LIBRO 1
La Pelle di lupo
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l giardino era immobile, dimenticato da tempo. Nessun canto di uccello tra gli alberi, nessun ronzio d’ape attorno ai fiori. Nemmeno una farfalla, neanche una coccinella, né un moscerino. Alcuni tulipani sull’attenti sembravano aspettare un’ispezione che non sarebbe mai arrivata. In certi punti si era accumulato uno spesso strato di polvere sulle piante, sulle rocce e sugli alberi. Anche l’acqua degli stagni e dei ruscelli pareva essersi fermata! Nelle zone in ombra, dove il sole non spingeva mai i suoi raggi, si estendeva un liscio e uniforme manto di neve. Persino sotto le radici dei ceppi, nei buchi dei vecchi tronchi o dietro le rocce non si udiva un respiro: il sonno degli abitanti era profondo come un pozzo. Quanto alle creature selvagge, dovevano essersi ben nascoste, perché nulla che corresse, saltasse, volasse o si arrampicasse animava i boschi, le colline e le pianure del giardino addormentato. Poi qualcosa si mosse. Molto lontano sottoterra, in una galleria dove la luce non penetrava mai, si aprì un occhio, poi un altro. Un lungo sbadiglio risuonò nell’aria e un secondo paio d’occhi cominciò a sbattere le palpebre nell’oscurità. Poi un terzo. Finalmente si udirono delle voci. libro 1
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Qualcuno si avvicina, care signore, disse la prima con un tono calmo, posato e pieno di fiducia. Lo sento. Oh, ma certo! Lo sento anch’io, ragazze! disse eccitata una seconda voce allegra e vivace. Che sciocchezze! Non c’è nessuno, brontolò una terza voce. Torniamo a dormire! Invece sì, Margherita, riprese la seconda. Non hai sentito? Qualcuno è entrato in giardino. Dobbiamo prepararci, dobbiamo avvertire gli abitanti! Gli daremo il nostro rinomato benvenuto! Calmati un po’ Virginia, ribatté la voce burbera. Pensa a quei due ragazzi che si erano arrampicati sul cancello: un falso allarme. E il tipo sordo che portava a spasso il cane? Un altro falso allarme. Se ne sono andati tutti, senza aver visto nulla. Diglielo Silene, dille che non serve a niente entusiasmarsi così. Silene non rispose subito, aveva cominciato a risalire il tunnel e qualcosa di appetitoso le stava stuzzicando le narici. Si mise a grattare la terra. Non fare la guastafeste, Margherita. Niente è mai certo, ma questa volta è diverso, lo sento. Ecco, guarda un po’ questo bel lombrico grassottello. È un buon segno. Silene inghiottì il verme leccandosi i baffi. Puoi restare qui se vuoi, Margherita, aggiunse. Io salgo. Virginia, tu vieni con me? È arrivato il momento di vedere cosa succede in superficie!
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IL RIFUGIO
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he scompiglio! Saranno trent’anni che nessuno si prende cura di questo giardino… Non sembra tanto grande, ma le sterpaglie e l’erba alta lo ingombrano a tal punto che è difficile farsi un’idea precisa delle sue dimensioni. Dal prato, dove c’è più muschio che erba, Violetta raccoglie un ramoscello caduto da un castagno. Colpisce con rabbia un dente di leone che non le ha fatto nulla: il fiore giallo, staccato di netto, vola lontano. Un secondo colpo si abbatte su un cespuglio di margherite, poi un altro. Il bastone va e viene, spezzando i gambi dei fiori e l’erba alta. Violetta Urlavento si sente ribollire di rabbia. Con chi ce l’ha? Difficile a dirsi. Con la madre che li ha costretti a trasferirsi in quella vecchia baracca che puzza di funghi? Con suo fratello Ivan che piange tutto il tempo? Con la sua camera inquietante? Con quel quartiere schiacciato tra la strada e la ferrovia, né città né campagna e lontano da tutto? Contro quel miserabile giardino? Sì… contro tutto questo. E contro suo padre, ovviamente, senza il quale non sarebbero dovuti fuggire. libro 1
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Persino il suo cane Pavel la infastidisce: pensa solo a saltellarle attorno per prenderle il bastone, agitando festoso la coda. Questo giardino fa schifo. Il prato è orribile e ora che guarda meglio ci sono dei vecchi oggetti marci sparsi ovunque: un innaffiatoio bucato, una ruota di bicicletta, una sedia sfondata… Insomma, una discarica! “Pavel! Ho freddo, torniamo a casa.” Violetta cammina avanti e indietro nella sua nuova camera. Non le piace: è troppo buia e impregnata di odore di muffa e intonaco umidiccio. Mentre Pavel fiuta in ogni angolo della stanza, lei guarda dalla finestra il lembo di giardino che costeggia la casa. Attraverso i vecchi riquadri di vetro irregolare, gli alberi assumono uno strano aspetto, come se si riflettessero in uno specchio deformante. Tutto il giardino sembra distorcersi. Monica ha aperto la porta. Osserva un attimo l’espressione imbronciata di sua figlia. “Coraggio tesoro”, le dice, “smettila di vedere tutto nero. Alla fine hai una camera solo per te, no? Staremo bene qui, noi tre”. “La tua baracca puzza e sa di muffa!” Il sorriso di Monica scompare, sostituito da una smorfia di irritazione. “Non parlarmi con questo tono! È già una fortuna se abbiamo una casa, Violetta. O preferivi restare nella casa d’accoglienza? E comunque basta così, comincia a sistemare le tue cose! Non posso fare tutto io al posto tuo!” Rimane sulla soglia in attesa che la figlia risponda, ma a rompere il silenzio è il pianto di un neonato in fondo al corridoio. “Se hai bisogno d’aria, apri la finestra!” brontola Monica allontanandosi. 16
Violetta sospira. Afferra la maniglia e fa forza per ruotarla. Ma per quanto tiri è impossibile aprire la finestra; il battente si è gonfiato e resta incastrato. Rassegnata, comincia a disfare uno scatolone e tira fuori dei giocattoli per sistemarli nell’armadio a muro. Sui ripiani c’è una pila di libri dalle pagine ingiallite. Dovevano appartenere al nonno Stanislas quando era piccolo; nessuno aveva più vissuto in quella casa da quando lui se n’era andato, dopo la morte della madre. Una volta lì era tutta campagna… Al posto del canale c’erano una foresta e un ruscello. Ma da allora quel luogo aveva avuto tutto il tempo per andare in rovina. E infatti lei e sua madre erano dovute finire per strada prima che ai nonni venisse in mente di parlargliene. Forse, alla fine dei conti, preferiva la casa di accoglienza. Violetta ricomincia a sistemare e apre uno scatolone con dentro le sue bambole, il coniglio di peluche, il puzzle di un castello, il sacchetto di biglie e il suo grande quaderno dei disegni. Trova anche la borsa a tracolla che contiene quello che chiama il suo “kit di sopravvivenza”: una bottiglia d’acqua, un pacchetto di biscotti, dei fazzoletti e il barattolo di cetriolini giganti per Pavel. Pensa a quello scemo del suo cane che va pazzo per i sottaceti e non riesce a trattenere un sorriso. Forza! Decide di darsi da fare e comincia a svuotare l’armadio. Innanzitutto, bisogna togliere i libri ammuffiti e passare un colpo di spugna. Sfoglia rapidamente i volumi del nonno: vecchi album da colorare, raccolte di fiabe, racconti con illustrazioni all’antica. Strano, sembrerebbe la libreria di una ragazza. Violetta fa fatica a credere che suo nonno leggesse cose simili. Tra l’altro, questa non era nemmeno la sua camera: la vecchia stanza del nonno era dove adeslibro 1
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so dorme suo fratello Ivan. Questa doveva essere la camera degli ospiti. Be’, poco importa. Totalmente disinteressata come se stesse maneggiando piastre di cemento, Violetta appoggia i libri uno a uno per terra. Quando arriva a un grosso volume dalla copertina rigida, si ferma senza sapere perché. È un album di foto. Le pagine sono quasi tutte vuote, come se le immagini fossero state tolte, ma ne è rimasta ancora qualcuna. Violetta riconosce la casa, la cucina con le piastrelle fuori moda, l’ingresso con la vetrata a motivi floreali. Stranamente, in quelle foto dai colori sbiaditi, non compare neanche un essere umano. Poi, in mezzo a ritratti di foreste, fiumi e colline, due immagini catturano la sua attenzione. La prima è sfocata, indecifrabile. Sembra che sia stata scattata in un momento in cui pioveva molto forte e che sull’obbiettivo della macchina fotografica siano cadute delle gocce d’acqua. Nulla di straordinario se non fosse che le macchie disegnano una sagoma mostruosa e minacciosa, un personaggio terrificante. Ciò che è ancor più strano è che quella figura sembra ricordarle vagamente qualcosa. Un ricordo lontano, forse. La seconda foto è strappata a metà, ma è nitida e ha conservato i colori quasi intatti. Ritrae una bambina bionda che cavalca un elegante cane grigio davanti a una foresta. Punta una spada verso il cielo. “Guarda, Pavel! Ha proprio stile a cavallo del suo cane! Anche io da piccola ti salivo in groppa, ricordi?” Violetta solleva il foglio trasparente di protezione con aria sognante e prende in mano la foto. La esamina. La bambina indossa una specie di camicetta all’antica e ha i capelli biondi tagliati corti. La spada non sembra finta. D’altronde la sua 18
espressione seria, solenne quasi, non dà affatto l’impressione che stia giocando. Violetta gira la foto e legge le parole scritte sul retro:
La Protettrice del Giardino “La Protettrice… del Giardino di questa casa? Non si direbbe proprio…” Si alza per affacciarsi alla finestra quando delle urla la raggiungono attraverso la porta. Sua madre sta discutendo con qualcuno all’ingresso. “Che ci fai qui? Ti avverto, se entri ti denuncio.” Con un nodo in gola, Violetta tende l’orecchio per ascoltare la risposta. Anche se non riesce a distinguere bene l’altra voce, sa benissimo chi è: suo padre. “Quali cose?” grida sua madre. “Tutto quello che ho portato è mio e dei bambini! Ci vuoi lasciare in pace?” A Violetta tremano le ginocchia. Non vuole vederlo. Vuole… quello che ha detto sua madre, che li lasci in pace e basta. All’improvviso la voce del padre le giunge chiara, deve essere entrato in casa. “È anche mia figlia! Posso vederla, se voglio!” “E quello che vuole lei non ti interessa? Vattene!” Violetta non riesce più a respirare. Tutte quelle settimane di subbuglio le scorrono nuovamente davanti agli occhi: il viaggio in autobus, l’ospedale, la casa di accoglienza, il divano dai nonni… Tutto questo per poi ritrovarsi lì, al “sicuro” per così dire, e vederlo piombare come se non fosse servito a nulla! libro 1
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Sente le urla di sua madre in corridoio. “Esci, ho detto! Violetta non c’è. È… è andata da mio padre.” Violetta rabbrividisce, vorrebbe scomparire, nascondersi sotto il letto o nell’armadio, anche se sa che non servirebbe a niente. Prende la borsa a tracolla e prova di nuovo ad aprire la finestra, ma è ancora incastrata. Questa volta però la rabbia esplode: tira con tutte le sue forze la maniglia… … e riesce a sbloccarla. Il giardino è lì, un metro più in basso, pieno di rifugi e nascondigli. Sente i genitori urlare in corridoio alle sue spalle e anche le ultime incertezze svaniscono. Salta. Pavel, senza esitare, si lancia dietro di lei. Le piante selvatiche ammortizzano la caduta: Violetta raggiunge di corsa i cespugli dall’altro lato del vialetto. Il cane la segue abbaiando eccitato. “Zitto Pavel! Ascoltami...” Lui, attento, sembra chiederle di continuare. Violetta indica i cespugli che li circondano. Facciamo… Facciamo che… io ero un’eroina e tu il mio fedele destriero e che ci nascondevamo in questo giardino. Il giardino fantastico. Mmm… no, non fantastico. Il giardino… Visto da lì, quel posto sembra totalmente diverso. Le sagome deformate degli alberi, l’erba frustata dal vento, i vialetti invasi dalle ortiche e dai rovi… Tutto ora le appare mille volte più vasto e sconcertante. E il nome si impone come un’evidenza. Il Giardino Selvaggio!
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*** Non lontano, tre paia di occhi emersero dal terreno sbattendo le palpebre. Lo dicevo io! L’ora del risveglio è giunta! mormorò Silene piena di speranza. Mah! Una ragazzina disadattata e un cane scemo. Aspetto di vederli all’opera, brontolò Margherita. Sei proprio una vecchia talpa barbosa! tagliò corto Virginia. A questa piccina spetta un grande avvenire, lo sento! Andiamo a metterci i nostri cappellini più belli per accoglierla come si deve, d’accordo?
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IL COLLE DELLE ROCCE GEMELLE
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ioletta Urlavento era salita in groppa a Pavel, come faceva da piccola e come la bambina della foto che aveva trovato in camera. Nonostante avesse già nove anni, si sentiva perfettamente a suo agio su quell’insolito destriero. Mentre il cane la conduceva docilmente tra gli alberi e i cespugli, Violetta cominciò a parlargli. Gli confidò la paura e il disgusto verso quell’uomo che era suo padre e quanto sperasse di poter finalmente vivere senza il timore costante delle sue intrusioni nella loro vita… Era così assorbita dal racconto che le ci volle un po’ prima di rendersi conto di quanto fosse grande il giardino. Molto grande. Fermò Pavel con un colpetto sul fianco e scrutò il paesaggio intorno. All’inizio avevano oltrepassato una fila di cespugli che nascondeva una distesa di piante selvatiche. Poi avevano costeggiato un prato immenso diviso in due da un torrente tumultuoso. Lunghe aiuole di fiori delimitavano una vasta zona arida dove crescevano soltanto erbacce ed esili arbusti. libro 1
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Qua e là, a marcare il terreno, c’era qualche stele di pietra con sopra enigmatiche iscrizioni o un palo di legno scolpito a totem come i resti di antichissimi giochi. In lontananza si scorgevano alberi che parevano alti come cattedrali, ma si sarebbe dovuto galoppare un bel pezzo prima di raggiungerli. Alcuni angoli del giardino le ricordavano le foto dell’album. Rimpianse di non averle portate con sé per verificare, ma poi decise di non farsene un cruccio. La paura che l’aveva spinta a fuggire era ora sostituita dalla sensazione di fare una scoperta eccezionale che avrebbe potuto cambiarle la vita. “Questo posto è così vecchio”, mormorò. “Molto vecchio. Avrà vissuto un sacco di storie incredibili…” “Forse dovremmo rientrare”, suggerì il cane. “No… Non ancora. Siamo più al sicuro qui che a casa, finché c’è lui.
Esploriamo il giardino, nasconde sicuramente un mucchio di segreti. Coraggio, vecchio mio! Siamo degli eroi!” Allora il cane si permise di fare una piccola osservazione. “Gli eroi di chi? Finora non abbiamo incrociato nessuno.” Soltanto in quel momento Violetta si rese conto che Pavel stava parlando. Nella sua testa, quando era più piccola, aveva già chiacchierato mille volte con lui, ma sentire la sua voce così, per davvero, era una bella novità! “Pavel… C’è qualcosa di strano. Tu parli veramente?” “Be’, che domande, certo che sì! Anche tu parli veramente!” Violetta non sapeva cosa rispondere, si sentiva una stupida. “Sì ma, voglio dire… Non è possibile. È tutto nella mia testa!” “No, Violetta, ti sto parlando per davvero. D’altronde se non ti sembra strano montarmi in groppa come se fossi un cavallo, perché ti stupisci se parlo come un umano?” La ragazza scosse la testa. “Non… non ne ho idea”, disse, e dopo un attimo aggiunse: “Ma dovremo accordarci su una cosa, non ti offendere però…” “D’accordo, su cosa?” “Be’, preferirei che mi dessi del lei. Se sono un’eroina è importante che mostri la mia autorevolezza alla gente, capisci? Dunque, ti sarei grata se d’ora in avanti ti rivolgessi a me dandomi del lei, mio fedele destriero!” “Eh? Darti del lei?” “Sì! Ho sempre desiderato che qualcuno mi parlasse così, ma gli adulti danno sempre del tu ai bambini. Coraggio, sii galante!” Il cane si strofinò l’orecchio con la zampa sinistra, come faceva sempre quando era molto perplesso. Ma alla fine cedette. 26
“Bene, Violetta. Come desidera!” “Perfetto!” rispose lei alzando il mento. Ora si sentiva davvero sicura di sé. Sapeva che con un così forte e docile destriero avrebbe superato qualsiasi pericolo del Giardino Selvaggio. Perché in un posto simile, di pericoli dovevano essercene a volontà. Violetta si voltò verso la casa. Avevano oltrepassato i cespugli e, dietro tutte quelle foglie, non riusciva più a scorgere nemmeno il tetto. Qui nessuno sarebbe venuto a disturbarla. Nessuno. In quel preciso istante capì fino a che punto aveva paura, costantemente, dal mattino alla sera, che suo padre tornasse a prenderla, ma per la prima volta, al riparo del Giardino, si sentiva a casa, al sicuro. Diede un colpetto di tallone al suo destriero che accelerò il passo. “Pavel, sali su quel colle. Da lì potremo vedere tutto il Giardino!” Davanti a loro si ergeva una collinetta con due massi altissimi piantati in cima che le davano l’aspetto di un coniglio gigante. Quando il cane terminò la salita era senza fiato. Violetta scese a terra tra i due massi. Il sole brillava e non c’era nemmeno una nuvola a oscurare il cielo, eppure il vento era stranamente fresco. Quando passò all’ombra delle rocce, Violetta sentì un leggero scricchiolio sotto i piedi: l’erba era ricoperta di cristalli di ghiaccio. Si spostò sul lato esposto al sole. Sopra i due massi c’erano delle strane iscrizioni, ormai quasi del tutto cancellate. Tentò di decifrarne i segni, ma senza risultato. In quel momento si accorse che sulla superficie rocciosa il vento produceva un sibilo, simile al mormorio di un bambino. libro 1
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In realtà, non solo quello. Sentiva… delle parole? Sì, delle parole! Le due rocce parlavano! Violetta si piazzò nel mezzo e tese l’orecchio, ma non riuscì a capire cosa si stessero dicendo. Tuttavia, a forza di concentrarsi, riuscì comunque a cogliere qualcosa. La roccia di sinistra bisbigliava frasi lunghe e complicate, come per tessere una storia senza fine. Due parole venivano ripetute con insistenza.
“La Tempesta” La roccia di destra, invece, ripeteva in continuazione le stesse sillabe senza senso.
“Ban, Ka, Li, Ban, Ka, Li…” Man mano che ascoltava, Violetta notò che il tono e il ritmo della voce variavano… Finché non emerse una parola:
“Kaliban” Kaliban. Quel nome le suonava vagamente familiare. Familiare e inquietante come il nome di un vecchio nemico, sepolto in fondo alla memoria. Si allontanò dai due massi. Senza che riuscisse a spiegarsi il motivo, ciò che aveva appena sentito le rovinava il piacere di aver scoperto quel posto magico, come se, nel bel mezzo di un magnifico cespuglio di fiori, avesse intravisto i resti di uno scheletro. Decise che per lei e Pavel era giunto il momento di recuperare un po’ di forze e si mise a frugare nella borsa. Il cane, tutto eccitato, cominciò a scodinzolare. “Oh! Si è ricordata!” 28
“Conosco i tuoi gusti”, rispose Violetta estraendo il barattolo. Pescò un enorme cetriolino che lanciò in aria. Pavel fece un salto e lo addentò tutto contento. Altri due sottaceti fecero la stessa fine e il cane, soddisfatto, si accovacciò per schiacciare un pisolino. Seduta sull’erba, Violetta scrutava il paesaggio sgranocchiando un biscotto al cioccolato bianco. Ai piedi della collina c’era un grande prato e, al di là di quella distesa verde, una foresta dai riflessi grigiastri che sbarrava l’orizzonte… L’avventuriera si portò la mano sopra agli occhi per osservare meglio da lontano. Nessuna traccia di vita: né animali, né umani, nemmeno un uccellino in cielo. Senza neanche doverci riflettere, sapeva che tutto quel paesaggio faceva parte del Giardino. Niente binari, né strade, niente edifici, né cavi elettrici. Lei, Violetta Urlavento, aveva scoperto l’ingresso di un posto deserto e sconosciuto, dimenticato da un’eternità! E per quanto fosse immenso, quello era il suo Giardino, un luogo dove poteva discutere col suo cane e ascoltare le rocce bisbigliare tra loro. Il sole brillava alto nel cielo. Violetta notò che non si era mosso da quando era arrivata. Aveva l’impressione di esser là già da molto tempo, possibile che fosse passato solo qualche minuto? Prima o poi sarebbe dovuta rientrare… ma non aveva nessuna voglia di tornare indietro. Pensò alla foto che si era infilata in tasca. Il paesaggio che circondava la bambina in groppa al suo cane ricordava lo scenario che vedeva ora davanti a sé. Dunque non stava sognando. Qualcuno era già stato in quel luogo prima di lei, poi se n’era andato. libro 1
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Violetta sorrise: voleva esplorarne ogni angolo, ogni nascondiglio! Questo posto sarebbe diventato il suo rifugio. Meglio ancora, il suo mondo. Suo soltanto?
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LA FORESTA DISTRUTTA
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on credete a chi sostiene che i cacciatori sono i re degli animali. I cacciatori vivono con la paura in fondo alla pancia. Sanno che le prede si lasciano raramente acchiappare e che possono passare giornate intere prima di mangiare qualcosa che non sia un grillo o una carcassa puzzolente contesa dai corvi. I mangiatori d’erba, invece, non conoscono la fame. Certo, anche loro sanno cosa significa avere lo stomaco vuoto, ma mai troppo a lungo. A loro basta spostarsi per scoprire un germoglio verde, un tenero ramoscello, o un’intera distesa d’erba grassa e nutriente. Per loro la fame è soltanto un segnale, un promemoria per mettersi a brucare. Solo i cacciatori la conoscono davvero.” Così diceva Sendak, il capo dei lupi, mentre li conduceva attraverso la Foresta Distrutta. Il branco avanzava lentamente fra i tronchi grigi, scavalcando i rami spezzati e i cespugli di spine. Erano in sette. Sin dal loro risveglio, una fame tremenda li aveva spinti a ripartire in cerca di cibo… libro 1
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“Più veloci voi lì dietro! Dobbiamo arrivare al Prato prima che qualcun’altro ci rubi le prede!” ringhiò il lupo ai più lenti. La Foresta Distrutta era vasta e buia; quel poco di luce che riusciva a penetrare nel folto del bosco assumeva il colore smorto della legna secca. Nessun verso di animale, nessun fruscio di foglie o cinguettio di uccellini, soltanto il fischio del vento tra i rami spezzati accompagnava i passi felpati dei lupi. La foresta, che un tempo aveva ospitato una vita rigogliosa, ora era solo un enorme ammasso di detriti vegetali, disseminato di blocchi di terreno ghiacciati e distese di neve. Uno scricchiolio mise i lupi in allerta. Tutti si irrigidirono, cercando di capire da dove provenisse il pericolo. All’improvviso, un grosso ramo precipitò dall’alto come un sasso! Nel fragore del legno spezzato, il pezzo di albero si abbattè al suolo proprio alle spalle del branco. La caduta fu seguita da un breve grido di dolore. “Si riparte!” urlò Sendak. I cacciatori si stavano rimettendo in marcia quando, dal fondo del branco, giunse la voce di Kiti, una giovane lupa dal pelo rossiccio. “Brunov ha una scheggia di legno conficcata nella zampa… Non può più correre.” “Peggio per lui!” replicò Sendak. “Ci ha già rallentati troppo in passato. Tu sai cosa significano questi rami che cadono, vero? Il Giardino si sta risvegliando: vuol dire che un nuovo eroe si aggira tra i sentieri. Se vogliamo restare liberi, non possiamo mostrarci deboli. Lasciate indietro lo zoppo, proseguiamo!” Ubbidendo agli ordini del loro capo, i lupi sani affrettarono il passo distanziando rapidamente il vecchio Brunov. Mentre avanzavano verso il limitare della foresta, l’atmosfera diventava meno sinistra. La neve e il ghiaccio erano 32
quasi scomparsi e, in alcuni punti, i germogli cominciavano a rivestire di verde i tronchi degli alberi morti. C’era già anche qualche insetto a ronzare timidamente. “Sì! Sì! Gli animali iniziano a uscire!” esclamò Ramoz, il più giovane del gruppo. “Finalmente possiamo cacciare!” “Tu credi?” ribatté Sendak. “Ti sbagli di grosso. È da tempo che non ci sono più delle vere prede qui. Dovremo viaggiare ed esporci ai pericoli della pianura se vogliamo…” Sendak si immobilizzò in posizione di allerta, gli altri lo imitarono. Appoggiato saldamente sulle quattro zampe, il capo branco sentiva avvicinarsi una minaccia lontana… “La terra trema. È ancora distante, ma è molto potente”, mormorò Najda, la femmina dietro di lui. Ora tutti sentivano la vibrazione sorda del terreno sotto le zampe. Un po’ ovunque attorno si udiva una moltitudine di piccoli scoppiettii e scricchiolii. Un tronco spezzato in equilibrio precario di fronte a loro all’improvviso crollò a terra con un boato di tuono. Sendak gli si parò davanti. “Dobbiamo trovare una radura! Presto, altrimenti ci lasceremo la pelle!” urlò. I lupi si misero a correre, ma senza andare in panico. Sendak era una guida formidabile: sentiva la foresta muoversi attorno a lui. Per tre volte anticipò la caduta di un ramo deviando giusto in tempo per evitare che ferisse uno dei suoi cacciatori. L’istinto lo portava a dirigersi verso l’alto, dove sapeva che il branco sarebbe stato al sicuro. Abituati a cacciare le prede per ore, gli altri lupi lo seguivano, infaticabili e fiduciosi. Solo Kiti, di tanto in tanto, si voltava nella speranza di scorgere Brunov in lontananza. Ma il vecchio lupo ferito era rimasto indietro. libro 1
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I sei lupi raggiunsero finalmente il punto più alto della foresta. Gli abeti morti, ammucchiati come i bastoni di una partita di shangai gigante, lasciavano il posto a una lunga striscia d’erba grigia sul ciglio di una rupe di gesso. Là, nessun tronco secco rischiava di cadere improvvisamente addosso a loro. Appostati sul bordo del precipizio, i lupi avevano la visuale libera sulle terre che si estendevano in lontananza. Al limitare della foresta, tra l’Erba Alta e il sentiero che conduceva al Grande Prato, videro una nuvola di polvere avanzare lentamente verso i terreni fertili del Giardino Basso. Una nuvola gigantesca…
Sendak inspirò profondamente. Le narici filtravano i frammenti di terra grassa che si staccavano dal suolo, e milioni di spore di funghi, granelli di polline e goccioline d’acqua cariche di minerali. “L’Orda Verde. Si sono svegliati”, dichiarò scuotendo il muso. “Dobbiamo aspettare che passino prima di uscire dal bosco. Poi, sarà tempo di agire…”