Ci sarà il tuo primo passo, il tuo primo libro, il tuo primo disegno. Ci sarà il tuo primo bagno al mare, la tua prima canzone, la tua prima candelina. Ci sarà il tuo primo film, il tuo primo: “Mamma”, il tuo primo: “Ti voglio bene”. Ci sarà il tuo primo scherzo, il tuo primo cucchiaino di miele, la tua prima margherita. Coraggio, non è ora di svegliarsi? Ne abbiamo di cose da fare!
La mia mamma diceva: “Quando tu hai freddo, ho freddo anch’io”. È vero. Anzi, no. “Quando tu hai freddo, io ho FREDDISSIMO.”
Vivamus, mea filia, atque amemus... Dammi mille baci, e poi cento, e poi altri mille... Bacio all’eschimese, naso contro naso, bacio farfallino, le mie ciglia sulle tue guance che ridono, bacio pernacchia, che scoppia sul collo, bacio segreto, le labbra leggere sulla fronte, bacio d’orco, che divora il tuo pancino. Bacio dolce, bacio monello, bacio tenero, sulle ginocchia. Come? Ancora baci? Credi che ne abbia ancora? Forse. Giusto giusto un centinaio...
Il mio grembo è stato la tua casa. Mi hai abitata, come un ospite gentile che la sera si sistema sul divano e lascia lo spazzolino in bagno. Ho visto i miei seni gonfiarsi, le mie anche allargarsi, ho tastato la mia pancia tutta tesa. Ho sentito i tuoi calci! Ti ho avuto sotto la pelle, bambino. Poi hai traslocato. La casa non è più la stessa. Rimane, scolpita, la tua presenza. Sono vuota. Sola sotto la mia pelle. Non ne riconosco i contorni né le pieghe. Non la sento più. Manchi al mio grembo. Devo ricostruire la mia casa. Punto per punto, goccia di sangue dopo goccia di sangue, ricreo un corpo a mia immagine. Riprendo possesso della mia pelle. Sulle linee rosa che mi hai lasciato sulla pancia ho inciso dei cuori. Sulla mia schiena volano gli uccelli. Sul mio braccio, un’àncora. Ovunque mi sono cosparsa di stelle. Ti amo. Sono libera. Dalla testa ai piedi sono me stessa. La nuova me. La me con te. Ti ho ancora sotto la pelle, bambino. Ma oggi sei nella mia testa.
È buffo: abbiamo le stesse dita dei piedi. In grande e in piccolo. Camminiamo nello stesso modo. Tu ti aggrappi alle mie dita. Sono il tuo tutore. Prendi il mio stesso ritmo. Sono il tuo modello. Cosa? Chi? Io? Il tuo modello? Sì. È questo, una mamma. Indicare la via, perché il bambino cammini sulle sue gambe. Con l’esempio fornire le chiavi per farsi strada nella vita. Io non le ho. Io vago su sentieri infestati dai rovi, disseminati di sassolini che nelle scarpe fanno male. Non voglio che ti perda anche tu. Tu devi tracciare il tuo percorso, dritto verso i tuoi desideri, senza deviazioni o sbandate. Non voglio che tu ti smarrisca. Per te, devo fissarmi un itinerario. Trovare il mio cammino. Passo passo. Con te.
“Come si chiamano le persone che inventano le macchine?” ho chiesto al maestro. “Ingegneri” mi ha risposto. Ingegneri. Non è una cosa da donne, mi sono detta. Qual è il mestiere delle donne che lavorano con i motori? Ho cercato e ho trovato “meccanica”. Farò la meccanica. Faccio la meccanica. Aggiusto le macchine, non le invento. Le donne non inventano, puliscono. Eppure sono ingegnosa. E ingenua, a volte. È così che ho cominciato a raccontarti delle vere fiabe. “C’era una volta, in un grande castello, un’ingegnera che costruiva macchine per mandare le fate nello spazio...” “C’era una volta una presidente che non ne poteva più di vedere i prìncipi giocare alla guerra anziché lavorare...”