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n questo strano e variegato mondo esistono individui che, vuoi per una sorta di alterigia o spirito libertario, per cui qualunque concetto prefissato è visto sospettosamente come un’imposizione ed una limitazione delle proprie libertà e potenzialità intellettuali, o vuoi per uno spirito scettico e gnostico (per cui il dubbio è il timone e la ricerca è il fine stesso dell’attività intellettuale, piuttosto che il mezzo per affermare una qualsivoglia verità), hanno problemi con le etichette, fossero anche quelle sugli abiti. Chi scrive fa, per onestà, ammenda ed ammette di appartiene a questa bizzarra categoria di persone. Ragion per cui accade che, difronte ad una graziosa placchetta ottonata e assicurata con due chiodini alla zona mediana inferiore della cornice a mo’ di anagrafica cimiteriale (con tanto di nome e cognome in maiuscoletto seguiti da dies natalis & dies mortis), si tenda letteralmente a storcere il naso. Questa smorfia più o meno involontaria, con cui il cervello trasmette all’esterno un segnale di perplessità, è il motore primo che spinge ad un’analisi autoptica e fotografica ravvicinata, seguita da un’indagine analitica del modus pingendi che caratterizza le varie anatomie ittiche rappresentane, nonché la frequenza con cui le stesse compaiono nel panorama pittorico dell’artista di riferimento. Qualora tutti e tre gli elementi dessero esito positivo, si potrebbe procedere con l’attribuzione di questa Natura Morta con Pesci & Molluschi, al pennello di Giuseppe Recco.
Come puntualmente documentato dalla documentazione fotografica, culminante nella creazione di una galleria virtuale delle opere certe o attribuibili all’artista di riferimento, non soltanto il cretto pittorico (ben evidente nonostante una serie di ridipinture successive non ancora interessate da alcun restauro conservativo) accerta l’alta epoca della tela, ma il modo stesso di
lumeggiare le squame nei pesci creando iridescenze metalliche e le velature lattiginose sul fondo bruno che rendono vividi i molluschi attraverso ricercate luminosità vitree, possono essere ben considerate cifre stilistiche del maestro partenopeo. Inoltre, le quattro specie ittiche raffigurate sono presenti nelle opere del Recco con una tale puntualità, che sarebbe possibile stilare una graduatoria delle preferenze “gastronomiche” di quest’ultimo laddove, le gallinelle ed i calamari, allietano immancabilmente (anche per via del loro aspetto caratteristico) il desco della maggior parte delle sue tele.
Queste tre concordanze ipotetiche, che consentono di comprovare la coerenza del confronto pittorico in termini cronologici, stilistici ed iconografici, sembrerebbero ricondurre alla tesi iniziale di un’attribuzione al Recco senza tema di smentita. Proprio l’accostamento pittorico e la conseguente galleria virtuale, mettono tuttavia in evidenza un limite al teorema iniziale, segnalando la netta discordanza di un ulteriore e non trascurabile aspetto della produzione pittorica di un determinato artista: quello compositivo. Le tredici opere messe a confronto (escludendo volutamente dal novero la Natura Morta con Servo, funzionale a porre in risalto la similarità degli effetti vitrei nei molluschi con quelli della sontuosa collezione di calici e bottiglie di Murano), presentano composizioni giocate su un’apparente casualità nella disposizione dei prodotti ittici, quasi fossero stati appena scaricati da una cassetta e messi in bella mostra dal pescatore nell’apprestarsi alla vendita o nell’omaggiare con il pescato il signorotto di turno. Nella tela in esame, al contrario, i pesci ed i molluschi sono ordinatamente disposti per specie, tre per ogn’una per un totale di dodici, a formare una croce. Il numero e la disposizione, lasciano pensare che il dipinto sottenda un significato allegorico, riferibile
al tema dell’offertorio inteso come gesto eucaristico ricco di spiritualità religiosa. I pesci, inoltre, rimandano non soltanto ai miracoli di Cristo (le celeberrime moltiplicazioni evangeliche), ma anche al pesce-cristologico, simbolo paleocristiano di origine ellenistica: deriva infatti dall’acronimo greco ICHTHYS nella grafia ΙΧΘΥΣ, abbreviazione di «Iēsous Christos Theou Yios Sōtēr», ovvero “Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore”. Quel “dodici”, inoltre, rimanda al numero degli apostoli durante la Pentecoste, in cui i Vangeli raccontano la Discesa dello Spirito Santo durante l’antica festa ebraica del “cinquantesimo giorno” detta Shavuot in ebraico, durante la quale si offrono al dio le primizie secondo la regola: «porterai alla casa del Signore, tuo Dio, il meglio delle primizie della tua terra» (Esodo 34,26; CEI 2008). Da questa interpretazione, che potremmo definire anagogica nel senso in cui «il testo delle Scritture, letto alla luce delle verità supreme, diviene uno strumento di superiore conoscenza1», consegue la proposta del titolo del dipinto come Allegoria della Pentecoste.
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Cfr: Francesco Tateo, voce “anagogico”, in Enciclopedia Dantesca (1970).
Un’ultima osservazione concerne la forma ottagonale del dipinto stesso. Il modo in cui i segni del margine interno del telaio dialogano con il cretto della superficie pittorica, la puntualità con cui sia il taglio dell’ombra portata sulla parete che lo spigolo della muratura stessa coincidono con gli angoli superiori dell’ottagono, contribuendo ad un aumento dell’aggetto prospettico degli elementi caratterizzanti la natura morta posta sulla mensola, lasciano presupporre che la composizione pittorica sia stata concepita per questo inusuale formato. Non s’intende certamente affermare che i telai ottagonali siano avulsi dal panorama pittorico barocco o di epoche successive, poiché rappresentano una soluzione molto pratica per inserire un dipinto di piccolo formato al “crocicchio” di quattro tele di maggiori dimensioni, evitando che gli spigoli si rintuzzino tra loro. L’aggettivo “inusuale” vuole piuttosto richiamare l’attenzione sul valore simbolico dell’ottagono, laddove questa forma geometrica allude all’accezione salvifica del cristianesimo, come documentato dalla pianta ottagonale dei battisteri, in riferimento escatologico all’Ottavo dei Giorni, l’Eternità ed il valore salvifico del Battesimo di Gesù Cristo.
Scheda tecnica Artista Titolo Datazione Tecnica e Supporto Dimensioni Stima
Giuseppe Recco (Napoli, 1634 - Alicante, 1695) Allegoria della Pentecoste (Natura Morta con Pesci & Molluschi) Seconda metà del XVII secolo Olio su tela 44x104 cm (telaio); 66,5x127 cm (cornice) € 10.000 (Euro diecimila/00)
LO SCRIVENTE, coerentemente con quanto esposto in maniera esaustiva e dettagliata nella presente perizia, corroborato da adeguata mappatura fotografica e suffragato da puntuali riscontri iconografici, RATIFICA QUANTO SEGUE.
A seguito del presente studio avente ad oggetto la tela denominata Allegoria della Pentecoste (Natura Morta con Pesci & Molluschi), SI DICHIARA E CONFERMA
che il dipinto, realizzato ad olio su tela di dimensioni 44x104 cm, è un’opera originale realizzata da Giuseppe Recco (Napoli, 1634 - Alicante, 1695) nella seconda metà del XVII secolo. Con riferimento agli aspetti economici e necessitando allo stato attuale di un adeguato intervento di restauro finalizzato alla pulitura della superficie pittorica, SI STIMA
il dipinto in oggetto, per un importo non inferiore ad € 10.000 (Euro diecimila/00). Addì 28 gennaio 2021. firma
________________ (drm. Daniele Fiore)
Drm. Daniele Fiore Ruolo n.822 – CCCIA di Bari www.theartadvisor.it
Storico dell’Arte ed Esperto in Antichità ed Oggetti d’Arte Iscrizione n.056 – Albo CTU Tribunale di Bari d.fiore@theartadvisor.it