Carlotta & lo zio elettrico

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E T A I C O R C N I E D A R T S LE O R U T R A O I Z O L DEL l tizio qui sotto è mio zio Arturo, vale a dire

I

il fratello di mio padre. Lo conosco bene mio

zio, perché mio padre e mia madre, ogni volta che devono partire per qualche viaggio, e la cosa

succede spesso, nemmeno fossero due agenti segreti in incognito, mi portano da lui. “Dove stiamo andando, mamma?” “Tesorino, ti portiamo dallo ziet-

to Arturo, sei contenta?”

“Contenta? Se mi chiudevate

nello sgabuzzino a pane, acqua e cru-

civerba sarei stata

molto più contenta...” 7


“Ma lo sai che io e papino dobbiamo lavo-

rare.”

“Ah, è per quello che avete messo costume e

pinne nella valigia?”

“Hai visto male di sicuro.”

“Non ho nemmeno ben chiaro che lavoro

fate, tu e papà.”

“Carina, ma sono cose da grandi...”

“Comunque mi pare strano che questi viag-

gi di lavoro arrivino sempre d’estate, quando la scuola è finita.”

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“Insomma,

basta! Adesso ti

portiamo da zio

Arturo e tu fai la

brava senza storie.”

Noi (con noi intendo io, mia madre e mio

padre) abitiamo in città, in un comodo e lindo appartamento al terzo piano di un normalissi-

mo condominio; zio Arturo abita in campagna, in un casolare pieno di stanze sconosciute, piene a loro volta di oggetti capitati lì da chissà dove.

È in una di queste stanze polverose e disa-

bitate che ho trovato il cappello originale di

Dwight Spaccapietra che adesso è diventato mio. Quando sto con mio zio lo porto sempre in testa, per ripararmi dai guai che piovono in abbondanza.

Anche se non sono sicura che funzioni tanto

bene: con il suo fidato cappello, Dwight Spacca9


pietra sopravvisse al duello con i fratelli Trump

nella gola del crotalo, e poi alla tremenda rapina

della banca di San Pedro, ma non sopravvisse al vaso di gerani che cadde inavvertitamente dal balcone della bella Rosalinda, di cui non era nemmeno innamorato.

Comunque, quando vado da zio Arturo mi

devo sempre aspettare le cose peggiori, come se 10


giocassi a Monopoli e mi capitassero solo quegli imprevisti pieni di infortuni, tasse, case che crollano, calamità naturali.

Perché mio zio non è una di quelle persone

che pensano, rimuginano e se ne stanno in silenzio. Zio Arturo ha sempre qualche idea bislacca per la testa, qualche progetto astruso, qualche impresa ardimentosa da compiere subito.

E per ognuna delle imprese di zio Arturo

è necessaria la mia presenza. Perché lui, tra le

mille altre cose, è timido, ma timido che si vergogna anche di andare a comprare un biglietto dell’autobus, e io gli servo per fare tutte quelle

cose che lui, con la scusa della timidezza, non fa: tipo telefonare a qualche sconosciuto, discutere

con un meccanico di pezzi di ricambio, chiedere informazioni a un incrocio.

Che poi, in ogni storia che si rispetti gli in-

croci hanno sempre un ruolo importante: per-

mettono di andare dritti nella tana del drago, oppure ci costringono a compiere giri lunghi

e inattesi, oppure ancora ci portano a scoprire 11


cose che non avevamo nessuna voglia di sco-

prire. Una storia senza incroci non è una storia, oppure è una storia noiosissima. Del resto, le parole crociate che a me piacciono tanto sono

formate solo da incroci che collegano tra loro

parole – coccodrillo, Dumas padre, Marangone dal ciuffo – che altrimenti non si sarebbero mai potute incontrare.

Zio Arturo, che è più timido di un topolino

nascosto in una casa, ha sempre paura che gli

altri non lo capiscano, con il risultato che qua-

si nessuno, a parte me, riesce a capirlo davvero. Perché zio Arturo non si spiega: lui suona, suo-

na e suona ancora. Suona tutti gli strumenti che

gli capitano sotto le mani. E quando non suona, pensa alla musica e a come mischiare suoni e rumori ed elettricità.

Ma zio Arturo con gli sconosciuti è silen-

zioso, impacciato, sempre intento a stringere tra

le mani il suo cappello, a incrociare le gambe, a diventare rosso come un gambero se qualche donna lo guarda e gli sorride. 12


Ogni volta che mamma e papà mi abbando-

nano in questo luogo sperduto per andare chissà

dove, zio Arturo non protesta, anzi. A volte mi attende con ansia. Come se non aspettasse altri

che me per dare il via a una nuova avventura. Neanche fossi l’ingranaggio mancante per far funzionare un motore. O l’elettricità per accendere la chitarra di zio Arturo.

Nel retro della grande casa dove abita zio

Arturo c’è quello che un tempo era un granaio. Adesso è pieno di amplificatori, fili, chiavi in-

glesi, attrezzi vari. Poi ci sono vecchi strumenti

musicali che lo zio ha modificato uno per uno. Basta un po’ di corrente elettrica per trasformare un vecchio strumento sfondato in un oggetto 13


strano e indiavolato. Attacca la spina della sua chitarra, suona due note e subito zio Arturo si spettina, saltella, ruota le braccia come un nuotatore in piscina.

“Nipote, non hai idea dei miracoli che può

fare l’elettricità!”

“Lo so. Alessandro Volta è riuscito addi-

rittura a far muovere una ranocchia morta. La rana non deve essere stata molto contenta.”

“Alessandro chi? Non lo conosco, ma tu sen-

ti come suona questa vecchia latta d’olio!”

“Zio, ti sei accorto che oltre a me e a te, qualsiasi altro essere vivente capace di camminare da

solo è scappato a distanza di sicurezza da questo granaio? Rie-

sci a immaginarne il

motivo?”

“Carlotta, mi sem-

bri nata vecchia! Sen-

ti come sfrigolano

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le valvole del nuovo amplificatore che ho costruito con il ser-

batoio della falciatrice!”

Parlare con mio zio mentre suona o prova

uno dei suoi strumenti è impossibile. O meglio, ci si può anche parlare, ma solo a patto di non dover dire davvero niente di intelligente. E per

me, che ho il quoziente intellettivo più alto di tutta la famiglia, è davvero impossibile. L’unica

cosa positiva di stare da zio Arturo è che la sua vicina di casa, dall’altra parte della collina, coltiva lamponi e ogni tanto mi fa andare da lei a mangiarne un po’, quando sono maturi. 15


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