Little Bang

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Kelly McCaughrain

LITTLE BANG

Traduzione di Sara Ragusa

notte di Capodanno

Quante persone compiono sedici anni la notte di Capodanno?

Mel direbbe: “Be’, statisticamente parlando…” e poi farebbe il calcolo per dirmi un numero concreto, e io direi: “Non è questo il punto, Mel. Non è il cazzo di punto”. Il punto è che sono poche. E in quanti poi compiono sedici anni proprio tre minuti prima della mezzanotte di Capodanno? Forse solo io. So che sono nato tre minuti prima della mezzanotte perché Lucille me lo ricorda ogni anno. Sospira, scuote la testa e dice: “Solo per tre minuti…”. A quanto pare, sul Belfast Telegraph mettono la foto di chi dà alla luce il primo neonato dell’anno, e lei sperava di aggiudicarsi il 2002. Si era portata i trucchi in ospedale e tutto. Credo immagini che il suo bambino del 2002, quello nato tre minuti dopo, quello che avrebbe dovuto avere, sarebbe nato con un sorriso sul muso e una luce dorata intorno alla testa. Degno di nota fin dalla nascita. Invece, per tre minuti, si è beccata me.

Se volete saperlo, quei tre minuti sono stati la migliore decisione della mia vita. Perché il mio compleanno è sempre una festa. Una sbronza globale. E stanotte compio sedici anni, nella notte migliore dell’anno, non doma-

La

ni, quando tutti hanno i postumi e vorrebbero non aver promesso di iscriversi in palestra.

“Esci, vero Sid?” Lucille mi guarda con sospetto attraverso lo specchio sull’anta del suo armadio.

Lancio un’occhiata altrettanto sospettosa al karaoke nell’angolo della stanza. “Decisamente.”

“Non è che tu non sia il benvenuto se vuoi restare”, dice lei, senza riuscire a essere convincente, mentre pettina il crespo dei capelli ossigenati e umidi che copre la rasatura. “Ma Amy e Jenny dormiranno nella tua camera. Se torni prima di mattina, dovrai stare con me nella mia.”

Respingo l’immagine di condividere il letto con mia madre nei suoi pantaloncini del pigiama di raso. Brividi. Non esiste che stasera mi faccio la festa karaoke con un mucchio di vecchi che mi chiede cosa studierò all’università per poi guardare Lucille con compassione quando rispondo che non ci vado all’università – fondo una band. La compassione non è per la mia educazione. Ma perché sono sedici anni che Lucille conta i giorni che mancano a quando mi trasferirò.

Se volessi andare a una merdosa festa in casa, ce ne sono a decine qui intorno in cui potrei imbucarmi, ma sono tutte esattamente come essere a scuola, perché c’è esattamente la stessa gente. Stanotte non se ne parla di cose che sono uguali al solito. In futuro mi chiederanno cos’ho fatto per i miei sedici anni, e non ho voglia di dovermi inventare qualcosa. Stanotte dev’essere speciale.

“Allora dove vai?” grida Lucille per sovrastare il ruggito del phon.

“Una festa da Mac. Passa a prendermi Dev.”

Lei molla il pettine a metà movimento, e quello rimane appeso lì come un’antenna. “Mmm, non so. Non mi piace troppo quella gente. E non mi piace che corri in macchina con i neopatentati. Quando ha fatto l’esame Dev?”

“Mercoledì?”

“Cosa?”

“Ma sono secoli che guida. Ha fatto l’esame cinque volte.”

“Oh, per l’amor del cielo. Finisci sempre nei guai quando vai in giro con quelli.”

“Non sempre.” Tiro fuori l’accendino, lo accendo e lo spengo, accendo e spengo. Lei fa un verso di disapprovazione, ma stasera non ha tempo di farmi la predica sul fumo.

“Essere riaccompagnato a casa dalla macchina della polizia per tre volte, è tre volte di troppo, Sid.”

“Non è che mi hanno beccato che svaligiavo le case. Se mentre torni a casa fingi di essere ubriaco fradicio, quelli si fermano e ti danno un passaggio. È un taxi davvero molto economico.”

“Ti giuro, Sid, che se stanotte mi chiama la polizia…”

“Non succederà!”

“O i vicini.”

“Lucille.”

“O l’ospedale! Giuro che non vengo a raccattarti.”

“Wow, grazie. Allora cercherò di morire da solo e in silenzio.” Allungo un braccio in maniera melodrammatica e aggiungo: “Se non dovessimo mai più incontrarci, è stato… interessante conoscerti, Lucille”.

Lei si mette a spruzzarsi in testa un’intera bomboletta di lacca mentre io cerco di non soffocare.

“Perché non vai a Belfast? A mezzanotte fanno i fuochi.”

“I fuochi d’artificio sono roba per i vecchi ai matrimoni.”

“Suppongo che ci sarà dell’alcol a questa festa.”

“Ce ne sarà quando arrivo.” Do un calcio allo zaino ai miei piedi e quello tintinna.

Lei spegne di colpo il phon. “Sid!”

Rido, mi diverte questa cosa. Potrei dire a Lucille che vado a un’orgia in una fumeria di crack e lei non mi fer-

merebbe. Non questa sera. Mi piacerebbe vedere che faccia farebbe se le dicessi che non esco.

“Vai tranquilla, Lucille. È tutta merdaccia da poco. Probabilmente non avrà neanche la metà dell’alcol del tuo champagne di lusso.” Compra roba di lusso per tirarsela coi suoi amici. Si accompagna bene con la casa grande e il macchinone. Ma non con me. Io sono l’imbarazzante bottiglia di vino scadente nella cantina della sua vita.

Appoggia la spazzola, si picchietta qualcosa di innaturalmente brillante sulle labbra e si allontana di un passo dallo specchio. “Come sto?”

È troppo truccata. E si è messa troppi gioielli. I capelli sono troppo rigidi e i jeans troppo stretti. Più tempo passa da single, più esagera coi vestiti. Sono trascorsi sei mesi dal suo ultimo fidanzato (Chiamami-Steve Steve), e non avere un uomo a Capodanno l’ha sbattuta alla grande in zona desperada. A dire la verità, la posso capire. Essere single a Capodanno è tragico, ed è per questo che anche io farò del mio meglio con l’outfit stasera.

“Stai benissimo!” le dico. “Fai molto 2018.”

Lei dà un’occhiata ai miei jeans strappati e alle Doc, alla maglietta dei Ramones portafortuna e alla testa mezza rasata, e non mi fa lo stesso complimento. Dice solo: “Portati un maglione”.

Prendo la borsa e la chitarra. Fuori sento un clacson e un canticchiare attutito.

“Quindi chi ci sarà?” mi chiede seguendomi all’ingresso.

Scrollo le spalle e rispondo: “I soliti. Dev, Nev, Mac, Big Murph, Little Murph, Sdraio, Happy Zac…”.

“Ma qualcuno dei tuoi amici ha un nome normale?”

“Le ragazze.”

“Ci saranno ragazze?” Sembra più sorpresa che preoccupata. Ma in realtà ci saranno eccome le ragazze. Mel,

per fare un esempio assolutamente a caso, ha promesso di venire.

“Anche quella ragazza con il piercing sul capezzolo?” chiede Lucille, per poi borbottare: “Non posso credere che me l’abbia mostrato”.

“Naa, lei no.”

“Meglio.”

“Questa che viene ha piercing a entrambi i capezzoli.”

Mi lancia un’occhiata senza dire niente.

A dire il vero Lucille sverrebbe se vedesse Mel, che non ha neanche i buchi alle orecchie. E l’alcol non è tutto per me. E ultimamente sto fumando molto meno. Dev ha la patente da un mese, non andrò da Mac, e non girerò per strada sbronzo nelle prime ore del mattino. Sarò su a Carnclare Hill ad aspettare l’anno nuovo con la ragazza più intelligente e tranquilla della scuola, e guarderemo dall’alto tutti i fuochi d’artificio di Belfast. Ma non lo dico a Lucille. La farebbe troppo felice.

Mi dà dei buffetti sulla testa. “Comportati bene. E buon compleanno.”

“Grazie!” Sono mezzo fuori dalla porta, lo zaino che tintinna. “Ci vediamo l’anno prossimo!” Mel

Innanzitutto, dobbiamo capire che la parola “prima” non ha un significato intrinseco. Il modo in cui abbiamo esperienza del tempo è frutto della nostra psiche, non una proprietà del tempo stesso.

Isaac Newton credeva che il tempo fluisse uniformemente in una direzione, come un fiume. Ma Einstein suggerì che passato, presente e futuro sono più simili a isole in un lago, e noi possiamo saltare

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dall’una all’altra. Il tempo per Einstein non “fluisce”, ma “esiste”...

Solo che, cercando di scrivere in un angolo del nostro affollato salotto, mentre il Compiaciuto Nigel ci racconta del suo lavoro di assistente sociale con “adolescenti problematici”, sembra che in realtà non esista. Il tempo è scappato, ha lasciato l’edificio. Siamo stati risucchiati in un buco nero di imbarazzo ad alta densità e gli orologi si sono fermati.

“Devi coinvolgerli agendo sul loro territorio”, sta dicendo. “Far parte della gang. Alcuni di questi ragazzi sono per strada a ogni ora del giorno e della notte, hanno coltelli, a casa li trascurano. Da spezzare il cuore. Sono praticamente cresciuti su internet.” Sventola il suo telefono sotto i nostri nasi come se fosse la prova schiacciante di qualcosa. Le zie, gli zii e i cugini troppo piccoli per poter scappare emettono suoni giustamente scandalizzati sopra le loro mini quiche.

“È per questo che ci siamo sentiti in dovere di aprire il canale YouTube Rappa per Gesù”, continua. Io mi sento in dovere di vomitarmi su tutte le scarpe.

“Ah, dovreste vedere i video di Nigel, ha davvero talento!” dice mia madre, che probabilmente è l’unica persona al mondo che crede sul serio che il Compiaciuto Nigel abbia talento. Ha anche già bevuto un intero bicchiere di sherry, quindi è brilla.

Papà mi fa l’occhiolino e mi passa sottobanco un bicchierino di finto champagne. Gli rispondo con una smorfia. Io e papà abbiamo un tacito accordo per quanto riguarda il Compiaciuto Nigel, che comprende il fatto che entrambi sappiamo che è un idiota, ma evitiamo di dirlo ad alta voce, anche tra noi, perché è l’idiota di Leah.

Quando lei si renderà conto che è un idiota, allora potremo infierire, ma deve iniziare lei.

Non riesco a concentrarmi, e non è colpa della musica pop melensa semi-religiosa che mi risuona nelle orecchie. Non ha neanche a che fare con il Compiaciuto Nigel, ormai a lui sono abituata. È perché sono le otto di sera dell’ultima notte dell’anno e io sono alla festa sbagliata.

Vedi di non fare casini, è stato l’ultimo messaggio di Becca. Sa che sono una pessima bugiarda. Le ragazze hanno acconsentito ad andare a quella festa solo perché mi ha invitato Sid, e i ragazzi non mi invitano mai alle feste. Mi chiedono se possono copiare i compiti o prendere in prestito i miei appunti. Ma non mi invitano a uscire.

Ma mi ha davvero invitato? Non era chiaro al cento per cento. Comunque, Becca dice che non si fida di lui – “Sid McKee! Ma sei pazza? Non ha dato un pugno a un poliziotto?” – quindi vengono anche le ragazze, così sto tranquilla. In realtà credo che Becca sia solo curiosa e non abbia voglia di passare un altro Capodanno a guardare una maratona di film Disney da Ruby e Jool, ma se vanno fin lassù e poi non mi faccio vedere, non me lo perdoneranno mai. Mi sta già esplodendo il telefono in tasca, ma è solo Becca che mi chiede dove sono. Non posso dirle che non ho ancora avuto il coraggio di chiedere il permesso di uscire.

Io e papà abbiamo un accordo tacito anche sulla mamma: visto che lei è un po’ rigida, se c’è una cosa molto importante per me, lui mi aiuta a convincerla. Ma una festa fuori casa che dura tutta la notte con la cricca di Sid? Tanto vale chiedere il permesso di farmi un tatuaggio. Di una parolaccia. In fronte.

“Solo tu ti metti a fare i compiti a Capodanno, Mel”, dice papà, a voce abbastanza alta da far girare tutti a guardarci. È così trasparente da risultare adorabile. “La migliore del tuo anno negli esami di Natale, non è vero,

tesoro?” Le zie rumoreggiano per esprimere la loro approvazione e mi chiedono su cosa sto lavorando, così lui si gonfia d’orgoglio.

“Sto solo prendendo degli appunti, per una tesina. Sul tempo”, mormoro diventando rossa. Ho portato giù il quaderno giusto per potermici nascondere dietro.

“Sul tempo? Tipo…” Zia Cath lancia un’occhiata all’orologio sulla mensola del camino.

“Oh, non quello. Sull’essenza del tempo. Avete presente? Tipo la relatività.”

A quanto pare non ce l’avevano presente. E mi guardano con la faccia di chi non è troppo ottimista per la tesina se quello è il massimo che riesco a fare per spiegarmi. Vorrei che tutta la comunicazione passasse per iscritto. Oppure come facciamo io e papà, con smorfie e occhiolini.

“Mel e le sue teorie.” Il Compiaciuto Nigel scuote la testa con indulgenza come se io avessi appena illustrato le mie ipotesi sul modo in cui Babbo Natale riesce a visitare tutte le case del mondo in una notte.

“Non è una mia teoria, è di Einstein”, borbotto, e lui si volta verso la mamma e alza gli occhi al cielo come se Einstein fosse un mio compagno di classe con troppe cose da farsi perdonare.

La mamma sospira adorante. Leah e il Compiaciuto Nigel abitano “temporaneamente” al piano di sopra, perché il Compiaciuto Nigel sta “cambiando lavoro”, ma non importa che sia un idiota inabile al lavoro; è un “uomo di chiesa” (è nella chiesa con tutte le scarpe), quindi è impossibile che sbagli.

Leah distrae gli ospiti offrendo degli stuzzichini. Sa che odio essere al centro dell’attenzione.

Ho sempre contato sul fatto che mia sorella fosse quella sana in famiglia. Mi faceva sempre delle playlist fichissime e mi passava i suoi vecchi trucchi. Ma poi ha sposato

il Compiaciuto Nigel e hanno cominciato a “provare ad avere un bambino”, e da allora è uscita sempre più di testa. Parla solo di cibi indicati, esercizi specifici e vitamine particolari per aumentare la fertilità. A volte mi viene voglia di suggerirle di provare con il sesso. Ma poi guardo il Compiaciuto Nigel con la sua polo e i pantaloni chino. Credo che anch’io punterei sulle vitamine.

Sia che il futuro si presenti come il fiume di Newton o come l’isola di Einstein, l’essenziale, secondo

Heisenberg, padre della teoria quantistica, è che assolutamente niente può essere previsto.

Heisenberg non ha mai incontrato i miei genitori.

Cancello l’ultima riga.

Non è che la mia famiglia non sia interessata alle teorie sul tempo. “Quando” è un concetto con cui sono perfettamente a loro agio. Quando farai gli esami, quando ti iscriverai a medicina, quando andrai a Belfast all’università, quando sposerai Matt e comprerai una casetta nella via accanto e avrai tre bambini e sostituirai Leah alla scuola domenicale… Mamma e papà sono newtoniani convinti che pensano che Einstein avrebbe avuto bisogno di un bel taglio di capelli, e sicuramente si aspettano che stia qui con loro a festeggiare il nuovo anno guardandolo scorrere in un’unica ragionevole direzione.

Cerco di immaginare la festa di Sid. Sid non è newtoniano e neanche einsteiniano. Sid è un quanto sconosciuto. Un tachione, un quark, una particella ipotetica che potrebbe esistere oppure no, impossibile da prevedere. In termini quantistici, alla festa di Sid potrebbe succedere assolutamente di tutto.

Questo pensiero mi fa venire il prurito, come se i miei atomi fossero pronti a scindersi in qualcosa di instabile.

Perché era il posto per me

ma ora è il posto dove penso al tuo volto e…

Qualcosa con colto? Cristo. Le poesie non sono mai state il mio forte.

Come si fa a ridurre una come Mel a delle parole? Come si fa a dire che ti ha riempito la testa con pensieri così enormi che devi stare all’aperto per poterli pensare? Vorrei dire che è uno tsunami gentile, ma come rima con “tsunami” mi viene in mente solo “salami”, e non mi porterebbe a niente di buono.

Sono davvero salito a Carnclare Hill per pensare a lei. È importante avere un posto dove poter pensare. La maggior parte delle persone ha la propria stanza, ma Lucille si infila nella mia così spesso per pulirla che non c’è neanche il mio odore, profuma di Mastro Lindo. Ha ridipinto le pareti senza dirmelo. Ho appeso i poster dei Code Orange e dei Counterparts e lei li ha coperti con disegni di cascate. Sid, quando avrai casa tua, potrai conciarla come ti pare.

Quindi Carnclare Hill è il mio rifugio. Mi permette di stare fuori di casa, che va benissimo sia a me sia a Lucille. Sono troppo trasandato per le sue degustazioni di vini e troppo scemo per le sue riunioni di Donne Imprenditrici. E Dio non voglia che mi veda uno di quelli con cui esce e pensi che è abbastanza vecchia da avere un figlio adolescente. Un paio di mesi fa l’agente Oliver mi ha beccato a vomitare in una siepe e quando mi ha portato a casa abbiamo trovato una specie di festa di Ann Summers in soggiorno. Ho dovuto spostare una scatola di sex toys per

sedermi e tutte le amiche di Lucille hanno pensato che eravamo spogliarellisti, hanno provato a farsi Oliver e lui ha dovuto minacciare di arrestarle.

Bevo un sorso di sidro scadente dalla bottiglia di plastica che ci passiamo e mi guardo riflesso nei finestrini delle auto quando la luce dei lampioni mi illumina. L’incendio dell’alcol che mi si spande nel petto somiglia a quello che provo quando penso a Mel. Immagino di dirle che è inebriante.

L’alcol batte in testa

L’alcol sottopelle

È quello che dici

Come ti avvicini…

Gesù, i ragazzi metterebbero le bombe.

Siamo in sei con due chitarre nella vecchia Ford Fiesta di Dev, e ora che arriviamo e camminiamo venti minuti per salire sulla collina, gli altri sono già là che fanno suonare gli Knocked Loose dal telefono di Big Murph. Nonostante quello che pensa Lucille, io ho delle amiche femmine. Ma a quanto pare nessuna aveva voglia di passare il Capodanno ad ascoltare punk e metalcore sotto la pioggia, quindi sono venuti solo i maschi.

La collina non è alta o imponente. Una zona residenziale le fa da orlo e dai suoi fianchi sono state scavate le buche di una cava. Ma proprio in cima ci sono solo prati, un gruppo di rocce perfette per sedersi e la vista su tutta Belfast e sul Belfast Lough. Quando c’è bel tempo, si distinguono la Scozia a nord e le montagne di Mourne a sud, sul confine con l’Irlanda, con l’Irlanda del Nord stretta in mezzo. Tre Stati in un solo panorama.

Ma stasera il Belfast Lough è una pozza nero inchiostro e il centro di Belfast è illuminato come un gioco dai

serpentoni di fanali posteriori e dalle scale dei condomini. C’è una strana quiete, come se stessimo tutti aspettando che succeda qualcosa.

“Spiegami di nuovo perché siamo all’aperto nel bel mezzo dell’inverno?” Zac si calca il berretto fin sulla faccia.

“Spiegami di nuovo perché passiamo il Capodanno con le suore della scuola?” borbotta Dev.

“Sid spera che siano Sorelle della Scopata Misericordiosa”, dice Mac, e se la fanno tutti addosso dalle risate.

“Scommetto che non bevono neanche. Probabilmente dovranno essere a casa alle dieci.”

“Già, voi invece siete i più fichi.” Gli faccio il dito medio e mi metto a ridere. E se fosse davvero un’idea terribile? Mel mi piace – Mel mi piace davvero – ma se le sue amiche fossero proprio strane? E come andrà coi miei, di amici? Mi sono spaccato per settimane per fare colpo su di lei. E se stasera arriva e vede solo le bottiglie tristi di sidro scadente, le canne rollate male, i discorsi biascicati sugli effetti per le chitarre? Se vedesse solo un branco di scappati di casa che stanno in un prato fangoso perché non sono i benvenuti da nessun’altra parte? Se mi vedesse dentro?

Mi offrono una lattina, ma faccio di no con la testa e invece mi accendo una sigaretta.

“Ehi fra’, non bevi?”

“Ha paura che dopo non gli si alza!”

“E ci credo. Ma le hai viste che cesse? Toh, ho un sacco di roba da pippe sul telefono.”

“Vattene affanculo!” Cristo, è stata un’idea terribile. Già mi vedevo Mel che mi guardava adorante con la chitarra vicino al fuoco, ma anche se avessi le palle, cosa potrei suonare? A lei fa schifo la roba che ascoltano i miei amici. Fa schifo anche a me. Fingo che mi piaccia

il metalcore, ma in realtà ho delle playlist segrete piene di pop punk che loro considerano praticamente musica da boy band.

Accatasto della legna umida per il falò e scruto ansioso il sentiero sperando di vedere delle luci. Ce l’avranno la torcia sui telefoni… E si ricorderanno dove sono gli scavi. Merda, gliel’ho detto delle cave?

Proprio quando decido che forse è meglio se non viene, le sentiamo. Voci. Risate e grida mentre scavalcano i recinti. I ragazzi alzano gli occhi al cielo, e in silenzio si sistemano i capelli.

Probabilmente è davvero un’idea terribile, ma all’improvviso non mi interessa. In realtà volevo soprattutto mostrarle questo posto. Perché lei mi ha visto solo a scuola, dove non è che faccio una gran bella figura.

L’unico motivo per cui non mi hanno ancora espulso è che ci vogliono un sacco di scartoffie, e sanno che comunque si libereranno di me dopo gli esami.

Agito una mano, loro rispondono al saluto e i puntini di luce diventano ombre in movimento, poi sagome, persone, ragazze e sono qui, che trascinano delle borse e ridono dietro alle sciarpe.

Ma Mel non è con loro. E quella era l’unica cosa importante. Mel

Suonano al campanello e io mi chiedo chi altro sia stato risucchiato nel nostro buco nero. Papà presenta i nuovi arrivati: i genitori del Compiaciuto Nigel, il signore e la signora Dunlop, e l’altro loro figlio, Matt.

Nel vuoto mentale del nostro salotto, nessuno può sentirmi urlare.

Mi volto per mandare un’occhiataccia ma tu lo sapevi? a Leah. Lei alza le spalle impotente e tracanna il terzo Virgin Mary.

“Ciao, Mel.” Matt mi si piazza subito accanto mentre mi muovo per recuperare i bicchieri da riempire. “Buon anno nuovo.”

“Sì, anche a te.”

Si tira nervosamente il nodo della cravatta (ha addosso giacca e cravatta!) e io ho un’improvvisa visione di persone a cui viene legittimamente consentito di baciarsi a mezzanotte.

“Buon Natale?” chiedo.

“Sì!” Tira fuori un astuccetto dalla tasca della giacca. “Ho delle monete nuove.”

“Ah sì?”

“Me le sono fatte ordinare su eBay dalla mamma.”

“Forte.”

“Avevo paura che sbagliasse e comprasse delle riproduzioni, invece è andata alla grande.”

“Fiuu.”

Questo è il genere di conversazione brillante che abbiamo di solito io e Matt. Colleziona anche vecchie macchinine giocattolo, cartoline e macchine fotografiche. È come se avesse fatto un viaggio nel futuro, e vedendo lo strano vecchietto che è destinato a diventare, abbia deciso di non perdere tempo.

“Stai molto bene”, dice arrossendo violentemente.

“Ehm… anche tu.”

Non che io sia poi troppo nella posizione di giudicare i suoi vestiti. La mamma ha una sua teoria sul tempo che consiste in una immutabile legge: la qualità degli abiti che compri è direttamente proporzionale a quanto dureranno, e i vestiti di qualità non sono mai quelli di moda. Non ha senso che lo siano, perché dureranno più a lungo

“Tua mamma dice che terrai uno dei gruppi di catechismo l’anno prossimo. Potremmo unire le forze!” dice Matt. “E, magari, andarci a bere un caffè o qualcosa del genere, dopo?” Si passa con noncuranza una mano tra i biondi capelli ordinati, mentre sulle guance sboccia un bel rosa e la mascella squadrata lavora per l’ansia. Il problema è che Matt è piuttosto carino. Solo che riesce a essere carino nel modo più noioso possibile.

“Oh. Ehm…”

“Matt! Che piacere vederti!” cantilena la mamma. Prova a prendermi i bicchieri dalle mani per impedirmi di scappare in cucina, mentre io cerco di tenerli. Vince la mamma, e mi fa l’occhiolino mentre ci lascia soli.

Leah pensa che per me la vita sia facile perché lei ha dovuto combattere tutte le battaglie con i genitori per prima e io sto sfruttando la scia. Lei ha avuto ufficialmente il permesso di uscire con i ragazzi a sedici anni, quindi è da parecchio che aspetto con impazienza di compierli anche io. Ma non mi ero resa conto che a sedici anni sarei stata in un romanzo di Jane Austen. Suppongo che quei maneggioni dei miei genitori sappiano che presto dovranno lasciarmi uscire con un ragazzo e non vogliano correre rischi su chi sarà il prescelto. L’idea che il chierichetto Matt possa essere un pericolo per la figlia di qualcuno fa ridere.

Fa ridere quasi quanto l’idea che a Sid McKee sia permesso di avvicinarsi alla figlia di qualcuno.

Sid è sinonimo di guai. Io e Sid ci siamo conosciuti proprio per questo.

Tre mesi fa, l’hanno fatto sedere accanto a me durante la lezione di storia perché stava disturbando. La professo-

19 di qualsiasi tendenza. Ho paura che la mostruosità di alpaca e la gonna a quadri che mi ha regalato per Natale – e che ha insistito che mettessi stasera – saranno ancora in giro quando avrò trentacinque anni.

ressa Girvan probabilmente sperava che lo annoiassi fino a farlo comportare bene. Io sono un pianeta molto piccolo nel “sistema solare” della scuola, quindi non mi aspettavo neanche che lui notasse che gli ero seduta accanto. A dire la verità, speravo non lo notasse, perché i ragazzi come lui fanno paura.

Ho aspettato per settimane che facesse qualcosa di cattivo. Che dicesse una cosa disgustosa. Che mi tirasse l’elastico del reggiseno. Mi rubasse il telefono. Mi costringesse a fargli i compiti. Certi giorni non si presentava neanche in classe. Altre volte, russava tutto il tempo, o si spaparanzava a braccia e gambe larghe con il profumo del suo deodorante che aleggiava nello spazio di entrambi, come se io neanche ci fossi. Alla fine ha notato la mia esistenza al punto di allungarsi sopra la mia spalla per leggere il libro che avevo nascosto sotto il banco. Io l’ho stretto, mi aspettavo che lo afferrasse e lo leggesse ad alta voce o qualcosa del genere. Ma non l’ha fatto. Ha sbadigliato e ha detto: “Che roba è?”.

Stava mangiando un lecca lecca che gli aveva macchiato le labbra di blu e mi guardava in attesa. Io ho fatto caso ai suoi capelli – metà rasati e metà rosa –, ai braccialetti di pelle, ai piercing alle sopracciglia, alla maglietta con il simbolo anarchico nero visibile sotto la camicia bianca. Ai suoi occhi neri come il carbone e alle sue labbra color mirtillo. Ero troppo confusa per riuscire a mentire.

“Parla del tempo”, ho detto.

“Di cosa parla?” Non è la stessa cosa quando me lo chiede Matt. Legge da sopra la mia spalla. “La teoria del multiverso sostiene che ogni volta che i sistemi quantistici interagiscono tra loro, l’universo si divide in universi paralleli. Ciascuna possibilità è rappresentata in uno di quegli universi.” Alza gli occhi verso di me. “Ehm… cosa?”

Chiudo il quaderno. “Non è niente.”

“Cos’è un sistema quantistico?”

“Nulla.” Cerca solo di essere educato, io faccio un gesto impaziente con la mano. “Ogni particella, ogni gruppo di particelle. Un essere umano è un sistema quantistico. Quindi se due sistemi quantistici entrano in contatto… Diciamo per esempio che tu mi chiedi se voglio qualcosa da bere: a quel punto l’universo si divide in due universi paralleli. Nel primo dico di sì, nel secondo di no.” Sottolineo con delicatezza quel “No”.

Lui annuisce piano.

“Ogni esito possibile è rappresentato negli universi paralleli. Quindi forse non dovresti prenderla troppo male se una ragazza ti rifiuta, no? In un altro universo ti ha detto sì.” Gli do un colpetto sulla spalla come se stessi scherzando. Becca sostiene che dovrei semplicemente dire a Matt che non sono interessata, ma lui mi guarda con quegli occhioni speranzosi, e siamo più o meno parenti acquisiti, quindi devo vederlo sempre, e non ci riesco. Così invece lo annoio con la scienza e non smetto di dargli indizi, che però lui non coglie mai.

Sospiro. “Non importa. Sto solo scrivendo una tesina sull’argomento. Per un concorso.”

“Ah sì? Cosa si vince?”

“Un viaggio in un college di Cambridge. Puoi incontrare i professori, visitare il laboratorio e cose così. Gli ultimi tre che hanno vinto poi sono andati a studiare lì. Fa bella figura sulla domanda di ammissione.”

“Andrai a Cambridge?” si rattrista all’improvviso.

“Ci sto pensando.” Abbasso la voce e fingo indifferenza, come se non avessi i programmi già infilati sotto il letto.

“Sembra complicato”, dice lui guardando accigliato il quaderno.

“Non è complicato, è sconvolgente.” Ha l’aria dubbiosa. Si vede che sta sperando che smetta presto, così possiamo tornare a parlare della nuova moneta che ha in mano. “Cioè, esisterebbe ogni possibilità. Esisterebbe ogni versione di te. Ci sarebbe un universo in cui vado a Cambridge a studiare fisica e un universo in cui non lo faccio.” Sono terribilmente consapevole che ci sarebbe anche un universo in cui stasera riesco ad andare alla festa di Sid, e uno in cui non riesco. Sto cominciando a temere di non essere solo alla festa sbagliata… ma nell’universo sbagliato.

“Ooook, direi che è… interessante.”

“È da pazzi. La parte interessante è questa: è casuale?” Prendo la sua moneta e la lancio per aria, lui la osserva nervoso, pronto a prenderla al volo prima che cada nel bicchiere di qualcuno.

“Con le particelle, è del tutto casuale: non puoi prevedere come si comporteranno. Ma le persone non sono particelle, ti pare? Noi possiamo scegliere. Esisterà pure ogni universo possibile – quello non possiamo cambiarlo – ma c’è qualcosa che possiamo fare per assicurarci che siamo nell’universo in cui vado a Cambridge?” O alla festa di Sid? Ma non lo dico a voce alta. “Siamo semplicemente in balìa del Caso o possiamo decidere il nostro destino?”

L’orologio sopra il camino suona le nove, e mi riporta in questo universo. Quello in cui la mamma sta facendo passare un piatto di paninetti con la salsiccia e bocconcini di pollo.

“Ma non è quello il senso del destino?” dice Matt. “Che non puoi cambiarlo?” Afferra l’occasione di riprendere la moneta e rimetterla al sicuro nell’astuccio. Ha ragione. Chi voglio prendere in giro? Io che saluto il nuovo anno insieme a qualcuno come Sid McKee? Io? Perfino le leggi della fisica mi sono contrarie. Tutto intorno a me, particelle con cipolline sott’aceto sugli stuzzica-

denti infilati nei cocktail dividono l’universo di continuo mentre io sto seduta qui, immobile, con il maglione di alpaca dell’infinito. A essere sincera, lo sapevo che alle nove di sera sarei stata ancora qui. Lo sapevo fin da quando Sid mi ha invitato. Lo sapevo che non avrei avuto il coraggio necessario. Era inevitabile, come le mini quiche. Mi sveglierò domani e non sarà cambiato niente, dopo questa notte così cruciale, e tutti i quando arriveranno e passeranno, il fiume del tempo continuerà a scorrere e non mi succederà mai più niente di interessante, mai più.

Qualcuno mi caccia un piatto di antipastini sotto il naso. Li fisso disperata.

“Matt? Fammi vedere di nuovo quella moneta.”

Entusiasta, me la mette tra le mani e attacca subito a spiegare da dove arriva.

Soppeso la moneta nel palmo per un istante. Poi, con un colpetto del pollice la lancio di nuovo in aria e la guardo roteare, testa, croce, testa, croce… Esce testa.

Sid

Un intrico di ginestre e alberi spogli

Un sentiero vuoto dove dovevi essere tu Belfast scintilla sul mare increspato

Un sentiero vuoto dove dovevi essere tu…

Apro un’altra lattina. Dietro di me i ragazzi litigano su come accendere il fuoco e su chi doveva portare il cavatappi. Sono seduto e gli do la schiena, guardo il sentiero che sale sulla collina.

“Ce l’ho io un cavatappi”, dice Jools.

La cosa fantastica di avere metà del club degli scacchi in cima alla collina è che fanno cose intelligenti tipo por-

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tare i cavatappi, le coperte su cui sedersi e le candele nei barattoli. Ora che i ragazzi hanno acceso un fuocherello patetico e fumoso, con l’aiuto di una bottiglia di liquido per accendini, le ragazze hanno costruito una specie di capanna di teli.

“È un mini tendone”, dice Becca. “Mia mamma li usa per i barbecue. Non fateci cadere la cenere.”

Mel non c’è ancora.

Fanculo alla mezzanotte. Fanculo a tutto il 2018, è già rovinato. Finisco questa lattina e me ne vado a casa.

“I suoi genitori sono… be’, sono molto gentili in realtà, ma anche una specie di incubo”, ha detto Becca quando le ho chiesto dove fosse, cercando di farla sembrare una domanda casuale. Le ho mandato tre messaggi che non hanno avuto risposta – mi stavo solo chiedendo dove diavolo sei – e ho raggiunto il limite per la mia reputazione. Non posso mandargliene un altro. Almeno non per i prossimi quindici minuti.

“Quindi non viene?”

Becca ha alzato le spalle ed è scappata via concitata a dire qualcosa a bassa voce alle ragazze mentre i ragazzi canticchiavano: “Ahah, preso maleeee!”. Da quel momento non mi sono mosso da qui. Sembra che non riesca a togliere gli occhi dal sentiero.

La prima volta che ho parlato sul serio con Mel mi ha raccontato che la sua aspirazione è inventare una macchina per viaggiare nel tempo. E questo l’ha fatta diventare subito la persona più interessante con cui abbia mai parlato. Pazza, ma senz’altro interessante. A scuola passo la maggior parte del tempo a sognare a occhi aperti di fondare la mia band. Che alla fine non è neanche un’aspirazione troppo ambiziosa, ma pensarci per due anni senza neanche riuscire a farlo è decisamente da sfigati.

“Ma se i viaggi nel tempo fossero possibili, non ci sarebbe qualcuno che viene dal futuro che ce lo dice?” ho detto pensando di essere molto acuto e di fare così colpo sulla ragazza che stava leggendo Dal Big Bang ai buchi neri. Breve storia del tempo, di Stephen Hawking.

Lei è stata gentile, per lo meno. “È un’ottima domanda”, ha detto, anche se non lo era. “Il viaggio nel tempo come lo fanno vedere nei film, dove si viene trasportati all’istante in un altro tempo e in un altro posto, probabilmente non è possibile, perché altrimenti ci sarebbero qui persone che vengono dal futuro.”

Annuivo cercando di seguirla.

“Ma Einstein ha scoperto che più vai veloce, più il tempo scorre lento. Quindi, in teoria, se avessi una navicella spaziale che riesce a viaggiare quasi alla velocità della luce, allora per te il tempo rallenterebbe. Sulla Terra passerebbero gli anni, ma a te sulla navicella sembrerebbero solo minuti. Quando torneresti dallo spazio, tutti gli altri sarebbero invecchiati, ma tu saresti invecchiato solo di pochi minuti, quindi avresti in effetti viaggiato nel futuro.”

“Wow. È…” ho mimato l’esplosione che stava avvenendo nel mio cranio.

“Lo so!” ha detto emozionata. Quando parla di scienza, i suoi occhi verdi brillano come vetro di mare. E i suoi capelli sono così sottili che sembrano fluttuarle attorno alla testa, pare che viva sempre in assenza di gravità. “Quindi potrebbe essere possibile viaggiare nel futuro”, ha detto.

“Servirebbe solo una navicella spaziale davvero molto molto veloce.”

“Tutto qui?”

“Ma non funziona per andare all’indietro, solo in avanti. E questo spiegherebbe perché…”

“Non c’è nessuno che viene dal futuro!”

“Esatto!” ha fatto una smorfia al nostro libro di storia. “Comunque, chi è che vorrebbe andare nel passato?”

“Perché non ci spiegano questa roba a scienze? Ho appena passato un’ora a collegare minuscole schede elettroniche per far suonare un pulsante che non serve a niente.”

“Se passi un po’ di tempo nell’ufficio del professor Sloane, ti racconta cose di questo genere. E poi sto facendo l’esame di ammissione a Fisica in anticipo.”

“Allora hai già viaggiato nel tempo!” ho detto, e lei ha riso. Potevo contribuire a quella conversazione solo con le battute, ma a lei non sembrava importare. Non era il genere di ragazza a cui un tizio come me dovrebbe parlare a scuola, ma all’improvviso non riuscivo a ricordare il perché.

“Quindi ci andresti?” ha detto. “Nel futuro?”

“Mmm. È un biglietto di sola andata, giusto? Puoi solo viaggiare in avanti? Vuol dire che non puoi tornare a casa.”

“Ottima osservazione”, ha detto, e io mi sono sentito soddisfatto di me stesso.

“Ti fa fondere il cervello. Cioè, e se poi il futuro fosse un deserto post-apocalittico e tu non avessi modo di tornare indietro per avvisare nessuno?”

Lei ha allargato le braccia. “È una possibilità. Potrebbe essere pieno di radiazioni.”

“Il cambiamento climatico.”

“Una guerra globale.”

“Un’invasione aliena.”

Ci siamo guardati mordendoci le labbra.

“Fanculo”, ho detto. “Io ci andrei comunque.”

Lei ha fatto un gran sorriso. “Anch’io.”

Be’, cosa avrei dovuto dire? Il futuro? Buffo che tu me lo chieda, Mel, perché probabilmente presto finirò la mia

carriera scolastica in malo modo, e poi sarò anche cacciato da casa, perché Lucille ha detto che non mi mantiene se non faccio lo studente a tempo pieno, quindi dovrei trovarmi un lavoro con il mio utilissimo diploma dell’artistico. Il futuro? Fatti sotto!

Quel giorno, il giorno in cui ho parlato a Mel per la prima volta, ero appena tornato dall’ufficio del preside che mi aveva chiesto perché sembrava che non mi interessasse niente del mio futuro.

“Lo sai che non hai una media abbastanza alta da poter fare gli esami di ammissione all’università?”

“Lo so, già.”

“Hai altri progetti, allora?”

“Ehm…” Fondare una band non avrebbe fatto colpo sul preside Millar.

Ma quel giorno sono uscito dalla lezione di storia domandandomi perché non mi interessava il futuro. Il futuro era pieno di lezioni. Forse non il mio, ma in generale. Ho cominciato a chiedermi sul serio come c’entravo io in quel futuro. Andranno tutti in giro con le loro macchine volanti e io servirò McMeal in pillole. Non è che non avevo notato che ultimamente i miei voti sono scesi in picchiata, ma non mi interessava, perché faceva arrabbiare Lucille. Non mi ero fermato troppo a pensare a come avrebbero influito su di me.

E ormai è tardi. Mancano circa sei mesi prima che la scuola per me finisca per sempre. E poi? Se passi la lezione di storia a parlare di un futuro remoto, all’improvviso sei mesi non sembrano molto tempo.

Credo che per questo stanotte sia così importante. Perché forse sarà l’ultimo Capodanno bello che passerò. L’ultimo bel compleanno. È il mio ultimo anno di scuola, forse l’ultimo anno a casa. L’ultimo anno a girare in città a dar fastidio ai buttafuori e a fare gare di coraggio con i

taxi. Va anche bene andare avanti così quando hai quindici anni e sei carino, ma l’agente Oliver non continuerà per sempre a chiacchierare con noi di skateboard agli angoli delle strade. Sei ubriaco marcio e per sbaglio dai un pugno a un poliziotto a quattordici anni, lui ti molla a casa da tua madre e ti porta dei volantini degli oratori della zona. Fai la stessa cosa a diciotto anni e ti sbatte contro la macchina mentre ti legge i tuoi diritti.

Quindi quando immagino il prossimo Capodanno, non posso fare a meno di pensarmi in un posto abbastanza di merda. Vorrei solo un ultimo Capodanno spettacolare. Uno da ricordare.

Più in basso, sparano in anticipo qualche fuoco d’artificio a caso, che si spegne in nuvolette di fumo deludenti, e il sentiero buio che porta in cima alla collina è ancora vuoto.

“Sid! Becca ha i marshmallow! Ne vuoi uno?”

Guardo un’ultima volta, mi sforzo per vedere qualcosa nell’oscurità. Poi mi alzo e butto la lattina sulla pila di quelle finite. Alla faccia del futuro.

“Raga, io vado.”

Mentre mi chino per prendere la mia borsa, arriva Becca con un marshmallow mezzo sciolto su uno stecchino. “Non resti fino a mezzanotte?” Poi guarda dietro di me, aggrotta le sopracciglia, ride e dice: “Oh mio Dio, ma com’è conciata?”.

Mi volto e strizzo gli occhi verso la lucina che ondeggia come una matta mentre qualcuno sale dal sentiero sbattendo qua e là, inciampando e ansimando. Una voce lontana grida: “Aspettate! Fermate il nuovo anno! Arrivo anch’io!”.

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