Dimmi come mangi

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PAOLO CORVO • STEFANO FEMMINIS PREFAZIONE DI CARLO PETRINI

vati bruno pizzul, pupiaa michele serr ... 14 INTERVISTE IMPREVEDIBILI SUL CIBO


indice pag. 9 Prefazione di Carlo Petrini 12 Aperitivo di Paolo Corvo e Stefano Femminis 15 Pupi Avati

Ventisette portate 25 Catia Bastioli

Per una tavola sostenibile 33 Enzo Bianchi

cucinare è dire “ti voglio bene”

43 Aldo Bonomi

vita nuda e nuda vita 53 Licia Colò

dai passatelli al brik 63 Philippe Daverio

L’arte degli asparagi 73 Fabrizio Giugiaro

il piatto povero del designer


83 Moni Ovadia

un polpo per amico 95 Bruno Pizzul

calcio, pasta e fagioli 107 Livia Pomodoro

un centro mondiale per il cibo garantito 117 Giacomo Poretti

mangiare insieme, senza mangiare l’altro 125 Michele Serra

un presidio contro la solitudine 133 Annamaria Testa

come ti coltivo la campagna (pubblicitaria) 151 Andrea Vitali

la biada dell’uomo 161 Dopocena di Paolo Corvo 173 Ringraziamenti



philippe daverio nascita

17 ottobre 1949

cittĂ

Mulhouse (Francia) professione

critico e mercante d’arte, giornalista, docente


D

alla Francia si trasferisce presto a Milano, dove inizia la sua attività di mercante d’arte e di storico dell’arte. Diventa noto al grande pubblico nel 1993, quando entra come assessore alla Cultura nella giunta del sindaco Marco Formentini, ma soprattutto dal 1999, quando inizia a condurre alcune trasmissioni televisive dedicate all’arte: prima Art’è, poi Passepartout, attualmente Emporio Daverio. Nel frattempo scrive anche saggi e

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articoli sui giornali. Dal 2006 Daverio è professore ordinario di Sociologia dei processi artistici, presso l’Università di Palermo. È membro del comitato scientifico del nuovo Grande Museo del Duomo di Milano, del consiglio di amministrazione della Fondazione Cini di Venezia e del CdA della Fondazione Corriere della Sera. Nel 2012 ha lanciato “Save Italy”, un movimento di sensibilizzazione intorno ai problemi del patrimonio culturale italiano.


L’arte degli asparagi

Ci parli anzitutto del suo rapporto personale con il cibo. Io ho un rapporto molto estetico con il cibo, bulimico e curiosamente multiculturale perché i cibi sono come le lingue: uno può parlare varie lingue e, allo stesso identico modo, mangiare vari cibi. A patto che le parli bene, che si sforzi di entrare in quella cultura. Per mangiare cinese bisogna diventare un po’ cinesi. Io non credo molto alla cucina fusion, non più legata a un ambito culturale preciso: il fusion spesso diventa confusion.

Ma lei come se la cava ai fornelli? Io amo moltissimo cucinare ma non mi è permesso.

Perché? Perché faccio troppo disordine. Ci sono due modi di cucinare: la cucina per sé stessi, quasi ascetica. In questo senso il gesto zen per eccellenza è prendere la barba di frate, mondarla filo per filo, e poi farla saltare aglio, olio e peperoncino. Poi c’è un modo altruistico di cucinare, che ha il suo apice nel pranzo di Babette. Fra questi due estremi c’è il mondo e in questo mondo si incrociano le culture. Siccome sono un caso involontario di culture miste, non sempre riesco a comunicarle perché la passione estetica che mi genera il cucinare prevale sull’intento comunicativo. La cucina bella è quella in cui si elabora qualcosa.

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Ha qualche piatto che le piace cucinare quando può? No, più che altro mi piace il gesto: trovo che possa essere molto elegante anche solo fare un piatto di spaghetti aglio, olio e peperoncino. Dalla cosa che richiede due giorni a quella fatta in un attimo va tutto bene, perché comunque è un gesto di tipo creativo. E rimane sempre questa tradizione oggettiva che cucinare è “maschile”, mentre far da mangiare è “femminile”.

Ci spieghi meglio… Cucinare è “maschile” perché è un’attività nata come la pittura. Viene dalla cultura medievale francese dove i due ruoli principali in cucina erano quello di chi faceva gli arrosti - cioè colui che era in grado di tagliare le carni perché sapeva usare la spada - e quello di colui che faceva le salse, che di solito era anche un bravo pittore. Spada e pittura sono due mestieri maschili legati alla vita dell’esercito. E lì siamo rimasti. In Italia però c’è anche un’altra influenza: gran parte della cucina italiana si legava alle paste e agli impasti, e le paste e gli impasti sono più vicini al telaio di Penelope, al mondo femminile. L’incrocio tra mondo femminile degli impasti e il mondo maschile delle carni forma la cucina italiana. Non c’è niente da fare, la cucina è un linguaggio e questi linguaggi evolvono molto più lentamente di quanto crediamo: è vero, si inseriscono elementi nuovi, cambiano alcune inclinazioni del palato, siamo stati influenzati dalla “lingua” della cucina giapponese e di quella nordafricana, abbiamo imparato sapori nuovi, ma alla fine in Europa - dal punto di vista alimentare - abbiamo non solo la lingua ma addirittura i dialetti.

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Poco fa diceva che dipingere e fare le salse nel Medioevo erano attività connesse. In che senso? La pittura è una salsa, la pittura a olio è una versione della salsa e, come la salsa, non è mai finita, non c’è un momento in cui uno può dire: “Questa salsa è finita”. È l’intuito che ti fa dire: “Adesso va bene”, ma la salsa potrebbe anche andare avanti a cuocere oltre. La pittura è la stessa cosa: si potrebbe anche andare oltre, ma dipingere non vuol dire colorare un disegno, significa inventare la materia e la materia nella pittura è identica alla materia del cibo. C’è solo la bistecca al sangue che ha un tempo preciso di cottura, tutto il resto ha un gioco di tempi molto complesso.

Quanto cibo c’è nelle sue opere di intellettuale e di critico d’arte? Prima parecchio, adesso meno, perché mangio meno. Sono sopravvissuto a un tumore allo stomaco quindi ho lo stomaco più piccolo di prima, il che mi porta a mangiare molto poco. Poi comunque l’alimentazione folle è una cosa da adolescenti, corrisponde alla volontà di vita degli adolescenti.

Ricordo qualche sua apparizione televisiva connessa al tema dell’alimentazione. Diciamo che ho fatto qualche gag, per esempio per far vedere come si fa l’omelette, perché gli italiani non la sanno fare, fanno la frittata. Sono due culture opposte.

A questo proposito, non si sente un privilegiato visto che, per le sue origini familiari, è legato alle tradizioni di due delle cucine più importanti al mondo, quella italiana e quella francese? philippe daverio  67


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