Basta un vento lieve Racconti multimediali migranti
© 2021 Cart’Armata edizioni Srl Terre di mezzo Editore via Calatafimi 10 20122 Milano Tel. 02-83.24.24.26 e-mail editore@terre.it terre.it Direzione editoriale: Miriam Giovanzana Coordinamento editoriale: Sara Ragusa Comitato editoriale DiMMi: Natalia Cangi Michele Colucci Antonio Damasco Patrizia Di Luca Laura Ferro Alessandro Triulzi Paule Roberta Yao Stampato nel mese di settembre 2021 Rubbettino print, Soveria Mannelli (CZ) Questo libro è stampato su carte dotate di certificazione FSC®, che garantisce la provenienza della materia prima da fonti gestite in maniera responsabile.
Avvertenza
Basta un vento lieve, quarto volume della serie DiMMi Diari Multimediali Migranti, contiene le quattordici storie premiate e selezionate dalle commissioni di lettura delle oltre sessanta spedite per il concorso DiMMi 2020. Quest’anno abbiamo voluto che l’antologia, marcata dal Covid-19 e dai suoi effetti ancor più dell’anno scorso, fosse affidata senza mediazioni alle parole dirette dei suoi autori-protagonisti. Dal 2012 a oggi, i diari multimediali di DiMMi hanno fatto affluire nell’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano quasi cinquecento testimonianze autobiografiche, fonte insostituibile di conoscenza della complessa realtà migratoria dell’Italia contemporanea e della ricchezza narrativa che essa esprime. I racconti di quest’anno, arricchiti dai disegni che chiudono il volume, esprimono la comune volontà di un cambiamento di prospettiva non solo nella rappresentazione, ma anche nella rappresentanza degli autori e autrici oggi coinvolti nel progetto DiMMi Diari Multimediali Migranti. Così la famiglia estesa di DiMMi diventa impegno e metafora del noi collettivo di italiani e stranieri che vogliono condividere la propria alterità e creatività con tutte le persone che abitano e vivono insieme in questo Paese. Una metafora, ma soprattutto un auspicio, per l’Italia di domani. 5
Questo libro è pericoloso Antonio Damasco Il settimo giorno, Dio compì l’opera che aveva fatta, e si riposò il settimo giorno da tutta l’opera che aveva fatta. Genesi 2.2 Bibbia Il settimo giorno scelsero tra centosettanta e duecento persone, che ritenevano capaci di sostenere il viaggio, e uno di loro ci guidò verso una valle tra due montagne in direzione del confine tra Egitto e Libia. Dal diario di Djongo
Siamo fatti di storie. Organizziamo le nostre giornate, desideriamo e sogniamo il futuro con le medesime parole delle storie che conosciamo. Siamo stati cavalieri e principesse, soldati e danzatrici, ma allo stesso tempo draghi e il buio che ci faceva paura, abbiamo fatto case a punta e paesi disegnati centinaia di volte. L’aria stessa che respiriamo ci porta nelle narrazioni con le quali siamo cresciuti, poi arriva la scuola, gli amici, i libri, l’amore e gli incontri, quelli che ci fanno conoscere nuovi personaggi, che stratificano saperi o li mutano, fino a scegliere una parte da recitare, un vestito comodo da indossare e con il quale veniamo riconosciuti nella comunità in cui viviamo. In questo modo diventiamo maestre, commercianti, manager, operai, scrittrici, siamo accoglienti, irascibili, altruiste, codardi e timidi. In questo mare in tempesta le 7
storie ci aiutano a tenere la rotta, sono la bussola per non perderci nelle mille vite che avremmo potuto attraversare, ma soprattutto favoriscono l’accettazione di ciò che diventeremo, che è sempre un dialogo fra noi e gli altri. Siamo in un perenne divenire, con la necessità di specchiarci negli occhi di qualcuno per comprendere ciò che siamo divenuti. “Facciamo che io ero...”, per un lungo periodo continuiamo a fare lo stesso gioco di quando eravamo piccoli, poi accade qualcosa di necessario, imprescindibile, per diventare uomo o donna, per entrare nel mondo dei grandi. Prendiamo una posizione, seguiamo delle idee, proviamo a mettere dei confini, a non essere più così aperti, permeabili, lasciamo fuori qualche storia per accettare un’identità, un ruolo, un’etichetta che ci tenga al riparo dai giudizi, dai venti dell’indefinito, che ci renda speciali o semplicemente riconoscibili. Ed è a questo punto che tutto ciò che leggiamo, incontriamo, mangiamo persino, non è che la ricerca di una conferma. Arriviamo a pensare che ci sia qualcosa di magico, di esterno al nostro volere, un destino che ci ha scelti per ciò che sappiamo fare. Le storie degli altri non ci interessano più, anzi ci spaventano, perché tolgono certezza a quei punti cardine che credevamo di avere individuato, ci costringono a ripensare. Poi, a un certo punto arrivi tu, Mamadou del Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Borgo Mezzanone, per raccontarci da dove viene la frutta che portiamo a tavola e della pandemia che ha fermato tutto tranne i braccianti. Tu, Elona, con una storia bergamasca dall’Albania a Tall Abbas e che canti O bella ciao, la mia canzone, quella dei miei nonni e mi dici che per te non è un ricordo da tirare fuori ogni 25 aprile, ma ti serve per rasserenare 8
le persone spaventate dai bombardamenti in Siria, come una ninna nanna. Tu che non hai paura a dirmi quanto è difficile l’emigrazione e i suoi sentimenti contrastanti, anche quando ci si vuole un bene dell’anima. Per me non è semplice immaginare che esista la lingua figlia di Soheila e la poesia improvvisa di quando “un uomo si impiccolisce nel suo resto del corpo e le stelle dei suoi occhi cadono”. Mi infastidiscono le parole di Amir, Ibrahim e anche le tue, Toriale, e di una guerra che dura da quarantacinque anni. Preferisco pensare che le vostre siano come quelle storie che si tramandano da bocca a orecchio e che ogni volta si riempiono di particolari inventati, come nel telefono senza fili. Così come il deserto di Abdoulie e gli uomini con il camice e la pelle bianca che rubano gli organi ai migranti, al figlio mai nato e perso sul confine, da Sladana. Alla vita a cui si è aggrappato Djongo dopo le torture nelle prigioni libiche. E poi mi arrabbio con i sogni premonitori di Zahra, il corpo violato di Malick, la resistenza di Amir, il desiderio di fare il medico di Souleymane, il pane e il gioco del calcio di Ousman e la dignità di Rosella, perché mi domando dove siete stati tutti questi anni?! Dove avete nascosto le vostre vite, le storie che non si sono mai incrociate con le mie? Se foste arrivati prima, quando tutto era ancora possibile, forse sarebbe stato più semplice capirle, accoglierle, non sentirvi così altro da me, e non parlo della lingua, ma dei mondi che disegnate, delle relazioni al limite dell’umano. O forse al contrario: troppo umane, spogliate dagli orpelli di cui mi sono circondato, diventati come un rito vuoto, ma che mi hanno dato sicurezza. Così arrivate voi, che raccontate storie diverse, che descrivete paesaggi in cui io non ci sono, ma soprattutto che mi fanno male, che senza intenzione rovesciate i per9
sonaggi con i quali sono cresciuto. Mi chiedete di tornare in disequilibrio, come prima della scelta, del mio ruolo faticosamente raggiunto, ma non capisco in quale pezzo della vita inserirvi e neanche se ho voglia di farlo. Poi arrivate voi e mi dite che se non torno bambino, se non rimescolo le carte della mia storia non comprenderò. Ora, vi rendete conto di quanto sia pericoloso questo libro, mi domandate di leggere storie nuove con gli occhi che ho perso, con lo stupore che non ricordo, con quel gioco che non so più fare. La verità è che io so che le vostre storie sono il mio peggiore incubo, ma anche l’unica possibilità che avrò per tornare a cambiare, svestirmi di certezze vane e provare a essere un cavaliere, una principessa, un soldato o una danzatrice, ma allo stesso tempo un drago e il buio che mi faceva paura. Per questo oggi ho deciso di leggervi, perché in fondo desidero la stessa cosa di Elona: “Vorrei avere la certezza del girasole”.
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Basta un vento lieve
Nota al testo I testi qui raccolti sono stati scritti in lingua italiana, tranne quello di Djongo, redatto in arabo sudanese, quello di Zahra Kian, redatto in farsi (persiano), e quelli di Abdoulie Bojang e di Malick Jatta, scritti in lingua inglese. Le traduzioni italiane dei testi DiMMi sono state effettuate da mediatori linguistico-culturali e da traduttori dei rispettivi contesti di accoglienza. Gli originali in lingua vengono conservati insieme alle loro traduzioni nell’Archivio diaristico nazionale ai fini di ulteriori approfondimenti e ricerche. Come per ogni forma di scrittura diaristica conservata a Pieve Santo Stefano, i testi italiani sono stati mantenuti nella forma presentata dai loro autori con limitati interventi redazionali. Perlopiù l’ortografia e la sintassi sono state conservate nell’originale, così come la scrittura “creolizzata” di alcune parole italiane che nulla tolgono, anzi rafforzano, la vivezza e l’espressività dei racconti. Come per ogni scrittura pervenuta nell’ambito del concorso DiMMi, l’Archivio diaristico nazionale conserva sia i testi italiani che le scritture espresse nelle lingue di origine di tutti gli scritti e media pervenuti. I racconti sono stati segnalati da una giuria nazionale come meritevoli di pubblicazione per la singolarità dei temi e per la loro immediatezza espressiva. A causa del protratto isolamento e delle difficoltà di comunicazione con i contesti di accoglienza durante la pandemia, non è stato possibile quest’anno riportare i dati biografici relativi alle autrici e agli autori del Concorso DiMMi svolto nel 2020.
Intrappolati nei sogni Mamadou Diakite
BORGO MEZZANONE, provincia di FOGGIA, frazione di MANFREDONIA. LA PISTA. Che cos’è la pista? Il ghetto alle spalle del CARA (Centro di Accoglienza Richiedenti Asilo) di BORGO MEZZANONE. Proprio a qualche metro dal centro vivono quasi 5.000 persone di origini diverse, la maggior parte sono africani: donne, bambini, giovani, anziani. Lì tanti sono in regola, hanno il permesso di soggiorno, ma non sono riusciti ad integrarsi e hanno trovato un rifugio in quel ghetto, non è il massimo ma almeno hanno un posto dove dormire e non hanno l’acqua potabile. Mi ricordo che quando ero ancora al CARA loro venivano a riempire le taniche d’acqua per poi portarle nelle loro baracche. Le condizioni di vita sono davvero pessime, ogni tanto quando ci andavo mi chiedevo sempre come potevano vivere in quelle condizioni, ma che scelta avevano? Il 98% delle persone che si trovano lì fa il bracciante, cioè lavora nei campi per pochi spiccioli, vive alla giornata; altri frugano nei bidoni a Foggia e gli oggetti trovati vengono portati nel ghetto per essere rivenduti (vestiti, scarpe, apparecchi, elettrodomestici etc). Fanno questo per sopravvivere, e oggi con il Coronavirus e la quarantena che ci impone di stare tutti a 13
casa, come fanno queste persone a vivere? Se non vanno a lavorare nelle campagne non mangiano, se non vanno a frugare nei bidoni a Foggia non mangiano, oggi che è tutto chiuso chi pensa a loro? Già dimenticati dal sistema, abbandonati a sé stessi, fragili, vulnerabili. Ora, in questa situazione, che ci chiede di lavarci le mani e di rispettare le norme igieniche, uno che non ha nemmeno l’acqua potabile da bere, che vive in un posto sgradevole in condizioni pessime, come se la cava? Che tipo di aiuto verrà offerto loro? Chi pensa a loro? La pista è un posto poco raccomandabile, ci sono sempre litigi, soprattutto nelle discoteche arrangiate, per la prostituzione, per la droga. Dalle baracche, costruite soprattutto con il legno, che hanno dentro bombole a gas, ci sono sempre degli incendi che bruciano e uccidono le persone e i telegiornali ne parlano abbondantemente, ma fino ad oggi nessuno ha pensato a loro, sono lasciati da soli. Il 90% della verdura e della frutta sulle nostre tavole vengono raccolti da loro; quando mangiamo siamo soddisfatti, le nostre famiglie stanno bene al caldo, al sicuro, ma ci siamo mai chiesti come vivono quei poverini che si vendono per due soldi per non fare mancare il cibo sul nostro tavolo? Non hanno nessun diritto a una casa normale, nessun diritto sanitario, nessun aiuto dal governo. Oggi con i Decreti Sicurezza sorge un nuovo ghetto a Borgo Mezzanone dentro lo stesso CARA, dove tanti ospiti sono stati buttati fuori dal sistema, perché non hanno più il diritto di rientrare nell’accoglienza gestita dal CARA, come altri che hanno il permesso di soggiorno umanitario e che non possono più fare richiesta per rientrare nel sistema SPRAR. Oggi ci sono tanti ragazzi che fanno ricorso in tribunale che sono stati buttati fuori dai centri di accoglienza. E dove vanno? Come vivono? Se si ammalano chi si prende cura di loro? Chi gli dà da mangiare? Tanti sono diventati braccianti per 14
sopravvivere, non hanno altra scelta. Ho un amico che mi ha detto qualche settimana fa, che loro vanno a lavorare di nascosto nei campi in questi giorni, da quando è iniziata quest’emergenza loro vanno sempre a lavorare. Mi ha detto che sono in tanti ad andarci ammucchiati nei furgoni, senza guanti né mascherine, stanno rischiando molto. Gli ho chiesto perché non resta in casa, mi ha risposto che se resta a casa morirà di fame, dice che ormai si muore sempre di qualcosa no? Dice che non ha altra scelta che vivere alla giornata con il lavoro svolto in campagna. In un certo senso anch’io mi sono trovato in questa situazione. Sono arrivato in Italia nella primavera 2017, sbarcato a Catania in Sicilia e portato lo stesso giorno in Puglia, al CARA di Borgo Mezzanone. Sono andato via perché avevo un sogno come tutti gli altri e mi sono detto che in Europa avrei avuto molta possibilità rispetto al mio paese. Al CARA, non c’era nulla di particolare, la vita era monotona, direi che lì si sopravvive solo quando sei forte. E chiunque venga dalla Libia diventa forte e paziente, ma fino a un certo punto. Lì si mangiava e si dormiva e basta, noi ci organizzavamo come potevamo. C’era una scuola di lingua italiana e alcuni ragazzi ci andavano. Quando sono arrivato dopo una settimana ho iniziato a frequentare la scuola, altri ragazzi andavano a lavorare nei campi, altri andavano a frugare nei bidoni a Foggia e portavano delle scarpe dei vestiti e altro che vendevano al centro. Mi ricordo che i miei primi vestiti li ho comprati da quei ragazzi, anche le mie prime scarpe. Non era facile, tanti scappavano, andavano in altri paesi come la Francia e la Germania, altri in Olanda. Io sono rimasto, ho deciso di imparare la lingua, andava bene, riuscivo a capire piano piano le lezioni. Mi piaceva imparare l’italiano, era bello, volevo riuscire a spiegarmi senza l’aiuto di nessun mediatore, e così iniziò il mio sogno. 15
Dopo 6 mesi ero già bravo, non capivo tutto ma riuscivo a parlare esprimendo le mie idee, i miei punti di vista. A scuola c’era anche un gruppo teatrale, ho iniziato a fare teatro, piano piano, ero bravo a memorizzare e gli insegnanti erano molto gentili e mi sono trovato bene, insomma la scuola era la cosa che mi tratteneva a Borgo Mezzanone. Poi ho chiesto l’asilo politico ma sei mesi dopo la commissione me l’ha negato. Ero davvero disperato, arrabbiato dopo tutti gli sforzi fatti, volevo andare via, volevo lasciare tutto alle spalle, voltare pagina. Un patrocinio mi ha aiutato a fare ricorso in tribunale. Una seconda chance forse, andavo sempre a scuola ma questa volta al CPIA 1 di Foggia per prendere la licenza media durante i corsi serali. L’ho conseguita a giugno 2018. Tutto stava andando bene, mi sono fatto in quattro per integrarmi, essere un esempio, avere una seconda chance qui. Studiavo di continuo e mi piaceva imparare, lo facevo col cuore. La scuola mi ha permesso di sognare una nuova vita, di avere nuovi amici, nuova famiglia. Tanti mi volevano bene e vice versa. Sono stato molto fortunato ad aver conosciuto degli insegnanti che si preoccupavano per me al CARA, che mi hanno indicato la strada giusta per integrarmi e avere una nuova vita. Confesso che del teatro non sapevo nulla prima, e quando gli insegnanti mi hanno accettato nel gruppo non sapevo cosa mi stesse aspettando, ma sapevo di avere una qualità in me che mi avrebbe aiutato molto: la memoria. Sono bravo a fare memoria sin da piccolo, e mi ha aiutato molto, i testi erano tutti in italiano, avevo iniziato la scuola da due mesi ed eccomi a fare memoria di testi in italiano; era una nuova sfida, almeno mi tenevo la mente impegnata per non impazzire in quella topaia. Non saprei quale altro termine usare, perché anche gli operai del 16
centro ci chiedevano come facessimo a vivere lì e che se fossero stati loro sarebbero morti in un solo giorno. Le condizioni di vita erano disumane, eravamo ammassati nelle stanze, per 700 posti eravamo più di 1.200 ospiti, i bagni erano sempre sporchi e in pessime condizioni, il cibo era scarso. Il cibo avanzato dalla mensa i dirigenti e alcuni operatori lo portavano a casa loro per fare mangiare i loro cani, allora noi siamo simili a dei cani giusto? Si sente in giro che a noi vanno dati 35 euro al giorno, che ci danno dei telefonini, dei vestiti, delle scarpe, il wifi e bla bla bla, ma io non ho mai ricevuto in contanti 50 centesimi in un anno e mezzo che sono stato al centro. L’immigrazione viene sovvenzionata dall’Europa e dall’Italia, come si fa anche in tanti altri paesi d’Europa, poi va gestita da cooperative private, allora sono queste cooperative che prendono questi soldi, e gestiscono i centri e tutte le altre prassi, noi riceviamo 75 euro al mese, spesso in contanti e a volte in beni come ricariche telefoniche o sigarette. Al CARA ricevevamo solo ricariche telefoniche e sigarette. Ci sono tante cose da sapere sull’immigrazione in Italia e su come vanno fatte le cose in realtà, tante cose vengono nascoste ai cittadini italiani e questo comporta che poi ci vedano come quelli che gli rubano i diritti. Nel centro gli insegnanti non avevano il diritto di starci troppo vicino, nessun operatore doveva affezionarsi a nessun ospite, ma perché? Noi non dovevamo sapere la verità sui nostri diritti, su come venivamo trattati, emarginati, dovevano venire a lavorare al centro lasciando il cuore a casa, perché si trattava solo di un lavoro e nient’altro, erano le regole dai dirigenti e tutti dovevano rispettare queste regole. Vuol dire che c’è qualcosa di losco, che ci stanno nascondendo qualcosa. Sapevo già che non sarebbe stato facile, ma avevo deciso di aspettare l’esito del tribunale. 17
Nel frattempo l’insegnante del teatro ci aveva trovato un provino in un teatro a Manfredonia, a trenta minuti da Foggia, eravamo in tre e siamo andati bene. Poi ci hanno chiesto di venire a fare dei laboratori insieme ad altri ragazzi e così è iniziato quello che sto facendo oggi come lavoro. E direi che mi ha salvato la vita anche se non è proprio un lavoro a tempo pieno ma mi mantiene ancora a galla. 4 dicembre 2018, stavo andando a Borgo Mezzanone per prendere la circolare e andare a Foggia per poi recarmi a Manfredonia, in quei tempi stavamo preparando uno spettacolo su Shakespeare. Nel centro c’erano due pullman per gli ospiti, ma il governo aveva deciso di rivedere i fondi delle cooperative per gestire l’immigrazione e così i pullman non venivano più all’interno del centro. Tutti dovevamo andare alla fermata di Borgo Mezzanone. Gli abitanti del borgo non erano favorevoli a questo. Era la prima volta che ci andavo di mattina presto, sono arrivati due autobus e siamo saliti tutti. Quelli del borgo hanno iniziato ad insultarci e a darci delle merde, abbiamo risposto e l’autista del nostro autobus ha chiamato la polizia perché gli spiriti si erano riscaldati. Poi abbiamo risolto la faccenda pacificamente, quelli del borgo che non volevano stare insieme a noi sulla stessa circolare ne hanno preso uno e noi stranieri siamo saliti sull’altro. E così sembrava risolto tutto, stavamo andando a Foggia, ma dopo solo cinque minuti di strada, ci ha fermato la polizia e gli agenti hanno intimato a tutti di scendere e di camminare per andare a Foggia. Hanno lasciato andare l’autobus con dentro quattro bianchi e noi neri non potevamo salire, l’autobus era partito quasi vuoto. E allora abbiamo iniziato a protestare, io sono andato vicino a un carabiniere a spiegare. Tutto si stava risolvendo, ma 18
un altro carabiniere non era dello stesso parere, aveva iniziato a picchiarci con il manganello, i ragazzi protestavano ancora di più e lui ha perso il controllo e ha sparato un colpo in aria dicendo delle parole razziste: “Neri di merda, siete delle bestie, vi ammazzo tutti poi vi porto a casa vostra, non venite a disturbarci a casa nostra”. Mi ha dato un calcio sulla gamba, allora mi sono allontanato e ho iniziato a registrare perché era diventato pericoloso, è così che mi ha preso il telefono e mi ha arrestato. Mi sono ritrovato in manette, in caserma a Foggia e poi nel pomeriggio in carcere insieme ad un altro ragazzo che non conoscevo. L’indomani al tribunale siamo stati ascoltati dal giudice, poi rilasciati la sera stessa. Dopo tre giorni la questura mi ha chiamato e mi ha fatto firmare un documento, mi aveva sbattuto fuori dal centro in pieno inverno, dicendo che io sono pericoloso, che ho aggredito due persone delle forze dell’ordine. Ho chiamato l’avvocato penalista, e mi ha detto di allontanarmi dal centro perché avrebbe potuto essere dannoso per il mio processo che si doveva tenere a febbraio 2019. I miei datori di lavoro al teatro mi hanno accolto, una donna molto gentile mi ha ospitato per quasi un mese in casa sua. Non è stato facile per me, andavo a lavoro, studiavo le mie parti, facevo memoria, non mi veniva benissimo ma piano piano ho superato quel momento di stress e di ansia. Abbiamo fatto lo spettacolo il 22 dicembre 2018, è stato bello, mi sono sentito bene. Mi è piaciuto molto. Mi ero iscritto all’autoscuola per prendere la patente, ci sono andato lì per due mesi a fare lezioni, ho fatto i quiz che ho superato e dopo due mesi ho preso la patente. Una cosa in più per la mia integrazione, mettevo tutte le carte al mio favore, mi impegnavo come un pazzo per vedere il mio sogno realizzarsi: avere il per19
messo di soggiorno che mi avrebbe aperto tante porte e tante possibilità. A febbraio sono stato assolto dal tribunale, l’avvocato è stato bravissimo e molto gentile. Fine marzo. Il tribunale di Bari mi nega il permesso di soggiorno, tutto era crollato intorno a me. Ero deluso non sapevo più cosa fare. Volevo andare via dall’Italia in Francia o in Germania. Poi ho deciso di restare, ho fatto il ricorso in cassazione, sto ancora aspettando. Questo è grossomodo la mia vita qui, non è stato facile e non lo sarà mai, ma io terrò duro come ho sempre fatto. Con i Decreti Sicurezza facendo la cassazione non ho nessun dottore, nessun aiuto, nessun permesso di soggiorno provvisorio. Sono come un clandestino. Le leggi le fanno gli uomini e non il contrario, e per gli uomini e non per gli animali, siamo in tanti in questa situazione oggi, le loro leggi ci rendono clandestini, fragili, deboli, e siamo preda di persone di malafede. Ho deciso di affrontare il mio destino comunque vada e porterò il peso sulle spalle, questa vita non ci regala nulla, bisogna stringere i denti per guardare avanti. Si può strappare tutto al povero tranne il suo sogno, io sono un gran sognatore. Ho grandi sogni nel cassetto e non ho intenzione di mollare tutto oggi. In questi tempi di emergenza Coronavirus sto a casa, scrivo, leggo, faccio memoria, Netflix mi fa compagnia. Sono fortunato che i miei datori di lavoro mi abbiano trovato questa casa solidale, ci vivo da un anno insieme ad un amico e altri due inquilini. Grazie a Dio ho un posto dove dormire, dico che sono davvero fortunato. I miei sacrifici rispetto alla scuola mi stanno aiutando molto, so che sono sulla strada giusta, non c’è storia senza sacrificio, non puoi andare in paradiso senza morire, e la mia storia, anzi la nostra storia, la racconteremo noi stessi, perché nessuno la sa meglio di noi. 20