Patagonia

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PATAGONIA

PATAGONIA

VIAGGIO IN BICI AI CONFINI DEL MONDO

Coyhaique Comodoro Rivadavia

Caleta Olivia

Deseado

Lago General Carrera

CILE

Parque Nacional Los Glaciares

Lago Buenos Aires

Lago Viedma

Chico

ARGENTINA

Lago Argentino

El Calafate

Camping Pehoé

Parque Nacional Torres del Paine

Camping Serrano Puerto Natales

OCEANO PACIFICO

Estancia El Manantial

Cerro Castillo

Puerto Deseado

OCEANO ATLANTICO

Río Gallegos

Punta Arenas

Bahía Inútil

Tierra del Fuego

Stre o di Magellano

San Sebastián Río Grande

Lago Yehuin

Tolhuin Ushuaia

Lago Escondido

Isla de los Estados

Cabo de Hornos

SOMMARIO

INTRODUZIONE

Pag. 9

IL VIAGGIO

Pag. 13

POSTFAZIONE

Pag. 149

GLI AUTORI

Pag. 151

PENNI

Pag. 153

WILLY

Pag. 155

FRANK Pag. 157

RINGRAZIAMENTI

Pag. 159

TAPPA 1

Pag. 14

TAPPA 2

Pag. 32

TAPPA 3

Pag. 46

TAPPA 4 GOMMA

Pag. 60

TAPPA 5

Pag. 70

TAPPA 6

Pag. 82

TAPPA 7 ALBERO

Pag. 94

TAPPA 8

Pag. 102

TAPPA 9

Pag. 112

TAPPA 10

Pag. 120

TAPPA 11 TURBAMENTO

Pag. 130

TAPPA 12

Pag. 140

E ANCORA ANDIAMO VERSO L’IGNOTO

ATTRAVERSANDO CIÒ CHE ERAVAMO E CIÒ CHE AVREMMO POTUTO ESSERE.

Wandering Soul

Jack Jaselli

INTRODUZIONE

Hanno cercato di conquistarla, circumnavigarla, attraversarla ed esplorarla, restituendola all’immaginario comune come una terra magnetica, ostile e indomabile. Magellano, Shackleton, Darwin, Sir Francis Drake sono solo i nomi più noti di un esercito di esploratori, scienziati e avventurieri in cui è impossibile non imbattersi se, come è accaduto a me, ci si appassiona fino all’ossessione a questa terra magica.

La nostra idea era molto semplice: un migliaio di chilometri. In bicicletta. Semplice sulla carta. Dovevamo affrontare tre voli per un totale di venti ore, seduti in una cabina d’aereo con la speranza che le nostre biciclette arrivassero a destinazione incolumi. Dovevamo pedalare per quindici giorni per circa mille chilometri, in buona parte controvento, fino a raggiungere la Fine del mondo. Dovevamo attraversare la Patagonia e la Terra del Fuoco fino ad

arrivare al punto più a sud delle terre abitate: Ushuaia.

La mia passione per i viaggi in bici è nata nel 2015. Ero arrivato a Radio Deejay qualche anno prima, nel 2010. Volevo scartare dai percorsi apparentemente obbligati di chi fa il mio mestiere, eludere il richiamo della notorietà mediatica e girare il globo. Tutto è cominciato dal cammino di Santiago a piedi (il Cammino francese); poi sono partito per l’Islanda in moto, ho attraversato la Giordania in fuoristrada, sono stato in Alaska alla ricerca del bus di Chris McCandless e finalmente sono montato in sella a Sidney per raggiungere Brisbane in bici. È stato subito amore. Del resto l’avevo già capito a quindici anni quando mio padre e mia madre mi avevano regalato una mountain bike anziché il classico motorino: la bicicletta è il mezzo migliore per conoscere la Terra e viaggiare alla sua frequenza.

Non volevo andare in Patagonia per raccontare un’impresa: non mi interessava, non ci interessava. Volevamo ascoltare storie, respirare nuovi profumi, riempirci gli occhi di spazio e la pelle di vento.

Volevamo anche conoscerci meglio, perché siamo partiti dalla sera alla mattina come se fossimo amici di vecchia data, ma le cose non stavano esattamente così. Paolo Martelli, per gli amici Penni, è laureato in Fisioterapia. Nel 2007, appena finita l’università, si è trasferito a Barcellona ed è lì che, dopo svariati lavori e infinite coincidenze astrali, ha scoperto un’arte che padroneggia con maestria e unicità: la fotografia. Ci siamo incrociati grazie a un viaggio in Puglia di un paio di settimane. Lui doveva realizzare delle immagini, mentre io mi trovavo lì per raccontare la bellezza di pedalare lungo le strade della mia terra.

Io e Willy ci siamo cercati per anni per poi ritrovarci in occasione di un’intervista realizzata per il mio programma radio, Deejay on the Road . Lui è un avventuriero che ha trasformato la sua passione in un lavoro vero e proprio: ha accompagnato

in giro per il mondo migliaia di aspiranti cicloviaggiatori. La conoscenza tra i miei due compagni è più profonda. Il loro primo incontro risale a un’avventura in Mongolia nel 2015. Da allora anche Willy come me si è innamorato delle foto di Paolo e ha tentato di coinvolgerlo in ogni possibile impresa.

Ci conoscevamo, ma avevamo ancora tanto da scoprire. Eppure c’era già qualcosa di magico. Frank, Penni e Willy: un trio che sembra uscito da un cartone animato o da un gangster movie americano.

Ho portato con me la mia fedele videocamera per girare un documentario, ma non ho scritto nulla: non ho preparato una sceneggiatura né una bozza di copione. Abbiamo concordato ben poco di quello che accadrà in queste due settimane. Io accenderò la videocamera tutte le volte che lo riterrò opportuno, Penni scatterà puntuale come sempre. Willy ci guiderà attraverso una regione estrema e remota, in cui si muove come fosse a casa sua.

Un videomaker/speaker radiofonico, un fotografo sensibile e un tenero maestro di viaggi. La voce, l’occhio e il cuore della Patagonia.

IL VIAGGIO

VIAGGIO

TAPPA 1 DA EL CALAFATE A ESTANCIA EL MANANTIAL

GHIACCIO

Una massa imponente, maestosa, anche se resa più piccola dalla crisi climatica. L’atmosfera è surreale. La pioggia scivola sul viso e non mi concede di puntare la camera e premere il tasto Rec. Lo faccio riparandomi sotto un albero. Azzurro, blu, celeste. Il contrasto con il cielo plumbeo è prepotente. Camminiamo sotto una pioggia così fastidiosa, così milanese. È una gita da veri turisti, ma con una differenza sostanziale: siamo nel Parco nazionale Los Glaciares, Santa Cruz. Patagonia.

Oggi non si pedala. È strano ma è una consuetudine: prima di ogni viaggio in bici c’è una fase di preparazione, di acclimatamento, di immobilità. È strano ma è un passaggio obbligato. Al mattino ci siamo dedicati allo spacchettamento e alla messa a punto del mezzo. La prima cosa da fare è assicurarsi che nulla sia andato perduto durante il trasporto aereo. Dopo aver trovato

tutti i pezzi e aver riassemblato la bicicletta, il momento più delicato è la distribuzione dei pesi e degli ingombri. Siamo stati molto efficienti: il processo, da sempre uno dei più complessi dell’intera avventura, è durato “appena” sei ore. Che fatica. Per rilassarci e iniziare a immergerci nella giusta atmosfera, poco dopo pranzo Willy ci propone una gita, ed eccoci qui. È l’inizio di febbraio, piena estate sotto l’Equatore, eppure siamo talmente a sud che lo ritroviamo al livello del mare. Il Perito Moreno è il ghiacciaio più famoso del pianeta Terra, la terza riserva d’acqua dolce al mondo. Si estende per duecentocinquanta chilometri quadrati. È vivo, si muove, ti obbliga a fare respiri profondi. È talmente grande che gli occhi non riescono a inquadrarlo. Come da un oceano senza ghiaccio, ti aspetti di veder spuntare code di balene e capodogli, lo immagini pieno di vita. Il bianco sembra azzurro, l’azzurro scolora nel bianco.

Il Perito Moreno sembrava quasi la fronte di un anziano, con le rughe a segnare il tempo.

Ultimi preparativi: gonfiaggio gomme prima di uscire da El Calafate.

Il silenzio viene squarciato di tanto in tanto dal ghiaccio che si spacca. La rottura è conseguenza del fenomeno naturale, ciclico, spettacolare del suo movimento e della pressione esercitata dall’acqua. I click della macchina fotografica di Penni spezzano un mutismo inusitato. A causa del meteo, un’area solitamente popolata da schiamazzi e urla di ogni tipo oggi è deserta. Solo nostra. Willy ci osserva dall’alto. È distratto. Scruta noi più che i duecentocinquanta chilometri quadrati di ghiaccio. È comprensibile. Quante volte avrà visto questa scena in vent’anni trascorsi in Patagonia?

Gli rubo un cenno d’intesa, lui mi fa segno di risalire. “Sei pronto? Da domani si pedala”, mi dice mentre ci sediamo in auto e Paolo

mostra i primi scatti della sua Nikon.

“Come ci siamo finiti io e te da quel salotto in val Trompia alla Fine del mondo?” gli chiedo ridendo.

“Aspetta”, risponde con quel suo mezzo sorriso, spostandosi con la mano destra la ciocca di capelli che puntualmente gli copre la fronte, “ci devi arrivare alla Fine del mondo”.

“La smettete di fare i romantici voi due?

Fermati qui, ti faccio una foto”, borbotta Penni.

Mentre scendiamo dalla jeep che a ritroso sta percorrendo la Ruta 11 per El Calafate, guardo Willy con più attenzione. “Ma non hai freddo? Sei in maniche corte, ci saranno cinque gradi!”

Lui appoggia un sorriso a mezza bocca: “Lo zio non ha mai freddo”.

A dispetto della giornata precedente – del grigio e del ghiaccio che ci hanno accolti –il sole abbraccia le tre biciclette mentre lasciamo El Calafate. Non siamo equipaggiati con mezzi particolarmente sofisticati. Willy viaggia su una bici francese con telaio su misura in titanio e cambio racchiuso in una struttura a bagno d’olio. (Il vantaggio? Riduce di molto le possibilità di guasti.) Penni e io pedaliamo su due gravel, entrambe in carbonio, ma la mia alloggia i portapacchi direttamente sulla forcella. Tutti e tre montiamo gomme tubeless: quella di Willy è larga 2,6 pollici e ha un diametro di 29 pollici; quella di Penni è 2,1 pollici per 27,5; mentre io ho uno pneumatico largo 2,1 pollici con diametro di 29. Ognuno di noi ha una borsa manubrio da

8 litri, una borsa sottosella da 20 litri, due borse forcella da 6 litri e due borse telaio per il tubo orizzontale da 6 litri ciascuna. Quando si affrontano viaggi così lunghi è bene calcolare al massimo 40-50 litri di capienza, che devono bastare anche per sacco a pelo e tenda monoposto. È facile smarrirsi fra le miriadi di specifiche tecniche, ma la cara vecchia formula “less is better” in questo caso non sbaglia mai. Meglio non esagerare: il peso gioca sempre a sfavore.

Il vento che ci accompagnerà ovunque per ora è clemente. Siamo talmente occupati a riprendere, fotografare, raccontarci le nostre vite, che quasi non ci accorgiamo di due ragazzi in piedi a bordo strada. “Sono cileni”, afferma convinto Willy.

Volevamo ascoltare storie, respirare nuovi

profumi, riempirci gli occhi di spazio e la pelle di vento.

La prima sosta pranzo in strada: Willy ci fa provare carne di guanaco sott’olio.

Ci azzecca subito.

“Stiamo andando a Punta Arenas in autostop”, raccontano.

I sorrisi sono bruciati dal vento, gli abbracci si sprecano, ma non possiamo rubare molto tempo al nostro incedere. Ripartiamo. Avremo percorso circa sessanta chilometri quando, dopo una salita che ci ha portato dai duecento ai cinquecento metri di altitudine, ci fermiamo sul ciglio asfaltato della Ruta National 40 che stiamo percorrendo da ormai cinque ore. Il vento è ancora gentile, giusto qualche coccola da nord senza mai essere violento. Lo spiazzo in cui Willy fa segno di fermarci ha un cartello inequivocabile: “Mirador”.

Il punto panoramico, meraviglioso, arriva proprio alla fine di una lunga salita, e noi

ne approfittiamo per mangiare. Lo sguardo si perde alla ricerca di un riferimento, ma il paesaggio è talmente vasto che i nostri occhi metropolitani non sono in grado di contenerlo.

“Che coraggio girare in autostop, chissà quanto aspetteranno prima di essere caricati”, dico a Willy.

“Scherzi? Qui in Sudamerica è normalissimo, è molto probabile che stiano già chiacchierando in qualche abitacolo”, mi risponde. “Fai attenzione quando ripartiamo”, aggiunge, “ci becchiamo tutto il vento da ovest che ci spinge verso l’interno della carreggiata…”.

“Aspetta!” lo interrompo. “Questa devi ripeterla in camera, è un’informazione importante. Ma dammi qualche dettaglio

CILE

Parque Nacional Los Glaciares

Lago Viedma

ARGENTINA

Lago Argentino

El Calafate

Camping Pehoé

Parque Nacional Torres del Paine

Camping Serrano Puerto Natales

OCEANO PACIFICO

Estancia

El Manantial

Cerro Castillo

OCEANO ATLANTICO

Río Gallegos

Punta Arenas

Stre o di Magellano

San Sebastián

Bahía Inútil

Tierra del Fuego

Ushuaia

Río Grande

Lago Yehuin

Tolhuin

Lago Escondido

Isla de los Estados

Cabo de Hornos

DISTANZA 127 km

TAPPA 1

DIFFICOLTÀ

Tappa infida, e non solo perché è la più lunga e quella con il dislivello maggiore, ma perché nella prima giornata di viaggio ci si sente come cavalli purosangue chiusi nei box da molto tempo. Troppo tempo.

I nemici sono due: il vento prevalentemente a favore che ti fa volare e l’eccesso di entusiasmo. I primi 60 km sono un lungo volo che termina con una salita di 20 km e 600 m di dislivello. Dopo la salita, ci si consola ammirando il Rio Santa Cruz che dal lago Argentino arriva all’oceano Atlantico, mentre da lontano, con un po’ di fortuna, si possono scorgere il Fitz Roy, Punta Bandera e il vivissimo ghiacciaio Perito Moreno. Dal punto panoramico il vento inizia a farsi sentire violento lateralmente, alla nostra destra.

Dopo 94 km si abbandona la Ruta 40 e con lei il tratto asfaltato. È possibile fare rifornimento al Puesto Fijo Gilberto Soules (una casupola simile a quelle dell’Anas). Il dessert sono i 33 km di ripio (sterrato) e di vento contro cui è inutile imprecare, molto meglio adattarsi in fretta: il viaggio è ancora lungo e l’esplorazione infinita.

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