ISBN 978-88-97039-25-9
€ 14,00
9 788897 039259
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Flavio Massazza
IL NIDO DELL’AIRONE Ventun racconti
Il nido dell’airone Flavio Massazza Copyright © 2011 ISBN 978-88-97039-25-9 I edizione tgbook editore by tecnograficarossi via 1° maggio, 6 36066 Sandrigo (Vicenza) www.tecnograficarossi.it www.tgbook.it
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La copertina è stata creata da DAIMON ART
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alla mia bisnonna Pierina che chiamavamo Mina
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Trenta raggi convergono nel mozzo Ma è il vuoto del mozzo l'essenziale della ruota. I vasi son fatti di argilla Ma è il vuoto interno che fa l'essenza del vaso Mura con finestre e porte formano una casa Ma è il vuoto di essi che ne fa l'essenza. In genere: l'essere serve come mezzo utile Nel non-essere (nel vuoto) sta l'essenza. Lao - Tze
PREMESSA DELL’AUTORE Mi capita, ogni tanto, di guardare ciò che mi circonda in un particolare attimo di attenzione che solletica la mia fantasia. Così, a volte, nasce una storia che può essere allegra, triste, ironica, a seconda del mio stato d’animo del momento. In questa raccolta i racconti sono mescolati e variegati come in un vassoio di paste assortite. Possono essere letti uno dopo l’altro, oppure qua e là, come si desidera. Se non ci si diverte si può lasciarli a metà nel piattino e assaggiarne un altro senza impegno, tranquillamente, gustando con calma ciò che ci piace.
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Indice: UN RAMETTO SPECIALE I POMODORINI UNA STORIA DI PAESE CHI SBAGLIA PAGA LA FOTO UNA STORIA DI SABBIA (1mc) IL GATTINO IL VIANDANTE LA DONNA MISTERIOSA UNA STORIA NEL BOSCO IL RITORNO IL VECCHIO RE UN PICCOLO TUBO DI RAME LA CASA DI SAINT’AGNÈS LA LUCE DEL SOLE IL PIANETA AZZURRO UN PICCOLO RETTANGOLO DI PLASTICA I TRE GAMBERETTI LA NUVOLA UNA STORIA DI LETAME UNA STORIA DI NEVE
pag. 13 pag. 21 pag. 29 pag. 49 pag. 69 pag. 81 pag. 89 pag. 109 pag. 115 pag. 127 pag. 135 pag. 151 pag. 155 pag. 163 pag. 183 pag. 189 pag. 197 pag. 213 pag. 215 pag. 221 pag. 227
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Oggi ho guardato il nido dell’Airone
UN RAMETTO SPECIALE Sono un rametto di albicocco. Non sono un rametto comune, sono un rametto speciale. Almeno così credo. O, forse, è solo colpa del mio ego, del mio orgoglio di rametto. Ricordo, qualche anno fa in primavera, quando spuntai da un ramo del grande albicocco. L’albero era molto vecchio. I rami contorti, tormentati dalle cicatrici del tempo, si allargavano dal tronco scuro e nodoso sul quale grumi di resina, del colore dell’ambra, creavano macchie più chiare. L’albicocco cresceva nell’avvallamento che si era formato dietro un argine di protezione costruito sulla sponda del grande fiume. Si diceva che l’albero fosse stato piantato da un vecchio signore, il quale si era appropriato di quel fazzoletto di terra per coltivare un piccolo orto in cui gli piaceva far crescere quel poco di verdura che gli serviva. Poi aveva deciso che anche qualche albero da frutto ci sarebbe stato bene. Negli anni l’albicocco si era ingrandito ed in primavera aveva cominciato a rallegrare il piccolo orto con i suoi fiori bianchi. Così erano arrivati i primi frutti, che il vecchio raccoglieva ad uno ad uno, con amore, cedendo talvolta alla tentazione di assaggiarli subito. 13
Con il passare degli anni, con le cure e le potature, la produzione di albicocche era diventata sempre più copiosa e l’uomo aveva cominciato a farne marmellate e a metterle sotto spirito per sé e per agli amici. Poi il vecchio divenne sempre più debole e non fu più in grado di occuparsi dell’orto. L’edera cominciò ad invadere ogni cosa e a ricoprire tutto il tronco, ma l’albero era diventato grande e forte, continuava a sopravvivere spingendo i suoi rami sempre più verso il cielo. Appena spuntato da uno dei rami più in alto, io ero molto sottile e delicato. Ogni primavera, sulla punta e sui fianchi, mi spuntavano piccole foglioline verdi. Ero molto flessibile, mi piegavo quando c’era il vento, mi rinvigorivo alla pioggia e resistevo all’assalto di formiche ed insetti. Dopo un paio d’anni, con mia grande gioia, mi spuntò sul fianco un germoglio diverso da quelli abituali da cui nascevano le foglie. Un bellissimo gruppo di fiori mi si sbocciò addosso riempiendomi di gioia. Api ed insetti mi allietavano con i loro ronzii e li vedevo allontanarsi gialli di polline. Poi arrivarono le mie prime albicocche. La sensazione dei frutti che crescevano su di me fu entusiasmante. Era una grande gioia sentire quelle sfere prima piccolissime e verdi, poi grigie, che lentamente crescevano e cambiavano colore fino a diventare di un giallo intenso e vellutato. 14
Ormai nessuno, però, raccoglieva i miei frutti che cadevano a terra staccati dal vento o diventavano scuri e raggrinziti sul mio fianco. Qualche volta un passero affondava il suo becco nella polpa dolce dandomi un po’ di soddisfazione. Questo andò avanti per qualche estate, ma, ad un certo punto, il vecchio tronco non riuscì più a mandarmi la linfa dolce ed ambrata che mi faceva vivere. Ero diventato un rametto secco. Un giorno di gennaio arrivò il vento. Ricevetti una grande spinta e le mie fibre, che ormai avevano perso ogni flessibilità, si spezzarono e fui sbattuto a terra. Poi venne la neve che mi ricoprì completamente. Non era la prima volta che ricevevo la neve, ma quando ero su in alto, ricevere i bianchi cristalli che si posavano leggeri, non mi dispiaceva: erano delicati e inconsistenti ed al primo sole si dissolvevano lasciandomi libero ed esposto alla luce. Ma ora, a terra, era diverso: ero sommerso da una spessa cortina, sempre più pesante e impenetrabile. Nel buio e nel freddo pensai che la mia storia fosse finita. Avevo avuto la mia vita normale, la vita di un normale rametto di albicocco. Di un rametto che nasce, fiorisce, dà frutti, poi secca, e infine si decompone nella terra e diventa nutrimento per le future piante. Mi ero rassegnato, in fondo avevo avuto le mie soddisfazioni. A marzo, la neve si era sciolta, avevo visto di nuovo il sole, il mio ultimo sole prima di marcire nell’erba, che, verdissima, cominciava a crescere. A quel punto arrivò lui. Prima un’ombra, poi un becco lungo e grigio sempre più vicino. 15
Due piccoli occhi che mi scrutavano da un testa grigia con un ciuffo nero. Mi ero sentito afferrato da una stretta forte e nello stesso tempo delicata. Poi avevo cominciato a volare nel cielo azzurro della primavera. Vedevo la campagna, le colline, il grande fiume con le acque luccicanti. Tutto scorreva sotto di me mentre il verso degli uccelli mi circondava e l’aria leggera mi accarezzava. Venni posato delicatamente sopra un incrocio di rami su di un grande, altissimo albero. Mi ritrovai assieme ad una immensa folla di rametti. L’airone era abilissimo, ci spostava con il becco, ci metteva in cerchio, ci radunava, ci separava, ci intrecciava. Era infaticabile, andava e veniva, portava altri rametti, altri arbusti e li metteva in ordine come se seguisse un progetto semplice e complesso allo stesso tempo. Solo quando li vidi vicini, posati a fianco nel nido mi accorsi che in realtà gli aironi erano due. Imparai a riconoscerli da piccoli modi diversi di muoversi e di lavorare. Uno portava i rametti, l’altro li sistemava. Era un lavoro di famiglia, sembravano due aspetti di una sola persona. In quel luogo conobbi rametti di tutte le specie. Rametti di salice lunghi e flessibili che creavano cerchi e curve, rametti di alberi da frutto come me, più consistenti e contorti, che rendevano più solida la struttura. Fili sottili di morbida paglia disposti all’interno per creare un soffice strato. Non era semplice stare insieme ed a volte c’era insofferenza e qualche discussione, ma poi grazie all’abile becco tutti trovavamo il nostro spazio e ci sistemavamo comodamente. 16
Ognuno aveva il suo posto e si era creato un bel gruppo solido, leggero e ben sistemato sull’incrocio dei rami. Dal mio punto di vista vedevo il fiume sotto gli alberi. Sul bordo, dove l’acqua era bassa, gli aironi camminavano lentamente muovendo a scatti le lunghe zampe e immergendo con decisione i lunghi becchi in cerca di cibo. Sui rami vicini ancora privi di foglie risaltavano gli altri nidi e gli uccelli con le grandi ali andavano e venivano creando giochi di ombre. Quando pioveva l’acqua non si fermava nel nido, ma ci attraversava mantenendoci freschi e puliti, poi il sole ci asciugava e ci sentivamo forti ed utili. Un giorno l’airone, quello che sistemava i rametti, smise di andare e venire. Si posò sopra di me e dopo poco vidi delle cose nuove, delle cose mai viste. Sembravano dei sassolini, ma dei sassolini tutti eguali, di forma ovale, di un verde azzurrognolo con qualche punto più scuro. Erano tiepidi e lisci. Ora l’airone stava sempre nel nido, solo raramente si allontanava e veniva sempre tempestivamente sostituito dal compagno. Sentivo sempre un grande calore provenire dal suo corpo accovacciato. Dopo un paio di settimane avvenne una cosa che certo non mi aspettavo. Improvvisamente quei sassolini si misero a vibrare, come se fossero mossi da una forza misteriosa. Cominciarono a rompersi prima uno e poi gli altri. Un liquido umido colò su di me e dei batuffoli di un grigio sporco uscirono da quei gusci spezzati. 17
Da quei batuffoli spuntava un grande becco spalancato. Sembravano dei sacchetti con le piume aperti ed urlanti. Gli aironi ripresero ad andare e venire come se fossero uno solo. Tutte le volte che tornavano avevano qualcosa nel becco: insetti, molluschi e qualche volta un piccolo pesce. Erano bravissimi nel centrare i piccoli becchi spalancati deponendo il cibo dopo averlo lavorato a lungo nel becco. Mi chiesi come facevano a dividere equamente il cibo tra tutti, ma poi mi accorsi che in realtà chi era più audace, chi riusciva a portarsi in prima fila, chi riusciva a urlare più forte era quello che riceveva più cibo. Un giorno il batuffolo che se ne stava sempre in disparte non emise più nessun suono e restò immobile e silenzioso. Appena se ne accorse l’airone lo prese con il becco e lo lasciò cadere fuori dal nido con decisione e senza indugio, forse gli dispiacque, ma non lo diede a vedere. I piccoli aironi crescevano a vista d’occhio. Il corpo diventava sempre più grande, il becco era meno importante e piccole ali spelacchiate cominciarono ad aprirsi. Spesso si agitavano per farsi spazio in un nido diventato ormai troppo stretto. In un giorno di sole, con l’estate ormai alle porte, il più grande si affacciò sul bordo del nido. Sentivo su di me le zampette che mi stringevano. Stette immobile per un attimo, aprì le ali ormai grandi, le mosse, lasciò la presa e si lanciò nel vuoto. Lo vidi cadere come un sasso sempre più in basso, poi smise di scendere, battè le ali e si librò in un breve volo atterrando sulla sabbia in riva al fiume sulle zampe ormai lunghe. Da quel giorno, in breve tempo, uno alla volta se ne andarono tutti. La madre ed il padre non si videro più. 18
Ero rimasto solo con gli altri rametti. Qualche ramo più anziano ci confortava dicendo che dopo un anno sarebbero tornati, ma io, guardando gli uccelli che volavano sul fiume con le lunghe zampe distese verso la coda senza mai posarsi su di un nido ormai inutile, ero molto triste. Il mio legno era diventato leggero e secco a furia di essere continuamente bagnato dall’acqua e asciugato dal sole. Mi sentivo inutile e morto. Era un limpida giornata di ottobre quando tornò il grande vento. Gli alberi si piegavano, le foglie ormai secche erano strappate via con violenza. Si sentiva il fischio dell’aria che attraversava gli spazi tra i rami ed il vento si infiltrava negli interstizi del nido facendolo vibrare. Mi sentii spingere da una raffica più forte. L’abbraccio degli altri rametti che mi teneva al mio posto si sciolse e, spinto da una forza incontenibile, fui strappato via. Ora il vento mi spingeva sempre più in alto, sempre più lontano; il fiume si allontanava e le colline erano sempre più distanti. Vidi le montagne avvicinarsi a grande velocità mentre la prima neve bianchissima luccicava al sole. Si, ero proprio un rametto speciale, forse la mia storia non era ancora finita.
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ISBN 978-88-97039-25-9
€ 14,00
9 788897 039259