perché il circuito ATP passa (quasi) sempre per luoghi meravigliosi. Ma qualche volta...

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ATP UMAGO

SOL STELLA MARIS RESORT, CROATIA Ormai è un appuntamento fisso del calendario. Un anno avevo scelto di giocare Bastad (che pure resta un bel torneo) ma Umago è ancora un gradino sopra. Sarà che noi italiani abbiniamo più facilmente al mare la Croazia della Svezia, ma l'atmosfera che si respira è meravigliosa. Prima di tutto, c'è una bella rappresentanza di tifo italiano e questo, da giocatore, mi aiuta tanto quando sono in campo. La location è stupenda, vista

mare, con un ristorante che si affaccia sulla laguna. L'hotel è di gran comfort (Sol Garden Istria): camere spaziose, hall gigantesca, personale efficiente e disponibile. Quando avevo battuto Moya (che a Umago è un'istituzione), l'anno dopo mi avevano perfino messo in villa! E poi non sei costretto a restare sempre in hotel o al club: in cinque minuti di auto trovi dei ristoranti buonissimi e molto tranquilli. croatiaopen.hr


ATP ACAPULCO

FAIRMONT PRINCESS, MESSICO

TOP HOTEL

Tanto per farvi capire quanto si sta bene, è uno dei pochissimi tornei dove anche i giocatori che hanno perso al primo turno... restano tutta la settimana! Noi tennisti siamo fortunati perché il 70% dei tornei li giochiamo al caldo, ma vivere l'estate sudamericana mentre l'Italia è sotto zero, rende tutto ancora più piacevole. Si gioca all'interno di un gigantesco resort che non è superelegante, ma comunque ricco di tante attività. E poi è sulla spiaggia e così gli accompagnatori (e i turisti-appassionati) possono godersi la giornata al mare e, dopo le 17, venire a seguire gli incontri, con il campo centrale che dista quattro passi dalla spiaggia. Non mancano poi serate divertenti, feste e... il torneo femminile. Anche se molto spesso le fidanzate non si perdono una bella trasferta in Messico! abiertomextenis.com.mx

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RITZ CARLTON DOHA

CROWNE PLAZA MELBOURNE

SHERATON BUENOS AIRES

HOTEL PALACE GSTAAD

Avete presente quando vi raccontano lo sfarzo degli Emirati? Ecco, io l'ho trovato in questo hotel.

Io non sono riuscito ad andarci, ma i racconti nello spogliatoio parlano di un hotel da mille e una notte.

Molto bello e confortevole, dalle camere alle facilities, in una delle città più belle e ricche di fascino.

Io ho trovato solo pioggia! Però l'hotel è da fiaba e per gli appassionati ci sono dei meravigliosi campi in terra rossa

SOL GARDEN UMAG

Belle camere, hall gigantesca, ottimi ristoranti e Spa e un'atmosfera chic ma anche informale

3 ATP MONTECARLO

MONTE CARLO COUNTRY CLUB PRINCIPATO DI MONACO Non c'è granché da presentare, uno dei tornei storici del circuito mondiale, certamente tra i più apprezzati da giocatori e fans. Abito a pochi

chilometri da Monte Carlo e mi alleno spesso al Country Club: è bellissimo. La terrazza vista mare sopra il Centrale è favolosa, così come l'atmosfera perché è pieno di tifosi italiani che si arrampicano ovunque, anche solo per vedere gli

allenamenti. Consiglio di non perdersi i match sui campi secondari: il pubblico sembra che sia seduto in panchina! Certo, il club non è grandissimo e sarete obbligati a fare qualche coda per accedere ai campi, ma è un'esperienza che vale la pena. In più, sono

presenti tutti i più forti del mondo: da Federer a Djokovic, da Murray a Nadal. Spettacolo assicurato. Noi giocatori poi, abbiamo un altro vantaggio: mangiamo gratis! Perché mi dicono che i prezzi non sono proprio economici... monte-carlorolexmasters.com

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ATP MIAMI

CRANDON PARK, USA Premessa: non sono un grande fan dei tornei americani sul cemento. Anche se ho pure dei bei ricordi, visto che qualche anno fa ho ottenuto la mia prima, grande vittoria, contro Andy Murray e il piacere di giocare contro Roger Federer (a parte il punteggio finale!). Però, nel caso del torneo di Miami, mi sento di fare un'eccezione grazie... alla città. Il torneo non è male perché comunque si disputa all'internod in un parco naturale, ma trovo bellissima soprattutto la

città. Forse perché non è così americana ma piuttosto sudamericana e caraibica, luoghi che mi piacciono decisamente di più (e credo non solo al sottoscritto!). Ecco, l'unico difetto è che Crandon Park, dove si gioca il torneo, dista una buona oretta di macchina da South Beach. Però, che volete che vi dica? Passate la giornata in spiaggia e venite a gustarvi la sessione serale. E quando tornate in città, la nightlife di Miami sarà appena cominciata. sonyericssonopen.com

5 4 ATP BARCELLONA A Barcellona ho trascorso tanto tempo perché mi sono allenato un paio d'anni con Oscar Serrano e, da quest'anno, con José Perlas. Entrambi di Barcellona e quindi, per un buon periodo della stagione, la città catalana diventa la mia casa. La città è bellissima perché offre i divertimenti di una metropoli e il piacere di essere al mare. Il clima è stupendo: fa (abbastanza) caldo anche d'inverno (infatti, come in Liguria, trovare un campo indoor è un'impresa) e il club dove si gioca il torneo è il celebre Real

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Club (alla finale è spesso presente anche Re Juan Carlos). Inutile dire che è stupendo. Ci si muove comodamente e la visibilità dalle tribune è perfetta. Gli spogliatoi sono invece immensi e super confortevoli, degni di un resort da 5 stelle lusso. E poi il c'è l'accoglienza spagnola, l'atmosfera sempre calda, anche grazie al fatto che i giocatori spagnoli sono sempre grandi protagonisti. Per me, in un certo senso, è diventato il torneo di casa. barcelonaopenbancsabadell.com

TICKET, PLEASE

REAL CLUB DE BARCELONA, SPAGNA GOTENNIS

BLUFRECCIA

ATP TOUR

Oltre mille appassionati si affidano a GoTennis per Monte Carlo. E poi Wimbledon, ATP Masters...

Tanti eventi sportivi (non solo tennis) con pacchetti personalizzati. Su tutti, Wimbledon.

Per scovare i siti dei tornei e rispettive biglietterie ufficiali, cliccate su atpworldtour.com


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MELBOURNE

AUSTRALIAN OPEN, AUSTRALIA Spieghiamo: se vi offrono due biglietti per la finale (oh, anche i quarti andrebbero bene) di Wimbledon o Roland Garros, non usateli per accendere il fuoco del camino. Chiedete a qualche fortunato quali emozioni ha provato nell'assistere ad una finale tra Rafael Nadal e Roger Federer sul Centre Court, tanto per capire cosa intendo. Tuttavia, l'impresa di ottenere anche un singolo tagliando è puttosto disperata (e molto costosa) e così in tanti preferiscono assistere ai primi giorni di gare, dove si possono guardare bei match su tutti i campi, magari stando seduti a due metri dai gio-

catori. Però dovete abituarvi anche alla confusione (tipica quando ci sono 50.000 persone in un club) e a interminabili code per entrare in tribuna o anche solo per mangiarvi un panino. Insomma, qualche volta si rischia davvero l'esaurimento. Quello che invece non accade in Australia, certamente il torneo del Grand Slam più divertente e confortevole. Sarà che a gennaio gli australiani sono in vacanza e quindi hanno uno spirito molto socievole, ma l'atmosfera è rilassata ed eccitante allo stesso tempo. L'Australia è lontana, ma se potete, Melbourne è lo Slam che vi consiglio di visitare. australianopen.com

TORNEI DA EVITARE CINCINNATI, USA

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INDIAN WELLS, USA

Ora l'atmosfera è bella perché lo stadioo è sempre pieno. Ma sei in pieno deserto americano. E passa per essere la città dei "vecchietti"...

ATP CHALLENGER GENOVA VALLETTA CAMBIASO, ITALIA

Ok, non sarà il torneo più importante dell'anno ma per me riveste un ruolo del tutto particolare. Chiaro che, dovessi scegliere un torneo da vincere in Italia non mi dispiacerebbe quello del Foro Italico... Però, per adesso, sono ben contento di aver vinto quello di Genova perché resta sempre la mia città. In realtà, sono nato a Sanremo e la "mia" città è Arma di Taggia, ma a Genova si gioca un ATP Challenger di livello molto alto. Inutile dire che il pubblico mi sostiene a mille ed è una motivazione ancora maggiore cercare di vincere un torneo davanti alla propria famiglia, agli

Un caldo e un'umidità insopportabili. E, torneo di tennis a parte, vi sfido a trovare una singola ragione per passare una settimana a Cincinnati!

amici e a tutti quelli che mi hanno visto crescere tennisticamente. Per me è anche un motivo di orgoglio che va decisamente oltre i punti ATP che posso conquistare (e che comunque fanno sempre comodo). L'anno scorso non sono riuscito a essere presente perché impegnato nelle semifinali di doppio allo US Open, ma ricordo ancora la vittoria del 2010, in semifinale contro Seppi e in finale contro Starace. Nell'altra semifinale c'era anche Bolelli: sembrava di essere ad un raduno di Coppa Davis! atpgenova.com

TORNEI INDOOR

Spesso organizzati benissimo, ma il tennis (quello vero) resta outdoor!

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ATP ROMA

FORO ITALICO, ITALIA Beh, è il "nostro" torneo, quello dove sentiamo maggiormente la pressione perché, in quanto giocatore di casa, gli appassionati e i media si aspettano sempre una prestazione speciale. Ho vissuto emozioni forti, come quella di battere Djokovic in un turno di qualificazione ma anche momenti molto meno felici. Però l'atmosfera è sempre grandiosa perché lo scenario del Foro Italico è unico.

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Spero quest'anno di godermi meglio anche il nuovo campo centrale. Per il resto, come non sfruttare la "scusa" del tennis per una vacanza romana in piena primavera? Io non mi allontano troppo da hotel e Foro Italico perché impegnato nel torneo, ma una puntata per un piatto di cacio e pepe da Trilussa nel quartiere Trastevere è irrinunciabile! internazionalibnlditalia.com

9 PARIGI

ROLAND GARROS, FRANCIA Le emozioni che ho vissuto a Parigi, due anni fa contro Gael Monfils e l'anno scorso contro Albert Montanes, sono i migliori souvenir della

mia carriera. Chiaro che a me piace le terra battuta e quindi resta il mio Slam preferito e quello dove mi esprimo al meglio, ma l'atmosfe-

ATP KITZBUHEL

BET-AT-HOME CUP, AUSTRIA Ci sono andato l'anno scorso e mi sono trovato particolarmente bene. Da buon lupo di mare, di solito preferisco i tornei stile Umago, Bastad, Acapulco eccetera. Però a Kitz, l'organizzazione è perfetta, il luogo splendido, l'hotel molto confortevole. E il clima piuttosto rilassato. Pensando ad un appassionato-turista che vuole trascorrere anche solo un week-end

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tranquillo, godendosi le meraviglie della natuta, una mezza giornata di camminata in montagna, un'oretta nella Spa e poi un paio di match di un torneo ATP (con un campo di partecipazione che è sempre di ottimo livello), questa cittadina austriaca è l'ideale. Se poi qualcuno vuole provare la mitica Streif... Però meglio astenersi se non siete sciatori esperti! bet-at-home-cup.com

ra è davvero magica, con un pubblico molto appassionato (anche troppo, qualche volta). E poi un match al quinto set sul rosso

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diventa una battaglia e questo anima molto i fans. Beh, poi la bellezza di Parigi non ve la devo nemmeno ricordare. www.rolandgarros.


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Interviste esclusive, reportage, inchieste e i racconti dei nostri top contributor

in EDICOLA dal 7 MAGGIO 2012


UNHATE

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LE ACCUSE DI ECCESSIVA TIRCHIERIA AVANZATE DA ANDRE AGASSI NEI CONFRONTI DI PETE SAMPRAS, AVEVANO COMPROMESSO IL LORO RAPPORTO. CON QUESTO FOTOMONTAGGIO IN STILE CAMPAGNA UNHATE DI UNITED COLORS OF BENETTON, VOGLIAMO PROPORRE UN ATTO DI PACE


Mantis Sport, sebbene presente sul mercato solo dal 2009, sta velocemente diventando un marchio riconosciuto a livello internazionale, presente in Europa, USA e Australia. Il team Mantis è profondamente radicato nel mondo del tennis; il suo ideatore è stato per molti anni responsabile della realizzazione delle racchette usate dai tennisti professionisti del circuito ATP e WTA. La filosofia Mantis è semplice: “fornire prodotti di qualità eccezionale a prezzi estremamente competitivi”. È con questo scopo preciso che nasce la prima linea di racchette Mantis, tutte costruite al 100% in grafite alto modulo. Le racchette sono sviluppate con l’obiettivo di fornire al giocatore agonista l’attrezzo che più si adatta al suo gioco, con lievi aggiustamenti di peso e costruzione su ogni tipo di telaio.

WEIGHT (un-strung): 300g / 10.6oz BALANCE (un-strung): 315mm HEAD SIZE: 100sq.In / 645cm 2 LENGTH: 27inches CONSTRUCTION: 100% high modulus carbon

nir

€ 144,00 www.mantis-sport.com

WEIGHT (un-strung): 285g / 10.1oz BALANCE (un-strung): 325mm HEAD SIZE: 100sq.In / 645cm 2 LENGTH: 27inches CONSTRUCTION: 100% high modulus carbon

€ 144,00 facebook: Mantis Sport Italia

WEIGHT (un-strung): 265g / 9.35oz BALANCE (un-strung): 335mm HEAD SIZE: 100sq.In / 645cm 2 LENGTH: 27inches CONSTRUCTION: 100% high modulus carbon

WEIGHT (un-strung): 250g / 8.82oz BALANCE (un-strung): 345mm HEAD SIZE: 100sq.In / 645cm 2 LENGTH: 27inches CONSTRUCTION: 100% high modulus carbon

€ 144,00

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ASICS nasce come acronimo del motto latino “Anima Sana In Corpore Sano”

SONO IL PROSSIMO PUNTO. NON L’ULTIMO. SAMANTHA STOSUR, VINCITRICE US OPEN 2011

IO SONO LO SPORT E TU? ASICS.IT


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