PLASTIC N.8
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Quello che si è preso di mira è una nuova concezione stilistica. Pensavamo alla plastica, a come possa convivere con opere d’arte e di design, emergere in un progetto architettonico, entro i confini di una performance o di una installazione. Pensavamo a come le nuove tecnologie, specie la stampa 3D, abbiano riacceso il dibattito circa questo materiale resistentissimo e dilagante. Perché la plastica, solo una curiosità all’inizio del secolo scorso, si è diffusa ovunque ed è oggi più di un materiale: è linguaggio e mezzo artistico. E pensavamo alla (capacità) plastica, da intendersi come malleabilità, cambiamento, mutevolezza, atteggiamento che promuove una trasformazione. “Plastico” in senso aggettivale: come posa plastica, come effetto di rilievo, come grammatica della corporeità, come vigore e slancio. Come ciò che possiede o produce un risultato di particolare espressività.
INDICE
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PLASTIC TREE
CATERINA TOSONI
PENIQUE PRODUCTIONS
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CLOUD SEEDING PLAZA PAVILLION
SILHOUETTE COLLECTION
KRISTI MINCHIN
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GLOW COLLECTION
PIVVICCÌ
CHI È ORLAN?
CLOUD SEEDING PLAZA PAVILLION di Chiara Casciotta
IL GIOCO DI LUCE E OMBRA DI 30.000 PALLINE DI PET RICICLATO DÀ VITA AD UNO SPAZIO PUBBLICO. Nel 2013 il Design Museum Holon, il museo nazionale israeliano del design, in collaborazione con il Comune di Holon indice un concorso per l’ideazione, pianificazione e costruzione di prototipi duplicabili di elementi di ombreggiamento per uno spazio pubblico all’aperto, per sensibilizzare l’opinione pubblica circa uno dei più gravi problemi in Israele: la mancanza di ombra negli spazi pubblici. Durante una calda giornata estiva, i centri urbani densi possono essere di 3-10 gradi più caldi rispetto alle zone periferiche. Ci sono molti modi per creare spazi pubblici che siano freschi, confortevoli e piacevoli, nonostante il clima mediterraneo. Si può contribuire al benessere della comunità prestando più attenzione agli alberi, ai pergolati e ad altri sistemi di ombreggiatura a nostra disposizione.
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MODU, uno studio d’architettura di New York che pone al centro della propria attività il rapporto tra architettura e fattori meteorologici, vince il concorso presentando il padiglione “Cloud Seeding” (Inseminazione delle nuvole). Il progetto (basato sulla relazione tra l’atmosfera intesa come tempo meteorologico e l’atmosfera creata dal pubblico e dal suo sentire) è stato realizzato in collaborazione con Design Studio Geotectura e collocato, nel 2015, nella piazza antistante il museo, durante la mostra “Urban Shade in Israel”. MODU ripropone un’idea tradizionale, propria della cultura del paese, ovvero la serra presente nel paesaggio agricolo di Israele, ma la reinterpreta alla maniera di un padiglione-piazza per la cultura, che guarda al tempo libero e agli eventi pubblici. Con l’assenza di pareti o pannelli di copertura, il padiglione è realizzato con un telaio strutturale che supporta il soffitto, sopra il quale galleggiano 30.000 palle leggere, realizzate in plastica PET riciclata da bot-
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tiglie d’acqua. Grazie alle caratteristiche brezze giornaliere, provenienti dal Mediterraneo, le palline sono in continuo movimento. Il conseguente spettacolo, giocoso e imprevedibile di luce e ombra, influenza la percezione del visitatore all’interno del padiglione. Questo movimento superiore fa sì che le attività del pubblico si svolgano nelle zone d’ombra dinamiche del padiglione, collegando i programmi culturali e di intrattenimento con le invisibili forze atmosferiche. Evocando il significato di antica agorà greca, “Cloud Seeding” diventa simbolo di esperienze coinvolgenti pubbliche, dimostrando che il design può fare di più, oltre a soddisfare un’esigenza collettiva. Infatti la strut-
tura viene utilizzata per vari eventi ospitati dal museo e dalla città, il pubblico è invitato a partecipare a spettacoli, lezioni di ballo all’aperto, ad utilizzare lo spazio per la lettura di un libro della biblioteca o semplicemente per oziare all’ombra. Sedie a sdraio sistemate sotto il padiglione incoraggiano i visitatori nell’osservare il soffitto in movimento.
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Gli architetti di MODU non progettano per risultati prefissati, ma permettono ai progetti di rimanere parzialmente incompiuti, in modo tale che diventino ‘compiuti’ soltanto quando tempo e pubblico interagiscono. Li chiamano “ambienti partecipati”, perché sono dinamici sia ecologicamente sia socialmente, e offrono al pubblico esperienze differenti ad ogni visita.
Fotografie di Aviad Bar Ness
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Fotografie di Claudio Morelli
SILHOUETTE COLLECTION di Elisabetta Cerigioni Il premio Platinum A’ Design Award quest’anno è stato assegnato ad un designer che ha tutti i numeri per una segnalazione di tale risonanza. Stiamo parlando di Libero Rutilo di DesignLibero e del suo sorprendente progetto: Silhouette Collection Vase. Libero Rutilo ha creato una collezione di vasi insoliti, dal design sofisticato che fa cadere con tanta forza l’accento su due elementi contrapposti: l’innovazione della stampa 3D e il recupero del già esistente (il riutilizzo di bottiglie di plastica). La struttura di questi vasi da fiore, a dire il vero, conserva unicamente la sagoma del vaso, la silhouette appunto. Come un procedere per sottrazione: non vi è un effetto di ‘tutto pieno’ sulla superficie dell’oggetto, bensì l’idea di un rivestimento minuziosamente traforato. Il guscio esterno veste le bottiglie di plastica, proprio quelle che altrimenti verrebbero gettate via e che in questo modo ritornano utili, acquistando nuova vita al di sotto di accattivanti oggetti di design.
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La semantica è quella del riuso creativo, vale a dire del risparmio e della sensibilità verso tematiche ambientali e sociali. Inoltre, per corrispondere ai criteri di praticità e funzionalità, i vasi presentano sulla sommità del collo la consueta, sottile scanalatura interna per avvitare la bottiglia. Inutile a dirsi: i modelli sono esclusivi e in edizione limitata. Le forme, i disegni e i decori sono diversi. Abbiamo quindi il “vaso di ragno” (superbo nel motivo che ricorda una raffinata ragnatela), il “vaso sinuoso” (dal profilo ondulato), il “vaso di pizzo” (un vero e proprio ricamo), il “vaso lavorato a maglia” (dai dettagli sottilissimi). La serie è stata completata nel dicembre 2016 e il progetto è stato presentato al Salone del Mobile 2016, alla XXI edizione della Triennale International Exhibition di Milano ed al Design Week di Bologna. I vasi da fiore sono di grande successo, anche per la possibilità di acquistare i file e stamparli direttamente in proprio o dove meglio si crede. Silhouette Collection Vase vuole sostituire le riproduzioni meccaniche che inondano le case d’oggi, cancellarne il segno tremendamente ordinario. È un programma di gente illuminata. 16
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KRISTI MINCHIN E IL PAESE DELLE MERAVIGLIE di Maria Luisa Spera ed Elisabetta Cerigioni
Kristi Minchin, British Maker & 3D Artist residente a Londra, è davvero un’artista fuori dalle righe e riconoscibilissimi sono i suoi lavori. Lo stile di Kristi è sapiente e giocoso insieme. Le opere sono pensate e costruite a partire dall’interazione tra uomo e macchina, fino alla creazione di un mondo meraviglioso, di veri e propri marchingegni, giocattoli forse, ma anche e soprattutto installazioni e perché no, sculture. Rigorosamente in plastica, questi dispositivi sono spesso dotati di ingranaggi, leve, manovelle e meccanismi mobili, con i quali lo spettatore (che diventa fruitore, performer egli stesso) può interagire. Perché le opere firmate Minchin sono davvero irresistibili: accattivanti a colpo d’occhio e straordinariamente curiose.
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Nella foto GALLERY ETIQUETTE di Kristi Minchin
L’esperienza di chi si trova di fronte a queste opere d’arte diventa multisensoriale, certamente visiva, tra forme riconoscibili, geometriche e altre prettamente fantastiche, ma in ampia misura anche esperienza tattile. Le sculture animate di Kristi sono tantissime, alcune realizzate per impreziosire ambienti esterni, altre per essere esposte, come nel caso della Gallery Etiquette, nella quale il movimento delle componenti movibili ricrea un momento di svago, tra il sollevamento di un calice di vino o di un pasticcino.
O ancora la Machine HairyHand e la Greeting Machine che, di volta in volta, girando una manopola o sollevando e abbassando una leva, imita un differente tipo di saluto, da quello più scanzonato fino al baciamano. Infine opere che si fanno vedere più simili a quadri: è il caso, ad esempio, di Secret 7. Il tutto è spolverato con una buona dose di immancabile umorismo britannico. Ogni elemento concorre ad un risultato di vivace compresenza tra le parti. Un’esplosione di colore. Fuori dal tempo. Fuori dal mondo. Fuori classe.
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PERSPEX SCULPTURE per HairyHand Creative Agency.
GREETING MACHINE di Kristi Minchin
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Fotografie di Andrea Rossetti
PLASTIC TREE di Elisabetta Cerigioni
Non si può dire che la riflessione sulla tematica ambientale riposi. E guardando l’opera del camerunense Pascale Marthine Tayou, sembra proprio che la nuvola policroma e quei rami che la sostengono nascano certamente con questo intento. Presentata da Galleria Continua all’interno dell’Art Basel Unlimited 2015, Plastic Tree è una maestosa installazione che occupa un’intera parete bianca. Per tutta la lunghezza della galleria compaiono rami di diverse dimensioni che sembrano nascere dalla parete stessa, sporgendo verso l’interno in direzione dello spettatore. Una selva un po’ naturale un po’ artificiale. Al posto delle chiome e delle fronde troviamo sacchetti di plastica, coloratissimi e incredibilmente scenografici, legati alle estremità dei rami con fare (sembrerebbe) casuale, come un gesto spontaneo.
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Una foresta sospesa, capovolta di 90 gradi, orizzontale. Non siamo più noi a transitare entro il bosco nella sua verticalità, ma è quest’ultimo ad attraversare il visitatore. Le fotografie di Andrea Rossetti, limpide ed esatte, restituiscono la verità di questa installazione, la sua semplice monumentalità che racconta degli effetti nocivi dell’inquinamento ma anche delle possibili interazioni tra materiale plastico e arte: la plastica può diventare linguaggio artistico, in un rapporto di pacifica convivenza con l’ambiente, anziché d’opposizione. Il carnevale di Tayou, la sua festa colorata, è denuncia e al contempo proposta propositiva. L’opera di Tayou ci piace moltissimo e con lei anche la fantasia dell’autore, fatta di concretezza e surrealismo, mai romantica né gratuitamente fiabesca.
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CATERINA TOSONI, L’ARTE NELL’ETÀ DELLA PLASTICA di Maria Luisa Spera
Nell’epoca classica la scultura era considerata una formula di espressione assai audace, specie per i soggetti che poteva rappresentare con risultati di decisa concretezza. La plasticità delle forme, l’intreccio di corpi, la rendeva la modalità espressiva più affascinante. La forza materica, propria della scultura, persiste ancora oggi, ciò che è mutato sono i soggetti delle opere e i materiali di cui si compongono. Astrattismo e realismo si (con)fondono. Staticità, cromatismo e dinamismo convivono con regole insolite. Lo sa bene l’artista Caterina Tosoni che ha trovato la sua espressività in un materiale “povero” come la plastica, quel materiale che tanta parte ha nella nostra epoca, declinata ormai al consumo compulsivo.
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L’artista ha realizzato diverse serie di opere, come le “Classical metamorphosis”, le “Natural metamorphosis”, o ancora la serie “Maps and Globes”, dove è intrigante la combinazione di materiali: stili diversissimi e materiali diversi convivono in un’unica opera, creando un effetto di straniamento e al contempo di accattivante compatibilità. Due parti contrastanti e ugualmente, saldamente congiunte in un’unica soluzione. Due opere in una sola. Un’opera in due.
RICOMPOSIZIONE Cemento, materiale plastico e colore acrilico, 2012 46x44x26
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RICOMPOSIZIONE cm.84x30x21 Cemento,materiale plastico e colore acrilico, 2008
RICOMPOSIZIONE cm.91x43x35 Cemento,materiale plastico e colore acrilico, 2009
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UGUAGLIANZA cm.82x67 Materiale plastico su tavola e colore acrilico, 2012
In altri casi, come nelle “Islands”, la plastica e gli oggetti disparati utilizzati, acquistano ulteriore vigore perché virati in un unico tono di colore. La tinta uniforme, priva di sfumature e gradazioni, per molti artisti è un confine da non attraversare, per il rischio di appiattimento, per la paura di non essere apprezzati né capiti (un po’ come la famosa fobia del foglio bianco). In questo contesto, con queste opere, l’artista riesce ugualmente a trasmettere uno stato emozionale agli occhi dell’osservatore. A differenza delle tante rappresentazioni artistiche in cui il gioco di sfumature prevale sulla forma, Caterina porta il colore quasi ad essere assorbito dallo strato fisico della scultura, diventando un tutt’uno con gli elementi che la compongono. Qui ci troviamo in un universo tattile che decontestualizza la materia, donandole una nuova vita, fatta di riflessione e significazione altra. Plastica che prende forma, diventa arte e si rende immortale.
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BLUE ISLAND cm.100x100 Materiale plastico su tavola e colore acrilic
COCA-COLA LIGHT 60x60 Materiale plastico su tavola e colore acrilico
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Fotografie di Penique Productions
PENIQUE PRODUCTIONS di Maria Luisa Spera Chi di noi non ha subito il fascino dei palloncini? Più erano grandi più ci attraevano, sin da bambini. Oggi possiamo addirittura entrarci, vivere al loro interno, trasformare l’ambiente che ci circonda in una grande distesa di lattice colorato, come? Per questo dobbiamo conoscere le installazioni del collettivo Penique Productions e dei suoi fondatori, Sergi Arbusà e Pol Clusella, due giovani barcellonesi che dal 2007 hanno deciso di trasformare lo spazio classico in un’opera effimera tutta colorata. Un’idea originale, quella di utilizzare palloni enormi all’interno di spazi condivisi. Gli spazi sono i protagonisti dell’opera, parte tutto da qui. Dallo studio di una superficie (di uno spazio interno), dalla ricercatezza nei colori, per arrivare all’esecuzione con cui si rimodella il luogo stesso. Il meccanismo è semplice solo all’apparenza: gonfiare degli enormi palloni di plastica fino a farli aderire completamente alle pareti, ai soffitti, ai pavimenti del luogo in cui l’opera si svolge. Irrompere nella routine del luogo portando in esso una nuova visione.
Il palloncino, seppur gigante, è il mezzo con il quale il collettivo di Penique Productions realizza l’opera ma è il pubblico/visitatore a portarla a compimento. È l’interazione a renderla viva anche se, inizialmente, ovvero con la prima installazione del 2007, l’elemento visitatore non era previsto. Siamo abituati a trovarci di fronte ad opere di Land Art su grande scala, alcune di queste hanno proprio la forma di “impacchettamento” come l’opera di Christo del 1974 a Porta Pinciana in quel di Roma. Probabilmente proprio Christo e Jeanne-Claude sono gli artisti che hanno portato i Penique Productions a sviluppare i loro la-
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vori, anche se il loro “impacchettamento” persegue una dinamica contraria: avviene all’interno di un luogo e non all’esterno. In questo modo le opere non risultano mai uguali, né simili tra loro, proprio perché dipendenti dalla struttura del posto che le ospita. Lo spazio diventa l’opera e allo stesso tempo il contenitore di quest’ultima. Un nuovo format di Land Art, decisamente interessante per la sua estrema personalizzazione, per la trasformazione del luogo attraverso la sua superficie architettonica ipoteticamente statica, per il colore che con differenti giochi di luce muta ogni volta, influendo pesantemente nella percezione dell’opera attraverso l’osservazione della plastica, aumentando così l’effetto scenografico.
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GLOW COLLECTION di Chiara Casciotta
OGGETTI ORDINARI IN PLASTICA RICICLATA CHE SUSCITANO MAGIA Il riciclo è uno dei temi cardine del design degli ultimi anni; utilizzare la plastica di recupero per creare nuovi oggetti è un modo per ridurre l’impatto delle nostre vite sul pianeta.
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Questo approccio ecologico al design consente di dare una seconda vita ad oggetti che buttiamo ogni giorno. Kim Markel è una giovane designer americana, la cui filosofia di lavoro si concentra sulla necessità di creare nuovi pezzi in modo responsabile ed efficiente. Kim non ha il tipico curriculum dell’artista: dopo una carriera nella politica ambientale, un lavoro in una fonderia a New York, durante il quale segue un corso di “fabricating large-scale”, si trasferisce nel suo studio a Beacon, New York, in cui inizia a realizzare mobili e oggetti d’arte mettendo insieme le esperienze di lavoro pregresse. La collezione Glow consiste in una serie di stravaganti sedie, tavoli, vasi e specchi realizzati con plastica riciclata. Markel dice che l’idea per la collezione nasce da una doppia tensione: il desiderio di fare qualcosa di bello e di innovativo, e la volontà di arginare l’incremento di rifiuti nel pianeta. Quando la gente ha iniziato ad interessarsi al lavoro di Kim Markel, la designer si è trovata di fronte alla necessità di creare ancora oggetti, senza voler immettere, tuttavia, “roba nuova nel mondo”. Venendo da un background ambientale, Kim sapeva che voleva realizzare la sua collezione responsabilmente e quindi cercare di usare, quanto più possibile, materiale già esistente. Ha trascorso un anno chiamando commercianti di rottami di plastica e sperimentando materiali, finché non ha trovato ciò che faceva al caso suo. Ogni mobile richiede uno specifico rapporto tra diversi tipi di plastica, specie per la robustezza e l’opacità desiderata. Poi viene aggiunto il pigmento per
il colore e la resina per legare la plastica. Per gli elementi più pesanti, come sedie e tavoli, che hanno bisogno di essere strutturalmente resistenti, si utilizza una miscela di plastica ricavata da occhiali e vassoi di plastica che hanno esaurito la loro funzione. Per le cornici specchio si utilizzano bottiglie di plastica che sono già state riciclate il numero di volte consentito. Il risultato è brillante, gli oggetti sono luminosi come se fossero fatti di vetro proveniente dal mare o di caramelle dure! L’intento della designer è di rafforzare il valore soggettivo e la magia che ogni oggetto è in grado di trasmettere al consumatore. Un concetto ludico e allo stesso tempo emotivo, esaltato attraverso dettagli sottili e/o applicazioni di colori e materie prime inusuali. Si tratta di una collezione in grado di fornire alla mente un’immagine illusoria, pur rimanendo costante il valore pragmatico di ciascuno dei suoi componenti.
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Fotografie di Kim Markel
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PIVVICCÌ, L’ECO-MODA DA PALERMO di Elisa Gigli
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PIVVICCÌ, un nome che riesce a racchiudere in sé tutta l’essenza di un brand. La plastica, il riuso, la moda sostenibile, il made in Italy, l’artigianalità e l’amore per la propria terra. Questo nome, PIVVICCÌ, ha subito catturato la mia attenzione ed è anche il motivo per il quale ho deciso di parlarne. È anche stato l’oggetto della prima domanda a Giuseppe Rogato, l’architetto e designer palermitano che ha ideato e realizzato questo progetto. “Ho cominciato a riutilizzare i teloni pubblicitari in pvc nel 2009, come materia prima secondaria per la realizzazione di borse, accessori moda ed elementi di arredo. Pivviccì è l’acronimo rafforzato dalla dicitura ‘palermitana’, in quanto noi volgarmente raddoppiamo le vocali”. Sì, perché Giuseppe, attento alle problematiche ambientali e desideroso di unire l’aspetto ecologico e sostenibile a quello imprenditoriale, dopo anni di lavoro e studio nel campo della bioarchitettura e design del riuso, conseguendo anche un Master in Materiali e tecniche innovative per l’edilizia so-
stenibile, nel 2010, decide di aprire la sua azienda con il marchio PIVVICCÌ. Il nome del Brand deriva dunque proprio dal materiale utilizzato nella stampa digitale grande formato per i cartelloni/gonfaloni delle pubblicità esterne, dei quali la sua città era allora piena. E fino al 2011 il suo lavoro è stato ispirato ed alimentato principalmente da questo: “Realizzavo borse in pvc riciclato, prevalentemente gonfaloni pubblicitari recuperati a Palermo presso le aziende che dismettevano la pubblicità dopo 15-30 giorni”.
La ricerca di materiali, tuttavia, per Rogato non si è mai fermata, portandolo ad estendere il concetto di riutilizzo a tanti altri materiali di recupero, dai sacchi di caffè ai manicotti antincendio, sino alle camere d’aria delle biciclette. “Il concept del riuso si estende negli anni grazie ad una continua ricerca dei materiali non più utilizzati dalle aziende ma anche dai privati, una seconda vita che nasce da uno scarto che invece diventa una enorme risorsa grazie alla creatività e al lavoro artigianale”. Un percorso in continuo mutamento e in perenne evoluzione, fino alle ultime collezioni dove il pvc non viene più utilizzato. Da circa tre o quattro anni, infatti, le collezioni sono realizzate interamente recuperando giubbotti in pelle usati e vintage e materiale militare dismesso, come tende, borse in canvas, divise e così via. La plastica è stata abbandonata. Come mai? Fa parte della naturale evoluzione di ogni progetto nel tempo, oppure ci sono state motivazioni particolari che hanno portato alla predilezione di altri materiali, fino al definitivo abbandono del pvc? Mi risponde che nel tempo ha dovuto sperimentare a poco a poco degli ‘accorgimenti’, per far fronte alla poca resistenza del materiale, essendo il pvc dei teloni pubblicitari un materiale di breve durata. Inizialmente aggiungeva pvc ricilato e pelle, oppure ecopelle da stock che gli fornivano gli artigiani, per rinforzare i punti in cui il pvc cedeva. In seguito ha sperimentato anche i sacchi di juta del caffè, il denim jeans, i manicotti antincendio, le camere d’aria. Insomma, di tutto e di più. “Ma il mio obiettivo è stato sempre quello di realizzare un prodotto che fosse prima di tutto un prodotto di qualità. Per questo a poco a poco ho abbandonato del tutto l’utilizzo del pvc pubblicitario. Lavorando all’estero il Made in Italy si deve distinguere
per il design e la qualità, quindi, ovviamente, anche per la resistenza”. Giuseppe, infatti, ha avviato negli anni collaborazioni internazionali con altri brand ecosostenibili, con lo scopo di condividere l’upcycling. Da una di queste esperienze, in Irlanda, è nato un lavoro a quattro mani con il brand Mamukko, per la produzione di una collezione esclusiva di borse. In Irlanda Giuseppe ha portato una selezione di giubbotti in pelle e giacche militari che, unite ai materiali recuperati da Mamukko, quin di vele e plastica di gommoni di salvataggio (liferaft), ha permesso la realizzazione di un prodotto unico: una collezione di zaini esclusivi, circa 30 pezzi, nati nel giro di 21 giorni. In questo incredibile percorso che dura da anni, segnato da ricerca e mutamenti costanti, c’è un fattore che Giuseppe non ha mai abbandonato: il riuso dei materiali. Anzi, la seconda vita dei materiali è sempre alla base del suo lavoro e oggi, finalmente, l’eco-sostenibilità investe in maniera sempre più incisiva anche il mondo della moda.
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Anche in Italia, dove va ad affiancarsi ad una tradizione di eccellenze artigiane e di imprese di piccole e medie dimensioni, ma di grande qualità. PIVVICCÌ riesce ad unire tutto questo, in un’ottica di stretto e indissolubile legame con la propria terra. Ogni pezzo PIVVICCÌ è unico ed irripetibile, viene prima disegnato e poi realizzato con la massima cura e precisione da manifattura artigianale, presso il laboratorio di Giuseppe a Palermo, dove egli vive e lavora “prendendo ispirazione dalla nostra storia e dalle nostre tradizioni”. Giuseppe, con le sue realizzazioni, racconta una storia. Anzi, tante storie, in primis quelle dei materiali e poi quella della sua regione. Tutte storie dove non esiste la parola “Fine”. E infatti Giuseppe continua ad avere nuovi progetti. Il prossimo? L’apertura di un nuovo show room a Palermo e “tante altre cose che potrai vedere nei social e nel mio sito web a breve” - confessa -. Perché “Il Mondo non ha bisogno di dogmi, ma di libera ricerca.” (Bertrand Russell)
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CHI È ORLAN? di Elisabetta Cerigioni
Posso osservare il mio corpo sezionato senza soffrire. Posso vedere me stessa fino in fondo alle mie viscere, sotto un nuovo punto di vista. Posso vedere il cuore del mio amante. Tesoro, mi piace la tua milza, mi piace il tuo fegato, adoro il pancreas e la linea del tuo femore mi eccita. Artista sovversiva. Performer sconvolgente. Autrice (anche) di sculture, fotografie, video e videogames, realizzati utilizzando tecniche mediche e scientifiche, come la chirurgia e la biogenetica. Di certo una delle voci più significative nel panorama artistico internazionale. Sì, ma chi è ORLAN? ORLAN, pseudonimo di Mireille Suzanne Francette Porte, è nata a Saint-Étienne in Francia ed ha basato ampia parte della propria attività sull’appropriazione degli ideali estetici del passato, sui quali ha letteralmente rimodellato il proprio corpo con interventi di chirurgia plastica.
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Non è dunque così immediato rispondere alla domanda. E troppo facile, per non dire banale, sarebbe definirla figura camaleontica. ORLAN è molto di più: contemporaneamente (il) sé e l’altro da sé. Sin dagli inizi degli anni Novanta l’artista ha messo in scena le operazioni chirurgiche come fossero installazioni, non di rado accompagnate da sottofondi musicali, letture di poesie, ma anche coreografie di danza. Così ORLAN si è appropriata della fronte della Gioconda di Leonardo da Vinci, del mento della Venere del Botticelli, ma ha anche mutato il proprio aspetto con l’innesto di protesi, quali corna e così via... Ogni cosa viene documentata in video. Il tavolo operatorio diventa un atelier. Per alcuni teatro della crudeltà. Il corpo si fa linguaggio. La propria carne materiale plastico da plasmare. La performance è tutta l’opera: a lei non interessa il risultato finale, bensì lo spettacolo di un corpo che si modifica potenzialmente all’infinito.
ORLAN è malleabilità. Perpetua mutazione. Reincarnazione. 56
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THE FRIDAY PROJECT N.8
EDITORIAL STAFF EDITOR IN CHIEF AND PHOTOGRAPHER Laura Novara laura.novara@the-fridayproject.com ART DIRECTOR AND DESIGNER Maria Luisa Spera marialuisa.spera@the-fridayproject.com ARCHITECTURE AND DESIGN EDITOR Chiara Casciotta chiara.casciotta@the-fridayproject.com CULTURE EDITOR AND EDITING Elisabetta Cerigioni elisabetta.cerigioni@the-fridayproject.com COMMUNICATIONS MANAGER AND LIFESTYLE EDITOR Laura Ferrari laura.ferrari@the-fridayproject.com
CONTRIBUTORS ELISA GIGLI
CONTACT INFORMATION
www.the-fridayproject.com | redazione@thefridayproject.com
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The Friday Project è un periodico online registrato presso il Tribunale di Ancona al n. 07/2015 del registro periodico, protocollo n.34/2015. La riproduzione delle illustrazioni e degli articoli pubblicati sulla rivista, nonché la loro traduzione è riservata e non può avvenire senza espressa autorizzazione. Copyright © 2016 The Friday Project
COVER Blue Island - Caterina Tosoni
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