Un viaggio inaspettato Madassa Traorè
Sono nato in un piccolo villaggio situato nella prima regione del Mali in una famiglia di capi tradizionali, cioè la nostra famiglia era considerato come i capi del nostro villaggio. Sono il solo figlio dei miei genitori. Mio padre ha due fratelli, un fratello magiore e un fratello minore. Dopo la morte di mio non[n]o il fratello magiore di mio padre era scelto come leader di villaggio perché è lui che era il più grande della famiglia. Mio padre e suo fratello minore, loro avevanno un’po studiato e eravano tutti in un partito politico chi si chiamava “ADEMA”. Tutto andava bene tra loro fino in 2010 quando mio padre ha voluto lasciare “ADEMA” per un altro partito chi è “PARENA”. E questo partito “PARENA” ha vinto elezioni comunali in 2010. Mio padre è scelto come uno dei Consiglieri del Sindaco. Da questo giorno le cose hanno iniziato a cambiare tra mio padre e suoi fratelli. Quindi fratello magiore chi è il capo del villaggio è andato della parte di fratello minore nel partito ADEMA. In questo momento ero piccolo ma li vedevo ogni volta che loro litigano e hanno finito per separarsi. Ma dopo tutto c’è qualcosa che li lega ancora, che è patrimonio dei genitori, cioè i campi dove facevano le loro agriculture. E anche lì non potevano es202
sere d’accordo. Fino al 2014, quando mio padre è andato a guardare il suo campo ed è stato trovato morto dopo due giorni della sua ricerca. In questo momento avevo 18 anni e ero andato in città per continuare i miei studi. Quando sono informato della morte, sono tornato subito in villaggio. Tutte le personne del villaggio sapevano che lui è stato assassinato, ma io non pensavo in nessun caso che miei zii possono assassinare il loro fratello nonostante tutti le liti che hanno fatto ogni volta. E il caso è rimasto così perché non c’era nessuno che poteva cercare come lui è stato usciso, e mia mamman era una simplice casalinga e non sapeva niente di giustizia. Io pensavo che dopo la morte di mio padre, suoi fratelli prendevano la mia famiglia come le loro. Ma era tutto il contrario. Un giorno ero con mia maman a casa, il fratello magiore di mio padre è arrivato a parlarci. Mi ha detto “è finito tuei studi, non andrai più in città per studiare. Tu rimarrai qui per lavorare”. Gli ho chiesto Perché? Non ha voluto darmi spiegazioni, ha preso la mia borsa da scuola che era appesa nella camera della mia mamma e l’ha brucciata, poi ha detto a mia madre “Tu vai dove vuoi ma non rimarrai qui nella famiglia”, mentre sapeva che lei non ha nulla [nessuna] parte dove andare neanche nessuno per prendre cura di lei. Ho visto adesso che l’odio che loro avevano verso mio padre è tornato verso io e mamma. È questo decisione che non mi ha piaciuto e ho iniziato a rispondergli. Gli ho detto dove va mia mamma è lì che vado anche io. Chiaramente mi ha detto “se osi andare con tua madre, tu unirai al tuo padre”. Da questo giorno quando i figli degli zii vanno a scuola, io vado in campo per andare a lavorare come un schiavo o andare a cercare di acqua con carrello a 203
5 km di villaggio per le loro moglie e quando vado a dare anche un sechio di acqua a mia mamma, in questo giorno, passerò tutta la notte legato all’albero in centro della casa o loro prendono mia mamma e la legano davanti i miei occhi. Io so che mia mamma è la sola cosa che mi rimane, quindi preferisco morire che di lasciarla girare nel villaggio come una pazza. Di più non c’era nessun nel villaggio che poteva venire aiutarci o che poteva dire la verità. C’era una vedova fuori del villaggio che ha deciso di prendere mia mamma da lei. E in questo momento che mia madre mi ha consigliato se non voglio che anche lei sia morta, che devo partire lontano di lei per salvare la sua vita e la mia. È in questi condizioni che ho deciso di andare via. Ma quando me ne vado ho promesso a mia madre che ritornerò ad affrontare queste persone senza cuore quando sarò pronto. L’IDEA dell’immigrazione illegale non mi è mai piaciuta e io ho sempre criticato le persone chi facevano questo viaggio. Ma come dicono l’uomo propone e la vita può anche decidere altremente, alla fine sono stato io a vinire a trovarmi sulla strada di questo viaggio, chi è immigrazione illegale. La mia prima volta di sentire parlare di questo viaggio era in 2009. In questo momento ero studente quando un conoscente ha voluto attraversare il mare del Moroco verso Spagna ed era rimasto in mare. Poi in 2012 sentivamo ai giornali (televisione, radio) che un grande numero di persone erano rimasti nell’acqua volendo traversare il mare mediteraneo verso l’Italia o il mare del Maroco verso Spagna. Ho avuto pietà verso quelli che sono rimasti in mare, allo stesso tempo ho considerato quel viaggio come un suicidio. 204
Non sapevo anche che i problemi, i maletratamenti, delle menacce possono spingere una persona a darsi da morire senza vollerlo. Dopo tre anni, eccomi io stesso davanti a questo viaggio che ho sempre odiato. Era in 2015 quando ho avuto la problema che ho racontato nella prima pagina. Alle quatro di matina di un lunedi, sono fugiato da casa senza sapere dove devo andare, perché era la mia prima volta di prendere una tale decisione e di più tutte le parti del Mali eranno minacciati dalla guerra civile e politiche quindi ho diciso di andare senza sapere dove. Sono andato ad aspetare i trafficanti fuori di villaggio chi trasportono le persone verso la città. Arrivato in città io so che se rimango lì verrano a cercarmi e se mi trovanno sono un uomo morto, ma non avevo niente per mi pagare da mangiare soprattuto di pagare il mio trasporto. Ho deciso di affidarmi a un autista di pulman perché lui mi prenda con lui in capitale chi è Bamako. Gli ho detto: Arrivato lì lavorerò per pagarti le tue spese di trasporto che stimate a 15.000 FCFA un valore di 12 euro. Senza problema il signore ha accetato. È sul pulman che ho incontrato un signore di nome Moussa Diallo. Lui si è avicinato di me per chiedermi se ho una sigaretta, gli ho risposto non, io non fumo. Ci siamo scambiati un’po le parole fino a quando ci deventiamo quasi amici. È in questo momento che ho deciso di gli dire miei problemi. Lui era scioccato dai fatti che gli ho racontato e ha deciso di aiutarmi però per una condizione: devo accompagnarlo in Niger perché è lì che lui lavora. Mi ha detto che ha il suo ristorante li e ha besogno di qualcuno per aiutarlo. Io che ero confuso e non sapevo nulla parte dove andare, ho accetato la sua proposta, però gli ho detto che io non ho nessun documento che mi 205
permette di viaggiare fuori del Paese. Lui mi ha assicurato che non era una problema. Ci ha fatto due biglietti per Niamey la capitale del Niger. Dopo quatro giorni siamo arrivati a Niamey. Esatamente come ha detto lui, aveva un ristaurante. Ho iniziato a lavorare con lui durante al meno tre setimane senza paga. Un giorno nella notte dopo avere finito di lavorare, ero seduto davanti la porta, lui è arrivato a parlare con me. Mi ha detto “io ho mio fratello magiore chi si trova in Libya e mi ha chiamato perché io vada da lui, ma ho pensato che io devo portarti con me perché è grazie a me che sei uscito dal Mali e tu non conosci nessuno qui”. È basta la parola Libya e la mia reflessione è arrivata sul immigrazione illegale e mi sono sentito tradito perché quando lui mi aveva chiesto di venire con lui in Niger, gli avevo detto che vorrei tornare da mia mamman presto e lui ha detto di sì, oggi mi dice di accompagnarlo in Libya. Quando ritornerò da mia mamma? Ma come ha detto lui, io non conosco nessuno, non posso fare niente da solo perché non avevo niente, quindi ho accetato. Il giorno dopo c’era un grupo che era pronto cioè un grupo dei viaggiatori che devevano andare insieme in Libya. Eravamo 60 persone in un piccolo furgone che può prendere solo 25 a 30 persone. Ci hanno caricato dentro come delle bestie viaggiatori. C’erano delle donne, dei bambini chi gridavano dall’inizio perché eravano troppo stretti. Siamo rimasti così sul Sahara (diserto) senza acqua neanche da mangiare per tre giorni, al terzo giorno a pochi chilometri del primo villaggio di Libya “Sabaha” vediamo due machine 4x4 piene di uomini armati. Sono venuti per circondarci, hanno fatto scendere il nostro autista e uno di loro ha guidato il furgone verso la prigione. Era la mia prima volta di vedere una prigione ma non sapevo che cosa ci aspettava lì. Dopo avere chiuderci, 206
nella notte loro ci hanno fatto uscire in grupo per colpirci. La matina, sono venuti annuciarci che chi vuole essere libero deve pagare mille dinard e hanno un telefono per chi vuole chiamare. Le gente hanno iniziato di chiamare, tutte le mie speranze erano sul signore che ho accompagnato perché io non so chi devo chiamare, mia mamma non aveva un telefono e soprattutto non poteva pagare mille dinard. Ho aspettato quello che doveva succedere. Il quinto giorno Moussa è uscito e mi ha lasciato. Mentre se ne andava, mi ha detto che lui ritornerà a cercarmi. Da questo giorno fino a oggi non l’ho mai visto. Ho passato 27 giorni in prigione, in questi 27 giorni ogni giorno è peggio, loro ci facevano lavorare come dei schiavi. A volte ci colpiscono. Mangiamo ogni tre giorni e beviamo acqua salata. Era l’inferno del mondo. Con l’aiuto di dio ho incontrato un ragazzo gentille chi si chiamava Boubacar, avevamo quasi stessa età. Un giorno il fratello di Boubacar ha chiamato la prigione per chiedere come pagare il deposito per liberarlo, ma Boubacar ha detto a suo fratello che se lui vuole pagare suo deposito e se lui vuole farlo uscire dalla prigione c’è un amico cioè io, che non ha nessuno chi può aiutarlo. E lui deve pagare per me, altrimenti deve lasciare anche lui. Senza problema suo fratello ha accetato. Due giorni dopo lui ha mandato il suo amico tassista in prigione con i soldi per noi due e il tassista ci deve trasportare da lui a Tripoli. Arrivati a Tripoli da Mamady chi è il fratello di Boubacar, abbiamo passato tre giorni da lui poi ha deciso di mandarci al lavoro mensile dagli arabi. Io mi ha dato a un arabo di nome Mohamoud, nonostante che non capisco niente in arabo ma il signore parlava un po’ in francese. Ho lavorato per lui come 207
contadino nel suo giardino per circa un anno senza essere pagato. Quando gli chiedo, mi dice che lui parlerà di questo con Mamady. Un giorno il 25 dicembre 2016, lavoravo con lui e il suo fratello nel giardino, quatro persone sono venuti davanti la porta con una macchina, le loro facce eravano nascoste. Hanno iniziato a spararci. Era la mia prima volta di assistere a una sparatoria. Io pensavo che questo giorno sarà il mio ultimo giorno in mondo. Per fortuna nulla mi ha toccato, ma il fratello di padrone ha avuto una palla sulla coscia e hanno rubato la sua macchina. Il fratello di padrone è stato portato all’ospedale. Dopo due giorni con suo fratello all’ospedale il padrone è tornato a vedermi nel giardino e mi ha detto Madassa, Libya di oggi non è come prima. Libya non è un buon paese soprattuto per voi i giovani stranieri quindi io preferisco che tu lasci questo paese”. Gli ho chiesto: Come? Perché sono qui da uno anno e non mi hai mai pagato e io non conosco nessuno che può farmi tornare a casa. È in questo momento che mi ha proposto il viaggio che ho più odiato nella tutta la vita cioè che devo traversare il mare verso l’Italia. All’inizio ho rifiutato questa idea e gli ho pregato di cercarmi un altro soluzioni per lasciare la Libya o altrimenti preferisco morire che salire sul mare. Mi ha detto di pensare bene, perché non c’è nessuno soluzione per lasciare il territorio libico a parte questa idea. Anche lui ha tutta la sua famiglia in Tunisia, lui è qui da solo con suo fratello, dopo che lui sarà curato, loro emigreranno. Mi ha lasciato con i miei doubi, se penso al mare, allo stesso tempo penso a tutto quello che ho vissuto da casa fino a qui. Penso che se attraverso il mare o se resto nel mare in ogni caso i miei problemi saranno finiti. È in questi condizioni che mi sono dato alla morte, e ho ac208
cetato. Ho chiamato il suo amico chi è vicino al mare a “Zabrata” chi deve mi inserire nel suo prossimo viaggio. Vicino al mare ho visto dei uomini, delle donne chi sono preocupati e chi non hanno voglia di fare questo viaggio suicidio, ma come me non hanno un’altra scelta. Nella notte di 2 febbraio 2017, gli arabi hanno gonfiato cinque barche sotto forma di palloni e li hanno appogiati sul mare, hanno diviso più di 600 per[s]one tra questi cinque barche. Da nostra eravamo 136 persone sistemati dentro come delle bestie. Alle 22 abbiamo fatto la partenza. Dopo una notte e un giorno sul mare, siamo stati salvati dai genti di SOS Mediteraneo. In questo giorno ho fatto cadere le lacrime di gioia e angoscia perché per me tutto quello che ho fatto era come in sogno. Ho odiato questo viaggio ma in stesso tempo è stato una esperienza per me, perché in corso di questo viaggio ho potuto vedere e capire delle cose che non sapevo nella vita. Ci hanno portato verso il porto di Sicilia prima città italiana. Lì siamo stati accolti con respeto e hanno messo tutti a propio agio nonostante il grande numero delle persone che hanno accolto. Da questo momento ho potuto conoscere i comportamenti di uno verso gli altri, solo le persone civilizzate possono comportarsi di questa maniera verso gli altri. Ho potuto vedere anche la differenza tra l’immigrazione illegale e immigrazione normale, perché per conoscere i nostri paesi differenti, hanno dovuto enregistrarci e chiederci l’uno dopo l’altro: i nomi, cognomi e la nazionalità per mandare alla polizia della provincia per potere farci un documento provisorio. Alla fine di tutti enregistrazione, è stato spiegato a noi che dobbiamo fare la richiesta d’asilo se vogliamo guadagnare dei documenti, ma dopo un racconto convincente per il motivo del tuo viaggio. Io e con alcuni persone che ho incontrato vicino al mare e alcuni nella barca, ci hanno chiamato e ci hanno 209
messo a propio agio nel un pulman verso Milano che è anche una grande città italiana, che ho persino sentito il suo nome da quando ero a casa. Lì ci hanno dato a un centro di accoglienza che è un comitato di croce rossa italiana, dove devono aiutarci a proseguire i regolamenti della polizia per avere il documento e devono anche aiutarci per l’integrazione in Italia. Da loro ho trovato delle persone chi eranno arrivati prima di me e chi parlavano bene la mia lingua. Sono loro chi mi hanno aiutato a integrarmi nel centro. La mia integrazione fuori di centro cioè con gli italiani e altri stranieri, all’inizio è stata dura perché non capivo niente nella lingua italiana e poi avevo paura di parlare con le persone che non conoscevo. Ma con l’aiuto dei responsabili di centro, che hanno aperto una scuola dentro del centro, mi ha aiutato tanto a iniziare bene il mio adattamento. Soprattuto che adesso frequento fuori la scuola della lingua italiana per stranieri che è totalmente gratuito per noi immigrati. Ho iniziato a capire bene la lingua, la vita quotidiano degli italiani. Soltanto quello che mi stanca adesso è la comunicazione e anche la mancanza di lavoro. Ma a volte parlo con gli amici con chi faccio la stessa classe. Spero presto parlare bene la lingua e avere un buon lavoro, un documento perché mi piace molto Italia sopprattuto Milano.
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Biografia Madassa Traorè nasce il 14 maggio 1996 in Mali, a Kayes, in prossimità dei confini con Senegal e Mauritania. La famiglia paterna è molto numerosa e ha una forte appartenenza politica comune. Nel 2010 il padre di Madassa si candida alle elezioni in un partito che, pur posizionato nella stessa area ideologica, è diverso da quello in cui militano i propri familiari e la sua elezione determina la rottura dei legami con la famiglia d’origine. Quattro anni dopo l’uomo viene assassinato. Madassa è costretto ad abbandonare gli studi e a lavorare come contadino; assiste all’emarginazione a cui è condannata la madre, continuamente costretta a subire prepotenze ed è soprattutto questo dolore a rendere per lui insopportabile la situazione. Nel 2015 è la madre stessa a suggerire a Madassa di fuggire, unica scelta che possa salvarlo e in futuro, forse, salvare anche lei. Madassa è sempre stato contrario all’emigrazione clandestina e conosce i rischi della traversata del Mediterraneo. “Ho considerato quel viaggio come un suicidio” ma “eccomi io stesso davanti a questo viaggio che ho sempre odiato”, scrive nel suo racconto. Nel suo viaggio verso la capitale Bamako conosce un uomo a cui racconta la propria storia e che gli propone di seguirlo in Niger, dove possiede un ristorante. Madassa accetta e lavora gratuitamente per lui, sempre con l’intenzione di tornare in Mali a prendere la madre. Un giorno però il proprietario del ristorante gli comunica che partirà per la Libia e che Madassa dovrà accompagnarlo; il ragazzo non può rifiutarsi, poiché non ha soldi ed è in un Paese nel quale non conosce nessuno. In Libia Madassa viene rapito e incarcerato; riesce a uscire di prigione solo dopo la corresponsione di un riscatto che - generosamente - paga per lui il fratello di un compagno di cella. Viene dunque rilasciato, non ha denaro né conoscenze. Comincia a lavorare, in cambio del solo vitto e alloggio, per un possidente arabo. Trascorre un anno, e un giorno degli uomini armati fanno irruzione nel giardino dove
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lavora Madassa, che assiste a una sparatoria senza riportare fortunatamente lesioni fisiche. Deve però lasciare la Libia e non ha altra possibilità se non quella del viaggio in mare: “mi sono dato alla morte, e ho accetato”. Salpa la notte del 2 febbraio 2017 e la traversata si rivela tragica come nelle sue previsioni; viene salvato dal naufragio dall’Ong SOS Méditerranée e arriva in Sicilia. Madassa viene trasferito a Milano e accolto in un centro della Croce Rossa Italiana. Contesto di origine Madassa nasce all’interno di una famiglia di capi tradizionali in un piccolo villaggio del Mali. La famiglia è schierata con il partito di governo, Alleanza per la democrazia in Mali (Adema). Alla morte del nonno, lo zio di Madassa diventa capo famiglia e viene scelto come capo del villaggio. Il padre di Madassa, il secondogenito, forse perché si sente messo da parte nelle scelte familiari e di villaggio, nel 2010 lascia il partito maggioritario ed entra in un altro partito, il Raggruppamento per il Mali (Parema) nato da una scissione dentro Adema. Parema vince le elezioni regionali del 2010 e il padre viene scelto come uno dei nuovi consiglieri del sindaco. Di qui il grave conflitto in famiglia: Madassa è costretto a interrompere gli studi e a lavorare in condizioni di schiavitù al servizio dello zio: “È in queste condizioni che ho deciso di andare via”. La guerra civile, iniziata nel 2012 con un grave conflitto tra nord e sud, non accenna a diminuire. Così di città in città, prima in Mali, poi in Niger e infine in Libia, Madassa si trasforma di volta in volta in aiutante cameriere, manovale a basso costo, a giornata, a cottimo, con pochi spiccioli quando viene pagato, e viene rinchiuso più volte in affollate strutture di coercizione e di internamento (“Era l’inferno del mondo”) fino a quando risparmia abbastanza soldi per intraprendere controvoglia il suo “viaggio-suicidio”.
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Contesto di arrivo Nel 2018 ho avuto l’onore di prendere parte a quel magnifico progetto dell’Accademia dei Filodrammatici di Milano che è Teatro Utile, ideato e coordinato dalla regista Tiziana Bergamaschi. All’interno del progetto ho tenuto un laboratorio di scrittura autobiografica con un gruppo di italiani e di richiedenti asilo ospiti di due Centri di accoglienza straordinaria gestiti da Croce Rossa Italiana. Lì ho conosciuto Madassa. Timido, ma pronto ogni volta a offrire un sorriso luminoso. Puntuale, sempre. E molto desideroso di imparare. All’interno del laboratorio i partecipanti stranieri - tutti africani - scrivevano in inglese o francese, a seconda dalla lingua in cui avevano studiato. Quando chiedevo loro di preparare un testo per l’appuntamento successivo, Madassa lo faceva in francese e poi si traduceva da solo in italiano. Per esercitarsi. Un pomeriggio in cui i ragazzi del Centro erano molto distratti, ho fatto una scommessa: ho proposto loro di realizzare - per la volta successiva - uno scritto a partire da una sollecitazione che sapevo essere stravagante, ma proprio per questo speravo li divertisse e li spronasse. Si trattava di “Scrivere una lettera a una parte del proprio corpo”. La settimana dopo erano presenti in tre su quattro. Con due di loro la scommessa era fallita: ritrovatisi da soli, si erano sentiti smarriti davanti alla stranezza della richiesta e non avevano prodotto niente. Il terzo era Madassa. Lui aveva scelto di scrivere non una lettera al corpo, ma al suo spirito. “Caro Spirito” - diventato il testo di chiusura del reading pubblico che è seguito al laboratorio - vibrava di tale autenticità, di tale coraggio, che mi ha ripagato del tutto della mia scommessa pedagogica (parzialmente) fallita. Proporre a Madassa di partecipare a DiMMi mi è venuto spontaneo. Abbiamo proceduto così: lui scriveva (in italiano) una parte della sua storia, poi ci incontravamo in un piccolo parco vicino casa mia, ci sedevamo per terra, rileggevamo insieme e io correggevo le poche cose che avrebbero rischiato di risultare davvero
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incomprensibili. Nei giorni successivi lui aggiungeva un altro pezzo e ci incontravamo nuovamente. Alla fine siamo andati in cartoleria, abbiamo comprato un quaderno su cui lui ha ricopiato, in bella, tutti i pezzi della storia che era andato via via scrivendo. E lo abbiamo mandato - con una certa trepidazione, per entrambi - a DiMMi. Al momento in cui scrivo Madassa ha superato brillantemente gli esami di terza media e ha firmato un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Ma il suo iter per l’ottenimento della protezione internazionale non si è ancora concluso. E io - come tutti quelli che lo conoscono - non posso che incrociare le dita per lui e augurargli tutta la fortuna del mondo. Gabriella Grasso Esperta in metodologie autobiografiche, Milano.
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