Il confine tra noi. Storie migranti

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Il confine tra noi Storie migranti A cura di Natalia Cangi, Patrizia Di Luca, Alessandro Triulzi Con una prefazione di Michele Colucci


© 2020 Cart’Armata edizioni Srl Terre di mezzo Editore via Calatafimi 10 20122 Milano Tel. 02-83.24.24.26 e-mail editore@terre.it terre.it Direzione editoriale: Miriam Giovanzana Coordinamento editoriale: Sara Ragusa Stampato nel mese di agosto 2020 Grafiche ATA, Paderno Dugnano (Mi) Questo prodotto è composto da materiale che proviene da foreste ben gestite, da foreste certificate FSC® e da altre fonti controllate.


Scrivere un pezzo di storia Michele Colucci

“Se fossi un antiquario, non avrei occhi che per le cose vecchie. Ma io sono uno storico. È per questo che amo la vita.” Le famosissime parole di Henri Pirenne, scritte ormai molto tempo fa, riecheggiano in ogni pagina di questo libro. E a ogni racconto torna in mente il commento che Marc Bloch pose come corollario alle parole di Pirenne: “L’incomprensione del presente nasce fatalmente dall’ignoranza del passato”. I due, Henri Pirenne e Marc Bloch, sono probabilmente lontani anni luce dai testi selezionati all’interno del progetto DiMMi. Il mare, i viaggi, i pericoli, le speranze, i sogni, le amicizie, le delusioni, i drammi, le conquiste di cui leggerete apparentemente non hanno nulla a che vedere con la storia medievale, Maometto, Carlo Magno, l’aratro, le guerre, la rotazione delle colture e tutti i temi che nelle loro opere trattarono i due storici. Ma se non ci fermiamo all’apparenza e abbiamo il coraggio e la determinazione per penetrare in profondità nei racconti contenuti in questo volume, allora scopriremo che la caduta dell’Impero romano, la storia del commercio nel Mediterraneo, i Comuni, le scoperte geografiche, la rivoluzione scientifica sono in realtà vicinissimi e non solo per gli infiniti legami tra passato e 5


presente ma per una questione più generale. Il fatto è che le storie narrate dagli autori di questo libro compongono ormai un vero e proprio pezzo di storia, fanno parte a pieno titolo delle radici culturali, politiche, economiche, sociali della nostra contemporaneità e vanno quindi considerate come indispensabili per capire il presente, come sosteneva Marc Bloch. Liberarsi definitivamente dell’angosciosa e riduttiva propensione al presentismo deve essere oggi il minimo comune denominatore per poter anche solo semplicemente parlare di immigrazione. Negli ultimi anni, tutto ha giocato contro questa sensibilità. Il sistema dei media, gli osservatori, gli analisti, gli stessi scienziati sociali, le classi dirigenti, gli operatori delle organizzazioni internazionali hanno insistito giorno dopo giorno con un martellamento che ha di fatto privato le immigrazioni di un posto nella storia. Lo spazio in cui le immigrazioni hanno trovato attenzione e interesse è stato sempre e continuamente solo quello della cronaca, imbevuto purtroppo di strumentalizzazioni pericolose e dannose. Questo approccio ha eliminato dall’orizzonte pubblico i vissuti, i percorsi, le vite, le origini, le provenienze di coloro che sbrigativamente vengono chiamati “migranti”, autorizzando con questa definizione la rimozione di tutto ciò che viene prima e dopo l’esperienza della migrazione. Le testimonianze raccolte dal progetto DiMMi e i brani che leggerete in questo libro muovono proprio nella direzione opposta: restituire centralità alle scelte delle persone, dare a tutti la possibilità di ascoltare i percorsi che stanno dietro alle migrazioni. E, di conseguenza, riconnettere questi percorsi con quelli di chi non ha vissuto l’esperienza della migrazione, abbattendo quei confini che sembrano essere politici e militari e che invece sono molto più profondi e abitano dentro le persone. In questo modo tutte queste 6


storie, così diverse tra loro e così diverse da quelle di chi le legge, possono davvero diventare storia, intesa come patrimonio riconosciuto e costruito insieme. La letteratura, i diari, le memorie, le autobiografie, le lettere scritte a seguito di percorsi migratori rappresentano ormai da tempo un patrimonio straordinario, che è entrato a far parte di quel sistema di testimonianze, di fonti, di tracce grazie al quale è possibile oggi ricostruire le molteplici migrazioni che hanno riguardato l’Italia. Lo stesso Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano, come ha ricordato recentemente Amoreno Martellini, racchiude nel proprio database una quantità eccezionale di documenti che si rifanno esplicitamente alle esperienze migratorie dei rispettivi autori. Rispetto a questo corpus così consistente, il progetto DiMMi aggiunge un ulteriore scarto. I diari raccolti restituiscono infatti, declinandoli al passato, vicende, momenti, biografie che raccontano quasi in “presa diretta” eventi molto vicini nel tempo, permettendo così ai lettori di tornare in modo puntuale su episodi cui la cronaca ha tributato una fugace attenzione e che inseriti nel tritacarne mediatico sono usciti in modo rapidissimo dal dibattito pubblico. In questo libro si parla molto ad esempio del viaggio che i cittadini dell’Africa subsahariana affrontano per mettersi in cammino verso l’Europa. I racconti restituiscono giorno dopo giorno il contesto che sta alla base della scelta di mettersi in viaggio: traumi profondi quali episodi di guerra e di conflittualità che generano violenze inaudite o la semplice voglia di scoprire mondi nuovi, alla ricerca di un miglioramento delle proprie condizioni di vita e un allargamento delle prospettive. O anche tutte e due le cose insieme o tanti altri sentimenti che vengono rammentati alternando il flusso dei ricordi e lo scorrere degli avvenimenti. 7


Per qualche anno alcuni dei temi trattati in questo libro sono stati oggetto di polemiche feroci che hanno coinvolto l’opinione pubblica italiana. In particolare, il transito delle migrazioni dalla Libia e l’organizzazione dei viaggi via terra e via mare hanno rappresentato questioni sulle quali si sono susseguiti conflitti e opposte interpretazioni. Grazie a queste testimonianze abbiamo la possibilità di tornare alle persone, a ciò che ha vissuto chi oggi è nelle condizioni di poter raccontare la propria esperienza. Leggere le pagine dedicate ai ricatti, alle torture, agli omicidi, alla sistematica violazione dei diritti più elementari è il primo punto di partenza irrinunciabile per tutti coloro che hanno voglia di comprendere ciò che è successo e sta ancora succedendo nello scenario globale delle rotte migratorie che transitano per l’Africa settentrionale. Una delle conseguenze più pesanti delle distorsioni avvenute a seguito dell’improvvisa deflagrazione delle migrazioni nel dibattito pubblico è l’appiattimento a una sola dimensione del concetto stesso di migrazione. Tutte le differenze tra le forme, le modalità, tra le stesse persone che vivono scelte migratorie sono via via venute meno, per andare a formare un immaginario sempre più povero e lontano dalla realtà. Questo libro fornisce innumerevoli spunti per chi ha voglia di allargare l’orizzonte e capire che dietro le persone che si muovono ci sono percorsi e biografie che sono tutte diverse. E le stesse direzioni in cui si muovono sono molteplici: il racconto di Nahida Akhter si apre ad esempio con una partenza da Monfalcone verso il Bangladesh, quello di Paule Roberta Yao inizia a Marsiglia e si dipana tra Francia, Italia e Camerun. Uno dei maggiori paradossi legati al modo con cui sono state veicolate le migrazioni nel contesto italiano è l’insi8


stenza con cui sono state associate all’alterità. Gli immigrati sono stati accomunati istintivamente a qualcosa che non solo viene da lontano ma che è anche espressione di una lontananza. Di conseguenza la migrazione riguarda per forza gli altri, che in quanto lontani e diversi potranno al massimo essere compatiti come vittime o trattati in modo pietistico, ma non si pensa di partire da una comunanza di destini. In poche parole, le migrazioni non riguardano mai l’orizzonte del noi. In questo libro si può finalmente rovesciare la prospettiva: i problemi, i sogni, i progetti, le scelte espresse dalle persone che vivono esperienze migratorie sono straordinariamente simili a quelle che vivono tutte le altre persone. Noi e loro sono categorie che si intrecciano, si mescolano, si sovrappongono. Per permettere che questo intreccio possa essere condiviso e non solo evocato il ruolo della parola scritta è molto importante. La scrittura di un diario non rappresenta un gesto individuale, come d’altra parte ogni pensiero autobiografico, per usare la terminologia proposta da Duccio Demetrio: Il guardare alla propria esistenza come spettatori non è solamente operazione impietosa e severa. La rappacificazione, la compassione, la malinconia – quasi evocatrici di un “largo” musicale – sono sentimenti che, mitigando la nostra soggettività, la aprono ad altri orizzonti. Quando il pensiero autobiografico, un pensiero che nasce nella nostra individualità e di cui soltanto noi siamo gli attori, conosce e svela questi istanti affettivi, abbandona la sua origine individualistica e diventa altro. Condivide l’essere al mondo di tutti gli altri; l’egocentrismo che parrebbe caratterizzarlo si muta in un altruismo dell’anima; lascia una traccia benefica soprattutto quando la nostra storia non è più del tutto nostra, quando si scopre che il lavoro sul passato ci riavvicina e il

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giudicare è difficile. Ciò che è stato poteva forse compiersi altrimenti, la storia avrebbe potuto conoscere altri finali, ma, comunque sia, ora quella storia è ciò che è.

Il valore sociale, collettivo e universale dei brani contenuti nel libro sta proprio in questa eccezionale potenzialità che è insita in tutti i racconti autobiografici: aprire la propria esperienza alla condivisione con gli altri. “Ascoltare cambia chi ascolta”, ha sintetizzato più volte l’antropologo Pietro Clemente. Sandro Portelli riflettendo su un altro tema, le fonti orali, ha spesso ricordato come per poter comunicare sia indispensabile avere un terreno comune. Ma la comunicazione a suo parere diventa davvero significativa quando emergono le differenze tra chi comunica. Le storie raccontate in questi diari rappresentano, con le loro numerose differenze, una miniera di conoscenze per coloro che hanno voglia di leggerle e ascoltarle con attenzione. “Un amico mi ha detto che siamo treni, non siamo stazioni”, scrive in questo libro Houda Latrech. Sarà bene continuare a tenerlo a mente, perché in questi treni c’è tutta l’energia per poter costruire un futuro migliore per tutti.

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