Mount Katahdin
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WEST VIRGINIA VIRGINIA
NORTH CAROLINA
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TENNESSE
Atlanta GEORGIA
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Springer Mountain
Ben Montgomery
La signora degli Appalachi Grandma Gatewood, in solitaria lungo il sentiero più famoso d’America
Traduzione di Gioia Sartori
A Jennifer
Gambe in spalla 2-9 MAGGIO 1955
S
ul finire della primavera, con le piante nel pieno della fioritura, preparò i bagagli e lasciò la contea di Gallia, Ohio, l’unico posto che avesse mai considerato casa. Si fece dare un passaggio fino a Charleston, West Virginia, dove prese un autobus diretto all’aeroporto e poi un volo per Atlanta; da lì un altro autobus la portò fino a un angolo da cartolina chiamato Jasper, in Georgia, “il più bel paesino di montagna”. Ed eccola nel profondo Sud, a ottocento chilometri dalla sua casa in Ohio: finalmente saliva sul Mount Oglethorpe, a bordo di un taxi che sferragliava e cigolava, con le orecchie che le si tappavano e il tassista che brontolava perché tutta quella strada non gli avrebbe fruttato un penny. Lei se ne stava seduta in silenzio, immobile, a guardare dal finestrino la Georgia che scorreva sfocata davanti ai suoi occhi, chilometro dopo chilometro. Imboccarono una ripida salita, uno stretto sentiero di ghiaia, e arrivarono a quattrocento metri dalla cima della montagna, dove il conducente spense il motore. 5
Lei raccolse le sue cose e porse cinque dollari al tassista, poi uno in più per il disturbo. Questo lo rallegrò. Un attimo dopo l’automobile ripartì, le luci dei fanali sparirono tra la polvere ed Emma Gatewood si ritrovò da sola: una vecchia donna in cima a una montagna. I suoi vestiti erano stipati in uno scatolone che trascinò fino alla vetta, a qualche minuto di cammino da lì. Si cambiò nel bosco: si tolse il semplice abitino e le ciabatte che aveva indossato per il viaggio e si infilò una salopette e le scarpe da tennis. Tirò fuori dal cartone anche una sacca ricavata da un metro scarso di stoffa di jeans, che lei stessa aveva cucito con le dita grinzose prima di partire. Slacciò il cordino e la riempì con quello che rimaneva nello scatolone: salsicce di Vienna, uva passa, noccioline, dadi da brodo, latte in polvere. Poi aggiunse una confezione di cerotti, un flacone di tintura di iodio, delle forcine e un vasetto di pomata balsamica Vicks. Ripose le ciabatte e il vestito a quadretti che avrebbe potuto rispolverare se mai avesse dovuto rendersi presentabile e infine ficcò dentro un cappotto caldo, una tenda da doccia per ripararsi dalla pioggia, dell’acqua potabile, un coltellino svizzero, una torcia, delle mentine, la sua penna e un taccuino Royal Vernon Line, pagato venticinque centesimi da Murphy’s. Abbandonò lo scatolone in un pollaio vicino, strinse il cordino della sacca, e se la caricò in spalla. Ed eccola, il 3 maggio 1955, con le sue Ked di tela ben allacciate, all’estremità sud del Sentiero degli Appalachi, il più lungo percorso a piedi ininterrotto al mondo, davanti alle vette che si stagliavano contro l’orizzonte bluastro slanciandosi verso il paradiso e che per giorni si sarebbero spiegate ai suoi occhi. Di fronte a quell’aspro paesaggio di fiumi tumultuosi e rocce ostili c’era una donna, madre di undici figli e nonna di ventitré nipoti. Non era 6
mai riuscita a togliersi dalla testa quel Sentiero. A casa, in Ohio, mentre curava il suo piccolo giardino e badava ai nipotini, non aveva smesso di pensarci nemmeno per un secondo, in attesa del momento giusto per partire. Quel momento era arrivato nel 1955, quando aveva sessantasette anni. Era alta meno di un metro e sessanta, pesava quasi settanta chili e fino a quel momento il suo unico corso di sopravvivenza erano state le lunghe giornate passate a sgobbare in fattoria. Aveva la bocca piena di denti finti e calli grossi come biglie sulle dita dei piedi. Non aveva una mappa, né un sacco a pelo né una tenda. Senza occhiali era cieca, ed era totalmente impreparata di fronte all’eventualità, non così rara da quelle parti, di una tempesta di neve. Cinque anni prima, durante il giorno del Ringraziamento, un gelido ciclone aveva ucciso più di trecento persone nella regione degli Appalachi, e la maggior parte di loro aveva un tetto sulla testa. Le loro ossa erano state sepolte sui fianchi di quelle colline. Si era preparata al viaggio nell’unico modo che conosceva. L’anno prima aveva lavorato in una casa di cura per venticinque dollari la settimana, e aveva messo da parte tutto ciò che poteva finché non aveva guadagnato abbastanza per ottenere la pensione minima: cinquantadue dollari al mese. Aveva cominciato a camminare nel mese di gennaio, mentre stava a Dayton, Ohio, dal figlio Nelson. All’inizio si limitava a fare il giro dell’isolato, ma ogni volta allungava un poco la passeggiata fino a quando non sentiva le gambe abbastanza doloranti. Ad aprile era arrivata a percorrere sedici chilometri al giorno. Ora davanti a lei si stagliava una meravigliosa distesa di olmi, castagni, tsughe, cornioli, pecci, abeti, sorbi e aceri da zucchero. Avrebbe visto ruscelli cristallini, fiumi impetuosi e panorami che le avrebbero tolto il fiato. 7
Davanti a lei si innalzavano le montagne, più di trecento delle quali superavano i millecinquecento metri, le antiche vestigia di una catena montuosa che centinaia di milioni di anni prima squarciava le nuvole e rivaleggiava con l’Himalaya per maestosità. I monti Unaka, gli Smoky, i Cheoah, i Nantahala. Gli imponenti rilievi delle Blue Ridge; le Kittatinny Mountains; le Hudson Highlands. La Taconic Ridge, le Berkshires, le Green Mountains, le White Mountains, la Mahoosuc Range. Saddleback, Bigelow e infine – a cinque milioni di passi da lì – il Mount Katahdin. In mezzo si nascondevano cinghiali, orsi bruni, lupi, linci, coyote, banditi solitari e montanari senza legge. Querce velenose, edera velenosa, sommacchi velenosi. Formicai, simulidi, zecche dei cervi, e poi puzzole e scoiattoli e procioni con la rabbia. E serpenti. Serpenti dei ratti, mocassini acquatici e teste di rame. E serpenti a sonagli: il giovane che aveva percorso il Sentiero quattro anni prima aveva raccontato ai giornali di averne uccisi almeno quindici. C’erano milioni di cose meravigliose da vedere e milioni di incredibili modi per morire. Solo due persone sapevano che Emma Gatewood si trovava lì: il tassista e sua cugina Myrtle Trowbridge, che l’aveva ospitata la notte prima ad Atlanta. Ai suoi figli aveva detto che andava a camminare. Non era una bugia. Ma non aveva aggiunto nient’altro, non aveva specificato gli assurdi e stupefacenti dettagli del suo viaggio. A ogni modo i suoi undici figli erano tutti adulti e indipendenti. Avevano a loro volta bambini da crescere, bollette da pagare e prati da tosare: il prezzo necessario per partecipare al grande, immutabile sogno americano. Tutto questo era lontano da lei. Avrebbe mandato una cartolina. 8
Se avesse detto loro che cosa aveva in mente di fare, sapeva che le avrebbero chiesto Perché? Era una domanda che l’avrebbe tormentata giorno e notte nei mesi a venire, quando la notizia della sua impresa si diffuse come un incendio tra le valli, e i giornalisti seppero della sua missione e iniziarono a fermarla lungo il tragitto. Era una domanda che avrebbe eluso ogni volta in tono scherzoso. E quante volte l’avrebbe sentita. Gliel’avrebbe chiesto Groucho Marx. Gliel’avrebbe chiesto Dave Garroway. Gliel’avrebbe chiesto Sports Illustrated, l’Associated Press e persino il Congresso degli Stati Uniti. Perché? Perché c’era, rispondeva, e le sembrava un bel passatempo, diceva. Non avrebbe mai svelato la vera ragione. Non avrebbe mai mostrato ai giornalisti o alle telecamere i denti spezzati o le costole rotte, né avrebbe parlato della cittadina che custodiva segreti oscuri o della notte che aveva trascorso in cella. Avrebbe detto di essere vedova. Sì. Avrebbe detto di aver trovato sollievo al suo dolore in mezzo alla natura, lontano dalle ceneri della civiltà. Avrebbe raccontato che il padre le diceva sempre: “Gambe in spalla”, e che, nella pioggia e nella neve, “nella valle dell’ombra della morte”, lei teneva a mente quel consiglio. Girò intorno alla vetta del Mount Oglethorpe osservando l’orizzonte, i marroni, gli azzurri e i grigi in lontananza. Camminò fino alla base di un enorme monumento che si innalzava verso il cielo, un obelisco scolpito in marmo cherokee. Lesse le parole incise su un lato: In segno di gratitudine per i traguardi di James Edward Oglethorpe che con coraggio, 9
impegno e perseveranza fondò il Commonwealth of Georgia nel 1732 Diede le spalle a quella scultura fallica e si avviò lungo un sentiero che si snodava tra le felci, le foglie dell’anno prima e i boschi di angiosperme che affondavano le radici negli abissi della terra. Camminò per un bel tratto finché non si imbatté nel più grande allevamento di polli che avesse mai visto: una fila dopo l’altra di lunghi capannoni rettangolari da cui proveniva un gran chiocciare, costeggiati dalle case dove dormivano gli operai, immigrati figli di minatori e tute blu, uomini e donne che si guadagnavano da vivere tra quelle montagne. A furia di camminare le era venuta sete, così bussò a una porta. L’uomo che le aprì pensò che fosse una mezza matta ma le diede lo stesso una bevanda fresca. Le disse che c’era un negozio nei paraggi, proprio in fondo alla strada. Lei proseguì, ma non lo trovò. Calò la notte e per la prima volta fu sola nel buio. Il sentiero faceva una deviazione ma, non vedendo i segnali, lei proseguì lungo una stradina di ghiaia. Dopo circa tre chilometri si imbatté in una fattoria dove una coppia di anziani, i signori Mealer, ebbe la gentilezza di ospitarla per la notte. Se non si fosse persa, sarebbe stata costretta a dormire nella foresta in balia dell’ignoto. La mattina seguente, dopo aver ringraziato i Mealer, si incamminò di buon’ora mentre il sole tingeva d’azzurro le colline. Sapeva di aver sbagliato strada, quindi ritornò indietro per circa tre chilometri. Intorno a lei c’erano bellissimi calicanti in fiore che odoravano di pepe. Riprese il sentiero e si trascinò fino al crinale. Da lì proseguì per un lungo tratto in piano, mettendo a dura prova, passo dopo passo, le sue vecchie ossa per venticinque chilometri prima del calare della notte. Ma il dolore non era un 10
problema per una donna abituata al lavoro nei campi, almeno non ancora. Trovò una piccola baracca di cartone, la disfò e con alcuni pezzi costruì una barriera per proteggersi dalla furia del vento, mentre altri li sistemò a terra per improvvisare un letto. Non appena si sdraiò, la sua prima notte nei boschi, fu accolta con i dovuti festeggiamenti. Un topolino di campagna, grande quanto una pallina da golf, cominciò a grattare sul cartone. Lei tentò di cacciarlo via, ma era una creaturina impavida. Quando finalmente si addormentò, il topolino le salì sul petto. Non appena lei aprì gli occhi eccolo lì, in posizione eretta sul suo seno: due strani esseri, occhi negli occhi, in mezzo al bosco. Cento anni prima che Emma Gatewood ci mettesse piede, ancor prima che esistesse un sentiero, i pionieri si erano inoltrati a ovest, oltre le montagne più antiche del nuovo continente, nella terra dei cherokee: famiglie irlandesi, inglesi e scozzesi armate di grande determinazione si erano spinte verso il punto in cui il sole tramontava. Alcune erano tornate indietro. Altre avevano messo radici. Tra quelle montagne, forgiate più di un miliardo di anni prima nella roccia metamorfica e magmatica, avevano fatto la loro casa. Appalachia, l’avevano chiamata: un termine preso in prestito da una tribù di nativi americani Muskogee detti Appalachi, “popolo dall’altra parte”. Era un territorio bello e aspro, e quelli che rimasero vissero con la scure, la zappa e il fucile. Sui terreni più fertili coltivarono barbabietole e pomodori, zucche e zucchine, piselli e carote. Ma soprattutto coltivarono granturco. Negli anni Quaranta, a causa della scarsa rotazione delle colture e dell’arretratezza delle tecniche agricole, il 11
terreno rimase privo di sostanze nutrienti e i raccolti cominciarono a scarseggiare. Ma le persone restarono, rinchiuse tra le montagne. I primi coloni furono sepolti nelle colline brulle. I loro figli conducevano vite usuranti e monotone: erano a solo un giorno di viaggio dal sessanta per cento della popolazione degli Stati Uniti, ma la conformazione del territorio ostacolava il passaggio delle idee. Indossavano vestiti cuciti a mano e mangiavano pane di granturco, pollo affumicato e frittelle. I maiali che macellavano in autunno venivano serviti d’inverno sotto forma di salsicce, bacon e prosciutto salato. Lavoravano nelle miniere e nelle fabbriche, rischiando la morte ogni giorno per illuminare le case e vestire i figli dei più benestanti, mentre i loro bambini facevano i compiti al lume di candela e indossavano abiti rattoppati all’infinito. Tra le montagne fiorirono cittadine minerarie, villaggi operai e piccoli centri industriali, e ben presto strade sterrate e ferrovie collegarono tra loro le neonate comunità. Era un luogo di gente orgogliosa: i robusti discendenti dei sopravvissuti. Vivevano sospesi tra cielo e terra, sapevano il verso di ogni uccello, il nome di ogni albero e dove crescevano le erbe selvatiche nella foresta. Conoscevano a memoria i canti religiosi e la differenza tra predestinazione e libero arbitrio, nonché la ricetta del corn likker 1. Resistevano agli interventi del governo e, se le tasse diventavano ingiuste, si opponevano con le forche, la ribellione e il riserbo. Quando poco prima del 1880 il presidente Rutherford B. Hayes cercò di imporre una tassa sul whiskey, in Appalachia esplose una violenta guerriglia tra i contrabbandieri e gli agenti federali che si protrasse fino 1 Liquore americano ricavato da un mosto con un contenuto di mais pari almeno all’80% [NdT].
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al Proibizionismo degli anni Venti. Lo scarso controllo dell’ordine pubblico dopo la guerra Civile diede ai clan locali ampi margini di libertà che fecero spargere sangue per un malinteso o un colpo di fucile sbagliato. E il rancore rimase attaccato addosso, come resina rappresa. Quando nel fondovalle vennero asfaltate le strade, sinuosi fiumi di bitume, di fronte agli automobilisti si dischiusero inediti scenari di infelicità e miseria. Il resto dell’America scoprì per la prima volta la regione in subbuglio dei minatori di carbone e dei contrabbandieri. Negli anni Cinquanta l’arretratezza delle tecniche agricole e la sostituzione del lavoro dei minatori con quello delle macchine provocò un esodo dall’Appalachia. Quelli che rimasero erano abbastanza duri o disonesti per sopravvivere. Questa fu la direzione presa da Emma Gatewood: un percorso attraverso un territorio frainteso, cucito insieme dall’amore e dal pericolo, dall’ospitalità e dal livore. Il Sentiero era l’interpretazione di qualcun altro sul miglior modo per attraversare quel magnifico quanto aspro paesaggio ed Emma aveva accettato l’invito a seguire le orme dei suoi predecessori – l’esercito civile di progettisti, ambientalisti e apripista del sentiero – e in qualche modo diventare una di loro, una pellegrina. Emma proveniva dalle colline pedemontane e, per quanto non sapesse cosa aspettarsi, non si sentiva una completa estranea in quel luogo. Il 5 maggio, quando partì poco dopo le nove del mattino, diretta oltre i confini della Georgia, le facevano male le gambe. Camminò tra gli altipiani finché non fu costretta a fermarsi. Le si erano gonfiati i piedi. Trovò un rifugio accanto a una sorgente e lavò i vestiti sudici. Riempì la 13
sacca di foglie e la sistemò su un tavolo da picnic per fare un letto di fortuna. La mattina dopo riprese il cammino prima che il sole spuntasse da dietro le colline. Il percorso, nel cuore della regione dei cherokee, era costeggiato di azalee che, colpite dai raggi del sole, illuminavano la foresta grigio scuro di straordinari bagliori rosa e viola. Ogni tanto si fermava con un piede a mezz’aria per osservare un cervo dalla coda bianca saltare con grazia attraverso il sentiero e scomparire nei boschi. Ogni tanto scorgeva un serpente testa di rame nascosto tra le foglie, tratteneva il respiro e se ne stava alla larga. Quella sera in città bevve il latticello e mangiò il pane di granturco che le offrì un uomo, poi passò la notte alla Doublehead Gap Church, nella casa del Signore. In alcuni posti la gente apriva la dispensa e le porte della chiesa e ti faceva sentire a casa. In alcuni posti, ma non in tutti. Il giorno seguente, poco dopo essere ripartita, passò accanto a una base militare. I soldati avevano costruito trincee e steso il filo spinato su tutte le montagne, in una surreale giustapposizione di bellezza naturale e brutalità umana. Emma proseguì fino a Woody Gap, vicino al confine di stato. Fu raggiunta da un vecchio cane stanco e malandato, e non disdegnò la sua compagnia. Si inerpicò su una montagna e arrivò in cima dopo le sette di sera, al calare del sole. Doveva trovare in fretta un posto dove passare la notte. Seguì il corso di un ruscello che scendeva verso una valle punteggiata di piccole case. Erano povere e malconce ma forse lì qualcuno avrebbe avuto un letto o almeno qualche balla di fieno da offrirle. Qualsiasi cosa sarebbe stata meglio che scrollarsi dai capelli i topi di campagna al risveglio. Nel cortile di una di quelle casupole striminzite vide una donna che spaccava la legna. Sembrava che non si 14
pettinasse da settimane e il suo grembiule era così sudicio che avrebbe potuto reggersi in piedi da solo. Aveva il viso lercio e masticava tabacco, sputando di tanto in tanto per terra. Quando Emma si avvicinò la donna si interruppe. “Ha posto per un’ospite stanotte?” chiese Emma. “Non abbiamo mai rifiutato nessuno”, rispose la sconosciuta. Emma la seguì sotto il portico, dove un vecchio stava seduto all’ombra. Non era affatto sporco come la donna e aveva un’aria intelligente – e sospettosa. Questa era la parte più difficile e rischiosa del viaggio: cercare un letto tra estranei. A questa parte dell’esperienza non era preparata, perché non aveva mai pensato che sarebbe stato necessario negoziare. Lì, sotto il portico di quegli sconosciuti, non era tanto preoccupata quanto in imbarazzo. Si presentò all’uomo. “Ha un documento?” chiese lui. Emma prese dalla sacca la tessera di previdenza sociale e gliela porse. L’uomo la esaminò mentre il cane che l’aveva seguita fin lì si cercava un angolino comodo sotto la tettoia. Emma tirò fuori delle foto di famiglia, dei suoi figli e dei suoi nipoti, e gli mostrò anche quelle come ulteriore prova della sua identità. Ma il vecchio restava diffidente. “È pagata da Washington per fare questo viaggio?” le chiese. “No”, rispose Emma. Disse che lo faceva per se stessa e che aveva intenzione di percorrere i tremilatrecento chilometri del Sentiero fino alla fine. Aveva soltanto bisogno di un posto dove trascorrere la notte. “La sua famiglia è d’accordo?” domandò ancora l’uomo. “Non lo sanno”, rispose lei. 15
Lui la scrutò: una vecchia con una salopette lisa, una camicia, i capelli lunghi e grigi arruffati. Labbra sottili e grossi lobi carnosi. La fronte abbastanza sporgente da inombrarle gli angoli degli occhi. Erano giorni che Emma non vedeva uno specchio, ma sapeva di essere orribile. “E allora se ne torni a casa”, disse l’uomo. “Non può stare qui.” Non serviva a niente discutere. Emma sapeva dove si trovava. Si caricò di nuovo la sacca sulla schiena, voltò le spalle a quell’uomo e alla moglie malconcia e riprese a camminare.
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LA GUIDA
L’Appalachian Trail A cura di Ilaria Canali
I testi e i materiali di questa sezione sono tratti da www.appalachiantrail.org, copyright Appalachian Trail Conservancy, tutti i diritti sono riservati.
L’Appalachian Trail
LUNGHEZZA: 3.524 KM STATI ATTRAVERSATI: 14 DISLIVELLO IN SALITA: 142.000 METRI PARCHI ATTRAVERSATI: 8 FORESTE NAZIONALI, 6 PARCHI NAZIONALI, NUMEROSI PARCHI STATALI
L’Appalachian Trail è tra i sentieri escursionistici più lunghi al mondo, si trova negli Stati Uniti e si estende dalla Georgia al Maine. Lungo oltre 3.500 chilometri (2.190 miglia), attraversa 14 Stati, otto foreste nazionali, sei parchi nazionali e numerosi parchi statali, foreste e aree di caccia. Nel corso della sua storia il Sentiero ha subito varie modifiche: nel 1955, quando Emma Gatewood lo percorse, misurava circa 3.300 chilometri. Anche noto con la sigla “AT”, il Sentiero è visitato ogni anno da più di tre milioni di escursionisti, di cui 4.000 tentano di percorrerlo interamente. Sono persone provenienti da tutto il mondo, attratte dal Sentiero per riconnettersi con la natura, sfuggire allo stress della città, incontrare nuovi amici o vivere una vita più semplice. Completato nel 1937, l’AT fa parte del Sistema dei Parchi Nazionali ed è gestito da una partnership pubblico/privato guidata dall’Appalachian Trail Conservancy (ATC), organizzazione senza fine di lucro fondata nel 1925 per proteggere, mantenere e promuovere l’AT. 251
L’Appalachian Trail Conservancy È sovvenzionata da oltre 42.000 soci e più di 600.000 sostenitori disseminati in tutti gli Stati Uniti e in altri quindici Paesi. Il loro supporto garantisce che l’esperienza del trekking sul Sentiero degli Appalachi, unica nel suo genere, sia tutelata dallo sfruttamento edilizio, dalla presenza umana sempre più invadente e da altri pericoli. Ogni anno vengono preparati e formati milioni di visitatori che esplorano le meraviglie naturalistiche e culturali del Sentiero, promuovendo il rispetto per la natura così da minimizzare l’impatto degli escursionisti sull’ambiente. L’ATC lavora per fare sì che il Sentiero sia protetto a lungo termine grazie all’impegno pubblico, alla tutela del paesaggio e alle buone pratiche nella gestione del percorso. Amministra oltre 100.000 ettari di terreno, con particolare attenzione alle fonti di acqua potabile, ai paesaggi dotati di valore storico e culturale, alle specie a rischio e alle economie basate sul turismo. È importante responsabilizzare i gestori più giovani e coinvolgere le comunità locali nella protezione del Sentiero. Tramite i suoi programmi e le partnership l’ATC sostiene il lavoro di oltre 6.000 volontari che si occupano della manutenzione e della cura del Sentiero e dei territori circostanti. L’Appalachian Trail è organizzato con un sistema di gestione cooperativo unico, in partnership con il National Park Service e lo US Forest Service a livello nazionale, regionale e distrettuale, con agenzie in 14 Stati, alcuni altri enti federali, oltre ad alcune contee e comunità locali. Ma sono i volontari il cuore e l’anima dell’AT, suddivisi in aree tematiche tra cui una delle più importanti è quella dedicata alla manutenzione del sentiero: i gruppi 252
“Trail Crew”. Tutti possono proporsi per collaborare e diventare volontari; per comprendere in che modo attivarsi esiste un test online che aiuta a definire meglio le proprie competenze e attitudini e quindi inserirsi nel gruppo di volontariato più adatto.
LA STORIA 1921 La guardia forestale Benton MacKaye pubblica il progetto “An Appalachian Trail: A Project in Regional Planning”. 1925 MacKaye e i suoi sostenitori organizzano l’Appalachian Trail Conference e presentano piani dettagliati per tracciare un sentiero escursionistico. Verso la fine degli anni Venti il giudice in pensione del Connecticut, Arthur Perkins, dell’Appalachian Mountain Club, assume la presidenza dell’ATC. Perkins attira presto l’attenzione di Myron H. Avery e di un piccolo gruppo di persone di Washington che avevano costituito il Potomac Appalachian Trail Club (PATC) e iniziano a tracciare il percorso escursionistico nella Virginia occidentale e settentrionale. 1937 Avery succede a Perkins nella dirigenza dell’ATC e del PATC e nell’agosto del 1937 il sentiero viene completato con il tracciato dal Maine alla Georgia. 1938 Un uragano danneggia gravemente il Sentiero, specialmente nel New England. Avery e molti altri volontari vengono chiamati al servizio militare per prepararsi a quella che sarebbe diventata la Seconda Guerra Mondiale; in questo periodo la possibilità di riparare e mantenere l’Appalachian Trail si riduce drasticamente. Tuttavia, tre anni dopo la guerra, il veterano Earl V. Shaffer riesce a individuare un tracciato unico del Sentiero, dalla Georgia al Maine, impresa che l’ATC credeva impossibile.
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1951 Nella primavera Avery dichiara che l’AT è nuovamente percorribile, in modo continuativo, dal Maine alla Georgia. 1961 Viene eletto Presidente dell’ATC Stanley Murray, il quale rafforza l’organizzazione, che passa da 380 membri a più di 10.000. 1968 L’AT diventa il primo sentiero panoramico nazionale esistente, inserito nel Sistema dei Parchi Nazionali. Il National Trails System Act, 47 anni dopo la pubblicazione della proposta originale di MacKaye, diventa legge, ponendo l’AT sotto la protezione federale. 1972 La sede dell’ATC viene spostata da Washington D.C. a Harpers Ferry in West Virginia, sull’AT. 1978 Il National Trails System Act permette di creare un “corridoio” che includa i territori adiacenti al Sentiero. 1984 Il National Parks Service conferisce all’ATC la responsabilità della gestione anche delle terre del “corridoio”. 2005 L’Appalachian Trail Conference cambia il nome in Appalachian Trail Conservancy con l’obiettivo di custodire e preservare il Sentiero, il territorio e le sue risorse naturali e culturali.
I 14 Stati Ogni anno sono quasi 4.000 gli escursionisti che decidono di percorrere l’intero Appalachian Trail, partendo dalla Springer Mountain in Georgia, con l’obiettivo di attraversare 14 Stati fino ad arrivare al Maine. Sul sito dell’ATC (Explore / Interactive Map) si può accedere a una mappa interattiva dell’AT, utilissima per avere uno sguardo d’insieme di tutto il percorso. Grazie a questa mappa è possibile esplorare virtualmente centinaia di luoghi lungo il sentiero tra cui panorami, parcheggi, rifugi notturni, comunità e Trail Club dell’AT. 254
GEORGIA LUNGHEZZA: 126 KM DIFFICOLTÀ: DA FACILE A IMPEGNATIVA ALTITUDINE: MINIMA 765 M MASSIMA 1.360 M
Le montagne della Georgia settentrionale non sono come il resto del Paese. Sono alte e aspre: la vetta più alta – la Blood Mountain – misura 1.360 metri e la montagna più bassa è di oltre 750 metri, superiore per altezza a qualsiasi punto sull’AT dal nord della Virginia al Massachusetts. UTILE DA SAPERE
A marzo e all’inizio di aprile l’AT può essere gelido e affollato. I campeggi possono essere pieni di escursionisti che iniziano il loro trekking nel Maine e di studenti per le vacanze di primavera. A causa dell’altitudine, le montagne della Georgia settentrionale possono essere molto fredde; si può trovare la neve da novembre a marzo o aprile. TENNESSEE LUNGHEZZA: 151 KM DIFFICOLTÀ: DA FACILE A IMPEGNATIVA ALTITUDINE: MINIMA 415 M MASSIMA 2.019 M
Sono 151 i chilometri dell’AT in Tennessee, ma il percorso costeggia il confine con il North Carolina per altri 260 chilometri. Nella zona montuosa lungo il confine gli escursionisti attraversano le montagne più alte lungo il sentiero con molte vette sopra i 1.800 metri. UTILE DA SAPERE
È necessario ottenere un permesso per entrare nel Great Smoky Mountains National Park e, a seconda della durata dell’escursione, occorre prenotare per dormire negli shelter, i ripari che si trovano lungo il Sentiero. Gli escursionisti possono soggiornare solo nelle strutture designate. 255
Indice 5 Gambe in spalla 17 Torna a casa, Grandma 35 Rododendri e serpenti a sonagli 51 Cani selvatici 65 Com’è arrivata qui? 77 La nostra guerra 87 Vecchia vagabonda 97 L’interesse dei media 105 La sana fatica 113 La tempesta 123 Nel rifugio 133 Ci arriverò 141 Distruzione 153 Tanta strada alle spalle 171 Tutta sola 183 Ritorno al Rainbow Lake 199 Più sola che mai 205 Di nuovo 213 Pioniera 221 Segnali 231 Monumenti 243 Epilogo 247 Ringraziamenti LA GUIDA
251 L’Appalachian Trail 263 Come percorrere l’Appalachian Trail 273 Prima di partire: come prepararsi