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Navi che vanno alla deriva, carichi che fuoriescono da cignhie rotte, acqua potabile andata a male… Chi ha viaggiato qualche volta per mare o sa cosa è accaduto a esploratori come Tasman, Roggeveen o Gulliver, ritroverà molte cose fami liari nelle annotazioni di Deleo.
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Anche il suo umore segue il ben noto anda mento. Alla partenza è ottimo. La vita a bordo sembra molto migliore di quella sulla terraferma. Dopo alcuni giorni sopraggiunge però la stan chezza, per esempio quando Deleo deve spiegare al massimo le vele o svuotare la stiva dall’acqua. E tutto per mantenere il corso e la velocità della nave o a volte anche solo per farla restare a galla. Le sue annotazioni si fanno più scarne e il tono più monotono: “Ore e ore in compagnia di due squali martello. Forse una coppietta?”.
Il riverbero era accecante. Cosa stava volando su e giù nel cielo? Mi pareva troppo grande per essere un gabbiano reale e troppo piccolo per essere un alba tro. Per una fregata d’altronde aveva un colore troppo chiaro. Dato che era distante e si muoveva, mi è stato impossibile capire cosa fosse. Ma dal momento in cui ho notato questa apparizione, il mio umore è cambiato. La gioia l’ha fatta da padrona. Avevo trovato la mia stella polare.
Deleo prosegue con il suo compagno celeste e ben presto si accorge di una striscia scura quasi impercettibile all’orizzonte. La sua prima reazio ne è d’incredulità.
Ho preso in fretta mappa e bussola per essere sicuro che si trattasse di Terra Ultima e non di altro. Ho calcolato la mia posizione e poi l’ho ricontrollata una seconda volta. Emozionato, ho constatato che qualsiasi altra possibilità era esclusa. Questa doveva essere di fatto Terra Ultima.
Il giorno seguente la prua scivola sulla sabbia. La nave vi si arena con un tonfo sordo e un urto. Al confine tra acqua e terra Deleo ammutolisce, con il vecchio mondo dietro di sé e uno nuovo davanti.
Verso la fine del viaggio, il quarantatreesimo giorno, riacquista l’entusiasmo. Stranamente ciò non avviene, come il più delle volte, perché ha av vistato terra. No. Deleo ha notato un’altra cosa: un riverbero alto nel cielo che si muove con lui. Da quel momento si anima di nuovo.
Accovacciato a prua, ho fissato l’acqua per ore, fino a farmi arrugginire le ossa. Piccole conchiglie e alghe venivano portate su e giù dalle onde. Il sole mi bruciava la schiena. Poi ho sollevato lentamente gli occhi. Il mio sguardo ha percorso la spiag gia fino a giungere ai piedi di uno sperone roccioso e da lì fino alla sua cima.
Ho osservato il pano rama. La roccia aveva la forma di un ele fante che mi aspettava impas
sibile. “Spiaggia dell’elefante”, ho avuto un’illuminazione. Quale nome migliore avrei potuto trovare per questo luogo di attracco?
Deleo non lascerà più quella roccia. Diviene il punto di riferimento secondo il quale si orienta. Da qui parte per esplorare Terra Ultima, qui tor na, qui trova consolazione.
Deleo individua la sua strada attraverso il meto do semplice, ma collaudato, di M. La Bonne Foi. Questo maresciallo francese aveva scoperto già nel 1853 che la cosa migliore dovunque si vada è seguire il proprio naso (suivre son nez).
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Nei primi giorni il naso di Deleo non lo porta comunque molto oltre la Spiaggia dell’elefante. La mattina, quando fa ancora fresco, si arrampica lungo i fianchi dello sperone e raschia del mu schio dalla pietra. A mezzogiorno, per evitare il sole, osserva gli scogli dall’interno. In grotte ad altezza umana, svuotate momentaneamente dalla marea, s’imbatte in ricci di mare. “Camminavano di lato come granchi. Se non si faceva attenzione, si rischiava di pestarli.” Vaga per la spiaggia e at traversa palmeti, entrandoci e uscendone di con tinuo, e sempre seguendo il proprio estro.
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“Sono arrivato affannato dal viaggio e qui ho trovato la pace”, scrive.
Il quinto giorno il suo naso lo porta ad arrampi carsi più in alto sulle rocce seguendo “un sentiero in graduale salita, piacevolmente percorribile”. (Non mento, ha scritto davvero: piacevolmente. La sua spedizione inizia a sembrare un viaggio di pia cere!) Da sopra il promontorio vede per la prima volta l’entroterra. Una distesa smisurata gli si apre dinanzi agli occhi: soprattutto praterie color ocra, marrone e verde mosse dal vento. A parte qualche gruppo sparso di palme, non c’è altra vegetazione. Più avanti, invece, questa sembra diventare più fit ta e più varia. Deleo vede foreste apparentemente impenetrabili e, ancora oltre, delle montagne che si stagliano contro il cielo. È impossibile avere una visione d’insieme di un paesaggio così vasto.
Là in cima, Deleo si rende conto di quale av ventura abbia intrapreso. Dapprima viene assali to dai dubbi, e persino da un po’ di paura. Colto alla sprovvista, ritorna nell’unico posto che gli è familiare.
Cosa mi avrebbe atteso? In nome di Dio, come sarei riuscito a mappare un intero continente? Semplicemente passeggiando? Non me l’ero mai chiesto, preso com’ero dai preparativi del viaggio e dalla mia ambi zione di trovare Terra Ultima. Avrei voluto essere colpito immediatamente da un fulmine e basta.
Terra Ultima rimette Deleo al suo posto. Il nostro esploratore decide di accantonare per il momen to l’entroterra, e di pensarci nella successiva spe dizione, ammesso che poi ce ne sia un’altra. Ora si dedicherà alla costa. In sei settimane percorre 842 chilometri lungo il litorale.
All’andata ha il mare sulla sinistra e la terra sulla destra, al ritorno l’opposto. Non è deluso di aver scelto la costa: è l’occasione dell’incontro con il trichegorilla.
Dopo essere tornato da est, Deleo osa comun que fare un salto verso l’interno. A sudovest ri spetto alla Spiaggia dell’elefante s’imbatte nell’e stuario di un fiume. Da lì segue il corso d’acqua in salita, raggiungendo la pianura, per un chilome tro e non un passo di più. Arriva abbastanza lon tano da scoprire uno dei luoghi dove pascola il cervicottero.
Granchio tucano bifronte
Il cervello del granchio tucano bifronte è distribuito nelle due teste. Con quella di sinistra percepisce, con quella di destra controlla i propri movimenti. Le teste si scambiano informazioni quando i becchi urtano ritmicamente l’uno contro l’altro.
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1a SPED., giorno 4
Dietro di me ho udito sbuffare e sguaz zare. Mi sono voltato e mi sono sentito raggelare. Anche potendo scappare, non ne avrei avuto il coraggio. Sulla battigia una bestia gigantesca si scrollava l’acqua dal corpo con furia. Due enormi zanne oscillavano pericolosamente di qua e di là. Poi quel colosso si è accasciato sul fianco con un tonfo.
Con calma, ha iniziato a lisciarsi i peli degli avambracci. Di sicuro era lungo due metri e mezzo, aveva delle zampe masto dontiche e gli occhi azzurro mare. Stava seduto lì come un principe: maestoso, sicuro di sé. Mi è venuto in mente l’altro re dei mari: Poseidone. Solo che lui, invece di due zanne, aveva un tridente.
La bestia ha sollevato lo sguardo, qual cosa aveva catturato la sua attenzione. Alzando pigramente l’addome, ha pian tato le zampe anteriori nella sabbia. A questo punto è accaduto tutto molto velocemente. L’animale ha puntato le zanne contro il busto, ha teso i muscoli ed è corso proprio verso di me. In cinque o sei balzi mi ha raggiunto. Di riflesso ho fatto un salto di lato. Ho sentito odore di pesce, l’animale mi ha spruzzato con il suo pelo bagnato e… se n’è andato. Non mi aveva degnato nemmeno di uno sguardo, né si era voltato indietro.
Dopo un quarto d’ora il mio cuore si era calmato e mi sono reso conto di cosa fosse appena successo.
O meglio, di cosa non fosse successo. Perché sono abituato al fatto che gli animali reagiscano alla mia presenza, che scappino da me, che mi tengano d’occhio, mi fiutino, mi provochino, mi ingannino o mi aggredi scano, ma non mi era mai accaduto che semplicemente mi trascurassero. Questa
era una cosa nuova per me. Non mi piaceva. Quella bestia non avrebbe potuto almeno ringhiarmi contro?
Chissà se dipendeva da me. In fondo, lui non aveva mai visto un essere umano. Non era forse capitata una cosa simile a Colombo? Quando la sua flotta era apparsa davanti alla costa dell’America, non era stata notata dagli indigeni, sempli cemente perché questi non avevano mai visto prima delle navi così grandi. Quel che non ti aspetti, non lo percepisci. Che valesse anche per gli animali?
Sollevo lo sguardo dal diario. Essere ignorato da un animale deve essere un’esperienza affascinante e anche imbarazzante. Io desidero che gli animali mi vedano. E non sono l’unico. Ad esempio, quanto si sforzano i visitatori di uno zoo per atti rare l’attenzione di un elefante o di un orso pola re? Secondo me Deleo avrebbe fatto meglio a chiedersi perché gli uomini fanno una cosa del genere, invece di tirare fuori Colombo. Diciamo ci la verità, quell’aneddoto degli indiani è una baggianata. Anche se non conoscevano navi grandi, non erano mica ciechi!
Torno al diario. Il mio dito scorre lungo la pa gina e cerca il punto in cui mi sono fermato.
Quella storia degli indiani naturalmente è una leggenda. Come se fossero degli scioc chi. Adesso che ci penso, un’altra domanda mi pare più importante: perché voglio che gli animali mi notino? La solitudine che esperisco qui, mi porta alla risposta. L’at tenzione è un bisogno umano. Ti dà l’impressione di appartenere a qualcosa, di esistere. Anche se è agli occhi di un animale.
Con cura chiudo il diario e lo metto via. Mi ricor do che devo ancora imbucare una lettera.
Il trichegorilla vive solitario. Solo nella stagione della migrazione annuale delle topocarpe incontra i suoi simili. Essi si riuniscono vicino ai fiumi in cui passano le prede e ben presto vi è un grande assembramento. La soluzione del problema: una volta che un trichegorilla prende cinque pesci, fa posto a un altro. Ciò dimostra che tale animale sa contare.
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Coralleopardus perforatus Pantera corallina
Deleo sta ancora studiando cosa nasca prima: i fori della pantera corallina o lo scheletro calcificato che li tiene insieme. Egli ha già constatato che il dattero bianco fa sì che nel corso del tempo i fori si allarghino, fino a che non si può più vedere la pantera corallina, ma solo immaginarla.
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1a SPED , giorno 32
La farfoglia ha trovato me prima che io mi mettessi sulle sue tracce. Ieri, verso il tramonto, tre esemplari mi si sono posati addosso mentre riposavo su una roccia. Avevano l’aspetto di virgole gialle e marroni e sembravano proprio le foglie di un cespuglio che qui si può vedere ovun que, soltanto che avevano una testa e delle zampe. Dallo spavento le ho scacciate via, ma inutilmente. Erano le prime di un intero sciame. In pochi secondi ne sono stato completamente ricoperto.
Sono saltato in piedi e lo sciame mi ha seguito. Ho vorticato le braccia, la nuvola si è gonfiata e poi si è di nuovo sgonfiata. Terrorizzato ho scacciato le bestie dalla faccia, ma sono tornate subito. Mentre an naspavo, alcune mi sono entrate in bocca. Le ho schiacciate contro il palato e ne ho sputato i resti nella sabbia. Erano più amare del fiele.
Il mio panico non ha migliorato le cose. Ci voleva calma. Sono andato di nuovo a sedermi sulla roccia. Lo sciame si è posato di nuovo su di me senza lasciare nessuna parte scoperta; a poco a poco il brulichio e lo sfarfallio sono finiti. Ho aperto gli occhi uno alla volta e con cautela ho mosso le labbra. Le bestiole hanno fatto spazio.
Dal mio bozzolo il suono della risacca sembrava lontanissimo, quasi quanto il mondo intero. Di colpo mi sono sentito meno solo. Su di me gli insetti hanno ini ziato a ronzare allegramente. Il rumore era quasi palpabile. Mi sono lasciato scivolare dalla roccia mettendomi su un fianco, stando molto attento a schiacciare meno insetti possibile, e mi sono addormentato. Alla mattina presto erano scomparsi.
1a
SPED , giorno 35
Proprio come le notti precedenti ho rice vuto di nuovo la visita delle farfoglie. Inizio a percepire lo sciame come una seconda pelle. È leggero e non mi provoca più prurito di un maglione di lana. Una volta che si è calmato, mi segue mentre attizzo il fuoco o passeggio ancora un po’ prima di dormire.
1a SPED., giorno 41
La notte è stata vuota. Vuota da far tristezza. Durante il giorno ero andato al fiume per disegnare e nuotare. Sono tornato alla solita ora e mi sono seduto in attesa, ma per la prima volta le mie visita trici notturne non sono arrivate. Io3 (…)
Ma le mie riflessioni di stanotte sono servite a qualcosa. Almeno per la scienza. Ho capito come mai sono tanto attraente per la farfoglia. La settimana scorsa avevo ipotizzato e valutato delle possibili cause. Ho subito escluso il mio odore e non poteva nemmeno essere il calore. Stanotte, all’improvviso ho capito: era il sale. La farfoglia deve amare il sale e io da ieri ne ero privo. Immergendomi nel fiume avevo lavato via dalla mia pelle tutto il sale marino e il sudore.
Da adesso in poi ho deciso di farmi il bagno solo nel mare.
3 — Nota di Stern: dal momento che l’inchiostro è sbavato, le due frasi seguenti sono illeggibili.